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mercoledì 13 marzo 2024

L'indimenticabile medico dei partigiani, uomo di Isolabona

Fonte: trucioli.it

Mi accingo, con commozione, a parlare di un argomento che mi sta tanto a cuore e penso commuoverà anche voi. Parlare di sanitari, ospedaletto da campo è come dire "Pavia".
Il 24 agosto 1944 nell'ospedaletto da campo veniva effettuato il cambio di guardia. Il dott. Pigatti, che aveva come collaboratore un suo figliolo, studente universitario in medicina, lasciava la direzione dell'ospedaletto della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” e gli succedeva “Pavia”.
Pavia era il nome di battaglia del nuovo medico, Leo Anfosso, nato e residente a Isolabona. Studiava nell'università di Pavia, dove avrebbe dovuto essere alunno del quinto ed ultimo anno di medicina.
Giovane entusiasta e socievole, gioviale e scherzoso, portava serenità ed entusiasmo in ogni ambiente che frequentava.
Il suo non era un agire da daddolo, ma si dava da fare veramente. Capiva che doveva diventare un distributore di dande, cinghie che sorreggono i bambini quando imparano a camminare e guidarli nelle evitabili sorti delle battaglie. Oserei perfino dagli del dandismo per la sua elegante e raffinata capacità di aiutare senza mai umiliare. Ai per forza debosciati feriti, decrepiti per momenti di scoraggiamento darà il sorriso, la fiducia, la gioia di riprendere nella vita. Nel deflagare della guerra, nel colpo debilitante di una pallottola il combattente potrà cadere in deliquio, subire uno svenimento, ma sarà lui, Pavia, a ridargli quella energia che lo riporrà sul fronte, in prima linea. Tra i partigiani la ferita non significava imboscamento, ma solo pausa in attesa di una pronta ripresa del combattimento, fino alla dedizione assoluta. Il riparatore delle ferite era Pavia, il giudice inappellabile della ripresa.
L'estate del 1944 fu un periodo di continui rastrellamenti. Per ragioni di protezione e di sicurezza l'ospedaletto fu trasferito in Piemonte a Valcona. Luogo un po' scomodo. Non appena fu possibile, nell'autunno, fu riordinato nei luoghi vicini ai reparti combattenti. Si stabilì a Drondo una frazione del Comune di Triora e successivamente a Bregalla, altra frazione dello stesso comune.
Un "casone" a due piani era l'ospedaletto. Preparato con mezzi raccimolati un po' ovunque e reso funzionale e sicuro da Pavia con rinforzi cautelativi. Forse mancava di quella igiene e pulizia di un moderno ospedale. Ma si sa che gli angeli Custodi dei militari allontanano una infinità di pericoli e soprattutto le infezioni.
Il C.L.N. di Sanremo provvedeva le medicine. Assiduo e generoso fornitore era il farmacista Marco Donzella. E vi è anche una curiosità da non lasciare in oblio. Per mirabili o misteriose vie i medicinali e materiale sanitario provenivano dalle caserme dei militari e anche dei repubblichini. Più tardi, quando gli americani inizieranno i loro lanci, i medicinali saranno abbondanti.
Trattamento degli ammalati
I malati ricoverati venivano divisi in tre reparti. Nel primo vi erano gli immobilizzati, nel secondo i feriti che potevano camminare, nel terzo gli ammalati che dovevano tenere il letto.
Tale divisione di ammalati si rese necessaria per un più veloce smistamento dei degenti nelle grotte delle montagne, qualora si presentasse il pericolo di un rastrellamento da parte dei nazi-fascisti. Farsi scoprire da loro significava essere uccisi.
Per i feriti gravi, quando occorreva un consulto, la visita di uno specialista, si ricorreva, quando lo si trovava, perchè anche lui era braccato dai nazi-fascisti, al prof. Moro di Castelvittorio, o al dott. Rinaldo Ferrero di Pigna e medico condotto a Triora, o al dott. Natta di Imperia. Qualche rara volta ci si rivolgeva al Dott. Martini che era medico capo della Divisione I^ “Felice Cascione”.
Ma il nostro Pavia faceva veramente miracoli. Certo che le distanze imponevano sacrifici e tempo. Talora era dispensabile una medicazione pronta, fatta dal vicino che più aveva coraggio di farla.
Io per esempio, ricordo di essere intervenuto a Langan per medicare un ragazzo dilaniato da una bomba a mano scoppiategli tra i piedi, per uso imprudente.
Ed Erven, che assistette, medicai ed anche intervenni quasi chirurgicamente, nei casoni sopra Cetta.
E Toscano, a cui incisi una caviglia sul piazzale di Cetta per tumefazione pericolosa e gli estrassi schegge dalla ferita. Fu drammatico il sistema di addormentarlo per non farlo urlare. E vedremo altri casi nel corso di questa narrazione.
Pronti per il nascondiglio
Nell'ospedaletto da campo tutto era predisposto per lo spostamento veloce. I rastrellamenti erano frequenti e massicci. Le scorte avanzate davano in tempo l'avviso dell'arrivo delle truppe nazi-fasciste. Nei luoghi più impensati, lontani dalle strade e dai sentieri di collegamento, vi erano grotte e buche ben nascoste. I feriti e gli ammalati venivano trasportati in gran fretta fino ad un certo punto. Poi erano lasciati alla cura esclusiva di Pavia. Egli non voleva assolutamente che nessuno sapesse dove nascondeva i suoi feriti e gli ammalati. Lui stesso se li caricava sulle spalle e li portava alla destinazione da lui voluta. Non voleva che succedessero inconvenienti ed evitare cattive sorprese. Eravamo in guerra ed ogni ombra, ogni indizio potevano essere e rappresentare un pericolo.
Pavia faceva il giro dei suoi pazienti, portando loro viveri necessari e le prestazioni mediche indispensabili. Naturalmente ci furono casi di feriti e di ammalati gravi. Nessuno però morì. Furono gli interventi del medico? Fu l'aiuto del Buon Dio? Fu la tenace speranza degli ammalati, il loro desiderio intenso di vita? Tra i feriti voglio ricordare in modo particolare Erven, il Vice Comandante onorario della Brigata. Dopo tante battaglie, in un attacco contro i tedeschi, verso Baiardo, veniva ferito gravemente alla coscia destra. Gli si era tagliato il nervo sciatico. Quanta cura ebbero i suoi compagni! Quante ne ebbe da tutti! Prima però che potesse essere portato in un luogo sicuro per vere medicazioni, passarono giorni e settimane. Eravamo nel giugno del 1944. Portato in un "casone" sopra Cetta, gli prestai, come dissi, io le prime cure. Finalmente il Prof. Moro di Castelvittorio, potè essere pronto nell'ospedale di Triora per l'intervento. Ma un'ora prima venivano a far visita alla nostra zona per un rastrellamento, i tedeschi, in gran numero.
Era il 3 luglio 1944 quando Triora fu data alle fiamme. Mi sovviene la figura di Nerone, ma un bel tacere è cosa pia. Il povero Erven veniva trasportato, di corsa sul monte Truno, sopra Triora e lasciato sotto le stelle. C'era un rudere di un "casone" ma era senza tetto. Unico sostentamento fu un po' di latte e acqua. La rifornitrice coraggiosa fu la signorina Antonietta Bracco abitante nella frazione di Triora, Bregalla. Volontaria infermiera dell'ospedaletto, a rischio continuo della sua vita, saliva sul monte due volte al giorno per dire una parola buona al ferito, solo con Dio e braccato dagli uomini.
Terminato il rastrellamento lo recuperò Pavia nel suo ospedaletto, spesso volante.
Mentre descrivo sento un brivido passarmi per la schiena ed una commozione che mi fa lacrimare, pensando agli uomini e agli avvenimenti. La vita del medico Pavia era travagliatissima, il lavoro snervante e nelle condizioni le più assurde.
Enormi distanze da percorrere tra un distaccamento ed un altro. Non c'era la possibilità di riposare. La popolazione dei paesi che si trovavano nella zona di operazione avevano in Pavia l'unico medico, ed era l'unica speranza per gli ammalati. Nelle sue continue peregrinazioni da un luogo all'altro, entrava nelle case dei borghesi a visitare ammalati, a distribuire medicine, a dare una buona parola, un sorriso ed una barzelletta che sapeva raccontare egregiamente. Poi subito via per un'altra chiamata. Il rischio che egli correva era molto maggiore di quello degli stessi partigiani e dei loro comandanti. In caso di rastrellamento tutti cercavano un luogo al riparo, mentre lui non poteva lasciare i suoi pazienti. Nell'ottobre del 1944 i tedeschi erano venuti a piantare le loro tende a circa 10 metri dove lui aveva nascosto i suoi. Nessuno ha mai parlato diffusamente del suo eroismo. Fu lui che mi raccontò che, terminato il pericolo, ricomponeva il suo ospedaletto e sereno e sorridente continuava la sua missione. Così, semplicemente così. Voi che mi leggete e che eravate alle cure di Pavia potete e dovete riconoscere il suo senso del dovere fino al sacrificio.
Quando morì, io ero al suo letto, ne composi la salma. Moltissimi di voi eravate presenti al suo funerale. Fu un trionfo, non un corteo funebre. Quando terminai di celebrare la messa nella Chiesa del cimitero, e ne era passato del tempo dall'inizio del corteo, continuavano ad arrivare le automobili del seguito. Sua moglie mi chiese come mai io non piangessi. Il dolore profondo è muto.
Mi sia consentita qui una parentesi sincera. Per una ragione, forse anche spiegabile, tra i partigiani si era formata una forte reazione contro gli ufficiali aggregati e loro stessi partigiani. Il bisogno di un nuovo mondo vedeva nei graduati dell'esercito, una forma di conservatorismo, di tradizione. Una larvata minaccia di anarchia soffiava nel fuoco del malcontento e cercava vittime. I concetti e gli avvertimenti di Vitò cacciarono la terribile dea infernale Aletto nella sua sede. Gli ufficiali si dimostrarono poi degni di essere chiamati a posti di comando. Furono i primi a prestarsi come barellieri ed infermieri alle dipendenze di Pavia.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Oltre 70 persone ieri hanno preso parte alla inaugurazione dell'Ostello Leo Anfosso di Carpasio. Un luogo che ha una storia particolare e rinasce grazie a Katiuscia Vivaldi e Jacopo Siffredi (che abbiamo intervistato), con una forma ritrovata dopo un lungo periodo di chiusura e con l'intento di ricordare una persona importante per la valle Argentina.
Parliamo di Leo Anfosso, meglio conosciuto come 'U megu Leu'. Medico condotto e anche partigiano (nome di battaglia, Pavia, dal luogo di studi). Un uomo buono, innamorato di questa terre e della sua gente, territori per i quali lottò e persone che aiutò (anche economicamente) in un periodo difficile, in cui molte famiglie si trovavano nell'indigenza. Gli episodi che videro protagonista Anfosso ne hanno fatto un protagonista della storia di questo entroterra una persona il cui ricordo è ancora oggi, caro a molti.
[...] Tra i partecipanti all'inaugurazione c'era Gipo Anfosso, il figlio del Medico Leo, che alcuni anni fa per ricordare la storia del padre scrisse "Io ricordo tutto", libro che ha fatto capolino all'Ostello portato dallo stesso autore che ha condiviso con noi alcune emozioni per questa inaugurazione. "C'era proprio una bella atmosfera. Ho visto tante persone venute per l'evento e venute anche per ricordare mio padre che è morto 57 anni fa. Mi ha fatto piacere vedere come il ricordo di lui sia ancora molto vivo" racconta con una certa emozione Gipo Anfosso.
[...] "Domenica con questa celebrazione abbiamo commemorato il passato con qualcosa di concreto che servirà per il futuro, l'Ostello. Sono molto felice e soddisfatto per l'impronta data da Katiuscia. È un posto che ricorda i valori cari a queste terre dell'antifascismo e si apre all'ospitalità e alla cultura con l'intenzione di organizzare eventi culturali e non solo. Anche nelle scelte stilistiche emerge l'amore per la natura, altra grande passione di mio padre". [...]
Stefano Michero, Carpasio: inaugurato l'Ostello Leo Anfosso. Il figlio Gipo: "Sarebbe piaciuto molto a mio padre"la voce di Imperia.it, 29 agosto 2023

martedì 8 agosto 2023

I tedeschi si rendevano conto di aver a che fare con pochi disperati

La stazione ferroviaria di Ceva (CN) in un'immagine d'epoca. Fonte: Ferrovia del Tanaro

Luglio 44
Garessio viveva allora la vita irregolare di quella zona partigiana in cui quella parvenza di organizzazione che si era tentato di iniziare aveva poco o niente fatti sentire i suoi effetti.
Partigiani se ne vedevano pochi per le vie perché già da Ormea era stato imposto che, se non per servizio, si doveva stare fuori dall'abitato.
Lo stesso distaccamento di Cion [Silvio Bonfante] alloggiato in quei giorni dentro la città rimaneva costantemente consegnato sulla piazzetta della chiesa principale.
Viveri non ne mancavano ché la provincia piemontese era ricca di prodotti.
L'unica angustia degli uomini venuti dalla Liguria era l'assenza di occasioni per combattere.
Ricordo un giorno in cui venne una staffetta a segnalare tedeschi nella zona di Val Casotto. La notizia di un dono imprevisto non avrebbe potuto provocare una manifestazione di gioia maggiore di quella.
Scattarono tutti verso le loro armi; nell'angolo Fiume, un mitragliere, piangeva, perché un gonfiore alla gamba gli impediva di seguire la sua pesante arma.
Mancen [Massimo Gismondi] continuava a stare a Pievetta. Nella vicina Bagnasco fu un giorno fatta sepoltura di un partigiano caduto. Mancen andò con una decina di suoi uomini per le esequie. Terminata la cerimonia, invece di tornare all'accampamento, pensò bene di andare un po' anche lui a divertirsi nella stazione di Ceva.
Nell'azione precedente aveva avuto solo una parte secondaria e non era tipo da non volersi rifare.
Che dieci o dodici uomini fossero un po' pochi per una cosa del genere a lui poco importava. In effetti i tedeschi dopo lo scherzo dalla settimana prima non erano ancora tornati a Ceva, ma il passaggio di automezzi e treni non si era per nulla interrotto.
Al ritorno non esitò a confessare che era stato non molto fortunato.
Dopo poco che era entrato in stazione, arrivò il primo treno.
Non avevano fatto ancora segno per fermare i viaggiatori, che dai finestrini incominciarono a partire raffiche a tutta forza.
La frittata era fatta: era un trasporto militare. In quei tempi ancora di armi automatiche leggere ve ne erano poche. Mitragliatori, e pesanti, parecchi, ma quel giorno più che moschetti e pistole non si erano portati.
Scappare non stava bene, e poi più baccano c'era più loro si divertivano. Grillo, uno della Volantina che si era avvicinato subito ad un vagone, non trovò di meglio che coricarcisi sotto, e girare [n.d.r.: o tirare? Il dattiloscritto riporta, comunque, "girare"] con la pistola a tutto quello che vedeva spuntare o dai finestrini o dalle predelle.
Mancen dietro un pilastro aveva l'unica preoccupazione di far centro in tutti gli stivaletti che tentavano di uscir fuori dalle portiere.
Gli altri a più non posso tiravano all'impazzata.
La cosa per un po' andò così, poi incominciò a rivelarsi lo squilibrio, man mano che i tedeschi si rendevano conto di aver a che fare con pochi disperati. Fu allora che Mancen fece ripiegare i suoi, e fu grande impresa il solo atto di averli riportati indietro senza una scalfittura.
Il 12 di luglio tornò a Garessio Curto [Nino Siccardi] e comunicò a tutti la grande notizia: la IX^ Brigata Ligure passava per i suoi meriti a divisione. Nasceva la "Felice Cascione".
27 distaccamenti venivano suddivisi in tre brigate di nove distaccamenti ciascuna: la I^, la IV^, la V^.
Cion fu subito proposto come comandante della prima e Mario [Ottavio Siri] passava a fianco a lui come Commissario.
Gli uomini della Volante non esultarono a tale notizia. Per loro significava non avere più a fianco Cion compagno di tante lotte.
Dovette promettere che avrebbe tenuto sempre i vecchi compagni vicini a lui come prima e che mai sarebbe mancato fra di loro. L'affetto di quei ragazzi per il loro capo era commovente.
La notte venne nel discutere l'elezione del nuovo comandante della Volante.
La mattina seguente ci sorprese in allarme.
L'attacco tedesco su Garessio si era questa volta pronunciato senza incertezze.
Partimmo con Cion alla testa verso il Colle di San Bernardo per sostenere il distaccamento che vi era a guardia.
Giorgio Olivero (Giorgio), comandante della VI^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", Diario, 9 maggio 1945, pp. 9-10. Fonte: Archivio Ligure della Scrittura Popolare

8 luglio 1944 - Da questa data al 27 luglio successivo, si è trascorso in Ormea un periodo di autentica quiete. È vero che ogni tanto si restava un po' preoccupati per le notizie che giungevano, ora dal Piemonte ed ora dalla Liguria, di scontri o di movimenti di forze d'ogni specie, ma qui in Ormea continuava a sopravvivere un vero centro di patrioti indisturbati; e nulla degno di nota si è svolto in questo periodo.
27 luglio 1944 - Verso le cinque del pomeriggio il Capitano Bologna mi confida che, dal Colle dei Termini, sta scendendo su Ormea una forte colonna di tedeschi, per cui sarebbe prudente allontanarsi. Intesa la notizia, radunammo in famiglia tutto ciò che più ci premeva e, col carro a quattro ruote di Antonietto Sappa di Luigi, partimmo tutti per Bossi - sotto frazione di Bossieta - ove trovammo asilo presso la famiglia di Roberto Merigone. Ivi prendemmo dimora e fu provvidenziale questa nostra decisione, confrontandola con i bombardamenti e i mitragliamenti di cui fu in seguito bersagliato il piccolo centro di Ormea.
28 luglio 1944 - Ai Bossi, in questo gruppo di cinque o sei baite, costruite in mota sul nudo scoglio, ai piedi del Pizzo della Guardia in una morta gora perché incassata e chiusa fra i ripidissimi pendii del Rio Bossi, assistiamo ad un continuo movimento di patrioti che, alla spicciolata e a gruppi, passano e si eclissano nelle foreste che coprono le alture circostanti.
29 luglio 1944 - Anche questo misero raggruppamento di catapecchie ormai assume la sua importanza. Da Ormea salgono persone d'ogni età e d'ogni sesso. Giungono anche donne ansimanti e impaurite che gareggiano nel racconto della invasione tedesca.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

venerdì 19 maggio 2023

Contrasti tra partigiani garibaldini e partigiani autonomi nei dintorni di Nava

La zona del Col di Nava, comune di Pornassio (IM). Foto: Mauro Marchiani

Giorgio (Giorgio I, poi Cis) Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri [Enrico Martini] e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto", come risulta da una sua memoria scritta (oggi documento IsrecIm, studiato da Giorgio Caudano). Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". 
Adriano Maini

L’ordine di catturare i ribelli era stato emanato dal colonnello Paolo Ceschi “Rossi”, comandante locale che, con il suo attendismo, in pratica manteneva l’ordine nella zona per conto dei nazifascisti. Basti pensare che in quel periodo le caserme di Mondovì e Fossano, città controllate da tedeschi e repubblicani, erano presidiate da uomini agli ordini di Ceschi! Il colonnello aveva il controllo della zona Monregalese - Langhe fin dal convegno di Val Casotto del 24 ottobre 1943 (cui, con tutta probabilità, aveva preso parte anche l’avvocato Astengo, poche ore prima di essere catturato), in cui la mentalità attendistica degli ufficiali era stata aspramente criticata, fra gli altri, da un personaggio del calibro di Duccio Galimberti, un monumento della Resistenza azionista.
[...] Questa vicenda evidenziò una frattura mai del tutto ricomposta fra resistenti “rossi” e “azzurri”. Inoltre, insieme alla crescente impazienza dei partigiani “colpisti” decisi ad attuare una vera guerriglia contro il nemico, fu la causa della sfiducia del CLN regionale piemontese al generale Operti dell’ex Quarta Armata del disciolto Regio Esercito, che ebbe tra le sue conseguenze la rimozione dal comando del colonnello Ceschi, rimpiazzato dal maggiore Enrico Martini “Mauri”.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

I partigiani locali, allora al  comando di Enzo Marchesi (col. Musso)  catturano alcune autorità fasciste  il 20 dicembre  1943 in  valle  Corsaglia  (CN).  Il  26  dicembre  giunge  a  comandare  il  gruppo il  maggiore  Enrico  Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi, con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i tedeschi  attaccarono  in  forze  quasi  tutti i partigiani dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani e furono trucidati.
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57

Aldo Romei (Roma) fu dapprima per circa tre mesi con Martinengo  [Eraldo Hanau, comandante in seguito della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri']poi nel giugno, luglio e agosto 1944 con il capitano Umberto (Candido Benassi) e infine entrò nelle SAP sanremesi...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Mandammo tutti gli sbandati della 4^ Armata che transitavano nella nostra zona, specialmente quelli che arrivavano da Albenga, a Valcasotto. Vestivamo quei soldati con abiti civili e li accompagnavamo in montagna, a Valcasotto dove si stavano organizzando le formazioni di Mauri.
Il primo maggio del '44 successe una cosa curiosa. Di solito in quella giornata venivo fermata, mi trattenevano a Mondovì oppure agli arresti domiciliari; quell'anno un signore mi fece una soffiata che giunto un ordine ai carabinieri di arrestarmi per una settimana.
Mi nascosi e non mi feci prendere; poi lasciai trascorrere un po' di tempo e scrissi al questore domandandogli perché avevano paura di una donna piccola come me, tanto da ordinare di arrestarmi senza un motivo preciso.
Le autorità misero in guardia i carabinieri, volevano sapere chi mi aveva fatto la soffiata.
Ricevetti l'ordine di recarmi immediatamente a Cuneo alla questura.
[...] Dunque a Valcasotto c'erano le formazioni di Mauri; Bogliolo e Gaietto lavoravano con altri piccoli gruppi. Le brigate Garibaldine vennero una volta, in occasione della battaglia del S. Bernardo (ne parla anche Mario Giovana nel suo libro “I Garibaldini delle Langhe”).
Una volta rischiai la vita. C'era un compagno, si chiamava Dino; lo volli conoscere perché venni a sapere che aveva dipinto falce e martello sul vessillo del suo gruppo di partigiani. Aveva abbandonato le formazioni di Mauri ed organizzato un gruppo di quindici uomini. A Mauri la cosa non piacque perché voleva mantenere il controllo dell'intero territorio, quindi si giunse ad uno scontro.
Salii una notte a Valcasotto con un membro del C.N.L. Per parlare con Mauri e far terminare queste lotte intestine, ma fu inutile.
Dopo qualche giorno ero in casa quando sentii che stava accadendo qualcosa sul crocevia, c'era la mitraglia piazzata. Mi precipitai pensando che volessero uccidere Dino e i suoi uomini. Avevano preso Dino e tre dei suoi. Era presente Bogliolo, tentai di farlo ragionare, ma l'unica risposta che ottenni fu uno schiaffo che mi spostò la mandibola.
Volli parlare con Mauri.
Partimmo per Bagnasco; mentre aspettavamo udimmo una raffica: avevano ucciso un partigiano di Ceva. Bava, che venne nella nostra zona dopo l'incendio di Boves, si trovava quel giorno a Bagnasco e venne a sapere che mi avevano preso - ormai ero nelle loro mani - così fece arrestare il gen. Paolini e il console Gobbi e disse a Bogliolo che se mi fosse successo qualcosa ne avrebbero pagato loro le conseguenze.
Mauri non era a Bagnasco, così partimmo per le Langhe, dopo aver saputo che la situazione a Garessio era di massima tensione. Durante il tragitto fermarono il camion su cui viaggiavano Dino e i suoi e li uccisero. A Rocca Cigliè c'era il comando generale di Mauri. Mi fecero entrare nella torre e alla mia richiesta di avere qualcosa da mangiare, perché ero ancora a digiuno, mi risposero che chi era passato di là non aveva più né mangiato né bevuto. C'era prigioniero con me un tenente d'aviazione, che avendo saputo che ero comunista volle sapere cosa fosse il comunismo, perché non ne sapeva nulla. Sul momento, a pancia vuota, dopo aver visto fucilare quattro persone e con la prospettiva di essere fucilata io stessa, gli dissi semplicemente che per me il comunismo era lottare per la libertà.
La prima reazione nel rivedere Mauri fu il pianto; mi sentivo tradita dalle stesse persone che avevamo aiutato; molte donne a Garessio lavoravano a fare le calze che poi inviavano, insieme al tabacco, su in montagna ai partigiani.
Non riuscivo veramente a capire quelle lotte intestine.
Alla fine Mauri mi mandò in cucina a mangiare qualcosa, ma io non riuscivo a deglutire nulla, un po' per lo spavento, un po' per la mandibola ancora dolorante. Raccontai al cuoco ciò che era successo in Alta Val Tanaro, ed egli si schierò dalla mia parte. Mauri mi accompagnò poi in albergo e mi mise due piantoni alla porta perché non scappassi. Il giorno successivo mi accompagnò con l'auto fino al forte di Ceva. Oltre non si poté proseguire perché Ceva era occupata dai tedeschi. Di lì dovetti proseguire da sola; Mauri mi diede i soldi per il treno perché non avevo preso nulla quando ero uscita di corsa da casa.
A Garessio mi aspettavano due partigiani per accompagnarmi dal comando che si trovava ad Ormea. Andammo su con la locomotiva del treno, perché non c'era altro mezzo di trasporto, ed anche dal Partito arrivò l'ordine che non mi esponessi più così.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995 

La notizia che “Turbine” faceva disarmare gli sbandati e che si era approvvigionato di viveri a Viozene si era diffusa e, passando di bocca in bocca, si era naturalmente deformata. Al Comando badogliano fu detto che gruppi badogliani erano stati disarmati da noi, che un deposito di viveri di “Martinengo” era stato saccheggiato. “Martinengo, che già ci riteneva degli intrusi nella zona, inviò un forte nucleo dei suoi contro le squadre di “Gapon” e di “Stalin”: i garibaldini dovevano essere disarmati. La mattina del 10 [luglio 1944] quelli della “Matteotti”, che si erano fermati a Nava tutto il giorno 9, erano seduti sulle panchine dell'albergo, dove in quei giorni avevano mangiato, quando videro un gruppo di badogliani armati che passava davanti a loro, mentre un altro, fermatosi sullo stradone un po' prima, piazzava una mitragliatrice. I garibaldini guardavano meravigliati ed incuriositi la manovra strana. Il gruppo che era passato loro davanti si ferma in fondo alla strada ed apposta anch'esso le sue armi, poi un ufficiale viene verso l'albergo: 'Ho l'ordine del mio comando di disarmarvi, ci risulta che avete tolto le armi a dei nostri uomini. E' inutile che tentiate di resistere, la strada è sbarrata e siete tra due fuochi'. Effettivamente la 28, che passava fra le case, era bloccata. Alle spalle dell'albergo c'era il Tanaro. “Stalin” [Franco Bianchi] sorrise ironico: 'Queste armi non sono vostre ed io ho dal mio comando l'ordine di non cederle. Se la strada è sbarrata entreremo nell'albergo e spareremo dalle finestre'. La mattina del 10 scendevo lungo la 28 da Case di Nava [comune di Pornassio (IM)] verso Ponti quando vidi un badogliano che saliva in bicicletta. Lo chiamai: 'Dani, c'è qualcosa di nuovo che mi sembri arrabbiato?' L'aspetto di Dani mi impensieriva. Il badogliano si fermò, parlò senza scendere: 'Ci hanno mandato a Ponti a disarmare i vostri. Non abbiamo potuto rifiutare. ma siamo andati con le armi scariche, non vogliamo sparare sulla Stella Rossa. Ora vado al Comando a vedere cosa dobbiamo fare perché i vostri non si vogliono arrendere. Se al Comando insistono pianto tutto e me ne vado. Non sono venuto sui monti per sparare sui compagni. Se vedi i tuoi, di' loro che non sparino, se ci ammazziamo tra di noi è finita. Di' ai tuoi che i miei compagni hanno le armi scariche'. Il buon senso degli uomini evitò il peggio. I garibaldini non vollero sparare per primi, gli altri non potevano farlo. Da Viozene venne giù “Turbine” e “Martinengo” arrivò in moto; intervennero altri comandi, si discusse a lungo mentre gli uomini delle due formazioni si univano ed i badogliani mostravano i caricatori vuoti. Cosa si dissero i comandanti? Non lo sapemmo. Come conclusione la “Matteotti” rientrò in serata a Viozene con l'ordine di partire appena possibile per San Bernardo di Garessio.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

Il secondo caso è più eclatante: quando nei primi giorni di agosto 1944 Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento” attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri” [101].
Con quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto [102], abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i comunisti e poi Mauri”.
Probabilmente, da comandante abile e astuto quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante la sua breve assenza, non poté non influire sulla sua decisione di continuare la lotta nel movimento di Liberazione.
[NOTE]
[101] BAB, R 70 Italien/3, p. 2a s. Il testo originale è: "Bandenführer Mauri festgenommen bei SD Cuneo. Wiesner z.Zt. in Cuneo [...] betr. Verhandlungen [...] Mauri zurück. Regelung: keine Angriffe auf Wm. Hinweise auf Kommunengruppen [sic]. Bekämpfung u. Nachsicherung von K[ommunistische]P[artei]-Räumen; erst K[ommunistische]P[artei], dann Mauri“ (la punteggiatura e le integrazioni sono mie).
[102] Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Bologna, Cappelli, 1988.

Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945 in Aa.Vv., (a cura di) Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010 

Il 12 settembre 1944 “Mauri” ordina alla brigata “Val Tanaro”, della IV divisione Alpina, di recarsi in Val Casotto in virtù degli sviluppi della guerra sul fronte occidentale e delle direttive del CMRP (Comitato Militare Regione Piemonte) del 27.8.44. Il giorno seguente vengono diramate nuove comunicazioni del CLNRP (Comitato di Liberazione Nazionale Regione Piemonte) per l'insurrezione.
[...] nella seconda metà di luglio, “Mauri” crea il Comando del 1° settore cuneese e delle Langhe, che comprende due divisioni alpine: la I, valli di Peveragno, Pesio, Ellero, Miroglio, Corsaglia; la II, Casotto, Mongia, Tanaro; e una divisione Langhe. Sotto questo comando non risultano esserci formazioni di partito, che vengono quindi escluse da questa zona, a meno che formazioni politiche che intendano operare in queste zone non si sottopongano come le altre al Comando del 1° settore. Il comando dichiara la sua esclusiva dipendenza dal CLN, e si specifica il carattere militare delle divisioni Alpine che fanno capo al Comando. All'interno di questo comando di settore, “Mauri” crea un ulteriore organismo, il comando del 1° GDA, composto inizialmente da circa tredici distaccamenti.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di sole (con noi c'era anche Rustida [Costante Brando] che coi suoi ci aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo.
[...] Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi].
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose.
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il Comitato Liberazione Nazionale di Garessio (CN) e quello di Ormea (CN) avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo Badogliani, come loro ci chiama­vano Stelle Rosse).
Tradotto in pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la formazione di una Brigata garibaldina.
E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [n.d.r.: in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [in provincia di Imperia].
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 , p. 166

1 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 173/CL, all'Ispettorato della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "Il capitano Umberto [n.d.r.: Candido  Benassi, già comandante di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, operante tra Baiardo (IM) e Ceriana (IM), che, prima di venire sciolta intorno al 20 settembre 1944, aveva sporadicamente collaborato con i garibaldini e aveva anche momentaneamente incorporato Italo Calvino] starebbe costituendo un distaccamento da spostare in Piemonte per poterlo unire ai badogliani, ai quali comunicherebbe altresì l'esigenza di eliminare le formazioni garibaldine".
10 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" all'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria] - Comunicazione circa la presunta cattura del comandante Mauri [n.d.r.: probabile riferimento, fatto, dati i tempi, in netto ritardo, all'arresto di Mauri da parte dei tedeschi avvenuto ai primi dell'agosto precedente nelle Langhe; sul ritorno in libertà del comandante badogliano esistono due versioni: fuga rocambolesca (memorie di Mauri stesso, riprese anche con questo articolo pochi mesi or sono da Patria Indipendente, rivista dell'ANPI) e trattativa con i teutonici con conseguente rilascio (come in Carlo Gentile, non solo in I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi, 2015, ma anche in vedere infra] "... giurata da Mauri una lotta feroce contro fascisti e garibaldini...
15 gennaio 1945 - Dalla II^ Divisione, Sezione S.I.M., al comando della II^ Divisione - Relazione generale, da cui si evince: che il comando tedesco aveva dato ordine agli industriali di vendere loro i macchinari o di renderli inservibili; che Mauri sarebbe stato rilasciato dai tedeschi e si era ripromesso una lotta feroce contro fascisti e garibaldini; che il generale della Divisione tedesca operante in zona era stato nominato Gauleiter di Ormea (CN), Ceva (CN), Mondovì (CN) e Cuneo; che erano transitati molti uomini dei Cacciatori degli Appennini [della Repubblica Sociale] in direzione di Albenga (SV) [...]
27 febbraio 1945 - Da Mimosa [Emilio Mascia di Sanremo, quadro della V^ Brigata S.A.P. "Giacomo Matteotti" della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvisava che ad Alassio era stato visto il capitano Umberto [Candido Benassi], il quale aveva incitato loro uomini ad aggregarsi al Battaglione "San Remo" da lui formato per andare in Piemonte.
18 marzo 1945 - Dal comando della III^ Divisione "Alpi" a "Curto", comandante della I^ Zona Operativa Liguria - Scriveva che "in risposta alla richiesta di chiarimenti sull'uccisione dei due ex garibaldini "Lino Bruno" e "Gianni" si comunica che essi furono giustiziati su indicazione del tenente "Aldo" della I^ Zona prima che questi morisse eroicamente. "Aldo" aveva comunicato a questo comando che i due soggetti agivano in traffici illeciti ai danni dell'organizzazione partigiana: in dicembre, infatti, nel culmine del grande rastrellamento venivano sorpresi a gestire i loro traffici. Nel caso in cui sarà necessario fornire ulteriori informazioni queste verrano date dalla polizia giudiziaria divisionale. Per rafforzare la linea di reciproca collaborazione, che già da tempo  esiste, si auspica di avere nuovi fruttuosi contatti".
31 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalazione circa "... atteggiamento ostile da parte delle Brigate Mauri nei confronti delle squadre della Divisione mandate ad operare in Val Tanaro... inviata una lettera a Mauri con cui si ricordava la comune causa di tutti i patrioti...".
16 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Comunicava che ... 'in Val Tanaro i bandi di reclutamento di "Mauri" rimanevano inascoltati'.
18 aprile 1945 - Dal  comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Ordine di inviare una squadra presso Martinengo [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'], con cui erano già stati presi accordi, per ritirare 250.000 colpi per mitragliatori St. Etienne.
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

CARLI, CARLO, 20.05.1918 Imperia.
Aosta 3° corso, 1° dicembre 1941, alla Testafochi con il cap. Rasero ed il ten. Scagno (di essi serbo un ricordo meraviglioso!). Campo invernale ad Oropa. Sergente a Merano, Maja Bassa, con il col Martinoja ed il ten. Formato (poi caduto in Russia). Campo a Solda, rientro a Merano, quindi a Bassano. A fine giugno, per me fine del corso: appendicite, operato ad  Alessandria, un mese di convalescenza ed eccomi al 3° Alpini a Pinerolo dove rimasi all’addestramento reclute fino al drammatico 8 settembre 1943.
- Armistizio! Il Maresciallo Badoglio l’ha chiesto, il generale Eisenhower lo ha concesso: ma noi? Che siamo adesso noi, lasciati senza ordini? Che cosa siamo per i tedeschi ed i fascisti, che di ordini precisi sono ben forniti?
A queste domandine non proprio leggere risposi prendendo il treno delle 4.40 per Torino Lingotto - Ceva - Ormea e così, proseguendo sempre per vie secondarie a piedi e in bicicletta, arrivai a casa il 10.
Contattai un amico, che sapevo antifascista e Guardiamarina alla Capitaneria di Porto ad Imperia. Risposta: - Qui non è rimasto nessuno, ma le armi sì.
Lo raggiunsi con un furgoncino Balilla, presi moschetti, pistole, una mitragliatrice Breda con relative munizioni e portai il tutto in casa di amici in un paesetto della vallata. Questa fu la seconda risposta alle domandine di cui sopra.
Il 18 settembre uscì il bando di presentazione.
Carlo Verda (poi “Lucio”), sottotenente appena uscito da Bassano, altri due amici nelle mie condizioni ed io, zaini pieni di generi alimentari, prendemmo la via dei monti e ci sistemammo in un casolare. Ben presto la zona si riempì di “renitenti”, subito pressati da comunisti che li volevano “arruolare”. Io raggiunsi gli amici presso i quali avevo nascosto le armi e organizzammo un paio di bande (questo era il termine) di 25 uomini ciascuna raccogliendo i giovani che non intendevano unirsi ai Garibaldini.
A marzo [1944], constatando che la convivenza con le formazioni comuniste era difficile, cercai contatti con formazioni del basso Piemonte e là mi trasferii, alla V Div. Alpina, Brg Val Tanaro; era comandata dal “capitano Martinengo” (al secolo Eraldo Hanau) che dipendeva dal maggiore Enrico Martini “Mauri”, comandante di tutte le formazioni che operavano nelle Langhe.
Ebbi il comando di una “squadra” di 40 uomini. La valle che solitamente occupavamo era l’alta Val Tanaro, ma a volte, per sfuggire ai rastrellamenti, passavamo nelle contigue Val Casotto o Val d’Inferno. Il comando tedesco era al Grand Hotel Miramonti di Garessio, quindi le nostre azioni di disturbo e contrasto avvenivano sulla S.S. 28, che collega la provincia di Imperia con quella di Cuneo.
Un giorno mi venne consegnato un foglio:
ESERCITO ITALIANO NAZIONALE DI LIBERAZIONE
V Divisione alpina
XXX, 24.11.1944
Siamo autorizzati dalle competenti autorità militari a venire incontro alle richieste a suo tempo avanzate dai rappresentanti della provincia di Imperia.
Pertanto deleghiamo il Sig. Carli Carlo a concludere in forma definitiva, e quali saranno nella veste del C.L.N. gli esponenti delle masse rappresentate.
In forza di tale autorizzazione riconosciuta verranno appoggiati dalle Forze Armate dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Il Comandante della V Div. Alpina
Cap.. Martinengo
Il Rappresentante Militare
dell’Esercito It.Naz. di Liberazione
Dott. Sismondi

Lessi e rilessi. La località XXX era Viozene in Val Tanaro; il Dott. Sismondi era l’Ammiraglio Marenco di Moriondo, e fin qui ci arrivavo, ma il resto non brillava per chiarezza. Il cap. Martinengo mi spiegò che i tempi erano quelli, che la prudenza non era mai troppa e che, in sostanza, dovevo prendere contatti con il C.L.N. di Imperia al fine di costituire la Brigata Liguria dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Tale costituzione non avvenne: tutti i giovani erano “occupati”, o con i partigiani, o con i fascisti, o con la Todt, oppure “occupavano” qualche compiacente cantina. Sì, i tempi erano quelli.
A metà gennaio tornai al mio reparto, che un rastrellamento aveva fatto spostare in Val Casotto. Il 25 aprile, ultimo scontro con fascisti e tedeschi a Garessio, poi la Liberazione.
Partigiano Combattente. Croce al Merito di Guerra. Laureato in scienze economiche e commerciali, ora sono Presidente della Fratelli Carli, con sede ad Oneglia. Cominciai la ricostruzione dello stabilimento, distrutto dalla guerra, con i soli mezzi di famiglia, nel 1945, terminando nel 1950. L’azienda, fondata da mio padre nel 1911, era rimasta inattiva per otto anni ed io subito riavviai la produzione industriale puntando sull’alta qualità del prodotto e sulla vendita per corrispondenza. Ora, lasciatemelo dire, serviamo a domicilio con mezzi nostri settecentomila clienti. Dal 2002 l’azienda ha un prestigioso “Museo dell’Olivo”, ricco di storia e di preziosi cimeli archeologici, visitatissimo.
Sono Membro dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, Cavaliere del Lavoro e Ragazzo di Aosta ’41, tessera n° 397. [...]
Redazione, A -Z, Ragazzi di Aosta ’41 

giovedì 26 gennaio 2023

In una trentina (di partigiani) ci recammo alla stazione ferroviaria di Andora

Andora (SV): ex stazione ferroviaria. Foto: Giorgio Stagni su Wikimedia Commons

Il 12 luglio 1944, con una magnifica azione, il Distaccamento “Volante” asporta quintali di derrate alimentari da un treno merci tedesco.
In particolare: il comandante Cion [Silvio Bonfante], informato dal capostazione di Andora della presenza in linea di un treno tedesco, fermo nella stazione perché impossibilitato a muoversi a causa della ferrovia interrotta da bombardamenti aerei, decide di impossessarsi delle derrate stivate nei vagoni.
Su consiglio del comandante [n.d.r.: della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"]“Nino Siccardi” (Curto) si decide un sopralluogo per coordinare l’azione: Cion, Mancen e Germano, con alcuni uomini, circondano la stazione ferroviaria e sequestrato il personale ed il capostazione, i partigiani si vestono da ferrovieri.
Alle ore ventidue giunge un treno passeggeri, dalla parte della linea non interrotta, da cui scendono repubblichini, Tedeschi e molta gente.
Tutto si svolge regolarmente e ritornata la calma, vengono fatti affluire alla stazione alcuni carri per asportare le derrate.
Una parte di esse è trasferita a Stellanello e poi in Cian di Bellotto; l'altra è messa a disposizione della popolazione che se ne impossessa ed in poco tempo la fa sparire.
Il giorno successivo, il comando tedesco fa prelevare il Podestà di Andora...
                 
Andora (SV)

Redazione
, La Resistenza, Andora nel tempo
 
Trascorsero alcuni giorni senza nulla di nuovo.
Ma in me, anche se il comportamento degli altri partigiani nei miei confronti era migliorato (come ho già accennato), aumentava il desiderio di trasferirmi nella vallata di Stellanello dove si trovavano i miei amici d'infanzia.
Ne parlai con "Merlo" [Bruno Nello] che dichiarò di capirmi, anche se si dimostrava dispiaciuto, perché pensava di perdere un bravo ragazzo ed un buon partigiano.
Mi autorizzò a partire insieme a "Tenni", cosa che feci il giorno dopo.
Ci incamminammo verso Lucinasco e, attraversato il torrente Impero, raggiungemmo Torria dove facemmo sosta grazie ad una signora che mi conosceva, mangiammo qualche cosa che lei ci offrì, quindi trovammo la possibilità di riposarci in una stalla.
Il mattino seguente ci mettemmo in marcia verso il Pizzo d'Evigno, dove incontrammo una pattuglia di partigiani di guardia.
Tra questi c'era l'amico "Norsa" che ci fece festa.
La pattuglia ci indicò il luogo dove era dislocato il distaccamento detto "Volantina", che era comandato da "Mancen".
Trovammo il distaccamento accampato a monte di Evigno, in località Fussai.
Ricevemmo una calorosa accoglienza da tanti amici, non perché io ero l'autore dell'azione alla caserma Siffredi (forse non ne sapevano ancora niente), ma perché ero Sandro, il loro amico fraterno di tante avventure, magari stupide, infantili, amorose o illusorie.
Quella notte dormii saporitamente tanta era la contentezza: mi sembrava di essere a casa mia. 
Alcuni giorni dopo, agli ordini di Silvio Bonfante ("Cion"), in una trentina ci recammo alla stazione ferroviaria di Andora dove, su segnalazione, venimmo a sapere che da alcuni giorni vi era un treno in sosta, con vagoni carichi di grano, avena, pasta, zucchero e generi vari.
Dopo aver preso le opportune precauzioni e poste le pattuglie di guardia, ci trasformammo in scaricatori: asportammo quintali dei generi suaccennati, li caricammo su carri e partimmo prendendo la via del ritorno, dopo averne lasciato una certa quantità alla popolazione locale.  
Un particolare: invitai i miei compagni a recuperare le tendine dei finestrini di due vetture per viaggiatori in sosta.
Di primo acchito la cosa sembrò ridicola, ma non lo fu; con le tendine facemmo confezionare dei pantaloncini corti, resistenti simili, che però sulle natiche avevano impresso le lettere maiuscole FF.SS. (Ferrovie dello Stato): così non potevamo negare di avere rubato la stoffa alle ferrovie.                
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 
 
"Sbrigatevi. Prendete tutto  quello che serve, il resto lasciatelo perdere". Su quel treno eravamo almeno in dieci. Il convoglio era fermo ormai da giorni e i vagoni, tutti in fila, erano sul binario lato mare, quello che dava sulla pensilina della costruzione solitamente usata per le merci. "Ragazzi, bisogna rifornirci anche di coperte... guardate nei vagoni di prima classe, là forse". Era il caos. Su quel treno c'eravamo saliti già da mezz'ora e per la maggior parte sembrava un gioco, un semplice, anche se rischioso gioco. La stazione di Andora era deserta. Eravamo scesi da Stellanello per far man bassa di chissà cosa; eravamo convinti che su quel treno fermo potessimo trovare generi di lusso. Invece... "Prendete le tendine, quelle servono". Sandro Badellino (Biundu), più dinamico e meno fracassone, cercava di accelerare. "Prendete le tendine... ho detto le tendine". Qualcuno non aveva ancora capito a cosa potevano servire quelle tende di color marrone con quella "FF.SS." stampigliata in più parte, quelle tende polverose che servivano a riparare i finestrini dal sole. Ci prendemmo due botte di "cretini" e non replicammo. In pochi minuti mettemmo insieme un gran numero di tendine e ripartimmo, con sacchi recuperati nella stazione merci, verso Stellanello. Qualcuno scherzava cercando di evitare che il comandante "Mancen", al secolo Massimo Gismondi, il più alto in grado del distaccamento, potesse accorgersene. "Ma cosa vogliono fare con queste tendine?". La domanda ottenne risposta soltanto la mattina dopo quando io e gli altri due compagni fummo incaricati da "Mancen" di portare tutte quelle tende in una casa verso Testico. Consegnammo le tende ad una donnina, una certa Luigina, che ci assicurò "tornate tra una settimana. I pantaloni saranno pronti, almeno spero. Dite ai capi che vi farò anche delle braghe corte". E così, almeno per noi, si svelò il mistero delle tendine. Dopo una settimana tornammo e la donna ci consegnò i pantaloni, confezionati alla perfezione.
un ex partigiano
Daniele La Corte, Storie di uomini e di donne. Gli anni difficili della Resistenza, Calvo Editore, 1995

[...] i partigiani Lino Viale e Nino Agnese (Marco) e il presidente del C.L.N. Dottor Renato Negri (Renato II) erano venuti a conoscenza di un treno fermo alla stazione di Andora con un carico di viveri e generi diversi, destinato ai tedeschi in Francia.
La sosta era dovuta all'interruzione della linea conseguente al bombardamento del ponte ferroviario di Cervo. Un sopralluogo era effettuato da Massimo Gismondi (Mancen), insieme a Silvio Bonfante (Cion) - allora a Cian de Bellottu con Nino Siccardi (Curto) - e al podestà Giuseppe Vattarone, che, sebbene segretario del Fascio locale non disdegnava di dare sottomano aiuto ai partigiani e agli andoresi in genere, duramente provati dalla fame e dalla penuria imperante. Dopo alcuni giorni Cion, Mancen, Germano, Marco, Sandro ed altri, affluiti con alcuni carri per trasportare il vettovagliamento, presidiavano le vicinanze mentre un commando occupava la stazione. L'ora, circa le otto di sera, di per sé era propizia, perché l'ultimo treno arrivava alle sette e mezza, ma quella sera purtroppo il convoglio aveva due ore di ritardo. Annullare l'operazione era comunque improponibile per la mobilitazione effettuata, sicchè si procedeva all'occupazione della stazione: atrio, biglietteria e stanza del manovratore e del controllore. I ribelli, indossate divise da ferrovieri, si sostituivano al capo stazione Rendone e agli altri addetti, attendendo l'arrivo del treno. Nessuno dei passeggeri scesi dai vagoni, tra cui si trovavano sia tedeschi che fascisti, dava segno di accorgersi della presenza partigiana. Allontanatisi tutti i viaggiatori, i partigiani svuotavano diversi vagoni del treno merci in sosta forzata. Per quanto rimaneva sugli altri vagoni, provvedeva il podestà ad avvisare la gente in paese, che avrebbe terminato l'opera nottetempo. L'indomani i tedeschi, accortisi del clamoroso scacco, arrestavano il podestà Vattarone e intimavano agli andoresi la restituzione della refurtiva, ma essendo il maltolto già ben lontano o ben nascosto la richiesta rimaneva inevasa e tutto finì lì.
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

venerdì 20 gennaio 2023

Stamattina alle ore 10 le forze di Turbine sono state attaccate a Garessio da forze tedesche

Garessio (CN)

9-7-44 - I tedeschi provenienti da Val Neva eseguono una puntata offensiva contro il Distaccamento Matteotti di presidio sul Colle S. Bernardo di Garessio. Avviene uno scontro nel quale il nemico riporta alcuni feriti.
10-7-44 - Una squadra del Distaccamento «Volante» in risposta ad un attacco precedente esegue al tramonto un colpo di mano contro il presidio tedesco di Erli (Savona) dal quale era partita la puntata del 9.
Il furioso fuoco di mitragliamento dei partigiani causa alle forze nemiche, adunate per il rancio serale, diversi morti e feriti.
10-7-44 - Una squadra del Distaccamento «Matteotti» provoca il ribaltamento di una camionetta tedesca lungo la strada Erli-Albenga. I 4 occupanti vengono uccisi. Bottino: 1 M.P., 2 fucili.
12-7-44 - Il Distaccamento «Volante» agli ordini di «Cion» [Silvio Bonfante] asporta dalla Stazione di Andora, da un treno merci tedesco, il seguente materiale: q.li 13 di zucchero, q.li 7 grano, q.li 114 di riso, q.li 1 di avena. Buona pane delle derrate vengono distribuite alla popolazione civile.
13-7-44 - Tre garibaldini della 4^ Brigata del Distaccamento Gar. «Libertas» si recano in frazione Romita a Porto Maurizio per ritirare 1700 colpi di mitra.
15-7-44 - In uno scontro con i tedeschi del presidio di Pogli (Savona) cade il garibaldino Cassiani Domenico.
15-7-44 - A conoscenza che in Via Romita a Porto Maurizio stanziano tre soldati russi armati di fucile «ta-pum» a guardia di sei cavalli, 4 uomini del distaccamento «Libertas» della 4^ Brigata si recano sul posto e, benché sorpresi dall'allarme aereo si impossessano dei «ta-pum» e di altro materiale ritornando alla base con i russi che già avevano espresso il desiderio di fuggire. La stessa pattuglia disarma della pistola un brigadiere di P.S.
20-7-44 - Tre Distaccamenti: «Volante», «ex Volantina», «Pelazza», agli ordini del Comandante Cion [Silvio Bonfante] entrano in Ceva nascosti nel treno della linea Ormea-Ceva. Il debole presidio tedesco si eclissa. La città viene rastrellata. I treni di passaggio in stazione perquisiti. Vengono catturati: 4 spie nazi-fasciste, un tedesco ed un italiano delle SS. Il magazzino militare viene vuotato.
23-7-44 - Dal 1° Distaccamento del Comando 4^ Brigata viene comunicato al Comando di Divisione:
«Diamo il nominativo di due splendide figure di partigiani immolatisi per la libertà dei popoli. Sono stati brutalmente assassinati sulla piazza di Moltedo per mano dei cani fascisti. Sono caduti chiedendo la fucilazione nel petto «perché non siamo dei traditori» e morivano gridando «Viva i partigiani».
Eccovi i nominativi:
GUARRINI ELSIO da Oneglia, classe 1925 - GAZZANO GIOVANNI da Moltedo, classe 1925.
23-7-44 - Una pattuglia di partigiani della 5^ Brigata comandata da «Ivano» viene attaccata da forze tedesche e deve ritirarsi dopo breve lotta. Al rientro alla base si nota la mancanza di due uomini. Da pronte indagini si viene a conoscere che, feriti alle gambe, sono stati fatti prigionieri dai tedeschi, portati a Tenda ed ivi passati per le armi. Ecco i nominativi:
PASTOR LUIGI di Luigi e di Borfiga Caterina, nato a Buggio (Frazione Pigna) il 21-10-1922, ivi residente in Via Carriera Piana n. 55, di professione infermiere, partigiano dal 2-6-44 - APOLLONIO ANGELO, di Pietro e di Baccolo Luigia, nato a Salò (Brescia) il 25-4-1925, ivi residente in Via Francesco Calzani n. 468, di professione pittore, partigiano dal 2-5-44.
23-7-44 - Una pattuglia di partigiani del 5° Distaccamento, durante la notte apre il fuoco di disturbo contro una postazione nemica che mette in allarme tutta la zona.
24-7-44 - Nella notte tra il 23 ed il 24 il 4° Distaccamento della 4^ Brigata in unione al 1° Distaccamento si porta in regione Garbella [di Imperia] nel tentativo di far saltare la galleria della strada ferrata. Colà si incontra col 3° Distaccamento che agisce sul medesimo obbiettivo. Malgrado un precedente accordo con un caporale e un soldato austriaci, l'azione non può essere effettuata: vengono comunque disarmati i 7 soldati di guardia; 4 di essi sono accolti nel 1° Distaccamento e 2 nel 4°. Bottino: due pistole automatiche, 3 canne per mitragliatori, 6 caricatori «Maxim», tre cassette munizioni per mitragliatore tedesco. Nessuna perdita.
25-7-44 - Il Comandante della Brigata Alpina (Capitano Umberto) comunica:
«Stamattina alle ore 10, le forze di «Turbine» sono state attaccate a Garessio da forze tedesche. I primi feriti sono arrivati qui da noi. Invieremo rinforzi».
Il nemico, proveniente da Albenga e Ceva, effettua un violentissimo rastrellamento nell'alta Val Tanaro. Il Distaccamento «Volante» di Garessio si porta sul Colle S. Bernardo di Garessio, in rinforzo al presidio ridotto agli estremi. Arrivati al Colle, gli uomini del Distaccamento sono costretti ad uscire di strada essendo il crinale già occupato dag1i attaccanti.
Operata una diversione, si spostano per un attacco laterale attendendo - per accerchiare il nemico - l'arrivo di rinforzi da Pivetta che, a loro volta attaccati, non giungono. Avvertiti del motivo del ritardo gli uomini della «Volante» attaccano ugualmente sostenendo un combattimento impari, con un avversario munito di armi pesanti ed ormai attescato. Dopo 4 ore di fuoco, centrati dal tiro delle armi pesanti e scarseggiando le munizioni, i partigiani debbono ritirarsi: Garessio è perduta.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 299-301    

Nei primi giorni di luglio [1944] giunse l'ordine di partire per la Val Tanaro (Ormea, Garessio, Pievetta), in quanto in quella zona erano sorti dei dissidi tra le formazioni badogliane e i garibaldini della zona.
Dissidi che si trasformarono in gravi contrasti a tal punto da provocare in una settimana l'uccisione di alcuni garibaldini da parte dei badogliani stessi.
Tra gli uccisi ricordiamo il garibaldino detto "Dino", comandante di distaccamento.
Data la situazione, era necessario che si andasse a rinforzare le nostre esigue formazioni.
Il distaccamento "Volante" (che aveva per comandante "Cion" e per commissario "Germano") si stabilì a Garessio.
Il distaccamento "Matteotti" con comandante "Turbine" (Pasquale Muccia) a San Bernardo di Garessio, e noi della "Volantina", con comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], nel paese di Pievetta.
Giungemmo nella località sopra un autocarro (dopo aver camminato per dodici ore a piedi).
Fu in questa occasione che "Raspin" [Franco Piacentini] mi disse: "In Piemonte va meglio, ci fanno viaggiare bene, speriamo sia sempre così".
Stabilimmo ottimi rapporti con la popolazione e con le ragazze del paese.
Ci accasermammo nelle scuole ed attendemmo nuovi eventi dopo la pacificazione raggiunta tra noi e i badogliani.
Intorno al 15 luglio [1944] si presentò al nostro distaccamento un ex ufficiale del Regio Esercito, giunto da Albenga per inquadrarsi nelle nostre formazioni.
Di nome Giorgio Olivero, ci informò che sia in Normandia che nell'Italia centrale, dopo i primi successi, il fronte si era stabilizzato, per cui le nostre speranze sulla fine del conflitto entro breve tempo si affievolirono, anche se continuammo a sperare.
Il fatto che Giorgio volesse fermarsi con i garibaldini ci sorprese un poco. Nella zona gli ex ufficiali del Regio Esercito erano nelle file dei badogliani di tendenza monaichica. In base a queste considerazioni, per un certo periodo di tempo lo tenemmo sotto controllo e in questo clima non poteva non crearsi un certo costume d'ambiente. Il partigiano "Grillo", osservando i magnifici scarponi che aveva ai piedi, gli faceva allusioni poco benevoli; gli chiedeva che numero avessero, diceva che forse gli andavano bene e che intendeva prenotarli in caso gli fosse successo qualcosa. Fatto sta che il mattino dopo Giorgio era sparito; con grande preoccupazione lo mandammo a cercare. Ma il giorno successivo venimmo a sapere che lui si era recato al nostro Comando a conferire con Nino Siccardi ("Curto"), per chiedere sicurezza e tranquillità. In seguito, grazie ai suoi meriti e alla sua esperienza militare, diventerà il comandante della I^ brigata d'assalto Garibaldi "Silvano Belgrano".
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998  

La zona di Imperia assume nella primavera/estate del '44 un particolare rilievo strategico. Qui si sono concentrati numerosi gruppi partigiani, decisi a ostacolare le forze naziste in prevedibile ritirata attraverso i valichi alpini. Nonostante la complicità di due soldati austriaci nella notte fra il 23 e il 24 luglio '44 a Imperia in regione Garbella fallisce il tentativo di un gruppo di partigiani della II Divisione Garibaldi "F. Cascione" di far saltare un tratto di strada precedentemente minato dai tedeschi. I sette soldati di guardia vengono comunque disarmati e quattro di loro passano con i partigiani.
La reazione tedesca non si fa attendere. Il 25 i nazisti risalgono la Valle del Prino e raggiungono Vasia, un piccolo centro dell'entroterra.
[...] Così nella drammatica testimonianza di un ragazzo dell'epoca la rievocazione dei fatti che hanno portato alla morte di due civili e di cinque partigiani impegnati, pare, a mettere a segno l'assalto alla Questura di Imperia per impossessarsi di armi automatiche.
I partigiani caduti sono Salvatore Filippone, nome di battaglia "Mariella", nato a Palmi (RC) il 24 giugno 1920, Carmine Saffioti, nome di battaglia "Carmé", nato a Palmi il primo aprile 1925, Stefano Danini di Rivarolo (GE), Igino Rainis di Treppo Carnico (UD) e Vincenzo Raho di Ruffano (LE).
Pino Ippolito Armino, Storia della Calabria Partigiana, Pellegrini, 2020 

Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946:
[...]  Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris.
[...] nei primi di luglio, unitamente alla compagnia, partimmo per un' azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani (da una delle squadre) che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Il nostro Comando, visto che la prima incursione nella città di Ceva era andata bene, volle ritentare l'operazione dopo alcuni giorni. Ma questa volta andò diversamente. Giunti sul piazzale della stazione, fummo accolti da un nutrito fuoco nemico (per fortuna di armi leggere) proveniente dall'interno dell'edificio. Constatata la difficile situazione nella quale ci trovammo coinvolti, decidemmo di ritornare alla base di partenza. Comunque il fatto che noi fossimo padroni di una parte della strada statale 28 (Imperia-Ceva ) metteva i tedeschi in crisi, sia per il traffico stradale, sia per il prestigio. Allora con una poderosa azione decisero di farci sloggiare.
Il 25 luglio 1944 iniziarono un rastrellamento in grande stile; avanzarono con autoblinde da Ceva e dal Colle di San Bernardo di Garessio. Venendo da Ceva, prima di Pievetta vi sono le Rocche di Santa Giuditta, (o Prancisa, o Recisa) costituite da due "spontoni" posti uno sopra la statale a sinistra e l'altro sopra il Tanaro a destra.
Il primo occupato dai nostri uomini, tra cui Tino Moi, capo squadra, e "Mancinotto", fratello di "Mancen" [Massimo Gismondi], con il compito di bloccare con una mitragliatrice pesante i tedeschi provenienti da Ceva, che mantenevano in avanscoperta due  autoblinde.
Il secondo occupato dai badogliani.
Quando i tedeschi giunsero a tiro, sia i nostri che i badogliani aprirono il fuoco di sbarramento, che costrinse il nemico a ritirarsi dietro una curva della strada, dando l'impressione di desistere. Ma non fu così perché, dopo una decina di minuti, iniziò a picchiare forte sulle due postazioni partigiane con i mortai da 81 millimetri. I nostri furono più fortunati perché non vennero colpiti, a differenza dei badogliani centrati al primo colpo, per cui la loro postazione fu messa a tacere.
Constatata la situazione veramente pericolosa, e visto cosa era successo ai badogliani, il comandante "Mancen" diede immediatamente l'ordine del ripiegamento.
Mentre ciò avveniva, i nostri furono individuati da una delle due autoblinde che stavano avanzando, la quale iniziò un fuoco infernale.
Fu in quel momento che Tino Moi venne colpito al petto in modo grave. "Mancen" e i compagni presenti cercarono di portare fuori tiro il ferito.
L'autoblinda continuava a sparare loro addosso in modo rabbioso.
Non rimase altra possibilità che mettere il ferito al riparo di una roccia, e quindi ritirarsi verso Pievetta, dove io e una seconda squadra eravamo appostati con un'altra mitragliatrice pesante sulla piazzetta della chiesa, in modo da prendere di infilata, se fosse stato necessario, il rettilineo che ci si presentava davanti e, al tempo stesso, tenere sotto tiro anche il letto del Tanaro.
Col cuore trepidante, attendevamo che comparissero i tedeschi. Dopo alcuni minuti scorgemmo dei tedeschi avanzare nel letto del fiume; iniziammo a sparare contro di loro, costrigendoli a eclissarsi nella vegetazione.
Intanto venne avanti l'autoblinda sparando raffiche a casaccio in tutte le direzioni. Il fuoco continuò ancora per qualche minuto, poi l'autoblinda si fermò, smettendo di sparare.
Noi non riuscivamo a spiegarci il perché.
Ben presto, però, capimmo la mossa del nemico, quando in alto a mezza costa "Mancen" iniziò a gridare di ritirarci in collina perché i tedeschi stavano giungendo, sopra di noi, nella nostra stessa direzione, mentre noi li attendevamo sulla strada o nel letto del fiume. Ci ritirammo con fatica e appena in tempo, per non rimanere circondati, portandoci dietro la mitragliatrice pesante.
Il grido di "Mancen" ci aveva salvato dall'annientamento.
Capimmo che l'autoblinda si era fermata ed aveva cessato il fuoco per non colpire i suoi e con la speranza di prenderci alle spalle.
Ci ritirammo a circa duecento metri sopra Pievetta e piazzammo la mitragliatrice, azionandola contro i soldati che stavano giungendo sulla piazzetta della chiesa. Erano convinti di catturarci, invece si trovarono sotto il nostro fuoco; si ripararono dietro la chiesa e nei vicoli vicini.
Però noi, consapevoli della precarietà della nostra posizione (sì che avevamo una mitragliatrice, ma essa era senza una idonea protezione), pensammo che era meglio ritirarci più in alto ancora, e facemmo bene perché, fatta una cinquantina di metri, arrivò un colpo di mortaio proprio nel punto dove eravamo stati piazzati, seguito da alcuni altri.
Raggiungemmo la cima della collina dove si era già ritirato il grosso del nostro distaccamento.
Nel frattempo giunse anche "Mancen", insieme agli altri.
Prendemmo posizione disponendoci in una lunga fila per essere meno esposti, scavando delle fosse ove piazzare meglio le nostre armi pesanti.
I tedeschi giunsero ad un centinaio di metri dalla nostra posizione; ma dopo un breve scambio di raffiche si ritirarono nel paese e lì si concentrarono.
Subito lo smacco, presi dalla solita ira sanguinaria, iniziarono a compiere i soliti eccidi di cittadini inermi. Passarono per le armi una ventina di civili locali e alcuni partigiani che avevano catturato dalle parti di Priola. La loro rappresaglia ci fece supporre che avessero avuto delle perdite durante gli scontri.
Dopo una breve consultazione decidemmo di spostarci sulle colline di Garessio o di Ormea per cercare notizie sulla "Volante" di "Cion". Ci dirigemmo verso la località Croce di Nascio e, sul far della notte, giungemmo sul Bricco Mindino (1879 metri sul livello del mare).
Sandro BadellinoOp. cit.  

Il rastrellamento della valle Tanaro tra il 25 e il 29 luglio 1944 fece 8 caduti civili e 24 partigiani nei comuni di Bagnasco, Garessio, Priola, ma tra i 24 riconosciuti partigiani si celano molti civili, di oltre 60 anni, il cui riconoscimento è dovuto soltanto a motivi pensionistici.
(a cura di) Aa.Vv., Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), Consiglio Regionale del Piemonte, 2015 

sabato 3 settembre 2022

I partigiani imperiesi se ne andarono, ma “Tigre” restò prendendo il comando del “Rebagliati”

Uno scorcio di San Lorenzo al Mare (IM)

Poco prima della fine del maggio '44 (forse il 28 maggio) Giribaldi Vincenzo, già alla macchia all'epoca della battaglia di Montegrazie sale di nuovo in montagna; accompagna circa una trentina di giovani, e insieme con lui vi è Luigi Massabò (poi «Pantera»). I giovani lavoravano tutti in San Lorenzo al Mare, presso la Ditta «Paladino»; la quale, in realtà, serviva soprattutto per evitare l'arruolamento. Giribaldi, insieme col padre, Francesco, e con un loro amico, Benza Angelo, si recava spesso per ascoltare la radio clandestina nella casa di un loro conoscente, Nino Donati, oppure nella casa di una zia del rag. Giacomo Castagneto, situata in Porto Maurizio, nella località detta «Porta nuova». Quando si recava in questa seconda casa, anche Giacomo Castagneto era presente.
In detti incontri il discorso cadeva, ovviamente, anche sui partigiani.
Una sera, saputo che molti giovani della «Paladino» vorrebbero andare in montagna e che si sono rivolti a Giribaldi, essendovi egli già stato, il Benza propone a Giribaldi di farne un elenco, e di portarlo a un certo sig. Fossati,  dimorante nella zona di Pontedassio-Chiusavecchia; l'elenco viene preparato e consegnato (è portato a destinazione nascosto nel manubrio della bicicletta). Poco dopo, Giribaldi Vincenzo viene invitato a recarsi da Lorenzo Acquarone di Artallo; Acquarone Lorenzo dà a Giribaldi una rivoltella e la parola d'ordine (Francesca - Rimini), e gli dice di presentarsi, insieme con gli uomini, al «pilone» di Sant'Agata, dove saranno raggiunti da una persona, che li accompagnerà fra le bande. A Sant'Agata si unisce a loro una ventina di giovani di Oneglia; e il gruppo, così, diventa di circa cinquanta persone.
Al «pilone» di Sant'Agata li raggiunge un partigiano, che il Giribaldi sente chiamare «Guerrino» (si tratta di Guerrino Peruzzi), mandato dalla montagna. Con lui vanno a Ville Agnesi (Prati Piani), e poi alla Mezzaluna, dove si incontrano con Curto, per ordine del quale viene formata la banda. Al comando di essa vengono messi un certo Mario, di Artallo, ossia Briatore Mario detto «Cora», e Massabò Luigi (Pantera). Fra i componenti vi sono: Gorlero Angelo e Sironi Egidio (D'Artagnan) poi caduti in montagna; alcuni giovani, che in seguito passeranno ad altre bande (ad esempio, Roncallo Andrea, Gavi Vincenzo, Bracco Sandro e Carlo, ed altri). Vi è anche un certo «Tigre» (o «Gemesio») [Rosolino Genesio], venuto da Modena, il quale poi diventerà capo di una grossa banda nei pressi di Savona.
Per impedire ecessivi accentramenti, che si sarebbero formati a causa dei nuovi afflussi di giovani in montagna, la banda viene mandata presso il Monte Alto, nella zona di Savona; e forse fra il 16 e il 20 giugno parte per detta località.
I partigiani del nuovo distaccamento avranno un combattimento a Calice Ligure (giorni 5-6 luglio '44), in seguito al quale cattureranno armi e munizioni; subiranno un rastrellamento nei pressi di Monte Alto (9 luglio 44), in seguito al quale sarà ferito il «Tigre», che resterà nella zona: rientrati nella zona di Albenga, subiranno un nuovo rastrellamento a Picco delle Penne(o «Brico delle Penne»); e infine giungeranno a San Bernardo di Mendatica, e si ricollegheranno, l'11 luglio 1944, a quello che era stato il Comando della IX Brigata, ora diventato Comando Divisionale (II Divisione d'Assalto Garibaldi «F. Cascione»). Frattanto al distaccamento verrà dato il nome di «A. Viani», dal partigiano Angelo Viani, ucciso dai nazifascisti presso Barchei (Cuneo) il 21 giugno '44, insieme con Austoni Luigi, Boldrini Lazzaro, Maccanò Giuseppe, Vicini Antonio, tutti appartenenti al Distaccamento stesso <48. Il distaccamento «A. Viani», qualche tempo dopo il suo arrivo nella zona della II Divisione, verrà sciolto per ragioni di ridimensionamento: Pantera otterrà un incarico più elevato: alcuni uomini passeranno alla «Fenice» (ad esempio, Bracco Sandro e Carlo e Boggiano Luciano); Giribaldi Vincenzo, dopo essere stato per qualche tempo presso il Comando Divisionale recentemente creatosi, entrerà anch'egli nella banda «Fenice» <49.
[NOTE]
48 Notizie sui Caduti del 21 giugno e sulla data, parzialmente ricavate dal "Diario di Pantera". Per i nomi, consultato pure il volume "L'epopea dell'Esercito scalzo".
49 Nel maggio del '44 anche dall'albenganese sale in montagna un numeroso gruppo di uomini (circa 180); provengono specialmente da Albenga centro, da Leca, da Bastia, da San Fedele e da Campochiesa; si radunano dapprima a Coasco, e poi si spostano a Brico delle Penne. Loro intenzione sarebbe di tornare a formare il gruppo Val Tanaro agli ordini di Martinengo: poi, però, preferendo operare nella loro zona piuttosto che in Piemonte, si aggregano alle Formazioni Garibaldine di Curto. (Dall'opuscolo "La Resistenza continua", pubblicato per la celebrazione in Albenga del ventesimo anniversario della Liberazione).

 
Artallo, Frazione di Imperia

Giovanni Strato
, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Calice Ligure (SV). Fonte: Comune di Calice Ligure

Guerriglia e controguerriglia erano ormai due macchine ben oliate e sempre pronte a colpire. Il 30 giugno una compagnia tedesca attaccò il colle dei Giovetti, tra Murialdo e Massimino, catturando una pattuglia garibaldina. Ma i partigiani si rifecero rapidamente, e con gli interessi, quando la notte del 5 luglio i volontari del “Calcagno” e una squadra del 10° distaccamento della 9a Brigata d’Assalto, reparto proveniente dall’albenganese che per qualche tempo aveva sconfinato tessendo contatti con i savonesi, attaccarono congiuntamente il presidio tedesco di Calice Ligure <68. Si trattò di un’azione esemplare che ebbe pochi riscontri anche in seguito. Guidati da un milite, fuggito il giorno prima dalla postazione, i partigiani calarono in tarda serata sul paese, divisi in tre squadre di cui una doveva bloccare la strada per Finale con una mitragliatrice e bombe da mortaio usate come granate a mano. Le comunicazioni erano state preventivamente tagliate per evitare l’affluire di rinforzi. Un colpo sparato troppo presto scatenò una violenta battaglia che sulle prime costrinse i garibaldini, molti dei quali in preda alla paura causa l’inesperienza, a ripiegare; ma verso l’alba i partigiani conquistarono il paese abbandonato dai nemici, che si erano accorti di essere circondati.
Complessivamente erano rimasti uccisi tre tedeschi, di cui uno sulla strada per Finale; altri 4, feriti, caddero prigionieri (ma non per molto: i partigiani, se il prigioniero non era da fucilare, lo scambiavano con propri compagni o lo lasciavano andare disarmato e privato dello equipaggiamento). Alcuni individui, sospettati di collaborazionismo, furono condotti, bendati, al Comando. Il bottino fu discreto: particolarmente utili risultarono gli undici teli da tenda confiscati.
Nonostante gli indiscutibili miglioramenti, Luigi Longo “Gallo”, comandante generale delle Brigate Garibaldi, giunto a Savona ai primi di luglio per visionare la situazione del Ponente ligure, non poté fare a meno di notare come il movimento garibaldino nel Savonese fosse tuttora meno sviluppato rispetto a quello della Prima Zona (Imperia ed Albenga); con tutto ciò, chiari sintomi di disgregazione dell’apparato poliziesco della RSI si avvertivano ora anche a Savona, e bisognava approfittarne senza remore <69.
Verso metà luglio una serie di eventi negativi mise a rischio lo schieramento garibaldino. In risposta allo scacco subito con l’attacco al presidio di Calice Ligure, i tedeschi organizzarono un rastrellamento contro il distaccamento “Calcagno”, attestato nei pressi di Monte Alto <70. Presi alla sprovvista, i garibaldini arretrarono in preda al panico (molti erano dei “novellini”) in una nebbia impenetrabile, tra continue raffiche di mitra. Miracolosamente non vi furono né vittime né prigionieri, ma la frattura prodottasi nel bel mezzo del rastrellamento tra il “Calcagno” ed il Comando Brigata - che a detto distaccamento si appoggiava - costituiva un fatto assai grave. Più in generale in quei giorni si dispiegò un rastrellamento generale contro tutta l’area dal Carmo alla Val Bormida; anche i garibaldini del “Rebagliati” di stanza alla Baltera se la cavarono per il rotto della cuffia <71. In più gli imperiesi del 10° distaccamento, rendendosi forse conto di essere diventati una presenza “scomoda”, chiesero ed ottennero di poter tornare in I zona. Il loro arrivo era stato determinato essenzialmente dalla caccia mortale che i fascisti imperiesi davano al comandante Rosolino Genesio “Tigre”, che aveva ucciso un carceriere con una testata allo stomaco (!) <72. I garibaldini imperiesi se ne andarono, ma “Tigre” restò prendendo il comando del “Rebagliati” e facendosi fama di estrema risolutezza.
Si imponeva una riflessione. Il servizio informazioni non si era mostrato pronto di fronte alla minaccia nemica, che solo per una fortunata circostanza fortunata non si era tradotta in un disastro irreparabile tipo Benedica o Val Casotto: una di quelle disfatte totali che il movimento partigiano impiegava mesi per assorbire. Molti partigiani, specie le reclute appena salite in montagna dai centri rivieraschi, si erano mostrate pavide: a questo avrebbero dovuto provvedere i commissari politici con un’appropriata opera di sostegno psicologico e di motivazione al combattimento.
[NOTE]
68. Cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, ed. 1985, vol. II, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, pp. 220-222 e F. Pellero, op. cit., p. 32.
69. Le Brigate Garibaldi... cit., vol. II, p. 103.
70. M. Calvo, op. cit., p. 51.
71. M. Savoini “Benzolo”, Cosa è rimasto: memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, pp. 82-84.
72. Ibidem, p. 86.
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000