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mercoledì 23 luglio 2025

Una cartoleria centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani di Imperia

Imperia: Via Ospedale ad Oneglia

Dall'Archivio Storico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (IsrecIm) affiorano storie straordinarie di fatti e di persone che costituiscono la Storia di questo angolo di Paese, il Ponente ligure, in un periodo particolare e determinante quale la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza, che è stato raccontato in alcune opere fondamentali tra cui la Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria).
E molte altre ne possiamo annoverare, di valenti studiosi e studiose locali, opere che hanno costituito le fonti di questo lavoro, insieme alla raccolta di testimonianze dirette.
Questo è un libro di passione, non pretende di essere esaustivo, ma è un percorso dentro la memoria locale per riprendere il filo di ideali, sentimenti, esperienze e aspettative che interessano ancora, per «orientarsi nella modernità confusa e smarrita», come dice Lidia Menapace.
Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke LoiaconoProtagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligureIsrecIm - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025,  p. 7

Come già detto, accanto all'organizzazione Gruppi di Difesa della Donna, abbiamo un'infinità di donne che hanno sopportato una serie ben lunga di sacrifici.
Non erano forse donne della Resistenza tutte le madri, le spose e le sorelle dei patrioti? Non erano esse stesse partecipi dei rischi e dei tormenti dei loro cari? Quante preghiere venivano pronunciate nelle case o nelle chiese per la salvezza dei propri congiunti!
Nei casoni e nei fienili, impropriamente chiamati ospedaletti da campo partigiani, in ogni ora del giorno e della notte le donne erano pronte ad accogliere feriti e malati per curarli, sfamarli e rincuorarli. E tra esse, le suore negli ospedali hanno offerto esempi di dedizione infinita, sopportabile da chi è retto da una fede trascendente che fornisce il duplice dono del sacrificio e del coraggio nell'affrontare la morte stessa con una serenità d'animo eccezionale e consapevole.
Il servizio staffette nelle formazioni molte volte veniva svolto da ragazze che, attraverso sentieri mozzafiato, si recavano in zone distanti anche alcuni chilometri per portare circolari, notizie o segnalazioni.
E in banda la donna con il fucile in mano rivestiva il ruolo, tipicamente maschile, del guerriero in lotta. Sparava come l'uomo nell'impeto della battaglia, e della delicatezza della sua figura e del disagio tra quegli spari nulla doveva affiorare, perché in certe situazioni non poteva esistere debolezza o privilegio.
Quanti ruoli la donna abbia sostenuto nella Resistenza è difficile dire, perché se si possono descrivere fatti accaduti, mi pare non sia possibile penetrarne lo spirito, l'ispirazione, i moventi autentici per cui scatta l'azione. Ho cercato, comunque, di chiarire come la partecipazione della donna nella Resistenza italiana, perciò anche in quella imperiese, sia costituita da una vasta gamma di impegni ed abbia origine da svariate direzioni.
E mi rammarico per l'impossibilità di ricordare l'interminabile serie di interventi di donne nella lotta, perché una ricerca seria presenterebbe problemi pressoché insolubili ed un impegno gravoso anche per il fatto che tante protagoniste, veramente modeste ed aliene da riconoscimenti ed onori, non intendono fornire notizie sulla loro attività resistenziale, mentre altre, purtroppo, sono invecchiate, malate o scomparse. Ed ancora, come ho già accennato in altra parte, occorrerebbe per ognuno dei tanti argomenti, una singola pertinente pubblicazione.
In appendice a questo capitolo è riportato l'elenco delle donne partigiane, patriote e collaboratrici del movimento organizzato di Liberazione nella nostra provincia. Ma, prima dell'elenco finale, mi siano permesse alcune citazioni e qualche breve commento.
Pietro Roggerone, nel corso di un rastrellamento, viene arrestato e condotto a Sanremo con una decina di prigionieri in ostaggio; una ragazza, Anna Lanteri, riesce a far fuggire tutto il gruppo (1). Risulta inoltre che la coraggiosa ragazza abbia salvato addirittura una cinquantina di civili incappati in un rastrellamento. Successivamente sarà arrestata.
Le SAP non sono un'organizzazione prettamente maschile. Anche le donne sanno combattere: «Nei primi mesi dei 1945 i sapisti della III Brigata riuscivano a disarmare una quindicina di militari italiani e tedeschi. Azioni rischiose nelle quali si distinsero per il coraggio dimostrato anche le giovanissime sapiste Palma Bianca e Daolio Nanda, seguite da un folto gruppo di donne, quali Elena Caterina, Robino Carolina, Garibaldi Geromina, Trevia Elisabetta, Agnese Teresa, Bestoso Emilia, Piana Gilda, Verda Lucia, Vittoria Giobbia (Sanjacopo), ed altre della Val Steria che si adoperarono instancabilmente per la lotta di Liberazione...» (2).
La professoressa Vittoria Giobbia (Sanjacopo), donna eccezionale il cui antifascismo è radicato ed autentico dirige le SAP femminili in Diano Marina. Organizzatrice abile e coraggiosa, lancia alla gioventù studentesca il suo appello alla lotta. Costituisce otto nuclei resistenziali: a Cervo, San Bartolomeo, Tovo Faraldi, Villa Faraldi e quattro a Diano Marina.
Verso la metà dell'ottobre 1944 è ricercata dalle SS perché la sua abitazione in Diano Marina (al n° 1 di via Genova) viene riconosciuta come centro dell'attività clandestina. Fugge, ma non si rassegna. Riprende i contatti con l'organizzazione femminile di Imperia e, naturalmente, con quella di Diano Marina. Ritorna alla guida del movimento femminile ed è preziosa collaboratrice del CLN locale con i collaterali movimenti maschili della Resistenza. Donna di cultura, incaricata dei corsi di traduzione della Facoltà di lettere dell'Accademia di Digione, già dal sorgere del fascismo in Italia si era rivelata come una delle più acerrime nemiche della dittatura (3).
Alba Rizzo di Camporondo (Diano Borganzo) è la staffetta che informa giornalmente i patrioti locali di stanza nei pressi di Diano Roncagli. Verso le 15 del 1O gennaio 1945 un gruppo di Tedeschi, guidato da una spia mascherata, irrompe all'improvviso nella zona e minaccia di sorprendere l'accampamento dei garibaldini di «Stalin»; anche da altre due direzioni giungono colonne nemiche. La ragazza intuisce il pericolo, percorre la salita a perdifiato ed avvisa i partigiani che riescono a mettersi in salvo occultando il materiale. Alba è stremata: al giungere dei Tedeschi si butta a terra e si salva fingendosi morta (4).
Analogamente, il 2 agosto 1944, un'altra ragazza, Lucia Ardissone, dopo un'estenuante corsa riesce ad avvisare una decina di giovani di Roncagli che dormono in una baita in località denominata «Piano della Chiesa», salvandoli perciò dalla morte (5).
Il 29 gennaio 1945 durante un rastrellamento Francesco Camiglia tenta la fuga attraverso i tetti, ma è ferito e chiede un disperato aiuto alla madre. Viene catturato e trascinato verso un albero di pero per essere impiccato. Gli passano il cappio intorno al collo. La madre, presa dalla disperazione raccoglie tutte le forze e si scaglia con un urlo straziante contro i Tedeschi che la respingono (6).
Povera madre, la Resistenza è fatta anche di te. Il popolo ti deve gratitudine, come gratitudine deve alla madre del sapista Augusto Vignola che, per tanti giorni, paziente e trepida di speranza, si avvia alle carceri di Oneglia con il pacchetto contenente il cibo per il figlio prigioniero. Patetica madre, tuo figlio è stato assassinato da alcuni giorni. Anche tua è la Resistenza.
Mi disse un giorno Vera Belgrano (Pia): «Nel capitolo dedicato alle donne della Resistenza Imperiese non dimenticarti di Liliana e di Maria, che avevano sposato i fratelli Quaglia, noti pollivendoli di Oneglia, un triste giorno i due giovani con il camioncino per il trasporto del pollame passarono su una mina posta dai partigiani sulla via Aurelia per far saltare automezzi nemici in transito. Sfortunatamente il camioncino saltò in aria ed i due fratelli morirono. Erano due bravi giovani antifascisti e le loro mogli collaboravano con noi del GDD. Un mattino, dopo il triste fatto mi recai in casa di una delle vedove e la trovai nell'atto di pregare davanti alla fotografia del marito vicino al lumino. Assistere a tanto dolore, dignitoso e composto mi si restrinse il cuore di commozione...». Eppure, comprendendo la fatalità, dell'accaduto, le due donne continuarono la lotta contro il fascismo portando documenti della Resistenza, anche a rischio della loro vita (7).
La stessa Vera Belgrano passa momenti drammatici. Nel corso di un rastrellamento i Tedeschi perquisiscono la sua casa a Costa di Oneglia: buttano tutto sotto sopra, ma fortunatamente non trovano la macchina da scrivere ed i documenti del FdG e dei GDD.
«Forse - dice Vera - i Tedeschi erano troppo impegnati a cercare denaro ed oggetti preziosi, che trovarono ed asportarono; ma ho benedetto quel furto che mi ha salvato la vita!».
Giovanna e Nina sono le sorelle di Giacomo Amoretti (Menicco). Che dire di loro? Sono della famiglia Amoretti e non mi sembra il caso di enumerarne i continui pericoli sopportati con quella cartoleria all'inizio di via Ospedale, diventata centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani.
Tra i miei ricordi, Velia Amadeo, mia cugina. Ero piccolo e, malgrado il gran numero di anni passati, mi rivedo alla finestra dell'abitazione di mia nonna, al primo piano di piazza San Francesco, dove è situata l'attuale Camera del Lavoro. Assisto agli ultimi sprazzi di quel carnevale del 1930. È la sera del 3 marzo e vedo le scene di allegria popolare di quell'epoca. Rivedo sulla piazza i miei zii Alessandro (Pepen) e Raffelina, spontanei ed allegri come era possibile allora. Ma qualche centinaio di metri distante, dal porto di Oneglia scivola silenziosa sull'acqua una barca di pescatori sulla quale c'è la loro figlia Velia con tre antifascisti. Vogliono espatriare, fuggire lontano dalla nostra terra oppressa, per continuare all'estero la loro battaglia. Il mattino seguente, la notizia della fuga tramuta quella gioia spontanea in cupa disperazione. Velia non ritornerà più nella sua casa, ingoiata con i compagni dai gorghi del mare.
Ed Anna, madre di Wladimiro, è la sorella di Giacomo Seccatore, sempre perseguitato dal fascismo. Anche lui morirà presto, vittima delle sue idee e della lotta per la libertà. Anna Seccatore abita sullo stesso pianerottolo della mia famiglia. Le porte dei due appartamenti sono affiancate, in quel corridoio di piazza San Francesco, nel portone adiacente a quello già ricordato di mia nonna. Wladimiro ed io siamo piccoli ed amici; dalle parole carpite dai miei genitori sento che la madre di lui vive anni di tormento per il fratello imprigionato, confinato e perseguitato.
[NOTE] 
(1) Cfr. F. Biga. Diano e Cervo nella Resistenza, op. cit., pag. 100. 
(2) Ibidem, pag. 186.
(3) Ibidem, pag. 236.
(4) Ibidem, pag. 195.
(5) Ibidem, pag. 114.
(6) Ibidem, pag. 200.
(7) Testimonianza orale di Vera Belgrano (Pia).

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1992, pp. 582-585

19 Ottobre [1944]. 
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto, presero la signorina B., sorella di un "fuorilegge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità. Una ragazza giovanissima tra le mani di quella gente chissà che cosa deve aver provato: sofferenze atroci, tanto che ora si trova in uno stato pietosissimo in una clinica sotto la cura di diversi professori, i quali fecero una denuncia al Comando della G.N.R. dimostrando come stanno le cose. I colpevoli, tre o quattro, sono stati arrestati e ora si attende il processo che dovrà esserci in questa settimana.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006, p. 20

28 febbraio 1945 - Dai Gruppi Difesa della Donna della provincia di Imperia al Comitato regionale del Fronte della Gioventù e dei Gruppi Difesa della Donna - Relazione sull'attività del mese di febbraio, da cui si evince che i gruppi erano organizzati e retti da un triumvirato femminile, composto da un'operaia e da due intellettuali; che la citata operaia si stava adoperando per creare nuovi comitati; che le donne intellettuali curavano la stampa e la propaganda tra le giovani nella scuola e nelle fabbriche; che erano stati riallacciati i contatti con le vallate e con l'organizzazione del Fronte della Gioventù; che il servizio di spionaggio era già in funzione e che alcune impiegate delle Poste avevano già fornito notizie utili a salvare la vita a diversi partigiani.
Documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)- Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 3 luglio 2025

I partigiani sostarono temporaneamente nella tana dei disertori, celata da una piccola cascata

Pietrabruna (IM)

Il gruppo [n.d.r.: appartenente alla IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione"], in buona parte ricomposto, procedeva in fila indiana, il terreno ora arido e selvaggio saliva rapidamente e, malgrado l'attenzione posta, dei sassi si staccavano dal suolo rotolando verso il basso con pericolo continuo per coloro che seguivano; ciò nonostante, all'apparire d'un melo selvatico non esitai a chinarmi per raccoglierne i frutti caduti che infilai nella camicia, bene o male qualcosa sarebbe entrato nello stomaco; il canalone ora, per le aumentate difficoltà del terreno, si restringeva in una fenditura che a prima vista sembrava precludere la possibilità di proseguire o nascondersi, ma l'apparire improvviso d'una piccola cascata venne accolto con gioia da buona parte del gruppo; con stupore, vidi i primi continuare il cammino e penetrare sotto la volta scrosciante, scomparendo; l'acqua, che diventava ruscello su lucide rocce, non conservava alcuna traccia. Il nascondiglio era chiamato «la tana dei disertori» ed era servito nel tempo a fuggiaschi di varie epoche; all'interno lo spazio era sufficientemente ampio, e con sorpresa vi trovammmo un gruppetto di contadini, prontamente rifugiatisi al rumore del combattimento appena conclusosi; un paio di lanternini ad olio, in un gioco di luci ed ombre illuminava parzialmente il fondo della caverna, mentre nella parte antistante la luce filtrava a sufficienza attraverso la parete d'acqua. I due gruppi  immediatamente si fusero, agricoltori e partigiani, in uno scambio di saluti e informazioni, volti lucidi di sudore e sguardi lesi in un parlottio sommesso, sovrastato a tratti dalle ultime raffiche dei Majerling tedeschi che sparavano nel folto della vegetazione, ultimo sfogo di uno scontro subito.
E finalmente il silenzio, prima dubbioso, nel timore di un probabile ulteriore pericolo, poi sereno, tutti i rumori imprecisi e confusi del bosco ritornarono vivi, chiaro il canto degli uccelli risuonò allegro tutto d'intorno ricreando un'atmosfera di tranquilla sicurezza, e nella poca luce di quella strana dimora i contadini estrassero delle vecchie gavette, dividendone la pastasciutta in esse contenuta con gli affamati giovani del nostro distaccamento. Poco dopo mi permisi di ricambiare la gentilezza con l'offerta di qualche mela, non certo di prima scelta; un saluto e forti strette di mano conclusero la gradita sosta. In colonna frazionata, attenti e silenziosi ci si incamminò verso Pietrabruna, capoluogo della valle omonima, non ancora frequentato dalle nostre formazioni per la facile accessibilità allo stesso da parte dei reparti motorizzati tedeschi e fascisti che in un'ora all'incirca vi giungevano dal mare; in avanscoperta erano stati inviati due garibaldini, buoni conoscitori della zona, e quando quasi vicino ci apparve il campanile del paese circondato da bruni tetti immersi nel verde degli ulivi, trovammo ad attenderci uno dei due, tranquillamente seduto sul ciglio del sentiero. «Il paese e la valle sono calmi» disse, «i nostri informatori e i contadini rientrati dai prati assicurano che i tedeschi proseguono verso il nord, per collegarsi ad altri reparti provenienti da direttrici diverse (l'attacco tedesco si concluse con la battaglia di Montegrande del 5 settembre 1944); questa valle è saltata, vi si può rimanere con tutta tranquillità». E per la prima volta, una cinquantina di uomini invasero le strette viuzze del paese, pittoresco insieme di giovani e meno giovani, volti imberbi e volti barbuti dal grigio colore del tempo, con moderne armi e vecchi fucili, ma tutti con un eguale sorriso; sosta obbligata, Petran, la vecchia e unica trattoria del luogo, posta in prossimità della piazzetta delle corriere. Ci si dispose all'interno e all'esterno, nelle viuzze adiacenti e nel lavatoio, attorniati da paesani gentili e curiosi di sapere, e nell'attesa della mangiata ordinata da Danko [Giovanni Gatti] si parlò e si raccontò, ridendo come ragazzi alla loro prima festa; due ragazzine, con le lunghe trecce e gli occhi della primavera, mi si avvicinarono per avere conferma se proprio io avevo sparato col Majerling, al loro ingenuo ma femminile sorriso sentii di essere quasi un uomo.
Un'allegra confusione regnava nel locale più grande della trattoria, che a malapena ci accolse tutti; di fronte a ciascuno, un fumante piatto colmo di carne e un colorito bicchiere di vino; un'animazione fuori dell'ordinario, si continuava a parlare ancora del combattimento, era un meccanismo che seguitava a ruotare e ripetersi, per la maggior parte di noi era stata la prima volta ed era pienamente comprensivo lo stato di euforia collettivo. La tensione però tendeva ad allentarsi col passar delle ore, il vino ed il pranzo ingerito, inoltre, cominciarono a produrre i loro effetti e una strana, benefica stanchezza mi prese, ma durò per poco: dal di fuori un grido «i tedeschi» e fu come se possenti molle ci scagliassero all'esterno; pochi attimi e si era tutti all'aperto con le armi in pugno, ma non avevo dimenticato di portare un morbido cosciotto di arrosto, pregiata preda che tenevo saldamente stretta nella mano libera. Confusione e incertezza generale, fortunatamente l'allarme si rivelò fasullo, alcuni di noi intendevano ritornare a tavola, ma la maggioranza, di contrario avviso, preferì allontanarsi, incamminandosi verso la nuova base prima che le ombre della sera rendessero più difficile il rientro. E sulla strada del passo della Follia, in colonna si affrontò la ripida salita, mentre dalle ultime case di Pietrabruna i paesani ancora numerosi salutavano a larghi gesti. La lunga giornata volgeva al termine, il sole quasi furtivameme scivolava oltre l'orizzonte, per la stanchezza, il peso dell'arma sulle spalle sembrava raddoppiato, e quando ancora una volta mi trovai a guardare verso Santa Brigida, mi ritornò alla mente N. la ragazza dell'appuntamento, i fatti del giorno l'avevano cancellata, la poesia di un tramonto la fecero riapparire, ma solo nel ricordo; N. non la incontrai più.
Il primo rastrellamento da noi subito s'era concluso, l'originale trappola architettata dai nazisti e realizzata con un grosso spiegamento di forze aveva raggiunto solo parzialmente lo scopo, arrecando ad alcuni reparti soltanto delle perdite contenute, ma altri contingenti, fra i quali il nostro, forse più fortunati, ne erano usciti completamente indenni riuscendo inoltre ad impegnare l'avversario ed arrecargli sensibili perdite. Il nostro infatti, seppure di recente formazione e costituito in parte con elementi di scarsa preparazione militare, aveva superato brillantemente l'esame, determinando all'interno dello stesso una maggior stima reciproca, che rinsaldò ulteriormente la coesione del gruppo.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984,  pp. 53-55

lunedì 9 giugno 2025

Curto si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona

Rezzo (IM). Fonte: mapio.net

In quel periodo ero venuto a conoscenza di uno scontro di ribelli imperiesi a Montegrazie; a Rezzo erano stati disarmati i Carabinieri. Ma non riuscii a sapere niente di più delle forze partigiane che erano state protagoniste dei due episodi. Perciò a febbraio [1944] decisi di recarmi in Provincia di Cuneo con l'obiettivo di arruolarmi nelle formazioni G.L. Messomi in cammino al mattino presto, mi trovavo già nei pressi di San Bernardo di Conio, sul versante di Rezzo e scendevo di buon passo, quando incontrai un uomo che salutai col buongiorno, senza fermarmi: era Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, futuro comandante della I^ Zona Operativa Liguria], che io ancora non conoscevo. Lui, con una voce pacata e lenta, disse qualcosa sul mio passo spedito, io gli risposi che ero nativo di Cipressa e che dove andavo a lui certo non doveva interessare. Sempre parlando in dialetto, mi rispose: «Io sono di Artallo, ma mi farebbe piacere sapere dove vai». 
Ero armato di una pistola Beretta calibro 9 corto e di due bombe a mano Breda; non avevo ancora 23 anni e avevo detto il nome del mio Paese quasi come un atto di sfida; ma adesso, se volevo rispondere sinceramente, lui sapeva dove trovare la mia famiglia: chissà chi era e come la pensava; perciò decisi di andarci cauto e gli dissi: «Vedete, brav'uomo, se non vi avessi risposto sinceramente sul paese dove sono nato, potrei dirvi anche dove vado, ma a casa ho lasciato mia madre e mio fratello più giovane di me; mio padre è morto il mese scorso e non voglio che abbiano altri guai». Nel dir questo avevo messo la mia mano nella tasca del giubbotto e tolto la sicura della Beretta. Lui aveva certamente notato il mio gesto, ma non disse niente, e iniziò a parlare dicendo che, dato che io ero più giovane, sarebbe stato giusto che mi spiegassi per primo, ma che capiva la mia situazione e che si sarebbe fidato di me. Tolsi la mano dalla tasca del giubbotto.
Si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona. Io gli raccontai le mie brevi esperienze di ribelle e la mia intenzione di raggiungere le formazioni G.L. nel cuneese. Si informò sulla mia vita militare, sulle mie esperienze sui vari fronti e mi disse, con la più grande naturalezza: «Invece di andare nelle formazioni G.L. sarebbe meglio che tu ti presentassi alla «milizia fascista» per arruolarti; con le tue campagne di guerra ti accoglierebbero a braccia aperte». Era intenzione di Curto sfruttare la mia esperienza inviandomi come infiltrato per poter organizzare un colpo di mano per rifornirci di armi e munizioni. «Dopo che ti sarai ambientato, ti faremo avvicinare da un nostro uomo col quale studierete il modo migliore per fare un colpo di mano nella caserma, per impadronirvi delle armi. Abbiamo bisogno di armi e munizioni!»
«Non posso farlo» gli dissi «prima di tutto perché esporrei mia madre e mio fratello alle rappresaglie dei fascisti e poi anche perché non mi sento di indossare la camicia nera, neanche per fare il doppio gioco». Allora mi disse: «Torna a casa, ti farò sapere se intendiamo affidarti un incarico a Imperia, con una copertura adeguata per il servizio in città. Oppure, se quanto ti verrà proposto non fosse di tuo gradimento, potrai sempre andare nelle G.L. come era nelle tue intenzioni, o in un nostro Distaccamento».
Gli dissi che mi sarei fermato a Carpasio, presso un conoscente (Paolo Gallo detto Paulò), e lì avrei aspettalosue notizie. Ritornammo a San Bernardo di Conio insieme; l'uomo mi piaceva e mi pareva convincente anche la sua fede comunista; il comunismo avrebbe risolto tutti i problemi del mondo, ne era certo, di una certezza matematica che mi affascinava. Ci separammo: lui scese verso Conio, io salii verso Colle d'Oggia a Carpasio.
Lo incontrai ancora alcuni giorni dopo; la proposta era accettabile, mi sarei dovuto presentare al Comando dei Vigili del Fuoco, dove avevano bisogno di autisti, e sarei stato arruolato immediatamente. Il mio nome era già stato segnalato: in seguito sarei stato avvicinato da un rappresentante del P.C.I. Mi diede le istruzioni per il riconoscimento. Accettai: unica mia condizione fu di avere un solo contatto. Certo: mi disse che era giusto e prudente comportarsi così.
Mi presentai al Comando dei Vigili del Fuoco e fui arruolato immediatamente. Per alcuni mesi feci tutto quanto mi venne ordinato. Avevo una fifa da matti; chiesi ripetutamente di lasciare l'incarico per tornare in montagna, ma per un motivo o per l'altro la autorizzazione non arrivava mai. Allora un giorno, piantai tutto e mi presentai a Makallé, un Comandante di Distaccamento, nativo di Costa di Carpasio.
Il Distaccamento era di base in alta Val Prino. Poco tempo dopo venni eletto capo squadra. Il nostro raggio d'azione era la Via Aurelia: dal Prino ad Arma di Taggia-Taggia (il mio nome di battaglia era Negro). Ci spostavamo sulla via Aurelia dopo una marcia di tre e anche di quattro ore: il che naturalmente voleva dire altrettanto tempo per il ritorno. Avevamo un mitragliatore Saint'Etienne: lo adoperava in maniera perfetta Giacò, col quale avevo fatto le prime esperienze da ribelle nel gruppo di giovani e meno giovani del mio paese.
I pochi mesi di tensione continua che avevo passato nei Vigili del Fuoco, col pensiero fisso alle torture che mi avrebbero inflitto i fascisti se mi avessero catturato per farmi parlare, avevano creato in me uno stato di bisogno d'agire che si calmava soltanto durante l'azione. 
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo) *, Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 74-76

* [n.d.r.: Garibaldi fu il comandante della Brigata "Val Tanaro", la quale nell'ultimo mese di guerra divenne la IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera", sempre della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]

venerdì 11 aprile 2025

Donne imperiesi dall'antifascismo alla Resistenza

Imperia: nei pressi del ponte stradale sul torrente Impero

A Imperia, la giovane Velia Amadeo, ai primi di marzo del 1930, nell'accompagnare in una barca il fidanzato, il giovane comunista Vincenzo Bottino, nel tentativo di espatriare nella vicina Francia, periva con lui.
Ancora più significativo il caso di Ornella Musso, di Oneglia, che seguì in Spagna il padre Felice espatriato per motivi politici. Ivi la solidarietà familiare divenne un preciso e autonomo impegno politico, in quanto la Musso collaborò a Radio Barcellona durante il periodo della guerra civile.
Sempre nella provincia di Imperia, a partire dalla fine degli anni trenta, spuntava un vivace antifascismo tra gli intellettuali, tra cui alcune donne. Così la prof. Antonello-Brusco fu minacciata, redarguita e molestata: il movimento si fece più intenso dopo lo scoppio dello seconda guerra mondiale, quando alcune professoresse e intellettuali parteciparono addirittura a gruppi di chiaro stampo antifascista: la prof. Vittoria Giobbia, la prof. Costanza Costantino, Letizia Venturini, traduttrice del libro di Rauschnig, "Hitler m'a dit", la prof. Adelina Biglia, che fu addirittura arrestata per avere confidato ad un'occasionale conoscente che era tempo di porre fine alla guerra.
Sempre a Imperia Fede Amoretti assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare influenzato dallo zio Giacinto Menotti Serrati già dirigente nazionale del partito socialista, e Uliana Zanetta dal padre che durante il ventennio era costantemente sorvegliato speciale perché comunista. Anche Alba Berio, costretta ad emigrare durante il fascismo per le angherie subite, fu iniziata all'antifascismo dall'ambiente familiare, e così Maria Ricci, proveniente da famiglia di vecchi socialisti.  
Teresa Agnese di Albenga fa risalire il suo sentimento viscerale contro i fascisti alle minacce di bastonature e di purghe che i fascisti fecero contro la sua famiglia. Bianca Calvi di Imperia, più che dall'ambiente familiare, trasse alimento al suo antifascismo dall'ambiente di lavoro, l'oleificio Agnesi, dove i pochi operai e le poche operaie fasciste erano isolati e guardati con sospetto.
Assunta Berro Bianchi di Imperia imparò l'antifascismo dal padre più volte arrestato durante il regime. Padre e marito di Maria Terrone di Valloria erano anch'essi antifascisti, tanto che l'intera famiglia fu costretta ad emigrare per un certo periodo in Francia. Tebe Demonte di Imperia maturò il suo antifascismo sia dall'ambiente di lavoro "molto duro", sia dal marito Adolfo Stenca iscritto al PCI, e anche Olinda Aicardi, operaia di Imperia, assimilò l'antifascismo dall'ambiente familiare (suo padre era un vecchio socialista) e da quello di lavoro.
Nella famiglia di Anna Bonfante si tenevano riunioni antifasciste con distribuzione di volantini e scambio di notize già prima del 1943, e anche la famiglia di Gilda Piana di Diano era antifascista. Anche Aurelia Rebecco di Pairola, madre di un partigiano fucilato [n.d.r.: Alberto Lorenzi], maturò il suo antifascismo attraverso il marito. Maria Lanteri di Triora dichiara di aver ricevuto l'antifascismo "in casa". Per Milena Massa di Diano Marina la tradizione antifascista e socialista di casa sua le rese poi, secondo le sue parole, "la scelta facile"; anche Giulia Negro di Imperia, moglie di un antifascista, fu iniziata all'antifascismo dal marito, mentre Andreina Rondelli imparò l'antifascismo dalle esperienze e dalle angherie subite dal padre. Angela Carbone di Sanremo, trasse ispirazione al suo antifascismo dal padre socialista. Maria Scotti di Pigna, levatrice, assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare cattolico, e così Emma Borgogno di Perinaldo ereditò l'antifascismo dall'ambiente familiare socialista, allo stesso modo di Giorgina Ascheri di Dolcedo.
Danilo Veneruso, La donna dall'antifascismo alla Resistenza in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979

Felice Musso, ex sindaco socialista di Castelvecchio, all’avvento del fascismo dovette lasciare il paese perché perseguitato e si rifugiò nella vicina Nizza, come tanti compaesani. La famiglia lo raggiunse piuttosto tardi, nel 1930, la moglie Giuseppina, la figlia Ornella e il figlio Lorenzo, il quale si inserì subito nell’organizzazione socialista al fianco del padre e dei vecchi compagni imperiesi <335.
Giuseppe Amoretti, il “Moretto” comunista di Oneglia, lasciò Imperia anch’egli dopo il dissesto finanziario della sua attività di commercio in olio, e grazie alla dote della moglie poté rilevare un negozio di commestibili nel cuore della Vieille Ville, intrico di vicoli dove dal secolo precedente gli italiani si erano installati con le loro botteghe, alimentari, ristoranti. Egli si inserì dapprima nel movimento comunista italiano a Nizza, ottenendo ruoli di responsabilità, in stretto contatto con Felice Musso e i compagni imperiesi, poi si integrò sempre più nelle organizzazioni del Pcf, mantenendo rapporti con l’emigrazione antifascista e con la sinistra locale <336.
[NOTE]
335. AIsrecIm: IID4: f. Lorenzo Musso.
336. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015

[...] Dilanda Silvestri che aiuta il padre Michele (Milano) nella sua opera a favore della Resistenza; Iolanda Zunino (Spavalda) non ha congiunti da coadiuvare, ma si impegna in prima persona in qualità di staffetta dei distaccamenti cittadini; Gea Gualandri è un'attiva collaboratrice; Cesira Lanteri ospita i partigiani nella sua casa nella zona di Langan ed i Tedeschi, scoperta l'attività, incendiano l'abitazione; la professoressa Adelina Biglia è arrestata nel maggio 1943; la professoressa Letizia Venturini è nei gruppi antifascisti già prima del periodo resistenziale e traduce scritti da diffondere clandestinamente; la professoressa Costanza Costantini di Torino è pure lei nel gruppo antifascista.
Né si debbono dimenticare Jose Pila, collaboratrice nella zona di Costa d'Oneglia; le sorelle Evelina e Giuliana Cristel, già citate nel capitolo dedicato al FdG; Teresa Vespa Siffredi, internata nel campo di concentramento di Fossoli; Iside Corradini, uccisa sulla via Aurelia e buttata nella scarpata sottostante per non aver consegnato la bicicletta ai Tedeschi.
[...] Tra le fotografie riportate alla fine di questo capitolo figura l'interessante nota della direzione delle carceri giudiziarie di Sanremo che, in data 29 marzo 1945, dà notizia della detenuta Anna Maria Borgogno, ricoverata presso l'ospedale civile, sorvegliata dalla GNR e da consegnare successivamente al Comando tedesco per l'inevitabile fucilazione. Con lei è una altra donna, Bianca Pasteris (Luciana), ferita e catturata a Beusi, destinata ad analoga sorte.
Di Ada Pilastri (Sascia) si deve ricordare il bellissimo racconto della marcia sulla neve per procurare farina e viveri alle nostre formazioni. Rina Moraldo nel marzo 1945 salva il Comando garibaldino: di buon mattino, mentre si reca a Gerbonte per assistere alla Santa Messa, scorge i Tedeschi intenti a piazzare mitraglie a Loreto ed a Creppo, perciò ritorna sui suoi passi ed avverte tutti i partigiani.
E Pierina Boeri (Anita) è una partigiana vissuta soltanto di coraggio e di esempi sul campo di battaglia.
Nel capitolo concernente la Sanità partigiana sono ricordate benemerite suore ed infermiere: Angela Roncallo (Fernanda) nel suo diario alterna la pateticità alla disperazione. Ida Rossi (Natascia), diciannovenne, bionda e graziosa, si trova a Upega in quel tristissimo 17 ottobre 1944; è infagottata in una divisa da soldato tedesco, ma ciò non le consente di sfuggire alla cattura anche se poi, facendo tesoro delle risorse inesauribili della personalità femminile, riuscirà a sfuggire alla morte. A Triora, Antonietta Bracco è tuttora un esempio di dignità e di entusiasmo per la missione compiuta. E Ornella Musso passa di battaglia in battaglia contro il fascismo, dall'Italia alla Spagna, e ancora in Italia per la battaglia finale.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, 1992

Ad Imperia Uliana Zanetta si era messa in contatto con Anna Airaldi e Bianca Novaro e insieme avevano formato l'embrione dei Gruppi di difesa della donna, che avrebbero poi svolto la loro attività nella zona. L'Airaldi, che lavorava nella fabbrica Renzetti, si occupava del lavoro tra le operaie, la Zanetta di quello tra le studentesse, nel tentativo di convolgere il maggiore numero di donne appartenenti a strati sociali diversi nell'opera di aiuto ai partigiani. Dopo un lavoro capillare, andando casa per casa a parlare con tutte le ragazze di loro conoscenza, erano riuscite a creare una vera e propria organizzazione.
Giuseppe Benelli, La Resistenza femminile in città in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979 

mercoledì 26 marzo 2025

A Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi

Pontedassio (IM)

Pontedassio
(ab. 1807, cens. 1951)    
(con le frazioni Bestagno, Borgata Monti, Villa Guardia e Villa Viani)

L'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio, era di presidio sul territorio del Comune un Battaglione di artiglieria del Regio Esercito, che si disperse all'arrivo dei tedeschi. Pochi giomi dopo, una ventina di giovani di Pontedassio si portavano in località Monti dove rimanevano circa due mesi, quindi si sbandavano: alcuni ritornavano a casa, altri raggiungevano i partigiani in Piemonte, altri ancora entravano a far parte della Divisione Garibaldi "F. Cascione".
Considerata la località strategicamente importante, i tedeschi organizzavano a Pontedassio un presidio, prima di un centinaio, poi di alcune centinaia di soldati con il Platzkommandantur agli ordini dell'ufficiale Schmidt. Piazzarono batterie antiaeree nel capoluogo, a Villa Guardia e a Bestagno, dove costruirono fortificazioni e trinceramenti. Circa cinquanta tedeschi occuparono Villa Viani e insediarono nei pressi di Pontedassio un grande autoparco dove custodire i numerosi mezzi che avevano in dotazione.
A fine dicembre 1943 si aggregava ai tedeschi una squadra di una ventina di fascisti di "Ordine Pubblico" al comando di Armando Carassale. Nel gennaio 1944 giungeva nel Comune un'altra formazione della Repubblica Sociale, detta "Battaglione Genio Italiano N.1" e comandata daI tenente colonnello Gisulfo.
Il 25 luglio i soldati della III Compagnia alpina tedesca compivano un grande rastrellamento nella zona, infierendo sulla popolazione di Villa Guardia e Villa Viani e rapinando bestiame, pollame, vino, biciclette, radio e così via. Furono anche prelevati venti ostaggi poi trasferiti ad Arma di Taggia, sottoposti a maltrattamenti e rilasciati dopo quarantacinquegiorni.
Nell'agosto 1944 la Piazza di Pontedassio era comandata dall'ufficiale Schmidt.
I tedeschi occupavano le scuole ed il Comune, dove istituivano una prigione. Altro duro rastrellamento il 25 agosto successivo, durante il quale venivano uccisi i civili Felice Dani e Valente Marvaldi. Nove militari del Capoluogo, quattro di Bestagno e due delle Ville subivano la deportazione nei campi di concentramento in Germania. Gravi danni causava il nemico alla popolazione: rapine nelle abitazioni, tre case distrutte, una dozzina di casoni di campagna incendiati, quindici muli e una ventina di bovini, nonché tutti gli animali da cortile, depredati.
Nonostante la forte pressione degli occupanti sul paese, la popolazione manifestò sempre a suo modo e con vari mezzi più o meno clandestini il suo appoggio alla Resistenza. Solo nel settembre 1944, tuttavia, poté costituirsi un vero CLN, composto da Carlo Pansieri (PSIUP), presidente, Leonardo Pansieri (indipente), Napoleone Zerbone (PCI) e Carlo Risso (Partito Repubblicano), i quali, pur nella precarietà della situazione, si impegnarono a fondo nell'aiuto ai partigiani combattenti e nella difesa della popolazione dalle misure vessatorie del nemico.
Continuarono invece ad agire al di fuori del CLN gli antifascisti Nino Verda, Albino Quarti, Francesco Aicardi ed altri, tra i quali il tenente colonnello Alberto Varusio, che tenne collegamenti con il Corpo Italiano di Liberazione operante al fianco delle armate alleate.
Alla Liberazione Pontedassio veniva occupato da partigiani del II Battaglione della IV Brigata "Elsio Guarrini". La Giunta della Liberazione risultò così composta: Francesco Aicardi, sindaco, con Nicola Anselmi e Albino Quarti, assessori.
Tredici i cittadini di Pontedassio, ivi compresi una donna ed il solo caduto [Armando Gerini (Armando)], riconosciuti partigiani combattenti. Felice Scotto (Gapon) fu commissario politico della IlI Brigata "E. Bacigalupo" (VI Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante).
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 124,125

Il 10 febbraio 1945 iniziarono a concentrarsi nella zona Pontedassio-Chiusavecchia truppe nemiche, principalmente uomini appartenenti alle Brigate Nere: una parte di questi partecipò ad un rastrellamento di quattro giorni dopo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

Moro Pietro: nato a Pigna il 15 gennaio 1916, squadrista della Brigata nera “Padoan”
Interrogatorio del 13.7.45: [...] Rimessomi dalla ferita, alla fine del febbraio 1945, venni inviato a Pontedassio, in servizio all’UNSA, per il controllo del conferimento all’ammasso dell’olio dove rimasi fino a pochi giorni prima della liberazione.
[...] Lorenzi Giovanbattista: nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 17.11.1945: [...] Verso i primi di febbraio venni inviato al distaccamento di Cervo Ligure, in servizio al posto di blocco dove rimasi per più di un mese, dopodiché venni trasferito a Pontedassio, presso quel distaccamento, con l’incarico di controllo ai frantoi per il conferimento dell’olio agli ammassi. A Pontedassio sono rimasto fino alla vigilia della liberazione, in quanto venni rilevato con un camion e seguii la sorte dell’autocolonna dei fascisti fuggitivi. [...] Allorché mi trovavo in forza al distaccamento di Pontedassio presi parte all’azione di rappresaglia avvenuta in S. Lazzaro, poiché in detta località era stato prelevato dai partigiani un milite. Nel suddetto paese venne incendiata una casa e precisamente la prima a destra entrando in paese. L’azione di rappresaglia avvenne pochi giorni prima del nostro esodo dalla Liguria.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

20 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando di Moschin [Carlo Mosca] aveva attaccato ed ucciso 3 tedeschi il 9 gennaio sulla strada statale 28 nel tratto Pontedassio-Frantoio Biscialla.
10 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", prot. n° 279, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che negli ultimi giorni in ... Pontedassio e Chiusavecchia si erano concentrati molti nemici; che a Pontedassio vi erano 10 cannoni di grosso calibro, 1500 soldati nemici, 500 cavalli, 2 stazioni radio-trasmittenti...
14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2...
21 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/65, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - ... Aggiungeva la notizia che a Pontedassio si stavano concentrando molti soldati nemici con una motivazione, quella di effettuare delle esercitazioni, che poteva in realtà celare la preparazione di un rastrellamento a danno delle formazioni partigiane.
1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... il 28 febbraio erano transitati circa 400 tedeschi provenienti da Ventimiglia e diretti a Pontedassio, tutti giovani appartenenti alla FLAC...
12 marzo 1945 - Da un informatore non individuabile alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi...
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ['Livio' Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 aprile da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Grot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio...
20 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria, alla Sezione SIM della II^ Divisione, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che... sulla strada n° 28 il movimento nemico era aumentato, ma limitato a spostamenti da un presidio ad un altro. Che in particolare i soldati si sposatvano verso Pontedassio e Pieve di Teco, dove continuava la preparazione di costruzioni difensive.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 109, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... da Nava giungevano una volta a settimana a Pontedassio (IM) circa 10 carri che, dopo un pernottamento, ripartivano per il Piemonte con viveri procurati sulla costa, formando una colonna priva di scorta, mentre gli uomini addetti a quel trasporto erano quasi tutti polacchi, serbi, sloveni, russi.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Ribadiva il contenuto della segnalazione sulle Brigate Nere fatta con prot. n°1/91 del 13 marzo 1945. ... a Pontedassio 60 tedeschi con il compito di sorvegliare i magazzini viveri...
26 marzo 1945 - Dal comando della VI Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 248, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Segnalava, come riferito da informatori, che ogni settimana arrivava a Pontedassio una colonna di carri nemici per caricare viveri da portare in Piemonte via Col di Nava...
13 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 133, al comando della VI^ Divisione - Comunicava che... a Pontedassio erano rientrati i tedeschi che il 2 aprile avevano abbandonato quel presidio.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

[Franco Ghiglia] Era entrato giovanissimo nel Distaccamento "Walter Berio" della 4a Brigata Garibaldi della II Divisione "Felice Cascione". Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di "Gigante", ma una di queste (avvenuta l'8 gennaio 1945), gli fu fatale. "Gigante" e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d'Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma "Gigante" era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all'immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell'episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l'inizio tormentoso della fine [...]
Redazione, Franco Ghiglia, ANPI, 25 luglio 2010

6 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il giorno prima era stato impiccato a Pontedassio dai tedeschi il garibaldino "Gigante" [Franco Ghiglia]...
da documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 24 gennaio 2025

E così in quell'anno, 1943, i giorni di autunno calarono rapidi nei paesi più grigi

Il Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Non mancarono, comunque, i distaccamenti che tentarono di fermare i germanici o che resistettero con le armi alle loro intimazioni di resa.
Iniziando dall’estremo ponente, i principali fatti d’armi furono i seguenti: - battaglia di Ormea (in provincia di Cuneo ma al confine con la Liguria) sulla statale 28 del colle di Nava che da Imperia porta a Fossano, combattuta tra le 19 e le 21,30 del 9 settembre tra le forze tedesche che cercavano di raggiungere la costa e i reparti italiani che tentavano di bloccare la strada. Fu probabilmente il più grosso fatto d’armi ad aver interessato la regione in quei giorni. Un battaglione autotrasportato germanico dotato di mitragliatrici e mortai si scontrò con alcune migliaia di uomini armati con mitragliatrici e alcuni cannoni leggeri da campagna. Nonostante gli italiani avessero iniziato a sistemare a difesa il paese in mattinata, furono sopraffatti - dopo un violento scontro che causò perdite a entrambe le parti - dalla manovra aggirante dei tedeschi che, divisisi in tre colonne, presero Ormea e i suoi difensori con un pesante fuoco incrociato dai due lati dell’abitato. La mattina del 10 il battaglione nemico si mosse verso la costa mentre i prigionieri furono avviati verso Alessandria il giorno 12, assieme a circa 800 altri italiani catturati nella notte tra il 10 e l’11 sulla strada tra Cesio e Nava, sul versante imperiese della statale 28. La strada fu poi presidiata dai nazifascisti fino alla Liberazione, essendo considerata fondamentale per far affluire e defluire truppe in previsione del temuto sbarco degli Alleati in riviera <41; - mentre le truppe italiane che presidiavano Ventimiglia tentavano di raggiungere Cuneo, la notte tra il 9 e il 10 un nucleo di militari fece brillare una mina che interruppe la linea ferroviaria costiera all’altezza del vecchio confine di Stato, impedendo momentaneamente l’afflusso di truppe tedesche dalla Francia via ferrovia e costringendo le stesse a impiegare quasi una giornata per sgomberare le macerie <42 [...]
[NOTE]
41. Per gli eventi nella provincia di Imperia, cfr. Biga, 8 settembre nell’imperiese, cit.; idem, L’8 settembre nell’imperiese, in “Patria indipendente”, 19 settembre 2004, pp. 28-31.
42. Telegramma del prefetto di Imperia Guglielmo Froggio, al Gabinetto del Ministro dell’interno del 10 settembre (ore 11.20), in ACS, DGPS, AAGGRR, Ag, Categorie permanenti, A5G 2ª GM, b. 145, f. 221, sf. 2, ins. 28 Imperia.
Marco Pluviano, Dal 25 luglio all’8 settembre 1943 in Liguria: fine del fascismo, sfaldamento delle Forze armate, controllo del tessuto produttivo, conflittualità politica e sociale in "le porte della memoria" - Supplemento al n. 11/12 - 2023 di Liberi

8. Il grosso della IV armata si sbandò dopo l'8 settembre tra questi salienti alpini, e fu questione di ore lo sfacelo totale dei reparti abbandonati senza comandi.
Quando iniziò lo sbandamento fu una faccenda che non pareva vera né ai militari né ai borghesi, pareva impossibile.
Ce n'erano ancora tanti in giro che dicevano di quel generale fetente della Cosseria, già famoso dappertutto per le carognate che faceva - ma va a ramengo farabutto -: eraquello che sotto i portici di Oneglia durante l'oscuramento, ficcava a tradimento la pila sui soldati in libera uscita strappando lì per lì le licenze, anche quelle agricole.
Gliele strappava a chi aveva soltanto la giubba sbottonata o magari la bustina floscia senza stecca.
Ma su per i tornanti della 28, con tutta quella nebbia e il freddo nelle ossa, con quella tristezza nel petto, sentivano tutte le foglie accartocciate nel pietrisco, pestandole.
Erano lì a pestarle inutilmente essendo che ormai tutti avevano capito anche senza quel generale della Cosseria; e allora fu una rabbia ancora più bastarda in sequenza di automi scricchiolìo di salmerie mezzi cingolati e carriaggi semoventi, andandosene in malora; andavano avanti senza sapere dove con quel vuoto nello stomaco come di nausea e di umidità.
In andirivieni frettoloso gli ufficiali all'ultimo se la squagliavano, mentre uscivano dai paesi facendo i pesci balocchi, e travestendosi in fretta con la roba dei borghesi.
- Si capisce che è tutta una porcata, ma è così: non ci vedi adesso che tutto va a ramengo per la miseria, e così in fretta che non si è mai visto? Però a rimetterci anche le braghe sono sempre questi qui, scarpinando in grigioverde con le stellette della naia -, diceva la gente.
Subito dopo quel lungo scarpinare a vanvera da una curva all'altra, arrivarono due graduati tedeschi in sidcar, con mitra e pistola bene in vista.
Ripresero il possesso di tutta la statale 28 da Oneglia a Ormea, compresi i dintorni da una parte e dall'altra, per conto della Werhmacht in nome del feldmaresciallo Rommel che allora comandava tutto l'occidente: e così finì lo sbandamento da queste parti, nell'autunno del '43.
Però la gente non volle più aspettare né gli ordini né i contrordini, che tanto ormai a tutti gli girava l'elica; e nessuno ci capiva niente di come fosse la situazione, girala come vuoi che tanto era sempre uguale.
Dalle città dai paesi e dalle borgate, dappertutto, come non si era mai visto per la gran sveltezza, la gente cominciò a bottinare piglia chi piglia, e fecero così: entrarono subito nelle caserme frugando in cataste smontando autornni assalendo depositi e trafficndo ogni cosa velocemente.
Da Pieve di Teco in su, nelle cunette della 28 ad ogni curva, c'erano cassette di munizioni ancora intatte, con pile di bombe a mano ad ogni paracarro.
Nei fossi dei Forti di Nava c'erano quintali di tritolo appena arrivato ancora impacchettato in cumuli di saponette, buttato là alla rinfusa.
9. I semoventi e i traini li avevano fatti rotolare subito col si salvi chi può senza tante balle, giù per gli scoscendimenti di Montescio.
Bastarono pochi spintoni ben dati e qualche scrollata di spalle, per quelle arature tra i carpini, sempre più giù come valanghe dentro cespugli e prati fino in fondovalle.
Allora la gente cominciò ad avere paura alla vista di quella baraonda a quel modo, con tutto che andava di storto sempre di più; non c'era più nessuno a comandare ed era una vergogna, invece c'era quel gran disordine dello sbandamento militare.
Macché disciplina o rispetto dei gradi o logica del buon senso in questo crollo generale, alé tutto a buttemburgo e non  se ne parla più.
E così in quell'anno, 1943, i giorni di autunno calarono rapidi nei paesi più grigi, in soprassalti di sfacelo di disastro e di tradimento dappertutto.
Rimase a lungo nella gente lo squallore appiccicato alla pelle dalla prima pioggia, che durava senza poterselo togliere.    
Ma qualcuno fatto a modo suo ci fu ancora testardo come un mulo col sangue nelle vene, e rabbia sempre di più da stringere i denti; a qualcuno gli era rimasta l'idea bizzarra ben ficcata in testa come un chiodo, e così per la strada si impuntò non disarmando manco a morire.
- E forza dai, chissà come sarà o da soli o in compagnia; ma porcavacca poi si vedrà come sarà.
Non sembrava vero, sembrava impossibile voglio dire che dovesse finire a quel modo tutto di baracca, dopo quelle prepotenze guerresche; anche la gente di questi paesi già tutta intrigata, chissà non lo sapevano come succedeva - ma fa lo stesso perdio, ecco lì come si fa -, dicevano tutti d'accordo.
Diedero tutti insieme una mano, che fece anche bene al morale pensandola tutti uguale contro i nazifascisti; così cominciò la ribellione qui e nelle altre valli tutto intorno, che pareva fossero suonate le campane alla grande.
I tedeschi allora diventarono più diffidenti e subito si sistemarono ben bene nei bunker e nei posti di blocco, non si sa mai. Poi si impratichirono dei prelievi della roba a colpi sicuri con la prepotenza, raus raus kaputt, senza fermarsi entrando dappertutto; infine girarono per le valli con gli sputafuoco sempre in funzione, mettendosi gli ostaggi davanti nei rastrellamenti da un paese all'altro.
Ci andarono subito di brutto senza tante confidenze con gli estranei e nemmeno coi fascisti; gestapo SS e guastatori chiusi in plotoni sparavano a vista con molta facilità senza distinguere.
In questo modo non ci fu bisogno di spiegazioni: la nostra gente capì benissimo che anche qui era arrivata la malora; capì che si andava proprio a ramengo tutti insieme allo stesso modo in una volta sola e fino in fondo.
La gente lo capì senza scordarselo mai più nemmeno dopo; per la miseria se lo capì che quand'è così, in qualunque modo sia, è sempre così non potendosela cambiare: e dunque così sia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982,  pp. 15-17

giovedì 10 ottobre 2024

In provincia di Imperia ci fu la più alta percentuale di vittime di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca

Copia della prima pagina di un documento di denuncia a carico della "Donna Velata". Ricerca di Paolo Bianchi. Fonte: Archivio di Stato - Genova.

Nell'Imperiese la lotta resistenziale al nazifascismo si sviluppò intensamente e assunse un'asprezza inaudita. Lo confermano questi numeri: 582 partigiani, patrioti e renitenti alla leva caduti in battaglia o fucilati: 524 civili uccisi durante le rappresaglie nazifasciste o nei campi di stenninio: una trentina di partigiani deceduti dopo la guerra in seguito a gravi ferite; 22 stranieri di nazionalità diverse, disertori della Wehrmacht, uccisi in battaglia o fucilati dai nazifascisti.
Sicuramente fu la più alta percentuale di vittime - rispetto agli abitanti - di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca. Altro triste primato riguarda un numero consistente di partigiani che si sono suicidati piuttosto di cadere nelle mani dei fascisti locali.
Le cause di queste numerose perdite, a mio avviso, sono da attribuirsi ai seguenti motivi:
- la maggior parte delle località imperiesi, dove i partigiani risiedevano, erano arroccate: quando venivano attaccate e circondate dai nazifascisti, i partigiani avevano poche vie di fuga; quasi sempre combattevano sino alla morte. Ad esempio nel massiccio rastrellamento del gennaio '45 un centinaio di partigiani cadde in battaglia e chi si salvò dovette sconfinare tra mille difficoltà, a causa del freddo e della neve, in Piemonte;
- tutte le formazioni partigiane nell'Imperiese erano garibaldine: chi cadeva nelle mani del nemico difficilmente ne usciva vivo; la stessa cosa succedeva ai nazifascisti; raramente si effettuavano scambi di prigionieri;
- la provincia di Imperia, essendo sul confine francese, era considerata una zona strategica. Gli sbarchi alleati avvenuti in Normandia e in Provenza (nell'estate del '44) avevano fatto concentrare in quelle zone numerosissime truppe tedesche.
- le spie fasciste erano ovunque: la più famosa fu Maria Concetta Zucco, chiamata "La Donna Velata" o "La Francese", la quale venne infiltrata per qualche mese nelle fila della Resistenza e quando ritornò dai fascisti fece arrestare un centinaio di patrioti e loro fiancheggiatori, 33 vennero fucilati mentre gli altri furono deportati in Germania;
- operava in provincia di Imperia una formazione fascista della GNR di Ordine Pubblico (O.P.). con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili e davano loro protezione. Per la loro ferocia, questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi. la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovannni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra (in seguito furono tutti amnistiati). Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili della provincia di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Alla Provincia di Imperia venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010, pp. 82,83

lunedì 19 agosto 2024

Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova

Bordighera (IM): il centro città

Tommaso Frontero [all'epoca residente in Bordighera], reduce da Mauthausen:
«Nel campo vi erano delle baracche allineate, in ciascuna delle quali dormivano circa 150 prigionieri. Vi era pure uno stanzone con attrezzature sanitarie, la cosiddetta infermeria: i medici erano detenuti ebrei. La sera i Tedeschi chiudevano le porte delle baracche dall’esterno e le riaprivano il mattino successivo. Poiché ai prigionieri era concesso passeggiare in determinate zone del campo, ed all’esterno vi erano le vaste coltivazioni di frumento, i parenti che si recavano segretamente in visita ai loro cari si nascondevano tra il grano. I detenuti politici venivano tenuti separati da quelli per reati comuni».
A Marassi, Frontero si era messo in contatto con patrioti che avevano fatto parte della già accennata organizzazione «Otto» (prof. Ottorino Balduzzi; prof. Franco Antolini, membro del CLN di Genova; prof. Eros Lanfranchi, deceduto in seguito a Mauthausen), tutti antifascisti di grande rilievo che avevano ricoperto importanti incarichi organizzativi nella Resistenza.
I Tedeschi, con tutta probabilità, erano venuti a conoscenza dell’organizzazione. Sicchè, dopo un breve periodo di permanenza dei prigionieri provenienti da Marassi, decisero di eliminare il campo di Fossoli. Fecero arrivare una colonna di camion, vi caricarono cinquecento prigionieri e li trasportarono alla stazione ferroviaria. Rimasero a terra settanta malcapitati (parte di coloro che avevano occupato le baracche n. 16 e n. 17): furono uccisi ed il campo fu chiuso.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Rutoli Brunello (“Rino Borelli”), di San Remo (Imperia); iscritto al 2° anno di Medicina e Chirurgia; Partigiano combattente e Aiutante maggiore della Brigata “Guido Negri” n. 29 novembre 1923 - m. 10 dicembre 1944
Luogo della morte: Caduto durante un «Conflitto con un gruppo di briganti neri avvenuto a Codevigo di Piove (Padova) il 10 dicembre 1944 - Nel tentativo di prestare soccorso e vendicare un compagno caduto dopo aver disarmato due avversari cadeva colpito da una raffica» <361.
Riconoscimenti militari: 1 medaglia d’argento al v.m.
Riconoscimenti dell’Università: Laurea h.c. 11 giugno 1947.
[NOTA]
361 Dal foglio notizie contenuto in: Archivio del Novecento dell’Università degli Studi di Padova, Fascicoli personali degli studenti, Facoltà di Medicina e Chirurgia, mat. 154/34, «Rutoli Brunello».
Giacomo Graziuso, Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova (1926 - 1956), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova,  Anno Accademico 2013-2014

INVENTARIO
SCHEDE MATRICOLARI
SCHEDE RELATIVE AI DETENUTI DEL REPARTO TEDESCO DEL CARCERE DI REGINA COELI
Schede carcerarie relative ai reclusi del reparto tedesco di Regina Coeli. Si riportano in ordine alfabetico nominativo (cognome e nome), luogo di nascita, data di nascita di ogni detenuto.
28 settembre 1943, 2 giugno 1944, 1666 originali; 1677 traduzioni in italiano; 2 copie fotografiche di originali tedeschi dispersi
[...]
Mag […]ne Asilio   Cannes   1899 dic. 30
Mag[…]tto Gloria   San Remo 1904 apr. 24
Tirabassi Vincenzo San Remo 1916 gen. 12
Alessia A. Glielmi, Guida all’archivio del Museo storico della Liberazione e inventariazione del materiale documentario delle forze tedesche di occupazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2011-2012

Il campo di Fossoli è noto per essere stato il Polizei- und Durchgangslager controllato dalle SS della Sicherheitspolizei und SD in Italia facenti capo a Wilhelm Harster: come tale fu un campo di transito per ebrei e politici in attesa di essere deportati nel Reich e fu attivo dal marzo del 1944 sino ai primi di agosto dello stesso anno, quando la struttura principale di raccolta dei prigionieri destinati alla deportazione divenne il campo di Bolzano.
Roberta Mira, Il campo di Fossoli e il reclutamento di forza lavoro per la Germania nazista, Fondazione Fossoli, 2019

I nomi
Amabile Massimo. Nato a Ospedaletti (IM) il 5/9/1928. Matricola 5759 Blocco F Vipiteno. Fonti:24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, evaso da Vipiteno, tornato a casa il 23/4/1945. 
Arnaldi Bruno. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, triangolo rosa.   
Avena Giulio. Nato a Pieve di Teco (IM) il 5/4/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 18/12/1944. Fonti: 6.
Bernardini Pietro. Nato a Sanremo (IM) il 15/12/1891. Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Uberlingen il 26/2/1945. Fonti: 5.
Brussa Gaddini Teresa. Matricola 6153 Blocco F Merano. Fonti: 1, 2. Note: 2: 28/3 piazza Parasio Imperia.
Caprile Carlo. Nato a Imperia (IM) il 20/5/1905. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Carli Benedetto. Nato a Rezzo (IM) il 21/5/1923, impiegato. Deportato da Bolzano l’1/2/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 2/3/1945. Fonti: 3.
Cassamagnago Fernando. Nato a Lissone (MI) il 2/6/1924. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Dachau il 9/3/1945. Fonti: 5.
Chiesa Federico. Nato a Carmagnola (TO) il 26/8/1911. Arrestato a Olivetta S. Michele (IM). Matricola 2994 Blocco A. Deportato da Bolzano il 14/12/1944 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 15/3/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco C pag 161.
Chittolini Esterino. Deportato il 16/1/1945. Matricola 8499. Blocco C A. Fonti: 1, 2. Note: 2: S. Lorenzo Imperia - Oneglia.
Corbellati Michelangelo. Nato a Sanremo (IM) il 23/12/1928. Matricola 5485 Vipiteno. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Cravaschino Antonio. Nato a Sanremo (IM) il 13/9/1909, frantoiano di olive. Arrestato a Sanremo loc. Suseneo Superiore (IM) il 15/11/1944. Deportato da Genova (GE) il 7/12/1944, arrivato l’8/12/1944. Matricola 7017 Blocco G. Liberato a Bolzano il 30/4/1945. Fonti: 2, 20. Note: 2: via Palma 1 S. Remo. 20: quest. 60. Citato in Pino Da Prati, Il triangolo rosso, Gastaldi, Milano-Roma 1946.
Dall’Orto Pinuccio. Deportato l’11/11/1944. Matricola 6018 Vipiteno E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via S. Bernardo 49 Dolceacqua (Imperia).
Forte Antonio. Matricola 5971 Blocco G. Fonti: 1, 2. Note: 2: Lingueglietta Imperia.
Fucile Rosario. Nato a Messina (ME) il 26/11/1914, meccanico. Arrestato a Porto Maurizio (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Liberato a Bad Gandersheim il 4/4/1945. Fonti: 5. Note: 5: Sup.
Gazzano Mario. Matricola 9954 Blocco E B. Fonti: 1, 2. Note: 2: Carrano; Cazzano, Villa Talla Imperia.
Gianotti Pierluigi. Nato a Torino (TO) il 27/7/1916, impiegato. Arrestato a S. Lorenzo al Mare (IM) l’8/8/1944. Deportato da Genova (GE). Matricola 9087 Blocco E. Fonti: 1, 2, 32. Note: 1: Giannotti. 1, 2: Luigi. 32: quest. 226.
Lagorio Gianbattista. Nato a Imperia (IM) il 14/5/1887, agricoltore. Arrestato a Imperia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 28/3/1945. Fonti: 3.
Levy Elia Amedeo. Nato a Compiegne (Francia) il 29/8/1895. Arrestato a Imperia (IM) il 30/11/1943. Deportato da Bolzano il 24/10/1944 a Auschwitz. Deceduto a Auschwitz il 24/1/1945. Fonti: 4.
Malugani Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 28/10/1927. Matricola 5791 Blocco D H Vipiteno.
Modena Carlo. Nato a Sanremo (IM) il 26/9/1927. Blocco H. Deportato da Bolzano a Landeck-Tirol. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Morelli Giuseppe. Nato a Sanremo (IM) il 14/1/1897, interprete. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3.
Musso Maria. Nata a Diano Arentino (IM) il 4/1/1924, casalinga. Arrestata a Diano Arentino (IM) il 2/9/1944. Deportata da Genova (GE). Deportata da Bolzano il 7/10/1944 a Ravensbrück. Liberata a Bergen Belsen. Fonti: 7, 32. Note: 32: quest. 321
Nardone Leonardo. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso da Vipiteno il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Novaro Dante. Nato a Porto Maurizio (IM) il 22/1/1912, impiegato. Arrestato a Genova (GE). Deportato da Genova (GE) il 22/10/1944. Matricola 5301 Blocco E. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 20/4/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco P pag 174. Citato in Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Edizioni Avanti!, Milano 1954.
Orengo Francesco. Nato a Badalucco (IM) il 25/12/1927. Fonti: 24. Note:24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Panizzutti Ruggero. Nato a Cugliate (VA) il 2/2/1908, tecnico. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 20/11/1944 a Mauthausen. Deceduto a Ebensee il 5/5/1945. Fonti: 3.
Paolucci Isio. Nato a Ventimiglia (IM) l’11/12/1924, macellaio. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3. Note: 3: Sup.
Pellegrini Pietro. Matricola 9987 Blocco E M Sarentino. Fonti: 1, 2. Note: 2: 11/3 - 24/3. Villa Talla (Imperia).
Piombo Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 14/2/1928. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Genova (GE) il 15/11/1944. Matricola 7087 Vipiteno. Liberato a Vipiteno il 00/5/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 4, fascicolo 3: Scheda personale, attestato della Prefettura di Imperia, copia triangolo originale.
Ruggeri Giovanni. Matricola 7075 OT. Fonti: 2. Note: 2: San Remo (...).
Saglietto Francesco. Matricola 9976 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via Domenico Acquarone 16 Imperia.
Semeria Angelo. Nato a Sanremo (IM) il 16/7/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 31/12/1944. Fonti: 6.
Soleri Giovanni. Nato a Bordighera (IM) l’8/4/1920. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis. Note: 6bis: Soleri.
Toesca Onorato. Matricola 9965 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: Borgomaro (Imperia).
Tomasi Silvio. Nato a Trento (TN) il 23/6/1907, capitano dell’Esercito. Arrestato a Sanremo (IM) [n.d.r.: le fonti più diffuse riportano questo arresto come avvenuto nella zona di Vemntimiglia-Bordighera]. Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 5/5/1945. Fonti: 3. Intervista dell’Autore a Gianfranco Maris, 4/3/2005.
Trucco Gerolamo. Nato a Pieve di Teco (IM) il 18/9/1893. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 24/1/1945. Fonti: 6.
Verardo Danilo. Nato a Sanremo (IM) il 9/3/1914. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Veronesi Ugo. Nato a Imperia (IM) il 3/2/1915. Matricola 9459 Blocco D C. Liberato a Bolzano. Fonti: 1, 2.
Viale Eraldo. Nato a Ventimiglia (IM) il 18/5/1911, meccanico auto. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 4/3/1945. Fonti: 3.
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, Fondazione Memoria della Deportazione/Mimesis - Milano, Seconda edizione rivista e ampliata, aprile 2005. Ricerca realizzata con il contributo dell'Unione Europea

Emilio Baletti (detto Milio), di anni 56, nato a Castelnuovo Don Bosco (Asti) il 31 luglio 1888, lattoniere, coniugato con Luigina Capra (di Chieri, provincia di Torino). Assessore comunale socialista a Chieri, è arrestato nell’aprile del 1921 per cospirazione politica, detenuto per 23 mesi nelle carceri Nuove di Torino fino al processo, quando viene assolto. Trasferitosi ad Albenga (Savona), continua l’attività politica clandestina, che intensifica dopo l’8 settembre. Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova. Torturato dalle SS, non fa nomi. È trasferito a Fossoli ai primi di giugno, matricola 1475. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 57, fu riconosciuto da una carta d’identità del Comune di Albenga; l’identificazione fu confermata dalla vedova il 26 giugno 1945. La salma di Baletti fu trasportata a Chieri con un solenne funerale il 1° luglio 1945. Dall’aprile 1965 è tumulata nel Sacrario degli Eroi della Resistenza del cimitero di Chieri.
[...] Aveva compiuto da poco vent’anni, Giuseppe Palmero, manovale alle Ferrovie di Ventimiglia: era membro del gruppo “Giovine Italia”, che agiva alle dipendenze dell’omonima associazione clandestina repubblicana formata da molti ferrovieri di Ventimiglia, civili, militari e carabinieri - più di sessanta persone - che prendeva ordini dal capitano di fanteria Silvio Tommasi, anch’egli passato da Fossoli, deportato a Mauthausen, e qui deceduto. L’organizzazione aveva lo scopo di ostacolare il traffico di materiale bellico sia in Francia sia In Italia, ritenendo imminente lo sbarco alleato. Il gruppo doveva occupare militarmente la stazione ed un tratto della linea ferroviaria, per preservarle da sabotaggi delle truppe nemiche durante la prevista evacuazione. Tra il 22 e il 23 maggio 1944 una ventina di affiliati furono arrestati per la delazione di due infiltrati. Giuseppe Palmero fu arrestato a Bordighera, il 23 maggio 1944, portato a Oneglia, assieme ai fratelli Remo ed Ettore Renacci, trasferito al carcere di Marassi (Genova) e poi a Fossoli.
[...] Ettore Renacci, di anni 37, nato il 6 gennaio 1907 a Bordighera, ivi residente, calzolaio, coniugato con Gatto Maria. Arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944, incarcerato prima a Imperia, poi a Genova, quindi trasferito a Fossoli tra il 6 e il 9 giugno, matricola campo 1455. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 8, fu riconosciuto dalla cognata Carmelina Gatti e da un conoscente.
Anna Maria Ori - Carla Bianchi Iacono - Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, APM, 2004

Il Baletti, dopo drammatiche esperienze presso le varie polizie nazifasciste, fu inviato nel campo di concentramento di Fossoli. Tommaso Frontero (presidente del CLN cospirativo di Bordighera) compagno di prigionia del Baletti, racconta di lui con malcelata commozione che i nazifascisti lo sottoposero, per la sua fede antifascista e l’ostinato rifiuto a fare i nomi dei compagni di lotta, a dure sevizie ed a minacce severe; ma egli non venne mai meno ai suoi nobili sentimenti di altruismo. Il 12 luglio 1944 Emilio Baletti fu trucidato assieme ad altri patrioti e la Resistenza lo onorerà dando il suo nome ad una gloriosa brigata Matteotti che opererà nel Canavesano.
Di lì passò anche l’esuberanza giovanile di Bruno Gazzano di Porto Maurizio, che mi è stato caro amico di scuola.  […]
Carlo Rubaudo, Op. cit.

venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

domenica 7 luglio 2024

Il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza

Fontane, Frazione del comune di Frabosa Soprana CN): manifestazione in ricordo della Resistenza del 21 ottobre 2013

A seguito dell'attacco a Baiardo [10 marzo 1945] da parte di Distaccamenti della V^ Brigata [della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"], si scatena furiosa la reazione nemica. Vittorio Guglielmo (Vittò), comandante della "Cascione", (il quale non aveva partecipato all'azione perché a livello tattico, secondo lui, era impossibile conquistare il caposaldo nemico), il "Curto", Armando Izzo comandante della V^ Brigata, il capitano inglese Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi (Guido), Felice Miraglio (Felice), Maiano Alfredo (Lupo), ed altri garibaldini quali staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata di Gerbonte, si mettono in marcia verso la stessa grotta pensando di trovarvi rifugio sicuro. Intanto nella notte tra il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe tedesche appartenenti ai RAP (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la suddetta borgata senza che fosse dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati dall'accerchiamento. Infatti, su invito di "Vittò" e di "Curto", che intuiscono il pericolo vicino, prima dell'alba gli uomini, abbandonando Gerbonte e incamminandosi nel torrente Argentina, si dirigono verso la grande grotta che si apre su una parete verticale nelle rocche di Loreto-Ciaberta per rifugiarvisi (raggiungere la grotta voleva dire salire per una scala di corda lunga una ventina di metri). Però, durante lo spostamento, "Vittò", che è in testa alla colonna, scorge nell'oscurità una pattuglia, forse nemica, ad un centinaio di metri di distanza, che marcia in senso contrario. Per non destare allarme e dato che non è sicuro di chi siano, non dice niente e tutto finisce liscio.
Quando il gruppo raggiunge la grotta in posizione di sicurezza, il capitano Bentley si accorge di avere dimenticato l'antenna della radio trasmittente nelle case di Gerbonte, per cui si presenta la necessità di andarla a recuperare. Viene incaricato della missione la staffetta "Lupo", il quale, purtroppo, appena giunto sul posto, viene colpito dal nemico che già si trova nei dintorni: una raffica di arma automatica lo coglie ignaro e lo piega senza lasciargli il tempo di pronunciare una sola parola. Il ritardo del ritorno di "Lupo" fa insospettire il gruppo, per cui parte in missione il garibaldino "Felice". Anch'esso, dopo aver sentito le raffiche nemiche, cerca di mettersi al riparo, ma un colpo di Mauser lo colpisce a morte. E' giorno fatto e le mitragliatrici tedesche piazzate a Creppo impediscono ogni ulteriore tentativo di salvataggio per i due compagni, oramai caduti. Lo stesso giorno 11, nei pressi di Bregalla, viene ucciso dai Tedeschi il garibaldino Paolo Oddo (Bruno).
Catturati il 3 marzo in Grattino (Valle Argentina), dopo otto giorni di torture subite a Molini di Triora dove erano stati condotti, i garibaldini Quinto Verrando (Basilede) e Livio Maggi (Maggio) sono obbligati a ritornare nei pressi di Agaggio Superiore, in località dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, in Pian del Carré ricevono un colpo di pistola alla nuca. Quinto muore subito, mentre il compagno Maggi viene lasciato agonizzante, nella sua pozza di sangue: soccorso dai contadini, morirà dopo una diecina di giorni di indicibili sofferenze. Anche i garibaldini Giobatta Lanteri (Seccù) e Gustavo Stoppiani cadono in combattimento, l'uno nei pressi di Goina (Triora) e l'altro a Molini di Triora. A Latte di Ventimiglia, il 13 è fucilato il garibaldino Guido Costanzo (Clark).
Ritornando alla grotta, il gruppo vi rimane per tre giorni. Ma, poiché le batterie della radiotrasmittente sono scariche, il radiotelegrafista inglese Mac Dougall, accompagnato da "Guido", è obbligato a recarsi alla centrale elettrica di Loreto per caricarle. Costruita un'antenna di emergenza, il radiotelegrafista tenta nuovi collegamenti con Nizza. Individuata la fonte delle onde della trasmittente, i Tedeschi continuano i rastrellamenti nel torrente Argentina e sulla montagna, ma con esito negativo. Non immaginano che le onde radio escano da una parete rocciosa, verticale, della montagna.
Dopo tre giorni, essendo la zona rastrellata dai Tedeschi, che continuano a pattugliare i dintorni, e non potendo quindi effettuare le trasmissioni per la vicina presenza nemica, "Curto" consiglia di cambiare zona. Alle prospettate difficoltà da parte di "Guido", che ritiene pericoloso lo spostamento, quello, nel tipico dialetto ligure, risponde: "Nel libro dei garibaldini non c'è scritta la parola paura", per cui esce per primo. Inosservato, tra colonne tedesche, riesce a spostarsi per raggiungere il territorio della V^ Brigata, a levante della Valle Argentina. Dietro di lui, uno ad uno, escono anche gli altri componenti il gruppo, tranne i due Inglesi, paralizzati dal terrore, ma sono obbligati a rassegnarsi alla sorte e a seguire gli altri.
Mentre ci stiamo avvicinando ai giorni dei lanci aerei, ai quali dedicheremo nei prossimi capitoli ampio spazio, seguiamo un momento l'itinerario di marcia e spostamento del Comando I^ Zona Operativa Liguria verso il campo dei lanci stesso.
Questo Comando istituito, come sappiamo, il 21 dicembre 1944, nel marzo 1945 è così composto:
Comandante: Nino Siccardi (Curto); Commissario: Lorenzo Musso (Sumi); Ispettore: Raffaello Paoletti (Giulio).
Il gruppo, messosi in movimento e attraversato il torrente Argentina, per Bregalla, Monte Pellegrino, verso mezzanotte giunge tra la galleria del Garezzo e San Bernardo dove pernotta. Il giorno dopo marcia verso la valle di Mendatica che è coperta di nebbia, mentre è in corso un vasto rastrellamento. Si odono raffiche di mitra e colpi di fucile Mauser. Infine, per San Bernardo di Mendatica e Valcona giunge a Upega, dove i componenti, dopo tre giorni di fame, riescono a mangiare un piatto di minestrone caldo. Nel pomeriggio al gruppo si aggregano tre prigionieri russi che hanno disertato dai Tedeschi. Il gruppo pernotta a Upega, dove il mattino del 16 da una centralina locale il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza; ma il collegamento non riesce a causa della corrente elettrica che è alternata. Successivamente il gruppo si sposta nuovamente a Valcona dove rimane altri tre gioni, e poi a Pian Rosso, a monte di Viozene, dove si prevede avvengano i lanci. Don Paolo Regis, parroco locale, si reca ad Ormea, nel tentativo di far ricaricare le batterie della trasmittente. Ma il tentativo non riesce, anzi, viene fermato dai Tedeschi mentre transita con la batteria sulla bicicletta. Si salva per fortuito caso. Il 23, nell'impossibilità di effettuare le trasmissioni, il radiotelegrafista Mac, "Sumi", il parroco e "Guido", tentano di raggiungere Fontane di Frabosa attraverso il Bochin d'Azeo (Mongioie) innevato. Vi riescono in un modo drammatico; ad ogni modo, giunti a Fontane, effettuano alcune trasmissioni. Il radiotelegrafìsta rimarrà sul posto fino al primo lancio che avverrà quasi alla fine di marzo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 238-241