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La zona del Col di Nava, comune di Pornassio (IM). Foto: Mauro Marchiani |
Giorgio (Giorgio I, poi Cis) Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri [Enrico Martini] e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto", come risulta da una sua memoria scritta (oggi documento IsrecIm, studiato da Giorgio Caudano). Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante".
L’ordine di catturare i ribelli era stato emanato dal colonnello Paolo
Ceschi “Rossi”, comandante locale che, con il suo attendismo, in pratica
manteneva l’ordine nella zona per conto dei nazifascisti. Basti pensare
che in quel periodo le caserme di Mondovì e Fossano, città controllate
da tedeschi e repubblicani, erano presidiate da uomini agli ordini di
Ceschi! Il colonnello aveva il controllo della zona Monregalese - Langhe
fin dal convegno di Val Casotto del 24 ottobre 1943 (cui, con tutta
probabilità, aveva preso parte anche l’avvocato Astengo, poche ore prima
di essere catturato), in cui la mentalità attendistica degli ufficiali
era stata aspramente criticata, fra gli altri, da un personaggio del
calibro di Duccio Galimberti, un monumento della Resistenza azionista.
[...]
Questa vicenda evidenziò una frattura mai del tutto ricomposta fra
resistenti “rossi” e “azzurri”. Inoltre, insieme alla crescente
impazienza dei partigiani “colpisti” decisi ad attuare una vera
guerriglia contro il nemico, fu la causa della sfiducia del CLN
regionale piemontese al generale Operti dell’ex Quarta Armata del
disciolto Regio Esercito, che ebbe tra le sue conseguenze la rimozione
dal comando del colonnello Ceschi, rimpiazzato dal maggiore Enrico
Martini “Mauri”.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000
I partigiani locali, allora al comando di Enzo Marchesi (col.
Musso) catturano alcune autorità fasciste il 20 dicembre 1943 in valle
Corsaglia (CN). Il 26 dicembre giunge a comandare il gruppo il
maggiore Enrico Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi,
con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale
capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano
rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e
non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i
tedeschi attaccarono in forze quasi tutti i partigiani
dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani
e furono trucidati.
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57
Aldo Romei (Roma) fu dapprima per circa tre mesi con Martinengo [Eraldo Hanau, comandante in seguito della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'], poi nel giugno, luglio e agosto 1944 con il capitano Umberto (Candido Benassi) e infine entrò nelle SAP sanremesi... Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
La notizia che “Turbine” faceva disarmare gli sbandati e che si era
approvvigionato di viveri a Viozene si era diffusa e, passando di bocca
in bocca, si era naturalmente deformata. Al Comando badogliano fu detto
che gruppi badogliani erano stati disarmati da noi, che un deposito di
viveri di “Martinengo” era stato saccheggiato. “Martinengo, che già ci
riteneva degli intrusi nella zona, inviò un forte nucleo dei suoi contro
le squadre di “Gapon” e di “Stalin”: i garibaldini dovevano essere
disarmati. La mattina del 10 [luglio 1944] quelli della “Matteotti”, che
si erano fermati a Nava tutto il giorno 9, erano seduti sulle panchine
dell'albergo, dove in quei giorni avevano mangiato, quando videro un
gruppo di badogliani armati che passava davanti a loro, mentre un altro,
fermatosi sullo stradone un po' prima, piazzava una mitragliatrice. I
garibaldini guardavano meravigliati ed incuriositi la manovra strana. Il
gruppo che era passato loro davanti si ferma in fondo alla strada ed
apposta anch'esso le sue armi, poi un ufficiale viene verso l'albergo:
'Ho l'ordine del mio comando di disarmarvi, ci risulta che avete tolto
le armi a dei nostri uomini. E' inutile che tentiate di resistere, la
strada è sbarrata e siete tra due fuochi'. Effettivamente la 28, che
passava fra le case, era bloccata. Alle spalle dell'albergo c'era il
Tanaro. “Stalin” [Franco Bianchi] sorrise ironico: 'Queste armi non sono vostre ed io ho
dal mio comando l'ordine di non cederle. Se la strada è sbarrata
entreremo nell'albergo e spareremo dalle finestre'. La mattina del 10
scendevo lungo la 28 da Case di Nava [comune di Pornassio (IM)] verso Ponti quando vidi un
badogliano che saliva in bicicletta. Lo chiamai: 'Dani, c'è qualcosa di
nuovo che mi sembri arrabbiato?' L'aspetto di Dani mi impensieriva. Il
badogliano si fermò, parlò senza scendere: 'Ci hanno mandato a Ponti a
disarmare i vostri. Non abbiamo potuto rifiutare. ma siamo andati con le
armi scariche, non vogliamo sparare sulla Stella Rossa. Ora vado al
Comando a vedere cosa dobbiamo fare perché i vostri non si vogliono
arrendere. Se al Comando insistono pianto tutto e me ne vado. Non sono
venuto sui monti per sparare sui compagni. Se vedi i tuoi, di' loro che
non sparino, se ci ammazziamo tra di noi è finita. Di' ai tuoi che i
miei compagni hanno le armi scariche'. Il buon senso degli uomini evitò
il peggio. I garibaldini non vollero sparare per primi, gli altri non
potevano farlo. Da Viozene venne giù “Turbine” e “Martinengo” arrivò in
moto; intervennero altri comandi, si discusse a lungo mentre gli uomini
delle due formazioni si univano ed i badogliani mostravano i caricatori
vuoti. Cosa si dissero i comandanti? Non lo sapemmo. Come conclusione la
“Matteotti” rientrò in serata a Viozene con l'ordine di partire appena
possibile per San Bernardo di Garessio.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979
Il secondo caso è più eclatante: quando nei primi giorni di agosto 1944
Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di
Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un
esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a
Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che
probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento”
attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un
piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie
di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di
Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si
trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo
per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni
partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la
Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio
delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri” [101].
Con
quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto
[102], abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda
alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non
possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia
intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i
comunisti e poi Mauri”.
Probabilmente, da comandante abile e astuto
quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione
ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante
il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara
falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là
di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue
formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante
la sua breve assenza, non poté non influire sulla sua decisione di
continuare la lotta nel movimento di Liberazione.
[NOTE]
[101]
BAB, R 70 Italien/3, p. 2a s. Il testo originale è: "Bandenführer Mauri
festgenommen bei SD Cuneo. Wiesner z.Zt. in Cuneo [...] betr.
Verhandlungen [...] Mauri zurück. Regelung: keine Angriffe auf Wm.
Hinweise auf Kommunengruppen [sic]. Bekämpfung u. Nachsicherung von
K[ommunistische]P[artei]-Räumen; erst K[ommunistische]P[artei], dann
Mauri“ (la punteggiatura e le integrazioni sono mie).
[102] Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Bologna, Cappelli, 1988.
Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945 in Aa.Vv., (a cura di) Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010
[...] nella seconda metà di luglio, “Mauri” crea il Comando del 1° settore cuneese e delle Langhe, che comprende due divisioni alpine: la I, valli di Peveragno, Pesio, Ellero, Miroglio, Corsaglia; la II, Casotto, Mongia, Tanaro; e una divisione Langhe. Sotto questo comando non risultano esserci formazioni di partito, che vengono quindi escluse da questa zona, a meno che formazioni politiche che intendano operare in queste zone non si sottopongano come le altre al Comando del 1° settore. Il comando dichiara la sua esclusiva dipendenza dal CLN, e si specifica il carattere militare delle divisioni Alpine che fanno capo al Comando. All'interno di questo comando di settore, “Mauri” crea un ulteriore organismo, il comando del 1° GDA, composto inizialmente da circa tredici distaccamenti.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013
Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di
sole (con noi c'era anche Rustida [Costante Brando] che coi suoi ci
aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza
nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo.
[...] Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi].
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose.
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il
Comitato Liberazione Nazionale di Garessio (CN) e quello di Ormea (CN) avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina
Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val
d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di
combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non
intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo
Badogliani, come loro ci chiamavano Stelle Rosse).
Tradotto in
pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano
grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto
probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la
formazione di una Brigata garibaldina.
E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [n.d.r.: in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi,
tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa
della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era
allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [in
provincia di Imperia].
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 , p. 166