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giovedì 20 luglio 2023

La squadra dei mortaisti partigiani era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato

Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Parco Naturale Alpi Liguri

Insomma, nella cameretta di Oliveto si dormiva - si fa per dire - meglio. Dopo aver trascorso una notte quasi insonne, all'alba del giorno 5 settembre 1944 tutto l'accampamento era in movimento: avevamo udito lunghe raffiche di mayerling (la terribile arma automatica tedesca) provenienti da lontano. Prestato un poco di attenzione, ne individuammo la direzione: giungevano dal passo della Fenaira, dove era dislocato il distaccamento di "Germano" che controllava la strada proveniente da Molini di Triora e Andagna. Purtroppo, oltre che da quella parte, stavano giungendo i primi drappelli tedeschi anche da Rezzo e da Montegrosso - Men­datica, mentre il grosso delle truppe aveva già occupato tutte le montagne che si ergono intorno alla conca di Rezzo. Un grande rastrellamento nemico era in atto.
"Germano" resistette fino al limite delle forze, ma poi, preso tra due fuochi (dalla parte di Andagna e da quella del Passo della Mezzaluna), dovette desistere, lasciando purtroppo sul terreno Ettore Bacigalupo ("Genovese"), Felice Spalla, Pietro Glorio ("Gambin"), Aldo Gagliolo ("Terribile") e Italo Ghirardi ("Gherardo"). Anche Montegrande era stato occupato dai tedeschi.
Fu ad un certo momento della mattinata che il comandante Silvio Bonfante ("Cion"), rivolgendosi a Massimo Gismondi ("Mancen"), disse: «Bisogna che tu vada a sloggiare i tedeschi da Montegrande, perché ci tengono sotto tiro».
Al che "Mancen" rispose: «Ti sembra una cosa facile?». La risposta di "Cion" fu drastica: «Se non ci vai tu, ci vado io». A questo punto "Mancen" si decise, chiedendo una quindicina di volontari. Io ero già stato aggregato al reparto mortaisti, ma, se così non fosse stato, non sarei stato di certo un volontario. L'avventura del molino dei Giusi e il miracolo di Oliveto avevano destato in me un poco di paura.
"Mancen" con i suoi uomini partì per Montegrande e noi mortaisti ci preparammo ad agevolargli la salita. L'azione si doveva svolgere in modo che, quando la squadra dei volontari fosse giunta ad una cinquantina di metri dalla vetta, fuori dalla vegetazione, dopo un segnale convenuto avremmo incominciato a sparare con i mortai. Dovevamo essere precisi per non colpire i nostri compagni. La squadra dei mortaisti era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato e raggiunto le nostre file in montagna, abbandonando il presidio di Chiappa in val Steria. Essi maneggiavano i mortai, mentre un'altra trentina di disertori della stessa divisione faceva da supporto. Istruiti in Germania, erano gente molto preparata, e presto lo dimostrarono. Dopo circa mezz'ora che era partito "Mancen", lui ci segnalò di aprire il fuoco. Noi che nel frattempo avevamo puntato il mortaio nel modo giusto, sotto la guida del sergente mortaista, al segnale iniziammo a sparare, in verità con un poco di preoccupazione perché, durante il trasporto dell'arma da Chiappa a San Bernardo di Conio, il sistema meccanico di puntamento si era rotto. Il sergente dimostrò in quel frangente la sua abilità. Mise in opera un sistema di puntamento manuale che si dimostrò efficacissimo. Salito sul tetto della vecchia chiesetta di San Bernardo, guardò Montegrande e quindi il mortaio, si piazzò nelle direzione retta dei due punti di riferimento e lasciò cadere a terra un'assicina di legno che si piantò nel terreno. Fatto questo, saltò a terra dal tetto della chiesetta che era abbastanza basso e, estratto dalla tasca un taccuino, fece alcuni calcoli. lo non capivo niente di quello che stava facendo. Terminati i calcoli e raggiunto il mortaio, maneggiò i vari sistemi di alzo e di brandeggio. Infine disse: «Credo che così vada bene, possiamo iniziare il fuoco». Tra me pensavo che, se "Mancen" e gli altri avessero saputo in che modo era stato eseguito il puntamento, indubbiamente sarebbero velocemente fuggiti dal luogo dove si erano appostati.
Uno degli inservienti infilò nel mortaio una bomba da 81 che, con un colpo secco, partì immediatamente. Attendemmo con ansia l'arrivo della bomba su Montegrande. Quando vedemmo lo scoppio proprio in cima al monte dove i tedeschi erano piazzati, esultammo per l'abilità del sergente e per lo scampato pericolo della nostra squadra di volontari.
Era giunto il momento decisivo. I nostri iniziarono l'assalto sparando all'impazzata, mentre i tedeschi, raggiunti da altri colpi di mortaio, si ritirarono verso il passo della Fenaira.
Conquistata la cima del monte, "Mancen" iniziò l'inseguimento del nemico, accompagnato dai tiri del mortaio che il sergente spostava gradatamente a destra man mano che i colpi partivano, per non colpire gli inseguitori.
Dopo aver sparato ancora una decina di colpi, però, purtroppo dovemmo smettere perché le bombe incominciarono a scarseggiare. Non potevamo più sciuparne.
Dimenticavo di dire che il mio compito, durante gli spari, era molto importante: portavo le cassette delle bombe dal luogo dove erano state sistemate, lontano dal mortaio una cinquantina di metri per sicurezza, all'arma che era al riparo della chiesetta. Con altri tre compagni dovevo percorrere quel tratto allo scoperto, per cui ogni tanto sentivamo fischiare vicino pallottole nemiche. Al fianco del mortaio era stata piazzata una mitragliatrice pesante che, azionata da Giuseppe Gennari ("Gino"), impediva ai tedeschi di avanzare dalla strada di Rezzo verso San Bernardo di Conio. Quando le sparatorie si placarono, mentre stava scendendo con la sera anche la nebbia, la squadra di "Mancen" fu costretta a ritirarsi da Montegrande portando con sé prigioniero un sergente tedesco. Nell'azione solo un partigiano era stato leggermente ferito ad un braccio.
Giunta la notte, mentre i tedeschi, impressionati dall'azione partigiana, avevano sospeso momentaneamente il rastrellamento, i distaccamenti di Franco Bianchi ("Stalin"), di "Germano" e di altri comandanti adottarono la tattica di disperdersi nei boschi. Noi, invece, caricammo su una decina di muli i mortai, le armi pesanti, le marmitte, i viveri e le munizioni, e con "Mancen", i fratelli Gennari, "Mancinotto", "Sardena", "Cigré'" (eravamo circa una trentina) ci calammo verso Rezzo per tentare di passare da qualche parte nella valle di Pieve di Teco, per avviarci poi verso Montegrosso - Mendatica. Ma, giunti vicino a Rezzo, venimmo a sapere che il paese era occupato dai tedeschi. Fummo costretti ad incamminarci verso il passo delle Bisciaire e, quando stavamo per giungere sul crinale, fummo accolti da lunghe raffiche nemiche. Era evidente che, prima che facesse buio, i tedeschi avevano piazzato le mitragliatrici sulla mulattiera, e, quando avevano sentito il rumore prodotto da una decina di muli, avevano dato inizio alla sparatoria. Fortuna volle che non fossimo sulla giusta traiettoria, così fummo in grado di scaricare i muli cbe abbandonammo al loro destino. Nascondemmo in modo precario il materiale scaricato, quindi ci buttammo di corsa dentro il bosco di Rezzo, fuori tiro perché protetti da una costiera.
Durante la notte incominciò a piovere e ci inzuppammo all'inverosimile. Credo che nessuno sia riuscito a dormire. All'alba, a mille metri di altezza, faceva un freddo intenso, mentre noi non avevamo vestiti di ricambio per poterci togliere quelli bagnati di dosso. Ricordo che Mario Gennari ("Fernandel") batteva i denti dal freddo fino a dare fastidio: forse era meno coperto degli altri. Dovemmo stare due giorni fermi in quel bruttissimo posto, mentre i tedeschi con pattuglioni di quindici/venti uomini venivano giù dai passi sparando raffiche a casaccio nei boschi inaccessibili, come era il nostro, e perquisivano tutte le baite sui pianori.
Racconterò quanto mi dissero alcuni partigiani che erano nascosti con il comandante Nino Siccardi ("Curto") in una di queste baite, aggiungendo che, prima di perquisirle, con grande prudenza, i tedeschi piazzavano contro le porte e le finestre delle stesse le armi automatiche.
Quando una pattuglia nemica giunse davanti alla baita dove si erano rifugiati "Curto" e alcuni suoi compagni, essa fu attratta da un albero carico di magnifiche mele. I componenti la pattuglia si misero a raccoglierle e a mangiarle, mentre i partigiani, all'interno della baita, col cuore in gola, attendevano in silenzio il momento decisivo. Se i tedeschi si fossero avvicinati alla baita, loro sarebbero usciti sparando all'impazzata, e cercando di disperdersi. E' incredibile dire che il "Curto", con la sua nota flemma, mentre osservava attraverso una fessura della porta i tedeschi che mangiavano le mele, si rammaricava pensando che se le stavano mangiando tutte, senza lasciarne alcuna ai partigiani. Il "Curto" aveva un eccezionale sangue freddo. Non sapeva cosa fosse la paura. Lo dimostrò in numerosissimi episodi. E ciò infondeva coraggio a tutti i partigiani. La spasmodica attesa durò due giorni, poi il nemico andò via e noi ci portammo verso la Casa Rossa (una baita dispersa nel bosco), per vedere se fosse già stata raggiunta da altri partigiani. Infatti colà ne trovammo alcuni. La baita era stata la sede del Comando e qualcuno nei pressi aveva nascosto della pasta. Fu recuperata e cotta senza sale in una marmitta. Da due giorni eravamo digiuni, una fame nera ci tormentava. Non avendo un piatto o una gavetta, per non perdere il giro, feci servire la mia razione in un pezzo di carta che avevo trovato lì per terra.
Andammo poi singolarmente a scavare in un terreno dove avevano già tolto le patate, riuscendo a trovarne parecchie, che bollimmo e mangiammo.
Dunque, il rastrellamento nemico finì due giorni dopo che era iniziato. Perdemmo una decina di partigiani. I tedeschi uccisero alcuni civili. Giorni dopo recuperammo le salme di due carbonai del luogo. Se non avessimo sentito il loro cattivo odore, chissà per quanto tempo sarebbero rimaste insepolte! Le perdite nemiche furono indubbiamente superiori alle nostre, ma non saprei quantificarle.
Di notevole c'è da dire che, se fossimo stati bene informati, potevamo ritirarci tranquillamente lungo la strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo (una decina di chilometri), poiché la strada non era stata percorsa dal nemico, quindi era rimasta sempre libera.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 52-57

mercoledì 28 giugno 2023

All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio

La zona del Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato.
Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchio di Albino Biga della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò".
Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero.
Il S.I.M. li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, pochi mesi dopo comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamento.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrici.
I soldati tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borganzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo, lasciando lunghe strisce bianche. Il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto 1944 alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio. Il piano del Comando tedesco prevedeva azioni su un territorio molto ampio. Infatti i contingenti militari partirono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I^ Zona Liguria.
Perciò il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione.
I tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al Colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco.
Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti.
La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco.
La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco.
La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procede lentamente e in maniera molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I^ Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (Frazione di Pieve di Teco in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, con la messa in salvo dei partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto Silvio Bonfante (Cion) attacca i tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” [n.d.r.: Luigi Massabò, in seguito vice comandante della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza alla carrozzabile Pieve di Teco-Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)]. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. 
Oltre al Comando della I^ Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo” [Renzo Merlino], “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore” [Domenico Trincheri]. All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio.
La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I^ Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno [Frazione di Pieve di Teco (IM)]; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari [Vessalico (IM)] e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi fu tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi, che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica.
I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunse a Case di Nava [Pornassio (IM)] con altri distaccamenti, attaccò decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperse e riuscì in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento.
La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò.
Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)], mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaira.
Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento, ma poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano).
I tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11, anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna.
Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico. I distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia.
Il partigiano, ora, sa occultare il materiale, salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte, ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

venerdì 19 maggio 2023

Contrasti tra partigiani garibaldini e partigiani autonomi nei dintorni di Nava

La zona del Col di Nava, comune di Pornassio (IM). Foto: Mauro Marchiani

Giorgio (Giorgio I, poi Cis) Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri [Enrico Martini] e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto", come risulta da una sua memoria scritta (oggi documento IsrecIm, studiato da Giorgio Caudano). Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". 
Adriano Maini

L’ordine di catturare i ribelli era stato emanato dal colonnello Paolo Ceschi “Rossi”, comandante locale che, con il suo attendismo, in pratica manteneva l’ordine nella zona per conto dei nazifascisti. Basti pensare che in quel periodo le caserme di Mondovì e Fossano, città controllate da tedeschi e repubblicani, erano presidiate da uomini agli ordini di Ceschi! Il colonnello aveva il controllo della zona Monregalese - Langhe fin dal convegno di Val Casotto del 24 ottobre 1943 (cui, con tutta probabilità, aveva preso parte anche l’avvocato Astengo, poche ore prima di essere catturato), in cui la mentalità attendistica degli ufficiali era stata aspramente criticata, fra gli altri, da un personaggio del calibro di Duccio Galimberti, un monumento della Resistenza azionista.
[...] Questa vicenda evidenziò una frattura mai del tutto ricomposta fra resistenti “rossi” e “azzurri”. Inoltre, insieme alla crescente impazienza dei partigiani “colpisti” decisi ad attuare una vera guerriglia contro il nemico, fu la causa della sfiducia del CLN regionale piemontese al generale Operti dell’ex Quarta Armata del disciolto Regio Esercito, che ebbe tra le sue conseguenze la rimozione dal comando del colonnello Ceschi, rimpiazzato dal maggiore Enrico Martini “Mauri”.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

I partigiani locali, allora al  comando di Enzo Marchesi (col. Musso)  catturano alcune autorità fasciste  il 20 dicembre  1943 in  valle  Corsaglia  (CN).  Il  26  dicembre  giunge  a  comandare  il  gruppo il  maggiore  Enrico  Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi, con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i tedeschi  attaccarono  in  forze  quasi  tutti i partigiani dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani e furono trucidati.
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57

Aldo Romei (Roma) fu dapprima per circa tre mesi con Martinengo  [Eraldo Hanau, comandante in seguito della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri']poi nel giugno, luglio e agosto 1944 con il capitano Umberto (Candido Benassi) e infine entrò nelle SAP sanremesi...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Mandammo tutti gli sbandati della 4^ Armata che transitavano nella nostra zona, specialmente quelli che arrivavano da Albenga, a Valcasotto. Vestivamo quei soldati con abiti civili e li accompagnavamo in montagna, a Valcasotto dove si stavano organizzando le formazioni di Mauri.
Il primo maggio del '44 successe una cosa curiosa. Di solito in quella giornata venivo fermata, mi trattenevano a Mondovì oppure agli arresti domiciliari; quell'anno un signore mi fece una soffiata che giunto un ordine ai carabinieri di arrestarmi per una settimana.
Mi nascosi e non mi feci prendere; poi lasciai trascorrere un po' di tempo e scrissi al questore domandandogli perché avevano paura di una donna piccola come me, tanto da ordinare di arrestarmi senza un motivo preciso.
Le autorità misero in guardia i carabinieri, volevano sapere chi mi aveva fatto la soffiata.
Ricevetti l'ordine di recarmi immediatamente a Cuneo alla questura.
[...] Dunque a Valcasotto c'erano le formazioni di Mauri; Bogliolo e Gaietto lavoravano con altri piccoli gruppi. Le brigate Garibaldine vennero una volta, in occasione della battaglia del S. Bernardo (ne parla anche Mario Giovana nel suo libro “I Garibaldini delle Langhe”).
Una volta rischiai la vita. C'era un compagno, si chiamava Dino; lo volli conoscere perché venni a sapere che aveva dipinto falce e martello sul vessillo del suo gruppo di partigiani. Aveva abbandonato le formazioni di Mauri ed organizzato un gruppo di quindici uomini. A Mauri la cosa non piacque perché voleva mantenere il controllo dell'intero territorio, quindi si giunse ad uno scontro.
Salii una notte a Valcasotto con un membro del C.N.L. Per parlare con Mauri e far terminare queste lotte intestine, ma fu inutile.
Dopo qualche giorno ero in casa quando sentii che stava accadendo qualcosa sul crocevia, c'era la mitraglia piazzata. Mi precipitai pensando che volessero uccidere Dino e i suoi uomini. Avevano preso Dino e tre dei suoi. Era presente Bogliolo, tentai di farlo ragionare, ma l'unica risposta che ottenni fu uno schiaffo che mi spostò la mandibola.
Volli parlare con Mauri.
Partimmo per Bagnasco; mentre aspettavamo udimmo una raffica: avevano ucciso un partigiano di Ceva. Bava, che venne nella nostra zona dopo l'incendio di Boves, si trovava quel giorno a Bagnasco e venne a sapere che mi avevano preso - ormai ero nelle loro mani - così fece arrestare il gen. Paolini e il console Gobbi e disse a Bogliolo che se mi fosse successo qualcosa ne avrebbero pagato loro le conseguenze.
Mauri non era a Bagnasco, così partimmo per le Langhe, dopo aver saputo che la situazione a Garessio era di massima tensione. Durante il tragitto fermarono il camion su cui viaggiavano Dino e i suoi e li uccisero. A Rocca Cigliè c'era il comando generale di Mauri. Mi fecero entrare nella torre e alla mia richiesta di avere qualcosa da mangiare, perché ero ancora a digiuno, mi risposero che chi era passato di là non aveva più né mangiato né bevuto. C'era prigioniero con me un tenente d'aviazione, che avendo saputo che ero comunista volle sapere cosa fosse il comunismo, perché non ne sapeva nulla. Sul momento, a pancia vuota, dopo aver visto fucilare quattro persone e con la prospettiva di essere fucilata io stessa, gli dissi semplicemente che per me il comunismo era lottare per la libertà.
La prima reazione nel rivedere Mauri fu il pianto; mi sentivo tradita dalle stesse persone che avevamo aiutato; molte donne a Garessio lavoravano a fare le calze che poi inviavano, insieme al tabacco, su in montagna ai partigiani.
Non riuscivo veramente a capire quelle lotte intestine.
Alla fine Mauri mi mandò in cucina a mangiare qualcosa, ma io non riuscivo a deglutire nulla, un po' per lo spavento, un po' per la mandibola ancora dolorante. Raccontai al cuoco ciò che era successo in Alta Val Tanaro, ed egli si schierò dalla mia parte. Mauri mi accompagnò poi in albergo e mi mise due piantoni alla porta perché non scappassi. Il giorno successivo mi accompagnò con l'auto fino al forte di Ceva. Oltre non si poté proseguire perché Ceva era occupata dai tedeschi. Di lì dovetti proseguire da sola; Mauri mi diede i soldi per il treno perché non avevo preso nulla quando ero uscita di corsa da casa.
A Garessio mi aspettavano due partigiani per accompagnarmi dal comando che si trovava ad Ormea. Andammo su con la locomotiva del treno, perché non c'era altro mezzo di trasporto, ed anche dal Partito arrivò l'ordine che non mi esponessi più così.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995 

La notizia che “Turbine” faceva disarmare gli sbandati e che si era approvvigionato di viveri a Viozene si era diffusa e, passando di bocca in bocca, si era naturalmente deformata. Al Comando badogliano fu detto che gruppi badogliani erano stati disarmati da noi, che un deposito di viveri di “Martinengo” era stato saccheggiato. “Martinengo, che già ci riteneva degli intrusi nella zona, inviò un forte nucleo dei suoi contro le squadre di “Gapon” e di “Stalin”: i garibaldini dovevano essere disarmati. La mattina del 10 [luglio 1944] quelli della “Matteotti”, che si erano fermati a Nava tutto il giorno 9, erano seduti sulle panchine dell'albergo, dove in quei giorni avevano mangiato, quando videro un gruppo di badogliani armati che passava davanti a loro, mentre un altro, fermatosi sullo stradone un po' prima, piazzava una mitragliatrice. I garibaldini guardavano meravigliati ed incuriositi la manovra strana. Il gruppo che era passato loro davanti si ferma in fondo alla strada ed apposta anch'esso le sue armi, poi un ufficiale viene verso l'albergo: 'Ho l'ordine del mio comando di disarmarvi, ci risulta che avete tolto le armi a dei nostri uomini. E' inutile che tentiate di resistere, la strada è sbarrata e siete tra due fuochi'. Effettivamente la 28, che passava fra le case, era bloccata. Alle spalle dell'albergo c'era il Tanaro. “Stalin” [Franco Bianchi] sorrise ironico: 'Queste armi non sono vostre ed io ho dal mio comando l'ordine di non cederle. Se la strada è sbarrata entreremo nell'albergo e spareremo dalle finestre'. La mattina del 10 scendevo lungo la 28 da Case di Nava [comune di Pornassio (IM)] verso Ponti quando vidi un badogliano che saliva in bicicletta. Lo chiamai: 'Dani, c'è qualcosa di nuovo che mi sembri arrabbiato?' L'aspetto di Dani mi impensieriva. Il badogliano si fermò, parlò senza scendere: 'Ci hanno mandato a Ponti a disarmare i vostri. Non abbiamo potuto rifiutare. ma siamo andati con le armi scariche, non vogliamo sparare sulla Stella Rossa. Ora vado al Comando a vedere cosa dobbiamo fare perché i vostri non si vogliono arrendere. Se al Comando insistono pianto tutto e me ne vado. Non sono venuto sui monti per sparare sui compagni. Se vedi i tuoi, di' loro che non sparino, se ci ammazziamo tra di noi è finita. Di' ai tuoi che i miei compagni hanno le armi scariche'. Il buon senso degli uomini evitò il peggio. I garibaldini non vollero sparare per primi, gli altri non potevano farlo. Da Viozene venne giù “Turbine” e “Martinengo” arrivò in moto; intervennero altri comandi, si discusse a lungo mentre gli uomini delle due formazioni si univano ed i badogliani mostravano i caricatori vuoti. Cosa si dissero i comandanti? Non lo sapemmo. Come conclusione la “Matteotti” rientrò in serata a Viozene con l'ordine di partire appena possibile per San Bernardo di Garessio.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

Il secondo caso è più eclatante: quando nei primi giorni di agosto 1944 Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento” attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri” [101].
Con quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto [102], abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i comunisti e poi Mauri”.
Probabilmente, da comandante abile e astuto quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante la sua breve assenza, non poté non influire sulla sua decisione di continuare la lotta nel movimento di Liberazione.
[NOTE]
[101] BAB, R 70 Italien/3, p. 2a s. Il testo originale è: "Bandenführer Mauri festgenommen bei SD Cuneo. Wiesner z.Zt. in Cuneo [...] betr. Verhandlungen [...] Mauri zurück. Regelung: keine Angriffe auf Wm. Hinweise auf Kommunengruppen [sic]. Bekämpfung u. Nachsicherung von K[ommunistische]P[artei]-Räumen; erst K[ommunistische]P[artei], dann Mauri“ (la punteggiatura e le integrazioni sono mie).
[102] Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Bologna, Cappelli, 1988.

Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945 in Aa.Vv., (a cura di) Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010 

Il 12 settembre 1944 “Mauri” ordina alla brigata “Val Tanaro”, della IV divisione Alpina, di recarsi in Val Casotto in virtù degli sviluppi della guerra sul fronte occidentale e delle direttive del CMRP (Comitato Militare Regione Piemonte) del 27.8.44. Il giorno seguente vengono diramate nuove comunicazioni del CLNRP (Comitato di Liberazione Nazionale Regione Piemonte) per l'insurrezione.
[...] nella seconda metà di luglio, “Mauri” crea il Comando del 1° settore cuneese e delle Langhe, che comprende due divisioni alpine: la I, valli di Peveragno, Pesio, Ellero, Miroglio, Corsaglia; la II, Casotto, Mongia, Tanaro; e una divisione Langhe. Sotto questo comando non risultano esserci formazioni di partito, che vengono quindi escluse da questa zona, a meno che formazioni politiche che intendano operare in queste zone non si sottopongano come le altre al Comando del 1° settore. Il comando dichiara la sua esclusiva dipendenza dal CLN, e si specifica il carattere militare delle divisioni Alpine che fanno capo al Comando. All'interno di questo comando di settore, “Mauri” crea un ulteriore organismo, il comando del 1° GDA, composto inizialmente da circa tredici distaccamenti.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di sole (con noi c'era anche Rustida [Costante Brando] che coi suoi ci aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo.
[...] Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi].
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose.
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il Comitato Liberazione Nazionale di Garessio (CN) e quello di Ormea (CN) avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo Badogliani, come loro ci chiama­vano Stelle Rosse).
Tradotto in pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la formazione di una Brigata garibaldina.
E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [n.d.r.: in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [in provincia di Imperia].
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 , p. 166

1 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 173/CL, all'Ispettorato della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "Il capitano Umberto [n.d.r.: Candido  Benassi, già comandante di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, operante tra Baiardo (IM) e Ceriana (IM), che, prima di venire sciolta intorno al 20 settembre 1944, aveva sporadicamente collaborato con i garibaldini e aveva anche momentaneamente incorporato Italo Calvino] starebbe costituendo un distaccamento da spostare in Piemonte per poterlo unire ai badogliani, ai quali comunicherebbe altresì l'esigenza di eliminare le formazioni garibaldine".
10 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" all'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria] - Comunicazione circa la presunta cattura del comandante Mauri [n.d.r.: probabile riferimento, fatto, dati i tempi, in netto ritardo, all'arresto di Mauri da parte dei tedeschi avvenuto ai primi dell'agosto precedente nelle Langhe; sul ritorno in libertà del comandante badogliano esistono due versioni: fuga rocambolesca (memorie di Mauri stesso, riprese anche con questo articolo pochi mesi or sono da Patria Indipendente, rivista dell'ANPI) e trattativa con i teutonici con conseguente rilascio (come in Carlo Gentile, non solo in I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi, 2015, ma anche in vedere infra] "... giurata da Mauri una lotta feroce contro fascisti e garibaldini...
15 gennaio 1945 - Dalla II^ Divisione, Sezione S.I.M., al comando della II^ Divisione - Relazione generale, da cui si evince: che il comando tedesco aveva dato ordine agli industriali di vendere loro i macchinari o di renderli inservibili; che Mauri sarebbe stato rilasciato dai tedeschi e si era ripromesso una lotta feroce contro fascisti e garibaldini; che il generale della Divisione tedesca operante in zona era stato nominato Gauleiter di Ormea (CN), Ceva (CN), Mondovì (CN) e Cuneo; che erano transitati molti uomini dei Cacciatori degli Appennini [della Repubblica Sociale] in direzione di Albenga (SV) [...]
27 febbraio 1945 - Da Mimosa [Emilio Mascia di Sanremo, quadro della V^ Brigata S.A.P. "Giacomo Matteotti" della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvisava che ad Alassio era stato visto il capitano Umberto [Candido Benassi], il quale aveva incitato loro uomini ad aggregarsi al Battaglione "San Remo" da lui formato per andare in Piemonte.
18 marzo 1945 - Dal comando della III^ Divisione "Alpi" a "Curto", comandante della I^ Zona Operativa Liguria - Scriveva che "in risposta alla richiesta di chiarimenti sull'uccisione dei due ex garibaldini "Lino Bruno" e "Gianni" si comunica che essi furono giustiziati su indicazione del tenente "Aldo" della I^ Zona prima che questi morisse eroicamente. "Aldo" aveva comunicato a questo comando che i due soggetti agivano in traffici illeciti ai danni dell'organizzazione partigiana: in dicembre, infatti, nel culmine del grande rastrellamento venivano sorpresi a gestire i loro traffici. Nel caso in cui sarà necessario fornire ulteriori informazioni queste verrano date dalla polizia giudiziaria divisionale. Per rafforzare la linea di reciproca collaborazione, che già da tempo  esiste, si auspica di avere nuovi fruttuosi contatti".
31 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalazione circa "... atteggiamento ostile da parte delle Brigate Mauri nei confronti delle squadre della Divisione mandate ad operare in Val Tanaro... inviata una lettera a Mauri con cui si ricordava la comune causa di tutti i patrioti...".
16 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Comunicava che ... 'in Val Tanaro i bandi di reclutamento di "Mauri" rimanevano inascoltati'.
18 aprile 1945 - Dal  comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Ordine di inviare una squadra presso Martinengo [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'], con cui erano già stati presi accordi, per ritirare 250.000 colpi per mitragliatori St. Etienne.
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

CARLI, CARLO, 20.05.1918 Imperia.
Aosta 3° corso, 1° dicembre 1941, alla Testafochi con il cap. Rasero ed il ten. Scagno (di essi serbo un ricordo meraviglioso!). Campo invernale ad Oropa. Sergente a Merano, Maja Bassa, con il col Martinoja ed il ten. Formato (poi caduto in Russia). Campo a Solda, rientro a Merano, quindi a Bassano. A fine giugno, per me fine del corso: appendicite, operato ad  Alessandria, un mese di convalescenza ed eccomi al 3° Alpini a Pinerolo dove rimasi all’addestramento reclute fino al drammatico 8 settembre 1943.
- Armistizio! Il Maresciallo Badoglio l’ha chiesto, il generale Eisenhower lo ha concesso: ma noi? Che siamo adesso noi, lasciati senza ordini? Che cosa siamo per i tedeschi ed i fascisti, che di ordini precisi sono ben forniti?
A queste domandine non proprio leggere risposi prendendo il treno delle 4.40 per Torino Lingotto - Ceva - Ormea e così, proseguendo sempre per vie secondarie a piedi e in bicicletta, arrivai a casa il 10.
Contattai un amico, che sapevo antifascista e Guardiamarina alla Capitaneria di Porto ad Imperia. Risposta: - Qui non è rimasto nessuno, ma le armi sì.
Lo raggiunsi con un furgoncino Balilla, presi moschetti, pistole, una mitragliatrice Breda con relative munizioni e portai il tutto in casa di amici in un paesetto della vallata. Questa fu la seconda risposta alle domandine di cui sopra.
Il 18 settembre uscì il bando di presentazione.
Carlo Verda (poi “Lucio”), sottotenente appena uscito da Bassano, altri due amici nelle mie condizioni ed io, zaini pieni di generi alimentari, prendemmo la via dei monti e ci sistemammo in un casolare. Ben presto la zona si riempì di “renitenti”, subito pressati da comunisti che li volevano “arruolare”. Io raggiunsi gli amici presso i quali avevo nascosto le armi e organizzammo un paio di bande (questo era il termine) di 25 uomini ciascuna raccogliendo i giovani che non intendevano unirsi ai Garibaldini.
A marzo [1944], constatando che la convivenza con le formazioni comuniste era difficile, cercai contatti con formazioni del basso Piemonte e là mi trasferii, alla V Div. Alpina, Brg Val Tanaro; era comandata dal “capitano Martinengo” (al secolo Eraldo Hanau) che dipendeva dal maggiore Enrico Martini “Mauri”, comandante di tutte le formazioni che operavano nelle Langhe.
Ebbi il comando di una “squadra” di 40 uomini. La valle che solitamente occupavamo era l’alta Val Tanaro, ma a volte, per sfuggire ai rastrellamenti, passavamo nelle contigue Val Casotto o Val d’Inferno. Il comando tedesco era al Grand Hotel Miramonti di Garessio, quindi le nostre azioni di disturbo e contrasto avvenivano sulla S.S. 28, che collega la provincia di Imperia con quella di Cuneo.
Un giorno mi venne consegnato un foglio:
ESERCITO ITALIANO NAZIONALE DI LIBERAZIONE
V Divisione alpina
XXX, 24.11.1944
Siamo autorizzati dalle competenti autorità militari a venire incontro alle richieste a suo tempo avanzate dai rappresentanti della provincia di Imperia.
Pertanto deleghiamo il Sig. Carli Carlo a concludere in forma definitiva, e quali saranno nella veste del C.L.N. gli esponenti delle masse rappresentate.
In forza di tale autorizzazione riconosciuta verranno appoggiati dalle Forze Armate dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Il Comandante della V Div. Alpina
Cap.. Martinengo
Il Rappresentante Militare
dell’Esercito It.Naz. di Liberazione
Dott. Sismondi

Lessi e rilessi. La località XXX era Viozene in Val Tanaro; il Dott. Sismondi era l’Ammiraglio Marenco di Moriondo, e fin qui ci arrivavo, ma il resto non brillava per chiarezza. Il cap. Martinengo mi spiegò che i tempi erano quelli, che la prudenza non era mai troppa e che, in sostanza, dovevo prendere contatti con il C.L.N. di Imperia al fine di costituire la Brigata Liguria dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Tale costituzione non avvenne: tutti i giovani erano “occupati”, o con i partigiani, o con i fascisti, o con la Todt, oppure “occupavano” qualche compiacente cantina. Sì, i tempi erano quelli.
A metà gennaio tornai al mio reparto, che un rastrellamento aveva fatto spostare in Val Casotto. Il 25 aprile, ultimo scontro con fascisti e tedeschi a Garessio, poi la Liberazione.
Partigiano Combattente. Croce al Merito di Guerra. Laureato in scienze economiche e commerciali, ora sono Presidente della Fratelli Carli, con sede ad Oneglia. Cominciai la ricostruzione dello stabilimento, distrutto dalla guerra, con i soli mezzi di famiglia, nel 1945, terminando nel 1950. L’azienda, fondata da mio padre nel 1911, era rimasta inattiva per otto anni ed io subito riavviai la produzione industriale puntando sull’alta qualità del prodotto e sulla vendita per corrispondenza. Ora, lasciatemelo dire, serviamo a domicilio con mezzi nostri settecentomila clienti. Dal 2002 l’azienda ha un prestigioso “Museo dell’Olivo”, ricco di storia e di preziosi cimeli archeologici, visitatissimo.
Sono Membro dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, Cavaliere del Lavoro e Ragazzo di Aosta ’41, tessera n° 397. [...]
Redazione, A -Z, Ragazzi di Aosta ’41 

martedì 9 maggio 2023

Sono ore che cammino in zona ribelle e non un partigiano, non un volto conosciuto

Dintorni di Ubaga, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM): Foto: gabrycaparezza su Gulliver

Nel pomeriggio del 4 marzo [1945] il Comando divisione [Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] da Poggiobottaro invia a Gazzo una lettera a Ramon [Raymond Rosso], il Capo di Stato Maggiore. La via normale delle staffette di Ginestro non è seguita: il messaggio è urgente e segreto. La lettera la porto io che, venendo dalla valle di Cervo, mi ero fermato a pranzare a Poggiobottaro.
Lasciato il Comando mi inerpico fino alla cresta dove so di trovare un sentiero di boscaioli che, attraverso rovi e castani, scende in Val Lerrone. Tra le bande della I Brigata in Val d'Andora e quelle delle altre brigate in Val d'Arroscia c'è da tempo la terra di nessuno: i tedeschi battono in Val Lerrone e da Cesio o Garlenda possono per Casanova e Degna spingersi fino a Poggiobottaro senza che un colpo di fucile dia l'allarme. Questo mi è noto e, per quanto posso, evito carrozzabili e mulattiere seguendo dei sentieri che spero siano ignorati dal nemico. Raggiunta la cresta vedo durante la discesa davanti a me la carrozzabile Casanova-Vellego che spicca sull'altro versante tra gli ulivi. E' deserta perché anche i contadini evitano di servirsene da quando è battuta dalla pattuglia tedesca in bicicletta. Era passata la prima volta il 22 febbraio rapida ed improvvisa e da allora la minaccia si è mantenuta costante.
Raggiunto il fondovalle perdo il controllo della carrozzabile, prendo una mulattiera che sale ripida tra gli ulivi e mi conduce fino a Degna. In paese raggiungo la carrozzabile, la seguo per un tratto tenendomi al margine, pronto a gettarmi tra gli alberi, poi trovo un ripido sentiero e salgo verso la cresta. Ora devo procedere per istinto perché di solito i partigiani, ed anch'io, seguivamo la mulattiera ad oriente di Degna. Oggi invece debbo cambiare strada se voglio arrivare a Gazzo prima di notte. Il sentiero sfiora il Santuario della Madonna di Degna. E' domenica ed una campana chiama i fedeli a raccolta. Tra gli alberi sento le voci dei giovani sulla piazzetta davanti alla chiesa. E' qui che in settembre avvenne lo scontro con i San Marco che costò la vita di sette dei nostri. Do un'occhiata al famoso santuario? E' il pensiero di un istante, poi ricordo che non devo né indugiare, né farmi notare. Ancora su, più lento, col fiato più corto. Il sentiero si perde, ma gli alberi sono radi ed il resto è a prato, posso camminare egualmente. Raggiungo la nuova cresta: di là è la Val d'Arroscia, provo un senso di calore, di conforto: è zona partigiana. Decido di passare tra Ubaga ed Ubaghetta; non so se vi sia sentiero, ma è la via più breve. Devo raggiungere la strada Ubaga-Borghetto. Scendo a caso tra i castani per dieci, venti minuti, poi cominciano i rovi. Ecco un pastore, gli chiedo se vi sia il sentiero che mi aveva promesso la carta topografica: «No, il sentiero non c'è più. Una volta c'era ma è tanto che non ci passa più nessuno, ora è invaso dai rovi. Bisogna scendere fino ad Ubaghetta». L'uomo mi indica la direzione col bastone, dà ancora qualche consiglio, lo ringrazio e poi giù verso il paese.
Il sentiero invaso dai rovi... quanti sono in Liguria i sentieri, le mulattiere segnati sulle carte che abbiamo trovato ormai impraticabili? Quanti i ruderi di cascine, di frantoi, di case nei paesi crollati ormai per l'abbandono e lo spopolamento? «La strada da Ubaghetta a Degna l'avete resa praticabile voi passandoci con i muli». Ci dicevano i contadini ed infatti molti sentieri e mulattiere erano battuti solo dai partigiani.
Con qualche fatica raggiungo Ubaghetta, e avessi saputo prima che dovevo passarvi avrei fatto più presto a tenere la strada consueta. Ci dovrebbero essere tre dell'intendenza, ma rinuncio a cercarli: so che in tutto il paese nessuno li avrà visti, nessuno ne saprà niente perché i contadini non si fidano più né di partigiani né di borghesi temendo in ogni volto non conosciuto un nemico.
Ecco dov'era l'intendenza: tre muri anneriti ed un cumulo di cenere. Fortuna che i sacchi di riso e di pasta erano al sicuro presso famiglie amiche. Ecco la casa dove si erano appostati i Cacciatori degli Appennini per tendere l'agguato a Pantera che scendeva verso il paese coi fuggiaschi del Garbagnati dopo lo scontro di Ginestro. Ecco il cimitero dove è seppellito Miscioscia, caduto a poca distanza nell'ultimo rastrellamento.
«Quando la guerra sarà finita metterò su una sartoria». Mi aveva detto una sera ad Ubaga quando venivamo dal Piemonte. «Conosco il mestiere discretamente, potrò prendere dei lavoranti. Se uno ci sa fare può guadagnar bene e far conoscenze nei migliori ambienti».
Aveva avuto i piedi congelati nella guerra di Grecia, ciò nonostante era venuto con noi. Era di carattere buono e disciplinato e tutti gli volevamo bene. Di lui mi rimangono un paio di copriguanti per neve ed un passamontagna che mi aveva fatto a Fontane.
Pensai a lui, a Redeval [Germano Cardoletti, Redaval], ferito e fucilato a Borghetto, a Tom ed a Boriello trascinati chissà dove. Saranno ancora vivi?
Da Ubaghetta scendo in fondo ad un vallone, risalgo oltre un torrente e l'opposto versante. Per orti ed ulivi raggiungo Ubaga. Un sentiero da Ubaghetta mi avrebbe potuto condurre direttamente a Merlo sulla carrozzabile tra Ranzo e Borghetto, ma ho preferito allungare il percorso piuttosto che camminare per quel tratto di stradone che, con rocce a picco sui due lati, è particolarmente pericoloso.
Ubaga: qui in agosto era la banda di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione Bonfante] quando noi con la Matteotti eravamo a Montecalvo. Quanto siamo cambiati da allora.
Ubaga è libera: un gruppo di giovani sulla piazza del paese guarda il partigiano che passa. Cosa penseranno? Li guardo negli occhi ma non intuisco niente.
Ecco la carrozzabile che abbiamo fatto in novembre col Comando: fino a Borghetto è sempre discesa. Uno snello ponte di pietra mi porta al di là dell'Arroscia sullo stradone presso Borghetto. In pochi minuti sono sulla carrozzabile che mi porterà a Gazzo, la mia mèta. Ma come troverò Ramon? Sono ore che cammino in zona ribelle e non un partigiano, non un volto conosciuto. Ecco finalmente due dell'intendenza: Germano e Terribile. Una sosta di qualche minuto e poi li convinco a salire con me: la strada sarà più lieve in compagnia. I due intendenti hanno enormi pistole a tamburo: la Glisenti dei carabinieri. «Per questa è morto Tito in dicembre», mi dice Germano. Infatti, un partigiano di nome Tito era stato arrestato da noi sotto accusa di tradimento e, prima del processo, era stato ucciso da Germano mentre cercava di fuggire.
«Peccato che invece Carletto e Bol!».
«Già... di Bol non ne sappiamo più niente... Carletto invece è ad Albenga... Abbiamo incaricato quei del S.I.M. e le S.A.P. di fargli la pelle, ma sarà difficile».
Carletto verrà ucciso più tardi dal comandante della Brigata Nera di Albenga al quale aveva insidiato la fidanzata, tale almeno sarà la versione sulla sua fine che si diffonderà fra noi». (*)
«Ed ora dove dormite?». Era la domanda tradizionale che rivolgevamo ai compagni al tramonto del sole sperando di avere ospitalità od indicazione di un rifugio sicuro.
«Così... Ci si arrangia... In un fienile fin verso le tre, poi svegli. Di giorno poi pisoliano qua e là dove ci capita, in due od in tre mentre uno monta la guardia... Siculo invece sta per conto suo e dorme in un albero vuoto. Vi rimase quasi tutto il tempo del rastrellamento. Si cala da un buco tra i rami, dice che ha imparato a dormire in piedi». Poi racconti di rastrellamenti e puntate narrati così, alla buona, cercando in tutto il lato allegro.
«Sì, in dicembre eravamo rimasti a Fontane con l'Intendenza... Il rastrellamento? Ho assistito solo alla prima parte e ne ho avuto abbastanza... Come ne siamo usciti? Fortuna... Camminando e dormendo nella neve senza mangiare. E' il colmo per un intendente che maneggia quintali di viveri aver fame! Eppur mi è capitato! E che letto soffice la neve fresca! Quando hai camminato e sei caldo non senti il freddo e puoi dormire perfino mezz'ora. Poi salti per tre quarti d'ora e quando sei di nuovo ben caldo fai un altro riposino... Ramon? E' a Gazzo, ma nessuno sa di preciso dove. Quando i tedeschi hanno preso il russo dell'intendenza si sono fatti condurre in paese ed hanno rovistato tutto senza trovarlo. Pareva un buon ragazzo il russo ed invece ci ha tradito. Credo che lo abbiano costretto. Assieme a lui hanno preso Alpino, dicono che lo abbiano fucilato... Sì, è successo l'altro giorno ad Alto... Quanti erano? Nessuno è stato a contarli. Certo erano parecchie centinaia e venivano da tutte le parti».
Arriviamo a Gazzo. E' ormai buio, gli intendenti mi portano dalla maestra: « E' in contatto con Ramon... E' l'unico mezzo di avvisarlo che sei qui».
Alttendono un po' con me, poi se ne vanno. La maestra era già uscita, appena aveva saputo chi cercavo. Rimango solo nella piccola cucina accanto alla stufa a guardar la fiamma, unico punto luminoso nella penombra.
La porta si apre, mi volto di scatto: è Ramon. «Tieni, c'è una lettera del Comando».
Ramon apre la busta, legge rapidamente. Lo guardo attentamente: il suo volto non rivela nessuna emozione. Chissà cosa c'è scritto in questa lettera così importante! Non è da lui che lo saprò. Avevo sempre ammirato il Capo di Stato Maggiore della Bonfante, Rossi Raymond, alias Ramon, cittadino svizzero. Il partigiano inafferrabile, la cui vita era misteriosa, il cui rifugio era ignoto ad amici e nemici. Cercato dai tedeschi, sfuggito al tradimento di Carletto e del russo, unico capobanda apolitico della Bonfante, riusciva a vivere autonomo e libero da ogni legge, avvertito di ogni mossa del nemico da informatori personali. Troppo forte ed abile per essere umiliato, pur privato della banda che aveva creato e potenziato, come Capo di Stato Maggiore faceva sentire l'influenza delle sue idee e dei suoi metodi sulle bande della II e della III Brigata.
ln ogni paese, in ogni vallata i simboli del passato regime e le lapidi a ricordo delle sanzioni erano scomparsi sotto la furia antifascista di Ramon. I ponti in tutta la Val d'Arroscia erano stati del pari distrutti per opera sua che poi, con tenacia costante, aveva frustrato ogni tentativo nemico di riattare la strada. Ecco Ramon: un completo grigio con giacca e calzoni, un panciotto di lana bianca grezza, un cappello da città. E' difficile ricordare in lui il capo della banda dell'Alluminio che, in giacca di telo da tenda e pantaloni tedeschi, interrogava a Piaggia i prigionieri tedeschi dopo aver fatto saltare il ponte di Borghetto alle spalle del nemico impegnato a Vessalico.
Pure questo distinto signore è ancora il terrore della Val d'Arroscia e di Albenga; alla sua scuola si sono formati Cimitero, Meazza e molti dei migliori uomini della Bonfante. Dalla primavera scorsa molti partigiani di Martinengo che, dopo l'incorporazione tra i partigiani di parte del presidio fascista dei Forti di Nava, non vollero vivere a fianco di simili compagni, erano passati con Ramon che, senza avere i rossi ideali del Cion [Silvio Bonfante], attaccava i tedeschi con fortuna ed audacia.
Ramon ha letto: «Hai cenato?» mi chiede. «No». «Allora vieni». Se spero di conoscere qualcosa della vita di Ramon sono presto deluso. Vengo condotto alla trattoria, quella stessa dove sostai col Comando al ritorno dal Piemonte.
«Segnate sul mio conto il pranzo di questo partigiano». Subito dopo mi conduce in una strada, scosta lo strame di fondo, apre una botola: «Qui potrai dormire questa notte... La famiglia di fronte ti darà una coperta». Ramon mi saluta e scompare, io torno in trattoria a cenare: uova e patate fritte.
La lettera che avevo portato quella sera conteneva a grandi linee i piani dell'operazione L. 1 che veniva affidata in gran parte a Ramon. Il primo lancio alleato di rifornimenti per la Divisione Bonfante veniva denominato L. 1. Sarebbe avvenuto in Val Pennavaira, nella zona di Caprauna prescelta per la scarsità dei paesi che avrebbe aiutato la segretezza, per i roccioni e la mancanza di carrozzabile che avrebbe agevolato la difesa.
(*) Seppi poi da Ramon che Carletto si sposò nella chiesa del Sacro Cuore in Albenga. Qualche tempo dopo andò col capo delle Brigate Nere di Albenga (Luciano Luberti) a casa del suocero per ucciderlo. Sulla via del ritorno tra Coasco ed Albenga, Luberti uccise Carletto e lo gettò giù dalla strada.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 182-186

 

4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 161, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comando di Divisione era in attesa di conoscere la data dell'aviolancio alleato nella zona di cui aveva già inviato una cartina topografica.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 162, al capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione - Comunicava che dal giorno 10 Radio Londra avrebbe in ogni momento potuto trasmettere il messaggio "la pioggia bagna", segnale di effettuazione del [primo] lancio di materiale da parte degli alleati; che si prescriveva l'ascolto dei messaggi di Radio Londra in italiano; che i fuochi di riconoscimento per l'effettuazione degli aviolanci dovevano "essere disposti a forma di 'T' rivolta contro vento"; che non si dovevano fare segnalazioni se il vento avesse superato le 20 miglia orarie; che occorreva disporre i fuochi in buche profonde 2 metri per impedirne l'avvistamento da parte del nemico; che i paracadute per la prevista operazione sarebbero stati 5, fatti cadere alla distanza di 60 metri uno dall'altro; che bisognava comunicare se nella zona si trovavano ostacoli naturali.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 170, al capo di Stato Maggiore della Divisione - Comunicava che la I^ e la III^ Brigata passavano sotto il controllo del comando di Divisione e la II^ alle dipendenze del capo di Stato Maggiore; che "Fra Diavolo" doveva continuare, anche se in disaccordo con "Martinengo", la sua opera in Val Tanaro; che la zona in cui operava la II^ Divisione era in quel periodo soggetta a molti rastrellamenti.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 171, al comando del Distaccamento "Mario Longhi" - Il comandante "Fra Diavolo" veniva invitato a continuare nelle sue azioni in Val Tanaro, ad appoggiarsi alla II^ Brigata "Nino Berio" e a "Ramon", ad inviare relazioni sul lavoro svolto e sulle difficoltà incontrate.
5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 174, al commissario "Osvaldo" [Osvaldo Contestabile] - Gli si comunicava che non era ancora giunto il momento del suo rientro dalla malattia e lo si informava dell'attesa di un aviolancio alleato "che si spera cambi la sorte dei garibaldini".
5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per St. Etienne, nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.
5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio" ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine", fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 20 aprile 2023

Il partigiano Beretta morì il 14 gennaio 1945, a San Bernardo di Badalucco

Badalucco (IM): Chiesa di San Bernardo da Mentone e Chiaravalle. Fonte: Catalogo Generale dei Beni Culturali

Sarti Oriano, da Otello e Maria Cremesani; n. il 14/ 4/1923 a Bologna; ivi residente nel 1943. Abilitazione magistrale. Insegnante elementare. Richiamato alle armi dalla RSI, non si presentò. Arrestato nel marzo 1944, si arruolò nellʼarma del genio della RSI per evitare la condanna per renitenza alla leva. Trasferito a Taggia (IM), nel giugno 1944 disertò, militò nel 3° btg della 5a brg Nuvoloni della 2ª divisione Cascione Garibaldi e operò in provincia di Imperia. Il 5/1/45 fu catturato dai tedeschi con altri partigiani. Dopo lunga detenzione nelle carceri di Taggia, Alassio (SV), Mantova e S. Michele Extra (VR), fu deportato in Germania. Riconosciuto partigiano dal 15/6/44 al 30/4/45.
(a cura di) Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese (1919-1945), Vol. V, Dizionario biografico R - Z, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini", Istituto per la Storia di Bologna, Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, 1985-2003  

Un piccolo gruppo al comando di Marco Bianchi (Beretta), comandante del IX° distaccamento della IV^ brigata della II^ Divisione "Felice Cascione", era posizionato lungo la strada che da Badalucco, costeggiando la Madonna della Neve, porta a Ciabaudo in Valle Oxentina. Dopo aver trascorso la notte con l'incarico di proteggere il resto del distaccamento posizionato qualche chilometro più a monte, alle prime luci dell’alba il piccolo gruppo si preparava a ritornare alla base. All’improvviso venivano assaliti da un gruppo della GNR in perlustrazione. Subito l’aria veniva solcata da numerose raffiche sparate da ambedue le parti. Marco Bianchi rimaneva gravemente ferito all’addome. Il suo compagno Enzo Magro se lo caricava sulle spalle e con i suoi compagni riusciva a disimpegnarsi. Bianchi morì circa una settimana dopo, il 14 gennaio 1945, a San Bernardo di Badalucco.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
3 gennaio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 46, ai Battaglioni dipendenti: Trasmissione dell'ordine di sorvegliare attentamente la zona di appartenenza. Ricordati i doveri del capopattuglia. Consiglio di continuare l'addestramento all'uso delle armi ed alla guerriglia. Raccomandazione di fornire precise informazioni militari sulle formazioni nemiche.
5 gennaio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Si rendeva noto l'arrivo a Taggia (IM) di bersaglieri che dovevano effettuare rastrellamenti a Sanremo, Ceriana e Valle Argentina. Continuavano i lavori difensivi del nemico sul litorale e lungo la Valle Argentina.
6 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni"
della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 253, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" e p.c. al comando della V^ Brigata - Informazioni militari: "Oggi forze nazifasciste hanno effettuato un rastrellamento a Badalucco. Si calcola siano stati impiegati per detto rastrellamento più di Cinquecento uomini, i quali hanno occupato il paese con manovra avvolgente, provenienti da Molini di Triora, Diano Marina ed Imperia valicando Passo Veina, S. Remo, Ceriana seguendo la via del Passo S. Bernardo.
I nazifascisti hanno bruciato quasi tutte le case di campagna che hanno incontrato sul loro cammino. Le forze provenienti da Molini, arrivate al ponte rotto di Montalto che era ancora notte, cercarono della casa di Fedè (Recapito della Divisione). Verso le ore 9.30 i nazifascisti sono entrati in Badalucco dove sono andati di casa in casa cercando munizioni. È stata bruciata una casa dove è stato trovato un moschetto, un'altra  dove è stata trovata della munizione ed è stata fatta saltare... Tre individui borghesi sorpresi per la via sono stati vilmente trucidati. Alle ore 15 pomeridiane i primi reparti di nazifascisti hanno lasciato Badalucco diretti verso Taggia. In questo primo gruppo ho contato 160 uomini. 4 gruppi di 25 o 30 uomini, i rimasti, lasciavano il paese, diretti, parte verso Taggia, parte verso Carpasio e parte verso Molini di Triora. Questi ultimi sono stati attaccati da squadre di Garibaldini della V Brigata. Durante tale attacco i repubblichini perdevano un mortaio da 81 mm. Alle ore 16.30 una pattuglia composta di 7 uomini, gli ultimi rimasti, lasciava Badalucco e si congiungeva con un gruppo di 50 uomini che attendevano subito fuori il paese.
Al detto dei fascisti che hanno preso parte all'azione, dovevano circondare Badalucco sino dalle 5 del mattino. Tutto ciò è fallito perché al passo di Veina hanno smarrito la strada.
Si è notato che la forza adoperata per questo rastrellamento era composta in massima parte da fascisti e repubblichini, quasi tutti liguri e dei paesi a noi vicini. Pochi erano i tedeschi. Il responsabile S.I.M. di BRIGATA (Brunero)
[Franco Bianchi]"
7 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] di Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Si avvertiva di un prossimo rastrellamento ad opera della compagnia O.P. del capitano Ferrari di concerto con tedeschi di stanza a Taggia (IM) o nella Val Tanaro. "I 100 uomini della O.P. [della GNR, Guardia Nazionale Repubblicana della RSI] hanno morale alto e sono forniti di armamento automatico. Ad un milite è stato chiesto il motivo per cui osavano avventurarsi in così  pochi in zone infide: la risposta è stata che potevano per l'appunto contare sul supporto di forze tedesche".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 

domenica 19 marzo 2023

Pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti

Cesio (IM). Fonte: mapio.net

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri, il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998  

Bisognerà muoversi, tenere moralmente i distaccamenti in efficienza bellica e, oltretutto, vendicare nel modo più efficace i compagni caduti nell'imboscata di Pieve di Teco.
Il 2 ottobre 1944, presa la decisione di attaccare il presidio nemico di Cesio composto da circa quaranta uomini, brigate nere del battaglione «Muti», uccisori dei compagni di Nino Berio, viene studiato nei minimi particolari il piano di annientamento (per spazzare quel triste covo), partendo dalla considerazione che il presidio in avamposto, molto isolato, distava all'incirca sette chilometri da quello più vicino di Chiusavecchia.
Appostata una squadra a sud di Cesio sulla statale 28 per bloccare eventuali rinforzi nemici proveniente da Chiusavecchia, altre squadre avrebbero portato un attacco concentrico al paese, supponendo che in esso e alla periferia fossero dislocate le postazioni nemiche. A forze pari il fattore sorpresa avrebbe dovuto giocare a favore dei partigiani, scelti tra i più coraggiosi della brigata.
Lasciata Piaggia alle ore 8, trentasei garibaldini del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» e una squadra del battaglione «Nino Berio» unitamente al vice comandante di divisione «Cion» [Silvio Bonfante], al vice comandante di brigata «Mancen» [Massimo Gismondi] ed al commissario «Mario» [Carlo De Lucis], giungono a Pieve di Teco nella mattinata del 3 ove procedono ad una retata di spie e pernottano nel paese.
Però la spia annidata nel Comando partigiano riesce ad informare del prossimo attacco i fascisti di Cesio che nel corso della notte raddoppiano gli effettivi. Conosciuto il fatto e la fallita sorpresa, «Cion» decide di attaccare ugualmente: è nel suo stile.
Prima dell'alba del giorno 4 i garibaldini partono verso Cesio. La marcia di avvicinamento si compie senza ostacoli ma termina con alquanto ritardo sul previsto.
Ormai è già chiaro ad oriente quando i partigiani si accingono, col fiato grosso per la marcia affrettata, ad appostarsi.
Dal colle San Bartolomeo si staccano due squadre: una di cinque uomini con una mitragliatrice pesante va a piazzarsi a sud del paese per stroncare un eventuale invio di rinforzi da Chiusavecchia e per battere contemporaneamente, con più ampio respiro, tutta la zona. L'altro nucleo cala su Cesio bloccandone la periferia. Nel contempo il grosso delle forze, raggiunto il passo omonimo e divisosi in tre squadre, piomba dai tre lati sopra il ponte rotto.
«Cion» urla (altra sua romantica qualità di guerrigliero latino): "Fascisti... siamo i compagni di Nino... siamo venuti a vendicarlo... difendetevi ...fuoco!" <1.
L'azione ha inizio con una mitragliatrice pesante «Breda», tre «Machinen-Gravers», due «Saint-Etienne», tre lanciagranate ed alcune armi automatiche individuali.
Sono le 7,30 precise; all'urlo di «Cion» i fascisti, che stanno facendo colazione e l'alza bandiera, capiscono e riescono a dileguarsi tra gli alberi di ulivo. Il fuoco inizia violentissimo, i garibaldini scendono all'attacco benché la conformazione della vallata impedisca loro di battere con precisione l'accampamento nemico ove regna panico e disorientamento.
In un primo tempo il fuggi fuggi tra i fascisti, che lasciano sul terreno un morto ed un ferito grave (il comandante del presidio ten. Lo Faro), é generale <2.
I loro baraccamenti sono crivellati e sconvolti dalle raffiche dei mitragliatori, dalle bombe a mano e dai colpi ben piazzati dei lancia granate.
Frattanto, raggiunte a fatica le loro vantaggiose posizioni, i «Muti» aprono un fuoco intenso con due mitragliatrici pesanti «Fiat», alcuni mitragliatori, fucili e mortai da 45 mm.
La lotta dura circa due ore; tra gli spari si odono gli ordini e le invettive dei comandanti nemici: "Raggiungi il «Sant-Etienne»". "Non posso, signor tenente, mi tirano addosso", poi le vecchie canzoni di lotta «Fiamma Nera» e «Giovinezza», echeggiano nella vallata tra gli ulivi e le raffiche di mitragliatrice, poi ancora insulti ed invettive: "Tirate meglio... fatevi sotto, fatevi vedere se avete del fegato" <3.                                                                              
Il nemico, convinto di essere circondato da forze preponderanti, resiste con tutta la sua disperazione, consapevole della sorte che l'attenderebbe se venisse sopraffatto.
È una lotta mortale; i garibaldini sparano con cieco furore, il pensiero dominante é vendicare Nino e gli altri compagni.
Però venuta a mancare per le ragioni suddette la sorpresa, il fuoco incrociato delle armi del nemico rende problematico e oltremodo temerario un assalto. Sarebbe follia e morte certa, tanto più che non si conosce con precisione l'esatta ubicazione delle postazioni nemiche. Nonostante ciò qualcuno vorrebbe tentarlo. Però non resta che la determinazione di continuare un violento duello di logoramento col nemico.
In questa fase dello scontro vengono uccisi alcuni brigatisti neri compreso un borghese delatore, alcuni altri rimangono feriti. Nessuna perdita da parte garibaldina <4.
Intanto richiamati dagli spari, giungono rinforzi autocarrati al nemico da Chiusavecchia.
Le squadre partigiane data l'esiguità delle loro forze, ritenendo foriera di perdite la tattica di snidare i «Muti» dalle loro munite e difficili postazioni, risalgono a Cesio ove compiono pulizia di tutto ciò che é segno di collaborazione e aiuto ai fascisti <5.
Viene sequestrato, tra l'altro, il materiale di cucina che serviva per l'alimentazione dei «Muti» (marmitte, pentole, viveri ecc.) e completamente requisita o resa inutilizzabile la dotazione di un albergo che usava ospitare i fascisti e i loro famigliari (materassi, coperte, effetti, ecc.).
I fascisti giunti di rinforzo riescono a tagliare fuori del grosso una squadra del distaccamento «Marco Agnese» comandata da «Trucco» che, però, infiltratasi tra le maglie nemiche, miracolosamente raggiunge i compagni oltre il colle San Bartolomeo.
Il tenente Lo Faro, ferito, ordina ai suoi uomini di andare in paese per prelevare alcuni ostaggi da fucilare; la sentenza non viene eseguita ma sono fatte saltare alcune case e fienili ed é catturato un giovane presunto partigiano. L'azione non ha dato i risultati sperati. Il gruppo, ad eccezione del comandante «Boscia» <6 che con otto garibaldini rimane a Pieve di Teco per ragioni di servizio, nel tardo pomeriggio raggiunge Mendatica ed il giorno 5 perviene a Piaggia, mentre il distaccamento «F. Airaldi» riprende posizione nella casermetta del Tanarello.
Intanto il 5 di ottobre «Simon» [Carlo Farini] aveva avuto un colloquio con Giovanni Parodi (Michele) membro del Triunvirato Insurrezionale per la Liguria delle brigate Garibaldi, e con Baldini (Matteo) segretario della federazione del P.C.I. di Imperia e addetto ai collegamenti con la città, in cui si era discusso sulla formazione delle Giunte Popolari, presenti i candidati Sindaci di quasi tutti i Comuni della valle Impero.
Il 6 di ottobre riuniva in due casoni posti di fronte a Carpasio il Comando della IV brigata e tutti i comandanti e i commissari di distaccamento per discutere le cause che avevano determinato i precedenti sbandamenti garibaldini in seguito ai rastrellamenti nemici ed il ripiegamento in alta montagna (Piaggia) della I brigata.
Nel contempo emanava direttive per una maggiore disciplina ed un più stretto contatto tra i distaccamenti ed il comando e disponeva che la IV brigata rimanesse sulle sue posizioni (funzioni di collegamento tra la costa e l'alta montagna).
Nel pomeriggio il vice commissario della I brigata Osvaldo Contestabile (Osvaldo) era nominato commissario della V brigata ed il garibaldino Beniamino Miliani (Miliano) assumeva l'incarico lasciato libero da «Osvaldo».
Finite le riunioni, «Simon» rientrava al Comando divisione a Piaggia incalzato dalle notizie del rastrellamento tedesco iniziato nella valle Argentina e a Pigna contro la V brigata e del ripiegamento di questa sulle posizioni della I. A causa di questi precipitosi spostamenti a piedi o a dorso di mulo, «Simon» si ammalava di broncopolmonite. Il 12 di ottobre sembrava segnare un inizio di miglioramento, ma era mera illusione.
[NOTE]
1 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).  
3 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).                                            
4 Le perdite inflitte al nemico risultano nella relazione n. 330 di protocollo, del 4.10.1944, inviata dallo Stato Maggiore al Comando divisionale nel pomeriggio stesso della giornata dello scontro.
5 Nelle postazioni «Muti» di Cesio si trovava tutto il marciume della gioventù fascista e filotedesca della riviera, da Oneglia a Ventimiglia. Da lì partivano le rappresaglie contro i civili, le azioni di disturbo ed i rastrellamenti effettuati nelle zone adiacenti.
6 Il comandante Franco Bianchi (Stalin) aveva anche il nome di battaglia «Boscia».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 141-144 

3 ottobre 1944
Questa notte forti contingenti di partigiani, provenienti dai pressi di Acquetico, sono transitati per Pieve di Teco, diretti versi il Colle S. Bartolomeo.
A quanto si vocifera, pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti. Intanto è da ieri che Pieve è bloccata dalla parte di Imperia.
Questa mattina, con una macchina da turismo proveniente da Albenga, sono giunti sei o sette tedeschi per la misurazione dei ponti demoliti.
Sono le 18 e non si sa ancora niente di preciso circa ciò che sia accaduto verso Cesio.
Sono le 5 e si lancia «la grida» che, per ordine del Commissario Prefettizio, il coprifuoco è stabilito dalle ore 8 di stasera alle 5 di domani; il lanciatore proclama: «Le pattuglie spareranno su tutti quelli che dopo le ore 8 si troveranno fuori di casa».
Queste pattuglie sono formate da patrioti e tale grida l'hanno fatta lanciare per loro maggiore sicurezza.
Questi partigiani a Cesio hanno combattuto dall'albafino alle ore 10.
- All'una erano già a Pieve.
4 ottobre 1944
Si dice che nel combattimento svoltosi ieri a Cesio i repubblichini abbiano avuto perdite assai gravi e che in parte sono state danneggiate dal fuoco parecchie case - Però sono sempre notizie incerte. Mentre scrivo parecchi di questi partigiani vanno in cerca di uomini per farli andare alla Paperera al di là del ponte rotto ove, trovandosi un camion con un carico di viveri, vorrebbero farlo trasbordare per Pieve.
E tutto per non lasciarlo proseguire per Vessalico ove sono una quarantina di tedeschi al lavoro per la ricostruzione di quel ponte.
Questa notte io e mia moglie abbiamo pernottato nel Barcheto nella villa.
Questa decisione fu consigliata dallo strano caso delle cose incombenti e per assicurare tranquillità a mia moglie che vive sempre sotto l'incubo della drammatica notte del mio arresto.
5 ottobre 1944
L'azione a Cesio ha effettivamente dato luogo a rappresaglie da parte tedesca.
Si dice che in Vessalico siano giunti altri tedeschi di rinforzo per affrettare la riparazione del ponte.
6 ottobre 1944
Giornata d'acqua a dirotto - L'Arroscia è in piena e tutti si augurano che cresca maggiormente onde ostacolare ai tedeschi le riparazioni ai ponti - Si nota fin da stamattina un'insolita attività di patrioti: ve ne è una vera invasione.
L'acqua ha diminuito di intensità, ma piove sempre.
Manca totalmente la farina - Oggi si è ancora distribuito un etto e mezzo di pane procapite, ma si dice che domani non sarà più possibile alcuna distribuzione.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 123,124