venerdì 29 maggio 2020

Venne bruciato il fienile del patriota


Taggia (IM): la Chiesa Parrocchiale di Arma di Taggia

... la sera del 23 gennaio 1945 circa cento SS, armate anche con due mortai, circondavano casa Ghersi ad Arma di  Taggia (IM). I quattro garibaldini,  appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Orazio 'Ugo' Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”, che si trovavano nell’abitazione, vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone il solo Luigi Franco Ghersi, incitato dal fratello Giacomo "Pino" a farlo, riuscì, pur ferito, quando i due fratelli, legati, erano ormai trascinati per strada verso l'esecuzione, a fuggire "perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito riuscì a mettersi in salvo". Venne bruciato il fienile del patriota Raffaele "Lello" Politi. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. I tedeschi si portarono sulla Via Aurelia. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano già stati fucilati.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

25 gennaio 1945 - Dal C.LN. di Sanremo, prot. n° 225/SIM, al Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa, al comando della II^ Divisione [comandante "Vittò", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed al comando della V^ Brigata [comandante "Fragola Doria", Armando Izzo] - Relazione militare: [...] ad Arma di  Taggia erano stati trucidati da SS italiane e tedesche 7 patrioti.
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore ["Simon",  Carlo Farini] della I^ Zona Operativa Liguria al comando del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione - Chiedeva informazioni sui fatti di Arma di Taggia del 24 gennaio per i quali furono rinvenuti i cadaveri di 7 uomini della SAP di Arma di Taggia, tutti appartenenti al Distaccamento comandato dall'ex brigadiere Gastone Lunardi ed ordinava di svolgere un'inchiesta sull'insieme delle circostanze.
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione - Invitava a processare presso il Tribunale della Divisione Gastone Lunardi, già sospettato per la sparizione di 19 quintali di farina, per appurare sue responsabilità nell'uccisione di 7 uomini della sua squadra SAP, strage avvenuta ad Arma di Taggia il 24 gennaio, e sollecitava, oltre che l'inoltro della dislocazione delle formazioni dipendenti dalla Divisione, altresì l'invio allo scrivente di notizie relative a quei caduti.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

I tragici fatti di Arma di Taggia avvenuti intorno al 23 gennaio 1945 vennero riassunti, finita la guerra, in una relazione, un documento oggi Isrecim, anche questo studiato in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II; più precisamente un rapporto del 17 maggio 1945 del comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione, inviato al comando del III° Battaglione, che, tra l'altro, riportava: "... Alle ore 20 circa del 23 gennaio 1945 reparti delle SS tedesche e italiane provenienti da Imperia e guidati da una spia procedevano all'arresto in Arma di Taggia ed in regione Castelletti dei garibaldini Giacomo Ghersi, Mario Cichero, Vincenzo Pistone, Vincenzo De Maria, Raffaele Politi, Guglielmo Bosco, Luigi Ghersi ed Ermanno Gazzolo. Tutti i fermati appartenevano al Distaccamento 'Folgore'. Alcuni giorni prima garibaldini del Distaccamento 'Peletta' avevano, su indicazione di Pino Faustini, perquisito la casa dei Ghersi e, dopo un chiarimento, avevano capito che essi erano garibaldini sinceri, mentre Faustini era un individuo 'torbido' che aveva in odio i Ghersi stessi. La sera del 23, quindi, mentre il comandante del Distaccamento si trovava assente... reparti delle SS tedesche e italiane (circa 100 uomini) con due mortai, circondavano casa Ghersi facendovi irruzione. Erano guidati da un borghese con faccia mascherata in parte, cappello calato sugli occhi e bavero del cappotto rialzato. In quel momento si trovavano in casa Ghersi Giacomo e Luigi ed anche Guglielmo Bosco e Vincenzo De Maria. Furono bestialmente percossi, senza alcuna pietà, perché non vollero rivelare la località dove erano nascoste le loro armi con le munizioni e i nomi degli altri partigiani componenti il Distaccamento. Essi sopportarono con coraggio e fermezza la tortura senza pronunciare una sola parola che potesse essere di nocumento ai compagni. Anche i genitori dei Ghersi furono minacciati e malmenati affinché parlassero. Il nipote del Ghersi di anni 11 alle domande rivoltegli dal borghese rispondeva fieramente di nulla sapere, invitando la spia a togliersi la maschera. Altri elementi delle SS appiccavano il fuoco alla baracca di Raffaele Politi il quale, costretto dal fumo e dalle fiamme, dovette uscire all'aperto e arrendersi, fu percosso e seviziato a lungo... un gruppo di SS partì per andare ad arrestare altri i cui nomi erano in una lista in loro possesso. Dopo aver completamento depredato la casa... legati insieme i fratelli Ghersi... i nazifascisti si portarono in Arma di Taggia, sulla Via Aurelia di fronte alla Chiesa. Lungo la strada giacevano già i cadaveri dei garibaldini Vincenzo Pistone, Ermanno Gazzolo e Mario Cichero. Al garibaldino Gazzolo, perché parlasse, furono cavati i denti con le pinze da fabbro, ma nonostante la sofferenza non pronunciò una parola di delazione e si lasciò massacrare. Il Pistone subì la stessa sorte. Alla vista dei compagni morti, accortisi di essere portati nei pressi, Giacomo Ghersi, che era stato slegato dal fratello Luigi, incitava quest'ultimo a fuggire perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito riuscì a mettersi in salvo. Gli altri prigionieri, ormai agli estremi per i tormenti subiti, non potevano tentare la fuga e vennero barbaramente trucidati. Dei loro cadaveri fu fatto scempio". 
Adriano Maini

La sera del 23 gennaio u.s. in Arma di Taggia e regione "Castelletti" 30 militari della S.D. germanica e otto militi dell'U.P.I. effettuavano un rastrellamento per la cattura dei componenti la banda "Folgore".
Sono stati arrestati sette banditi, di cui cinque fucilati sul posto dai germanici, uno trattenuto in arresto e tale Luigi Ghersi evaso.
Venivano recuperati sei moschetti mod. 91, una pistola e sedici bombe a mano, nonché il ruolino completo della banda "Folgore".
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 febbraio 1945, pp. 27,28. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti     

domenica 24 maggio 2020

La morte di Felice Cascione


Alto (CN) - Fonte: Wikipedia
 
Il 30 dicembre 1943 Felice Cascione, insieme a due compagni, Giacomo Ivan Sibilla e Emiliano Taganò Mercati, si recava ad Alto (CN) per incontrare i rappresentanti della resistenza albenganese, Libero Emidio Viveri e Franco Salimbeni: venne deciso che le due bande dovevano riunirsi ad Alto (CN) per dare vita ad una manifestazione al fine di sensibilizzare la popolazione locale alla causa della Resistenza.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il ruscello Pennavaira nasce poco lontano da Caprauna (CN), confluendo nel Centa il quale sfocia  nei pressi di Albenga (SV). 
A Nord-Ovest di Alto CN), sul pendio che da Nord scende verso il rio Pennavaira, vi è la località  denominata Madonna del Lago, distante da Alto un chilometro e  mezzo.
Nella zona si trova una cappella nei cui pressi transita una strada mulattiera in cui sorgono i due  casoni in cui erano accantonati i componenti della banda Cascione: "nella baita più grande erano  alloggiate tre squadre, più la squadra del Comando; nella baita più in alto era alloggiata una squadra  quasi  interamente  formata  con partigiani di Albenga" così ha scritto Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976.
Il 26 gennaio 1944 alla banda Cascione giunse la notizia di un imminente rastrellamento nella zona di Alto da parte dei fascisti; "un gruppo si sposta e va in cresta al passo di Ormea, mentre ad un secondo gruppo di uomini si da carico di restare in prossimità della strada che viene da Case di Nava" (Strato, Op. cit.).
Il rastrellamento venne organizzato sulla base della delazione del fascista Michele Dogliotti, che, come già accennato  nel capitolo  precedente, era stato catturato e curato dal medico partigiano Felice Cascione, riuscendo poi a  fuggire.
I tedeschi giunsero nella zona di Alto il 27 gennaio 1944 intorno alle 7 del  mattino ed occuparono  uno dei casoni.
Rocco Fava, Op. cit.

Antonio Fedor Simonti, Tonino, come lo conoscevano tutti, fu il primo ad avvistare le truppe nazifasciste mentre cercavano di attaccare la Banda di Cascione nei pressi di Alto (CN) e a dare l’allarme ai propri compagni. Molti di essi si salvarono dall’agguato proprio grazie alla sua prontezza e al suo coraggio.
ANPI Imperia

Le bande, malgrado le defezioni, si erano andate rafforzando: dalla città e dai paesi vicini, la reazione nemica costringeva i giovani a fuggire e molti di essi si univano ai nostri.
Il tedesco tentò allora un colpo grosso: il  27 gennaio  500 o  600  uomini salgono parte dalla costa e parte scendono dal Piemonte per circondare e  schiacciare  i  nostri gruppi.
I garibaldini si apprestano alla difesa: pattuglie rinforzate vengono scaglionate intorno ad Ormea; si occupano e si presidiano le creste principali e gli incroci stradali con le scarse armi automatiche disponibili. Il nemico attaccò frontalmente le nostre formazioni a difesa della zona e il combattimento infuriò dalle 8 del mattino alle 2 del pomeriggio. Il numero e l'armamento dei nazi-fascisti era enormemente superiore a quello delle bande e la lotta impari fu ostinatamente condotta per oltre sei ore dai nostri, sorretti soltanto dalla volontà di resistere ad ogni costo.
Alle 8,30 Felice Cascione cade ferito mentre attacca furiosamente insieme a Tito e Gianni di Bestagno. Il suo stato è gravissimo ed occorre portarlo fuori della mischia e curarlo senza indugio. Si tenta di trasportarlo, ma il fuoco nemico batte da tutte le parti e le condizioni del ferito non consentono un'azione disperata. I nostri si lanciano in tutte le  direzioni cercando di aggirare il nemico e respingerlo: ma la massa di fuoco che li investe è impossibile a  sostenere.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
Cascione, insieme a Rinaldo Risso e Gianni Mamberti, tentò di riappropriarsi della baita. Aprirono il fuoco al quale immediatamente risposero i tedeschi. I tre partigiani, dislocati nel prato attiguo al casone, "cercano di saltare al di là del muro che divide lo stesso prato, ma Felice Cascione rimane ferito ad una gamba" (Strato, Op. cit.).
Nel frattempo, i tedeschi catturarono l'ex carabiniere Giuseppe Cortellucci e "afferrarono Cascione,  lo trascinarono  al  margine del  prato e qui con una raffica di fucile mitragliatore lo uccisero".
Lo scontro del 27 gennaio 1944 rappresenta, per la lotta di resistenza nell'imperiese, una data   importante "poichè dal sangue di Cascione sembrò germogliare, come una pianta meravigliosa,   l'esercito garibaldino che, nel suo nome, corse le nostre montagne" (Mario Mascia, Op. cit.).
Rocco Fava, Op. cit.
 
Il 15 settembre arriva a Imperia Gian Carlo Pajetta ‘Nullo’, per organizzare in zona le future brigate garibaldine, insieme alla moglie Letizia. Anni dopo ricorderà quell’incontro: "Anch’io e Letizia salimmo a trovare i partigiani. Era una formazione tipo quella di Barge. La comandava il dottore Cascione, un giovane intelligente che parlava in maniera pacata, aveva una faccia chiara con la barba un po’ risorgimentale e ispirava subito fiducia a chi lo conosceva, come la ispirava ai suoi uomini".
Oltre a guidare i suoi partigiani, a far loro leggere il Manifesto del partito comunista, ad addestrarli alle armi e a tenere puliti i mitra, Felice cura chiunque in zona abbia bisogno di un medico, e tiene gli uomini pronti a intervenire appena si presenti l’occasione. A metà dicembre avviene il battesimo del fuoco della banda. La legione fascista di Oneglia decide di punire il paese di Montegrazie perché un milite sorpreso a rubare è stato picchiato. All’arrivo delle cinque corriere che costituiscono la spedizione punitiva, parte una raffica di fucilate: un fascista viene ucciso, gli altri rientrano in caserma in cerca di aiuto. Il giorno dopo inizia un rastrellamento, e i partigiani accettano la battaglia; sebbene assai più numerosi, i miliziani sono disorganizzati e vengono colpiti a ripetizione da un mitragliatore ben piazzato in cima a una collina. Una ventina di fascisti rimangono sul terreno, gli altri vanno a chiedere aiuto al comando tedesco. Due di loro sono presi prigionieri e Cascione si ripromette di educarli e conquistarli alla causa della libertà, non a processarli e giustiziarli come capita di frequente in occasioni simili.
Nelle settimane di preparazione alla lotta la banda, riunita di sera attorno al fuoco attendendo che giunga l’ora dell’azione nel casone della Valle di Andora dove è rifugiata, canta e cerca sulle note e arie più celebri di trovare le parole per una ‘sua’ canzone. La scelta cade sulla musica di Katjuša, una melodia russa diventata famosa proprio durante la guerra, che Felice Cascione adatta con parole italiane aiutato dallo studente Silvano Alterisio, nome di battaglia ‘Vassili’. Il brano - che inizia con il verso ‘Soffia il vento, urla la bufera’ - viene cantato la prima volta la vigilia di Natale, nella chiesa di Curenna. C’è ancora tempo per qualche aggiustamento, e infine per accogliere le piccole correzioni fatte dalla maestra Maria, la madre di Felice che cambia la prima parola “soffia” con “fischia”. Il giorno dell’Epifania, sulla piazza della chiesa di Alto, la ballata viene cantata solennemente da tutta la banda. Il testo finale suona così:
Fischia il vento, urla la bufera
Scarpe rotte eppur bisogna ardir
A conquistar la rossa primavera
In cui sorge il sol dell’avvenir
Ogni contrada è patria dei ribelli
Ogni donna a noi dona un sospir
Nella notte ci guidano le stelle
Forte il cuore e il braccio nel colpir
Se ci coglie la crudele morte
Dura vendetta sarà del partigian
Ormai sicura è la bella sorte
Contro il vile che ognun cerchiam
Cessa il vento calma la bufera
Torna a casa il fiero partigian
Sventolando la rossa sua bandiera
Vittoriosi alfin liberi siam

I tedeschi sono da settimane alla ricerca della banda, ma non riescono a districarsi tra i viottoli, le stradine, i villaggi che si succedono e si intersecano in un paesaggio a loro sconosciuto. Intanto i partigiani, a piccoli gruppi, compiono sortite e azioni veloci che raggiungono le caserme dove sono acquartierati i tedeschi e i fascisti, ferendone e uccidendone diversi. Verso la fine di gennaio alla caserma di Albenga capita un evento carico di conseguenze: uno dei due prigionieri dei partigiani fugge e raggiunge i suoi ex commilitoni, descrivendo luoghi, armi, uomini che compongono la banda. Viene subito allestito un rastrellamento e il 27 circa 200 tedeschi accompagnati da fascisti individuano i partigiani. Inizia la battaglia e ‘u Megu’ vuole raggiungere il comando dove ha lo zaino con le attrezzature mediche ma una pallottola lo colpisce alla tibia, spezzandola. I suoi compagni corrono per aiutarlo sotto il fuoco, ma Felice li invita a spostarsi più in alto per combattere meglio e a fuggire.
I partigiani sono tutti oltre le rocce, dove c’è più neve ma si può scappare, i tedeschi non sparano più: hanno preso Cascione, la preda che volevano. E che è solo. È mezzogiorno. I tedeschi hanno iniziato a scendere di nuovo lungo il sentiero. Un gruppetto di camicie nere si avvicina a Felice. Lo trascinano a bordo del prato, sempre lungo il muretto. Uno lo schernisce, gli toglie l’orologio. E un altro gli punta la pistola alla fronte. Un solo colpo. Addio.
Marcello Flores - Mimmo Franzinelli, Storia della Resistenza, Editori Laterza, 2020
 
Fonte: Partigiani d'Italia

Leo ha serbato per oltre settant’anni la borsa medica in cuoio di Felice Cascione (U Megu), dove il comandante partigiano conservava i ferri per la sua professione e che aveva portato con sé anche ad Alto (CN), durante la precoce organizzazione e il comando delle prime bande resistenziali nell’Imperiese e nell’Albenganese.
Dopo la morte dell’eroe Felice Cascione il 27 gennaio 1944 a Case Fontane, la borsa veniva recapitata alla madre Maria Baiardo, che la conservava anche durante il suo segreto occultamento a Villa Faraldi, ospitata, in quanto ricercata dal regime fascista, sotto falso nome in casa della famiglia antifascista Elena. Quando il rifugio, per ovvii motivi era diventato pericoloso, la mamma di Felice aveva traslocato in luoghi più sicuri; la borsa era stata consegnata a Leo che la nascondeva presso uno zio, Pietro Fassio.
Ora la preziosa borsa sarà messa in mostra nel prossimo Museo, dove cercheremo di recuperare per esporla anche una giacca del valoroso comandante, medaglia d’oro della Resistenza.
Ferruccio Iebole, Leopoldo Fassio “Leo” un partigiano, I resistenti, anno XII n° 1 - aprile 2019, ANPI Savona, 31 ottobre 2017
 
[...] il giovane Felice Cascione, uno studente di medicina nato a Imperia nel 1918 e venuto a Bologna per coltivare la sua passione per l’arte medica, per lo sport e per quella politica che poi l’assorbì fino alla morte.
Attivo antifascista sin dal 1940, Cascione, l’anno dopo la laurea conseguita nel 1943, si affianca alla madre nella guida delle manifestazioni popolari a Imperia per la caduta del fascismo. Una marcia per le strade che presto diventa lotta armata: dopo l’8 settembre, Cascione raccoglie infatti un piccolo numero di giovani e nella località di Magaietto Diano Castello anima la prima banda partigiana dell’Imperiese. Guida i suoi ad azioni vittoriose, ma lui, definito da Alessandro Natta "bello e vigoroso come un greco antico", non tralascia mai di prestare soccorso ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea.
Una fedeltà alla professione così assoluta da condurlo all’errore. Durante la battaglia di Monterenzio i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere (M. Dogliotti). Un impaccio di cui la squadra si vorrebbe eliminare, ma che "U megu" - il dottore - vuole salvare, vedendo l’uomo sotto la divisa: "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo - dice Cascione - e ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti e Cascione divide con Dogliotti, il più malandato, le coperte, il rancio, le sigarette. C’è chi diffida, ma il medico replica a tutti che "non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà".
Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All’alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce. Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura, ma Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov’è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi.
Per il coraggio dimostrato, a Felice Cascione fu conferita la medaglia d’oro alla memoria.
Redazione, Cascione, il partigiano che fece fischiare il vento, UniBo Magazine, 21 aprile 2005
 

venerdì 22 maggio 2020

Gli aerei alleati hanno centrato il ponte di Nava


Il Pizzo d'Ormea (2476 m.) visto da Nava (IM) - Foto: Michela Biancheri
 
4 febbraio 1945 - Giornata di relativa calma. Solo nel pomeriggio si è sparsa la voce che ieri verso le tre pomeridiane una formazione di aerei hanno mitragliato la strada tra Ponte di Nava ed Ormea, ove erano in transito molte salmerie di tedeschi e repubblichini.
5 febbraio 1945 - Stamane i tedesci hanno fatto operazioni di rastrellamento e di controllo nella Alta Arroscia [...] Un fatto indubbiamente serio è stato il bombardamento della Cartiera di Ormea che ha subito danni assai gravi. Uno degli apparecchi si è incendiato ed è caduto verso il Castello di Ardea. Il pilota si è lanciato col paracadute ed è caduto in regione Castelletto [comune di Ormea (CN)]. Nel bombardamento di sabato è rimasta uccisa una donna che transitava sulla Nazionale.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

13 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 287/SIM, alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Chiedeva di comunicare al capitano Roberta [capitano dello SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] il bombardamento alleato di Sanremo, avvenuto il giorno prima.
15 febbraio  1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria [comandante Curto Nino Siccardi] al comando della Divisione “Silvio Bonfante” ["Giorgio" Giorgio Olivero, comandante] - Trasmetteva i ringraziamenti del capitano Roberta [capitano Robert Bentley] per la prontezza con cui era stato realizzato il collegamento con il colonnello Stevens e assicurava che il medesimo avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di fare bombardare Ormea (CN), come suggerito dal comando in parola.
25 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata [comandante Fragola Doria Armando Izzo] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Avvisava che "nei giorni scorsi salivano da Pigna, provenienti da Isolabona, 17 soldati della RSI, di cui 6 tra tedeschi e russi, per rinforzare il presidio di Molini; inoltre, giunsero altri 15 militari della RSI provenienti da San Bernardo di Conio. A Pigna il presidio è di 40 uomini; a Isolabona vi sono 3 batterie antiaeree che sono bersaglio dei bombardamenti alleati... Dal fronte a Savona le truppe tedesche ammontano a circa 4000 uomini, tutti appartenenti alla 34^ Divisione".
25 febbraio 1945 - Da "Corrado" al comando della Divisione “Silvio Bonfante” - Informava che "200 tedeschi provenienti da San Remo e zone limitrofe hanno avuto l'ordine, a causa dei bombardamenti alleati, di spostarsi a Pieve di Teco, dove è giunto il maresciallo Grot, già responsabile del massacro avvenuto in quella località...".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

A margine del documento stilato in occasione del suo interrogatorio i partigiani scrivevano: "risultano le seguenti informazioni di carattere generale sull'esercito tedesco: la 34ª divisione […] é un organismo militare dislocato nella Liguria e di esse fanno parte delle più svariate nazionalità in proporzione del 20/100 di Tedeschi e tutto il resto ossia l'80/100 di polacchi, russi, francesi, cecoslovacchi ecc. Riguardo al resto nessuna informazione si è potuta sapere data la loro condizione speciale che li faceva considerare da parte dei tedeschi quasi come prigionieri di guerra senza possibilità di venire a contatto con la popolazione civile e di essere al corrente della situazione politica e militare dell'Europa" (488).
Francesco Corniani, "Sarete accolti con il massimo rispetto": disertori dell'esercito tedesco in Italia (1943-1945), XXX° CICLO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN Storia delle società, delle istituzioni e del pensiero. Dal medioevo all'età contemporanea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017
(488) Verbale dell'interrogatorio fatto il sabato 28 ottobre 1944 a due prigionieri catturati a Beinette, ivi.

25 febbraio 1945 - È giunta da Imperia una colonna tedesca di circa 300 uomini, con relative salmerie. Da mezzogiorno alle quattro pomeridiane si verifica un ininterrotto transito di formazioni aeree. Il terribile maresciallo Grot, che se ne era andato, è ritornato a Pieve da quattro giorni e stamattina con una cinquantina di uomini è partito per un'operazione di rastrellamento verso Mendatica.
10 marzo 1945 - Sono le 9 e quattro ricognitori provenienti dal mare hanno sorvolato la zona di Pieve scendendo a quota bassissima e avendo come apparente obbiettivo i ponti. Si crede abbiano preso fotografie. La popolazione si è spaventata anche perché è stata la prima volta che si udiva il segnale di allarme dato dalle campane suonate a martello.
15 marzo 1945 - Ore 9 due aerei scendono dal vallone di Armo e si precipitano in picchiata sulla Pieve, emettendo un acutissimo sibilo. Lo sorvolano fino all'Ammazzatoio, ove deviano a bassissima quota verso Muzio e si disperdono nella valle. Intanto le campane suonano a martello in segno d'allarme e la gente spaventata si raccoglie dove si crede meglio protetta. Passano parecchi minuti e la scena si ripete sempre con maggiore fragore. Gli operai e i tedeschi, che lavorano al ponte nuovo, fuggono e si accovacciano negli uliveti circostanti. È stata una mattinata piena di emozione e di spavento.
Nino Barli, Op. cit. 
 
Il 12 marzo 1945 Ormea fu bombardata da un feroce mitragliamento. Il municipio, le case furono crivellate di proiettili, e per un caso del tutto straordinario le ville Pittavino e Bianchi, sedi del comando tedesco, colpite in pieno; non si potè mai sapere il numero delle vittime perchè asportate nottetempo; tra queste risultava un ufficiale [...] Il 15 marzo alcuni apparecchi in picchiata lanciano centinaia di manifestini sulla cartiera in lingua tedesca. Intanto continuano gli spari di molestia da parte dei partigiani.
Guida di Ormea, a cura delle "Campane di San Martino", 1986

17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione “Silvio Bonfante” ["Livio", Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione - Riportava le notizie ricevute il 12 marzo da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Grot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio e, ancora, che sempre il 12 marzo il comando della II^ Brigata "Nino Berio" aveva condannato e fatto giustiziare il commissario di P.S. Santo Miglietta e l'agente Attilio Sorbara, che erano stati catturati armati di mitra nella zona di Diano Marina.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione “Silvio Bonfante”, prot. n° 204, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Informava che era stato in visita il commissario della I^ Zona Operativa Liguria "Sumi" [Lorenzo Musso], che doveva poi fermarsi a Viozene [Frazione del comune di Ormea, Alta Val Tanaro, provincia di Cuneo] per discutere di alcune questioni con "Martinengo" [Eraldo Hanau, comandante di una delle formazioni badogliane]...
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione “Silvio Bonfante” al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Sottolineava l'importanza di un documento ritrovato ad Ormea (CN), che meritava una corretta traduzione perché "potrebbe trattarsi di una richiesta di rimpatrio per le truppe tedesche". Chiedeva altro materiale bellico attraverso gli avio-lanci alleati "per poter incalzare ancora di più il nemico", in particolare un lancio nel periodo compreso tra il 23 ed il 27 marzo "verso le ore 21,30, in quanto sarà un periodo favorito dalla posizione della luna". Aggiungeva che continuava l'affluenza di volontari nelle fila partigiane, ma che venivano accolti solo uomini conosciuti o già appartenenti a bande locali.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione “Silvio Bonfante” al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati, di cui si riportano qui di seguito significativi stralci: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano Robert Bentley] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera, di cui si invia la traduzione, circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
30 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione “Silvio Bonfante”] al SIM della VI^ Divisione - Avvertiva che "... Ad Ormea si trovano 20 tedeschi. Gli aerei alleati hanno centrato il ponte di Nava..."
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit.
 

martedì 19 maggio 2020

I nazifascisti erano già in allarme


Un antico ponte sul torrente Pennavaira nei pressi di Nasino (SV) - Fonte: Wikipedia
 
...  a Magaietto... verso la metà di novembre [1943] venne stabilito il primo nucleo di comando [della banda di Felice Cascione]. Gli armati - circa una sessantina - furono divisi in piccole squadre, "Libertà", Matteotti", Prometeo", e vennero costituite le prime staffette per sorvegliare gli scarsi rifornimenti che giungevano da Imperia ed espletare il servizio informazioni. I nazifascisti erano già in allarme: puntate di pattuglie tedesche venivano eseguite di continuo ed il servizio di spionaggio nemico cominciava a funzionare. D'altra parte l'invasore aveva ancora scarsi effettivi sul posto e non si arrischiava in azioni decisive non conoscendo la vera forza delle bande, forza che la voce pubblica esagerava enormemente, talvolta ad arte.  
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

In conseguenze della numerosa presenza di bande e di gruppi di partigiani, si fece pressante la richiesta di una maggiore coordinazione tra i patrioti combattenti in montagna.
Erano già presenti nell'autunno del 1943 diversi comitati locali nei principali centri, ma ancora troppo deboli sul piano politico-militare. Nella zona di Imperia esisteva già un Comitato di Unione, cui aderivano i tre principali partiti, il Partito Comunista, il Partito Socialista, la Democrazia Cristiana. Altri minori comitati furono quello di Sanremo, quello di Taggia, quello di Bordighera.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Nei primi di ottobre 1943 (Bruno Erven Luppi) dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della città, in località Beusi [Beuzi], una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo. In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri. Con i Sanremesi dà vita ad un giornale  clandestino quindicinale dal titolo “Il Comunista Ligure”, ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso. Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati [Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino], dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina. 
Prof. Francesco Biga in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)]

In una frazione di Vendone (SV) in una casupola si era fermato dopo l'8 settembre Luigi Peruzzi, ex combattente in Spagna, che alimentava e manteneva i primi rudimentali collegamenti con la banda Cascione ed i contadini della zona. Da lui fu avviato quando dovette lasciare la città mio fratello Sergio Alpron [Capitano Gabbia] e vi fu accompagnato da Pippo Mazzotti di Albenga. Tempo dopo, a seguito di una riunione avuta fra lui, io e Cascione ed altri, Sergio passò in Piemonte facendo tappa prima a Garessio e recandosi poi presso le formazioni di Mondovì e a Frabosa dove fu anche raggiunto da mio padre. Anche io vi feci alcune puntate per essere ragguagliato appunto sulle attività locali. Fra l'altro, sotto il comando del col. Rossi... A mio fratello fu affidato il comando della zona di Garessio...
Giorgio Cis Alpron, già capo di Stato maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante

Secondo Erven il C.L.N. provinciale era già sorto, come conseguenza della visita di Pajetta, a novembre 1943. Secondo Strato [Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia] e Mascia [Mario Mascia, Op. cit.] il primo febbraio 1944.
In ogni caso l'unione effettiva delle forze partigiane, come si vedrà in seguito, avverrà soltanto nella tarda primavera del 1944.
Non ritenendo più sicura la posizione di Bestagni-Magaietto, la formazione di Cascione si spostò poi al Casone di Votagrande, in Località  Passu du Beu sulle alture di Andora (SV).
Rocco Fava, Op. cit.

Li chiamano casoni, sono ricoveri per il bestiame, per gli attrezzi agricoli o per una breve sosta dei contadini quando sono al lavoro. Sono un posto adatto per nascondere i partigiani, sulle colline sempre più aspre dove gli ulivi lasciano il posto ai castagni, prima che sui prati scoscesi ci siano soltanto rocce e arbusti. Il casone dei Crovi, cioé dei corvi, ha un tetto spiovente dal lato a monte, a coprire il fienile, e un muretto davanti alla porticina sulla facciata della casa vera e propria. Te lo trovi di fronte oltre un prato verdissimo, uscendo dall'ombra degli alberi lungo il sentiero che poi continua verso la cima del monte. Castell'Ermo, si chiama quel monte. Unisce o divide due vallate, l'Arroscia e la Pennavaire, alle spalle di Albenga. Una montagna sacra, per le antiche popolazioni ingaune: quassù c'erano dei dolmen, vi si praticavano riti propiziatori. Ma i ragazzi della banda di Megu [Felice Cascione] non lo sanno, o comunque non stanno cercando suggestioni antiche; lì sono arrivati salendo di fretta, due giorni e due notti attraversando il costone del Pizzo d'Evigno. C'è stato lo scontro a Montegrazie, ci sono i due fascisti prigionieri da sorvegliare, c'è il rischio che le Brigate Nere, adesso, vadano a cercare le loro famiglie giù a casa. Allora l'ordine del comando cospirativo è stato quello di cambiare aria. Si svuota in fretta il casone della Vota Grande al Passo du Beu - il passo del bove - le coperte, gli zaini e le armi sulle spalle, quasi sessanta chili a testa per ogni ragazzo; e ci sono Pampurio e Gina, i due muli, carichi che di più non potrebbero neanche fare un passo. Tonino, che guida Pampurio a conclusione della colonna, sa bene quanta fatica comporti tenere il mulo sul sentiero per i due giorni dello spostamento, e soprattutto controllare che non cada nulla, perché c'è poco di tutto e tutto è prezioso.
Donatella Alfonso, Fischia il vento. Felice Cascione e il canto dei ribelli, Castelvecchi editore, 2015

Uno dei primi alassini a salire ad Alto [provincia di Cuneo, alta Val Pennavaira], veramente agli albori e cioé verso fine di settembre 1943 era Giuseppe Arimondo (Pippo o Elio o Mingo o D 33), ex ufficiale di artiglieria reduce da Trieste dopo il fatidico 8 settembre. Aveva trovato rifugio nella cascina Quan, in località Costabella ad Alto, mentre l'altro alassino Giovanni Sibelli (Sergio), anch'egli fuggito da Trieste dal 34° Reggimento artiglieri "Sassari", era nella cascina di Ettore in località Ferraia. Sibelli ritornerà dopo qualche tempo ad Alassio per aggregarsi al CLN e per dare il suo notevole contributo al locale PCI clandestino. Ad Alto, Sergio collaborava con Giorgio Alpron (Giorgio I o Cis)... Emozionante era stato per Pippo l'incontro con Felice Cascione (U Megu) e Vittorio Acquarone nella trattoria di Adelina, quando i due imperiesi tentavano di stabilire i primi collegamenti con gli albenganesi animati dalla comune fede comunista. Un episodio significativo era stata la ricerca di tre ufficiali jugoslavi prigionieri, evasi dal campo di concentramento di Garessio e rifugiatisi sul Monte Galero, saltuariamente soccorsi da Rina Bianchi di Nasino [in provincia di Savona, Val Pennavaira]. Pippo Arimondo con alcuni albenganesi... coronavano la ricerca, aggregando i tre slavi Milan R. Milutinovic (Mille), Obren L. Savic (Vincenzo) e Mihajlo Kavagenic (Michele o Dabo) al distaccamento ribelle. I tre jugoslavi combatteranno con i partigiani fino alla fine del conflitto. Arimondo (Pippo) nel gennaio 1944 scendeva ad Alassio per organizzare, come detto, il trasporto di armi e di munizioni. Nella sosta di alcuni giorni in Riviera incontrava in una casa privata di via Diaz, assieme a Virgilio Stalla, Angelo Martino e Giovanni Sibelli, il dirigente comunista Giancarlo Pajetta (Nullo o Mare), ispettore militare in viaggio lungo la costa ligure per coordinare le prime squadre partigiane comuniste, le Stelle Rosse. Avuto l'assenso per la disponibilità degli armamenti, Pippo ritornava ad Alto per riferire l'esito della missione. A quel punto Viveri (Umberto) e il comando partigiano rimandavano Pippo ad Alassio... Nel frattempo da Alto arrivava la tragica notizia della morte di Felice Cascione e la conseguente dispersione dei garibaldini verso il Piemonte.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

venerdì 15 maggio 2020

Altri sette partigiani cadono vivi in mano al nemico


Ubaghetta Costa - Fonte: Google
 
18 gennaio 1945 - Ore 10 passaggio in formazione di grandi quadrimotori - Il secondo gruppo, giunto all'altezza di Pieve [di Teco], esegue un fittissimo lancio di manifestini, incitanti alla resistenza e a non rispondere alle chiamate dei tedeschi e dei repubblichini.
19 gennaio 1945 - Questa mattina un centinaio di tedeschi, verso le 5, sono partiti per operazioni di rastrellamento per Moano e Colla Domenica [rispettivamente una Frazione ed una località del comune di Pieve di Teco (IM)]; sono scesi a Gazzo [nel comune di Borghetto d'Arroscia (IM)], ove hanno rastrellato 60 civili, fra i quali il Tenente Cassia e il Tenente Renzo Merlino. Li hanno portati tutti in Pieve e rinchiusi nel teatro Civico. Ivi hanno trascorso tutto il pomeriggio e la notte, al freddo e alla fame.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994
 
19 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazionava su una spedizione tedesca ad Ubaghetta, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM), Valle Arroscia, che aveva cercato di individuare la sede del Comando della I^ Zona Operativa Liguria e sulla spia Boll "che si è messo a lavorare per i tedeschi in un modo vergognoso e vile", aggiungendo che si apprendeva da fonte attendibile che "ieri verso le 10 ad Alassio sono state sciolte per ordine del comando tedesco le Bande Nere. Risulta che gli ex appartenenti a questi reparti siano stati disarmati ed obbligati a svestirsi della divisa" a causa delle malversazioni fatte patire alla popolazione.

20 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Veniva comunicato che i tedeschi di stanza a Badalucco (IM) si erano diretti a Carpasio [oggi comune di Montalto Carpasio (IM), Alta Valle Argentina] e che a Taggia (IM) erano giunti 20 agenti di P.S. che avrebbero dovuto tentare di infiltrarsi tra i partigiani. A Sanremo era arrivato un Battaglione [repubblichino] della San Marco adibito ai rastrellamenti.

20 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi delle Brigate, I^, "Silvano Belgrano", II^, "Nino Berio", III^, "Ettore Bacigalupo" - Venivano inviate due circolari. Una recante il modello per le rendicontazioni finanziarie. L'altra afferente l'obbligo di comunicare al comando di Divisione ogni prelievo in denaro effettuato.

20 gennaio 1945 - Da C.11 al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che una colonna tedesca proveniente da Mondovì (CN) aveva fatto sosta a Garessio (CN) e che sembrava confermata la voce secondo cui le autovetture tedesche della Croce Rossa trasportassero armi.

20 gennaio 1945 - Da Elio [Giuseppe Arimondo] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Inviava i nominativi di 3 spie di Cisano sul Neva (SV) e di Campochiesa (SV), di cui 2 donne ed 1 uomo. Tornava sullo scioglimento della Brigata Nera ad Alassio (SV) scrivendo che "gli ex appartenenti alla San Marco, che avevano precedentemente disertato e che ora si sono presentati, saranno, per ordine del comando tedesco, fucilati perché, avendo prestato giuramento a Hitler, sono appartenenti alla giurisdizione tedesca".

20 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando di Moschin [Carlo Mosca] il 9 gennaio aveva attaccato ed ucciso 3 tedeschi sulla strada statale 28 nel tratto Pontedassio-Frantoio Biscialla.

21 gennaio 1945 - Da Gianni del P.C.I. [dovrebbe essere stato Giuseppe Viani, capo di Stato Maggiore della I^ Zona Operativa Liguria] a Mancen [Massimo Gismondi, quadro della Divisione "Silvio Bonfante"] e Federico [Federico Sibilla, quadro della Divisione "Silvio Bonfante"] - Informava che un uomo a Deglio voleva uccidere il segretario comunale in nome dei partigiani ed aggiunbìngeva: "Vi ordino di fermare quel tizio dal commettere delitti. Noi patrioti non siamo assassini, ma vogliamo la liberazione dell'Italia".

21 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona al comando della II^ Divisione ed al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Ordinava di rendere difficoltoso il transito ai nemici sia per strada che per ferrovia. Veniva espressa perplessità sulla circostanza della ripresa di rastrellamenti tedeschi dopo che i nazisti avevano già fatto preparativi per l'evacuazione.

21 gennaio 1945 - Da Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona] al vicecommissario della II^ Divisione, Miliani [Beniamino Miliani, fucilato dal nemico a Sanremo il 25 marzo 1945] - Ricordava la sua circolare circa i rapporti tra cattolici e garibaldini, di cui occorreva, pertanto, prendere visione e sollecitava ad inviare relazioni sulle questioni importanti.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
 
Il 20 gennaio un grande rastrellamento investe il piccolo paesino di Degolla. Sul paese si dirigono tre colonne nemiche, provenienti da Cesio, da Pieve di Teco e da Casanova Lerrone. Il nemico giunge nella zona alle sette del mattino. Nei pressi del paese è dislocata la squadra di Riccobono Calcedonio Assassino, composta da dodici garibaldini, armata con un MG. La squadra rimane circondata ed i suoi componenti sparano fino all'ultimo colpo. Il caposquadra Riccobono cade dilaniato da una bomba a mano. Anche Giuseppe Cognein (Giuseppe) di anni 20, commissario del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi", viene ucciso da una raffica mentre scaglia la sua arma scarica contro il nemico. Altri sette garibaldini, Ettore Talluri, Giuseppe Loba, Luciano Mantovani, Oreste Medina, Ugo Moschi, Valter Del Carpio, cadono vivi in mano al nemico. Dante Rossi rimane gravemente ferito, ma, catturato e portato all'ospedale di Pieve di Teco, riesce a salvarsi utilizzando il cadavere di un anziano deceduto per morte naturale e con la complicità di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico: fuggito dopo che è stato dichiarato deceduto.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, edit. in pr.
 
[ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]
 
25 gennaio 1945 - Giornata terribile - il professor Giurco, interprete dei tedeschi, qui piovuto non si sa come e per me molto sospetto perché è mia convinzione che faccia il doppio gioco, viene alle 3 pomeridiane per annunciarmi che Renzo [Merlino] è stato stamattina condannato a morte.
26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato gli otto sanmarchini, già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco, vengono fucilati.
27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstititi, ferito al ventre è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale. Sono le 11,30: i due patrioti rastrellati in Rezzo, trasportati in Pieve e condannati a morte, non sono ancora stati fucilati.
Nino Barli, Op. cit.
 
I prigionieri, dopo varie tristi vicissitudini, sono condotti a Pieve di Teco (IM) e rinchiusi nella caserma "S. Siffredi".  
Saranno fucilati in Prato Sertorio [Pieve di Teco (IM) ] il 26 gennaio 1945.
Dante Rossi, invece, come era in lugubre uso, fu consegnato dai tedeschi all'ospedale di Pieve di Teco (IM) per farlo guarire e poi fucilarlo: la stessa cosa fu fatta in effetti ai suoi compagni. 
I medici e gli infermieri tentarono in tutti i modi di salvare questo ragazzo, prolungandone la guarigione. 
Ogni giorno un infermiere tedesco, che era anche sacerdote cattolico, veniva a prendere notizie del partigiano Dante Rossi di Parma.
Un giorno pensò di farlo sparire. La cosa avvenne in questo modo: morì un vecchio del ricovero e, mentre si componeva la salma nella bara, venne sparsa la notizia che era morto invece il partigiano. L'infermiere tedesco portò tale notizia al comando nazista e il ragazzo venne nascosto dal personale dell'ospedale nella corsia dei borghesi. Dopo tre mesi, il giorno della Liberazione, fu salutato come morto e risuscitato dai compagni increduli e poté tornare sano e salvo dalla propria famiglia. 
Le infermiere che salvarono la vita al giovane erano: Arrobbio Maria, Suor Emma - classe 1893 Viarigi (Asti); Zunino Maria, Suor Bianca - classe 1890 Varazze; Rossetti Adele, Suor Gemma - classe 1920 Marnate (Varese); Ferrari Benedetta, Suor Domitilla - classe 1892 Riva Ligure (IM).
Rocco Fava di Sanremo (IM), Op.cit., Tomo I

29 gennaio 1945 - ... Fino a questo momento Renzo [Merlino] è ancora in vita...
30 gennaio 1945 - Questa mattina alle ore 8 Renzo dal carcere è stato condotto ammanettato in Municipio e dopo pochi minuti è uscito a mani libere colla mantella sulle spalle. Era però scortato da 8 tedeschi armati ed è stato condotto ad Ormea...
31 gennaio 1945 - Renzo è sempre ad Ormea e la sua situazione continua ad essere un mistero. Oggi alle 2 è venuto da me il Capitano Bovolo, di ritorno dal Piemonte... in forma concitata mi narra che egli non aveva mai detto al comando tedesco di essere stato aggredito con la rivoltella in pugno da Renzo Merlino, capo banda, e cioé nel Maggio scorso. Tale accusa, egli mi dice, gli venne fatta in Ormea, dove tale notizia è di dominio pubblico...
Nino Barli, Op. cit.
 
[...] la situazione andò leggermente migliorando, finchè si giunse al marzo 1944. Ai primi di questo mese il comando tedesco di Imperia ordinava un vasto rastrellamento in tutta la zona, da Imperia ad Ormea. I partigiani provvedevano a contrastare l'avanzata del nemico, ma nonostante questi sforzi, nei quali cadeva il partigiano Roberto Sasso, e rifulse l'esempio del Ten. Renzo Merlino, i tedeschi riuscirono ad entrare in Ormea e ad occuparla saldamente. [...] Il 9 aprile viene rinvenuto il cadavere del Ten. Merlino, in un campo presso Rio Chiappino, di cui il giorno dopo viene celebrata affrettatamente la sepoltura.
Redazione, Guida di Ormea, a cura delle "Campane di San Martino", 1986 

6 febbraio 1945 - Questa mattina mi comunicano la morte di Renzo [Merlino] per fucilazione che, a quanto si sospetta, pare avvenuta in modo straziante e barbaro.
7 febbraio 1945 - [...] oggi mi si riferisce che Renzo non sarebbe stato ucciso, ma incorporato negli SS tedeschi. Come si vede, anche nelle cose più serie e delicate, le notizie non tralasciano d'essere incerte e spesso inesatte [...]
12 febbraio 1945 - [...] sorprendente il mistero di Renzo. Trasportato ad Ormea, ove giunse ammanettato e sotto scorta di otto tedeschi armati, dopo tre o quattro giorni è scomparso di nuovo [...] L'unica supposizione che ancora rimane è quella di immaginare che il poveretto sia stato destinato a qualche servizio segreto che, per sua natura, richieda il massimo riserbo. Ma è certo che le buone speranze si affievoliscono ogni giorno di più.
Nino Barli, Op. cit.

mercoledì 13 maggio 2020

L'uccisione di "Rino" Stenca e di altri valorosi partigiani

 
Imperia: Capo Berta

[...] val la pena di segnalare l’operazione antipartigiana, avvenuta tra il 6 ed il 29 gennaio 1945 in provincia di Imperia, sotto il comando della 34ª divisione di fanteria; sul terreno furono impegnati l’80° reggimento granatieri e il gruppo di combattimento Klingelmann per i tedeschi; per i salodiani il raggruppamento Cacciatori degli Appennini. Il risultato sarebbe stato di 17 morti, 1 ferito, 14 prigionieri tra i partigiani, unitamente alla cattura di 200 renitenti alla leva.
Fiammetta Balestracci, Rastrellamenti e deportazione in Kl nell'Italia occupata. 1943-1945 in Il libro dei deportati, Vol. 4: L'Europa sotto il tallone di ferro. Dalle biografie ai quadri generali, Ugo Mursia Editore, 2015
 
[...] l'80° Reggimento [tedesco] inizia i rastrellamenti anche nella zona della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" [della II^ Divisione "Felice Cascione"]. I primi movimenti sono eseguiti il 3 gennaio [1945] quando alcuni autocarri carichi di soldati giungono a Caramagna [Frazione di Imperia]. Anche Borgomaro è investita. Il nemico rastrella i dintorni del paese procedendo a razzie. Il giorno successivo, guidati da spie, altri soldati incendiano una casa con l'intento di distruggere la tipografia partigiana clandestina, ma non ci riescono perché la stessa è ben nascosta. Il giorno 5 cade molta neve. Il nemico attacca nella zona di Villatalla [Frazione di Prelà (IM)], Tavole [altra Frazione di Prelà (IM)] e passo San Salvatore [comune di Pietrabruna (IM)]. Non scopre i partigiani, nascosti nei casoni coperti di neve, e transita senza che avvengano scontri. Al termine della prima decade del mese i tedeschi investono l'area Dolcedo, Canneto [Frazione di Prelà (IM)], ancora Tavole e Villatalla, Monte Faudo e Badalucco. Con loro collabora la Gnr. Cadono a Badalucco i partigiani Giobatta Coscia, Domenico Jorfida, Paolo Merano e Giobatta Panizzi. Viene catturato qualche renitente alle chiamate della Repubblica Sociale. Due persone, Domenico Raineri e Giobatta Bianchi, catturati per la strada, sono trucidati. Anche il partigiano Lucio Ferlisi cade in mano nemica: sarà fucilato il giorno 12. Purtroppo, un altro partigiano, "Turiddu", si consegna all'Ufficio politico investigativo (Upi) dei fascisti e ciò causerà grossi problemi alla Resistenza imperiese. Durante gli scontri due tedeschi rimangono sul terreno. I partigiani li seppelliscono nelle vicinanze di Costa d'Oneglia [Frazione di Imperia]. Ma alcune spie parleranno per cui il 28 marzo le SS conoscono l'ubicazione delle salme. Ne pagheranno le conseguenze gli eroici Franco Ghiglia e Sinibaldo Martellini. Pure nella zona del Comune di Imperia il nemico compie duri rastrellamenti. Borgo Sant'Agata è investito ed alcuni partigiani e civili sono catturati. Compare tra le formazioni nemiche una donna: Maria Zucco, che sarà detta "la donna velata" per la sua abitudine per il suo coprirsi il volto per non farsi riconoscere.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
La Val Prino

[...] A partire dal mese di gennaio del 1945 ci furono incessanti rastrellamenti nelle valli Impero e Prino nella zona di Imperia. La 34^ Infanterie Division tedesca, costituita nel distretto militare di Coblenza (Germania) e mobilitata il 26 agosto 1939, era formata da tre Grenadier Regiment, integrata da altri Reggimenti, tra i quali uno di artiglieria. Prese parte alla campagna di Russia del 1941 dove fu praticamente distrutta perdendo circa il 90% degli effettivi, venne ricostruita in Slesia, e nel maggio del 1944 trasferita in Italia. Nel giugno successivo andò a rinforzare il settore costiero ligure occidentale, considerato dai comandi tedeschi troppo debole, con il compito di collaborare con la San Marco, Divisione della Repubblica Sociale Italiana, addestrata in Germania. Tutte e due le Divisioni avevano il compito precipuo di operare contro le formazioni partigiane della 2^ Divisione d’Assalto Garibaldi Felice Cascione.
Si distinse nelle operazioni di rastrellamento il Kampfgruppe Klingemann con i suoi uomini affiancati dalle formazioni fasciste dei Cacciatori degli Appennini e della Compagnia Ordine Pubblico della 33^ Legione Guardia Nazionale Repubblicana d’Imperia, agli ordini del famigerato capitano Giovanni Ferraris. Queste formazioni, che nell’estate e nell’autunno si erano scontrate con la Divisione Felice Cascione subendo gravi perdite, approfittarono del crudo inverno, rinforzate dalla 34^ Infanterie Division, per attaccare i partigiani che avevano interrotto le vie di comunicazione e di rifornimento tra il Nord Italia e il fronte delle Alpi Marittime. Per questa ragione l’80° Grenadier Regiment iniziò il 3 gennaio 1945 i rastrellamenti anche nella zona della 4^ Brigata E. Guarrini.
Nella prima fase non vennero scoperti i partigiani perché nascosti nei casoni coperti di neve; però nella prima decade del mese i tedeschi si spostarono in altre zone e catturarono alcuni renitenti alle chiamate della Repubblica Sociale Italiana che furono trucidati. Anche il partigiano Lucio Ferlisi, caduto in mano nemica, venne fucilato il 12 gennaio. Un altro partigiano, Turiddu, si consegnò all’Ufficio Politico Investigativo fascista causando grossi problemi alla sicurezza dei partigiani imperiesi. Durante gli scontri due tedeschi rimasero sul terreno; i partigiani li seppellirono nelle vicinanze di Costa d’Oneglia. I rastrellamenti continuarono anche nel comune di Imperia. Si parla di una donna, Maria Zucco, che veniva chiamata la donna velata per il suo coprirsi il volto al fine di non farsi riconoscere, che aveva fatto parte delle formazioni fasciste Azione Nizzarda in Francia. Giunta nella provincia di Imperia dopo il 15 agosto 1944, spacciandosi per una patriota, fece catturare alcuni partigiani tra cui Adolfo Stenca. Nelle carceri di Oneglia il 14 gennaio 1945 venne fatto l’appello dei catturati che dovevano essere fucilati; il primo a essere chiamato fu Paolo De Marchi. L’olocausto della 4^ Brigata E. Guarrini continuò; nei giorni dall’11 al 16 gennaio caddero: Pasquale Nisco, Francesco Vernaleone, Carlo Gatti, Antonio Dagnino, Settimio Raimondi, Giovanni Cortese, Rino Guglieri e Adolfo Capovani. Il 17 i fascisti effettuarono un altro rastrellamento, durante il quale morirono Carlo Montagna, comandante della 4^ Brigata, Angelo Perrone e Sebastiano Acquarone. Nei dintorni di Tavole molti casolari furono dati alle fiamme e alcuni civili vennero arrestati. Il 25 fu catturato, quasi al completo, il 10° Distaccamento Walter Berio. Nello Bruno e Vittorio Aliprandi, rispettivamente comandante e commissario della Brigata, si suicidarono per non cadere nelle mani del nemico. In seguito alla scomparsa dei due tedeschi, della cui sorte il comando germanico non sapeva nulla, il comando annunciava che, se non si fosse provveduto alla loro liberazione, venti ribelli sarebbero stati fucilati. Successivamente i nazisti vennero a conoscenza della morte dei due soldati e mandarono perciò davanti al loro Tribunale militare venti antifascisti: Guglielmo Bosco, Francesco Garelli, Ettore Ardigò, Orlando Noschese, Giorgio Cipolla, Santo Manodi, Medardo Bertelli, Giobatta Ansaldo, Paolo De Marchi, Adolfo Stenca, Carlo Delle Piane, Vincenzo Varalla, Giacomo Favale, Luigi Guarreschi, Giuseppe De Lauro, Doriano Carletti, Ernesto Deri, Adler Brancaleoni, Biagio Giordano, Matteo Cavallero. Riconosciuta la loro colpevolezza, il Tribunale pronunciò la sentenza di morte che venne eseguita, per alcuni di loro, il 31 gennaio 1945.
Dai documenti risulta che altri furono fucilati nei giorni successivi e in luoghi diversi [...]
Redazione, 15 febbraio 1945: Il Partigiano "Oscar" Adler Brancaleoni viene torturato e fucilato dai fascisti dietro il cimitero di Oneglia (Imperia), Magazine Italia, 16 febbraio 2019
 
Il 17 gennaio 1945 il distaccamento di Mario Bruna (Falco) subisce un duro rastrellamento da parte della banda Ferraris, il famigerato capitano Ferraris [Giovanni Daniele Ferraris comandante della Gnr Compagnia Ordine Pubblico Imperia. Dopo la dissoluzione della 4a Armata molti nizzardi lasciano il loro territorio ed aderiscono alla RSI. In duecento ad Imperia si arruolano nel 627° CP GNR, potenziando presso la caserma Ettore Muti a Porto Maurizio la Compagnia O.P. (Giovanni Ferraris) oppure contribuendo a formare con i superstiti del Btg. GNR Nizza in ritirata alla fine del 1943 dalla Provenza il Btg GNR Borg Pisani (Massimo Di Fano). Altri sono incorporati nel 626 CP GNR  di Savona e in cento costituiranno la Compagnia Nizza della 27a BN di Parma. Il Btg. Borg Pisani da aprile a novembre 1944 si pone nelle casermette della Guardia alla Frontiera di Taggia e di Arma di Taggia partecipando insieme alla 34a ID e a Reparti della RSI al presidio della costa ligure allo sbocco di Valle Argentina], ma allora ancora tenente. Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della Controbanda, l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.
Si trovavano in due casoni, sopra Molini di Prelà (Case Carli), negli oliveti sul costone che fronteggia Valloria, in direzione di Villa Talla e Tavole.
Nel casone più a valle, Falco, Deri Ernesto Austriaco e Nino Peruzzi stanno dormento a pianterreno, nella stalla. Dal tavolato del solaio, adibito a fienile, saranno state le 5 del mattino, Falco è svegliato fortunatamente dal rumore di una pila ad autocarica, il caratteristico "zzz, zzz". Sente la voce di un milite che, diretto al Ferraris, dice: "Signor Tenente, qui non c'è nessuno!".
Semivestito com'è, Falco con un calcio sveglia Deri e Nino Peruzzi. Afferra il mitra che ha accanto e si precipita fuori. Sulla porta si trova di fronte un milite, un certo Allavena di Bordighera.
Senza articolare una sillaba, contemporaneamente si sparano, quasi a bruciapelo; un solo colpo.
L'Allavena cade a terra con una coscia forata dalla pallottola di Falco.
Il colpo di Allavena (non si sa per quale miracolo) colpisce il mirino del mitra di Falco, la pallottola si spappola e una scheggia lo ferisce al braccio sinistro. Un'altra scheggia lo ferisce al basso ventre, e si arresta ai limiti del peritoneo.
Deri e Peruzzi riescono a fuggire puntando a monte e raggiungendo Pantasina.
Falco invece punta a valle, salta i “Maxei”, senza capire più niente, finchè si accorge di trovarsi in mezzo a due fascisti.
Spara con il mitra ma non sa in quale direzione, probabilmente in alto, fino a svuotare il caricatore.
I fascisti scappano e lui riesce a nascondersi in un grosso roveto.
E sta lì ferito com'è, rannicchiato e morto di freddo, tutta la mattinata!
Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998 



 
[ n.d.r.: qui sopra viene riprodotto un documento partigiano che attesta i tentativi dei patrioti di catturare qualche nemico da tenere in ostaggio in funzione di uno scambio con i compagni catturati. Lo Stalin citato era Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante". Buffalo Bill o Bill, Giuseppe Saguato, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della già citata I^ Brigata "Silvano Belgrano. Guan Orazio Parodi... - documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II 

Il partigiano Ernesto Austriaco Deri - Fonte: Patria Indipendente, cit. infra

[...] Il 31 gennaio 1945 mio fratello Ernesto Deri fu  preso dalle SS  tedesche  e dalle Brigate Nere. Era un folto gruppo di partigiani che, in quell'inverno  tremendo di freddo e di neve, si erano  rifugiati  in  un casolare nella zona di Villatalla, località Nicuni [in effetti in Tavole, Frazione del comune di Prelà (IM)], in cerca di un po' di tepore. Dietro una  delazione  furono  accerchiati e quando si accorsero di esserlo si difesero con tutto quello che avevano. Morirono in tanti e mio fratello Ernesto, assieme a Brancaleone Adler, Matteo Cavallero, Biagio Giordano, furono presi con le armi in pugno e portati nella prigione di Oneglia, ove rimasero fino all'alba del 15 febbraio 1945. Quando venimmo a  sapere dell'arresto di mio fratello, iniziò il calvario della nostra famiglia. Cercammo di avere notizie più  precise  per  potere  agire in qualche modo. Nostra madre sapeva che Ernesto soffriva di una fistola. Si recò dal medico delle carceri per vedere se si poteva ricoverarlo  in  ospedale. Il  medico le diede poche speranze. I tedeschi sentivano che la fine era vicina e difficilmente avrebbero concesso il  ricovero. Tutti i giorni portavamo il pranzo alle carceri, sperando di avere qualche notizia. Alla fine decidemmo di affrontare la SS tedesca. Io conoscevo per motivi di lavoro un interprete e mi rivolsi a lui per avere un incontro. Decisione  un  poco incosciente, alla luce dei fatti venuti a conoscenza successivamente. Io avevo diciassette anni e mia sorella più grande venti, avevamo un fratello più piccolo di quattordici anni, ma dall'aspetto oramai di un adulto e decidemmo di lasciarlo fuori. Ottenuto il colloquio ci recammo al Comando SS. Fummo ricevute dal comandante e cominciammo a parlare di nostro fratello cercando  di ottenere clemenza, ma la risposta lapidaria fu: "Fratello grande bandito, sarà giudicato dal tribunale di Genova...". Scendendo  dal  giardino dove era ubicata  la  villa del Comando SS, un  milite della  milizia (fascista) ci chiese il  perché di quel  pianto e noi  dicemmo che avevamo capito che  nostro fratello era condannato. Lui ci guardò e disse: "Maledetti, le pagheranno tutte". Tre giorni dopo, purtroppo, furono fucilati. Mio fratello aveva ventidue anni ed era il più vecchio, il più giovane ne aveva diciotto. Lo venimmo a sapere dal fidanzato di mia sorella. Ci recammo io e le mie due sorelle al cimitero di Oneglia: lì erano stati fucilati... trovammo questi poveri giovani distesi per terra nella cappella del cimitero, la Croce  Rossa aveva loro fasciato la testa e sulla guancia di ognuno si notava il foro del colpo di grazia. Sul petto portavano un biglietto con nome, cognome e data di nascita. Trovammo dei fiori  di campo messi lì da qualche anima sensibile. L’atmosfera intorno a noi era di paura e il nostro dolore era grande. Passò  nel mentre un prete, reduce da un funerale, e lo pregammo perché impartisse una benedizione. Lo fece molto velocemente e fuggì via! La paura in quei momenti era tanta. Seppellimmo mio fratello e col pensiero li abbracciammo tutti. Venimmo a sapere, dopo la  Liberazione, da un testimone oculare che la sera precedente la fucilazione in carcere venne fatto l’appello ed attaccato sul petto dei designati il biglietto con i loro dati. Capirono che per loro la vita era finita. Salutarono tutti ribadendo che non avevano fatto nessun nome di compagni di lotta. Quando venne l’ora andarono via senza una parola e qualche attimo dopo, s’alzò solenne il loro canto partigiano Fischia il vento. Lo ascoltò una signora che abitava vicino al cimitero, svegliata dal passo cadenzato del plotone di esecuzione, e vide, attraverso le feritoie delle persiane, questi giovani che andavano a morire cantando. Era l'alba del 15 febbraio 1945 [...]
Elvira Deri, sorella di Ernesto Austriaco Deri in Francesco Biga, Una signora vide la morte di quattro partigiani dell'Imperiese. Andarono alla fucilazione cantando "Fischia il vento", Patria Indipendente,  22 gennaio 2012  

Adolfo Rino Stenca, nato a Cairo Montenotte (SV) 22.8.1906, ucciso ad  Imperia (Capo Berta) il 31.1.1945. Partigiano combattente, comunista, entrò nelle fila della Resistenza dal 9 settembre 1943 divenendo in seguito responsabile del S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) della Prima Zona Liguria. Catturato a Sant’Agata, condotto nel penitenziario di Oneglia ad Imperia, sottoposto a feroci interrogatori, non cedette una sola informazione. Trucidato sulla strada di Capo Berta, tra Imperia e Diano Marina (IM), assieme ad altri 9 compagni. Insignito nel 1996 di Medaglia di bronzo al V.M. alla memoria con la seguente motivazione: “Responsabile SIM della Prima Zona Liguria provvedeva ad organizzare formazioni partigiane, raccogliere armi e predisporre i piani per salvare dalla distruzione, da parte dei tedeschi, di fabbriche, ponti e installazioni di pubblico interesse. Caduto prigioniero durante un rastrellamento veniva rinchiuso nelle carceri di Oneglia e selvaggiamente torturato per venti giorni. Rifiutatosi di tradire i suoi compagni di lotta, veniva barbaramente fucilato”. Capo Berta (Imperia) 31.01.1945
 
Nel gennaio del 1945 i partigiani catturano due soldati tedeschi sulle colline retrostanti Capo Berta (Diano Marina, Imperia). Il 31 dello stesso mese, alla notizia della morte dei due militi, il tribunale militare speciale decreta l’esecuzione per rappreseglia di Giovanbattista Ansaldo, Ettore Ardigò, Medardo Bertelli, Guglielmo Bosco, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Giorgio Cipolla, Giuseppe De Lauro, Carlo Delle Piane, Paolo De Marchi, Ernesto Deri, Giacomo Favale, Francesco Garelli, Domenico Garletti, Biagio Giordano, Luigi Guareschi, Santo Manodi, Orlando Noschese, Adolfo Stenca e Vincenzo Varalla. La maggior parte di costoro viene fucilata dalle SS nei pressi della vecchia torre d’avvistamento che sorge proprio sul promontorio di Capo Berta. Gli altri sono invece giustiziati nei giorni successivi e in luoghi differenti.
 
Ettore Ardigò

[...]  Ettore Ardigò (Milan) Divisione d'assalto Garibaldi Liguria Felice Cascione 2ª Commissario di distaccamento
L'archivio contiene 1 lettera di Ettore Ardigò
Lettera alla Moglie, scritta in data 13-01-1945, Carceri di Oneglia
Di anni 24. Nato il 4 dicembre 1920 a Tredossi (Cremona); residente a Cipressa (Imperia). Di professione assistente edile. Sposato e padre di un figlio. Arruolato durante la guerra con il grado di Caporale maggiore di Artiglieria, presta servizio presso la 6ª batteria del 149º Reggimento, dislocato a Lingueglietta (frazione di Cipressa). Dopo l’armistizio, rifiuta di aderire alla Repubblica sociale italiana. Il 5 maggio 1944 entra nelle fila della Resistenza, arruolandosi nella II Divisione d’assalto Garibaldi-Liguria Felice Cascione. Divenuto commissario di un distaccamento della IV Brigata, il 13 dicembre 1944 è sorpreso dalla polizia investigativa fascista a Costarainera (IM). Arrestato, viene rinchiuso nelle carceri di Oneglia. Il 9 gennaio 1945 il tribunale militare lo processa per l’omicidio di Bruno Donati, sindacalista portuale e funzionario della RSI, a cui però Ardigò si professerà sempre estraneo. Condannato a morte, il 31 gennaio viene selezionato dallo stesso tribunale militare per essere fucilato in rappresaglia all’uccisione di due soldati tedeschi da parte dei partigiani. Nella medesima circostanza viene decretata l’esecuzione anche di Giovanbattista Ansaldo, Medardo Bertelli, Guglielmo Bosco, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Giorgio Cipolla, Giuseppe De Lauro, Carlo Delle Piane, Paolo De Marchi, Ernesto Deri, Giacomo Favale, Francesco Garelli, Domenico Garletti, Biagio Giordano, Luigi Guareschi, Santo Manodi, Orlando Noschese, Adolfo Stenca e Vincenzo Varalla. Ardigò viene immediatamente fucilato dalle SS nei pressi della vecchia torre d’avvistamento che sorge sul promontorio di Capo Berta. Assieme a lui sono passati per le armi solo alcuni fra gli altri condannati; i rimanenti verranno giustiziati nei giorni successivi e in luoghi differenti.
Tradito da una delazione, è arrestato il 13 dicembre 1944 a Costarainera (IM). Incarcerato ad Oneglia, il 9 gennaio 1945 è condannato a morte con l'accusa di aver ucciso un funzionario portuale della RSI. Il 31 gennaio 1945 sarà fucilato dalle SS per rappresaglia, in località Capo Berta (Diano Marina, Imperia).

 
Paolo De Marchi

Paolo De Marchi (Pablos) Distaccamento di Giovanni Alessio (Peletta), del 1º Btg. della 4ª Brg. della 2ª Div. d’assalto Garibaldi Liguria Felice Cascione Caposquadra (dal giugno 1944)
L'archivio contiene 2 lettere di Paolo De Marchi
Lettera ai genitori (1), Carceri di Oneglia
Lettera ai genitori (2), Carceri di Oneglia
Di anni 22. Nato il 12 ottobre 1922 a Porto Maurizio (Imperia). Di professione operaio. Milite esente perché riformato alla visita di leva, dopo l’armistizio rimane estraneo alla guerra di liberazione fino al maggio del 1944. Il giorno 20 di quel mese entra ufficialmente nei ranghi del distaccamento comandato da Giovanni Alessio (nome di battaglia "Paletta"), inquadrato nel 1º Battaglione della IV Brigata della 2ª Divisione Garibaldi d’assalto "Felice Cascione", operante nell’Imperiese. Nel giugno del 44 è promosso Caposquadra. La notte del 19 luglio prende parte alla liberazione di alcuni detenuti politici dalle carceri di Oneglia (IM). Il 1º gennaio 1945 è inviato in missione dal suo comandante al cinema Centrale di Imperia. Riconosciuto da un delatore, è arrestato da alcuni elementi dell’U.P.I. (Ufficio politico investigativo). Consegnato alle SS il giorno seguente, De Marchi è incarcerato ad Oneglia e lungamente torturato. Condannato a morte, il 31 gennaio viene selezionato dallo stesso tribunale militare per essere fucilato in rappresaglia all’uccisione di due soldati tedeschi da parte dei partigiani. Nella medesima circostanza viene decretata l’esecuzione anche di Giovanbattista Ansaldo, Ettore Ardigò, Medardo Bertelli, Guglielmo Bosco, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Giorgio Cipolla, Giuseppe De Lauro, Carlo Delle Piane, Ernesto Deri, Giacomo Favale, Francesco Garelli, Domenico Garletti, Biagio Giordano, Luigi Guareschi, Santo Manodi, Orlando Noschese, Adolfo Stenca e Vincenzo Varalla. De Marchi viene immediatamente fucilato dalle SS nei pressi della vecchia torre d’avvistamento che sorge sul promontorio di Capo Berta. Assieme a lui sono passati per le armi solo alcuni fra gli altri condannati; i rimanenti verranno giustiziati nei giorni successivi e in luoghi differenti.
Tradito da una delazione, il 1° gennaio 1945 è arrestato da membri dell'UPI di Imperia durante una missione al cinema Centrale. Consegnato alle SS è rinchiuso nelle carceri di Oneglia e torturato. Condannato a morte, sarà fucilato sulla Torre di Capo Berta (Diano Marina, IM).
Igor Pizzirusso, 31/1/1945: strage di Torre di Capo Berta, comune di Diano Marina (IM), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana   
 
Il 31 gennaio 1945 due colonne militari congiunte di tedeschi e italiani (approssimativamente 200 militari) risalirono all'alba le colline, scontrandosi con un gruppo di partigiani posizionato in località “Nicuni”, presso Tavole, frazione di Prelà. Nello scontro morirono sei partigiani Tommaso Ricci, Manfredo Raviola, Bartolomeo Dulbecco e Ernesto Ascheri (tutti originari di Imperia), Matteo Zanoni (di Brescia), e Ivan Polesciuk (quest'ultimo russo), altri quattro partigiani Ernesto Deri, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Biagio Giordano furono costretti ad arrendersi essendo rimasti senza munizioni, andando a raggiungere nella prigionia Carletti Doriano “Mizar” catturato il 25 gennaio, durante un precedente rastrellamento nella vicina frazione di Villatalla. A questi rastrellamenti partecipava anche una donna, Maria Zucco, nota come la donna velata, che collaborava coi fascisti nel riconoscere e indicare partigiani e renitenti alla leva. De Marchi fu arrestato dall’ex partigiano Turiddu e da un altro milite nei pressi della biglietteria del Cinema Centrale a Imperia. Stenca, responsabile SIM della 1a Zona Liguria, venne catturato a S. Agata il 9 gennaio 1945 nel corso di un rastrellamento. Ettore Ardigò fu arrestato a Costarainera il 31 dicembre. Il 31 gennaio il tribunale militare tedesco, atteso il non ritorno dei due militari germanici ed avendo saputo da delatori della loro uccisione, giudicava colpevoli i 20 ostaggi emettendo la sentenza di condanna a morte. I primi 11 ostaggi verranno fucilati il 31 gennaio stesso a Capo Berta, 4 lo saranno il 9 febbraio (vedi De Lauro, Favale e Guareschi, fucilati sul muro di cinta del cimitero di Oneglia), e gli ultimi 5 (Brancaleone, Carletti, Cavallero, Giordano e Deri) furono fucilati il 15 febbraio. Altri (Roberto Sordello, Faustino Zanchi) ritornarano in carcere fino alla liberazione. Per quanto riguarda Carlo Delle Piane alcuni documenti riportano la data della sua esecuzione al nove febbraio 1945. Ansaldi, Manodi e Garelli da documenti tedeschi vengono segnalati come delatori. Poco chiari la data e il luogo della fucilazione che costò la vita a Carletto Delle Piane, braccio destro e amico fraterno di "Cion" Silvio Bonfante, fucilato secondo alcuni il 31 gennaio 1945 ad Oneglia a levante della prima galleria della stazione ferroviaria, secondo altri a Capo Berta. Non manca chi indica la sua fucilazione il 9 febbraio.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020 

[   n.d.r.: altre pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019;  La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016    ]
 
De Benedetti Alcide: nato a Imperia il 25 gennaio 1929, squadrista in servizio nella Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 14.11.1945: Appena vennero istituite le brigate nere, per non essere mandato in collegio dai miei genitori, pensai di arruolarmi in detto corpo, ove anche se non ancora maggiorenne mi incorporarono lo stesso. Prima di arruolarmi in dette brigate nere ero iscritto alle fiamme bianche, le quali erano state istituite con la classifica di Moschettieri del Duce.
[...] Ho avuto modo di conoscere certo “Turiddu”, che mi era stato additato da alcuni amici per un agente di polizia e nel contempo per un ex partigiano. Per quanto concerne l’addebito che mi si muove, ovvero di essere l’artefice dell’arresto del patriota De Marchi Paolo, in seguito fucilato, e del garibaldino Abbo Lorenzo, da parte del “Turiddu”, posso affermare che non feci mai la spia al “Turiddu”. Il fatto si svolse nel seguente modo: in una domenica di un mese che non posso precisare, periodo in cui non facevo più parte delle brigate nere, mentre mi trovavo con il citato Abbo nei pressi del cinema Centrale vidi il “Turiddu”, che procedette all’arresto, nei pressi della biglietteria, del De Marchi, il quale, conoscendo il “Turiddu” e credendolo ancora un partigiano, lo aveva salutato con una strizzatina d’occhio; invece il “Turiddu” lo arrestò. Io, che mi trovavo fuori dal cinema, dissi all’Abbo di scappare, ma lui rispose che voleva stare a vedere come finiva la faccenda. Senonché il “Turiddu”, passando vicino a noi, riconosciuto l’Abbo per un partigiano, mettendogli una mano sopra la spalla, lo invitò a seguirlo, dicendogli le testuali parole “Vieni, che anche tu sei stato in banda”. Dopo alcuni giorni rividi l’Abbo che lo avevano rilasciato per la sua minore età ma nel contempo lo avevano arruolato nell’Organizzazione Paladino, dove già io mi trovavo per il servizio del lavoro.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019  
 
Il 1° gennaio c.a., mentre mio figlio si trovava nei pressi del cinema Centrale del rione di Porto Maurizio, venne arrestato da un tale di nome Turiddu e che poi seppi denominarsi Ghirlando Vincenzo. A carico di costui ho già sporta regolare denuncia.
Ora da mio nipote Lercari Armando sono venuto a conoscenza che chi quel giorno indicò mio figlio al Ghirlando per farlo arrestare fu un appartenente alla brigate nere chiamato DI BENEDETTO [n.d.r.: in altre versioni, come si è già visto, il cognome risulta De Benedetti] Alcide il quale risiede attualmente in Imperia.
Mi ha riferito tale mio nipote che il Di Benedetto sostava all'ingresso del cinema predetto in compagnia di un altro milite e che i due avevano in mano una fotografia di mio figlio. Se ciò sussiste, logicamente il Di Benedetto deve essere ritenuto copartecipante in quanto se fosse sfuggito al Ghirlando non sarebbe sfuggito a lui che era aiutao dal ritratto.
Luigi De Marchi (padre del partigiano Paolo De Marchi), Denuncia alla Questura di Imperia del 22 ottobre 1945, Documento in Archivio di Stato di Genova