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giovedì 9 novembre 2023

Aumentano i distaccamenti partigiani imperiesi ad aprile 1944

 

Il torrente Arroscia nei pressi di Ranzo (IM). Fonte: Wikipedia

Il distaccamento imperiese - comandante TITO (Rizzo Renato) [Rinaldo Rizzo, detto Tito] commissario GIULIO (Libero Briganti) - aveva dovuto impegnarsi in una lunga marcia forzata dalla Casa Rosa, sopra Diano Roncagli nel comune di Diano S. Pietro, dove era dislocato, sino a Caprauna (in provincia di Cuneo) per raccogliere un lancio che - secondo le notizie pervenute - gli Alleati avrebbero dovuto effettuare nei giorni dal 4 al 6 aprile [1944].
Il reparto <1 non giunse nel tempo prestabilito e si trovò ad affrontare la via del ritorno senza alcuna scorta di viveri e senza possibilità di rifornimenti <2; ciò rese particolarmente dura la marcia sino a Guardiabella (a occidente del Colle di S. Bartolomeo), da dove una pattuglia guidata da MIRKO (Angelo Setti) scese al comune di Aurigo e nella frazione di Poggialto alla ricerca di aiuti.
L'assistenza generosa di quelle popolazioni aiutò la piccola formazione a rimettersi in sesto; successivamente furono anche compiute azioni particolarmente rischiose allo scopo di prelevare vettovaglie in territorio presidiato dalle truppe germaniche, <3 ma l'esperienza aveva ormai confermato che anche il problema dei rifornimenti doveva avere una sua più organica soluzione.
Tanto più che - in meno di 20 giorni - vi fu un notevole afflusso di volontari, tale da trasformare in altrettanti distaccamenti (con circa 30 effettivi ciascuno) le tre squadre di cui inizialmente era composto il reparto.
Ai primi di maggio - comandati da CURTO [Nino Siccardi] e e dal commissario GIULIO - i distaccamenti avevano assunto le seguenti posizioni <4:
1°) comandante Tito, commissario Boris (Gustavo Berio) - dislocato presso i Tecci di Parodi sopra Pontedassio;
2°) comandante Ivan, commissario Dimitri (Bruno Nello) - dislocato al Passo della Mezzaluna;
3°) comandante Cion [Silvio Bonfante], commissario Federico (Federico Sibilla) - dislocato nel bosco di Rezzo.
Metodo piuttosto efficace ci sembra quello seguito dal comando partigiano imperiese - in modo abbastanza frequente in questo periodo - di designare per le azioni di guerra più importanti uomini scelti in egual numero da tutti e 3 i distaccamenti; tale criterio venne adottato - ad esempio - nell'attacco effettuato al posto di blocco del ponte di Ranzo; in questa occasione 6 partigiani (scelti 2 per distaccamento) volsero in fuga il presidio nemico - uccidendo un soldato germanico e catturando due G.N.R. - e si impossessarono di 2 mitragliatori, di due fucili tedeschi e di molte munizioni.
Si può anche rilevare in proposito - considerando l'armamento messo a disposizione del gruppo attaccante (su 6 effettivi, 4 fucili mitragliatori e 2 mitra) - che molto opportunamente il comando partigiano non aveva esitato ad affidare agli uomini prescelti per l'azione quasi tutte (molto probabilmente tutte, date le condizioni di allora) le armi automatiche in possesso della formazione, pur di ottenere un gruppo che unisse alla particolare agilità numerica una grande potenza di fuoco <5.
Nello stesso periodo si ebbe un ulteriore spostamento dello schieramento partigiano; il distaccamento di Tito venne stanziato a Bosco Nero, quello di Cion a Tecci di Parodi e quello di Ivan a Piani di Corte, nel comune di Triora.
Un nuovo distaccamento - anch'esso forte di circa 30 effettivi - venne costituito nella prima metà di maggio e dislocato, al comando di Mirko, in regione Castagna presso Bregalla, una località di particolare importanza strategica attraverso la quale il dispositivo partigiano della zona a levante di Imperia venne ad essere direttamente collegato con quello della zona a ponente, tramite un gruppo formatosi ai primi di marzo e comandato da MARCO (Candido Queirolo) e da TENTO.
Sempre a metà di maggio vi fu l'inquadramento definitivo del distaccamento operante nella zona di Cima Marta agli ordini di IVANO (Vittorio Guglielmo), commissario ERVEN (Mario Luppi) [invero Bruno Luppi]; questo reparto disponeva di circa 40 effettivi <6.
Anche nell'imperiese si era venuta intanto sviluppando l'azione intimidatoria delle Autorità fasciste e germaniche a seguito del bando Mussolini; dal primo al 20 maggio gli aerei avevano sorvolato le campagne lasciandovi cadere a migliaia i volantini dell'ULTIMA OCCASIONE:
"Coloro che all'Italia hanno offerto gli anni più belli della giovinezza per compiere il loro dovere di soldati e che oggi, fuorviati da una malvagia propaganda, rinnegano il loro valoroso passato di combattenti per rimanere tra le bande dei ribelli dove altro non sono che strumenti di ignobili sfruttatori che giocano sulla loro vita per guadagnarsi lo sporco denaro con cui il nemico paga i traditori, ricordino che la Patria li ha chiamati ancora a sé pronta a perdonare il loro traviamento e ad aiutarli a ritrovare la via del dovere e dell'onore.
Per volere del Duce, il Governo della Repubblica ha stabilito che chi si presenterà spontaneamente entro il 25 maggio p.v. andrà esente da qualsiasi pena e procedimento penale. È L'ULTIMA OCCASIONE. Non deve essere perduta. Dopo, per chi sarà rimasto sordo a quest'ultimo appello avverrà l'inesorabile.
Presentatevi al più presto a qualsiasi autorità civile o militare più vicina".
[NOTE]
1 Suddiviso in tre squadre: la prima comandata da IVAN (Giacomo Sibilla), la seconda da CION (Silvio Bonfante), la terza da MIRKO (Angelo Setti), per un totale di circa 30 effettivi. (Documentazione Biga).
2 Alcune testimonianze attribuiscono la perdita del lancio ad un non precisato sabotaggio.
3  La sera del 10 aprile, ad esempio, una decina di partigiani - tra i quali Cion, Mirko, Mancen (Massimo Gismondi), Carlo Siciliano - scesero, guidati da Curto, dal Colle di S. Bartolomeo sino alla prossimità di Pontedassio, celati sotto il tendone di un camion al volante del quale stava il partigiano Zò. Da lì, mentre il camion con a bordo il solo Curto compiva il percorso di fondovalle, essi raggiunsero Borgo d'Oneglia, passando per la collina, sino ad un deposito di viveri accaparrati da un grosso incettatore collaborazionista. Nella notte il camion veniva caricato dei viveri sequestrati e ripartì per la zona partigiana - con gli uomini armati occultati sotto il tendone - attraversando in pieno giorno i blocchi germanici e fascisti (ai quali Curto esibì dei falsi documenti tedeschi) posti sulla statale n. 28 di Pontedassio, Chiusavecchia, Ponte dei Grassi, Tesio, fino al Bosco di Rezzo. (Documentazione Biga).
4 Cfr. volume I° pag. 181
5 Invero l'armamento del piccolo reparto, potenziato dal considerevole bottino, impressionò favorevolmente alcuni ufficiali delle formazioni Mauri - incontrati sulla via di ritorno - i quali inutilmente proposero ai sei di entrare a far parte del nascente schieramento "Autonomi".
6 Ci viene segnalato - tra le prime azioni di questo distaccamento - il disarmo compiuto da un solo partigiano (FOLGORE) di una postazione della R.S.I. a Santa Brigida (Andagna) e la cattura di 10 soldati di presidio. (Doc. Biga, testimonianza di Angelo Setti).

Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 237-240

La popolazione tutta, specie quella dei paesi non sulla costa, è loro [ai partigiani] favorevole, li ospita, li nasconde e li rifornisce, nonostante che in parecchi casi si siano impossessati di bestiame e di derrate alimentari.   
La loro attività è sempre quella di scendere dai monti nei paesi, rifornirsi di viveri e tabacco, incitare i renitenti a non presentarsi e a cercare di impossessarsi di armi e munizioni assalendo caserme dei distaccamenti della G.N.R. (carabinieri), nonchè di molestare persone ritenute simpatizzanti per il Regime Fascista Repubblicano.   
A volte hanno prelevato ostaggi, fra cui qualche sottufficiale dei carabinieri, che sono stati poi rilasciati.   
Le località della Provincia più battute sono quelle confinanti con la provincia di Cuneo, in quanto tali bande si spostano dall'una all'altra provincia. Campi di azione delle bande di ribelli sono più frequentemente la vallata di Cervo, Diano Arentino, Diano Marina, Diano Roncagli, Chiusavecchia, Bestagno, Molini di Triora, Nava e Case di Nava.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione quindicinale sulla situazione..., 16 aprile 1944, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma

In questi giorni, per ben due volte, nell'abitato di Diano Marina sono stati sparati da ribelli colpi di pistola contro ufficiali dell'esercito repubblicano in divisa, che transitavano isolatamente in bicicletta, senza conseguenze.  Il reparto antiribelli della Questura di Imperia frequentemente si porta nelle località ove viene segnalata la presenza di ribelli, che sistematicamente riescono a sfuggire alle ricerche. In tali operazioni viene però proceduto al fermo di renitenti, disertori e sfaccendati, i quali ultimi vengono proposti per il lavoro in Germania.
Non infrequentemente si addiviene ad uno scontro di colpi di arma da fuoco.   
E' stata sottoposta, con provvedimento dell'apposita commissione, all'ammonizione, per un biennio, una suora del locale Istituto Nostra Signora della Misericordia, la quale, sull'insegnamento che impartiva ai bambini ed alle bambine, teneva contegno niente affatto consono al momento attuale e nettamente contrario all'opera ricostruttiva del Governo Fascista Repubblicano e del suo Capo. Difatti, detta suora, fra l'altro, nella lettura del libro di testo, faceva saltare tutte le pagine riferentisi al Duce ed al Fascismo, proibiva ai bambini di portare emblemi fascisti e di salutare romanamente.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione..., 24 aprile 1944, N. di Prot. 01384, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma 

giovedì 20 luglio 2023

La squadra dei mortaisti partigiani era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato

Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Parco Naturale Alpi Liguri

Insomma, nella cameretta di Oliveto si dormiva - si fa per dire - meglio. Dopo aver trascorso una notte quasi insonne, all'alba del giorno 5 settembre 1944 tutto l'accampamento era in movimento: avevamo udito lunghe raffiche di mayerling (la terribile arma automatica tedesca) provenienti da lontano. Prestato un poco di attenzione, ne individuammo la direzione: giungevano dal passo della Fenaira, dove era dislocato il distaccamento di "Germano" che controllava la strada proveniente da Molini di Triora e Andagna. Purtroppo, oltre che da quella parte, stavano giungendo i primi drappelli tedeschi anche da Rezzo e da Montegrosso - Men­datica, mentre il grosso delle truppe aveva già occupato tutte le montagne che si ergono intorno alla conca di Rezzo. Un grande rastrellamento nemico era in atto.
"Germano" resistette fino al limite delle forze, ma poi, preso tra due fuochi (dalla parte di Andagna e da quella del Passo della Mezzaluna), dovette desistere, lasciando purtroppo sul terreno Ettore Bacigalupo ("Genovese"), Felice Spalla, Pietro Glorio ("Gambin"), Aldo Gagliolo ("Terribile") e Italo Ghirardi ("Gherardo"). Anche Montegrande era stato occupato dai tedeschi.
Fu ad un certo momento della mattinata che il comandante Silvio Bonfante ("Cion"), rivolgendosi a Massimo Gismondi ("Mancen"), disse: «Bisogna che tu vada a sloggiare i tedeschi da Montegrande, perché ci tengono sotto tiro».
Al che "Mancen" rispose: «Ti sembra una cosa facile?». La risposta di "Cion" fu drastica: «Se non ci vai tu, ci vado io». A questo punto "Mancen" si decise, chiedendo una quindicina di volontari. Io ero già stato aggregato al reparto mortaisti, ma, se così non fosse stato, non sarei stato di certo un volontario. L'avventura del molino dei Giusi e il miracolo di Oliveto avevano destato in me un poco di paura.
"Mancen" con i suoi uomini partì per Montegrande e noi mortaisti ci preparammo ad agevolargli la salita. L'azione si doveva svolgere in modo che, quando la squadra dei volontari fosse giunta ad una cinquantina di metri dalla vetta, fuori dalla vegetazione, dopo un segnale convenuto avremmo incominciato a sparare con i mortai. Dovevamo essere precisi per non colpire i nostri compagni. La squadra dei mortaisti era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato e raggiunto le nostre file in montagna, abbandonando il presidio di Chiappa in val Steria. Essi maneggiavano i mortai, mentre un'altra trentina di disertori della stessa divisione faceva da supporto. Istruiti in Germania, erano gente molto preparata, e presto lo dimostrarono. Dopo circa mezz'ora che era partito "Mancen", lui ci segnalò di aprire il fuoco. Noi che nel frattempo avevamo puntato il mortaio nel modo giusto, sotto la guida del sergente mortaista, al segnale iniziammo a sparare, in verità con un poco di preoccupazione perché, durante il trasporto dell'arma da Chiappa a San Bernardo di Conio, il sistema meccanico di puntamento si era rotto. Il sergente dimostrò in quel frangente la sua abilità. Mise in opera un sistema di puntamento manuale che si dimostrò efficacissimo. Salito sul tetto della vecchia chiesetta di San Bernardo, guardò Montegrande e quindi il mortaio, si piazzò nelle direzione retta dei due punti di riferimento e lasciò cadere a terra un'assicina di legno che si piantò nel terreno. Fatto questo, saltò a terra dal tetto della chiesetta che era abbastanza basso e, estratto dalla tasca un taccuino, fece alcuni calcoli. lo non capivo niente di quello che stava facendo. Terminati i calcoli e raggiunto il mortaio, maneggiò i vari sistemi di alzo e di brandeggio. Infine disse: «Credo che così vada bene, possiamo iniziare il fuoco». Tra me pensavo che, se "Mancen" e gli altri avessero saputo in che modo era stato eseguito il puntamento, indubbiamente sarebbero velocemente fuggiti dal luogo dove si erano appostati.
Uno degli inservienti infilò nel mortaio una bomba da 81 che, con un colpo secco, partì immediatamente. Attendemmo con ansia l'arrivo della bomba su Montegrande. Quando vedemmo lo scoppio proprio in cima al monte dove i tedeschi erano piazzati, esultammo per l'abilità del sergente e per lo scampato pericolo della nostra squadra di volontari.
Era giunto il momento decisivo. I nostri iniziarono l'assalto sparando all'impazzata, mentre i tedeschi, raggiunti da altri colpi di mortaio, si ritirarono verso il passo della Fenaira.
Conquistata la cima del monte, "Mancen" iniziò l'inseguimento del nemico, accompagnato dai tiri del mortaio che il sergente spostava gradatamente a destra man mano che i colpi partivano, per non colpire gli inseguitori.
Dopo aver sparato ancora una decina di colpi, però, purtroppo dovemmo smettere perché le bombe incominciarono a scarseggiare. Non potevamo più sciuparne.
Dimenticavo di dire che il mio compito, durante gli spari, era molto importante: portavo le cassette delle bombe dal luogo dove erano state sistemate, lontano dal mortaio una cinquantina di metri per sicurezza, all'arma che era al riparo della chiesetta. Con altri tre compagni dovevo percorrere quel tratto allo scoperto, per cui ogni tanto sentivamo fischiare vicino pallottole nemiche. Al fianco del mortaio era stata piazzata una mitragliatrice pesante che, azionata da Giuseppe Gennari ("Gino"), impediva ai tedeschi di avanzare dalla strada di Rezzo verso San Bernardo di Conio. Quando le sparatorie si placarono, mentre stava scendendo con la sera anche la nebbia, la squadra di "Mancen" fu costretta a ritirarsi da Montegrande portando con sé prigioniero un sergente tedesco. Nell'azione solo un partigiano era stato leggermente ferito ad un braccio.
Giunta la notte, mentre i tedeschi, impressionati dall'azione partigiana, avevano sospeso momentaneamente il rastrellamento, i distaccamenti di Franco Bianchi ("Stalin"), di "Germano" e di altri comandanti adottarono la tattica di disperdersi nei boschi. Noi, invece, caricammo su una decina di muli i mortai, le armi pesanti, le marmitte, i viveri e le munizioni, e con "Mancen", i fratelli Gennari, "Mancinotto", "Sardena", "Cigré'" (eravamo circa una trentina) ci calammo verso Rezzo per tentare di passare da qualche parte nella valle di Pieve di Teco, per avviarci poi verso Montegrosso - Mendatica. Ma, giunti vicino a Rezzo, venimmo a sapere che il paese era occupato dai tedeschi. Fummo costretti ad incamminarci verso il passo delle Bisciaire e, quando stavamo per giungere sul crinale, fummo accolti da lunghe raffiche nemiche. Era evidente che, prima che facesse buio, i tedeschi avevano piazzato le mitragliatrici sulla mulattiera, e, quando avevano sentito il rumore prodotto da una decina di muli, avevano dato inizio alla sparatoria. Fortuna volle che non fossimo sulla giusta traiettoria, così fummo in grado di scaricare i muli cbe abbandonammo al loro destino. Nascondemmo in modo precario il materiale scaricato, quindi ci buttammo di corsa dentro il bosco di Rezzo, fuori tiro perché protetti da una costiera.
Durante la notte incominciò a piovere e ci inzuppammo all'inverosimile. Credo che nessuno sia riuscito a dormire. All'alba, a mille metri di altezza, faceva un freddo intenso, mentre noi non avevamo vestiti di ricambio per poterci togliere quelli bagnati di dosso. Ricordo che Mario Gennari ("Fernandel") batteva i denti dal freddo fino a dare fastidio: forse era meno coperto degli altri. Dovemmo stare due giorni fermi in quel bruttissimo posto, mentre i tedeschi con pattuglioni di quindici/venti uomini venivano giù dai passi sparando raffiche a casaccio nei boschi inaccessibili, come era il nostro, e perquisivano tutte le baite sui pianori.
Racconterò quanto mi dissero alcuni partigiani che erano nascosti con il comandante Nino Siccardi ("Curto") in una di queste baite, aggiungendo che, prima di perquisirle, con grande prudenza, i tedeschi piazzavano contro le porte e le finestre delle stesse le armi automatiche.
Quando una pattuglia nemica giunse davanti alla baita dove si erano rifugiati "Curto" e alcuni suoi compagni, essa fu attratta da un albero carico di magnifiche mele. I componenti la pattuglia si misero a raccoglierle e a mangiarle, mentre i partigiani, all'interno della baita, col cuore in gola, attendevano in silenzio il momento decisivo. Se i tedeschi si fossero avvicinati alla baita, loro sarebbero usciti sparando all'impazzata, e cercando di disperdersi. E' incredibile dire che il "Curto", con la sua nota flemma, mentre osservava attraverso una fessura della porta i tedeschi che mangiavano le mele, si rammaricava pensando che se le stavano mangiando tutte, senza lasciarne alcuna ai partigiani. Il "Curto" aveva un eccezionale sangue freddo. Non sapeva cosa fosse la paura. Lo dimostrò in numerosissimi episodi. E ciò infondeva coraggio a tutti i partigiani. La spasmodica attesa durò due giorni, poi il nemico andò via e noi ci portammo verso la Casa Rossa (una baita dispersa nel bosco), per vedere se fosse già stata raggiunta da altri partigiani. Infatti colà ne trovammo alcuni. La baita era stata la sede del Comando e qualcuno nei pressi aveva nascosto della pasta. Fu recuperata e cotta senza sale in una marmitta. Da due giorni eravamo digiuni, una fame nera ci tormentava. Non avendo un piatto o una gavetta, per non perdere il giro, feci servire la mia razione in un pezzo di carta che avevo trovato lì per terra.
Andammo poi singolarmente a scavare in un terreno dove avevano già tolto le patate, riuscendo a trovarne parecchie, che bollimmo e mangiammo.
Dunque, il rastrellamento nemico finì due giorni dopo che era iniziato. Perdemmo una decina di partigiani. I tedeschi uccisero alcuni civili. Giorni dopo recuperammo le salme di due carbonai del luogo. Se non avessimo sentito il loro cattivo odore, chissà per quanto tempo sarebbero rimaste insepolte! Le perdite nemiche furono indubbiamente superiori alle nostre, ma non saprei quantificarle.
Di notevole c'è da dire che, se fossimo stati bene informati, potevamo ritirarci tranquillamente lungo la strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo (una decina di chilometri), poiché la strada non era stata percorsa dal nemico, quindi era rimasta sempre libera.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 52-57

giovedì 13 luglio 2023

Spostamenti del Comando Partigiano Imperiese

La prima pagina di un documento firmato da Simon (cit. infra) in data 3 agosto 1944. Fonte: Fondazione Gramsci

Per presentare un quadro complessivo delle ubicazioni e degli spostamenti del Comando della Resistenza imperiese, che si identificano in tanti momenti della lotta, che viene sviluppata a sua volta nei quattro volumi dell'opera, abbiamo ritenuto interessante tracciarne a grandi linee la cronologia fino alla Liberazione, iniziando, però, dalla metà dell'anno 1944, dato che il periodo precedente è stato approfondito con somma perizia nel primo volume dall'autore G. Strato.
Del suddetto periodo precedente vogliamo ricordare soltanto due episodi, rimasti inediti, che dimostrano con quanta serietà il comandante Nino Siccardi (Curto) desiderava organizzare la Resistenza imperiese, dal punto di vista della competenza, dell'efficienza e, al tempo stesso, come era precaria e difficile l'esistenza dei primi embrioni dell'organizzazione.
Primo episodio: nei primi giorni di dicembre del 1943, «Curto» aveva pensato di incorporare nella Resistenza imperiese degli ufficiali superiori dell'ex esercito, pratici del mestiere dal punto di vista tecnico, tattico e strategico. Per questo motivo, dopo vari suggerimenti avuti da alcuni compagni, aveva pensato di interpellare un bravo ufficiale e, in modo particolare antifascista, cosa abbastanza rara negli ambienti dell'ufficialità. Partito in bicicletta da Imperia, si recava presso Castel Gavone nel Finalese, dove incontrava il capitano Wuillermin Renato di 47 anni, vecchio e bravo combattente della prima guerra mondiale. Ma le trattative non erano ancora terminate quando il capitano, incappato in un rastrellamento, venne fucilato a Savona insieme ad altri per rappresaglia il 27 dicembre 1943.
Secondo episodio: nella prima decade di maggio del 1944, «Curto» e Libero Briganti (Giulio), rispettivamente comandante e commissario di tutte le bande partigiane imperiesi, da Arzéne si erano postati nel bosco di Rezzo, ospitati nella casa di Giobatta Bonello (Bacì Fundeghé). Si dovevano ulteriormente organizzare dei gruppi armati nella valle dell'Impero e per questo motivo venivano consegnate lire diecimila a un compagno di Ville San Pietro per l'acquisto di alimentari e il recupero di armi. Purtroppo il compagno organizzatore, ritornato presso il Comando per comunicare il risultato del suo operato, camminando guardingo e con la rivoltella in mano, era scambiato per un fascista e prima che si  potesse chiarire l'equivoco, dopo una breve sparatoria cadeva ucciso (1).
Con l'unificazione di tutte le bande della provincia nella IX brigata Garibaldi in giugno, il Comando, con a capo «Curto», si sposta ancora nel bosco di Rezzo e ivi rimane fino al 24 giugno 1944 (uccisione di L. Nuvoloni), quindi raggiunge la zona di Tavole. Nei primi giorni di luglio, con l'elevazione della IX brigata a II divisione d'assalto Garibaldi «F. Cascione», ritorna nel bosco e s'insedia nuovamente nella casa di «Bacì Fundeghé».
Alla metà del mese, per necessità militari si trasferisce a Garessio in val Tanaro e, dopo la battaglia di Pievetta (25 luglio 1944), si porta sotto il passo della Follia (Case Almirante), a monte di Pietrabruna, ove rimane fino al giorno della fucilazione degli ostaggi sul monte Faudo (vedi II volume). Seguono brevi spostamenti a San Bernardo di Mendatica, a Pieve di Teco, a Villa Talla ma, in definitiva, rimane nel bosco di Rezzo fino al 19 di settembre, quando l'ispettore «Simon» parte per il Piemonte scortato dal distaccamento di Muccia Pasquale (Turbine) per incontrare una Missione alleata (2). Ritenuto ormai troppo infido, dopo il 19 di settembre il Comando lascia il bosco per rifugiarsi a Piaggia da dove dirige la lotta fino al 13 di ottobre quando, iniziato il grande rastrellamento con l'occupazione tedesca di Pigna in Val Nervia e a causa dell'offensiva nemica in direzione di Triora-Piaggia, viene sospinto verso nord raggiungendo Upega [Frazione di Briga Alta (CN)] il 16; valicato il Mongioie con le brigate I e V, si porta a Fontane (provincia di Cuneo) dove, impegnato nella riorganizzazione delle formazioni, rimane fino ai primi giorni di novembre.
Rientrato in Liguria prima delle formazioni garibaldine, il comandante «Curto» va ad ispezionare la IV brigata (nelle zone di Villa Talla-Pietrabruna) e quindi prende nuovamente contatto con l'ispettore «Simon» [Carlo Farini] a Prelà, giuntovi in  precedenza ammalato (vedi capitoli XXV e XXVI).
Il Comando Operativo della I Zona Liguria, costituitosi il 19 dicembre 1944 e composto da «Simon», da «Curto» e «Sumi» [Lorenzo Musso, commissario politico] s'insedia in casa di Mario De Carolis in Prelà, dove rimane fino all'uccisione di quest'ultimo durante il rastrellamento del 28 dicembre. Allora i componenti e gli addetti sono obbligati a spostarsi a Pianavia presso la tipografia del C.L.N. provinciale che, da Villa Talla ivi trasferita, era stata montata qualche giorno prima dal tipografo Giovanni Acquarone (Barba), in un sottofondo della casa di Giovanni Calzamiglia (Bacì).
Ennesimo rastrellamento il 4 gennaio 1945 e la casa del Calzamiglia viene data alle fiamme. Nuovo rapido spostamento del Comando, fortunatamente sfuggito alla cattura, verso Badalucco in una casa diroccata, dove ha sede anche il centro staffette dirette da Federico Panizzi (Fedé) (ex miliziano del P.O.U.M. in Spagna nel 1937), e da qui a Vignai.
Invece «Simon», annaspando nella neve verso monte Acquarone, con don Nino Martini riesce a raggiungere Lucinasco in valle Impero nella notte.
Il 6 gennaio 1945 sbarca a Vallecrosia la Missione alleata composta dal capitano inglese Robert Bentley e dal radiotelegrafista John Mac Dougall (Mac), che si aggrega al Comando I Zona Liguria dopo due giorni a Vignai. Completato il Comando, il gruppo si porta a San Salvatore, sotto il passo della Follia da dove dirige la lotta.
A metà mese un pesante rastrellamento sul luogo, causato dalla trasmittente individuata dai goniometristi tedeschi, obbliga il gruppo a spostarsi a «Ciazza Becco», tra Badalucco e Pietrabruna, dove sosta una dozzina di giorni.
Durante questo periodo «Curto» si reca ad ispezionare la divisione «S. Bonfante» ad est della strada statale n. 28. Il 25 di gennaio è quasi spettatore della cattura del 10° distaccamento «W. Berio» (IV brigata) da parte del nemico. Triste episodio accaduto nel vallone tra Villa Talla e Pantasina. Ritornato a «Ciazza Becco», il 27 la località è investita da un rastrellamento ancora causato dalla radio trasmittente; ma accade un episodio singolare: alcuni garibaldini del comandante Ermanno Martini (Veloce) incrociano una squadra di soldati tedeschi; i due gruppi nemici si scorgono ma non si accende lo scontro, ognuno prosegue per la propria strada.
Nella notte successiva il Comando si sposta a Beusi, nel bosco del Pistorino, dove i figli del contadino Lanteri Francesco (Chiccò) avevano costruito un'apposita baracca. Dopo qualche gioroo giungono nel detto luogo anche «Simon» e la sua segretaria Bianca Novaro (Rossana).
Intanto avviene l'episodio relativo al sommergibile alleato * che doveva sbarcare rifornimenti sulla spiaggia presso il giro del «Don» (Arma di Taggia) e che, invece, non giunse, mentre i garibaldini caddero in una imboscata (vedi il precedente capitolo LIV).
Il 2 di febbraio il Comando I Zona Liguria è nuovamente riunito. Al Pistorino si discutono i piani per rifornire di armi i garibaldini tramite gli alleati con aviolanci. Il 9 avviene il convegno di Beusi per definire questi piani anche con i rappresentanti di alcuni C.L.N. delle città costiere (vedi il IV volume).
I rastrellamenti si susseguono incessanti [...]
[NOTE]
1 Da una testimonianza orale di «Curto»
2 Gli avvenimenti collegati al Comando della Resistenza imperiese sono descritti in modo particolareggiato nei volumi e nei capitoli precedenti.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 524,527

* Michael Ross, uno degli ufficiali alleati che sarebbero dovuti rientrare nelle linee con il citato sommergibile, lasciò scritto nel suo "From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy" (Minerva Press, London, 1997) che nel richiamato torno di tempo furono tre i tentativi compiuti da un mezzo navale amico. I primi due vennero frustrati perchè scattarono trappole, da cui i partigiani si salvarono a stento, predisposte dai tedeschi, informati da una donna infiltrata nelle fila della Resistenza locale. La terza volta gli uomini del sommergibile, arrivando, non trovarono nessuno, perché, nel frattempo, i garibaldini avevano individuato la spia, che venne addirittura eliminata con l'uso di una pistola in dotazione ad un altro degli ufficiali alleati: e le comunicazioni radio in quel frangente non poterono funzionare, il che spiegava quel viaggio a vuoto.
Adriano Maini

Il 20 ottobre 1944 “Curto”, Nino Siccardi, con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
[…] Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell’VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l’incontro tra il comandante [della II^ Divisione Garibaldi “Felice Cascione” della I^ Zona Operativa Liguria] Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski): “Curto” chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale “Curto” rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio-30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 14 aprile 2023

Caricato sui muli tutto il materiale, i partigiani della Bonfante lasciarono Viozène

Viozène, Frazione del Comune di Ormea (CN). Fonte: www.loquis.com

Giunto ad Alto il Comando divisione [VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva raccolto altri effettivi della banda della II e III Brigata proseguendo ancora verso Nord. Malgrado le voci contrarie era ormai evidente che il lancio non poteva aver luogo vicino al nemico e che la meta era ormai chiaramente oltre la «28» [n.d.r.: strada statale del Col di Nava].
Attraversata la «28» a Cantarana [n.d.r.: Frazione di Ormea (CN)] le forze della Bonfante si spinsero su Viozène [n.d.r.: altra Frazione di Ormea (CN)] per riunirsi a forti gruppi della Cascione: obiettivo era la difesa del comune campo di lancio di Pian Rosso.
Se in Liguria era già primavera, a Viozène il clima era ancora rigido. Penosi furono quei giorni d'aprile [1945] per la scarsità di viveri ed il ritorno della neve.
I partigiani della Cascione dovettero lottare alle Fascette con la tormenta. I turni di guardia notturni erano estenuanti perché dalle cime del Mongioie scendeva un vento gelato e molti partigiani avevano già cambiato i logori abiti invernali coi pantaloni corti e le magliette estive. Quei giorni di attesa pesarono anche sugli animi più forti: Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Bonfante] stesso si presentò al Comando chiedendo di poter rientrare in Liguria perché i suoi uomini con i vestiti che avevano non potevano andare più avanti. Cimitero in quei giorni aveva ingoiato per errore una discreta dose di pastiglie contro il sonno che gli alleati avevano mandato col primo lancio e da tre giorni era di umore nero non riuscendo a dormire. Giorgio [Giorgio Olivero comandante della Divisione Bonfante] gli rammentò l'importanza che aveva per noi la riuscita del lancio e la necessità di disporre per la protezione di forti bande e di uomini come lui. Cimitero rimase.
Quale era lo schieramento della Bonfante e della Cascione? Non lo sapemmo con sicurezza perché nessuna comunicazione ufficiale venne inviata ai partigiani rimasti in Liguria. La zona di Viozène comunque si prestava ottimamente per una difesa: pochi varchi conducevano nella valle incassata e quei pochi erano facilmente controllabili anche con pochi uomini, purché ben armati. La Cascione a quanto pare aveva effettuato un largo schieramento di sicurezza verso sud prendendo sotto controllo tutta l'alta Val Tanaro comprendendovi Upega, Piaggia, Monesi, S. Bernardo. Era all'incirca lo schieramento adottato in ottobre, pur ottenuto con effettivi più ridotti. Evidentemente, più che bloccare l'offensiva nemica con una difesa ravvicinata ad oltranza si contava di opporre una difesa elastica rallentando l'avanzata nemica per il tempo necessario. La Bonfante si pose a immediata difesa del campo di lancio controllando anche con elementi della Cascione l'accesso da Ponti di Nava, dove la minaccia era maggiore. La Bonfante controllava anche il Bocchino a Nord e Carnino ad ovest. Il piano di difesa era buono e idoneo per resistere ad un attacco da molti lati.
Finalmente il 6 aprile [1945] il sospirato evento avvenne. Giorgio mi raccontò bene quel momento: «Passeggiavo fra i fuochi con Robert Bentley [n.d.r.: capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento degli alleati con i partigiani della I^ Zona Liguria] ed alla mia osservazione sull'eventuale pericolo di ricevere qualcosa in testa mi rispose: "Impossibile! Il regolamento vieta i lanci senza paracadute: li vedremo in tempo". Pochi minuti dopo eravamo stesi dietro una roccia terrorizzati da una pioggia di materiale in discesa libera compresi fusti da duecento chili di esplosivo. In termine tecnico il pilota aveva effettuato un free drop. Il lancio questa volta era veramente importante: c'erano mortai, mitragliatrici pesanti, materiale esplosivo, munizioni. Tutto venne suddiviso tra noi e la Cascione». Giorgio ebbe da lamentarsi che «il personale italiano, addetto alla confezione dei lanci al campo, di Livorno, avesse sostituito nei containers le divise nuove con le loro usate e stracciate, il cacao con polvere insetticida, come rilevammo in tempo dall'odore e avesse riempito gli astucci da cannocchiale con cartaccia. Grande stupore sollevarono certe scatole con dentro un pranzo luculliano, incluso il dessert e le sigarette. Erano le razioni di emergenza dei nostri alleati».
Caricato sui muli tutto il materiale la Bonfante lasciò Viozène, si portò verso Rezzo e ripassò la statale in un punto imprecisato. La Cascione, che già aveva avuto a Pian Rosso due lanci, restò in attesa del 4°, che avverrà verso il 19 aprile. Solo quest'ultimo lancio verrà disturbato dai tedeschi che attaccarono da Ponti di Nava. Ormai era tardi ed i partigiani, riforniti dai lanci precedenti, erano in grado di resistere. L'attacco tedesco venne contenuto ed il  materiale salvato quasi tutto, poi anche la Cascione lasciò Viozène.
La reazione tedesca si scatenò nella Val Tanaro deserta, Valcona venne incendiata, ma dei partigiani non era rimasta traccia.
Mentre oltre la 28 si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale.
CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA'
ADERENTE Al C.L.N.
6a DIVISIONE D'ASSALTO GARIBALDI LIGURIA S. BONFANTE
STATO MAGGIORE DIVISIONALE
N° PRO.23
OGGETTO:  L.II° RELAZIONE
Al Comando Divisione
Giorno 2.3 45. Alle ore 14,30 sento il messaggio. Parto in tromba
vado a Leverone a Aquila e salgo in Alto e metto tutti in moto visto
che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel,metto i suoi uomini
in postazione passo S. Giacomo mentre dalle altre parti metto borghesi
di guardia. Libero lo tengo sul    campo. Meassa non viene, la staffetta
borghese non lo ha avvisato. Alle 21.00 accendo i fuochi, alle
ore 21,45 dopo esser passati cinque aereoplani,arriva il nostro.
Ci fa il medesimo segnale morse che facciamo noi poi incomincia la
pioggia. Un solo apparecchio. Abbiamo tanta nebbia,però tutto
procede bene. Ad un tratto danno l'allarme,hanno visto una luce.
Faccio montare i Bren,caricare i caricatori. Idem per gli Sten.
I muli arrivano,sono immediatamente caricati e spediti da Fernandel
alle 24 avevamo sgomberato il campo. Libero rimane incaricato per
il rastrellamento. L'operazione è finita. Tutto ha funzionato bene.
Sono stanco morto.
Prego di farmi sapere se altri lanci avranno luogo. Se è possibile
continuare con lanci piccoli. Materiale da sabotaggio per ora basta.
Chiedere :  STEN - BREN - MUNIZIONI E CARICATORI S.ETIENNE.
Munizioni PARABELLUM RUSSO.
Portatemi per me almeno un silenziatore per STEN. Anche una
pistola col silenziatore
Stò meglio saluti
                IL CAPO DI STATO MAGGIORE

Nell'archivio di Ramon ho trovato il presente documento. Vi è descritto un lancio che sarebbe avvenuto a Caprauna il 2 marzo e sarebbe stato il II lancio. Poiché non si ricorda, né vi è traccia documentata di un lancio precedente ed il lancio del 13 marzo viene concordemente indicato come il lancio I, penso che vi sia uno sbaglio di data e che il 2-3.45 sia il 2-4.45.
I documenti del comando divisione indicano come Lancio II quello di Pian Rosso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 230-232

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto per la II^ Divisione offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di trasferire per il momento parte della Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso, mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
31 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione, prot. n° 19, al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Veniva comunicato che i preparativi per il primo lancio erano stati ottimi.
4 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 23, al comando della VI^ Divisione - Comunicava le modalità del secondo riuscito lancio alleato del 2 aprile 1945 a Caprauna: "alle ore 14.30 sento il messaggio. Parto in tromba, vado a Leverone e Aquila, salgo in Alto (CN) e metto tutti in moto visto che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel [Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione], metto i suoi uomini in postazione a Passo San Giacomo, mentre dalle altre parti metto borghesi in guardia [...] Alle ore 24 il campo era completamente sgombero". Ramon concludeva [...] Allegava un elenco di materiale ricevuto, dove figuravano 13 mine, 200 bombe a mano, 4 Bren, 8 Sten, 19 bombe incendiarie, 17 detonatori e molte munizioni.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione, prot. n° 310, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Emanate disposizioni per un nuovo lancio e per la condivisione, con la II^ Brigata "Nino Berio", del materiale ricevuto.
9 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Inviava una dichiarazione della signora Giulia Capetti, in cui la donna sosteneva di essere stata rimessa in libertà dalla gendarmeria tedesca di Albenga alla condizione di fare arrestare il garibaldino "Cimitero" [Bruno Schivo].
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 30 marzo 2023

Terminato il rastrellamento, il Comando partigiano nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo

Il Bosco di Rezzo vicino al Passo della Teglia. Foto: Pampuco su Wikipedia

Finalmente anche il giorno 6 [settembre 1944] ha termine; il nemico riunisce i reparti rastrellanti [nd.r.: si trattava della battaglia di Montegrande], riforma le colonne, si concentra a fondo valle.
Il pugno di ferro si era stretto; che aveva preso? Che risultato aveva avuto il grande spiegamento di forze aiutate da circostanze eccezionali favorevoli? Nulla, quasi nulla: su più di un migliaio di partigiani, solo una diecina caduti nella rete. Ettore Bacigalupo, Aldo Gagliolo, Italo Ghirardi erano caduti il primo giorno. Germano Valsecchi (Germano) di Giovanni, nato a Bergamo il 14.4-1927, uno della IV brigata, catturato mentre, estenuato, dormiva in un fienile, venne impiccato a San Bernardo di Conio. I civili Michele e Luigi Vinai saranno trovati tra i cespugli crivellati di colpi (7).
Altri tre garibaldini, catturati dal nemico, riusciranno a fuggire con l'aiuto dei civili.
Alle ultime luci del tramonto i Tedeschi lasciano il bosco; le macerie fumanti di San Bernardo di Conio, di case Rosse, di case Dell'Erba, delle cascine e dei fienili distrutti, indicano che anche lì, come a Triora, a Molini, a Pornassio, a Villa Talla, erano passate le truppe di Hitler.
Non note le perdite nemiche. La popolazione aveva scorto scendere per la rotabile di Rezzo alcuni carri chiusi e sanguinanti.
Terminato il rastrellamento, il Comando divisionale nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo riuscendo a riorganizzare in brevissimo tempo tutta la divisione, dai Comandi ai distaccamnenti, per prepararla alle previste battaglie autunnali.
A livello della critica storica, non è stato ancora chiarito lo scopo degli annunci radio alleati della loro offensiva sulla costa ligure, poi mancata, con la conseguenza di creare, per alcuni giorni, una situazione precaria gravissima alle formazioni partigiane. Solo le autorità politiche e militari inglesi e americane avrebbero potuto dare una risposta all'interrogativo che si sono posti gli uomini del Comando militare unificato regionale e della Resistenza imperiese che, sempre, hanno avuto dagli alleati incitamenti alla lotta ma, in riscontro, per tutto il 1944, mai hanno ricevuto da loro un fucile o una cartuccia, e che il 5 di agosto ed il 5 di settembre hanno rischiato la vita per causa della leggerezza o di qualche equivoca intenzione... del Comando anglo-americano.
Come si sa, le formazioni garibaldine erano organizzate dal P.C.I., e la II divisione «F. Cascione» era una divisione garibaldina.
L'8 di settembre nella zona di Triora, una compagnia di Tedeschi a bordo di due camions, caduta in un'imboscata, lascia sul terreno parecchi morti.
Il nemico fucila a San Remo il partigiano Ciccio Corradi (Gigi) di Agostino, nato a San Remo l'8.5.1925, che in agosto aveva consegnato ad Alfredo Esposito di San Remo una trasmittente da portare in montagna (8).
 
San Bernardo di Conio. Foto: nico su Riviera Time

[NOTE]
(7) Encomi solenni e promozioni.
Il 15 settembre 1944 il Comando divisionale premiava coloro i quali si distinsero singolarmente o ad intere squadre nella battaglia di monte Grande, con splendide motivazioni, promozioni e proposte di decorazioni, che da sole costituiscono il più alto elogio allo spirito combattivo delle formazioni garibaldine:
1) Encomio solenne alla squadra d'assalto della I brigata «Silvano Belgrano» per l'eroico contegno avuto durante l'attacco al monte Grande nella giornata del 5 corrente mese. Guidata dal suo comandante «Mancen» [Massimo Gismondi], dopo aver raggiunto d'assalto la cima del monte causando gravissime perdite al nemico, si manteneva sulle posizioni malgrado i contrattacchi dell'avversario fino alle tarde ore della sera permettendo alle forze della divisione, poste in difficoltà, di ritirarsi in buon ordine e senza perdite.
2) Encomio solenne alla squadra mortaisti ed al suo comandante «Romano» per aver contribuito validamente al successo della squadra d'assalto con il suo tiro preciso mettendo in fuga il nemico, sotto la guida del comandante di brigata «Cion».
3) Encomio solenne alla squadra del distaccamento di «Socrate», guidata dal volontario «Vittorio il Biondo», per aver partecipato all'azione della conquista di monte Grande con impeto e coraggio; contribuendo al successo delle nostre forze.
4) Di «motu proprio» il Comando divisionale per i motivi suddetti: promuove il comandante di brigata «Cion» [Silvio Bonfante] vice comandante di divisione per il suo comportamento durante l'azione di monte Grande, per la perizia dimostrata e per tutta la sua attività che lo addita come uno dei migliori comandanti delle nostre brigate.
Promuove il comandante «Mancen» del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» della I brigata a vice comandante di brigata.
Propone al Comando militare della Liguria che al comandante «Cion» e al comandante «Mancen» sia conferita la decorazione al valore partigiano.
5) Proposta per la medaglia d'argento al valor militare alla memoria del garibaldino «Ettore Bacigalupo», vice comandante del distaccamento «A. Viani» con la seguente motivazione:
«Avvertito che una postazione attaccata dai Tedeschi aveva perduto il mitragliatore, si slanciava al seguito del comandante di distaccamento al contrattacco per recuperare l'arma. Accolti nel tentativo dalla violenta reazione del nemico ormai attestato sulla posizione perduta, i garibaldini persistevano sinché, visto inutile ogni tentativo, iniziavano un ripiegamento. Ettore Bacigalupo con le lacrime agli occhi per la perdita di quel mitragliatore tedesco da lui conquistato alcuni giorni prima, non volle desistere dall'impresa. Riportatosi sotto la postazione nemica l'attaccava nuovamente con l'audacia dei forti. Lanciatosi improvvisamente contro i Tedeschi dal riparo che aveva raggiunto, imbracciando un mitragliatore «Otcis», riusciva a far tacere la mitragliatrice nemica, ma, colpito da una raffica di machinen-pistole, cadeva esamine. Il suo corpo fu poi ritrovato deturpato dalla rabbia nazista. Monte Grande (Rezzo-Imperia) 5.9.1944».
(8) Come informa una lettera, del 16.9.1944, inviata da «Petrowich» a «Prof», il Corradi fu ucciso nella caserma «La Marmora» [di Sanremo, zona San Martino] con raffiche di mitra, prima alle gambe e poi alla testa, dai fascisti del comandante G. che, già, aveva fatto arrestare e rinchiudere nella villa Magnolia l'antifascista cap. Amilcare Rambaldi (Archivio [IsrecIm], fascicolo 4.11.1944).
 
Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Ponente Ligustico

Francesco Biga
, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

sabato 11 marzo 2023

I partigiani imperiesi, dopo la morte di Felice Cascione, tentarono subito di tornare in azione

Una vista sino ad Imperia Porto Maurizio da Villatalla, Frazione di Prelà (IM). Foto: mpvicenza/flickr

Nella mattinata del 30 gennaio 1944 [n.d.r.: tre giorni dopo l'uccisione del loro comandante, Felice Cascione] i partigiani della banda «Cascione», che si erano fermati nei pressi di Eca Nasagò, partono in direzione di Rezzo. In Rezzo la popolazione era insorta qualche giorno prima (27-1-44), contro alcuni carabinieri di Pieve di Teco, che si erano recati nel paese per arrestare quelli che, secondo i fascisti, erano «renitenti» alla leva. La popolazione, armata, aveva fatto prigioniero il maresciallo dei carabinieri, e minacciava di fucilarlo. Poi venne rilasciato, in seguito a trattative; e i «renitenti» non furono arrestati. Però, subito dopo l'accordo con i carabinieri, vennero i fascisti, che operarono un rastrellamento in massa della popolazione di Rezzo.
I partigiani di Cascione si dirigono a Rezzo, per aiutare la popolazione; ma, mentre sono in cammino, vengono informati che la lotta è cessata per l'impossibilità di resistere contro la superiorità numerica dei nazifascisti; perciò, dopo avere mandato Gustavo Berio e Silvano Alterisio in cerca di notizie più precise, tornano indietro, e si fermano ad Armo.
L'aiuto dei partigiani era stato chiesto per mezzo di due o tre uomini di Rezzo giunti appositamente in Albra la sera del 29 gennaio 1944. Mirko (Angelo Setti), con un altro partigiano, ancora la sera stessa andrà a prendere mitragliatore e fucile nascosti durante il percorso da Forti di Nava a Barchi. I partigiani di Cascione, che la mattina del 30 erano partiti alla volta di Rezzo, saputo che la lotta è cessata si fermano in Trovasta; qui pernottano fra il 30 e il 31: quindi, per Moano e Trastanello, si portano ad Armo, dove pernottano fra il 31 gennaio e il 1° febbraio. Per andare da Albra a Rezzo i partigiani erano passati sul ponte di Eca Nasagò. Fino dal giorno 29 gennaio 1944 esponenti antifascisti imperiesi operanti in città, con i quali la banda «Cascione» era più direttamente in contatto (nucleo comunista), per mezzo di Carenzo Fedele avevano messo Curto (Nino Siccardi) in collegamento con Ivan (Giacomo Sibilla) giunto appena da Alto a Barcheto [Frazione di Imperia], e lo avevano mandato in montagna affinché si incontrasse con gli uomini della banda. Curto, con Ivan, parte intorno alle ore 14 da Porto Maurizio, col treno, e si reca ad Ormea, passando per Savona e per Ceva. Nei pressi di Eca Nasagò non trova più la banda; prosegue per Alto e per Caprauna; infine trova i partigiani ad Armo, dove arriva la sera del 31 gennaio 1944. Curto dà ordini ed istruzioni; e il giorno dopo ritorna in città.
I partigiani di Cascione, ridotti a circa una ventina di uomini o poco più, partono tutti insieme da Armo, pernottano ad Aquila d'Arroscia, pranzano a Bacelega e si fermano a Pizzo d'Evigno, dove arrivano la sera stessa del giorno della loro partenza da Aquila. Ma, prima di spostarsi da Armo per la ricerca di nuove sedi, essi, durante la notte, si erano recati ad Alto, per tentare di ricuperare almeno una parte del materiale abbandonato durante la lotta; ed erano pure andati a rendere omaggio alla salma di Cascione, che, a cura di persone del posto, era stata sepolta nel cimitero locale.
Intanto, il 1° febbraio 1944 veniva ufficialmente creato il Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale (CLNP) di Imperia.
A Pizzo d'Evigno, il giorno immediatamente successivo a quello del loro arrivo, i partigiani, che già avevano appartenuto alla banda «Cascione», si dividono in due squadre: una comandata da Vittorio Acquarone, che dapprima si stabilisce a Villatalla di Imperia (nel periodo dal 2 al 15 febbraio circa) e poi si sposta a Borgo d'Oneglia, per preparare il colpo di Garbella, che verrà disposto per il giorno 18 dello stesso mese; e una comandata da Tito (Risso Rinaldo), che si stabilisce nella valle di Diano Marina, zona di Magaietto.
Il giorno 18 febbraio i due gruppi di partigiani derivati dalla banda «Cascione», ora di nuovo aumentati in tutto di forse una diecina di uomini, si recano sulla Via Aurelia, una parte nella zona di Capo Berta e l'altra nella zona di Garbella, con l'ordine di fare saltare la strada nelle due località. L'azione dovrebbe avvenire in concomitanza con uno sciopero operaio, nonché in relazione col progetto di un eventuale sbarco alleato nella piana di Albenga, del quale si era avuta notizia.
Poi l'azione di Garbella e di Capo Berta viene sospesa, e le squadre si ritirano. Il gruppo di Garbella, che si era appostato in una casa abbandonata, poco lontano dal posto di guardia germanico, in prossimità della strada (Via Aurelia), era stato però scoperto da un tedesco, che, giunto sulla soglia di una delle due stanze nelle quali si erano nascosti i partigiani, li aveva scorti, e aveva sparato tutti i colpi della sua pistola, dando l'allarme.
I partigiani, tuttavia, si ritirano incolumi.
Subito dopo la tentata azione del 18 febbraio, otto partigiani del gruppo di Garbella, che era quello già stanziatosi prima a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, ritornano a Villa Talla; gli altri otto (fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo) si portano in una zona a monte di Borgo d'Oneglia e di Sant'Agata. Qualche giorno dopo la maggior parte di questi ultimi (fra cui ancora Setti Angelo o Mirko), essendo giunto l'ordine di portarsi alla «Maddalena» per un raduno generale, si recano a Villa Talla, allo scopo di ricollegarsi con gli altri partigiani del medesimo gruppo, e di andare alla «Maddalena» insieme con loro; ma, non avendoli trovati, proseguono da soli.
Il gruppo prima di stanza a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, che partecipa al completo all'azione del 18 febbraio, era allora composto di sedici uomini, e, fra gli altri, ne facevano parte Vittorio Acquarone, Emiliano Mercati, Trucco G.B. o «Titèn» (rientrato in banda da qualche giorno), Angelo Setti o «Mirko», Franco Salimbeni, Sibilla Federico, Sibilla Giacomo o «Ivan», Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo.
Il gruppo suddetto, per andare a prendere posto in Garbella, parte da Borgo d'Oneglia; passa per Cantalupo, per il ponte di Piani sul torrente Prino, prosegue a mezza costa fra Poggi e il torrente suddetto, attraversando la regione «Perrine»; per un tratto di strada, gli uomini sono accompagnati da Curto che aveva dato istruzioni sul da farsi; poi vengono guidati da altre due persone, probabilmente una di Artallo e una di Piani. Avrebbero dovuto dormire in una baracca a varie centinaia di passi dal luogo dell'azione, che era da compiersi la sera del giorno seguente, cioè del 18, anzi intorno alla mezzanotte; ma non trovata la baracca, anche a causa dell'oscurità, si sistemano in una casa tinteggiata in rosa (Villa Ludovici), situata vicino al ponte dell'Aurelia sul torrente Prino, o ponte di Garbella, e a pochissimi passi dalla strada stessa. Entrati per una porta posteriore rispetto alla strada, per una scala interna scendono al piano sottostante, dove pernottano. Il giorno dopo vedono dei tedeschi che camminano vicino alla casa; perciò risalgono al piano di soprae occupano due stanze, ciascuna accessibile con una propria porta, dal corridoio, e fra loro intercomunicabili per mezzo di una terza porta. All'improvviso, poco dopo il mezzogiorno, sopraggiungono due tedeschi, accompagnati da due ragazze; uno di essi, mentre l'altro è ancora fuori della casa, entra nella seconda stanza per la porta che dà sul corridoio, vede Gianni e Mirko, spara alla rinfusa, e si precipita alla finestra, continuando a sparare. I partigiani, scendendo per la scala interna, si ritirano in fretta; otto si portano sull'Aurelia, passano per il ponte, e infine andranno a Villa Talla; gli altri otto, fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo, girano intorno alla casa, Ivan spara al tedesco che è ancora alla finestra mentre l'altro è fuggito, poi tutti e otto ritornano nei pressi di Borgo d'Oneglia, passando su per giù per la strada percorsa nel venire, e si fermano fra Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, a monte dei due villaggi. Qui restano per qualche giorno, e poi alcuni di essi si dirigono alla «Maddalena», passando per Villa Talla.
Dopo la tentata azione del 18 febbraio, quando una parte del gruppo, che doveva operare in Garbella, si ritira a monte di Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, Ivan, malato di artrite, si ferma in Sant'Agata, nella casa di Mela Giuseppe («Sacchetto»), che era staffetta del gruppo. Due giorni dopo viene raggiunto da Franco Salimbeni, febbricitante.
Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

mercoledì 19 ottobre 2022

Sono giovani e meno giovani, che chiedono di esser inseriti nelle bande partigiane

Un casone nel territorio del comune di Montalto Carpasio (IM). Foto: Eraldo Bigi

13/6/44
All'alba mi sveglio col rumore dei compagni che prima di me erano già fuori indaffarati.
Mi muovo su quel giaciglio dove ho trascorso la notte, sono duro dalla testa ai piedi; esco fuori, vicino vedo una fontana, mi sciacquo bene la faccia e drizzandomi su me stesso guardo attorno: l'accampamento è invaso da una marea di uomini che giungono da ogni parte; sono giovani e meno giovani, che chiedono di esser inseriti nelle bande partigiane.
Rivedo molti amici e molta gente che conoscevo in città, vedo "Curto" [Nino Siccardi] che già conoscevo e che non sapevo fosse il comandante della Brigata.
C'è una riunione di capi partigiani.
Ernesto Corradi è nominato capo banda e inviato al confine francese sul monte Grammondo.
Io e il compagno Leonardo Roncallo raggiungiamo l'ultimo tornante della strada che domina la vallata di Carpasio dove montiamo di guardia.
A causa della confusione che regna al campo, fino a tarda sera rimaniamo sul posto dimenticati, costretti a cibarci con germogli di rovi.
La banda "Macallè"
Il nostro gruppo con altri compagni entra a far parte della banda "Macallè" (Scarella Giovanni caduto il 17 marzo 1945 a Costa di Carpasio); Luciano Sciorato è nominato commissario.
14/6/44
Prima del tramonto con pochi fucili e qualche attrezzo da cucina, partiamo per Monte Faudo, durante la notte sostiamo lungo la strada sotto i castagni. All'alba riprendiamo il cammino e poche ore dopo giungiamo a destinazione.
15/6/44
Da quel pendio guardavo la mia valle, il mio paese e, pensando alla mia gente, non sapevo darmi pace.
Erano trascorsi appena tre giorni dalla partenza e il peso di quella ingiustizia mi stroncava già i nervi.
Costretto su quelle montagne a dormire sotto gli alberi e senza mangiare, con la vita in pericolo, dopo poco tempo avevo cominciato a sentirmi alla stregua degli animali.
Osservavo i miei compagni soprattutto i più giovani, meno esperti a quel vivere, in preda allo sgomento.
Le notti erano fredde. Ero stanco e male equipaggiato, avevo quasi niente per coprirmi; ogni giorno che passava la situazione si faceva sempre più insostenibile;
dovevo procurarmi altri indumenti per affrontare la situazione con minor disagio.
Qualcuno come me possedeva una vecchia coperta, altri nemmeno quella.
Dovevamo costruirci senza attrezzi un riparo per la notte, ma non sapevamo nemmeno da che parte incominciare; guardavamo i più vecchi cosa facevano.
Ci mettiamo al lavoro strappando dei rami, improvvisiamo delle baracche coprendole col fieno, sperando che non piova.
Arriva l'ora del pranzo, ci viene distribuito un pezzo di carne nel brodo, dentro al quale galleggiano molti insetti che in quella stagione vivono nell'erba dei prati.
Iniziava così il primo giorno di vita partigiana; seguiranno giorni tristi fra turni di guardia e corvée.
Dentro di me stava maturando il desiderio di ritornare a casa anche solo per poche ore. Chiedo il permesso al capobanda, ne ricevo un netto rifiuto, mi fa capire che lasciare il campo da soli è un pericolo per tutti; insisto dicendo che mi sarei trattenuto solo il tempo utile per procurarmi altri indumenti; cede alle mie insistenze, ma per punizione non mi accetterà più nella sua banda.
19/6/44
Prima del tramonto parto quasi correndo, sperando di fare cattivi incontri lungo la strada; in meno di un'ora sono a casa lo stupore dei miei genitori che preoccupati mi consigliano di nascondermi.
Rimango un'intera giornata in casa a prepararmi il necessario per ripartire.    
Per una notte ancora godo profondamente di quelle piccole gioie che la vita domestica mi può offrire e che per molto tempo dovrò dimenticare.
21/6/44
È l'alba, sono già fuori dalla porta, mio padre vuole accompagnarmi; mia mamma, guardando  verso l'alto attraverso le foglie del pergolato, mi fa osservare che pioviggina.
Con gesto di rassegnazione mi muovo seguito dal mio genitore.
Salutiamo la mamma mentre mi fa le ultime inutili raccomandazioni, ci inoltriamo su quella vecchia mulattiera, fiancheggiata da arbusti, che pochi giorni prima avevo percorso con i miei compagni.
Strada facendo mio padre mi incalzava di domande sulla vita partigiana, ma rispondevo evasivamente per non amareggiarlo.
Presso la chiesetta di Santa Brigida ci fermiamo; nel frattempo giungono altri compagni di Garbella, anche loro cercano riparo nella vita partigiana.
Lascio mio padre immobile davanti alla chiesetta e con i miei amici mi allontano verso Monte Faudo dal quale, come prevedevo, sono costretto a proseguire verso il bosco di Rezzo.
Alle tredici giungiamo a destinazione ospitati dalla banda "Vittorio" (Acquarone) accampata sotto il bivio della strada che, dividendosi, prosegue verso Rezzo da un lato e il passo di Teglia dall'altro.
Siamo alloggiati in una stalla umida e buia con il pavimento ancora bagnato dallo sterco delle pecore.
Trascorriamo la giornata in cerca di erba secca per costruirci un giaciglio per la notte.
Sopra di noi altri compagni sono alloggiati nel fienile, dal quale cade giù polvere di fieno e foglie secche miste a vecchie ragnatele, e perciò in poco tempo ci confondiamo col fondo della stalla.
Sono seduto appoggiato con la schiena allo zaino, verso il muro; vicino a me, sdraiato a terra, c'è Giulio Borelli che, amareggiato, annoda un fazzoletto per ripararsi la testa dalla polvere che sta cadendo; mi guarda e con gesto disperato dice "Domani torno a casa, a questa vita non ci resisto".
Quindi, raggomitolandosi sotto una coperta, grida ai compagni di sopra di muoversi il meno possibile.
In quei giorni di esasperata sopportazione della vita, mentre giovani di ogni ceto cercavano rifugio dove forse c'era maggior pericolo, un piccolo episodio è rimasto vivo nella mia mente.
Ognuno di noi sembra rassegnato ad ogni evenienza di pericolo, quando nell'angolo più buio di quella stalla due compagni di Garbella, Giuseppe Daprelà e Pierino Michelis, con una candela e un foglietto scritto fra le mani, per dimenticare, si mettono a cantare la Paloma; benché stanco e distratto, sollevato da quella canzone mi addormento.
Appena è l'alba esco da quell'ovile più stanco del giorno prima, mi avvicino a un gruppo di partigiani, uno dei quali sta distribuendo del latte caldo.
Lo sguardo di quegli uomini già provati dalla lotta partigiana mi mette soggezione e, appena ricevo la mia razione, mi allontano.
A pochi passi da me tre partigiani interrogano alcuni prigionieri i quali saranno fucilati in giornata.
Sento le colpe di cui sono accusati mentre penso alle loro famiglie che non li vedranno più tornare, dimenticando in quel momento quali nemici pericolosi fossero per noi.
Mi aggiro per l'accampamento tormentato dalla situazione che mi circonda.
Più tardi sono chiamato per rifornire d'acqua la cucina; con un secchio mi allontano nel bosco verso il ruscello, attorno a me sento quello strano ma meraviglioso silenzio interrotto dal cinguettio degli uccelli; mi sarei fermato per dimenticare ogni cosa. Ricordavo le scampagnate fatte con gli amici in tempo di pace. Invece d'ora in poi, la banda che è poco distante da me, ogni momento dovrà guardarsi da un nemico spietato.
Riempio il secchio e faccio ritorno. Sono ancora distratto dai miei ricordi quando un rumore di passi mi distoglie.
Sul mio sentiero un partigiano armato accompagna verso di me un uomo con le mani legate e la faccia stravolta, cui mi viene ordinato di dare da bere. Sorpreso e preoccupato, quasi tremante avvicino il secchio alla bocca di quel giovane dallo sguardo implorante, che non dimenticherò mai. Immaginando quello che sta per accadere mi allontano in fretta, ma non in tempo per non sentire il colpo di pistola e la caduta di quel corpo sui rovi.
Colpito da quel fatto di sangue, torno alla cucina sconvolto e intimidito, nascondendo ai miei compagni il mio stupore.
Da tre giorni sono ospite della banda "Vittorio", in mezzo a un viavai di partigiani che partono e arrivano per le varie missioni.
Ero confuso e disorientato da quella vita disordinata alla quale non avevo ancora fatto l'abitudine.
Assisto al breve processo di altri due prigionieri che più tardi saranno fucilati.    
Privo di esperienza, non capivo ancora quegli uomini che uccidevano per non essere uccisi.
24/6/44
Sono le 14.30. Ho appena digerito un po' di brodaglia con pane e formaggio, sul bosco è scesa una fitta nebbia e l'aria umida penetra sotto i vestiti.
L'apparenza di un pomeriggio tranquillo ci concede solo una tregua sulla paura che ognuno di noi conserva.
Quel bosco che appariva un rifugio sicuro per la nostra guerriglia, in quegli istanti di apparente calma è sconvolto dal crepitio di un mitragliatore che ci mette in allarme.
Da San Bernardo di Conio un'autoblinda seguita da alcune centinaia di tedeschi sta venendo verso di noi, alle raffiche dei mitragliatori seguono i colpi di mortaio che esplodono in varie zone provocando piccoli incendi.
Rimango immobile per pochi istanti, cerco di capire cosa succede.
La nebbia impedisce di vedere ogni cosa. Siamo presi dal panico e disarmati cominciamo a fuggire in tutte le direzioni, mentre la banda armata si allontana dal campo appostandosi.
Mi muovo seguendo di corsa alcuni compagni.
In pochi minuti attraversiamo la strada che dal bosco scende verso il paese di Rezzo e, favoriti dalla nebbia, raggiungiamo la vecchia casa adibita ad ospedale.
Da essa alcuni partigiani e la giovane "Candacca" (Pierina Boeri) stanno uscendo in fretta trasportando un ferito e tutta quella attrezzatura che avrebbe potuto servirci in seguito.
Con loro ci sono quattro prigionieri tedeschi. Ci aggreghiamo al gruppo, aiutando gli uomini a portare il necessario.
Prima di notte raggiungiamo la parte più sicura del bosco.
In mezzo a noi c'è "Curto". Non conoscendolo, nessuno avrebbe pensato quale persona di grande responsabilità egli era. Solo l'averlo vicino infondeva coraggio.
Molto pratica del posto, "Candacca" va in perlustrazione e, prima del tramonto, ritorna dandoci via libera.
Partiamo al buio seguendo un sentiero, portando a turno la barella con il ferito; in piena notte arriviamo al passo della Mezzaluna e sostiamo dentro due casoni; fa molto freddo, a me capita il primo turno di guardia.
Appena rientro mi trovo ancora vicino a Borelli che si lamenta perchè deve dormire nell'umido.
Intirizzito dal freddo ho solo voglia di riposare e rassegnato mi sdraio vicino a lui.
25/6/44
Prima dell'alba siamo tutti svegli, la giornata limpida ci permette una buona visibilità. Siamo stanchi, affamati e visibilmente scossi dal rastrellamento.
Sostiamo vicino al muro dei casoni, al riparo dell'aria pungente, con il bavero della giacca alzato.
Incerti pensiamo verso quale località andare, se non ci sono già i tedeschi l'unico rifugio è Triora.
Dobbiamo pensare al ferito e trovare riparo anche per noi.
Ci dividiamo in due gruppi per essere meno notati; dopo aver caricato il ferito su di un mulo, alcuni compagni prendono in consegna i quattro tedeschi e si avviano sulla strada più agibile verso il suddetto paese.
Per pochi minuti osserviamo il piccolo gruppo allontanarsi, poi ci inoltriamo su di un sentiero appena tracciato, sperando di raggiungere prima di loro la stessa meta.
Fra noi ci sono Don Martini e suo fratello, il dottore.
Dopo una mezz'ora di strada ci coglie un violento temporale. Ci troviamo così sotto un'acqua torrenziale, senza un riparo, con visibilità di pochi metri.
Davanti a noi è completamente scomparsa la traccia del sentiero.
Disorientati, in mezzo alla campagna, ancora lontani dalle abitazioni, bagnati, come si dice, dalla testa ai piedi, proseguiamo con fatica facendoci strada fra gli arbusti.
Graffiandoci la pelle, lacerandoci i vestiti e con le scarpe infangate, raggiungiamo nel porneriggio la borgata di Guina: un gruppo di quattro case sparse per la campagna.
Bussiamo alla porta di quelle abitazioni in condizioni disperate: fradici, sporchi, affamati, sfiniti dalla stanchezza, irriconoscibili.
Siamo ricevuti da contadini con affettuosa cortesia. Ci dividiamo fra le famiglie per recare meno disturbo. In quelle povere case ci viene cotto un minestrone in un paiuolo appeso al centro della stanza, vicino al fuoco possiamo asciugarci i vestiti.
26/6/44
Trascorsa la notte nei fienili di quelle abitazioni, dopo una breve colazione partiamo per Triora dove giungiamo prima delle dodici.
Il paese è pieno di partigiani, postazioni con mitragliatori pesanti e pezzi di artiglieria sono disseminate dappertutto, arroccato su quella altura, lo stesso sembra inespugnabile.
Diverse bande sono accampate sulle colline circostanti collegate col centro abitato, dove mi sembra ci fosse il Comando di Brigata.
Tutto sembra tranquillo e il paese vive isolato come una piccola repubblica.
27/6/44
Dopo quella drammatica avventura, riposati ritorniamo verso l'Alpa Grande.
Molti partigiani ancora sbandati vagano su quelle montagne, intravvedo fra loro Aurelio Lavagna (Venerdì), che mi restituisce lo zaino smarrito durante il rastrellamento.
28/6/44
Rientriamo nel bosco dove eravamo già accampati; come gruppo di sbandati provenienti da ogni parte, siamo tutti disarmati, però abbiamo raggiunto un numero sufficiente per formare una nuova banda.  
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982
 

mercoledì 28 settembre 2022

Il 28 gennaio 1944 nuclei armati di renitenti ribelli occupavano il comune di Rezzo

Rezzo (IM): uno scorcio del centro storico. Fonte: Davide Papalini su Wikipedia

In relazione al telegramma Nr. 57351/441 si omettono per la seconda quindicina del dicembre u.s. le tre segnalazioni richieste, permanendo tuttora le condizioni di cui alle mie precedenti relazioni per la prima quindicina dello stesso mese, trasmesse con mio foglio del 18 dicembre u.s. pari numero.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia [n.d.r.: della Repubblica Sociale di Salò] - Roma, Imperia, 3 gennaio 1944  - XXII°. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma 
 
[...] Con sempre maggiore impulso viene combattuto il mercato nero e continuano le mie ispezioni personali ai mercati del Capoluogo e degli altri centri della Provincia.
Le recenti incursioni nemiche in questo Capoluogo ed in alcune località della Provincia, che hanno fatto vittime e danni, nonché i frequenti e ripetuti allarmi giornalieri, hanno provocato un certo sbandamento, aggravando il problema dei rifornimenti dei prodotti ortofrutticoli. A rimuovere tale inconveniente si sta procedendo con tutti i mezzi a disposizione.
Attiva sorveglianza viene esercitata sugli elementi avversi al Regime Repubblicano Fascista per seguirne gli ulteriori atteggiamenti e poter, all'occorrenza, tempestivamente intervenire per energicamente reprimere qualsiasi tentativo di turbamento dell'ordine.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 10 gennaio 1944 - XXII°. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma
 
Il 7 corrente in Cosio d'Arroscia elementi ribelli hanno asportato quattro fusti di carburante dall'abitazione di tale Gastaldi.
Il 9 corrente in Cosio d'Arroscia i carabinieri intervenuti per far cessare una festa da ballo che svolgeva in una abitazione privata sono stati respinti e minacciati da elementi partigiani che partecipavano alla festicciuola. Militari germanici accorsi in aiuto dei carabinieri hanno ucciso un borghese e ne hanno feriti due. Poi, hanno fermato il Commissario Prefettizio locale.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 gennaio 1944, pagine 9-10. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

Nella settimana testè occorsa, e precisamente il 28 gennaio u.s. [n.d.r.: il giorno dopo l'uccisione dell'eroe partigiano Felice Cascione], nuclei armati di renitenti ribelli occupavano il comune di Rezzo di questa provincia, ove prelevarono un sottufficiale e 10 militi della G.N.R. (carabinieri), i quali si erano recati sul posto, da Pieve di Teco, per arrestare alcuni renitenti.
Mi recavo subito sul posto, con Funzionari, agenti ed elementi della G.N.R., nel limitrofo comune di Pieve di Teco, donde constatavo l'impossibilità di effettuare consuete operazioni di polizia. Si riusciva però ad ottenere il rilascio del sottufficiale e dei militari prelevati.
Pertanto, l'indomani, 29 gennaio, reparti germanici e della G.N.R., al comando di un ufficiale tedesco, procedevano a perquisizioni nelle abitazioni del comune di Rezzo e venivano arrestate sei persone, di cui tre renitenti, due perché trovati in possesso di armi ed uno quale ostaggio, siccome unico congiunto trovato in luogo del principale responsabile. Venivano inoltre incendiate sette abitazioni nelle quali erano state rinvenute armi.
L'ordine pubblico nel Comune di Rezzo ritornava subito normale.
Continuandosi nell'opera di pacificazione, svolta da me, ritornato nuovamente sul posto, a nome dell'Ecc. il Capo della Provincia, si otteneva la presentazione di 17 renitenti, che sono stati fatti accompagnare al Distretto Militare, nonché il ritiro di 90 fucili, 14 baionette, due pugnali, un fucile mitragliatore, con 8 caricatori, nonché cartucce varie ed alcune bombe a mano, tutto materiale di provenienza militare e spontaneamente versato alle autorità locali, dietro mie esortazioni.
La popolazione manifestava, infine, il suo sincero pentimento per le violenze commesse.
Tale episodio va quindi ridotto di proporzioni, per cui, più che di ribellione vera e propria, deve considerarsi come una ragazzata effettuata da giovani imberbi renitenti. 
Il 28 gennaio u.s. in Aurigo di Borgomaro di questa Provincia, circa 150 persone, in prevalenza, donne aggredirono con sassi e bastoni il comandante la stazione G.N.R. (carabinieri) di Borgomaro e tre dipendenti, mentre traducevano un renitente della classe 1925 poco prima arrestato. I militari per non essere soprafatti facevano uso delle armi, colpendo all'addome una donna, che successivamente decedeva. Un militare leggermente ferito ad una gamba da una bastonata. Il fermo del renitente veniva mantenuto. L'ordine pubblico ritornava subito normale.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 2 febbraio 1944. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

I primi episodi di lotta [a Rezzo] si verificano nel novembre 1943, allorché i Carabinieri di Pieve di Teco, con la costituzione della Repubblica di Salò, invitano i renitenti alle varie leve a presentarsi alle armi del costituendo regime fascista. Questo invito si reitera per tutto il mese di gennaio del 1944. Nel frattempo i giovani di Rezzo, muniti delle armi di cui si sono impadroniti l'8 settembre, si sono organizzati in una banda per montare turni di vedetta a San Bernardo di Conio.
Alla fine di gennaio giungono a Rezzo una quindicina di carabinieri, guidati da un maresciallo per prendere provvedimenti seri contro i renitenti. Ma questi, stanchi delle angherie e forti dell'appoggio della popolazione, armi alla mano circondano una dozzina di carabinieri sulla piazza del paese, li legano e li portano nel bosco di Rezzo. Per farli rilasciare intervengono le autorità fasciste ed il prete della parrocchia. Ottenuto il rilascio dei carabinieri, i fascisti compiono una ritorsione bruciando alcune case e, radunata la popolazione, la portano incolonnata in cima al paese, in località "Pilastri". Sono momenti di terrore. Siamo al 30 gennaio: il contadino Costantino Donati tenta di fuggire, ma i fascisti sparano e lo uccidono in località Crocetta.
A febbraio 1944, dopo gli avvenimenti appena narrati, nel bosco si radunano una novantina di partigiani che si organizzano in tre Distaccamenti.
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
 
Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: Fui trasferito ad Imperia nel 1940 e venni assegnato a prestare servizio presso l’ufficio di polizia di Ponte Unione di Mentone. Nel dicembre del 1943 venni inviato di rinforzo ad Imperia inizialmente nella Squadra Politica e poi siccome non mi ci trovavo bene, essendosi formata una squadra di pronto impiego, io passai a far parte di essa. Detta squadra, composta in un primo tempo di 10 elementi, venne poi aumentata a circa 30 e poi ancora a 60 uomini e cambiò la denominazione in Squadra Antiribelli. Con detta squadra presi parte all’azione svolta a Pieve di Teco allorquando i partigiani avevano assaltato la caserma dei carabinieri ed avevano prelevato il maresciallo comandante. In detta azione fu proceduto al fermo di alcune persone che vennero poi portate in questura ad Imperia.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019
 
Al questore di Imperia e di Pavia Ermanno Durante, definito nelle carte giudiziarie un «fascista fervente», andò ancora meglio: imputato nell’ottobre '46 di omicidio, rastrellamento, repressione anti-partigiana, persecuzione politica, persecuzione razziale, delazione, furto, tortura e di un’altra altrettanto lunga serie di reati comuni, tra cui truffa, si vide condonare, grazie all’applicazione del D.P. 22 giugno '46, ben un terzo della pena, fissata inizialmente a venticinque anni di reclusione <163.
[...] Più simile al caso di Milano è, per certi aspetti, il caso dei due uffici di P.M. di La Spezia e Imperia, del distretto di Genova, per i quali si legge che «il lavoro ha proceduto a rilento» a causa «della esiguità del numero dei funzionari e delle difficoltà che si incontrano per il sollecito disbrigo delle istruttorie, rappresentate dalle grandi distanze», oltre che per «gravi incidenti» occorsi al presidente della Sezione di Imperia.
163 AS di Pavia, Fondo CAS Pavia, vol. 2, 133/46, 4 ottobre 1946
Laura Bordoni, La “giustizia in transizione” in Italia: l'esperienza delle Corti d'Assise Straordinarie lombarde (1945-'50), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Pavia, Anno accademico 2018-2019