venerdì 31 dicembre 2021

Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" di Albenga al comando partigiano...

Albenga (IM) negli anni 1940

Nonostante gli indiscutibili miglioramenti, Luigi Longo “Gallo”, comandante generale delle Brigate Garibaldi, giunto a Savona ai primi di luglio 1944 per visionare la situazione del Ponente ligure, non poté fare a meno di notare come il movimento garibaldino nel Savonese fosse tuttora meno sviluppato rispetto a quello della Prima Zona (Imperia ed Albenga); con tutto ciò, chiari sintomi di disgregazione dell’apparato poliziesco della RSI si avvertivano ora anche a Savona, e bisognava approfittarne senza remore. [...] Vi era poi un’altra questione sulla quale il CLN regionale ritenne suo dovere soffermarsi. Si trattava di certi contrasti tra i CLN di Albenga e di Savona determinati dal tardivo interessamento di quest’ultimo organismo per la parte occidentale della provincia. Preso atto dell’intensa attività degli albenganesi, che fin dagli inizi della guerra civile erano legati ad Imperia a causa della anomala struttura delle federazioni del PCI clandestino, il CLN regionale diede piena sanzione alla loro indipendenza operativa da Savona, invitando tuttavia a stringere contatti più stretti tra i due comitati e dando indicazioni sulle ripartizione delle cariche provinciali a guerra finita. La questione fu appianata in poche settimane <156.
156 (a cura di) INSMLI, Resistenza e ricostruzione in Liguria. Verbali del CLN ligure 1944/46, Milano, Feltrinelli, 1981
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

D: Vi sono mai state intromissioni del PCI (…) giudicate pesanti (…)?
R: No, non arrivavano mica. (…). Eravamo una brigata di periferia, più a ovest di questa zona, confinavamo con la Prima Zona Liguria, che era delimitata dalla strada Albenga - Garessio. Più in là non siamo mai andati. [Segue una breve conversazione relativa ad un equivoco sulla data di costituzione del “Torcello”, che è ottobre 1944 e non luglio].
[...] D: (…). Come mai è stato costretto ad inquadrarsi nei garibaldini? (…)
R: Lui [Marzola] non era inquadrato con nessuno. Non potevamo lasciare della gente che agisse per conto proprio. Avevamo un’organizzazione che doveva rendere conto; i distaccamenti rendevano conto alla brigata. Le nostre pattuglie rendevano conto al distaccamento. E uno che girava per conto suo armato, belìn, noialtri lo facevamo fuori se ci capitava tra le mani. Nell’Imperiese i tedeschi e i fascisti mandavano su della gente vestita da partigiani, addirittura con il fazzoletto rosso, che domandava dei partigiani… (…). Però quando i partigiani si sono resi conto, venivano su con tanto di “papiro” firmato dal CLN e li facevano fuori! Non interrogavano mica. Avevano ragione, perché avevano subito un sacco di perdite. E quello era un cane sciolto…
Intervista con Enrico De Vincenzi in Stefano d’Adamo, Op. cit. 

La Prima Divisione d’Assalto Garibaldi “Gin Bevilacqua”, inizialmente forte di circa 500 uomini, nacque ufficialmente il 30 gennaio 1945, con “Enrico” per comandante e “Vela“ (Pierino Molinari) per commissario politico; il Comando si appoggiava momentaneamente al distaccamento “Maccari”, ma avrebbe sempre mantenuto la sua base alle Tagliate.
Stefano d’Adamo, Op. cit.
 

15 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 6 ex appartenenti alla Brigata scrivente, fuggiti a dicembre dopo il rastrellamento nemico, razziavano, continuando ad autodefinirsi garibaldini, civili, per cui, siccome "da ottime segnalazioni" risultava che i 6 si aggirassero nella zona della Bonfante, si chiedeva di arrestare quei 6, "Maciste", "Salvatore", "Cancarin", "Morello", "Brindisi", "Pianta", e di trasferirli nelle mani della "Briganti". 

8 marzo 1945 - Dal CLN del Ponente Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria al CLN di Savona e p.c. al CLN di Albenga - "Genova, 8 marzo 1945  - Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, preso atto dell'esposto presentato dal CLN di Albenga, dal quale risulta la notevole attività compiuta dal Comitato stesso, in condizioni di completo isolamento rispetto ai Comitati territorialmente superiori, e nel quale sono esposte lamentele circa il funzionamento del CLN di Savona a proposito dei suoi rapporti con la provincia e, in particolare con la zona occidentale di essa, fa presente a codesto Comitato: Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria approva e dà sanzione alla delega di poteri che per il periodo cospirativo il CLN di Savona ha concesso al CLN circondariale di Albenga. Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria ritiene assolutamente necessario che i contatti fra il Comitato di Albenga e quello di Savona siano costanti e frequenti. Altresì ritiene che a liberazione avvenuta il CLN provinciale tenga presente che siano rappresentati nelle cariche, ed in qualsiasi altro organismo che esprime la volontà antifascista della provincia, il CLN  di Albenga e gli interessi dell'antico circondario di Albenga, che si è acquisito particolari meriti in questi duri momenti della Lotta di Liberazione. Il CLN per la Liguria"

8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.

8 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che era stato dato incarico a 2 garibaldini di ritirare gelatina ed esplosivo 808 inglese presso il Distaccamento "Torcello" [della II^ Zona Operativa Liguria]; che era fallita la missione per catturare la spia "Pipetta"; che era, invece, stata catturata ad Ortovero una donna sospettata di essere una spia, forse anche responsabile dell'arresto di "Tito".

21 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 224, al comando della III^ Brigata "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] e al comando del Distaccamento "Torcello" - Ringraziava per una fornitura di munizioni.

30 marzo 1945 - Dal comando della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" - Chiedeva informazioni sui movimenti nemici alla frontiera italo-francese [linea del fronte] dovendo inviare segnalazioni urgenti del proprio SIM alla missione alleata in Piemonte.

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.

8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che stava indagando sul parroco di Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] e sul podestà di Vendone (SV); che "Pipetta" era già stato nascosto dai tedeschi; che il 7 aprile i nazisti avevano requisito animali da traino per il trasporto di materiale bellico dai fortini alla stazione di Albenga; che si erano presi accordi con 7 militari della GNR di Albenga per il loro passaggio alle formazioni partigiane di montagna a condizione di portare 1 mitragliatore, 2 mitra, 4 fucili ed una cassa di munizioni...

10 aprile 1945 - Dalla I^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria] ai comandi della II^ Divisione "Felice Cascione" e della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  Segnalava che un informatore repubblichino aveva dichiarato che i soldati di Salò dei reparti di Imperia, Albenga, Savona, Cadibona avevano ricevuto l'ordine di compiere un rastrellamento per aprirsi una strada in vista di un possibile sganciamento dalla riviera di ponente.

11 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata "Libero Briganti" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava la necessità di un bombardamento in una località a 7 km. da Finale Ligure (SV), in cui erano dislocati circa 1.000 uomini ben equipaggiati, anche di armi pesanti, che in quella zona la popolazione appoggiava in gran parte la repubblica sociale e che le forze nemiche che presidiavano Bardineto (SV) e Calizzano (IM) [in Val Bormida] da alcuni giorni avevano abbandonato quei paesi.

13 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al Rappresentante [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] dell'Alto Comando Alleato ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che come da accordi presi iniziava il servizio informazioni; che i tedeschi avevano asportato dal forte di Zuccarello tutte le munizioni; che facevano la stessa operazione dai magazzini situati nei pressi di Albenga; che l'11 aprile era transitato "da est ad ovest un camion con rimorchio carico di 70 fusti pieni di benzina"; che nella galleria tra Ceriale e Borghetto vi era un treno blindato, armato con 4 pezzi da 120 e con 2 mitragliatrici da 20 mm; che il nemico aveva intensificato la sorveglianza nelle valli vicine ad Albenga sino ad istituire un nuovo posto di blocco sulla strada Arnasco-Albenga-Coasco [Frazione di Villanova d'Albenga (SV)].

15 aprile 1945 - Da un'informatrice alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il podestà di Stellanello (SV) era amico del commissario repubblichino di polizia Piccheddu di Alassio e che del dottor Massone, tornato a casa, non si sapeva se si sarebbe fermato a lungo.

17 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il fotografo Aristide Piccioni, abitante con il fratello sarto a Briga [La Brigue, Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime], "esplica servizi di spionaggio a favore delle forze della RSI".

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 17 aprile erano transitati sulla via Aurelia in direzione ovest 2 camion, 6 auto, 5 autocarri tutti vuoti, verso est 1 camion coperto, 1 camion vuoto, 1 treno carico di paglia e fieno; che il presidio di Coasco era partito per il fronte; che il figlio del maggiore Vignola agiva come spia.

20 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 58, al comando della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria] - Si comunicava che "in risposta alla richiesta sul movimento delle forze nemiche sulla frontiera italo francese le informazioni sono poco attendibili, dato che c'è continuo movimento e continuo spostamento delle forze verso la strada n° 28...".

23 aprile 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che veniva inviata in allegato una lettera del "capitano Roberta" capitano Bentley] per la missione alleata dislocata presso la I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria]...

23 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [capitano Bentley] - Segnalava movimenti nemici quali, sulla via Aurelia il 21 aprile 3 camion diretti ad est che trasportavano truppe ed un mezzo d'assalto, un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale, "Dalla stazione di Albenga sono stati caricati 40 carri agricoli, munizioni, mine e materiale vario diretti a Garessio via colle San Bernardo".

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Russo Pierluigi: nato a Voltaggio (Al) il 2 giugno 1909. Ufficiale della Brigata Nera di Albenga
Rapporto dei carabinieri di Albenga del 24.6.45: Il dottor Russo Pierluigi giunse ad Albenga verso la metà del febbraio 1945 in servizio presso la locale brigata nera. Dimostrò subito particolare zelo nel coadiuvare la Feldgendarmerie di Albenga che in quel periodo spiegava una feroce attività di intimidazione attraverso l’uccisione di numerosi ostaggi. Il dottor Russo era coadiuvato dalla sua amante Andreis Anna, la quale esercitava la sua deleteria influenza sul maresciallo della Feldgendarmeria Strupp, di cui contemporaneamente ne era l’amante. Il dottor Russo vantava la sua appartenenza alla brigata nera e si dichiarava fervente nazifascista. Portava sulla manica destra della giubba la scritta “Per l’onore d’Italia”.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019 

Le cose si facevano più complicate all’estremità occidentale del dispositivo della divisione “Bevilacqua”, dove la Terza Brigata doveva affrontare una crescente pressione nemica sulle vie di comunicazione. Il mese [marzo 1945] si era aperto con alterni, fitti scontri e scaramucce di varia portata che denunciavano la lotta in atto per il controllo strategico della zona di Bardineto, dove confluiscono le strade provenienti da Albenga e da Borghetto Santo Spirito. Ma il 6 marzo la brigata mise a segno uno dei suoi colpi più brillanti. Durante la notte elementi del distaccamento “Torcello” penetrarono nell’abitato di Loano con l’aiuto e la copertura dei sapisti locali del “Boragine” e si diressero a colpo sicuro verso l’albergo Vittoria, dove era stata segnalata la presenza di un nucleo di polizia investigativa. Qui, a dispetto della sorveglianza nemica (non troppo vigile, in verità, dal momento che per ragioni di segretezza quasi nessuno sapeva dell’esistenza del centro di controspionaggio), i partigiani catturarono due esponenti dell’UPI tra cui Giovanni Illegittimo, che comandava lo spionaggio fascista tra Savona ed Alassio. Condotti in montagna, i prigionieri furono rapidamente processati e fucilati. Le prove per la condanna furono fornite dai documenti riservatissimi di cui i partigiani si erano impadroniti: si trattava di una notevole mole di documenti nei quali erano indicati con precisione molti esponenti dei CLN locali e delle SAP della zona tra Loano e Finale, tra i quali l’avv. Rembado, il maestro Acquamorta, Panizza, Orso e De Vincenzi senior. Subito avvisati, poterono mettersi al sicuro per tempo.
Stefano d’Adamo, Op. cit. 

Una vista sulla piana di Albenga

19 febbraio 1945 - Da Paolo Pini della Brigata Nera al comando della Brigata Nera di Alassio - Segnalava che alcuni "ribelli" avevano sottratto un autovettura Fiat, dal tettuccio apribile, di cui si fornivano numeri di targa, di telaio, di libretto di circolazione, affinché i dati fossero all'attenzione dei posti di blocco.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. Tomo II
 
Ad Albenga la brigata SAP “G. Mazzini”, con il riconoscimento della funzione del CLN circondariale ingauno, ottiene l’autonomia operativa sino alla fine del conflitto. Non risulta ufficialmente nell’organico della divisione imperiese “G.M. Serrati” anche se i rapporti con l’organizzazione a cui inizialmente faceva capo, non hanno avuto soste, e i contatti di collaborazione tra i combattenti imperiesi e i sapisti di Albenga sono ricorrenti.
Dalla relazione conclusiva dell’attività della Brigata SAP “G. Mazzini”:
“Successivamente le squadre SAP albenganesi vennero inquadrate nella Brigata SAP “G. Mazzini”, dislocata su tutto il territorio del circondario con i distaccamenti nelle città ed in ogni paese dell’entroterra. Le squadre per tutto il periodo della lotta effettuarono audaci colpi di mano contro i presidi nazifascisti; avvicinarono militari della RSI per persuaderli a passare nelle fila della Resistenza; svolsero servizio informativo (SIM), organizzarono collegamenti tra la montagna e la città e tra i vari CLN; prelevarono fondi, viveri, medicinali, armi e munizioni per l’invio regolare alle formazioni cercando di eludere i numerosi posti di blocco nazifascisti. La brigata SAP “G. Mazzini” … si trovò verso novembre ad agire in una situazione di grave pericolo. Nel periodo autunno 1944- inverno 1945 venne installata in Albenga la Feldgendarmeria nel palazzo INCIS: il luogo divenne tristemente famoso perché di qui vi passarono i sapisti della “G. Mazzini” ed i membri del CLN caduti nelle mani del “boia” Luciano Luberti… che eseguiva alla lettera le direttive di Himmler e di Hitler contro la resistenza e le inermi popolazioni dell’albenganese… Nelle celle del palazzo INCIS si ammassavano esseri umani dai volti sfigurati e sanguinanti: le percosse si alternavano alle più efferate torture. Peggior sorte toccò alle donne… Alla liberazione nelle fosse della marina furono riesumate 59 salme di patrioti orrendamente sfigurati. La brigata SAP “G. Mazzini” non figura negli organici della Divisione SAP “G.M. Serrati” di Imperia e “A. Gramsci” di Savona, in quanto forza militare alle dirette dipendenze del CLN circondariale albenganese. Pertanto seguì le varie modifiche politiche-organizzative che caratterizzarono il CLN di Albenga diretto da Emidio Libero Viveri.”
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "3. Le squadre di Azione Patriottica nel savonese (prima parte)", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2001

Il Comando di Zona di Savona aveva ricevuto da circa un mese le direttive del “Piano A” per la liberazione del territorio ligure stilate dal rinnovato Comando Militare Regionale Ligure (nel quale rivestiva la carica di vicecomandante l’ex ispettore delle Brigate Garibaldi per il Ponente Carlo Farini, che aveva mutato il suo nome cospirativo, “Simon”, in quello di “Manes”). In generale le SAP e i partigiani scesi a rinforzarle avrebbero dovuto affrontare una difesa cittadina statica, mentre i reparti di montagna si sarebbero dovuti impegnare contro una notevole massa di armati in rapido movimento per intralciarne la ritirata, in sintonia con le operazioni alleate. Quanto ai compiti specifici che il Comando Regionale aveva affidato alle unità del Savonese, la Seconda Brigata “Sambolino” avrebbe dovuto unirsi ad aliquote della divisione “Mingo” e recarsi in Sesta zona, sulla strada del Turchino, per bloccare ogni movimento di truppe verso Genova; la divisione “Bevilacqua”, oltre naturalmente a liberare Savona, era tenuta a bloccare i transiti sui colli di Cadibona, del Giovo, del Melogno e, in collaborazione con la divisione “Bonfante” della Prima Zona (Imperia), di San Bernardo di Garessio.  [...] Nelle prime ore del 25 aprile la Terza Brigata “Libero Briganti” scese ad occupare Vado Ligure con il supporto della brigata SAP “Corradini”; frattanto la Quarta Brigata “Carlo Cristoni”, escluso il distaccamento “Rebagliati” dirottato all’ultimo momento su Finale <81, ben rifornita di bombe da mortaio dopo un eccezionale “colpo” compiuto a Quiliano alcune notti prima, calava su Quiliano stessa e, spazzati via i residui capisaldi nemici perdendo un volontario (Amerigo Moschini “Zizi”), avanzava fino a Valleggia <82. A questo punto una fortissima colonna nemica, composta da tedeschi della Brandenburg che avevano già subito attacchi partigiani nella zona di Albenga, si avvicinò da ponente a Vado e, avuta notizia della presenza dei garibaldini, iniziò a cannoneggiare l’abitato per aprirsi la strada. Per evitare un’inutile strage di civili i partigiani ed i sapisti decisero di ritirarsi dalla cittadina risalendo le colline circostanti, e i nazisti ebbero via libera senza dover combattere. <83
[NOTE]
81. Mario Savoini (Benzolo), Cosa è rimasto: memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, p. 157.
82. Cfr. Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, ed. 1985, vol. II, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, p. 832, Colpi di mortaio… cit., pp. 45 - 53, M. Calvo, op. cit., p. 410.
83. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, pp. 832 e 833.

Stefano d’Adamo, Op. cit.

venerdì 24 dicembre 2021

L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia tra partigiani

Uno scorcio di Val Casotto - Fonte: Mapio.net
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del '43 e l'inizio del '44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l'eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell'ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell'area alpina. <209
[...] Per tutto il mese di gennaio, le vallate alpine vengono colpite dai tedeschi, che adottano un nuovo tipo di rastrellamento, basato sullo scontro frontale e sull’accerchiamento. Le postazioni partigiane vengono assalite, tanto da disperdere i partigiani e metterli in fuga, come documenta “Mauri” nel suo diario dopo il rastrellamento in val Maudagna, il 14 gennaio: <217
"Siamo rimasti in trentacinque. Saliamo sull'alto, al rifugio di Prel, sopra Frabosa. Ma rimanere lassù non è possibile; è un posto ideale per villeggiare, ma non va bene per fare il partigiano. Troppo lontano dalle strade". <218
Dopo il rastrellamento, “Mauri” con i pochi uomini rimasti è costretto a spostarsi in Val Casotto, e a unirsi ai gruppi lì presenti.
[...] Come “Mauri” stesso scrive nella relazione sui fatti d'arme di val Casotto, in pochissimi giorni giungono al comando «circa un migliaio di uomini che non costituivano che un peso»: <221 l'impossibilità di armarli e la previsione di un'imminente rastrellamento tedesco nella zona aggravano in questo modo una situazione già precaria. Simile circostanza si verifica presso altri comandi partigiani, come ad esempio in quelli GL posizionati in valle Stura. <222
[NOTE]
209 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 319
217 Per i rastrellamenti di gennaio '44 vedi M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 53, in particolare nota 26; D. L. Bianco, La guerra partigiana, cit., pp. 37-41; e 25 aprile. La Resistenza in Piemonte, ANPI Torino, Orma, 1946
218 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, cit., p. 32
221 “Relazione sui fatti d'arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Dalle Langhe, 9 aprile 1944 - I° della Liberazione, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 2, p. 340
222 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, cit., p. 89

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
La “concorrenza partigiana” era invece determinata dalle voci, veridiche ma gonfiatesi a dismisura passando di bocca in bocca, dell’esistenza di un solido nucleo di resistenza militare attestato in Val Casotto, non lontano da Mondovì. Non furono pochi i savonesi che, fino al marzo del ’44, accorsero lassù lasciando i pochi ribelli della provincia ligure, tanto più che si vociferava di migliaia di militari italiani del Regio Esercito con armi pesanti e regolari rifornimenti aerei, comandati da ufficiali alleati. La realtà era meno rosea, e più d’uno ne fece le spese, come i vadesi fratelli Valvassura, Domenico, fucilato a Mellea di Fossano il 29 dicembre 1943, ed Enrico, ucciso a Ceva il 27 marzo 1944 <61.
61 cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, p. 84. Vedi ad esempio la testimonianza di Mario Savoini “Benzolo” in id., Cosa è rimasto. Memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, pp. 39-66
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000  

I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo da questi. L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Napolitano Luigi "Gino", nato a Sanremo il 1.1.1924. Nel 1943 è militare nel Regio Esercito in Istria. Dall'8 Settembre al 15 Dicembre 1943 è nella Resistenza istriana. Dalle formazioni autonome di "Mauri" a marzo 1944 passò definitivamente alle formazioni Garibaldi dell'estremo ponente ligure. Per le sue doti di coraggio e spirito combattivo veniva subito nominato comandante di un Distaccamento che, per l'aumentato numero di volontari, divenne poi Battaglione. Come risulta da un rapporto, era considerato dai nazi-fascisti "elemento assai pericoloso". Protagonista di un gran numero di battaglie tra le quali: Carpenosa, Giugno 1944; Badalucco, 29 giugno 1944; Ceriana, Agosto 1944; Carmo Langan, 8 ottobre 1944 e febbraio 1945; Baiardo, marzo 1945. Ferito in combattimento a Baiardo. A dicembre 1944 commissario del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata. In seguito vice comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" [...]
Vittorio Detassis

[...] i tedeschi sono in agguato alla ricerca di arruolamenti di militari sbandati o fuggiti. Il compagno Pino mi ospita a casa sua. Non devo farmi vedere. I compagni cercano di farmi raggiungere i primi nuclei partigiani che si vanno formando. Vi è discussione tra i compagni, in quanto alcuni ritengono che dovrei lavorare per il P.[ artito ] in città. Insisto per andare in montagna. Prima tappa, accompagnato dal panettiere Floriardo, è Garessio, per raggiungere Valcasotto. Dopo Valcasotto, Valle d'Inferno, Trappa. Dopo uno sbandamento della formazione, raggiungo Alto e nuovamente la zona di San Remo. Il compagno Manetti Oreste mi accompagna a Molini dal farmacista, nel cui negozio ha sede di riferimento la formazione partigiana organizzata da Vittò. Gino Napolitano
(a cura di) Saverio Napolitano, Gino Napolitano, La semplicità della politica. Scritti autobiografici, lettere, immagini,  Arma di Taggia, 2012
 
Verda Francesco "Franco", nato a Pieve di Teco il 26.12.1924
Contadino, riceve la cartolina di precetto per partire militare il 5.8.43. Convalescente nell'ospedale di Pieve, non si presenta e viene considerato disertore.
Nascosto nella carbonaia dell'ospedale da una suora, sfugge all'arresto da parte dei tedeschi e, appena rimessosi in salute si rifugia con altri giovani ai casoni di Tetti Parodo, sulle alture della zona.
Da qui passa con altri a Viozene, dove c'è un gruppo di partigiani "badogliani", e poi in Val Pennavaira.
In seguito all'arresto del padre ed alla sua carcerazione nel penitenziario di Oneglia, si presenta al reparto T.O.D.T. di Albenga, e viene impiegato nella costruzione delle fortificazioni costiere.
Fuggirà definitivamente in montagna ai primi del 1944 in seguito a minacce di superiori che ne sospettavano le simpatie per i patrioti.
Dal 15 maggio al 10 ottobre 1944 farà parte delle formazioni autonome "Martinengo", nella Divisione "Mauri", brigata "Val Tanaro".
Passa quindi alle formazioni "Garibaldi" in Val Pennavaira, nella VI^ Divisione "Silvio Bonfante", II^ Brigata "Nino Berio" comandata da "Basco" Giacomo Ardissone.
Partigiano combattente, dal gennaio 1945 sarà Commissario e poi Comandante di una Squadra stanziata a Castelbianco, da dove controlla le attività antipartigiane di tedeschi e fascisti.
Partecipa costantemente alle attività militari nella sua zona operativa fino alla liberazione, quando scenderà con gli altri ad Albenga.
Vittorio Detassis
 
Mandammo tutti gli sbandati della 4° Armata che transitavano nella nostra zona, specialmente quelli che arrivavano da Albenga, a Valcasotto. Vestivamo quei soldati con abiti civili e li accompagnavamo in montagna, a Valcasotto dove si stavano organizzando le formazioni di Mauri.
Il primo maggio del '44 successe una cosa curiosa. Di solito in quella giornata venivo fermata, mi trattenevano a Mondovì oppure agli arresti domiciliari; quell'anno un signore mi fece una soffiata che giunto un ordine ai carabinieri di arrestarmi per una settimana.
Mi nascosi e non mi feci prendere; poi lasciai trascorrere un po' di tempo e scrissi al questore domandandogli perché avevano paura di una donna piccola come me, tanto da ordinare di arrestarmi senza un motivo preciso.
Le autorità misero in guardia i carabinieri, volevano sapere chi mi aveva fatto la soffiata.
Ricevetti l'ordine di recarmi immediatamente a Cuneo alla questura.
[...] Dunque a Valcasotto c'erano le formazioni di Mauri; Bogliolo e Gaietto lavoravano con altri piccoli gruppi. Le brigate Garibaldine vennero una volta, in occasione della battaglia del S. Bernardo (ne parla anche Mario Giovana nel suo libro “I Garibaldini delle Langhe”).
Una volta rischiai la vita. C'era un compagno, si chiamava Dino; lo volli conoscere perché venni a sapere che aveva dipinto falce e martello sul vessillo del suo gruppo di partigiani. Aveva abbandonato le formazioni di Mauri ed organizzato un gruppo di quindici uomini. A Mauri la cosa non piacque perché voleva mantenere il controllo dell'intero territorio, quindi si giunse ad uno scontro.
Salii una notte a Valcasotto con un membro del C.N.L. Per parlare con Mauri e far terminare queste lotte intestine, ma fu inutile.
Dopo qualche giorno ero in casa quando sentii che stava accadendo qualcosa sul crocevia, c'era la mitraglia piazzata. Mi precipitai pensando che volessero uccidere Dino e i suoi uomini. Avevano preso Dino e tre dei suoi. Era presente Bogliolo, tentai di farlo ragionare, ma l'unica risposta che ottenni fu uno schiaffo che mi spostò la mandibola.
Volli parlare con Mauri.
Partimmo per Bagnasco; mentre aspettavamo udimmo una raffica: avevano ucciso un partigiano di Ceva. Bava, che venne nella nostra zona dopo l'incendio di Boves, si trovava quel giorno a Bagnasco e venne a sapere che mi avevano preso - ormai ero nelle loro mani - così fece arrestare il gen. Paolini e il console Gobbi e disse a Bogliolo che se mi fosse successo qualcosa ne avrebbero pagato loro le conseguenze.
Mauri non era a Bagnasco, così partimmo per le Langhe, dopo aver saputo che la situazione a Garessio era di massima tensione. Durante il tragitto fermarono il camion su cui viaggiavano Dino e i suoi e li uccisero. A Rocca Cigliè c'era il comando generale di Mauri. Mi fecero entrare nella torre e alla mia richiesta di avere qualcosa da mangiare, perché ero ancora a digiuno, mi risposero che chi era passato di là non aveva più né mangiato né bevuto. C'era prigioniero con me un tenente d'aviazione, che avendo saputo che ero comunista volle sapere cosa fosse il comunismo, perché non ne sapeva nulla. Sul momento, a pancia vuota, dopo aver visto fucilare quattro persone e con la prospettiva di essere fucilata io stessa, gli dissi semplicemente che per me il comunismo era lottare per la libertà.
La prima reazione nel rivedere Mauri fu il pianto; mi sentivo tradita dalle stesse persone che avevamo aiutato; molte donne a Garessio lavoravano a fare le calze che poi inviavano, insieme al tabacco, su in montagna ai partigiani.
Non riuscivo veramente a capire quelle lotte intestine.
Alla fine Mauri mi mandò in cucina a mangiare qualcosa, ma io non riuscivo a deglutire nulla, un po' per lo spavento, un po' per la mandibola ancora dolorante. Raccontai al cuoco ciò che era successo in Alta Val Tanaro, ed egli si schierò dalla mia parte. Mauri mi accompagnò poi in albergo e mi mise due piantoni alla porta perché non scappassi. Il giorno successivo mi accompagnò con l'auto fino al forte di Ceva. Oltre non si poté proseguire perché Ceva era occupata dai tedeschi. Di lì dovetti proseguire da sola; Mauri mi diede i soldi per il treno perché non avevo preso nulla quando ero uscita di corsa da casa.
A Garessio mi aspettavano due partigiani per accompagnarmi dal comando che si trovava ad Ormea. Andammo su con la locomotiva del treno, perché non c'era altro mezzo di trasporto, ed anche dal Partito arrivò l'ordine che non mi esponessi più così.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995
 
Levio Vitali, nato il 25 ottobre 1925 a Mezzani (Parma), nel 1942 si trasferì da Cologno Monzese alla Cascina Gaggiolo di Cernusco sul Naviglio [...] Chiamato alle armi in marina nell'estate del 1943, Levio Vitali non si presentò; si recava, invece, a Ospedaletti da un suo cugino che era lì impiegato presso la Todt, per farsi rilasciare una falsa tessera di servizio presso quell'organizzazione del lavoro. Ma il sotterfugio durò poco, perché era diventato troppo pericoloso per il cugino rinnovare la falsa tessera Todt. Così, un giorno, dopo l'8 settembre '43, Vitali non riusciva a scendere da un convoglio fermo alla stazione ferroviaria di Genova per la vigilanza di una pattuglia di militari fascisti. Un portabagagli notò i suoi tentativi: salito sulla carrozza si avvicinò al Vitali e gli chiese se era uno "sbandato"; alla sua risposta affermativa, egli gli chiese se voleva unirsi ai partigiani. Pronto a compiere quel passo, Vitali rispose di sì; allora il portabagagli, scansando la vigilanza della pattuglia fascista, lo fece scendere e lo nascose in un magazzino; giunta la notte lo portò fuori Genova, dai partigiani. Levio Vitali, salito in montagna, fu accolto da una famiglia contadina. Dopo un paio di settimane entrò in contatto con un gruppo di partigiani comunisti che operavano nell'alta Val Tanaro, in provincia di Cuneo. Il controllo di quella valle era molto importante, soprattutto per la linea ferroviaria che collega i porti di Imperia e Savona con Torino; compito prioritario dei partigiani era quello di ostacolare le comunicazioni con i sabotaggi. Tra Ormea e Bagnasco, la valle rimase per alcuni mesi sotto il controllo delle bande partigiane. Levio Vitali ricorda che in zona operò per qualche settimana, prima di organizzare la resistenza in Valsesia, anche Cino Moscatelli, che ebbe occasione di conoscere personalmente; infatti, di sera, Moscatelli teneva alle giovani reclute lezioni di politica: «Da lui ho appreso cos'era il comunismo», racconta il Vitali. Quando si seppe che i tedeschi sarebbero arrivati in forze per riprendere il controllo della Val Tanaro, Vitali e diciotto suoi compagni salirono nei pressi di una chiesetta: da lì, annidati in una grotta, puntarono sulla valle una mitragliatrice da 20 mm. Dopo diversi, cruenti scontri con i nazifascisti, la sua brigata si sciolse e Vitali, con alcuni compagni, camminando per tre notti e due giorni, si trasferì nelle alture più a ovest, in un'altra formazione garibaldina. Dopo circa un mese, quando egli e i suoi compagni ritornarono nella Val Tanaro, tutta la zona era ormai sotto il controllo delle formazioni autonome del maggiore Mauri, e così essi vennero inglobati nella 14ª brigata Val Mongia. Sul rapporto dei partigiani con la popolazione locale, Vitali dice: «Esso era di reciproco aiuto. Ad esempio, l'alimentazione di quei contadini era limitata alle castagne, al latte e al formaggio che forniva qualche capra o mucca. La fame, insomma, si faceva sentire, anche perché nelle zone dei "ribelli" non venivano mandate le tessere alimentari. Così i partigiani, che ricevevano alimenti dai contadini, contraccambiavano, appena potevano, con altri prodotti, quali lo zucchero e la pasta, presi con azioni di guerra». Vitali aveva 18 anni e in quell'anno di vita partigiana passata tra le valli del cuneese ha compiuto una ventina di azioni militari, di cui sette d'assalto. Ha visto la morte da vicino più d'una volta: in un attacco contro i fascisti della X Mas; nell'assalto a un mulino dove i tedeschi macinavano il frumento (azione pericolosissima, ma con la quale i partigiani riuscirono a impossessarsi di una notevole quantità di farina) e nell'assalto a una caserma di tedeschi. È su quest'ultima azione che egli particolarmente si sofferma:«Un mattino all'alba, saranno state le quattro, siamo andati ad attaccare i tedeschi. Tra tedeschi e fascisti, nella caserma c'erano circa 200 soldati; noi eravamo una quarantina. Circondata la caserma abbiamo aperto il fuoco; presi di sorpresa, i nemici hanno avuto molti morti. Abbiamo combattuto senza interruzione fino alle tredici. Noi abbiamo avuto sei morti, due dei quali erano stati fatti prigionieri; uno era gravemente ferito, morente; l'altro era molto giovane: i fascisti lo uccisero sotto i nostri occhi legandolo dietro un camion e trascinandolo per le vie. Fu straziante sentire le sue urla».
Giorgio Perego, Cernuschesi partigiani della montagna. Il nostro Antonio Benelli nelle pagine di Beppe Fenoglio, Comune di Cernusco sul Naviglio (MI), 2011
 
Nonostante le precauzioni dei comandi, si verificano episodi come quello di Bucciol Gino, della brigata Alta Val Tanaro, che spara per sbaglio a un proprio compagno ferendolo. Nelle dichiarazioni del Bucciol si parla di uno sbaglio, ma altre dichiarazioni e le circostanze del fatto fanno invece pensare a uno scherzo finito male.
In questi casi, la legislazione partigiana prevederebbe la pena di morte, ma la sentenza viene sospesa per richiesta di grazia al maggiore “Mauri” da parte dell'imputato. La grazia pare essere stata concessa, anche se “Mauri” in una lettera al comando della brigata val Tanaro precisa che la grazia sarebbe stata concessa solo se la II divisione Garibaldi, presso le cui file Bucciol aveva militato e compiuto «atti in corso di accertamento», avesse dato riscontro positivo. [...] “Mauri” esprime le sue preoccupazioni in una circolare del 15 giugno '44 scrivendo che con «l'afflusso di nuovi elementi é [sic] assolutamente indispensabile provvedere al loro immediato inquadramento per evitare quelle sensazioni di disordine» che danneggerebbero il movimento partigiano. Il maggiore vuole evitare che chi sale in montagna abbia «l'idea che al “ribelle” tutto sia lecito» e avverte che sarà «inesorabile contro chiunque» metta a repentaglio la vita dei suoi compagni. Persiste la paura infatti che tra i giovani saliti in montagna possano nascondersi spie o, più semplicemente, immaturi che «chiaccherano [sic] troppo», non rendendosi conto dell'insidia dell'ambiente in cui opera il partigiano. Inoltre, ragazzi giovani, per nulla smaliziati, potrebbero cascare in tranelli come quello orchestrato dalle brigate nere di Ceva, che utilizzano come spia la moglie di un comandante repubblicano facendola passare per «cugina del comandante Mauri».
Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
Entra [Italo Calvino] a far parte di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, che è stanziata in località Beulla o si muove nei territori dei Comuni di Baiardo e di Ceriana. La formazione è comandata da Candido Bertassi detto "Capitano Umberto”. Calvino vi rimane finché non inizia il suo graduale sfaldamento. 
Francesco Biga, A 20 anni dalla morte del grande scrittore. Italo Calvino, il partigiano chiamato "Santiago", Patria Indipendente, 29 gennaio 2006 

Inoltre, la posizione del «Capitano Umberto» [Candido Bertassi] appare alquanto confusa con quell'aderire alla IX Brigata e, contemporaneamente, col volersi considerare autonomo. Tale aggettivo, infatti, figura sovente accanto alla denominazione della formazione «Brigata Alpina».
Questa posizione assumerà il massimo dell'anacronismo a proposito della battaglia sostenuta il 25 luglio 1944 nell'Alta Val Tanaro, quando, già costituitasi la II Divisione «F. Cascione», la I^ Brigata «Silvano Belgrano», sotto il comando del «Cion», sosterrà duri combattimenti contro i Tedeschi. In tale occasione, come più diffusamente vedremo, il «Capitano Umberto» emetterà, non si sa a quale titolo, un suo comunicato sugli scontri.
Infine, va considerato che nelle zone montane estreme della nostra provincia e di quelle limitrofe savonesi, confinanti con l'Alta Val Tanaro, sono presenti alternativamente formazioni della XIII Brigata Val Tanaro alle dipendenze di Eraldo Hanau (Capitano Martinengo), che effettuano varie azioni contro i presidi nazifascisti, soprattutto a Nava. Dette formazioni sono autonome e denominate «badogliane». Alcune bande, distanti dal loro comando centrale, passano a volte sotto l'influenza delle forze garibaldine a seconda della massiccia presenza, o meno, degli uomini di «Curto» nella loro zona.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 46,47

[...] nel corso dell'estate del '44, nella fase di espansione del movimento, i comandi [garibaldini] di divisione tentano, laddove sia possibile, di occupare nuove aree. La linea di confine tra la Liguria e il Piemonte sembra essere la sede predestinata a questo genere di confronto. Nel luglio infatti, un'unità garibaldina guidata da un certo “Bartali”, «sedicente inviato dal Comitato Ligure di Liberazione Nazionale», aveva disarmato alcuni reparti della Val Tanaro. Il comitato politico e quello militare di Torino rispondevano alla denuncia fatta da “Mauri”, assicurando di non aver mai consentito a un passaggio della val Tanaro alle dipendenze del comitato ligure e, provvedendo a denunciare il fatto alle autorità centrali, lasciava il maggiore libero di «adottare quelle altre misure contingenti che risultassero indispensabili per il ripristino della situazione».
Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
Da almeno un mesetto la nostra squadra, vale a dire quella di Nino Micheletti, prestava servizio al posto di blocco avanzato operante sulla strada provinciale a valle di Frabosa Sottana (CN).
Verso il 24/25 settembre 1944, Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi.
[...] Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri, Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare.
[...] Nel frattempo, prima della partenza, dietro insistenza degli stessi interessati, al nostro gruppetto vennero aggiunti una decina di militari alleati desiderosi di rientrare nei rispettivi organismi e due civili, un giornalista canadese (Morton) e l’italiano radiotelegrafista (Biagio).
[...] Partimmo da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero, il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove pernottammo.
[...] A Pigna ci accorgemmo che la frontiera, sia quella marina, che l’adiacente territorio montano, pullulava di militari repubblichini e di tedeschi. Noi ignoravamo al momento della partenza da Rastello, l’avvenuto potenziamento di quel tratto di confine, conseguente al recente sbarco delle truppe alleate nella vicina Provenza e la liberazione di Nizza.
[...] Ci furono due-tre giorni di combattimenti, ai quali partecipammo anche noi della Val Corsaglia. Gli assalitori, come già una quindicina di giorni prima, vennero respinti. Trascorse poche ore e ritornata un po’ di quiete, il gruppetto che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati.
[...] Dopo l’attenuarsi degli attacchi nazisti, ma ancora prima di conoscerne con assoluta certezza la fine, i Comandanti locali (Curto e Vittò) ci consigliarono fraternamente, per non mettere in gioco la nostra esistenza, di abbandonare la Valle e ritornare nella nostra Divisione monregalese.
Nel ringraziarci per la collaborazione prestata, espressero gratitudine e riconoscenza al Capitano Piero Cosa ed alla Valle Corsaglia per il grande aiuto concesso alle loro Formazioni in un momento tragico e disperato.
Decidemmo di rientrare. Insieme a noi c’erano 4/5 superstiti alleati che avevano rifiutato di tentare il passaggio della frontiera italo-francese.
Luigi Mondino, L'avventura della squadra Micheletti, in Libertà dal Popolo, Notiziario della F.V.L., n° 2 del 2010
 
Dopo diverse ore di cammino tra il 18 ed il 19 ottobre 1944 i partigiani giunsero a gruppi a Fontane, [Frazione di Frabosa Soprana (CN)].
I comandanti iniziarono a smistare gli uomini, che poterono usufruire delle scorte alimentari, delle coperte e degli abiti, che il garibaldino Domenico Arnera (Aldo) aveva da mesi con impegno e sagacia messo da parte nelle vicinanze. Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione, venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante". Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, Op. cit. , Tomo I
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte [...] Nel corso dell'inverno i continui sbandamenti mettono in allarme i diversi gruppi, che vivono nascosti nei paesi di montagna per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi. La situazione di tensione è riportata anche da episodi come quello che coinvolge “Primo” Rocca e reparti della II divisione Langhe. Questi ultimi, in seguito a un'azione compiuta dai tedeschi nella zona di Rocca, accorrono in suo aiuto. Qui però vengono accolti da un'imboscata compiuta dagli stessi garibaldini di Rocca, che nella confusione, temendo un ritorno dei tedeschi, avevano scambiato i reparti autonomi per nemici. <795
Nel mese di novembre, “Mauri” e i suoi sono costretti a rifugiarsi nella zona della VI divisione Garibaldi, non ancora colpita direttamente dai rastrellamenti. Qui affluiscono anche sbandati dalla Liguria e da Asti, già raggiunte dalle operazioni tedesche. <796 Dopo pochi giorni i partigiani radunati a Feisoglio, sede del comando della VI divisione, sono costretti a rifugiarsi altrove.
[NOTE]
795 La sera del 5 dicembre, sulla strada che Canelli-Nizza, una pattuglia del reparto della II divisione «viene investita da raffiche di sten operate da un posto di blocco garibaldino […] senza che fossero richiesti la parola d'ordine e intimato il chi va là». Nello scontro muore purtroppo un partigiano autonomo e viene ferito gravemente il padre di “Poli”, “Appendice all'attività svolta dalla II^ divisione Langhe nel mese di dicembre 1944 (azioni non comprese nella precedente relazione)”, f.to “Mauri”, in AISRP, B 45 b
796 Garibaldini provenienti dalla Liguria: «Nella Valle Bormida sono pure giunti centosessanta garibaldini della 5ª brigata ligure con parte del Comando. Anche loro hanno subito forti attacchi ed hanno dovuto sganciarsi. Abbiamo provveduto per quanto loro abbisogna, viveri e alloggiamenti, resta però inteso che appena la situazione lo permette ritorneranno alle loro basi», “Cari compagni”, 11.12.44 in C. Pavone (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. III, cit., doc. 482 “Il commissario politico della 6ª divisione Langhe, Remo, alla Delegazione per il Piemonte”, p. 57

Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
1 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 173/CL, all'Ispettorato della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "Il capitano Umberto [n.d.r.: Candido  Benassi, già comandante di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, operante tra Baiardo (IM) e Ceriana (IM), che, prima di venire sciolta intorno al 20 settembre 1944, aveva sporadicamente collaborato con i garibaldini e aveva anche momentaneamente incorporato Italo Calvino] starebbe costituendo un distaccamento da spostare in Piemonte per poterlo unire ai badogliani, ai quali comunicherebbe altresì l'esigenza di eliminare le formazioni garibaldine".
10 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" all'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria] - Comunicazione circa la presunta cattura del comandante Mauri [n.d.r.: probabile riferimento, fatto, dati i tempi, in netto ritardo, all'arresto di Mauri da parte dei tedeschi avvenuto ai primi dell'agosto precedente nelle Langhe; sul ritorno in libertà del comandante badogliano esistono due versioni: fuga rocambolesca (memorie di Mauri stesso, riprese anche con questo articolo pochi mesi or sono da Patria Indipendente, rivista dell'ANPI) e trattativa con i teutonici con conseguente rilascio (come in Carlo Gentile, non solo in I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi, 2015, ma anche in vedere infra] "... giurata da Mauri una lotta feroce contro fascisti e garibaldini...
15 gennaio 1945 - Dalla II^ Divisione, Sezione S.I.M., al comando della II^ Divisione - Relazione generale, da cui si evince: che il comando tedesco aveva dato ordine agli industriali di vendere loro i macchinari o di renderli inservibili; che Mauri sarebbe stato rilasciato dai tedeschi e si era ripromesso una lotta feroce contro fascisti e garibaldini; che il generale della Divisione tedesca operante in zona era stato nominato Gauleiter di Ormea (CN), Ceva (CN), Mondovì (CN) e Cuneo; che erano transitati molti uomini dei Cacciatori degli Appennini [della Repubblica Sociale] in direzione di Albenga (SV) [...]
27 febbraio 1945 - Da Mimosa [Emilio Mascia di Sanremo, quadro della V^ Brigata S.A.P. "Giacomo Matteotti" della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvisava che ad Alassio era stato visto il capitano Umberto [Candido Benassi], il quale aveva incitato loro uomini ad aggregarsi al Battaglione "San Remo" da lui formato per andare in Piemonte.
18 marzo 1945 - Dal comando della III^ Divisione "Alpi" a "Curto", comandante della I^ Zona Operativa Liguria - Scriveva che "in risposta alla richiesta di chiarimenti sull'uccisione dei due ex garibaldini "Lino Bruno" e "Gianni" si comunica che essi furono giustiziati su indicazione del tenente "Aldo" della I^ Zona prima che questi morisse eroicamente. "Aldo" aveva comunicato a questo comando che i due soggetti agivano in traffici illeciti ai danni dell'organizzazione partigiana: in dicembre, infatti, nel culmine del grande rastrellamento venivano sorpresi a gestire i loro traffici. Nel caso in cui sarà necessario fornire ulteriori informazioni queste verrano date dalla polizia giudiziaria divisionale. Per rafforzare la linea di reciproca collaborazione, che già da tempo  esiste, si auspica di avere nuovi fruttuosi contatti".
31 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalazione circa "... atteggiamento ostile da parte delle Brigate Mauri nei confronti delle squadre della Divisione mandate ad operare in Val Tanaro... inviata una lettera a Mauri con cui si ricordava la comune causa di tutti i patrioti...".
16 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Comunicava che ... 'in Val Tanaro i bandi di reclutamento di "Mauri" rimanevano inascoltati'.
18 aprile 1945 - Dal  comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Ordine di inviare una squadra presso Martinengo [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'], con cui erano già stati presi accordi, per ritirare 250.000 colpi per mitragliatori St. Etienne.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comandante Martinengo [Eraldo Hanau, della Brigata 'autonoma' Val Tanaro della IV^ Divisione Alpi del Iº Gruppo Divisioni Alpine 'autonome' che facevano riferimento al maggiore Enrico Martini 'Mauri'] -  Si rispondeva ad una comunicazione affermando che "l'offerta delle munizioni per i St. Etienne è la più bella dimostrazione dello spirito di collaborazione e amicizia che ci lega e che deve essere sempre più perfezionato. L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia, ma il campo per la lotta comune per poi ricostruire insieme la pace".
19 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comandante della IV^ Divisione  'autonoma' Alpi - Venivano affrontati diversi aspetti. Che il capitano Bentley [ufficiale alleato di collegamento con la I^ Zona] aveva richiesto le armi nascoste a Viozene. Che le armi, anche se recuperate, non erano mai state consegnate al richiedente. Che non era veritiera l'affermazione del "maggiore" secondo la quale "disposizioni superiori stabiliscono che tutto il Piemonte è di giurisdizione dei gruppi 'Mauri'. Che le suddivisioni amministrative non risultavano attendibili quanto "la demarcazione fisica" rappresentata dalle Alpi. Che tutta la zona a sud delle Alpi era indispensabile alle formazioni Garibaldi per poter difendere l'Alta Val Tanaro. Che nella Val Tanaro le richiamate organizzazioni autonome non avevano organici sufficienti per procedere ad un'adeguata occupazione del territorio. Che di conseguenza lo scrivente comando della I^ Zona aveva deciso di fare agire alcune sue strutture nella zona di Garessio-Ormea-Ponti di Nava. Che prendeva nota del desiderio di collaborare fraternamente nella lotta. Che il capitano Bentley era già addivenuto tramite incontro ad un accordo con la missione inglese presso le formazioni 'Mauri' per ottenere una proficua collaborazione più generale.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
23 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che "data la particolare situazione creatasi ad Oneglia e lungo la strada n° 28 la squadra partita per ritirare le munizioni presso 'Martinengo' [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'] non ha potuto effettuare l'azione".
1 maggio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della IV^ Divisione Autonoma "Alpi" - Comunicava che i Distaccamenti della IV^ Brigata "Domenico Arnera" sarebbero rimasti per ordine del comando della VI^ Divisione in Alta Val Tanaro finché il Comando Unificato non avesse disposto altrimenti, criticava il termine "arbitrariamente", aggiungeva che l'Italia era finalmente libera per cui era naturale che formazioni partigiane di diversa estrazione collaborassero nella stessa zona, ricordava che le formazioni partigiane [secondo gli autonomi, quelle garibaldine] "arbitrariamente" presenti in Val Tanaro erano quelle che avevano provocato maggiori danni ai nemici, rimarcava che un Distaccamento della IV^ Divisione Autonoma "Alpi", stanziata a Nava, intendeva comandare in Alta Valle Arroscia [zona di competenza dei garibaldini].
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit.  - Tomo II  
 
CARLI, CARLO, 20.05.1918 Imperia.
Aosta 3° corso, 1° dicembre 1941, alla Testafochi con il cap. Rasero ed il ten. Scagno (di essi serbo un ricordo meraviglioso!). Campo invernale ad Oropa. Sergente a Merano, Maja Bassa, con il col Martinoja ed il ten. Formato (poi caduto in Russia). Campo a Solda, rientro a Merano, quindi a Bassano. A fine giugno, per me fine del corso: appendicite, operato ad  Alessandria, un mese di convalescenza ed eccomi al 3° Alpini a Pinerolo dove rimasi all’addestramento reclute fino al drammatico 8 settembre 1943.
- Armistizio! Il Maresciallo Badoglio l’ha chiesto, il generale Eisenhower lo ha concesso: ma noi? Che siamo adesso noi, lasciati senza ordini? Che cosa siamo per i tedeschi ed i fascisti, che di ordini precisi sono ben forniti?
A queste domandine non proprio leggere risposi prendendo il treno delle 4.40 per Torino Lingotto - Ceva - Ormea e così, proseguendo sempre per vie secondarie a piedi e in bicicletta, arrivai a casa il 10.
Contattai un amico, che sapevo antifascista e Guardiamarina alla Capitaneria di Porto ad Imperia. Risposta: - Qui non è rimasto nessuno, ma le armi sì.
Lo raggiunsi con un furgoncino Balilla, presi moschetti, pistole, una mitragliatrice Breda con relative munizioni e portai il tutto in casa di amici in un paesetto della vallata. Questa fu la seconda risposta alle domandine di cui sopra.
Il 18 settembre uscì il bando di presentazione.
Carlo Verda (poi “Lucio”), sottotenente appena uscito da Bassano, altri due amici nelle mie condizioni ed io, zaini pieni di generi alimentari, prendemmo la via dei monti e ci sistemammo in un casolare. Ben presto la zona si riempì di “renitenti”, subito pressati da comunisti che li volevano “arruolare”. Io raggiunsi gli amici presso i quali avevo nascosto le armi e organizzammo un paio di bande (questo era il termine) di 25 uomini ciascuna raccogliendo i giovani che non intendevano unirsi ai Garibaldini.
A marzo è1944], constatando che la convivenza con le formazioni comuniste era difficile, cercai contatti con formazioni del basso Piemonte e là mi trasferii, alla V Div. Alpina, Brg Val Tanaro; era comandata dal “capitano Martinengo” (al secolo Eraldo Hanau) che dipendeva dal maggiore Enrico Martini “Mauri”, comandante di tutte le formazioni che operavano nelle Langhe.
Ebbi il comando di una “squadra” di 40 uomini. La valle che solitamente occupavamo era l’alta Val Tanaro, ma a volte, per sfuggire ai rastrellamenti, passavamo nelle contigue Val Casotto o Val d’Inferno. Il comando tedesco era al Grand Hotel Miramonti di Garessio, quindi le nostre azioni di disturbo e contrasto avvenivano sulla S.S. 28, che collega la provincia di Imperia con quella di Cuneo.
Un giorno mi venne consegnato un foglio:
ESERCITO ITALIANO NAZIONALE DI LIBERAZIONE
V Divisione alpina
XXX, 24.11.1944
Siamo autorizzati dalle competenti autorità militari a venire incontro alle richieste a suo tempo avanzate dai rappresentanti della provincia di Imperia.
Pertanto deleghiamo il Sig. Carli Carlo a concludere in forma definitiva, e quali saranno nella veste del C.L.N. gli esponenti delle masse rappresentate.
In forza di tale autorizzazione riconosciuta verranno appoggiati dalle Forze Armate dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Il Comandante della V Div. Alpina
Cap.. Martinengo
Il Rappresentante Militare
dell’Esercito It.Naz. di Liberazione
Dott. Sismondi

Lessi e rilessi. La località XXX era Viozene in Val Tanaro; il Dott. Sismondi era l’Ammiraglio Marenco di Moriondo, e fin qui ci arrivavo, ma il resto non brillava per chiarezza. Il cap. Martinengo mi spiegò che i tempi erano quelli, che la prudenza non era mai troppa e che, in sostanza, dovevo prendere contatti con il C.L.N. di Imperia al fine di costituire la Brigata Liguria dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Tale costituzione non avvenne: tutti i giovani erano “occupati”, o con i partigiani, o con i fascisti, o con la Todt, oppure “occupavano” qualche compiacente cantina. Sì, i tempi erano quelli.
A metà gennaio tornai al mio reparto, che un rastrellamento aveva fatto spostare in Val Casotto. Il 25 aprile, ultimo scontro con fascisti e tedeschi a Garessio, poi la Liberazione.
Partigiano Combattente. Croce al Merito di Guerra. Laureato in scienze economiche e commerciali, ora sono Presidente della Fratelli Carli, con sede ad Oneglia. Cominciai la ricostruzione dello stabilimento, distrutto dalla guerra, con i soli mezzi di famiglia, nel 1945, terminando nel 1950. L’azienda, fondata da mio padre nel 1911, era rimasta inattiva per otto anni ed io subito riavviai la produzione industriale puntando sull’alta qualità del prodotto e sulla vendita per corrispondenza. Ora, lasciatemelo dire, serviamo a domicilio con mezzi nostri settecentomila clienti. Dal 2002 l’azienda ha un prestigioso “Museo dell’Olivo”, ricco di storia e di preziosi cimeli archeologici, visitatissimo.
Sono Membro dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, Cavaliere del Lavoro e Ragazzo di Aosta ’41, tessera n° 397. [...]
Redazione, A -Z, Ragazzi di Aosta ’41  

domenica 12 dicembre 2021

Carabinieri partigiani della I^ Zona Liguria

Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

«Lasciatelo stare, il capo sono io; questo giovane era un mio prigioniero». Corre il tristissimo mattino del 27 gennaio dell'anno 1944. Felice Cascione è ferito gravemente ad una gamba dopo aver tentato, spinto dalla sua nota generosità, un'ardita azione per stanare i nazifascisti rinchiusi in un casone. Siamo presso Madonna del Lago, sulle montagne soprastanti Alto. La zona è suggestiva, abbellita da un ridente laghetto e da un Santuario dell'epoca tardo medievale. Ad una quindicina di minuti dal luogo, sono i casoni in cui ha sede la banda di Cascione.
«U Megu» giace da molto tempo immobile, dietro un muricciolo a secco, sotto l'infuriare del combattimento. Non lontano da lui, è un altro partigiano ferito, disteso a terra, come morto. l Tedeschi avanzano, lo vedono, s'accorgono che è vivo ed iniziano a seviziarlo per fargli rivelare il nome del Comandante, ma il partigiano non risponde, accetta stoicamente la tortura, pronto all'estremo sacrificio.
Allora Cascione, appoggiando il gomito sul terreno, si leva sul busto e, rivolto ai nemici, pronuncia le sue ultime parole, quelle della definitiva rinuncia che nessun combattente della nostra Resistenza potrà mai dimenticare, riportate all'inizio di questo capitolo. I Tedeschi lo vedono, gli s'avvicinano e, inesorabilmente, lo uccidono con una raffica di mitra e si portano dietro il prigioniero per ricoverarlo all'ospedale.
Quel partigiano si chiama Giuseppe Cortelucci [n.d.r.: il cognome, nella maggior parte delle altre fonti, viene riportato come Cortellucci] e il suo nome di battaglia è «Carabiné»: traduzione ligure della parola carabiniere.
È un ex carabiniere che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, obbedisce al suo spontaneo sentimento per l'onore patrio e la libertà e s'avvia volontario verso la montagna. È tra i primi partigiani amico fedele di Cascione, generoso amico di tutti. Della sua gloriosa Arma ha portato la tradizione di lealtà e di fedeltà.
Affronta disagi e rischi; vive girovagando con i primi gruppi patriottici; osserva la dura realtà deicontadini, ne conosce meglio l'animo, la dura esistenza, la serietà di vita.
Cortelucci, nato a Teramo l'11 luglio 1924 (1), porta nelle nostre campagne la freschezza della sua razza e della sua terra. Anche in essa il popolo lavora, fatica, soffre come qui da noi, su queste aride zolle che rifiutano all'uomo l'aiuto delle macchine agricole perché le fasce sono troppo strette.
Settembre 1943 - 27 gennaio 1944: pochi mesi, tutti passati sui nostri monti, nei casoni, tra sofferenze e rischi quotidiani.
Uomini girovaganti e braccati da un nemico spietato che non perdona. Mangiano come e quando possono, soprattutto durante le marce di trasferimento perché, quando sono in qualche paesello, la popolazione, pur nella sua povertà, trova sempre un piatto di minestra, qualche patata, un tozzo di pane per sfamarli. L'animo degli uomini si irrobustisce nelle sofferenze e nei pericoli, maestri insostituibili di vita.
Il 27 gennaio 1944 Cortelucci è ormai temprato a tutte le bufere. È al fianco del Comandante che lo salva con le sue ultime parole. Entra nell'ospedale, si ristabilisce e fugge ancora. Va a riprendere il posto di combattimento a fianco dei compagni di Cascione, dei suoi compagni.
Per un anno intero combatte. È un valoroso. Sul campo di battaglia si guadagna il grado di Vice Comandante di battaglione.
Giunge il 29 dicembre 1944. Ancora meno di un mese e sarà l'anniversario di quel tragico fatto. Ma il destino non lascia più corda a Cortelucci; ancora una volta, stavolta a Pantasina, frazione di Vasia, sta per essere catturato da un nemico sempre più crudele e sempre più straripante per numero e per mezzi.
Ora è lui ad uccidersi. Non più nelle mani dei nazifascisti. Il partigiano, diventato Comandante, segue nella sorte il suo primo ed indimenticabile Capo.
La Resistenza inchina le sue bandiere; la Divisione «Cascione» è in lutto per un significativo dolore che ne rievoca un altro più lontano nel tempo.
Cortelucci, alla cui memoria verrà assegnata la Medaglia d'Argento, si eleva a simbolo del valore spirituale di tutta un'Arma: quella gloriosa e benemerita dei carabinieri che, per molta parte dei suoi uomini, ha scelto la via giusta nella tragica vicenda dell'Italia. Perché, sia chiaro: l'esempio di Cortelucci non è né isolato, né sporadico.
Non pochi lettori resteranno sorpresi nell'apprendere che nelle fila della nostra Resistenza i carabinieri sono stati sorprendentemente numerosi se dall'elenco presso l'Istituto Storico della Resistenza di Imperia possiamo contare ben sessantasei combattenti. A parte, naturalmente, qualche possibile dimenticanza. Sessantasei partigiani, venuti dalle fila dei carabinieri, rappresentano un organico pari ad un intero distaccamento e mezzo, un organico di tutto rilievo.
Un grosso nucleo che trova affiancati i nativi delle province liguri a quelli piemontesi, e i calabresi uniti ai lombardi ed ai laziali, né manca il siciliano.
Se Cortelucci porta l'onore della sua amata Teramo, Avellino e Verona e Caserta non sono assenti nella lotta per la libertà della I Zona Liguria. Da Padova a Bari, da Foggia a Parma e a Piacenza e a Lecce, dallo sperduto paesello alle grandi città, sono giunti i giovani, passati attraverso la dura milizia della loro Arma, sulle nostre montagne per combattere una lotta decisiva per i nostri destini.
Il 15 e il 20 giugno 1944, una ventina di carabinieri del presidio di Realdo, piccola frazione del Comune di Triora, sono invitati dai partigiani ad arrendersi. I carabinieri non solo s'arrendono, ma aderiscono al movimento della Resistenza e passano, con armi e bagagli, nelle formazioni partigiane distribuiti in quei vari distaccamenti che, nel luglio successivo, costituiranno la gloriosa V^ Brigata «Luigi Nuvoloni» (2).
In un breve comunicato, inviato al Comando della IX Brigata il 18 giugno 1944, il commissario «Federico» [Federico Sibilla] dà notizia dell'arrivo di un tenente dei carabinieri presso il suo Comando di Imperia Porto Maurizio. Nel breve scritto «Federico» avvisa che detto tenente è al servizio della Resistenza ed in contatto con il CLN provinciale di Imperia (3).
I Tedeschi ogni tanto azzardano puntate con dei camion, con i fari colorati in blu, nel territorio della «Libera Repubblica di Triora».
Ad Agaggio Inferiore, sulla piazza della Chiesa, al pianterreno della casa canonica, vi sosta una squadra partigiana. Un'altra squadra è dirimpetto, di là dal torrente, presso il casone del «Cuccolo». Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno Nello Bova, di guardia sulla strada, avvista un camion e dà l'allarme. Si apre il fuoco: il camion, colpito nel radiatore, si ferma. Ma, in luogo dei Tedeschi, scende un carabiniere che, abbandonata Parma ove prestava servizio, per non servire la Repubblica di Salò cerca di raggiungere Triora con tutto il suo mobilio. Impegnatosi a far parte delle formazioni, è lasciato libero.
Strano destino: la raffica dei garibaldini non lo ha colpito; il camion, per miracolo, si è fermato presso un fosso profondo scavato dall'esplosione che aveva fatto saltare la strada. L'ex carabiniere in seguito verrà catturato a Molini di Triora dai nazifascisti, durante il rastrellamento dei primi di luglio e, il giorno cinque, bruciato vivo con altri civili nella casa Campoverde (4).
Alla periferia di Pigna ha sede una quindicina di carabinieri. «Vittò» ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed «Erven» [Bruno Luppi] decidono di catturare tutti i componenti del presidio. Suddividono l'ottantina di partigiani in squadre. Destinati all'azione diretta sono «Erven», «Assalto», «Argo», «Marussia» di Ventimiglia e «Gena».
Arrivano circospetti, vedono la canna di un mitragliatore piazzata alla finestra. Rasentano il muro, arrivano alla porta e gridano ai carabinieri d'arrendersi. Dopo un po' di silenzio uno di loro apre la porta: i partigiani si impossessano del mitragliatore ed intimano la resa. Sopraggiunge il brigadiere che invita i suoi uomini ad arrendersi. I quindici carabinieri seguono i partigiani portando materiale di casermaggio, munizioni e viveri. Sono inviati a Carmo Langan e tutti, tranne il brigadiere, aderiscono alle formazioni partigiane (5).
Non tutti hanno assaporato la grande gioia del 25 aprile vittorioso, perché ci fu chi cadde col fucile in pugno o fucilato dal plotone d'esecuzione. Altri riportarono ferite, anche gravi.
Sotto le bandiere della «Cascione» e della «Bonfante» della I Zona Liguria, come sotto ogni bandiera della Resistenza Italiana, i partigiani ex carabinieri hanno portato un grande contributo di sacrificio, d'onestà e d'amor patrio.
Anche nel limitrofo Piemonte, il contributo dato dai carabinieri alla lotta partigiana è consistente.
Prendiamo qualche notizia in proposito da un volume inedito del prof. Renzo Amedeo, partigiano combattente della XIII Brigata «Val Tanaro» (6): «... Ed ecco che il 24 maggio, la famosa vigilia del Bando Graziani­ Mussolini, relativo alla consegna di tutti i renitenti e partigiani, nella tarda mattinata giunge a Piaggia il maresciallo dei carabinieri di Nava su una Topolino. Scopo principale della sua venuta era soltanto la ricerca di formaggio, ma una pattuglia partigiana che si trovava da quelle parti formata da Guido Bologna, Renzo Amedeo e dal sottoscritto (7) lo lascia entrare nell'albergo e poi, intimatagli la resa, lo cattura. Avendo dichiarato che lui e la quindicina dei suoi uomini sono disposti a scappare con i partigiani, lo si lascia tornare in caserma con la sua arma (per difendersi da chi eventualmente non la pensasse come lui, dice) e ci si accorda per un assalto alla caserma di Nava, proprio la notte tra il 1° ed il 2 di giugno, per simulare uno scontro con la conseguente fuga degli uomini e prelievo del materiale.
Così avviene. Avvertito Martinengo [Eraldo Hanau], una folta squadra scende tra Ponti di Nava e Case di Nava [nel territorio del comune di Pornassio (IM)], circonda la caserma, mentre un gruppo rimane più in alto presso il Forte Pozzenghi per proteggere il gruppo nel caso di sorprese.
Accesa una nutrita ma fitta sparatoria, maresciallo e carabinieri fuggono tutti in montagna con Martinengo, portando un'abbondante razione di armi, munizioni, viveri e materiale di caserma. Rientrati a Piaggia ed Upega, il maresciallo sceglierà poi di trasferirsi a Fontane con il gruppo partigiano dei carabinieri...».
Ancora, dal medesimo volume: «... Qui c'era già Gaglietto, che aveva riorganizzato i suoi famosi carabinieri. L'intesa sembrava raggiunta con questa ripartizione di compiti e comandi:
Comandante generale della Val Corsaglia: Gomez.
Comandante amministrativo: Gaglietto.
Comando operativo della squadra: Martinengo.
[... ] Là è Gaglietto con un gruppo di una cinquantina di uomini, quasi tutti carabinieri. A Garessio il carabiniere Angelo Battaglia (8) forma una squadra di partigiani che passa dopo pochi giorni alle dipendenze di Martinengo...».
Anche l'Arma dei carabinieli era partecipe della situazione tragica del momento. Continui rapporti pervenivano ai Comandi tedeschi e fascisti circa lo stato di demoralizzazione dei carabinieri e sulla loro resistenza a collaborare con un'Autorità non riconosciuta e, sovente, avversata.
Molte furono le deportazioni nei campi di concentramento in Germania. I Comandi nazifascisti decisero di affrettare i tempi per lo scioglimento dell'Arma stessa (9).
Dall'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia abbiamo tratto il documento del mese di giugno 1944, che di seguito riportiamo, dal quale si rileva che i carabinieri erano anche al servizio della «Libera Repubblica di Triora», quindi della Resistenza e del popolo:
Comune di Triora
al Comandante  della divisione «Garibaldi»
e p.c. al Comandante la V brigata «Garibaldi»
In base agli accordi avuti dal Vice-Comandante Musso, ho costituito il distaccamento di Polizia in Triora, affidando il Comando al Maresciallo Capo Scarpa Salvatore precettando i seguenti carabinieri:
Appuntato  Fili Domenico
"    Miraglio Carlo
"    Mazzili Valentino
"    Grespan Ernesto
"    Amaldi Emanuele
Carabiniere Sorrentino Alessio
"    Destradis Michele
"    Alberti Giusto
"    Dentoni Erminio
Come da accordi convenuti codesto Comando è pregato di provvedere all'invio dell'armamento necessario per gli uomini di cui sopra.
Il distaccamento verrà preso in forza dal Comando della V Brigata Garibaldi.    
Il Podestà (Pesce)
[NOTE]
(1) Giuseppe Cortelucci, fu Luigi e di Paolina De Laurentis, dichiarazione integrativa n. 4600.
(2) Testimonianza di Vittorio Guglielmo (Vittò).
(3) Cfr. F. Biga, Diano e Cervo nella Resistenza, Milano Stampa, Farigliano, 1975, pag. 99.
(4) Vedasi l'Unità (edizione clandestina imperiese), anno l, n. 2, l5 agosto 1944.
(5) Cfr. G. Strato, 1° volume della presente opera, pagg. 295, 298.
(6) Il volume inedito è conservato presso l'Archivio del Comune di Garessio.
(7) Il fatto riportato dall'autore è ricavato da una pubblicazione di Enrico Martini (Mauri).
(8) Angelo Battaglia, nato a Garessio il 20-8-1921, carabiniere della Legione di Genova, ora pensionato invalido, militò nella Brigata Val Tanaro dal 10/1/1944 al 416/1945. Il Battaglia risiede attualmente ad Imperia nella zona di Castelvecchio.
(9) Vedasi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, op. cit., pag. 35.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 576-581


Giuseppe Cortellucci

Il 27 dicembre 1944, a Vasia (Imperia), il giovane Carabiniere Giuseppe CORTELLUCCI, appena ventenne, si immolò per la Libertà della Patria. Per la sua eroica Audacia nella guerra di liberazione, fu decorato con la Medaglia di Argento al Valor Militare - alla memoria, per la seguente motivazione: "Già bravo carabiniere, entrava all'8 settembre nella resistenza battendosi quale vice comandante di distaccamento partigiano, con capacità e audacia. Nel tentativo di trarre in salvo il proprio comandante ferito, veniva catturato. Riuscito ad evadere raggiungeva di nuovo la propria formazione. Durante un duro rastrellamento avversario, attaccato da forze preponderanti, combatteva con animo intrepido, sempre primo dove più accanita ferveva la lotta, incitando ed animando i propri dipendenti, finché, colpito a morte, immolava eroicamente la propria esistenza per la libertà della Patria".
Redazione, Audacia per la libertà, Attenti a quei due
 
Si vanno verificando numerose defezioni di carabinieri, di appartenti alla G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana], ex militi e all'esercito repubblicano ed anche di agenti di polizia.
I carabinieri, interpellati, hanno, nella grande maggioranza, dichiarato di volere essere inviati in congedo.
Così la potenzialità delle forze di polizia, già non rispondente agli attuali effettivi bisogni della sicurezza pubblica, si va ancor più assottigliando.
Questa è la situazione, nella sua realtà.
Ispettorato Regionale di Polizia - Zona Savona-Imperia, Ispettore Generale di P.S. di Zona, Situazione politico-economica della Provincia di Imperia, Al Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Polizia - Valdagno, n° di Prot. 038, li 30 giugno 1944 XII
 
Sanremo (IM): Via Escoffier

Un notevole contributo alla Resistenza Imperiese è stato dato dai carabinieri. Hanno raggiunto le formazioni partigiane oltre una sessantina di militari. Una ventina di essi, che erano di stanza a Realdo (frazione del Comune di Triora), il 18 giugno 1944 si aggregarono ai partigiani della IX Brigata Garibaldi. Anche un presidio di stanza a Pigna, passò ai partigiani il 27 agosto successivo. Altri lasciarono i loro presidi dove i Tedeschi li sorvegliavano e raggiunsero la montagna. Sulla scorta dei documenti conservati nell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, risultano sessantasei i carabinieri riconosciuti partigiani: un totale da costituire, se uniti in una sola formazione, un consistente Distaccamento partigiano. Nel giugno 1944, il cittadino Pesce, a capo della libera Repubblica partigiana di Triora, in accordo con il Comando della IX Brigata, costituì il Distaccamento di polizia affidando il Comando al maresciallo Salvatore Scarpa il quale precettò i seguenti appuntati: Fili Domenico, Miraglio Carlo, Mazzili Valentino, Grespan Ernesto, Arnaldo Emanuele, e i carabinieri Sorrentino Alessio, Destradis Michele, Alberti Giusto e Dentoni Erminio.
Fra i carabinieri che hanno contribuito alla lotta per la liberazione ricordiamo: Andreolo Antonio, vice brigadiere, rimasto gravemente ferito a Cima Marta l’11 agosto 1944; Agnese Camillo rimasto invalido; Balestra Giuseppe caduto il 5 marzo 1945; Bartoli Umberto brigadiere, caduto il 20 settembre 1944 nel bosco di Rezzo; Gagliolo Egidio rimasto gravemente ferito in uno scontro con i nazifascisti a Casanova Lerrone; Mancini Marino rimasto ferito in combattimento il 19 giugno 1944; Pirrol Aurelio catturato dal nemico e fucilato a Rastrello (CN) il 29 novembre 1944; Risso Ilario catturato nel Dianese e fucilato il 10 gennaio 1945; Taffaroni Giovanni rimasto ferito in combattimento a Triora il 3 aprile 1944.
In particolare ricordiamo Giuseppe Cortellucci, già nella banda di Felice Cascione, catturato il 27 gennaio dal nemico nel disperato tentativo di salvare il suo comandante, riuscito a fuggire e ricongiuntosi ai partigiani della IV Brigata, per non cadere vivo in mano al nemico, durante un momento drammatico di un rastrellamento, si uccide il 29 dicembre 1944 nella zona di Pantasina; fu proposto per la medaglia d’argento al valor militare.
Infine ricordiamo che dalla Provincia di Imperia i Tedeschi deportarono circa ottocento persone (documentate), di cui quattrocentosessantasette ex militari, compresi quattordici carabinieri.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)
 
[...] Al momento dell’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, a Sanremo come nel resto della Liguria, non si verificarono incidenti di sorta. Il 10 settembre 1943 i primi reparti di soldati tedeschi entravano nel territorio della provincia di Imperia, provenienti da Cuneo. Dal Comando della Legione di Genova era intanto pervenuto al comandante del Gruppo di Imperia l’ordine, per tutti i militari in servizio, di mantenere la calma e rimanere al proprio posto. Nei giorni successivi solo alcune stazioni della tenenza di Ventimiglia, a causa soprattutto dell’ostilità manifestata dalla milizia di confine, vennero disarmate. A parte tali sporadici episodi, le compagnie del gruppo, tra cui anche quella di Sanremo, si mantennero sostanzialmente intatte. Le prime diserzioni, anche se non numerose, sarebbero cominciate soltanto nell’ottobre 1943, dopo il passaggio da Ventimiglia del treno con a bordo i carabinieri romani diretto verso i campi di concentramento nazisti in Germania. Bisogna comunque sottolineare come sarebbe stato particolarmente alto il numero dei carabinieri sanremesi che avrebbero collaborato attivamente con la Resistenza locale, fornendo di armi e munizioni le unità partigiane combattenti in montagna e distribuendo viveri alla popolazione.
Nel frattempo, dopo che, tramite il comando di legione, era stata fatta firmare la dichiarazione di adesione al governo della Repubblica sociale italiana nel dicembre 1943, gli ufficiali del gruppo e una rappresentanza di circa una sessantina di sottufficiali e militari di truppa, il 9 febbraio 1944 furono radunati in una piazza di Imperia per prestare giuramento, insieme alle altre truppe del presidio, alla Rsi. Il mese successivo l’Arma dei Carabinieri venne sciolta e i suoi componenti assorbiti nella neoistituita Guardia nazionale repubblicana. Le legioni furono rimpiazzate dagli ispettorati regionali e in ogni provincia, tra cui anche quella di Imperia, fu istituito un comando provinciale. In conseguenza all’incorporazione dell’Arma nella Guardia nazionale repubblicana, i carabinieri sarebbero stati costretti a indossare la camicia nera e ad apporre le fiamme nere sotto gli alamari. La notte del 5 agosto 1944 tutte le caserme dell’Arma della provincia di Imperia furono circondate da soldati tedeschi e militi della Gnr, che prelevarono tutti gli ufficiali, i sottufficiali e i carabinieri che sorpresero, per condurli, il giorno dopo, a Milano ed Asti. Uguale sorte sarebbe toccata anche a tutti quei militari che si trovavano presso le loro abitazioni. Da Asti e Milano i carabinieri imperiesi sarebbero stati tutti deportati in vari campi di concentramento in Germania e adibiti a lavoro obbligatorio. Un limitato numero di sottufficiali e militari di truppa sarebbe riuscito tuttavia a sottrarsi alla cattura, mentre altri sarebbero riusciti a fuggire durante il viaggio, ma avrebbero dovuto rimanere nascosti o allontanarsi dalle rispettive residenze per far perdere le proprie tracce perché attivamente ricercati da tedeschi e repubblichini.
Nell’aprile 1945, quando la Guardia nazionale repubblicana sarebbe fuggita abbandonando le caserme, anche quella di Sanremo venne completamente saccheggiata dagli stessi militi e dalla popolazione. Il 25 aprile 1945 giunse però il tanto atteso momento della liberazione del suolo nazionale dal nazifascismo, e così, anche per l’Arma dei Carabinieri, cominciò a profilarsi una nuova epoca in un’Italia libera e democratica. Nei mesi immediatamente successivi furono riattivati tutti i comandi provinciali della Liguria: il gruppo di Imperia venne ripristinato il 15 maggio 1945. Anche a Sanremo i carabinieri tornarono a pieno regime con la ricostituzione della loro compagnia e ripresero possesso della caserma di via Privata (l’odierna via Escoffier), da dove si sarebbero poi trasferiti nell’attuale caserma di Villa Giulia, in corso Inglesi, il 6 novembre 1971.
Andrea Gandolfo, La storia dei carabinieri a Sanremo, Sanremo News.it, 20 giugno 2017