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mercoledì 24 aprile 2024

Lo svolgimento del processo non piaceva all'amministratore della Divisione Garibaldi

Trovai il paracadutista in piedi accanto alla lettera che aveva scritto

Il 27 marzo [1945] vengono condotti ad Alto due prigionieri catturati ad Ortovero. Li portano in casa di Turbine [Alfredo Coppola, capo squadra, distaccamento "I. Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione partigiana "Silvio Bonfante"]: quando entro li trovo rannicchiati in un angolo col viso gonfio dalle percosse. Con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Turbine e qualche altro facciamo passare i due in un'altra stanza ed iniziamo un rapido interrogatorio. II primo, un ex partigiano di Ramon [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"], sbandato al principio dell'inverno, era stato catturato dai repubblicani ed iscritto a forza nelle Brigate Nere. Dopo aver prestato servizio ad Albenga era stato inviato ad Ortovero con l'incarico di catturare una nostra informatrice. Il suo compagno affermava di essere stato paracadutatista, di aver disertato da tempo, di esser stato preso dai fascisti di Albenga e tenuto in carcere in attesa di processo per diserzione. Gli era stata proposta quella prima missione che avrebbe dimostrato il suo pentimento. Aveva accettato di uscire dalla prigione con l'intenzione non di compierla ma di venire con noi. Era difficile controllare quanto vi fosse di vero. Come era avvenuta la loro cattura? Ad Ortovero una nostra informatrice ci aveva avvertito che avrebbe attirato in paese con un appumamento un ufficiale delle Brigate Nere. Ortovero era nella terra di nessuno, così ai nostri sarebbe stato facile catturarlo. L'ufficiale fascista, al quale l'amore non aveva annebbiato il cervello, si era fermato all'ultimo posto di biocco repubblicano inviando i due uomini con l'incarico di avvertire la ragazza che il luogo dell'appuntamento era spostato.
L'imboscata tesa all'ufficiale aveva così portato alla cattura dei due che avevamo davanti. Questo era il racconto dei partigiani reduci dall'imboscata. Avrebbero condotto a termine la missione se non fossero stati catturati? Oppure sarebbero venuti con noi come affermavano? Era il problema essenziale ma non il solo. Avevano militato nelle Brigate Nere per qualche tempo? Uno lo aveva ammesso e con ciò aveva meritato la morte, ma l'altro aveva negato, ma che valore aveva? Appena presi avevano detto di esser fuggiti dalle carceri di Albenga, ma l'esser in possesso di una pistola e di una bomba a mano aveva smentito la loro affermazione. Quando, sotto le percosse, avevano raccontato di esser stati inviati da un ufficiale delle Brigate Nere che li attendeva, i nostri erano partiti di corsa, ma all'appuntaimento non c'era nessuno.
«Se aveste detto la verità lo avremmo preso e vi sareste salvati» dicevano i partigiani. «Eravate d'accordo con lui, così morirete voi al posto suo».
Li portammo fuori paese e li obbligammo a scavarsi la fossa: con un piccone ed una pala li vidi lavorare in silenzio mentre quattro o cinque partigiani li sorvegliavano da vicino incitandoli a sbrigarsi. Il terreno era duro ed argilloso, quindi, malgrado le parole, il lavoro procedeva lentamente. Quando la fossa fu fonda una trentina di centimetri li portammo di nuovo al Comando. Li interrogammo separatamente ed ambedue confermarono di aver chiesto ad un contadino se c'erano partigiani perché volevano disertare.
Chiesi loro se volevano confessarsi ed ambedue accettarono. Andai personalmente in canonica; il parroco, che stava pranzando, fece sulle prime qualche difficoltà a seguirmi, poi quando comnprese di che si trattava, prese la stola e venne subito con me. Lasciammo soli il sacerdote ed il paracadutista e ci ritirammo nell'altra stanza.
Passarono parecchi minuti: osservavo l'altro prigioniero, ma nel viso livido dai pugni era inutile cogliere un'espressione. «A che pensi?» gli chiede un partigiano. «A mia madre», rispose. «Quante madri avete fatto piangere voi delle Brigate Nere!» ribattè il partigiano.
Poi il paracadutista uscì ed il secondo andò a confessarsi.
«Se vuoi scrivere a casa fa presto», gli disse Boris. «Fuciliamo te ed il tuo compagno perché siete delle Brigate Nere».
«Io non sono delle Brigate Nere... Volevano che mi iscrivessi in carcere, ma ho sempre rifiutato», ribatté il prigioniero con voce umile ma ferma.
«Tutti dicono così... Se vuoi scrivere ci incaricheremo noi di spedirla, metti l'indirizzo».
Lo svolgimento del processo non mi piaceva. Non avendo prove né a favore né a carico non potevamo respingere a priori il racconto degli imputati. Il primo aveva ammesso di essersi iscritto alla Brigata Nera di Albenga, magari costrettovi, ma poi vi era rimasto, e per noi questo era sufficiente per condannarlo. Ma l'altro negava accanitamente... e se avesse detto il vero? L'armamento che avevano al momento della cattura era talmente modesto che non comprendevo come l'ufficiale fascista avesse rischiato due dei suoi uomini in quel modo. La risposta ovvia era che erano due della cui vita non gli importava niente e che temeva portassero a noi le armi che avesse loro affidato.
Uscì il parroco solo: «Mi ha detto che va al gabinetto, ma non è più uscito...».
Un grido di tutti: «E' scappato!».
Un istante di trambusto e sciamiamo tutti per il paese. La popolazione ci incita a prenderlo: «Se si salva e racconta che siete ad Alto siamo tutti perduti».
Il fuggiasco è avvistato tra i castani: una raffica di Sten, il prigioniero si getta a terra, viene raggiunto, trascinato presso la fossa poi spinto giù sul pendio erboso. Due colpi di fucile e il condannato cade supino. Osservo per qualche istante una macchia rossa che si allarga sul maglione del ferito: una palla lo ha colpito al torace ed il sangue esce a fiotti sospinto dal respiro affannoso, l'altra gli ha squarciato una guancia: le labbra sono contratte sui denti bianchi in una espressione di dolore e di angoscia, gli occhi socchiusi ci fissano intensamente.
«Ha da patire prima di morire...» mormora un partigiano. Qualcuno rimane ad osservare l'agonia del nemico, mentre io con gli altri mi avvio per tornare in paese. Due contadini mi raggiungono mentre sono ancora presso il ferito: «Non seppellittelo lì perché sotto c'è la fontana». «Allora incaricatevene voi, noi un'altra fossa non la facciamo». Quando giunsi in paese un colpo di moschetto mi avvertì che l'agonia del ferito era finita.
Trovai il paracadutista in piedi accanto alla lettera che aveva scritto. Presso di lui era Boris: « Avrebbe potuto scappare anche lui!», mi disse, poi fa un gesto ai compagni ed il condannato è condotto fuori al suo destino.
Boris non aveva chiesto il parere di nessuno. Era regolare quella procedura?
Aveva detto di volerli fucilare ambedue. Era quella la sentenza?
Aveva cambiato idea dopo la fuga di uno? Decisi di intervenire, l'esecuzione poteva aver luogo da un istante all'altro. Presi la lettera e mi rivolsi al commissario: «Boris, non si potrebbe aspettare? Se effettivamente avesse voluto disertare? Non ha ammesso di essere stata una Brigata Nera e forse esiste quel contadino cui ha chiesto dove fossero i partigiani e come potesse raggiungerli. Cerchiamolo e vediamo se quel che ha detto è vero. Ognuno di noi avrebbe fatto come lui se, arrestato, non avesse avuto altro mezzo per tornare libero».
Boris non rispese, rimase qualche istante sopra pensiero poi uscì.
«Anche a me secca fucilarlo specie quando ho visto che non è scappato quando, per prendere l'altro, lo abbiamo lasciato solo». Disse Turbine.
Uscimmo tutti per andare a pranzare in trattoria, la giornata movimentata ci aveva messo appetito. «Fortuna che quello che era scappato l'avete preso!» ci disse un contadino quando entrammo. «Cercate di sistemare presto l'altro prima che vi scappi». Poi visto che guardavamo tutti una porta dietro di lui tacque e si volse: era entrato Boris col prigioniero: «E' stato graziato, d'ora in avanti sarà partigiano come noi: lo chiameremo Lazzaro perché era morto e adesso è vivo!».
«Se però ne combina qualcuna la responsabilità è tua!» disse Turbine rivolto a me.
Lazzaro fu accolto fraternamente, lo facemmo sedere accanto a noi, dividemmo con lui il pranzo. Libero [Libero Nante della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], il dottore di brigata, gli medicò le ammaccature. Finito il pasto Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi, comandante della Brigata d'Assalto Garibaldi "Val Tanaro" della Divisione "Silvio Bonfante"] lo arruolò nella sua banda rivolgendogli alcune parole di circostanza: «Devi dimenticare il passato comprese le botte che hai preso. Da oggi sei uno dei miei e sarai trattato come gli altri compagni. Se farai il tuo dovere non avrai da lamentarti, altrimenti pagherai come pagano tutti i partigiani quando mancano».
Il brusco cambiamento mi impressionò. Come era possibile che un uomo, che pochi istanti prima era odiato a morte, potesse ad un tratto esser considerato un compagno, un fratello, pure quello era l'animo partigiano: non odiavamo l'uomo ma la divisa che indossava, la parte per la quale combatteva. Se l'uomo non era stato fascista, ed anzi diventava partigiano, ogni motivo di rancore spariva. La teoria era facile, ma la pratica non cessava di meravigliarmi. E le parole di Turbine, che peso avevano? Il tono era scherzoso, ma la realtà poteva esserlo meno. Avrei voluto obiettare che io non avevo detto arruolatelo con noi, ma sospendete l'esecuzione e fate altri accertamenti. Ma compresi che non era il caso. Sarebbero stati capaci di dirmi: «Insomma decidi tu o lo teniamo con noi o lo fuciliamo...».
Non ebbi più notizie di Lazzaro fino al 15 maggio.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 216-220

giovedì 4 aprile 2024

Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese


Prima e ultima pagina della sentenza della condanna a morte [tramutata subito in una breve carcerazione] emessa contro Ennio Contini dalla Corte di Assise di Savona, 1945. Fonte: Francesca Bergadano, Op. cit. infra

Ad Albenga (SV), quasi sempre alle foci del Centa, tra partigiani e civili, vengono uccise dai nazifascisti più di cento persone.
Il 13 novembre 1944 a Castelvecchio di Rocca Barbena viene fucilato il civile Moreno Pietro (classe 1883), mentre il figlio Moreno Teodoro (classe 1910), arrestato, è ferito in un tentativo di fuga e, trasportato ad Albenga all'ospedale cittadino, decede per complicazioni. La loro morte è l'esito di una denuncia ben documentata per aver fornito viveri ai partigiani. La ritorsione da parte dei partigiani porta all'uccisione di Giuseppina Daldin Malco, moglie di Giuseppe Malco, commissario prefettizio a Castelvecchio, e di don Guido Salvi, un prete accusato di delazioni a favore della Feldgendarmerie.
Il primo dicembre 1944 Angelo Casanova (Falco), con una squadra di partigiani, tende un agguato mortale ad un gruppo di tedeschi nei pressi di Leca d'Albenga, in cui vengono uccisi otto tedeschi e quattro rimangono feriti. Il "Pippetta", la spia locale Giovanni Navone, denuncia gli autori di questo agguato alla Gendarmeria, ma almeno tre dei quattro arrestati sono solo parenti dei responsabili dell'agguato.
[...] Dopo una perquisizione nella casa della famiglia Navone di Villanova d’Albenga, accusata di fornire cibo ai partigiani, i membri di sesso maschile della famiglia, il padre Pietro e i figli Annibale e Alfredo, vengono catturati.
In seguito tedeschi e brigate nere si recano a Garlenda dove vengono arrestati il partigiano Esirdo Simone (Zirdo), il parroco del paese e altri due uomini nonché due donne.
Il 27 dicembre 1944 il distaccamento “Maccanò” della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" si scontra con una pattuglia tedesca uccidendone tre soldati e ferendone altri sei a nove chilometri da Albenga.
La stessa sera per rappresaglia vengono fucilati alla foce del Centa in Albenga (SV) i sei uomini, Esirdo Simone, Giovanni Fugassa, Pietro Navone, Annibale Navone, Alfredo Navone, Artemio Siccardi, e una donna, Giovanna Viale, presa il giorno precedente. Solamente il parroco di Garlenda, don Giacomo Bonavia, non verrà giustiziato ma salvato dall’intervento del vescovo di Albenga.
Il giorno successivo altri 15 ostaggi, quasi tutti residenti a San Fedele, sono fucilati alla foce del Centa a causa di una delazione delle spie Camiletti e Calderone. I condannati sono Ciarlo Emilio (nato nel 1893), Cristofori Vittorio (1908), Epolone Pio (1879), Fugassa Emilio Domenico (1904),  Fugassa Emilio Samuele (1897), Pastorino Vittorio (1897), Roveraro Angelo (1925), Semeria Giuseppe (1878), Tomati Andrea (1898), Tomati Francesco (1889) e Parolo Cirillo (1901), tutti civili. A questi si aggiungono i partigiani Faroppa Pasquale, Merlino Mario, Parolo Leonida e Roveraro Prospero.
[...] Giuseppe Calmarini (Stalinger) e Settimio Vignola (Vespa), partigiani nel distaccamento "Filippo Airaldi" della Divisione "Bonfante", scesi dai monti nell’inverno, vengono arrestati mentre si trovano nelle proprie abitazioni durante il rastrellamento di Pogli del 20 gennaio 1945, denunciati da una spiata dell'ex partigiano Luciano Ghio detto il Pisano.
Il 22 gennaio 1945 vengono fucilati alle foci del Centa insieme ad altri tre civili tutti di Pogli, Angelo Gandolfo (nato nel 1905), Ernesto Porcella (1921) e Luigi Vignola.
[...] Il 18 febbraio 1945 vengono giustiziati ad Albenga per rappresaglia De Lorenzi Pietro (Gin) nato a Vendone il 17.6.1904 (sappista), Isoleri Gino nato a Villanova d'Albenga il 26.5.1905, Cavallero Severino nato a Cuneo l'1.5.1926, Mosso Ennio nato a Villanova d'Albenga l'1.11.1904, Nano Francesco nato a Castelvecchio di Rocca Barbena il 29.1.1927, Sapello G. Battista nato a Villanova d'Albenga il 23.11.1883.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 

[ altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano con Paolo Veziano, Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 

Genovese Giacomo, nato a Catanzaro il 5 gennaio 1945, Capitano della Brigata nera “Briatore” (Giacomo Genovese venne fucilato a Vado Ligure in località Fosse S. Ermete il 29 giugno 1945 dopo essere stato prelevato con altri dal carcere di Finalborgo dove era detenuto)
Interrogatorio del 12.5.1945 nelle carceri di Savona: [...] Complessivamente la forza della brigata [nera] si aggirava sulle 150 unità, ripartite fra Vado, il posto di blocco di Albisola e servizio fisso al comando tedesco. Vi erano poi tre distaccamenti: Varazze, Albenga ed Alassio, comandati rispettivamente da Felice Uboldi e Fabbrichesi a Varazze, da Scippa prima e poi Sesta ad Albenga e ad Alassio Capello prima ed Esposito poi. Tutti questi reparti erano alle dipendenze dei tedeschi ed anzi aggiungo che i reparti di Alassio ed Albenga dovevano effettuare i servizi di pattuglia per conto dei tedeschi.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

Quando Ennio Contini giunge ad Albenga, nel marzo 1945, lo scontro tra formazioni partigiane ed esercito tedesco è al culmine della sua ferocia; rappresaglie antifasciste e rastrellamenti della Feldgendarmerie <1 sono all’ordine del giorno. Per sua conformazione geografica (la famosa “piana” poteva essere un ottimale punto di sbarco alleato ed era allo stesso tempo molto vicina alla Francia) la zona costituiva un punto di snodo importante sia per le forze alleate sia per l’esercito germanico e in questo lembo di terra era cresciuto in modo esponenziale anche il movimento antifascista. Qui, nel luglio 1944, era nata infatti la Divisione d’assalto Garibaldi intitolata a Felice Cascione, primo comandante partigiano caduto in battaglia. Il 1944 è un anno tristemente importante per l’Italia e per Albenga, ormai nel pieno di una guerra civile. Scrive Gianfranco Simone nel suo libro "Il boia di Albenga": «Fino all’arrivo della Feldgendarmerie nel novembre 1944 l’albenganese aveva sofferto meno per la repressione nazifascista che per le incursioni dei bombardieri francesi e angloamericani» <2. La polizia militare tedesca, alla fine del novembre 1944 in risposta a continui attacchi partigiani e all’uccisione di venti militari e due spie aveva attuato le prime rappresaglie nell’entroterra di Albenga, nella zona di Ortovero e Ranzo (IM), avvalendosi dell’aiuto della Brigata Nera <3 ‘Francesco Briatore’ di Savona, a quel tempo comandata da Felice Uboldi. Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese, accrescendosi anche per la personalità quantomai feroce e spietata di Luciano Luberti <4, chiamato ‘il Boia’. Luberti, si scoprirà solo alla fine della guerra, aveva torturato e ucciso più di un centinaio di persone. Solo la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri, fucilati senza pietà da Luberti e dal suo sottoposto Romeo Zambianchi, chiamato il ‘vice-Boia’.
[NOTE]
1 La Feldgendarmerie era la polizia militare dell’esercito tedesco. Era divisa in «Trupp» e di norma era formata da due plotoni, tre ufficiali, quarantuno sottufficiali e venti graduati di truppa.
2 Gianfranco Simone, Il boia di Albenga. Un criminale di guerra nell’Italia dei miracoli, Milano, Mursia, 1998, p. 25.
3 Nel giugno del 1944 era stato istituito, per volere di Alessandro Pavolini, il Corpo Ausiliario delle Squadre d’azione delle Camicie Nere. Le federazioni provinciali del Partito Fascista Repubblicano avevano preso il nome di Brigate Nere.
4 Luciano Luberti (Roma, 1921-Padova, 2002), detto ‘il Boia di Albenga’, era stato un criminale di guerra, giunto alla ribalta della cronaca anche negli anni ’60 per l’uccisione della compagna Carla Gruber. Secondo alcune fonti Luberti si arruolò nell’esercito nel 1941 ma è nel gennaio 1944, con il suo reclutamento tra le file della Wermacht che Luberti iniziò a farsi strada tra tradimenti e omicidi. Nel gennaio 1944 fu coinvolto nel rapimento di Umberto Spizzichino, ebreo suo amico, condotto nel campo di sterminio di Auschwitz, dove morì nell’agosto 1944. Sempre nel 1944 Luberti decise di passare alla Feldgendarmerie di Albenga, in veste di traduttore, ma ad Albenga uccise e torturò più di
sessanta persone (stando alla sentenza della corte d’Assise straordinaria di Savona Luberti si era reso colpevole di oltre duecento omicidi). Catturato nel 1946, mentre cercava di espatriare in Francia, Luberti venne condannato a morte e scontò sette anni di carcere. Subito dopo la sua scarcerazione Luberti tornò a Roma dove, tra il 1953 e il 1970, diede vita ad alcune iniziative editoriali attraverso l’Organizzazione Editoriale Luberti, pubblicando suoi testi come Furia (sotto lo pseudonimo di Max Trevisant) del 1964 o I camerati del 1969. Nel gennaio 1970 la compagna di Luberti, Carla Gruber, fu ritrovata morta nell’appartamento del ‘Boia’ in avanzato stato di decomposizione, uccisa da un colpo di pistola al cuore. Luberti venne arrestato per l’omicidio della Gruber solo nel 1972 e scontò, anche questa volta, solo otto anni di carcere perché «incapace di intendere e volere». Trascorse i suoi ultimi anni a Padova, tra arresti per detenzione di droga e il manicomio. Nel 1998 la Rai lo intervistò per la trasmissione "Parola ai vinti". Il ‘Boia’ morì qualche anno dopo, ospite di una casa di riposo.

Francesca Bergadano, «Il gioco irresistibile della vita». Ricerche su Ennio Contini (1914-2006): poeta, scrittore, pittore, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2017-2018

giovedì 28 dicembre 2023

I partigiani proseguono la battaglia dei ponti

Ormea (CN). Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato. Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchi di Biga Albino della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò". Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero; il SIM li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamenti.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati Tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrice. I soldati Tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borgoranzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo lasciando lunghe strisce bianche, il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio.
Il piano del Comando tedesco prevede le azioni su un territorio molto ampio, infatti i contingenti militari partono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obbiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I Zona Liguria.
Perciò, il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione. I Tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio  da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco. Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti. La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze ferroviarie non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco. La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco. La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procedelentamente e molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il Comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai Tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, mettendo in salvo i partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto “Cion” [Silvio Bonfante] attacca i Tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza sulla carrozzabile Pieve di Teco-Moano. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. Oltre al Comando della I Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo”, “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore”.
All'alba del 10 di agosto i Tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio. La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi è tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica. I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunge a Case di Nava con altri distaccamenti, attacca decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperde e riesce in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento. La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò. Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone, mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaire. Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano). I Tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11 anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna. Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i Tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico; i distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia. Il partigiano, ora, sa occultare il materiale salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei Tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

giovedì 26 ottobre 2023

Il Vescovo di Albenga conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane

Albenga (SV): Cattedrale di San Michele. Foto: Eleonora Maini

Ricorderò sempre con rimpianto le lunghe notti di novembre-dicembre del '44, le lunghe chiacchierate sul proclama degli Alleati che ci invitava a sospendere la lotta per il periodo invernale, come se la cosa fosse di estrema facilità. Per loro quella decisione era considerata come scegliere di cambiarsi d'abito: faceva freddo, e allora semplicemente si cambiavano i vestiti estivi con quelli invernali. Questi ordini assurdi anzichè demoralizzare gli uomini, cementarono fra noi la vera amicizia, e sopratutto la volontà comune di continuare la lotta. Quando poi sistemai i meno validi presso le famiglie dei dintorni, non fu cosa facile far loro capire che quello era un provvedimento temporaneo e che dopo sarebbero ritornati a far parte delle varie formazioni in primavera, ma che comunque sarebbero stati ritenuti sempre in servizio, come se si fossero trovati ancora nei Distaccamenti.
Dovevo ridurre gli effettivi nei Distaccamenti stessi per renderli più agili e manovrieri. C'erano con noi due fratelli gemelli sanmarchini, di cognome Baroni, nativi dei dintorni di Milano: uno era ammalato di polmoni e il medico (Dr. Lai) ne consigliava l'allontanamento dalle formazioni, perchè poteva essere infettivo. Non potevo sistemarlo presso qualche famiglia sapendo che poteva essere contagioso; allora li fornimmo tutti e due di carte d'identità rilasciate da un Comune della valle e, con gli abiti avuti da alcuni giovani del paese e qualche chilogrammo d'olio donato loro dai contadini, partirono per la Lombardia dalla stazione di Albenga e riuscirono ad arrivare a casa (quello ammalato morì di t.b.c. alcuni anni dopo la fine della guerra, senza purtroppo aver potuto ottenere il riconoscimento e la relativa pensione).
Il loro ritorno fu fortunato, ma noi non potevamo saperlo e allora, nelle interminabili sere davanti al fuoco dei casoni, ci soffermavamo a parlare delle probabilità che avrebbero avuto di riuscire ad arrivare a casa. Lì iniziò il gioco dei perché: perché erano partiti? Perché uno dei due era ammalato? Perché uno dei due era di costituzione delicata? Perché era stato arruolato nel sanmarco? e a forza di perché, si arrivava al perché della guerra, al perchè del fascismo, fino a che, vicino al fuoco, non rimaneva più nessuno.
Altre volte si parlava di calcio e i più preparati in materia iniziavano a ricordare i componenti delle squadre di serie A, e i loro ruoli; finita la serie A, iniziavano con la serie B. Fino a che non riuscivano a ricordare gli undici uomini titolari e le riserve, non passavano ad un'altra squadra. Da diverse sere cercavano di ricordare il nome di un terzino senza riuscirci; i più ostinati nella ricerca erano Lello [Raffaele Nante] e un ragazzo dei dintorni di Milano, il cui nome di battaglia «Disdot» (diciotto) derivava da una partita di calcio della squadra del suo paese, in cui questa aveva subito ben diciotto goal.
Una sera, vicino al fuoco, erano rimasti Lello e Disdot, che non riuscivano a ricordare il nome di un terzino. Andarono a coricarsi senza averlo trovato. Durante la notte, uno dei due, rannicchiato nella sua cuccia, pronuncia un nome e l'altro, situato all'estremità della baita, gli risponde: «Hai ragione, è proprio lui il tertino che ci mancava!» Chissà se erano rimasti svegli tutti e due a pensare, oppure se nel sogno avevano ricordato quel nome.
In uno di quei giorni di novembre ero andato con l'intendente Bergamini a Ortovero per cercare di convincere il nostro fornitore di tabacco a praticare un prezzo a noi più favorevole; ma il commerciante riuscì a convincerci che il prezzo da lui praticato era giusto e che, per causa di quello, avrebbe lavorato in perdita. Io approfittai dell'occasione per fare avere notizie alla mia ragazza e il risultato fu che un bel giorno ella arrivò a Ubaghetta dopo aver peregrinato chissà come e chiedemmo a Don Rembado di sposarci. Don Rembado chiese l'autorizzazione al Vescovo di Albenga, che allora non la concesse per motivi certamente validi (il Vescovo di Albenga che conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane, temeva che se i nazifascisti fossero venuti a conoscenza del matrimonio, avrebbero infierito più di quanto stavano facendo sul clero in generale).
Decidemmo così di sposarci solo civilmente, ci avrebbe sposato il nuovo Commissario di brigata [la IV^ della Divisione "Silvio Bonfante"] (nel frattempo ero stato nominato Comandante di brigata) e Federico [Federico Sibilla], il commissario, era passato alla I brigata ["Silvano Belgrano"], sostituito da Calzolari (un ragazzo di Bergamo) ex sanmarchino. Riporto copia conforme dell'atto di matrimonio: l'originale è ancora in possesso di Fanin uno dei testimoni.
Era stato un ben triste dicembre; i tedeschi a Pieve di Teco, con l'ausilio di delatori, riuscivano spesso a sorprendere i partigiani nei loro rifugi. Le prigioni del piccolo centro erano colme di ragazzi che, in grosso numero, vennero prima torturati e poi fucilati.
Al servizio dei tedeschi erano purtroppo anche due uomini del mio vecchio distaccamento «C. Maccanò», Walter e Bol, anche loro provenienti dalla liberazione dei prigionieri delle carceri di Oneglia come il prof. Come lui facevano le spie, non avendo però la capacità e tanto meno la libertà della quale godeva il prof. (non mi ero mai fidato infatti di loro completamente).
Erano poi riusciti a sganciarsi durante quel combattimento nella nebbia avvenuto a Cosio, ed erano ritornati a collaborare col nemico riferendo quanto erano riusciti a sapere nel periodo che restarono con noi.
Per Natale Bergamini era riuscito a procurarsi della carne di maiale, senza danno per i contadini. Era riuscito infatti a sapere che i maiali esistenti nei paesi della Val d'Arroscia erano per la maggior parte di un commerciante che li aveva dati ai contadini con l'accordo che, quando fossero stati ingrassati, li avrebbe divisi in parti uguali fra loro.
Bergamini ne fece uccidere uno per il Distaccamento, lasciando ai contadini la loro metà e pagando il resto a prezzo di mercato. Tutti i Distaccamenti per Natale ebbero così mezzo maiale e ne venne fuori un pranzo natalizio davvero sontuoso.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 151-153

mercoledì 6 settembre 2023

Il nuovo Comitato era subito riconosciuto dal CLN Regionale Liguria e durerà in carica dal primo febbraio 1944 alla Liberazione, con giurisdizione su tutta la Provincia di Imperia e sul Circondario di Albenga

Imperia: uno scorcio di Porto Maurizio

Il 10 settembre 1943, dopo una prima riunione in Imperia di quadri comunisti, seguita da una seconda, alla quale, oltre ai comunisti parteciparono uomini politici delle altre correnti antifasciste, venne formato un "triangolo militare", composto da Nino Siccardi, Felice Cascione e Carlo Aliprandi, con l'incarico di inviare altri uomini in montagna, aiutare con viveri, armi e munizioni quelli che già vi si trovavano, organizzare militarmente anche gli uomini della città. Contemporaneamente, con militari rimasti sul posto, si sarebbe provveduto ad asportare armi, munizioni e vestiario dalle caserme. Così, prima dell'arrivo dei tedeschi furono ricuperate cinque mitragliatrici, oltre cento fucili, alcune decine di rivoltelle, parecchie migliaia di cartucce, cassette di bombe a mano, coperte, scarponi e così via.
Due giorni dopo, il 12 settembre, i tedeschi giungevano ad Imperia prendendo possesso della città. Il Centro sopraddetto, con i suoi collaboratori, funzionava e teneva i collegamenti con quello di Genova, svolgendo altresì una funzione di raccordo tra la città della Lanterna e i centri minori di Albenga, Alassio, Diano Marina e Sanremo. Il materiale di propaganda proveniente dal Centro di Genova veniva regolarmente diffuso nella zona.
Verso la fine di settembre 1943, Gian Carlo Paietta giunse ad Imperia, inviato dal Centro di Genova per prendere contatto con l'organizzazione comunista locale. Scopo della riunione era quello di lanciare tutta l'organizzazione comunista nella lotta di liberazione, trattandosi, tra l'altro, di una rete politicamente già ben ramificata nella Provincia.
[...] Dopo l'eroica morte di Felice Cascione in montagna (Alto, 27.1.1944), il Comitato decideva di inviare Nino Siccardi (Curto) a prendere il comando delle formazioni partigiane della I Zona Operativa Liguria. Il primo febbraio 1944 il primo CLN Provinciale veniva modificato in quanto, essendo stati individuati dai nazifascisti, i membri Viale e Berio dovettero allontanarsi, mentre Giacomo Castagneto, per disposizione del PCI, si trasferiva a Cuneo a dirigere la Federazione del Partito in quella Provincia, in sostituzione del compagno Barale, caduto durante l'incendio di Boves da parte dei tedeschi. Lasciò infine il CLN Giacomo Amoretti, pur restando nelle file dell'organizzazione della Resistenza a Imperia, per trasferirsi poi nei primi giorni di settembre 1944 a Genova, a far parte del Comando della Delegazione delle Brigate Garibaldi della Liguria.
Il nuovo Comitato era subito riconosciuto dal CLN Regionale Liguria e durerà in carica dal primo febbraio 1944 alla Liberazione, con giurisdizione su tutta la Provincia di Imperia e sul Circondario di Albenga. Questa la formazione del nuovo Comitato: Gaetano Ughes (PCI), presidente; Ernesto Valcado (PSIUP), Carlo Folco (DC), (Ugo Frontero (PSIUP), Carlo Aliprandi (PCI) e Amilcare Ciccione (DC), tutti e tre addetti militari.
Allo scopo di coordinare l'azione militare, che andava oramai assumendo un ruolo di prim'ordine nella lotta di liberazione nazionale, veniva pure costituito alle dirette dipendenze del CLN un centro militare che riprendeva le funzioni del "triangolo militare", creato subito dopo l'armistizio e poi sciolto a fine novembre 1943, quando i suoi più attivi componenti erano stati inviati in montagna per organizzare le formazioni partigiane. Del Centro Militare, strettamente integrato nel gruppo politico del CLN e da questo dipendente, fecero parte, fino alla Liberazione, i tre addetti militari del CLN stesso, Carlo Aliprandi (Il Lungo), Amilcare Ciccione (Milcoz) e Ugo Frontero (Ugo).
Nell'intento di garantire la clandestinità dell'organizzazione e sventare i continui tentativi della polizia nemica di annientarne gli organismi dirigenti, nonché onde evitare inutili dispersioni di energie, venne deciso di accentrare, per quanto possibile, nelle mani del presidente e segretario la gran parte dell'organizzazione politica (stampa e propaganda, organizzazione locale e gli svariati e delicati servizi di collegamento), anche in considerazione del fatto che il presidente era in grado di valersi, nell'espletamento delle sue funzioni, della già esistente organizzazione del PCI e dei suoi principali terminali nella Provincia. Anche gran parte della finanza venne affidata alle cure del segretario, il quale poteva così disporre sia dei fondi che giungevano saltuariamente dal Centro di Genova, sia di quelli raccolti o prelevati nella città di Imperia e nei Centri della Provincia, e quindi provvedere di volta in volta, anche nei casi di emergenza, ai necessari finanziamenti, si trattasse delle forze operanti in città o delle formazioni partigiane in montagna, le cui esigenze si andavano facendo sempre più onerose e complesse con il crescere delle loro file.
I membri del Comitato di Liberazione si riunivano periodicamente, quasi sempre con la presenza di uno o di tutti gli addetti militari. Nei primi mesi del 1944 le riunioni avvenivano una o due volte la settimana, poi, quando i tempi divennero più duri e la situazione si fece pericolosa, in media ogni quindici o venti giorni. Generalmente le riunioni avevano luogo nell'abitazione del segretario. Talvolta, quando si sospettava un pericolo, presso quella dell'avvocato Folco, di Valcado, o di uno degli addetti militari. In alcune occasioni, convegni vennero tenuti in caffè cittadini.
[...] Il segretario, nello svolgimento della sua complessa e difficile attività politica e finanziaria, d'informazione e di collegamento, era affiancato da numerosi organi, generalmente collegiali, alcuni con proprie organizzazioni autonome, di cui egli stesso si serviva. Si deve all'instancabile attività di questi organi ausiliari se la rete cospirativa poté funzionare efficacemente fino alla Liberazione. I primi organismi ausiliari del CLN imperiese, costituiti nella primavera del 1944, furono la squadra politica e finanziaria, ed il gruppo di collegamento e staffette. La costituzione di tali organi coincise con il riconoscimento del CLN di Imperia quale organo di Governo per la Provincia, riconoscimento che il CLN di Genova fece pervenire, su autorizzazione del CLN Alta Italia, nei primi giorni di aprile 1944. La costituzione della squadra politica e finanziaria, e del gruppo collegato a staffette, si rese necessaria
per il continuo accrescersi dei bisogni inerenti alla lotta partigiana in montagna e a quella clandestina nei centri della Provincia.
Infatti con la costituzione definitiva della IX Brigata d'assalto Garibaldi (metà giugno 1944) sulle montagne dell'entroterra, sotto il comando di Nino Siccardi (Curto) ed il commissario Libero Briganti (Giulio), brigata elevata poi il primo luglio successivo a II Divisione d'assalto Garibaldi "Felice Cascione", si rese opportuno un collegamento regolare ed efficiente con la montagna, non solo, ma anche un intensificato invio di danaro, viveri, armi, munizioni, vestiario e medicinali, e l'organizzazione di un vero e proprio servizio d'informazione (SIM), diretto da uomini preparati a questo compito, essenziale per lo sviluppo ulteriore di una lotta fatta principalmente di colpi di mano, sorprese, agguati.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 
 
I C.L.N. locali con l'approssimarsi della fine del 1944 avevano suddiviso il territorio di competenza della I^ Zona Operativa Liguria in tre parti. La "A" comprendeva il territorio da Ventimiglia (IM) a Santo Stefano al Mare (IM), comprese  tutte le vallate. La "B" i paesi tra Imperia e Cervo (IM) e vallate. La "C" riguardava il territorio tra Andora (SV) ed Albenga (SV).
I Comitati di Liberazione Nazionale, benché clandestini e perseguitati, si prefiggevano l'obiettivo di condurre con ogni mezzo la lotta per la liberazione di tutto il territorio occupato, cooperando con le squadre di montagna e supportandole con apporti di tipo economico, logistico e politico-militare.
I C.L.N. locali si facevano, inoltre, carico, della propaganda antifascista, di aiutare le famiglie dei combattenti partigiani e di raccogliere notizie sugli spostamenti delle truppe nazifasciste.
Il C.L.N. di Sanremo (IM), avendo, come sottolineato poco sopra, il proprio raggio d'azione dalla frontiera con la Francia a Santo Stefano al Mare (IM), intrattenne rapporti quasi giornalieri con il comando della II^ Divisione "Felice Cascione". E furono molto stretti anche i rapporti tra il  CLN di Taggia (IM) con il comando del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

mercoledì 28 giugno 2023

All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio

La zona del Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato.
Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchio di Albino Biga della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò".
Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero.
Il S.I.M. li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, pochi mesi dopo comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamento.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrici.
I soldati tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borganzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo, lasciando lunghe strisce bianche. Il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto 1944 alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio. Il piano del Comando tedesco prevedeva azioni su un territorio molto ampio. Infatti i contingenti militari partirono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I^ Zona Liguria.
Perciò il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione.
I tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al Colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco.
Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti.
La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco.
La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco.
La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procede lentamente e in maniera molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I^ Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (Frazione di Pieve di Teco in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, con la messa in salvo dei partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto Silvio Bonfante (Cion) attacca i tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” [n.d.r.: Luigi Massabò, in seguito vice comandante della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza alla carrozzabile Pieve di Teco-Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)]. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. 
Oltre al Comando della I^ Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo” [Renzo Merlino], “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore” [Domenico Trincheri]. All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio.
La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I^ Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno [Frazione di Pieve di Teco (IM)]; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari [Vessalico (IM)] e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi fu tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi, che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica.
I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunse a Case di Nava [Pornassio (IM)] con altri distaccamenti, attaccò decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperse e riuscì in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento.
La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò.
Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)], mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaira.
Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento, ma poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano).
I tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11, anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna.
Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico. I distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia.
Il partigiano, ora, sa occultare il materiale, salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte, ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

venerdì 19 agosto 2022

Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria alla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"

Una mappa di una parte della Città dei Fiori , realizzata dalle SAP di Sanremo alla vigilia dell'insurrezione finale. Fonte: Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970

Le Squadre di Azione Patriottica (S.A.P.) ebbero una genesi più tardiva rispetto alle formazioni partigiane della montagna.
Infatti i loro inizi risalgono al luglio-agosto 1944. I motivi di questo ritardo sono da ascriversi al fatto che "l'epicentro dell'azione delle SAP è rappresentato dal cuore stesso delle città e dei paesi sedi di comandi tedeschi e fascisti" (Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese).
I Comandi delle S.A.P. dipendevano direttamente dal C.L.N. operante nella zona d'appartenenza delle formazioni stesse, che nacquero dall'aggregazione di preesistenti gruppi patriottici che agivano isolatamente.
Tra le competenze delle SAP vi era quella di "persuadere i militi della G.N.R. e della Divisione "San Marco" ad abbondonare le fila dell'esercito della RSI e raggiungere i Comandi partigiani" (Carlo Rubaudo, Op. cit.); non meno importante era l'azione di mantenere rischiosi, ma  necessari contatti con gli agenti di P.S. onde venire a conoscenza di imminenti rastrellamenti tedeschi; inoltre spettava alle Squadre d'Azione Patriottica fornire e provvedere, almeno in parte, all'approvvigionamento bellico dei reparti delle montagne.
Nella I^ Zona Liguria tutte le formazioni SAP furono inquadrate in una organizzazione che assumerà il nome di "Divisione SAP Giacinto Menotti Serrati", che potrà contare su ben 8 brigate.
Le brigate SAP erano le seguenti: I^ Brigata "Walter Berio" di Imperia Oneglia, costituitasi nell'agosto del 1944; II^ Brigata "Adolfo Stenca" di Imperia Oneglia, sorta nel febbraio del 1945; III^ Brigata "Domenico Novaro" di Diano Marina, nata nel settembre 1944; V^ Brigata "Giacomo Matteotti", VII^ Brigata "Giuseppe Anselmi", VI^ Brigata "Aldo Baggioli", tutte di Sanremo (IM) e tutte nate nel settembre '44; VIII^  Brigata "Guido Bandinelli" di Taggia, costituitasi nel settembre '44. Il distaccamento SAP di Vallecrosia, nato negli ultimi giorni di luglio 1944, emanazione della V^ Brigata. La IV^ Brigata S.A.P. "Lorenzo Acquarone" a Porto Maurizio di Imperia.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

La divisione Sap Serrati, I zona operativa della Liguria, costituita nell'autunno del 1944, opera sulle città costiere dell'imperiese, con 8 brigate dipendenti: 1a  W. Berio, 2a A. Stenca, 3a D.Novaro, 4a L. Acquarone, 5a  G. Matteotti, 6a A. Baggioli, 7a G. Anselmi, 8a G. Bendinelli e un distaccamento GAP E. Zamboni.
La I zona Liguria comprende la provincia di Imperia e l'Albenganese, porzione occidentale della provincia di Savona. Nella prima decade di giugno del 1944 le bande partigiane di questa zona, raggiunta una certa consistenza, si raggruppano nella 9a brigata d'assalto Garibaldi F. Cascione; nel mese successivo tale brigata fu elevata a 2a divisione d'assalto Garibaldi F. Cascione. In seguito vengono costituite anche la 15a divisione d'assalto Garibaldi S. Bonfante e la divisione SAP G. M. Serrati.
Redazione, Divisione Sap Menotti Serrati, 9centRo

Le Squadre di Azione Patriottica (SAP) corrispondevano alle brigate di montagna per l'azione nelle città, ricevendo anch'esse direttive dal CLN. Tali squadre si trovarono tuttavia a fronteggiare la difficoltà di operare in ambito cittadino, dove naturalmente la pressione del nemico era maggiore, senza neppure poter contare su di un armamento adeguato. Tuttavia la relazione tra gruppi di montagna e di città si rivelò fondamentale nel prosieguo della lotta partigiana. Organizzazioni delle Sap erano presenti a Imperia, Sanremo, Diano Marina, Taggia e Vallecrosia, ma molti suoi componenti furono smascherati dai fascisti grazie all'aiuto di una spia nota come "donna velata", che segnalò loro molti nomi di partigiani da lei precedentemente conosciuti. Ciononostante, dall'estate del 1944 sino ai giorni della Liberazione, le SAP agirono efficacemente nelle città costiere, al pari dei GAP, sostanzialmente con gli stessi obiettivi: sabotaggi, liberazioni di prigionieri, recupero di armi, soppressione di spie e attività propagandistica.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012
 
2 gennaio 1945 - Dal Distaccamento S.A.P. "Adriano Amadeo" al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Comunicava che Villa Ughes e la caserma Siffredi ad Imperia erano state abbandonate dal comando tedesco, e risultate dopo un'ispezione prive di materiale e che i ponti della vallata di Imperia erano stati minati dal nemico, il quale, oltrettutto, aveva trasferito molto materiale in Lombardia.

3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati", prot. n° 4, al C.L.N. di Imperia - Veniva fatta richiesta delle liste di persone già tassate e di quelle da tassare.

5 gennaio 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria alla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Venivano trasmesse le descrizioni fisiche di due spie da prelevare: il primo, zoppo, aveva circa 35-40 anni, l'altro, dai "piedi dolci", era di piccola statura.

29 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" - Trasmetteva l'ordinanza del comando alleato, pervenuta tramite il comando della II^ Divisione, per l'istituzione di un Servizio Informazioni Militari da parte delle SAP, sotto la guida della Sezione SIM della II^ Divisione.

30 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava le difficoltà nei collegamenti con la montagna a causa dell'inasprimento delle misure di sorveglianza adottate dal nemico.

22 febbraio 1945 - Dal comando delle Brigate S.A.P. di Sanremo al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" ed al C.L.N. di Sanremo - Comunicava che il lavoro di riorganizzazione, nonostante la carenza di armi e la difficoltà di reperire uomini dotati di qualità militari, procedeva bene, con Brigate già suddivise in Distaccamenti.
 
22 febbraio 1945 - Documento riservato con il quale ai quadri partigiani interessati si trasmetteva la descrizione fisica della spia Rina Bocio, del servizio informazioni del nemico: "alta 1,65 metri, bruna, capelli corti, molto scura in viso..."

16 marzo 1945 - Dal comando delle Brigate S.A.P. di Sanremo al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" ed al C.L.N. di Sanremo - Comunicava che continuava a migliorare l'organizzazione SAP con l'aumento sia di armamenti che di aderenti; che le squadre erano state ragguppate in Distaccamenti da impiegare "al momento opportuno in settori ben definiti"; che si stavano "repertando le armi in dotazione ai singoli organizzati"; che era in fase di preparazione un piano operativo che sarebbe stato sottoposto al comando della Divisione SAP ed al comando della II^ Divisione.

22 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Gianni Ro", Giuseppe Viani] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" di Imperia - Richiedeva un appuntamento per avviare un lavoro in comune tra le forze patriottiche cittadine e le forze garibaldine di montagna.

25 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Gianni Ro", Giuseppe Viani] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria alle formazioni SAP - Affermava che per ragioni non dipendenti dal mittente non avevano "avuto un fruttuoso seguito" gli accordi raggiunti il 27 dicembre 1944 tra il comando SAP ed il Comando Operativo della I^ Zona Liguria; che, pertanto, la collaborazione operativa si sarebbe attuata con azioni dimostrative e dirette, "predeterminate con le formazioni" garibaldine che avrebbero provveduto a fornire le munizioni da usare; che la "collaborazione attiva" era in quel momento "ostacolata dalla mancanza di munizioni e armi"; che, tuttavia, potevano essere raggiunti "ottimi risultati nel campo informativo, vitale per l'attuazione della guerriglia"; che i sapisti, "svolgendo la loro normale attività", erano a stretto contatto con il nemico; che era necessario estendere a tutta la provincia la rete di informatori; che servivano notizie riguardo al nemico sulle postazioni, sulle fortificazioni, sui lavori campali, sui presidi, sui magazzini, sui movimenti; che il servizio informazioni doveva essere esteso a tutti i sapisti e non lasciato al solo SIM; che ad ogni squadra doveva essere assegnato un territorio; che per "il reperimento delle notizie" si era dimostrato fruttuoso il sistema adottato dalla Brigata SAP di Diano Marina, il cui commissario passava giornalmente dai suoi informatori a raccogliere le notizie; che un commissario di Brigata SAP aveva l'incarico "di vagliare le notizie ricevute vagliandone l'importanza"; che dopo il predetto vaglio le informazioni dovevano essere trasmesse ai livelli competenti delle formazioni partigiane; che era ormai vitale instaurare uno stretto collegamento tra ogni Brigata SAP con una formazione garibaldina.
 
25 marzo 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" al CLN provinciale di Imperia - Segnalava che i tedeschi stavano usando "tutti i mezzi possibili per ammassare il maggior quantitatvo di olio possibile; pare, addirittura, che ne vogliano portare via 60.000 quintali, anche se non ci riusciranno. Tuttavia, anche se ne asportassero solo qualche quintale sarebbe un grave danno per la già provata economia della zona che non ha altre risorse". Comunicava che i tedeschi avevano avuto diversi allarmi navali e che durante la notte precedente avevano "applicato le micce alle mine". Riferiva che in un incontro con  Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione Bonfante] era stato preso l'accordo di interrompere per brevi tratti sia la via Aurelia sia la ferrovia, ma che per motivi sconosciuti tali azioni concertate non erano state effettuate.

5 aprile 1945 - Dal comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Riproponeva di effettuare un'azione contro la strada ferrata in Località Capo Rollo [località di Cervo (IM)] "sia per impedire l'asporto di elevati quantitativi di olio dalla provincia di Imperia che per impedire una rapida fuga dei tedeschi ed in particolare dei fascisti".

5 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione S.I.M. del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che nel bunker sopra il torrente Impero ad Imperia era stato costruito un posto vedetta vicino al mare, costantemente sorvegliato: che un analogo osservatorio era stato edificato in località San Martino di Sanremo; che tali provvedimenti inducevano a pensare che tra le file nemiche regnasse l'allarme continuo; che il 4 aprile sulla strada 28 erano transitati in direzione nord 40 uomini con affardellamento completo; che continuavano le lamentele contro la Sepral [uno dei tanti enti annonari istituiti durante la guerra] "banda organizzata per la borsa nera su vasta scala"; che i tedeschi risultavano "sempre più demotivati alla lotta, contuinuano la tendenza di avvicinamento alla popolazione".

6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Disponeva di incaricare "Quan" di recarsi a studiare la situazione della centrale elettrica di Oneglia ad Imperia perché sarebbe occorso, con la forza o con l'astuzia, tentare di impedire ai tedeschi di fare brillare l'impianto e per lo svolgimento di tale operazione di salvataggio di operare con le SAP.

7 aprile 1945 - Dal  Comando della I^ Zona Operativa Liguria alla segreteria del  Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che il capo di Stato Maggiore del Comando Operativo della I^ Zona Liguria, "Gianni Ro" [Giuseppe Viani], doveva essere avvisato della riunione in preparazione tra i CLN, le SAP e le formazioni garibaldine...

9 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 566/CL, all'Ispettorato del  Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "Piero", ufficiale addetto al comando SAP, sarebbe salito in montagna perché ricercato attivamente dal nemico.

10 aprile 1945 - Dalla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che a Capo Berta [tra Imperia e Diano Marina] era stata piazzata una batteria antisbarco protetta dal filo spinato; che lungo l'argine destro del torrente Impero e in Castelvecchio ad Imperia erano in fase di preparazione alcuni sbarramenti fatti con pezzi di rotaie; che il giorno 7 era partita dalla Cava Rossa, diretta a nord, una colonna tedesca di 40 soldati, 8 carri grandi, 8 carri piccoli.

13 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al Rappresentante [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] dell'Alto Comando Alleato ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che come da accordi presi iniziava il servizio informazioni; che i tedeschi avevano asportato dal forte di Zuccarello tutte le munizioni; che facevano la stessa operazione dai magazzini situati nei pressi di Albenga; che l'11 aprile era transitato "da est ad ovest un camion con rimorchio carico di 70 fusti pieni di benzina"; che nella galleria tra Ceriale e Borghetto vi era un treno blindato, armato con 4 pezzi da 120 e con 2 mitragliatrici da 20 mm; che il nemico aveva intensificato la sorveglianza nelle valli vicine ad Albenga sino ad istituire un nuovo posto di blocco sulla strada Arnasco-Albenga-Coasco [Frazione di Villanova d'Albenga (SV)].

17 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione S.I.M. del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava come sarebbero stati indicati gli obiettivi militari (ad esempio 1, parrocchia di Castelvecchio, abbandonata dai 25 militari ivi accantonati; 32, il bunker presso il ponte della via Aurelia sul torrente Impero, ormai sgombrato dai 10 tedeschi che prima l'occupavano), che i 30 tedeschi di stanza a Casa La Lena si erano trasferiti a Pontedassio in sostituzione di loro camerati diretti verso le montagne piemontesi; che i tedeschi per paura di essere uccisi dai garibaldini intendevano arrendersi agli alleati.

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" all'ispettore "Giulio" [Carlo Paoletti] della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che nell'organico della Divisione militavano 75 uomini ad Oneglia, 75 a Porto Maurizio, 100 uomini nella Brigata di Sanremo, che avrebbero potuto essere inquadrati nelle SAP anche i giovani del Fronte della Gioventù ed "alcuni compagni anziani del Partito", che il 6 aprile una squadra SAP di Porto Maurizio aveva fatto esplodere una bomba nella "casa del soldato" rendendo inutilizzabile l'edificio.

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 17 aprile erano transitati sulla via Aurelia in direzione ovest 2 camion, 6 auto, 5 autocarri tutti vuoti, verso est 1 camion coperto, 1 camion vuoto, 1 treno carico di paglia e fieno; che il presidio di Coasco era partito per il fronte; che il figlio del maggiore Vignola agiva come spia.

19 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 56, al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che "il giorno 18 u.s. sono transitati sulla via Aurelia verso est 3 camion coperti, 3 moto con militari, 1 auto con 4 soldati, 1 camion carico di materiale, 1 autobus carico di truppa ed 1 colonna di 10 carri. In direzione ovest sono passate 6 macchine cariche di armi ed 1 camion vuoto. Proveniente da Ventimiglia è transitato un treno carico di materiale diretto a Savona. A Leca d'Albenga vi sono 100 uomini di truppa e 15 tra ufficiali e sottoufficali. Pare che Vignola del Dst. Bortolotti svolga azione di spionaggio ai danni dei garibaldini. Pipetta continua a lavorare per i tedeschi. Si allega la foto di una ragazza che agisce a Garlenda e che con la scusa della borsa nera fornisce notizie ai tedeschi. L'isola Gallinara non ha più il presidio tedesco e sembra che non verrà rimpiazzato".

19 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati", prot. n° 11, al SIM della I^ Zona Operativa Liguria - Avvertiva che "nell'obiettivo n° 18 [pini Spinelli e Villa Isnardi] è stato ricostruito il caposaldo con difesa passiva; nell'obiettivo n° 27 [porto di Oneglia ad Imperia] i 3 bunker sono presidiati da 30 uomini; presso l'obiettivo n° 4 [presidio di Oliveto, Frazione di Imperia] sono giunti 20-30 tedeschi da Pieve di Teco, sostituendo in parte il presidio precedente. Sulla strada n° 28 sono transitati 30-40 tedeschi con l'affardellamento completo, diretti a nord, con probabile provenienza da Taggia o da San Remo. Sulla via Aurelia traffico normale anche se di tanto in tanto transita un drappello di tedeschi, sempre in direzione est. Le vetture a causa della scarsità di carburante si rimorchiano a due a due".

22 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Chiedeva con urgenza precise disposizioni nei confronti "delle truppe liberatrici, che con ogni probabilità saranno Degolliste; le competenze nei confronti del CLN e delle SAP secondo gli accordi intervenuti tra voi e dette organizzazioni... se bisogna portare gradi, in caso positivo quali".

22 aprile 1945  - Dal capo di Stato Maggiore [Gianni Ro, Giuseppe Viani] della I^ Zona Operativa Liguria, prot. n° 29, al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Veniva richiesta per conoscenza una copia delle comunicazioni fatte dal comando SAP al comando della I^ Zona e si sottolineava la necessità di contatti settimanali per l'analisi delle situazioni SAP in provincia di Imperia.

22 aprile 1945  - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria alle S.A.P. di Imperia Oneglia [I^ Brigata S.A.P. "Walter Berio"  e II^ Brigata S.A.P. "Adolfo Stenca"] - Veniva criticato il fatto che elementi SAP di Costa d'Oneglia [Frazione di Imperia] avessero distolto il comandante Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ "Silvio Bonfante"] dallo svolgere un'azione e che, come era stato riferito, alcuni sapisti tenessero nascosti dei moschetti che non intendevano utilizzare. E che tutto ciò era "in netto contrasto con le direttive del CLN per la guerriglia partigiana". Si aggiungeva un riferimento severo alla SAP di Cervo (IM), nella quale era stato nominato comandante un ex garibaldino, che si era allontanato nel periodo invernale. "Chi tiene le armi sotto terra in questo momento decisivo diserta la lotta e tradisce la causa. Non sarà degno di essere considerato un combattente per la libertà. Occorre rompere gli indugi."

23 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al Rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] - Scriveva che "si segnalano i seguenti movimenti avvenuti sulla via Aurelia il 21 u.s.: 3 camion diretti ad est che trasportavano truppe ed un mezzo d'assalto; un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale. Dalla stazione di Albenga sono stati caricati 40 carri agricoli, munizioni, mine e materiale vario diretti a Garessio via colle San Bernardo".
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. Tomo II

venerdì 31 dicembre 2021

Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" di Albenga al comando partigiano...

Albenga (IM) negli anni 1940

Nonostante gli indiscutibili miglioramenti, Luigi Longo “Gallo”, comandante generale delle Brigate Garibaldi, giunto a Savona ai primi di luglio 1944 per visionare la situazione del Ponente ligure, non poté fare a meno di notare come il movimento garibaldino nel Savonese fosse tuttora meno sviluppato rispetto a quello della Prima Zona (Imperia ed Albenga); con tutto ciò, chiari sintomi di disgregazione dell’apparato poliziesco della RSI si avvertivano ora anche a Savona, e bisognava approfittarne senza remore. [...] Vi era poi un’altra questione sulla quale il CLN regionale ritenne suo dovere soffermarsi. Si trattava di certi contrasti tra i CLN di Albenga e di Savona determinati dal tardivo interessamento di quest’ultimo organismo per la parte occidentale della provincia. Preso atto dell’intensa attività degli albenganesi, che fin dagli inizi della guerra civile erano legati ad Imperia a causa della anomala struttura delle federazioni del PCI clandestino, il CLN regionale diede piena sanzione alla loro indipendenza operativa da Savona, invitando tuttavia a stringere contatti più stretti tra i due comitati e dando indicazioni sulle ripartizione delle cariche provinciali a guerra finita. La questione fu appianata in poche settimane <156.
156 (a cura di) INSMLI, Resistenza e ricostruzione in Liguria. Verbali del CLN ligure 1944/46, Milano, Feltrinelli, 1981
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

D: Vi sono mai state intromissioni del PCI (…) giudicate pesanti (…)?
R: No, non arrivavano mica. (…). Eravamo una brigata di periferia, più a ovest di questa zona, confinavamo con la Prima Zona Liguria, che era delimitata dalla strada Albenga - Garessio. Più in là non siamo mai andati. [Segue una breve conversazione relativa ad un equivoco sulla data di costituzione del “Torcello”, che è ottobre 1944 e non luglio].
[...] D: (…). Come mai è stato costretto ad inquadrarsi nei garibaldini? (…)
R: Lui [Marzola] non era inquadrato con nessuno. Non potevamo lasciare della gente che agisse per conto proprio. Avevamo un’organizzazione che doveva rendere conto; i distaccamenti rendevano conto alla brigata. Le nostre pattuglie rendevano conto al distaccamento. E uno che girava per conto suo armato, belìn, noialtri lo facevamo fuori se ci capitava tra le mani. Nell’Imperiese i tedeschi e i fascisti mandavano su della gente vestita da partigiani, addirittura con il fazzoletto rosso, che domandava dei partigiani… (…). Però quando i partigiani si sono resi conto, venivano su con tanto di “papiro” firmato dal CLN e li facevano fuori! Non interrogavano mica. Avevano ragione, perché avevano subito un sacco di perdite. E quello era un cane sciolto…
Intervista con Enrico De Vincenzi in Stefano d’Adamo, Op. cit. 

La Prima Divisione d’Assalto Garibaldi “Gin Bevilacqua”, inizialmente forte di circa 500 uomini, nacque ufficialmente il 30 gennaio 1945, con “Enrico” per comandante e “Vela“ (Pierino Molinari) per commissario politico; il Comando si appoggiava momentaneamente al distaccamento “Maccari”, ma avrebbe sempre mantenuto la sua base alle Tagliate.
Stefano d’Adamo, Op. cit.
 

15 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 6 ex appartenenti alla Brigata scrivente, fuggiti a dicembre dopo il rastrellamento nemico, razziavano, continuando ad autodefinirsi garibaldini, civili, per cui, siccome "da ottime segnalazioni" risultava che i 6 si aggirassero nella zona della Bonfante, si chiedeva di arrestare quei 6, "Maciste", "Salvatore", "Cancarin", "Morello", "Brindisi", "Pianta", e di trasferirli nelle mani della "Briganti". 

8 marzo 1945 - Dal CLN del Ponente Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria al CLN di Savona e p.c. al CLN di Albenga - "Genova, 8 marzo 1945  - Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, preso atto dell'esposto presentato dal CLN di Albenga, dal quale risulta la notevole attività compiuta dal Comitato stesso, in condizioni di completo isolamento rispetto ai Comitati territorialmente superiori, e nel quale sono esposte lamentele circa il funzionamento del CLN di Savona a proposito dei suoi rapporti con la provincia e, in particolare con la zona occidentale di essa, fa presente a codesto Comitato: Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria approva e dà sanzione alla delega di poteri che per il periodo cospirativo il CLN di Savona ha concesso al CLN circondariale di Albenga. Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria ritiene assolutamente necessario che i contatti fra il Comitato di Albenga e quello di Savona siano costanti e frequenti. Altresì ritiene che a liberazione avvenuta il CLN provinciale tenga presente che siano rappresentati nelle cariche, ed in qualsiasi altro organismo che esprime la volontà antifascista della provincia, il CLN  di Albenga e gli interessi dell'antico circondario di Albenga, che si è acquisito particolari meriti in questi duri momenti della Lotta di Liberazione. Il CLN per la Liguria"

8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.

8 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che era stato dato incarico a 2 garibaldini di ritirare gelatina ed esplosivo 808 inglese presso il Distaccamento "Torcello" [della II^ Zona Operativa Liguria]; che era fallita la missione per catturare la spia "Pipetta"; che era, invece, stata catturata ad Ortovero una donna sospettata di essere una spia, forse anche responsabile dell'arresto di "Tito".

21 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 224, al comando della III^ Brigata "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] e al comando del Distaccamento "Torcello" - Ringraziava per una fornitura di munizioni.

30 marzo 1945 - Dal comando della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" - Chiedeva informazioni sui movimenti nemici alla frontiera italo-francese [linea del fronte] dovendo inviare segnalazioni urgenti del proprio SIM alla missione alleata in Piemonte.

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.

8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che stava indagando sul parroco di Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] e sul podestà di Vendone (SV); che "Pipetta" era già stato nascosto dai tedeschi; che il 7 aprile i nazisti avevano requisito animali da traino per il trasporto di materiale bellico dai fortini alla stazione di Albenga; che si erano presi accordi con 7 militari della GNR di Albenga per il loro passaggio alle formazioni partigiane di montagna a condizione di portare 1 mitragliatore, 2 mitra, 4 fucili ed una cassa di munizioni...

10 aprile 1945 - Dalla I^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria] ai comandi della II^ Divisione "Felice Cascione" e della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  Segnalava che un informatore repubblichino aveva dichiarato che i soldati di Salò dei reparti di Imperia, Albenga, Savona, Cadibona avevano ricevuto l'ordine di compiere un rastrellamento per aprirsi una strada in vista di un possibile sganciamento dalla riviera di ponente.

11 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata "Libero Briganti" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava la necessità di un bombardamento in una località a 7 km. da Finale Ligure (SV), in cui erano dislocati circa 1.000 uomini ben equipaggiati, anche di armi pesanti, che in quella zona la popolazione appoggiava in gran parte la repubblica sociale e che le forze nemiche che presidiavano Bardineto (SV) e Calizzano (IM) [in Val Bormida] da alcuni giorni avevano abbandonato quei paesi.

13 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al Rappresentante [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] dell'Alto Comando Alleato ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che come da accordi presi iniziava il servizio informazioni; che i tedeschi avevano asportato dal forte di Zuccarello tutte le munizioni; che facevano la stessa operazione dai magazzini situati nei pressi di Albenga; che l'11 aprile era transitato "da est ad ovest un camion con rimorchio carico di 70 fusti pieni di benzina"; che nella galleria tra Ceriale e Borghetto vi era un treno blindato, armato con 4 pezzi da 120 e con 2 mitragliatrici da 20 mm; che il nemico aveva intensificato la sorveglianza nelle valli vicine ad Albenga sino ad istituire un nuovo posto di blocco sulla strada Arnasco-Albenga-Coasco [Frazione di Villanova d'Albenga (SV)].

15 aprile 1945 - Da un'informatrice alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il podestà di Stellanello (SV) era amico del commissario repubblichino di polizia Piccheddu di Alassio e che del dottor Massone, tornato a casa, non si sapeva se si sarebbe fermato a lungo.

17 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il fotografo Aristide Piccioni, abitante con il fratello sarto a Briga [La Brigue, Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime], "esplica servizi di spionaggio a favore delle forze della RSI".

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 17 aprile erano transitati sulla via Aurelia in direzione ovest 2 camion, 6 auto, 5 autocarri tutti vuoti, verso est 1 camion coperto, 1 camion vuoto, 1 treno carico di paglia e fieno; che il presidio di Coasco era partito per il fronte; che il figlio del maggiore Vignola agiva come spia.

20 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 58, al comando della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria] - Si comunicava che "in risposta alla richiesta sul movimento delle forze nemiche sulla frontiera italo francese le informazioni sono poco attendibili, dato che c'è continuo movimento e continuo spostamento delle forze verso la strada n° 28...".

23 aprile 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che veniva inviata in allegato una lettera del "capitano Roberta" capitano Bentley] per la missione alleata dislocata presso la I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria]...

23 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [capitano Bentley] - Segnalava movimenti nemici quali, sulla via Aurelia il 21 aprile 3 camion diretti ad est che trasportavano truppe ed un mezzo d'assalto, un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale, "Dalla stazione di Albenga sono stati caricati 40 carri agricoli, munizioni, mine e materiale vario diretti a Garessio via colle San Bernardo".

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Russo Pierluigi: nato a Voltaggio (Al) il 2 giugno 1909. Ufficiale della Brigata Nera di Albenga
Rapporto dei carabinieri di Albenga del 24.6.45: Il dottor Russo Pierluigi giunse ad Albenga verso la metà del febbraio 1945 in servizio presso la locale brigata nera. Dimostrò subito particolare zelo nel coadiuvare la Feldgendarmerie di Albenga che in quel periodo spiegava una feroce attività di intimidazione attraverso l’uccisione di numerosi ostaggi. Il dottor Russo era coadiuvato dalla sua amante Andreis Anna, la quale esercitava la sua deleteria influenza sul maresciallo della Feldgendarmeria Strupp, di cui contemporaneamente ne era l’amante. Il dottor Russo vantava la sua appartenenza alla brigata nera e si dichiarava fervente nazifascista. Portava sulla manica destra della giubba la scritta “Per l’onore d’Italia”.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019 

Le cose si facevano più complicate all’estremità occidentale del dispositivo della divisione “Bevilacqua”, dove la Terza Brigata doveva affrontare una crescente pressione nemica sulle vie di comunicazione. Il mese [marzo 1945] si era aperto con alterni, fitti scontri e scaramucce di varia portata che denunciavano la lotta in atto per il controllo strategico della zona di Bardineto, dove confluiscono le strade provenienti da Albenga e da Borghetto Santo Spirito. Ma il 6 marzo la brigata mise a segno uno dei suoi colpi più brillanti. Durante la notte elementi del distaccamento “Torcello” penetrarono nell’abitato di Loano con l’aiuto e la copertura dei sapisti locali del “Boragine” e si diressero a colpo sicuro verso l’albergo Vittoria, dove era stata segnalata la presenza di un nucleo di polizia investigativa. Qui, a dispetto della sorveglianza nemica (non troppo vigile, in verità, dal momento che per ragioni di segretezza quasi nessuno sapeva dell’esistenza del centro di controspionaggio), i partigiani catturarono due esponenti dell’UPI tra cui Giovanni Illegittimo, che comandava lo spionaggio fascista tra Savona ed Alassio. Condotti in montagna, i prigionieri furono rapidamente processati e fucilati. Le prove per la condanna furono fornite dai documenti riservatissimi di cui i partigiani si erano impadroniti: si trattava di una notevole mole di documenti nei quali erano indicati con precisione molti esponenti dei CLN locali e delle SAP della zona tra Loano e Finale, tra i quali l’avv. Rembado, il maestro Acquamorta, Panizza, Orso e De Vincenzi senior. Subito avvisati, poterono mettersi al sicuro per tempo.
Stefano d’Adamo, Op. cit. 

Una vista sulla piana di Albenga

19 febbraio 1945 - Da Paolo Pini della Brigata Nera al comando della Brigata Nera di Alassio - Segnalava che alcuni "ribelli" avevano sottratto un autovettura Fiat, dal tettuccio apribile, di cui si fornivano numeri di targa, di telaio, di libretto di circolazione, affinché i dati fossero all'attenzione dei posti di blocco.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. Tomo II
 
Ad Albenga la brigata SAP “G. Mazzini”, con il riconoscimento della funzione del CLN circondariale ingauno, ottiene l’autonomia operativa sino alla fine del conflitto. Non risulta ufficialmente nell’organico della divisione imperiese “G.M. Serrati” anche se i rapporti con l’organizzazione a cui inizialmente faceva capo, non hanno avuto soste, e i contatti di collaborazione tra i combattenti imperiesi e i sapisti di Albenga sono ricorrenti.
Dalla relazione conclusiva dell’attività della Brigata SAP “G. Mazzini”:
“Successivamente le squadre SAP albenganesi vennero inquadrate nella Brigata SAP “G. Mazzini”, dislocata su tutto il territorio del circondario con i distaccamenti nelle città ed in ogni paese dell’entroterra. Le squadre per tutto il periodo della lotta effettuarono audaci colpi di mano contro i presidi nazifascisti; avvicinarono militari della RSI per persuaderli a passare nelle fila della Resistenza; svolsero servizio informativo (SIM), organizzarono collegamenti tra la montagna e la città e tra i vari CLN; prelevarono fondi, viveri, medicinali, armi e munizioni per l’invio regolare alle formazioni cercando di eludere i numerosi posti di blocco nazifascisti. La brigata SAP “G. Mazzini” … si trovò verso novembre ad agire in una situazione di grave pericolo. Nel periodo autunno 1944- inverno 1945 venne installata in Albenga la Feldgendarmeria nel palazzo INCIS: il luogo divenne tristemente famoso perché di qui vi passarono i sapisti della “G. Mazzini” ed i membri del CLN caduti nelle mani del “boia” Luciano Luberti… che eseguiva alla lettera le direttive di Himmler e di Hitler contro la resistenza e le inermi popolazioni dell’albenganese… Nelle celle del palazzo INCIS si ammassavano esseri umani dai volti sfigurati e sanguinanti: le percosse si alternavano alle più efferate torture. Peggior sorte toccò alle donne… Alla liberazione nelle fosse della marina furono riesumate 59 salme di patrioti orrendamente sfigurati. La brigata SAP “G. Mazzini” non figura negli organici della Divisione SAP “G.M. Serrati” di Imperia e “A. Gramsci” di Savona, in quanto forza militare alle dirette dipendenze del CLN circondariale albenganese. Pertanto seguì le varie modifiche politiche-organizzative che caratterizzarono il CLN di Albenga diretto da Emidio Libero Viveri.”
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "3. Le squadre di Azione Patriottica nel savonese (prima parte)", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2001

Il Comando di Zona di Savona aveva ricevuto da circa un mese le direttive del “Piano A” per la liberazione del territorio ligure stilate dal rinnovato Comando Militare Regionale Ligure (nel quale rivestiva la carica di vicecomandante l’ex ispettore delle Brigate Garibaldi per il Ponente Carlo Farini, che aveva mutato il suo nome cospirativo, “Simon”, in quello di “Manes”). In generale le SAP e i partigiani scesi a rinforzarle avrebbero dovuto affrontare una difesa cittadina statica, mentre i reparti di montagna si sarebbero dovuti impegnare contro una notevole massa di armati in rapido movimento per intralciarne la ritirata, in sintonia con le operazioni alleate. Quanto ai compiti specifici che il Comando Regionale aveva affidato alle unità del Savonese, la Seconda Brigata “Sambolino” avrebbe dovuto unirsi ad aliquote della divisione “Mingo” e recarsi in Sesta zona, sulla strada del Turchino, per bloccare ogni movimento di truppe verso Genova; la divisione “Bevilacqua”, oltre naturalmente a liberare Savona, era tenuta a bloccare i transiti sui colli di Cadibona, del Giovo, del Melogno e, in collaborazione con la divisione “Bonfante” della Prima Zona (Imperia), di San Bernardo di Garessio.  [...] Nelle prime ore del 25 aprile la Terza Brigata “Libero Briganti” scese ad occupare Vado Ligure con il supporto della brigata SAP “Corradini”; frattanto la Quarta Brigata “Carlo Cristoni”, escluso il distaccamento “Rebagliati” dirottato all’ultimo momento su Finale <81, ben rifornita di bombe da mortaio dopo un eccezionale “colpo” compiuto a Quiliano alcune notti prima, calava su Quiliano stessa e, spazzati via i residui capisaldi nemici perdendo un volontario (Amerigo Moschini “Zizi”), avanzava fino a Valleggia <82. A questo punto una fortissima colonna nemica, composta da tedeschi della Brandenburg che avevano già subito attacchi partigiani nella zona di Albenga, si avvicinò da ponente a Vado e, avuta notizia della presenza dei garibaldini, iniziò a cannoneggiare l’abitato per aprirsi la strada. Per evitare un’inutile strage di civili i partigiani ed i sapisti decisero di ritirarsi dalla cittadina risalendo le colline circostanti, e i nazisti ebbero via libera senza dover combattere. <83
[NOTE]
81. Mario Savoini (Benzolo), Cosa è rimasto: memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, p. 157.
82. Cfr. Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, ed. 1985, vol. II, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, p. 832, Colpi di mortaio… cit., pp. 45 - 53, M. Calvo, op. cit., p. 410.
83. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, pp. 832 e 833.

Stefano d’Adamo, Op. cit.