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giovedì 3 luglio 2025

I partigiani sostarono temporaneamente nella tana dei disertori, celata da una piccola cascata

Pietrabruna (IM)

Il gruppo [n.d.r.: appartenente alla IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione"], in buona parte ricomposto, procedeva in fila indiana, il terreno ora arido e selvaggio saliva rapidamente e, malgrado l'attenzione posta, dei sassi si staccavano dal suolo rotolando verso il basso con pericolo continuo per coloro che seguivano; ciò nonostante, all'apparire d'un melo selvatico non esitai a chinarmi per raccoglierne i frutti caduti che infilai nella camicia, bene o male qualcosa sarebbe entrato nello stomaco; il canalone ora, per le aumentate difficoltà del terreno, si restringeva in una fenditura che a prima vista sembrava precludere la possibilità di proseguire o nascondersi, ma l'apparire improvviso d'una piccola cascata venne accolto con gioia da buona parte del gruppo; con stupore, vidi i primi continuare il cammino e penetrare sotto la volta scrosciante, scomparendo; l'acqua, che diventava ruscello su lucide rocce, non conservava alcuna traccia. Il nascondiglio era chiamato «la tana dei disertori» ed era servito nel tempo a fuggiaschi di varie epoche; all'interno lo spazio era sufficientemente ampio, e con sorpresa vi trovammmo un gruppetto di contadini, prontamente rifugiatisi al rumore del combattimento appena conclusosi; un paio di lanternini ad olio, in un gioco di luci ed ombre illuminava parzialmente il fondo della caverna, mentre nella parte antistante la luce filtrava a sufficienza attraverso la parete d'acqua. I due gruppi  immediatamente si fusero, agricoltori e partigiani, in uno scambio di saluti e informazioni, volti lucidi di sudore e sguardi lesi in un parlottio sommesso, sovrastato a tratti dalle ultime raffiche dei Majerling tedeschi che sparavano nel folto della vegetazione, ultimo sfogo di uno scontro subito.
E finalmente il silenzio, prima dubbioso, nel timore di un probabile ulteriore pericolo, poi sereno, tutti i rumori imprecisi e confusi del bosco ritornarono vivi, chiaro il canto degli uccelli risuonò allegro tutto d'intorno ricreando un'atmosfera di tranquilla sicurezza, e nella poca luce di quella strana dimora i contadini estrassero delle vecchie gavette, dividendone la pastasciutta in esse contenuta con gli affamati giovani del nostro distaccamento. Poco dopo mi permisi di ricambiare la gentilezza con l'offerta di qualche mela, non certo di prima scelta; un saluto e forti strette di mano conclusero la gradita sosta. In colonna frazionata, attenti e silenziosi ci si incamminò verso Pietrabruna, capoluogo della valle omonima, non ancora frequentato dalle nostre formazioni per la facile accessibilità allo stesso da parte dei reparti motorizzati tedeschi e fascisti che in un'ora all'incirca vi giungevano dal mare; in avanscoperta erano stati inviati due garibaldini, buoni conoscitori della zona, e quando quasi vicino ci apparve il campanile del paese circondato da bruni tetti immersi nel verde degli ulivi, trovammo ad attenderci uno dei due, tranquillamente seduto sul ciglio del sentiero. «Il paese e la valle sono calmi» disse, «i nostri informatori e i contadini rientrati dai prati assicurano che i tedeschi proseguono verso il nord, per collegarsi ad altri reparti provenienti da direttrici diverse (l'attacco tedesco si concluse con la battaglia di Montegrande del 5 settembre 1944); questa valle è saltata, vi si può rimanere con tutta tranquillità». E per la prima volta, una cinquantina di uomini invasero le strette viuzze del paese, pittoresco insieme di giovani e meno giovani, volti imberbi e volti barbuti dal grigio colore del tempo, con moderne armi e vecchi fucili, ma tutti con un eguale sorriso; sosta obbligata, Petran, la vecchia e unica trattoria del luogo, posta in prossimità della piazzetta delle corriere. Ci si dispose all'interno e all'esterno, nelle viuzze adiacenti e nel lavatoio, attorniati da paesani gentili e curiosi di sapere, e nell'attesa della mangiata ordinata da Danko [Giovanni Gatti] si parlò e si raccontò, ridendo come ragazzi alla loro prima festa; due ragazzine, con le lunghe trecce e gli occhi della primavera, mi si avvicinarono per avere conferma se proprio io avevo sparato col Majerling, al loro ingenuo ma femminile sorriso sentii di essere quasi un uomo.
Un'allegra confusione regnava nel locale più grande della trattoria, che a malapena ci accolse tutti; di fronte a ciascuno, un fumante piatto colmo di carne e un colorito bicchiere di vino; un'animazione fuori dell'ordinario, si continuava a parlare ancora del combattimento, era un meccanismo che seguitava a ruotare e ripetersi, per la maggior parte di noi era stata la prima volta ed era pienamente comprensivo lo stato di euforia collettivo. La tensione però tendeva ad allentarsi col passar delle ore, il vino ed il pranzo ingerito, inoltre, cominciarono a produrre i loro effetti e una strana, benefica stanchezza mi prese, ma durò per poco: dal di fuori un grido «i tedeschi» e fu come se possenti molle ci scagliassero all'esterno; pochi attimi e si era tutti all'aperto con le armi in pugno, ma non avevo dimenticato di portare un morbido cosciotto di arrosto, pregiata preda che tenevo saldamente stretta nella mano libera. Confusione e incertezza generale, fortunatamente l'allarme si rivelò fasullo, alcuni di noi intendevano ritornare a tavola, ma la maggioranza, di contrario avviso, preferì allontanarsi, incamminandosi verso la nuova base prima che le ombre della sera rendessero più difficile il rientro. E sulla strada del passo della Follia, in colonna si affrontò la ripida salita, mentre dalle ultime case di Pietrabruna i paesani ancora numerosi salutavano a larghi gesti. La lunga giornata volgeva al termine, il sole quasi furtivameme scivolava oltre l'orizzonte, per la stanchezza, il peso dell'arma sulle spalle sembrava raddoppiato, e quando ancora una volta mi trovai a guardare verso Santa Brigida, mi ritornò alla mente N. la ragazza dell'appuntamento, i fatti del giorno l'avevano cancellata, la poesia di un tramonto la fecero riapparire, ma solo nel ricordo; N. non la incontrai più.
Il primo rastrellamento da noi subito s'era concluso, l'originale trappola architettata dai nazisti e realizzata con un grosso spiegamento di forze aveva raggiunto solo parzialmente lo scopo, arrecando ad alcuni reparti soltanto delle perdite contenute, ma altri contingenti, fra i quali il nostro, forse più fortunati, ne erano usciti completamente indenni riuscendo inoltre ad impegnare l'avversario ed arrecargli sensibili perdite. Il nostro infatti, seppure di recente formazione e costituito in parte con elementi di scarsa preparazione militare, aveva superato brillantemente l'esame, determinando all'interno dello stesso una maggior stima reciproca, che rinsaldò ulteriormente la coesione del gruppo.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984,  pp. 53-55

mercoledì 24 agosto 2022

Casimiro Briozzo, partigiano, e Carlo Ferrari, ex San Marco, furono fucilati il 21 agosto 1944

Andora (SV). Fonte: mapio.net

Nella terza decade di giugno, in un punto della Via Aurelia presso il borgo di Rollo, ad una squadra di dieci uomini (tra cui i partigiani Fiume, Leo, Ceno, Federico ed altri), comandata da Nino Agnese (Marco), si presenta l’occasione di catturare un camion di derrate alimentari destinate al Comando della marina militare tedesca di Loano.
I due ufficiali tedeschi che accompagnavano il carico vengono abbattuti da raffiche di mitra e le derrate comprendenti zucchero, farina, riso e sigarette, sono trasferite alla base partigiana di Cian di Bellotto.
Il 12 luglio 1944, con una magnifica azione, il Distaccamento “Volante” asporta quintali di derrate alimentari da un treno merci tedesco.
[...]
Altra perdita partigiana: Casimiro Briozzo, nato in Francia nel 1912, staffetta della 1a Brigata, catturato a Laigueglia il 20 agosto 1944, mentre per conto del Comitato di Liberazione Nazionale locale tratta con un soldato della Divisione fascista San Marco, Carlo Ferrari, al fine di organizzare la diserzione di un contingente della divisione stessa, di stanza ad Andora Marina, viene fucilato il giorno successivo sulla spiaggia della frazione Pigna, unitamente al milite contattato.
Redazione, La Resistenza, Andora nel tempo

[...] osservavo il gioco della luna sulle onde del mare, quando un indistinto rumore di motori si tramutò in breve in una flottiglia di motobarche che passavano a poca distanza dalla costa, piccoli trasporti adibiti al rifornimento delle truppe dislocate nella Francia meridionale, servizi condotti alternativamente per via mare, a causa dei continui bombardamenti cui era sottoposta la ferrovia e il suo conseguente irregolare funzionamento; l'oscurità della notte, inoltre, favoriva tali operazioni. Osservavo le figure incerte dei marinai in servizio in coperta, quando l'inaspettato scoppio di un bengala illuminò a giorno l'intero tratto di mare a noi visibile; immediato e assordante il rumore delle armi riempì l'aria, come fontane iridescenti si alzavano grosse colonne d'acqua, bersagli mancati dalle bombe sganciate dagli aerei, mentre i traccianti dei trasporti riempivano il cielo di colorate scie luminose simili a fuochi d'artificio. Pochi minuti soltanto di un carosello di fiamme e di colpi, e il piccolo convoglio, completamente indenne, scomparve oltre la costa; gli aerei avversari erano già lontani, il nostro tiepido battimani concluse il breve ed inatteso spettacolo.
Era stato un giorno piuttosto tranquillo, nessuna incursione di caccia-bombardieri inglesi e nessuna ispezione da parte del comando della San Marco, una giornata insomma da considerarsi rilassante, ma evidentemente il sole non era ancora tramontato, e verso le ore 17 un paio di ufficiali del comando di battaglione si presentarono alla postazione convocando l'immediata assemblea di tutti i componenti il gruppo, con la sola esclusione delle sentinelle. L'interesse e la curiosità da noi avvertiti furono ben presto sostituiti dall'amarezza che si manifestò nell'ascoltare la richiesta formulata dai due messaggeri, che consisteva nel contribuire a formare, per l'indomani mattina, un plotone d'esecuzione. Il motivo, giustiziare un ribelle ed un traditore: un civile era stato sorpreso a trattare con un nostro commilitone la diserzione di un nostro contingente che sarebbe entrato a far parte delle formazioni ribelli. L'immediata  fucilazione sentenziata per i due implicati dalla corte marziale doveva servire da ammonimento agli scontenti ed agli indecisi sulle inflessibili punizioni che attendevano coloro che fossero sorpresi in un tentativo di fuga. Un silenzio totale accolse la richiesta; la partecipazione volontaria, nelle parole degli ufficiali, era da considerarsi un onore, ma tale opinione evidentemente non era condivisa, nessuno infatti vi aderì.
La cerimonia doveva effettuarsi nel nostro settore particolarmente defilato e controllabile da minacce esterne, e qualora fosse stato impossibile raccogliere il numero necessario alla costituzione del plotone di esecuzione, i nominativi  mancanti sarebbero stati scelti di forza. Un malinconico tramonto concluse una giornata che terminava con la preoccupazione di essere scelti per il triste incarico, e a questa seguì una notte molto lunga per la parte di noi che non riuscì a dormire. L'alba non era ancora spuntata che l'intero contingente attendeva pienamente sveglio il nuovo giorno, e fu un'alba grigia in un incerto orizzonte di foschia che illuminò velatamente un mare quasi immobile e silenzioso. Precedeva un plotone con elmetto e fucile, seguito da un carro trainato da un cavallo, condotto per la briglia da un soldato; i condannati legati su due sedie, il viso del colore dell'alba, uno indossava una camicia bianca, l'altro una camicia grigioverde; chiudeva il corteo una squadra con ufficiali in testa. Guardavo la scena con un'intensità mai avvertita, sentivo e vedevo in essa la presenza di qualcosa che non conoscevo; per una frazione di secondo ebbi l'impressione di vedere una sequenza cinematografica, condannati che venivano condotti alla ghigliottina, un attimo soltanto però: l'alba che sorgeva, l'aria che respiravo, gli uomini che osservavo erano veri, e una parte di essi si apprestavano ad uccidere altri uomini, un dilungarsi di preparativi quasi teatrali, di una giustizia cinica di effetto. Il plotone d'esecuzione era già stato completato con elementi di altri contingenti, il nostro gruppo doveva soltanto  formare un cintura di sicurezza sull'intero perimetro. Con due compagni ricevetti l'incarico di sorvegliare la strada e allontanare i troppi curiosi; ci si dispose a breve distanza l'uno dall'altro, le armi in pugno, pronti a far fuoco; e subito, in un atteggiamento per nulla gentile, convinsi due uomini che ironizzavano sul fatto ad allontanarsi rapidamente; poi, fu più forte dell'ordine e di eventuali pericoli, mi volsi a guardare il dramma che si viveva sulla riva. Nitide, le due figure si stagliavano immobili contro il mare, la schiena rivolta contro il plotone che stava allineandosi, il sole ancora nascosto nella cortina di foschia; i fucili si alzarono, un silenzio profondo si avvertì all'intorno e nel secco rumore che lacerò l'aria, due uomini, come due burattini a cui viene allentato il filo, caddero sulla sabbia; ancora attimi di silenzio e i due colpi di grazia, che mi apparvero enormemente lontani, chiusero la tragica cerimonia*. Il carro ripartì con due corpi ammucchiati sul fondo che, ad ogni buca della strada, sobbalzavano goffamente; gli accompagnatori marciavano sempre silenziosi, ma più scomposti e nessun richiamo, nessun ordine intervenne a riprenderli. Il sole, liberatosi alla fine della grigia coltre, splendeva in una cornice di bellezza, quasi a voler far dimenticare la crudeltà appena consumata.
Qualche giorno di vuoto senza avvenimenti di rilievo e improvvisamente, come di norma, l'ordine di partire. L'apatia che cominciava a contagiarci scomparve soppiantata dall'interesse per la nuova destinazione.
*Casimiro Briozzo, partigiano, e Carlo Ferrari, ex San Marco, furono fucilati il 21 agosto 1944
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 32-35

domenica 18 aprile 2021

E giunse l'alba del 4 settembre 1944

La zona della Cappella di Santa Brigida in Dolcedo (IM) - Fonte: Mapio.net


A Poggi [Frazione di Imperia] qualche casa era stata bruciata dalle formazioni dell'esercito repubblicano inferocite dell'accaduto. Con la sorella, per evitare il pericolo di eventuali ritorsioni, aveva ritenuto prudente abbandonare il paese; gli informatori anche sull'altro fronte erano piuttosto attivi e per il momento sarebbero rimaste in loco, in attesa dell'evolversi degli avvenimenti, che promettevano soluzioni e progetti futuri. L'incontro, piacevole per entrambi, ci diede la possibilità di stabilire un appuntamento per il dopodomani mattina in località Santa Brigida, avvenimenti permettendo; si era infatti in procinto di partire per raggiungere in serata quella posizione, in previsione del balzo finale che ci avrebbe condotti ad Imperia. Al convegno, mi assicurò sorridendo, sarebbe venuta con un canestro colmo di cose buone, dolci compresi, di cui mi sapeva ghiotto, sarebbe senz'altro stata una bella merenda nei prati come nei giorni del sereno; un ultimo sorriso, e il semplice saluto d'una stretta di mano, la vidi allontanarsi, figura di giovane donna dai chiari e lunghi capelli annodati da un vivace nastro. Come per incanto, il festante rumore della piazza ritornò ad essere presente. Un appetitoso e gradito pasto concluse la bella giornata, e prima che il sole scomparisse al di là dei monti che chiudevano l'orizzonte, si partì per raggiungere la nuova base assegnataci.
Il nuovo giorno per me significava attesa, attesa di un incontro che sicuramente avrebbe portato ore di un diverso interesse e forse attimi di poesia; scorrevo con lo sguardo il crinale della montagna che dal Faudo scendeva in un fitto verde verso il sud, fino a raggiungere ordinate coltivazioni di ulivi, immagini di un profondo silenzio avvolto in una cornice d'azzurro.
Un piccolo spiazzo, una fontana e una chiesetta semidiroccata, momentaneo luogo di sosta al nostro reparto  in attesa d'uno sviluppo ulteriore degli avvenimenti, unica mansione da compiere, il controllo del sentiero proveniente dalla costa sul dorso della montagna, che terminava sullo spiazzo del piccolo santuario dedicato a Santa Brigida. A questo, in tempo di pace, affluivano i pellegrini provenienti da Porto Maurizio e Oneglia nel giorno della ricorrenza; lo stato del fabbricato denunciava l'incuria del campo e degli uomini, i vetri delle poche finestre infranti, la porta divelta e l'intonaco mancante quasi per intero; restava l'indicazione dei giorni sereni, i nomi dell'abbandono. Quella notte, per ripararsi dal freddo, si era stati costretti a rifugiarsi all'interno della chiesetta, mentre il giorno, con il caldo sole di quell'inizio di settembre, ci vide tutti pigramente seduti o distesi sul piazzale antistante il fabbricato; unico rumore che si univa al nostro dialogo il continuo gorgoglio della piccola fonte, piacevoli momenti di pausa che facilitavano l'osservazione. Uomini abbronzati dai volti asciutti e malrasati, volti giovanili che richiamavano alla mente la fanciullezza, in una strana fantasia di abbigliamenti dalle origini più disparate, divise militari frammischiate a vestiti valligiani e borghesi, evidenti differenze di età, fogge e provenienza, che però non incidevano, poiché si poteva cogliere nello sguardo del gruppo l'espressione di una vita scelta, indicante una coesione che una qualsiasi disciplina non avrebbe saputo rendere maggiore. Alla quiete d'una monotonia piacevole, una sola necessità si faceva sentire con una certa insistenza, un gagliardo appetito che non accennava mai a diminuire e il primo giorno di permanenza, quando la prospettiva di mangiare si era notevolmente allontanata, causando un mormorio di protesta e volti accigliati, l'arrivo di Lecchiore, il più giovane mulattiere del distaccamento, risolse il problema. Lo si sentì arrivare, allegro come sempre, alla guida di un grosso mulo sul cui dorso faceva mostra un contenitore colmo di pastasciutta, preparata nel paese di Lecchiore. I piatti mancavano, ma la difficoltà venne agevolmente superata versando l'intero contenuto del recipiente sopra la porta della chiesa, e malgrado la precarietà del servizio, un tenace assedio liquidò in breve il tanto atteso rifornimento. Un altro giorno volgeva alla fine e nessuna novità era intervenuta; la mancanza di nuovi ordini mi portò ad assaporare il riposo della notte, breve transito all'arrivo del nuovo giorno, che per me si preannunciava piacevole.
E giunse l'alba del 4 settembre 1944, un'alba luminosa come tante di quella splendida estate.
Riposato e ben disposto, nella notte infatti non avevo prestato alcun servizio di guardia, mi accinsi a partire per l'incarico di pattugliamento assegnatomi, prima di poter usufruire del permesso di recarmi all'appuntamento con N., prospettiva questa che mi rendeva particolarmente sereno e conciliante. Il compagno con cui dividevo l'incarico si chiamava “Turiddo”, magro ed allampanato, meridionale fuggito dalla Pubblica Sicurezza di Imperia.
[...] Si procedeva con una certa tranquillità e, pur conversando a tratti, il silenzio della valle rotto soltanto dal cinquettio degli uccelli favoriva la riflessione; risentivo ancora i commenti indirizzatici dai garibaldini anziani, e la nostra fortuna in essi espressa per il breve periodo trascorso in montagna dalla nostra fuga; era convinzione comune ormai che fra qualche giorno le nostre formazioni avrebbero occupato l'intero litorale. Con l'aumentare della distanza dalla base si proseguiva più guardinghi e a breve distanza l'uno dall'altro, il fucile con il proiettile in canna ed il pollice sulla sicura; gli occhi attenti seguivano il rapido volo degli uccelli che si allontanavano al nostro passaggio, e in questa ricerca prudente ed attenta su un possibile pericolo un lontano luccichio attirò la mia attenzione, provocando un istintivo arresto al mio procedere. Turiddo cominciò a ridere sul mio sospetto e nel suo linguaggio a metà incomprensibile mi stimolò ripetutamente ad andare avanti, ritenendo del tutto fantasiose le mie supposizioni su una minaccia incombente; certo ero ancora un ragazzo la cui esperienza di guerra doveva maturare, ma l'ottima vista e un carattere che, salvo costrizioni, mi faceva accettare una situazione solo se convinto, dissero no, dovevo appurare e convincermi.
Mi chinai a lato d'un cespuglio concentrando tutta la mia attenzione sul sentiero che dolcemente calava verso la costa e, frazioni di attimi, ebbi la conferma: un uomo carponi passò rapido da un cespuglio all'altro con un'arma in pugno. "Bisogna far presto", dissi, "è necessario tornare immediatamente e avvertire il distaccamento". Un sorriso ironico e una frase di scherno furono la risposta di Turiddo, per un attimo i nostri occhi si incontrarono ed ebbi la sensazione che il suo sguardo volesse evitare il mio. "Non importa", replicai, "regolati come credi, io ritorno", e m'incamminai veloce; lo sentii borbottare, e proiettata dal sole scorsi la sua ombra seguire la mia. Il nostro frettoloso arrivo e le discordanti versioni fornite crearono un certo scompiglio; l'arrivo immediato dei tedeschi, da me indicato, faticava ad essere accettato da buona parte dei nostri compagni per due precise motivazioni: la versione più comoda, seppure pericolosa, fornita da Turiddo che dissentiva totalmente dalla mia, e quella supposta, che presumeva prossima la fine della guerra nell'intera Liguria. Fortunatamente il buon senso di Danko [Giovanni Gatti] e di altri componenti prevalse. "E' opportuno essere prudenti", disse "appostiamoci, se nulla dovesse verificarsi, nulla perderemo". E nella provvisorietà di una situazione pericolosa afferrai pienamente l'importanza della partecipazione volontaria: un gruppo di una cinquantina di uomini, apparentamente indisciplinati, in pochi minuti prese posizione. Nel breve tratto pianeggiante su cui sorgeva il Santuario, disposto in linea lungo il dorso della montagna, il terreno, in lieve salita verso nord, era sufficientemente strutturato per dominare completamente il sentiero proveniente dal mare, oltre alla chiesetta ed il tratto antistante, mentre lo spazio retrostante al fabbricato era controllabile solo parzialmente; l'intera formazione si era disposta a semicerchio sul disuguale terreno che permetteva una buona mimetizzazione, il Majerlyng al centro del dispositivo, opportunamente coperto con ramoscelli per evitare la rifrazione sull'arma dei raggi solari, aveva il compito di centrare il grosso della formazione nemica, mentre i due S. Etienne disposti sui lati del dispositivo dovevano colpire l'avanguardia e la retroguardia; ai fucili la caccia era lasciata libera.
Bruciava il sole e il tempo scorreva con una lentezza esasperante, e quando i primi dubbi sulla attendibilità dell'informazione raffiorarono, alla fine della piazzuola, dove iniziava il sentiero, due uomini, due nemici, tranquillizzati dall'apparente abbandono del tratto loro visibile, lanciarono il razzo di via libera.
E giunse l'ordinata teutonica colonna, circa duecento uomini per ucciderci; appiattiti sul terreno, quasi incorporati alle rocce nei respiri che accompagnavano i battiti d'un tempo sconosciuto, contavamo metro per metro la distanza che il tedesco doveva percorrere prima di sparare: i cacciatori che si avvicinavano non sapevano d'essere diventanti preda, e improvviso come inferno, l'assordante crepitio delle armi esplose, armi vibranti che davano la morte, urla improvvise, ordini, incitazioni, e uno sbando di corpi alla ricerca di un rifugio per sfuggire alla pena di una spietata sorpresa, e pur nel disordinato frastuono dei colpi, si avvertì subito l'arrestarsi del fuoco del nostro Majerlyng: l'arma si erta inceppata e Oddo, ottimo fuciliere ma mitragliere improvvisato, anche se coadiuvato da Danko, non riusciva a restituire funzionalità all'arma.
Istanti in cui la mente supera la più grande delle velocità e con spietata lucidità evidenzia il maturarsi di nuove realtà; la decisione che mi ero imposto di non sparare col Majerlyng, fintanto che la P.38 sequestratami all'atto della fuga non fosse rientrata in mio possesso, sparì, la presunta offesa avallata da un inutile orgoglio si cancellò; i nemici erano di fronte, afferrai con violenza l'arma, pochi e precisi movimenti, e il vibrare del mostro riesplose nelle mie mani; solo brevi istanti avevano fugato le ultime ombre, mi sentivo sicuro, in una certezza che mi teneva inchiodato sulla posizione, e l'arma vibrava, vibrava inpietosa nella valle che ingigantiva la sua terribile eco; il battesimo del fuoco, un diverso battesimo, era avvenuto.
Le munizioni purtroppo cominciarono a scarseggiare, il nostro fuoco era ormai soverchiato da quello del nemico, il quale, superata la prima mezzora di sbandamento, si era organizzato attestandosi dietro la chiesa e sui rocciosi fianchi del crinale, e soltanto la naturale posizione da noi occupata permetteva una difesa anche se operata con mezzi notevolmente inferiori; ma quando i primi colpi dei mortai, inprendibili alle nostre armi, perchè piazzati in totale copertura dietro la chiesa, caddero a poca distanza dalle nostre postazioni, venne spontaneo l'esame delle nostre possibilità e, fatto rapidamente il punto, si decise lo sgombero della posizione.
Considerata la sicurezza di poterci allontanare senza incappare in pericolose sorprese, il distaccamento iniziò il ripiegamento con molta calma e gradualità.
Danko, avvicinatosi carponi, ci invitò ad allontanarci e fungendo da battistrada con Oddo ci indicò il percorso; io seguivo con Sparafucile [Domenico Garibaldi], laureando in medicina, che operava in qualità di medico nel distaccamento, cosa che non gli aveva impedito di partecipare al battesimo con un S. Etienne. Sorrisi mentalmente osservando l'etereogeneo gruppetto che chiudeva l'evacuazione. Danko l'interprete, Oddo l'autista, Sparafucile medico ed io bancario.
La parte esaltante dell'avventura era terminata [...]
[..] Della classe di mare, venne chiamato alle armi dalla Repubblica Sociale nei primi mesi del 1944. Ritornato in Italia dalla Germania alla fine di luglio, dopo conseguito l'addestramento di guerra tedesco nella divisione italiana San Marco, fuggì con l'intero reparto di appartenenza nelle montagne imperiesi il 29 agosto dello stesso anno, scegliendo la strada della libertà. Ivi combatté fino al termine del conflitto nelle file della 2^ Divisione d'assalto Garibaldi Felice Cascione [ndr: come capo di una squadra della IV" Brigata Elsio Guarrini].
Renato Faggian (Gaston) nato a Pordenone (Udine) il 29 agosto 1924. [...] Periodo riconosciuto: dal 29 agosto 1944 al 30 aprile 1945. Dichiarazione integrativa n. 2547.
da ultima di copertina
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 46-52