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Dintorni di Bosco, Frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: lokkio |
Che avverrà lassù? Potranno i partigiani sopravvivere? Quanti cadranno? Quanti saranno gli sbandati? Solo in seguito, quando il nemico avrà lasciato la zona, dai racconti dei borghesi e dalle parole degli scampati potremo a poco a poco ricostruire gli eventi, ma qualche episodio resterà oscuro per sempre.
Il giorno 20 all'alba il nemico era piombato a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], Degolla [borgata di Ranzo (IM)] ed Ubaghetta [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Contemporaneamente aveva occupato i paesi a fondo valle della Val d'Arroscia e fatta qualche puntata anche nel versante nord. Lo stesso giorno all'alba aveva occupato la Val Pennavaira investendo Alto, Nasino e Capraùna. Come si vede l'idea di Osvaldo [n.d.r.: Osvaldo Contestabile, poco tempo dopo commissario della IV^ Brigata della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"] di ritirarsi in Val Pennavaira non sarebbe stata felice.
Ad Ubaghetta l'allarme venne dato in tempo: la sentinella scorse la colonna che operava in Val d'Arroscia ed avvertì i compagni [n.d.r.: di una pattuglia della Divisione "Bonfante", di cui Gino Glorio, che lasciò scritto questo racconto, era amministratore]: quando il nemico prese il paese alle spalle questo era già sgombero.
Gli eventi di Bosco li ricostruii da vari racconti: quando venne dato l'allarme il nemico aveva già circondato il paese dalla parte sud ed individuato il casone dove alloggiavano i nostri. Qualcuno riuscì ancora a fuggire, gli altri, circa una decina, vennero catturati prima che potessero far uso delle armi. Nei primi istanti cadde uno dei nostri: il russo. I compagni lo sentirono rantolare mormorando parole della sua lingua, poi a poco a poco si spense. I prigionieri catturati vennero condotti fuori paese con due borghesi catturati nel trambusto e allineati sotto gli ulivi di fronte ad una mitragliatrice.
Chi mi raccontò la vicenda fu Megu [n.d.r.: Ugo Rosso, poche settimane dopo gli eventi qui descritti vice commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Bonfante"], lo studente in medicina che avevo visto il 19 sera. Era a Bosco con gli altri quella mattina, si erano svegliati e stavano scaldando le castagne, quando uno che era uscito a lavarsi scorge a breve distanza il nemico che si muove cautamente: «Ragazzi, i tedeschi!». Un breve grido. Si accorre alla finestra e si comprende che è troppo tardi per resistere: non c'è che da salvarsi singolarmente, ma ci sarà ancora il tempo?
Megu si lancia verso la porta, esce: sente una voce: «Tenente, una raffica da quella parte». E' Carletto. Megu è stato scorto: giù a terra! Una sventagliata di mitraglia passa qualche passo sopra di lui.
Un balzo e via, prima che il nemico spari ancora. Una corsa folle per le viuzze. I tedeschi sono già in paese: un nemico sbarca la strada puntando il fucile: «Alt!». Il partigiano si sente perduto: no, c'è una porta socchiusa. Uno scarto di fianco e Megu è in un fienile. Si guarda intorno: là c'è un'altra uscita: presto, il nemico lo segue! Il partigiano fa per balzare all'aperto, ma l'altra porta è sorvegliata. Un altro tedesco lo prende di mira, Megu balza indietro, di nuovo dentro, cerca di occultarsi nel fieno, ma ormai si sente perduto: i tedeschi entrano, rovistano ovunque, lo catturano.
Viene condotto fuori, sotto gli ulivi, allineato con gli altri compagni: di fronte hanno una mitraglia. Megu comprende, i suoi nervi si tendono fino allo spasimo nella ricerca di una possibilità di salvezza, di fuga nei brevi istanti che rimangono. Ecco: Megu conosce il tedesco, ascolta attento le parole dei soldati, gli ordini dell'ufficiale, osserva... osserva la mitraglia, vede che il nastro non è ancora in posizione: al mitragliere occorrerebbero pochi secondi per poter cominciare a sparare, bisognerebbe approfittare di quei secondi. L'ufficiale tedesco si rivolge ai nostri in italiano: «Se uno fugge spariamo sugli altri». Poi in tedesco al mitragliere: «Al mio comando inizia il fuoco».
Megu comprende e pensa ad un inganno: «Ragazzi, ci ammazzano!». Un istante ed i partigiani d'un balzo si disperdono lanciandosi verso il basso: il nemico, per errore, ha lasciato la discesa alle loro spalle. Saltando i muretti di sostegno del terreno, i cespugli ed i fossati, i partigiani fuggono alla cieca: il pericolo è mortale ed il nemico può essere ovunque. Il mitragliere ha tentato di sparare, ma nell'orgasmo l'arma gli si inceppa; allora l'ufficiale impugna la pistola automatica e fa fuoco: cadono quattro compagni e i due borghesi che non erano fuggiti: «Ma io non sono partigiano!». Megu sente il grido disperato coperto dalla raffica. Gli altri riescono a fuggire.
Megu fa qualche decina di metri col cuore in gola, di corsa; poi vede che un tedesco lo ha preso di mira dall'alto di una rupe da pochi metri di distanza: «Alt!». Megu è di nuovo nelle loro mani.
Il prigioniero è condotto sulla piazza della chiesa, perquisito, privato di tutto, anche del poco tabacco, poi è lasciato ad un soldato che lo sorveglia da breve distanza. Il partigiano cerca di parlare col soldato servendosi della sua conoscenza della lingua. Conoscerà il suo destino? Potrà avvicinarsi al nemico e cercare di disarmarlo? Il tedesco intuisce le sue intenzioni e gli impedisce di avvicinarsi: «Ti fucileremo quando torna l'ufficiale, tarderà forse ancora dieci minuti... No, niente prete: il prete è scappato dal paese». Megu allora cambia tattica: il tedesco ha il fucile a tracolla, ci vorrà qualche istante perché possa usarlo. E' più facile che usi la pistola P38 che impugna, ma Megu può sperare di non esser preso al primo colpo. C'è poi la mitraglia pesante che era dei partigiani e che è rimasta sulla piazza, ma se si riesce a saltare nella fascia di terreno sottostante si è in un angolo morto e la mitraglia non è più temibile. Megu conosce la zona ed in pochi istanti potrebbe essere al sicuro in un rifugio. Il difficile è avvicinarsi all'orlo della piazza. Passano minuti che paiono eterni: il tedesco è seduto a breve distanza con gli occhi fissi su di lui e l'arma in pugno. Megu sa che deve distrarlo, deve riguadagnare la libertà in quei pochi minuti in cui sono solo loro due, poi non sarebbe più possibile. Megu chiede al tedesco se può allontanarsi per una necessità urgente. La scusa è puerile, ma non gli è possibile trovare di meglio. «No! Vai solo fin lì», risponde la sentinella indicandogli l'orlo della piazza. Megu obbedisce, si accuccia, al primo attimo di distrazione, senza alzarsi, si lancia giù dalla piazza. Il partigiano cade: il salto è stato più alto del previsto e non ha avuto modo di prendere l'equilibrio nè la spinta. Un colpo violento alla schiena e rimane senza fiato, bloccato. Il tedesco appare in alto, dalla piazza lo scorge riverso, lo prende di mira con la pistola. Megu sa che questa volta il tedesco tirerà senza indugio, fa uno sforzo supremo e si lancia in basso in un altro salto. Il soldato spara, ma non lo colpisce. Megu si rialza e scompare di corsa tra gli alberi. Dopo un mese i compagni portavano ancora il cibo a Megu nel rifugio: «Lo facciamo volentieri perché quel giorno ci ha salvato la vita, visto che sapeva il tedesco: ma da allora non è più uscito dal rifugio. Se continua ci farà i funghi».
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 149-152
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999