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giovedì 31 luglio 2025

Il partigiano cerca di occultarsi nel fieno

Dintorni di Bosco, Frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: lokkio

25, 26, 27... lenti e terribili passano gli ultimi giorni di gennaio [1945]: il cielo è sempre grigio, il clima freddo, un vento gelato passa sulle vallate. Lassù sui monti nevosi il nemico continua a gravare con tutto il suo peso, il rastrellamento continua.
Che avverrà lassù? Potranno i partigiani sopravvivere? Quanti cadranno? Quanti saranno gli sbandati? Solo in seguito, quando il nemico avrà lasciato la zona, dai racconti dei borghesi e dalle parole degli scampati potremo a poco a poco ricostruire gli eventi, ma qualche episodio resterà oscuro per sempre.
Il giorno 20 all'alba il nemico era piombato a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], Degolla [borgata di Ranzo (IM)] ed Ubaghetta [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Contemporaneamente aveva occupato i paesi a fondo valle della Val d'Arroscia e fatta qualche puntata anche nel versante nord. Lo stesso giorno all'alba aveva occupato la Val Pennavaira investendo Alto, Nasino e Capraùna. Come si vede l'idea di Osvaldo [n.d.r.: Osvaldo Contestabile, poco tempo dopo commissario della IV^ Brigata della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"] di ritirarsi in Val Pennavaira non sarebbe stata felice.
Ad Ubaghetta l'allarme venne dato in tempo: la sentinella scorse la colonna che operava in Val d'Arroscia ed avvertì i compagni [n.d.r.: di una pattuglia della Divisione "Bonfante", di cui Gino Glorio, che lasciò scritto questo racconto, era amministratore]: quando il nemico prese il paese alle spalle questo era già sgombero.
Gli eventi di Bosco li ricostruii da vari racconti: quando venne dato l'allarme il nemico aveva già circondato il paese dalla parte sud ed individuato il casone dove alloggiavano i nostri. Qualcuno riuscì ancora a fuggire, gli altri, circa una decina, vennero catturati prima che potessero far uso delle armi. Nei primi istanti cadde uno dei nostri: il russo. I compagni lo sentirono rantolare mormorando parole della sua lingua, poi a poco a poco si spense. I prigionieri catturati vennero condotti fuori paese con due borghesi catturati nel trambusto e allineati sotto gli ulivi di fronte ad una mitragliatrice.
Chi mi raccontò la vicenda fu Megu [n.d.r.: Ugo Rosso, poche settimane dopo gli eventi qui descritti vice commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Bonfante"], lo studente in medicina che avevo visto il 19 sera. Era a Bosco con gli altri quella mattina, si erano svegliati e stavano scaldando le castagne, quando uno che era uscito a lavarsi scorge a breve distanza il nemico che si muove cautamente: «Ragazzi, i tedeschi!». Un breve grido. Si accorre alla finestra e si comprende che è troppo tardi per resistere: non c'è che da salvarsi singolarmente, ma ci sarà ancora il tempo?
Megu si lancia verso la porta, esce: sente una voce: «Tenente, una raffica da quella parte». E' Carletto. Megu è stato scorto: giù a terra! Una sventagliata di mitraglia passa qualche passo sopra di lui.
Un balzo e via, prima che il nemico spari ancora. Una corsa folle per le viuzze. I tedeschi sono già in paese: un nemico sbarca la strada puntando il fucile: «Alt!». Il partigiano si sente perduto: no, c'è una porta socchiusa. Uno scarto di fianco e Megu è in un fienile. Si guarda intorno: là c'è un'altra uscita: presto, il nemico lo segue! Il partigiano fa per balzare all'aperto, ma l'altra porta è sorvegliata. Un altro tedesco lo prende di mira, Megu balza indietro, di nuovo dentro, cerca di occultarsi nel fieno, ma ormai si sente perduto: i tedeschi entrano, rovistano ovunque, lo catturano.
Viene condotto fuori, sotto gli ulivi, allineato con gli altri compagni: di fronte hanno una mitraglia. Megu comprende, i suoi nervi si tendono fino allo spasimo nella ricerca di una possibilità di salvezza, di fuga nei brevi istanti che rimangono. Ecco: Megu conosce il tedesco, ascolta attento le parole dei soldati, gli ordini dell'ufficiale, osserva... osserva la mitraglia, vede che il nastro non è ancora in posizione: al mitragliere occorrerebbero pochi secondi per poter cominciare a sparare, bisognerebbe approfittare di quei secondi. L'ufficiale tedesco si rivolge ai nostri in italiano: «Se uno fugge spariamo sugli altri». Poi in tedesco al mitragliere: «Al mio comando inizia il fuoco». 
Megu comprende e pensa ad un inganno: «Ragazzi, ci ammazzano!». Un istante ed i partigiani d'un balzo si disperdono lanciandosi verso il basso: il nemico, per errore, ha lasciato la discesa alle loro spalle. Saltando i muretti di sostegno del terreno, i cespugli ed i fossati, i partigiani fuggono alla cieca: il pericolo è mortale ed il nemico può essere ovunque. Il mitragliere ha tentato di sparare, ma nell'orgasmo l'arma gli si inceppa; allora l'ufficiale impugna la pistola automatica e fa fuoco: cadono quattro compagni e i due borghesi che non erano fuggiti: «Ma io non sono partigiano!». Megu sente il grido disperato coperto dalla raffica. Gli altri riescono a fuggire.
Megu fa qualche decina di metri col cuore in gola, di corsa; poi vede che un tedesco lo ha preso di mira dall'alto di una rupe da pochi metri di distanza: «Alt!». Megu è di nuovo nelle loro mani.
Il prigioniero è condotto sulla piazza della chiesa, perquisito, privato di tutto, anche del poco tabacco, poi è lasciato ad un soldato che lo sorveglia da breve distanza. Il partigiano cerca di parlare col soldato servendosi della sua conoscenza della lingua. Conoscerà il suo destino? Potrà avvicinarsi al nemico e cercare di disarmarlo? Il tedesco intuisce le sue intenzioni e gli impedisce di avvicinarsi: «Ti fucileremo quando torna l'ufficiale, tarderà forse ancora dieci minuti... No, niente prete: il prete è scappato dal paese». Megu allora cambia tattica: il tedesco ha il fucile a tracolla, ci vorrà qualche istante perché possa usarlo. E' più facile che usi la pistola P38 che impugna, ma Megu può sperare di non esser preso al primo colpo. C'è poi la mitraglia pesante che era dei partigiani e che è rimasta sulla piazza, ma se si riesce a saltare nella fascia di terreno sottostante si è in un angolo morto e la mitraglia non è più temibile. Megu conosce la zona ed in pochi istanti potrebbe essere al sicuro in un rifugio. Il difficile è avvicinarsi all'orlo della piazza. Passano minuti che paiono eterni: il tedesco è seduto a breve distanza con gli occhi fissi su di lui e l'arma in pugno. Megu sa che deve distrarlo, deve riguadagnare la libertà in quei pochi minuti in cui sono solo loro due, poi non sarebbe più possibile. Megu chiede al tedesco se può allontanarsi per una necessità urgente. La scusa è puerile, ma non gli è possibile trovare di meglio. «No! Vai solo fin lì», risponde la sentinella indicandogli l'orlo della piazza. Megu obbedisce, si accuccia, al primo attimo di distrazione, senza alzarsi, si lancia giù dalla piazza. Il partigiano cade: il salto è stato più alto del previsto e non ha avuto modo di prendere l'equilibrio nè la spinta. Un colpo violento alla schiena e rimane senza fiato, bloccato. Il tedesco appare in alto, dalla piazza lo scorge riverso, lo prende di mira con la pistola. Megu sa che questa volta il tedesco tirerà senza indugio, fa uno sforzo supremo e si lancia in basso in un altro salto. Il soldato spara, ma non lo colpisce. Megu si rialza e scompare di corsa tra gli alberi. Dopo un mese i compagni portavano ancora il cibo a Megu nel rifugio: «Lo facciamo volentieri perché quel giorno ci ha salvato la vita, visto che sapeva il tedesco: ma da allora non è più uscito dal rifugio. Se continua ci farà i funghi».
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 149-152 
 
Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 i tedeschi, partendo da Cesio, cercano di portare un duro colpo alla Divisione Bonfante, iniziando un rastrellamento che interessa una parte consistente della Valle Arroscia e delle località, in particolare, di Alto, Nasino, Casanova Lerrone. A Bosco, frazione di Casanova Lerrone, riescono a circondare un casone che ospita un gruppo di partigiani. Dopo un aspro combattimento i dodici uomini che si trovano dentro il casone riescono a rompere il cerchio di fuoco e qualcuno evita la cattura. Cadono sul campo il sovietico Gospar, Rolando Martini (Indusco), William Bertazzini (Rosa), Gino Bellato (Gino). Bartolomeo Vio (Tron), della banda locale di Vendone, che in servizio notturno stava controllando le strade, benché ferito alla caviglia riesce a salvarsi con una fuga a perdifiato. Sono catturati e fucilati sul posto i civili Amedeo Bolla, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo è ucciso il civile Settimio Testa. I garibaldini che sono riusciti a sottrarsi alla cattura raggiungono le altre squadre del distaccamento.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

mercoledì 23 luglio 2025

Una cartoleria centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani di Imperia

Imperia: Via Ospedale ad Oneglia

Dall'Archivio Storico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (IsrecIm) affiorano storie straordinarie di fatti e di persone che costituiscono la Storia di questo angolo di Paese, il Ponente ligure, in un periodo particolare e determinante quale la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza, che è stato raccontato in alcune opere fondamentali tra cui la Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria).
E molte altre ne possiamo annoverare, di valenti studiosi e studiose locali, opere che hanno costituito le fonti di questo lavoro, insieme alla raccolta di testimonianze dirette.
Questo è un libro di passione, non pretende di essere esaustivo, ma è un percorso dentro la memoria locale per riprendere il filo di ideali, sentimenti, esperienze e aspettative che interessano ancora, per «orientarsi nella modernità confusa e smarrita», come dice Lidia Menapace.
Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke LoiaconoProtagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligureIsrecIm - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025,  p. 7

Come già detto, accanto all'organizzazione Gruppi di Difesa della Donna, abbiamo un'infinità di donne che hanno sopportato una serie ben lunga di sacrifici.
Non erano forse donne della Resistenza tutte le madri, le spose e le sorelle dei patrioti? Non erano esse stesse partecipi dei rischi e dei tormenti dei loro cari? Quante preghiere venivano pronunciate nelle case o nelle chiese per la salvezza dei propri congiunti!
Nei casoni e nei fienili, impropriamente chiamati ospedaletti da campo partigiani, in ogni ora del giorno e della notte le donne erano pronte ad accogliere feriti e malati per curarli, sfamarli e rincuorarli. E tra esse, le suore negli ospedali hanno offerto esempi di dedizione infinita, sopportabile da chi è retto da una fede trascendente che fornisce il duplice dono del sacrificio e del coraggio nell'affrontare la morte stessa con una serenità d'animo eccezionale e consapevole.
Il servizio staffette nelle formazioni molte volte veniva svolto da ragazze che, attraverso sentieri mozzafiato, si recavano in zone distanti anche alcuni chilometri per portare circolari, notizie o segnalazioni.
E in banda la donna con il fucile in mano rivestiva il ruolo, tipicamente maschile, del guerriero in lotta. Sparava come l'uomo nell'impeto della battaglia, e della delicatezza della sua figura e del disagio tra quegli spari nulla doveva affiorare, perché in certe situazioni non poteva esistere debolezza o privilegio.
Quanti ruoli la donna abbia sostenuto nella Resistenza è difficile dire, perché se si possono descrivere fatti accaduti, mi pare non sia possibile penetrarne lo spirito, l'ispirazione, i moventi autentici per cui scatta l'azione. Ho cercato, comunque, di chiarire come la partecipazione della donna nella Resistenza italiana, perciò anche in quella imperiese, sia costituita da una vasta gamma di impegni ed abbia origine da svariate direzioni.
E mi rammarico per l'impossibilità di ricordare l'interminabile serie di interventi di donne nella lotta, perché una ricerca seria presenterebbe problemi pressoché insolubili ed un impegno gravoso anche per il fatto che tante protagoniste, veramente modeste ed aliene da riconoscimenti ed onori, non intendono fornire notizie sulla loro attività resistenziale, mentre altre, purtroppo, sono invecchiate, malate o scomparse. Ed ancora, come ho già accennato in altra parte, occorrerebbe per ognuno dei tanti argomenti, una singola pertinente pubblicazione.
In appendice a questo capitolo è riportato l'elenco delle donne partigiane, patriote e collaboratrici del movimento organizzato di Liberazione nella nostra provincia. Ma, prima dell'elenco finale, mi siano permesse alcune citazioni e qualche breve commento.
Pietro Roggerone, nel corso di un rastrellamento, viene arrestato e condotto a Sanremo con una decina di prigionieri in ostaggio; una ragazza, Anna Lanteri, riesce a far fuggire tutto il gruppo (1). Risulta inoltre che la coraggiosa ragazza abbia salvato addirittura una cinquantina di civili incappati in un rastrellamento. Successivamente sarà arrestata.
Le SAP non sono un'organizzazione prettamente maschile. Anche le donne sanno combattere: «Nei primi mesi dei 1945 i sapisti della III Brigata riuscivano a disarmare una quindicina di militari italiani e tedeschi. Azioni rischiose nelle quali si distinsero per il coraggio dimostrato anche le giovanissime sapiste Palma Bianca e Daolio Nanda, seguite da un folto gruppo di donne, quali Elena Caterina, Robino Carolina, Garibaldi Geromina, Trevia Elisabetta, Agnese Teresa, Bestoso Emilia, Piana Gilda, Verda Lucia, Vittoria Giobbia (Sanjacopo), ed altre della Val Steria che si adoperarono instancabilmente per la lotta di Liberazione...» (2).
La professoressa Vittoria Giobbia (Sanjacopo), donna eccezionale il cui antifascismo è radicato ed autentico dirige le SAP femminili in Diano Marina. Organizzatrice abile e coraggiosa, lancia alla gioventù studentesca il suo appello alla lotta. Costituisce otto nuclei resistenziali: a Cervo, San Bartolomeo, Tovo Faraldi, Villa Faraldi e quattro a Diano Marina.
Verso la metà dell'ottobre 1944 è ricercata dalle SS perché la sua abitazione in Diano Marina (al n° 1 di via Genova) viene riconosciuta come centro dell'attività clandestina. Fugge, ma non si rassegna. Riprende i contatti con l'organizzazione femminile di Imperia e, naturalmente, con quella di Diano Marina. Ritorna alla guida del movimento femminile ed è preziosa collaboratrice del CLN locale con i collaterali movimenti maschili della Resistenza. Donna di cultura, incaricata dei corsi di traduzione della Facoltà di lettere dell'Accademia di Digione, già dal sorgere del fascismo in Italia si era rivelata come una delle più acerrime nemiche della dittatura (3).
Alba Rizzo di Camporondo (Diano Borganzo) è la staffetta che informa giornalmente i patrioti locali di stanza nei pressi di Diano Roncagli. Verso le 15 del 1O gennaio 1945 un gruppo di Tedeschi, guidato da una spia mascherata, irrompe all'improvviso nella zona e minaccia di sorprendere l'accampamento dei garibaldini di «Stalin»; anche da altre due direzioni giungono colonne nemiche. La ragazza intuisce il pericolo, percorre la salita a perdifiato ed avvisa i partigiani che riescono a mettersi in salvo occultando il materiale. Alba è stremata: al giungere dei Tedeschi si butta a terra e si salva fingendosi morta (4).
Analogamente, il 2 agosto 1944, un'altra ragazza, Lucia Ardissone, dopo un'estenuante corsa riesce ad avvisare una decina di giovani di Roncagli che dormono in una baita in località denominata «Piano della Chiesa», salvandoli perciò dalla morte (5).
Il 29 gennaio 1945 durante un rastrellamento Francesco Camiglia tenta la fuga attraverso i tetti, ma è ferito e chiede un disperato aiuto alla madre. Viene catturato e trascinato verso un albero di pero per essere impiccato. Gli passano il cappio intorno al collo. La madre, presa dalla disperazione raccoglie tutte le forze e si scaglia con un urlo straziante contro i Tedeschi che la respingono (6).
Povera madre, la Resistenza è fatta anche di te. Il popolo ti deve gratitudine, come gratitudine deve alla madre del sapista Augusto Vignola che, per tanti giorni, paziente e trepida di speranza, si avvia alle carceri di Oneglia con il pacchetto contenente il cibo per il figlio prigioniero. Patetica madre, tuo figlio è stato assassinato da alcuni giorni. Anche tua è la Resistenza.
Mi disse un giorno Vera Belgrano (Pia): «Nel capitolo dedicato alle donne della Resistenza Imperiese non dimenticarti di Liliana e di Maria, che avevano sposato i fratelli Quaglia, noti pollivendoli di Oneglia, un triste giorno i due giovani con il camioncino per il trasporto del pollame passarono su una mina posta dai partigiani sulla via Aurelia per far saltare automezzi nemici in transito. Sfortunatamente il camioncino saltò in aria ed i due fratelli morirono. Erano due bravi giovani antifascisti e le loro mogli collaboravano con noi del GDD. Un mattino, dopo il triste fatto mi recai in casa di una delle vedove e la trovai nell'atto di pregare davanti alla fotografia del marito vicino al lumino. Assistere a tanto dolore, dignitoso e composto mi si restrinse il cuore di commozione...». Eppure, comprendendo la fatalità, dell'accaduto, le due donne continuarono la lotta contro il fascismo portando documenti della Resistenza, anche a rischio della loro vita (7).
La stessa Vera Belgrano passa momenti drammatici. Nel corso di un rastrellamento i Tedeschi perquisiscono la sua casa a Costa di Oneglia: buttano tutto sotto sopra, ma fortunatamente non trovano la macchina da scrivere ed i documenti del FdG e dei GDD.
«Forse - dice Vera - i Tedeschi erano troppo impegnati a cercare denaro ed oggetti preziosi, che trovarono ed asportarono; ma ho benedetto quel furto che mi ha salvato la vita!».
Giovanna e Nina sono le sorelle di Giacomo Amoretti (Menicco). Che dire di loro? Sono della famiglia Amoretti e non mi sembra il caso di enumerarne i continui pericoli sopportati con quella cartoleria all'inizio di via Ospedale, diventata centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani.
Tra i miei ricordi, Velia Amadeo, mia cugina. Ero piccolo e, malgrado il gran numero di anni passati, mi rivedo alla finestra dell'abitazione di mia nonna, al primo piano di piazza San Francesco, dove è situata l'attuale Camera del Lavoro. Assisto agli ultimi sprazzi di quel carnevale del 1930. È la sera del 3 marzo e vedo le scene di allegria popolare di quell'epoca. Rivedo sulla piazza i miei zii Alessandro (Pepen) e Raffelina, spontanei ed allegri come era possibile allora. Ma qualche centinaio di metri distante, dal porto di Oneglia scivola silenziosa sull'acqua una barca di pescatori sulla quale c'è la loro figlia Velia con tre antifascisti. Vogliono espatriare, fuggire lontano dalla nostra terra oppressa, per continuare all'estero la loro battaglia. Il mattino seguente, la notizia della fuga tramuta quella gioia spontanea in cupa disperazione. Velia non ritornerà più nella sua casa, ingoiata con i compagni dai gorghi del mare.
Ed Anna, madre di Wladimiro, è la sorella di Giacomo Seccatore, sempre perseguitato dal fascismo. Anche lui morirà presto, vittima delle sue idee e della lotta per la libertà. Anna Seccatore abita sullo stesso pianerottolo della mia famiglia. Le porte dei due appartamenti sono affiancate, in quel corridoio di piazza San Francesco, nel portone adiacente a quello già ricordato di mia nonna. Wladimiro ed io siamo piccoli ed amici; dalle parole carpite dai miei genitori sento che la madre di lui vive anni di tormento per il fratello imprigionato, confinato e perseguitato.
[NOTE] 
(1) Cfr. F. Biga. Diano e Cervo nella Resistenza, op. cit., pag. 100. 
(2) Ibidem, pag. 186.
(3) Ibidem, pag. 236.
(4) Ibidem, pag. 195.
(5) Ibidem, pag. 114.
(6) Ibidem, pag. 200.
(7) Testimonianza orale di Vera Belgrano (Pia).

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1992, pp. 582-585

19 Ottobre [1944]. 
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto, presero la signorina B., sorella di un "fuorilegge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità. Una ragazza giovanissima tra le mani di quella gente chissà che cosa deve aver provato: sofferenze atroci, tanto che ora si trova in uno stato pietosissimo in una clinica sotto la cura di diversi professori, i quali fecero una denuncia al Comando della G.N.R. dimostrando come stanno le cose. I colpevoli, tre o quattro, sono stati arrestati e ora si attende il processo che dovrà esserci in questa settimana.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006, p. 20

28 febbraio 1945 - Dai Gruppi Difesa della Donna della provincia di Imperia al Comitato regionale del Fronte della Gioventù e dei Gruppi Difesa della Donna - Relazione sull'attività del mese di febbraio, da cui si evince che i gruppi erano organizzati e retti da un triumvirato femminile, composto da un'operaia e da due intellettuali; che la citata operaia si stava adoperando per creare nuovi comitati; che le donne intellettuali curavano la stampa e la propaganda tra le giovani nella scuola e nelle fabbriche; che erano stati riallacciati i contatti con le vallate e con l'organizzazione del Fronte della Gioventù; che il servizio di spionaggio era già in funzione e che alcune impiegate delle Poste avevano già fornito notizie utili a salvare la vita a diversi partigiani.
Documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)- Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 20 maggio 2025

I rastrellatori tedeschi uccisero il Segretario Comunale di Borghetto d'Arroscia

Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: mapio.net

Non si era ancora spenta l'eco del colpo all'ospedale che una grave notizia metteva in agitazione l'intera provincia.
Si trattava di questo.
La questura di Imperia, forse in cerca d'una altrettanto clamorosa rivincita, minacciava la fucilazione di 17 prigionieri politici qualora non fossero stati rilasciati entro il 14 aprile 1945, un commissario e un agente di Pubblica Sicurezza da lei dipendenti, catturati dai partigiani a Diano Arentino qualche settimana prima. Tale divisamento era espresso in una lettera della Questura al Comando S.S. germanico di S. Remo in data 7 aprile.
Della grave questione la questura interessò Mons. Luigi Boccadoro, arciprete della Basilica di S. Siro in Sanremo, ma, forse con malizia, lo si fece soltanto il giorno undici, quando cioè mancavano appena 4 giorni alla scadenza dell'ultimatum.
Tuttavia il fatto non scoraggiò il degno sacerdote il quale si sentì anzi stimolato ad accelerare la sua efficace e delicata opera di mediazione consistente nel risalire, grado a grado, dal partigiano "Robinson" comandante del Distaccamento SAP "Zamboni" al CLN Circondariale e a quello Provinciale sino al Comando Zona, riuscendo in tal modo, a salvare la vita dei 17 ostaggi, ma non a impedire che, proprio nello stesso giorno in cui era stato investito della difficile missione, i nazifascisti, quale primo provvedimento, incendiassero e distruggessero undici case di Diano Arentino, il paese dov'era avvenuta la cattura dei due questurini.
In montagna e comunque da parte delle formazioni che vi stanziavano, l'attività era ancora più intensa che sulla costa.
Alcuni episodi, scelti fra i numerosi riferiti nei rapporti giornalieri degli stessi comandanti dei reparti che ne furono testimoni o protagonisti, ne offrono la più credibile e drammatica delle conferme.
11 aprile
Nella Valle del Cervo 200 rastrellatori tedeschi si scontrano con il Distaccamento "Garbagnati" della Brigata "Belgrano", il quale riesce a bloccare il nemico sparando dalle trincee in precedenza approntate da militari germanici. A conclusione dello scontro a fuoco durato l'intera mattinata, i partigiani possono sganciarsi indenni mentre nelle file nemiche si contano 6 morti e numerosi feriti.
12 aprile
(Div. Cascione - brg. Nuvoloni)
Il SIM della Brigata segnala che partigiani garibaldini hanno catturato nei pressi di Goina una decina di nazifascisti; il 4° Distaccamento del Batt. "D. Rossi" attacca sul Monte Trono una pattuglia di 25 tedeschi; un ferito grave fra i partigiani, 3 morti e un ferito fra i nemici.
13 aprile
A Borgo di Ranzo e a Borghetto d'Arroscia, rastrellatori tedeschi catturano il Segretario Comunale di Borghetto e, dopo averlo crivellato di fucilate, ne precipitano il corpo nel fiume sottostante da uno strapiombo di 20 metri.
14 aprile
(Div. Bonfante - Brigata "Belgrano")
A Pogli una squadra del Distaccamento Piacentini attacca il presidio avversario. Altra squadra del Distaccamento "Agnese" sorprende una colonna nemica uccidendo 3 cavalli.
Div. Cascione - brg. Nuvoloni)
A S. Faustina una pattuglia del 4° Distaccamento (Battaglione "Rossi") affronta una squadra nazifascista. In località Rocche di Drego a seguito di una azione effettuata dal Comandante della Brigata saltano 35 metri di strada.
[...]
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni - Bologna, 1970

Il 15 aprile alcuni garibaldini del Distaccamento "Castellari" attaccarono una colonna tedesca che si trasferiva da Garlenda (SV) ad Albenga (SV).
Una squadra del IV° Distaccamento della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione" si scontrava con alcuni tedeschi che scortavano un carro, uccidendone due.
Nella stessa serata gli stessi garibaldini attaccavano una motocicletta, che trasportava due ufficiali ed una donna, i quali nell'attentato trovavano la morte.
Sempre il 15 aprile una staffetta avvisava il I° Distaccamento del Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" che "a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri i quali erano venuti allo scopo di asportare bestie da soma. Il comandante 'Italo' chiedeva rinforzo al II° Distaccamento, andando a prendere immediata posizione con 12 uomini sotto Pietrabruna" sulla carrozzabile Pietrabruna-Torre Paponi.
Dopo un paio d'ore, i bersaglieri, che appartenevano alla VI^ compagnia di stanza tra Riva Ligure e San Lorenzo al Mare, mentre ritornavano con un bottino di 16 muli, venivano attaccati, subendo l'uccisione di 10 soldati, la cattura di altri 2 e la perdita di materiale bellico, consistente in 1 mitragliatore Breda, 1 mitragliatore Saint Etienne, 1 mitra Beretta, 5 moschetti con relative munizioni, 3 pistole e 5 bombe a mano.
I bersaglieri, che riuscirono a fuggire, diedero l'allarme: "da Imperia partiva prontamente, per portare rinforzo, un automezzo con a bordo una quarantina di Brigate Nere ed un cannoncino da 75 mm. Anche questi venivano attaccati in due riprese e subirono la perdita di 6 uomini".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

venerdì 11 aprile 2025

Donne imperiesi dall'antifascismo alla Resistenza

Imperia: nei pressi del ponte stradale sul torrente Impero

A Imperia, la giovane Velia Amadeo, ai primi di marzo del 1930, nell'accompagnare in una barca il fidanzato, il giovane comunista Vincenzo Bottino, nel tentativo di espatriare nella vicina Francia, periva con lui.
Ancora più significativo il caso di Ornella Musso, di Oneglia, che seguì in Spagna il padre Felice espatriato per motivi politici. Ivi la solidarietà familiare divenne un preciso e autonomo impegno politico, in quanto la Musso collaborò a Radio Barcellona durante il periodo della guerra civile.
Sempre nella provincia di Imperia, a partire dalla fine degli anni trenta, spuntava un vivace antifascismo tra gli intellettuali, tra cui alcune donne. Così la prof. Antonello-Brusco fu minacciata, redarguita e molestata: il movimento si fece più intenso dopo lo scoppio dello seconda guerra mondiale, quando alcune professoresse e intellettuali parteciparono addirittura a gruppi di chiaro stampo antifascista: la prof. Vittoria Giobbia, la prof. Costanza Costantino, Letizia Venturini, traduttrice del libro di Rauschnig, "Hitler m'a dit", la prof. Adelina Biglia, che fu addirittura arrestata per avere confidato ad un'occasionale conoscente che era tempo di porre fine alla guerra.
Sempre a Imperia Fede Amoretti assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare influenzato dallo zio Giacinto Menotti Serrati già dirigente nazionale del partito socialista, e Uliana Zanetta dal padre che durante il ventennio era costantemente sorvegliato speciale perché comunista. Anche Alba Berio, costretta ad emigrare durante il fascismo per le angherie subite, fu iniziata all'antifascismo dall'ambiente familiare, e così Maria Ricci, proveniente da famiglia di vecchi socialisti.  
Teresa Agnese di Albenga fa risalire il suo sentimento viscerale contro i fascisti alle minacce di bastonature e di purghe che i fascisti fecero contro la sua famiglia. Bianca Calvi di Imperia, più che dall'ambiente familiare, trasse alimento al suo antifascismo dall'ambiente di lavoro, l'oleificio Agnesi, dove i pochi operai e le poche operaie fasciste erano isolati e guardati con sospetto.
Assunta Berro Bianchi di Imperia imparò l'antifascismo dal padre più volte arrestato durante il regime. Padre e marito di Maria Terrone di Valloria erano anch'essi antifascisti, tanto che l'intera famiglia fu costretta ad emigrare per un certo periodo in Francia. Tebe Demonte di Imperia maturò il suo antifascismo sia dall'ambiente di lavoro "molto duro", sia dal marito Adolfo Stenca iscritto al PCI, e anche Olinda Aicardi, operaia di Imperia, assimilò l'antifascismo dall'ambiente familiare (suo padre era un vecchio socialista) e da quello di lavoro.
Nella famiglia di Anna Bonfante si tenevano riunioni antifasciste con distribuzione di volantini e scambio di notize già prima del 1943, e anche la famiglia di Gilda Piana di Diano era antifascista. Anche Aurelia Rebecco di Pairola, madre di un partigiano fucilato [n.d.r.: Alberto Lorenzi], maturò il suo antifascismo attraverso il marito. Maria Lanteri di Triora dichiara di aver ricevuto l'antifascismo "in casa". Per Milena Massa di Diano Marina la tradizione antifascista e socialista di casa sua le rese poi, secondo le sue parole, "la scelta facile"; anche Giulia Negro di Imperia, moglie di un antifascista, fu iniziata all'antifascismo dal marito, mentre Andreina Rondelli imparò l'antifascismo dalle esperienze e dalle angherie subite dal padre. Angela Carbone di Sanremo, trasse ispirazione al suo antifascismo dal padre socialista. Maria Scotti di Pigna, levatrice, assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare cattolico, e così Emma Borgogno di Perinaldo ereditò l'antifascismo dall'ambiente familiare socialista, allo stesso modo di Giorgina Ascheri di Dolcedo.
Danilo Veneruso, La donna dall'antifascismo alla Resistenza in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979

Felice Musso, ex sindaco socialista di Castelvecchio, all’avvento del fascismo dovette lasciare il paese perché perseguitato e si rifugiò nella vicina Nizza, come tanti compaesani. La famiglia lo raggiunse piuttosto tardi, nel 1930, la moglie Giuseppina, la figlia Ornella e il figlio Lorenzo, il quale si inserì subito nell’organizzazione socialista al fianco del padre e dei vecchi compagni imperiesi <335.
Giuseppe Amoretti, il “Moretto” comunista di Oneglia, lasciò Imperia anch’egli dopo il dissesto finanziario della sua attività di commercio in olio, e grazie alla dote della moglie poté rilevare un negozio di commestibili nel cuore della Vieille Ville, intrico di vicoli dove dal secolo precedente gli italiani si erano installati con le loro botteghe, alimentari, ristoranti. Egli si inserì dapprima nel movimento comunista italiano a Nizza, ottenendo ruoli di responsabilità, in stretto contatto con Felice Musso e i compagni imperiesi, poi si integrò sempre più nelle organizzazioni del Pcf, mantenendo rapporti con l’emigrazione antifascista e con la sinistra locale <336.
[NOTE]
335. AIsrecIm: IID4: f. Lorenzo Musso.
336. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015

[...] Dilanda Silvestri che aiuta il padre Michele (Milano) nella sua opera a favore della Resistenza; Iolanda Zunino (Spavalda) non ha congiunti da coadiuvare, ma si impegna in prima persona in qualità di staffetta dei distaccamenti cittadini; Gea Gualandri è un'attiva collaboratrice; Cesira Lanteri ospita i partigiani nella sua casa nella zona di Langan ed i Tedeschi, scoperta l'attività, incendiano l'abitazione; la professoressa Adelina Biglia è arrestata nel maggio 1943; la professoressa Letizia Venturini è nei gruppi antifascisti già prima del periodo resistenziale e traduce scritti da diffondere clandestinamente; la professoressa Costanza Costantini di Torino è pure lei nel gruppo antifascista.
Né si debbono dimenticare Jose Pila, collaboratrice nella zona di Costa d'Oneglia; le sorelle Evelina e Giuliana Cristel, già citate nel capitolo dedicato al FdG; Teresa Vespa Siffredi, internata nel campo di concentramento di Fossoli; Iside Corradini, uccisa sulla via Aurelia e buttata nella scarpata sottostante per non aver consegnato la bicicletta ai Tedeschi.
[...] Tra le fotografie riportate alla fine di questo capitolo figura l'interessante nota della direzione delle carceri giudiziarie di Sanremo che, in data 29 marzo 1945, dà notizia della detenuta Anna Maria Borgogno, ricoverata presso l'ospedale civile, sorvegliata dalla GNR e da consegnare successivamente al Comando tedesco per l'inevitabile fucilazione. Con lei è una altra donna, Bianca Pasteris (Luciana), ferita e catturata a Beusi, destinata ad analoga sorte.
Di Ada Pilastri (Sascia) si deve ricordare il bellissimo racconto della marcia sulla neve per procurare farina e viveri alle nostre formazioni. Rina Moraldo nel marzo 1945 salva il Comando garibaldino: di buon mattino, mentre si reca a Gerbonte per assistere alla Santa Messa, scorge i Tedeschi intenti a piazzare mitraglie a Loreto ed a Creppo, perciò ritorna sui suoi passi ed avverte tutti i partigiani.
E Pierina Boeri (Anita) è una partigiana vissuta soltanto di coraggio e di esempi sul campo di battaglia.
Nel capitolo concernente la Sanità partigiana sono ricordate benemerite suore ed infermiere: Angela Roncallo (Fernanda) nel suo diario alterna la pateticità alla disperazione. Ida Rossi (Natascia), diciannovenne, bionda e graziosa, si trova a Upega in quel tristissimo 17 ottobre 1944; è infagottata in una divisa da soldato tedesco, ma ciò non le consente di sfuggire alla cattura anche se poi, facendo tesoro delle risorse inesauribili della personalità femminile, riuscirà a sfuggire alla morte. A Triora, Antonietta Bracco è tuttora un esempio di dignità e di entusiasmo per la missione compiuta. E Ornella Musso passa di battaglia in battaglia contro il fascismo, dall'Italia alla Spagna, e ancora in Italia per la battaglia finale.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, 1992

Ad Imperia Uliana Zanetta si era messa in contatto con Anna Airaldi e Bianca Novaro e insieme avevano formato l'embrione dei Gruppi di difesa della donna, che avrebbero poi svolto la loro attività nella zona. L'Airaldi, che lavorava nella fabbrica Renzetti, si occupava del lavoro tra le operaie, la Zanetta di quello tra le studentesse, nel tentativo di convolgere il maggiore numero di donne appartenenti a strati sociali diversi nell'opera di aiuto ai partigiani. Dopo un lavoro capillare, andando casa per casa a parlare con tutte le ragazze di loro conoscenza, erano riuscite a creare una vera e propria organizzazione.
Giuseppe Benelli, La Resistenza femminile in città in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979 

mercoledì 26 marzo 2025

A Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi

Pontedassio (IM)

Pontedassio
(ab. 1807, cens. 1951)    
(con le frazioni Bestagno, Borgata Monti, Villa Guardia e Villa Viani)

L'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio, era di presidio sul territorio del Comune un Battaglione di artiglieria del Regio Esercito, che si disperse all'arrivo dei tedeschi. Pochi giomi dopo, una ventina di giovani di Pontedassio si portavano in località Monti dove rimanevano circa due mesi, quindi si sbandavano: alcuni ritornavano a casa, altri raggiungevano i partigiani in Piemonte, altri ancora entravano a far parte della Divisione Garibaldi "F. Cascione".
Considerata la località strategicamente importante, i tedeschi organizzavano a Pontedassio un presidio, prima di un centinaio, poi di alcune centinaia di soldati con il Platzkommandantur agli ordini dell'ufficiale Schmidt. Piazzarono batterie antiaeree nel capoluogo, a Villa Guardia e a Bestagno, dove costruirono fortificazioni e trinceramenti. Circa cinquanta tedeschi occuparono Villa Viani e insediarono nei pressi di Pontedassio un grande autoparco dove custodire i numerosi mezzi che avevano in dotazione.
A fine dicembre 1943 si aggregava ai tedeschi una squadra di una ventina di fascisti di "Ordine Pubblico" al comando di Armando Carassale. Nel gennaio 1944 giungeva nel Comune un'altra formazione della Repubblica Sociale, detta "Battaglione Genio Italiano N.1" e comandata daI tenente colonnello Gisulfo.
Il 25 luglio i soldati della III Compagnia alpina tedesca compivano un grande rastrellamento nella zona, infierendo sulla popolazione di Villa Guardia e Villa Viani e rapinando bestiame, pollame, vino, biciclette, radio e così via. Furono anche prelevati venti ostaggi poi trasferiti ad Arma di Taggia, sottoposti a maltrattamenti e rilasciati dopo quarantacinquegiorni.
Nell'agosto 1944 la Piazza di Pontedassio era comandata dall'ufficiale Schmidt.
I tedeschi occupavano le scuole ed il Comune, dove istituivano una prigione. Altro duro rastrellamento il 25 agosto successivo, durante il quale venivano uccisi i civili Felice Dani e Valente Marvaldi. Nove militari del Capoluogo, quattro di Bestagno e due delle Ville subivano la deportazione nei campi di concentramento in Germania. Gravi danni causava il nemico alla popolazione: rapine nelle abitazioni, tre case distrutte, una dozzina di casoni di campagna incendiati, quindici muli e una ventina di bovini, nonché tutti gli animali da cortile, depredati.
Nonostante la forte pressione degli occupanti sul paese, la popolazione manifestò sempre a suo modo e con vari mezzi più o meno clandestini il suo appoggio alla Resistenza. Solo nel settembre 1944, tuttavia, poté costituirsi un vero CLN, composto da Carlo Pansieri (PSIUP), presidente, Leonardo Pansieri (indipente), Napoleone Zerbone (PCI) e Carlo Risso (Partito Repubblicano), i quali, pur nella precarietà della situazione, si impegnarono a fondo nell'aiuto ai partigiani combattenti e nella difesa della popolazione dalle misure vessatorie del nemico.
Continuarono invece ad agire al di fuori del CLN gli antifascisti Nino Verda, Albino Quarti, Francesco Aicardi ed altri, tra i quali il tenente colonnello Alberto Varusio, che tenne collegamenti con il Corpo Italiano di Liberazione operante al fianco delle armate alleate.
Alla Liberazione Pontedassio veniva occupato da partigiani del II Battaglione della IV Brigata "Elsio Guarrini". La Giunta della Liberazione risultò così composta: Francesco Aicardi, sindaco, con Nicola Anselmi e Albino Quarti, assessori.
Tredici i cittadini di Pontedassio, ivi compresi una donna ed il solo caduto [Armando Gerini (Armando)], riconosciuti partigiani combattenti. Felice Scotto (Gapon) fu commissario politico della IlI Brigata "E. Bacigalupo" (VI Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante).
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 124,125

Il 10 febbraio 1945 iniziarono a concentrarsi nella zona Pontedassio-Chiusavecchia truppe nemiche, principalmente uomini appartenenti alle Brigate Nere: una parte di questi partecipò ad un rastrellamento di quattro giorni dopo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

Moro Pietro: nato a Pigna il 15 gennaio 1916, squadrista della Brigata nera “Padoan”
Interrogatorio del 13.7.45: [...] Rimessomi dalla ferita, alla fine del febbraio 1945, venni inviato a Pontedassio, in servizio all’UNSA, per il controllo del conferimento all’ammasso dell’olio dove rimasi fino a pochi giorni prima della liberazione.
[...] Lorenzi Giovanbattista: nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 17.11.1945: [...] Verso i primi di febbraio venni inviato al distaccamento di Cervo Ligure, in servizio al posto di blocco dove rimasi per più di un mese, dopodiché venni trasferito a Pontedassio, presso quel distaccamento, con l’incarico di controllo ai frantoi per il conferimento dell’olio agli ammassi. A Pontedassio sono rimasto fino alla vigilia della liberazione, in quanto venni rilevato con un camion e seguii la sorte dell’autocolonna dei fascisti fuggitivi. [...] Allorché mi trovavo in forza al distaccamento di Pontedassio presi parte all’azione di rappresaglia avvenuta in S. Lazzaro, poiché in detta località era stato prelevato dai partigiani un milite. Nel suddetto paese venne incendiata una casa e precisamente la prima a destra entrando in paese. L’azione di rappresaglia avvenne pochi giorni prima del nostro esodo dalla Liguria.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

20 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando di Moschin [Carlo Mosca] aveva attaccato ed ucciso 3 tedeschi il 9 gennaio sulla strada statale 28 nel tratto Pontedassio-Frantoio Biscialla.
10 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", prot. n° 279, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che negli ultimi giorni in ... Pontedassio e Chiusavecchia si erano concentrati molti nemici; che a Pontedassio vi erano 10 cannoni di grosso calibro, 1500 soldati nemici, 500 cavalli, 2 stazioni radio-trasmittenti...
14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2...
21 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/65, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - ... Aggiungeva la notizia che a Pontedassio si stavano concentrando molti soldati nemici con una motivazione, quella di effettuare delle esercitazioni, che poteva in realtà celare la preparazione di un rastrellamento a danno delle formazioni partigiane.
1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... il 28 febbraio erano transitati circa 400 tedeschi provenienti da Ventimiglia e diretti a Pontedassio, tutti giovani appartenenti alla FLAC...
12 marzo 1945 - Da un informatore non individuabile alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi...
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ['Livio' Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 aprile da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Grot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio...
20 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria, alla Sezione SIM della II^ Divisione, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che... sulla strada n° 28 il movimento nemico era aumentato, ma limitato a spostamenti da un presidio ad un altro. Che in particolare i soldati si sposatvano verso Pontedassio e Pieve di Teco, dove continuava la preparazione di costruzioni difensive.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 109, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... da Nava giungevano una volta a settimana a Pontedassio (IM) circa 10 carri che, dopo un pernottamento, ripartivano per il Piemonte con viveri procurati sulla costa, formando una colonna priva di scorta, mentre gli uomini addetti a quel trasporto erano quasi tutti polacchi, serbi, sloveni, russi.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Ribadiva il contenuto della segnalazione sulle Brigate Nere fatta con prot. n°1/91 del 13 marzo 1945. ... a Pontedassio 60 tedeschi con il compito di sorvegliare i magazzini viveri...
26 marzo 1945 - Dal comando della VI Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 248, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Segnalava, come riferito da informatori, che ogni settimana arrivava a Pontedassio una colonna di carri nemici per caricare viveri da portare in Piemonte via Col di Nava...
13 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 133, al comando della VI^ Divisione - Comunicava che... a Pontedassio erano rientrati i tedeschi che il 2 aprile avevano abbandonato quel presidio.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

[Franco Ghiglia] Era entrato giovanissimo nel Distaccamento "Walter Berio" della 4a Brigata Garibaldi della II Divisione "Felice Cascione". Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di "Gigante", ma una di queste (avvenuta l'8 gennaio 1945), gli fu fatale. "Gigante" e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d'Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma "Gigante" era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all'immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell'episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l'inizio tormentoso della fine [...]
Redazione, Franco Ghiglia, ANPI, 25 luglio 2010

6 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il giorno prima era stato impiccato a Pontedassio dai tedeschi il garibaldino "Gigante" [Franco Ghiglia]...
da documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 10 marzo 2025

Nell'Albergo Miramare è installato il Comando Tedesco della Piazza

Sanremo (IM): Miramare Palace

Anche Bussana viene coinvolta in tragici episodi: il 14 [marzo 1945] gruppi di fascisti giungono nella località con mezzi motorizzati, insediano un posticcio tribunale nel palazzo scolastico per giudicare il garibaldino Roberto Muratore. All'accusa di essere partigiano, questi risponde: "Sono un padre di famiglia che ha fatto una scelta, voi avete fatto la vostra, io ho scelto quella della libertà, dell'onore, dell'Italia libera". Il Muratore è condannato a morte dal tribunale che è presieduto da Aldo Vandone, maggiore della GNR. Condotto nel Parco della Rimembranza, dietro al monumento, è legato su una sedia e alle ore 13 una scarica lo uccide.
Il garibaldino Fulvio Vicàri (Lilli), era addetto allo svuotamento dei proiettili accattastati nella polveriera di Val Gavano: l'esplosivo ricavato veniva utilizzato dalle formazioni partigiane per opere di sabotaggio (distruzione di ponti, strade e così via). Purtroppo, durante il lavoro di ricupero, un proiettile esplode e lo uccide. Il tragico episodio si verifica il 15 marzo. Fulvio Vicàri era stato un bravo combattente tanto da venire insignito di medaglia d'argento al valor militare, alla memoria, per attività partigiana.
Il giorno 16, alcuni partigiani della V Brigata attaccano una carretta nemica che sta scendendo da Carmo Langan, due tedeschi subiscono gravi ferite; la carretta è di scorta ad una trentina di uomini diretti verso Pigna. A quanto pare, i rastrellamenti dovranno continuare perché a Sanremo giunge nuovamente il famigerato maggiore Kruemel, che già si era coperto di crimini nell'estremo ponente ligure. Nonostante ciò, il morale del nemico diventa sempre più basso e il CLN della città ne approfitta lanciando manifestini di propaganda, quasi quotidianamente, che giungono anche tra le forze armate nemiche tramite infiltrati. Inoltre questi manifestini sono lanciati anche a Bussana, Taggia, Ospedaletti, Bordighera ed in altre località costiere e del retroterra.
A metà mese, per ragioni tattiche e strategiche, il Comando I Zona Operativa Liguria, che doveva avere sempre presente un quadro della dislocazione e degli accantonamenti delle forze nemiche nella zona di operazioni della V Brigata, invitava il garibaldino Franco Bianchi (Brunero), responsabile del SIM della Brigata stessa, a compilare tale quadro il quale inseriamo in questo capitolo come testimonianza documentale di notevole importanza, poiché serve per avere una visione completa della lotta che si è svolta in quel periodo. Il "Brunero" comunica al Comando della I Zona una relazione la quale recita: "Ad Arma di Taggia non esiste alcun presidio nazifascista. Completamente vuota è la Caserma Revelli. A Taggia il presidio è composto da una trentina di Tedeschi e da una diecina di militi della Pubblica Sicurezza. Parte dei Tedeschi che componevano tale presidio, sono partiti per Imperia, in questi ultimi giorni, per proseguire poi per Genova. I rimasti avrebbero dovuto seguirli dopo pochi giorni. Invece, a causa di un contrordine, la partenza è stata rimandata. Sembra che ciò sia dovuto ad un probabile sbarco alleato nel tratto di costa tra Albenga e Savona. Nella Villa Cipollini, ubicata tra Arma e Taggia, opera il Comando Tedesco che comprende una trentina di militari, con armamenti automatici. In zona denominata "Borghi" è piazzata una batteria composta da quattro pezzi da 105/17, i quali sono dotati di circa 130 proiettili per pezzo. Nella stessa zona ad opera della impresa Paladino vengono eseguiti lavori militari consistenti in camminamenti, riservette, postazioni e così via. All'altezza del 4° chilometro della strada provinciale che da Arma porta a Triora, i nazifascisti stanno sempre costruendo delle postazioni. A Taggia è già pronto il materiale occorrente per la ricostruzione dei ponti della Valle Argentina, distrutti dai partigiani. Quanto prima questi lavori dovranno avere inizio. Badalucco, Montalto e Agaggio non sono presidiate da forze nemiche. Naturalmente, però, delle pattuglie eseguiscono delle puntate in dette località. Molini di Triora è presidiata da una trentina di fascisti e da una diecina di Tedeschi. Il comando del presidio trovasi nella casa del Municipio. Ad Andagna non esiste presidio. Le truppe di stanza a Sanremo e dintorni si posso valutare a circa duemila unità. Queste formerebbero la prima riserva per il fronte. Nell'Albergo Miramare è installato il Comando Tedesco della Piazza. Al Castello Devachan trovasi la SS tedesca. In detto castello dopo la tortura sono uccisi i partigiani catturati ed i civili in ostaggio. Nei giorni scorsi il castello è stato colpito durante un bombardamento aeronavale alleato. La Villa Hauber è adibita a prigione della SS tedesca. L'Albergo Mediterraneo è occupato da forze tedesche e la sua piscina è adibita a deposito di munizioni. A Madonna della Costa, nei Giardini Elena, sono piazzate tre batterie contraeree, due da 20 mm. ed una da 37 mm., due cannoni da 87 e due da 90. Sulla passeggiata Trento e Trieste sono stati costruiti quattro bunker con quattro cannoni. A Ceriana il presidio è composto da quattro capitani, tre tenenti, un sottotenente, due marescialli ed una quindicina di sergenti. Gli uomini di truppa della Repubblica Sociale ammontano ad una cinquantina, i Tedeschi ad una diecina. Baiardo, come è noto, è presidiata da trentasette bersaglieri ed alcuni Tedeschi. Pigna è presidiata da un centinaio di Tedeschi, così Isolabona. A Dolceacqua i nazifascisti hanno circa duemila uomini, e hanno in dotazione un numero notevole di quadrupedi. Carmo Langan è presidiata da settanta tedeschi i quali sono adibiti alla costruzione di postazioni. La strada Marta - Sanson - Grai è controllata dai nazifascisti. Nella valle di Vallecrosia si notano due batterie ed un centinaio di uomini. A Borghetto c'è un autoparco con una ventina di automezzi. Sulla spiaggia di Bordighera sono dislocati cinque siluri umani, di fronte al mercato del pesce. Allo sbocco dell'ultima galleria di Ospedaletti si trovano sempre due cannoni e due mitraglie. A Bordighera, presso Capo Ampelio, posto di blocco tedesco. Nell'ultima galleria verso Sanremo, è ricoverato il treno armato tedesco. Tutti i rifornimenti che arrivano in Val Nervia partono da Sanremo. Quasi giornalmente apparecchi alleati eseguiscono incursioni sulle zone di Sanremo, Ospedaletti e Bordighera. Nelle stesse zone frequenti si verificano bombardamenti navali degli Alleati. Forte attività aerea si nota pure nella zona Briga - San Dalmazzo".
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 241-244

sabato 30 novembre 2024

Il CLN di Albenga prese contatto con il CLN di Imperia

Entroterra di Albenga (SV)

I promotori della lotta resistenziale di Albenga sono i vecchi antifascisti che dal 25 luglio all’8 settembre 1943 avevano promosso un Comitato Antifascista, rimasto in clandestinità durante il periodo “badogliano”.
Durante il periodo della lotta armata il Comitato muta denominazione e diventa CLN comunale che, per prima cosa, prende contatto con il CLN di Imperia. Infatti il territorio ingauno durante la lotta resistenziale, pur trovandosi in provincia di Savona, è inserito nell’organizzazione patriottica imperiese.
Le ragioni di ciò possono essere ricercate in:
- maggiore vicinanza e facilità operativa,
- durante il ventennio fascista l’unica struttura clandestina organizzata è quella comunista la cui rete cospirativa non teneva conto delle ufficiali suddivisioni territoriali provinciali, ma ne aveva sue proprie.
- l’aspetto organizzativo della Chiesa: Imperia era ed è compresa nella Diocesi di Albenga.
Al CLN costituitosi ad Albenga viene riconosciuta per meriti in data 20 settembre 1944 e su decisione presa dal CLNP di Imperia, l’autonomia circondariale.
Riportiamo i documenti, tratti dal testo di Francesco Biga “Storia della Resistenza Imperiese”.
Vista e considerata la vasta opera di propaganda svolta dal CLN di Albenga in tutta la plaga compresa nell’ex sotto-prefettura; vista e considerata l’odierna instancabile attività per la creazione di nuovi comitati locali e la spinta impressa a quelli già esistenti per una maggiore attivazione dei suoi membri, delega il suddetto Comitato ad agire in nome del CLNP riconoscendo il titolo di CLN circondariale.
Con ciò ritiene di diritto giurisdizionale al detto comitato tutto il territorio facente parte dell’ex sotto-prefettura.
Con la sicurezza che ci deriva dalla vostra coscienza patriottica non esitiamo ad aderire a tutte le vostre richieste.
Sentitamente vi salutiamo.
CLNP - Imperia
In risposta a tale comunicazione, il CLN di Albenga:
Comitato di Liberazione Nazionale 1° settore circondariale N.27 di prot. li, 27/9/1944
Oggetto: riconoscimento di titolo circondariale
Al Comitato provinciale di Liberazione Nazionale - Imperia
e p.c. Alla Federazione di Imperia
La notifica da voi fattaci in data 20 corrente con la quale riconoscete il nostro CLN come Comitato circondariale ci è giunta molto gradita, e senz’altro abbiamo provveduto ad ampliare maggiormente la nostra attività che si era dovuta limitare da Alassio a Loano, compreso l’entroterra.
Perciò ora, avendo diritto giurisdizionale su tutto il territorio facente parte dell’ex sotto-prefettura ci estendiamo da Andora a Finale e relativo entroterra ed abbiamo subito provveduto ad organizzare la zona aggiunta.
Il Comitato di Liberazione Nazionale
1° settore circondariale"
Nella seduta del 7 dicembre 1944 il CLN di Savona approva lo schema organizzativo dei comitati di liberazione di zona. “… Il territorio della provincia di Savona viene diviso in cinque zone, lasciando alla giurisdizione di Albenga una funzione circondariale… Tenuto conto della particolare posizione geografica e del notevole numero di comitati di liberazione comunali organizzati dal comitato di liberazione circondariale di Albenga si dispone sia data a quest’ultimo piena autonomia deliberativa ed esecutiva…e inoltre sia ad esso concessa la libertà di contrarre rapporti di collegamento con le Zone viciniori compresa la provincia di Imperia, dei quali sarà data opportuna conoscenza al CLN provinciale di Savona. Per comporre tutte quelle questioni controverse che potranno sorgere fra il CLN provinciale di Savona e il CLN Circondariale di Albenga quest’ultimo avrà piena facoltà, qualora non si riesca a trovare una base di reciproco accordo, di ricorrere all’autorità del CLN Regionale…
In occasione del convegno di Beusi del 9 febbraio 1945 in cui il CLN di Albenga non è rappresentato, è riconfermata l’autorità sul circondario come da delega del CLN di Imperia.
Tale fatto gli permette di estendere ulteriormente la sua sfera operativa al territorio compreso nell’antica sotto Prefettura amministrativa.
In data 8 marzo 1945 il CLN per la Liguria invia ai CLN di Savona e di Albenga disposizioni sulla base delle quali i centri cospirativi delle due città sono tenuti ad allacciare più saldi legami e contatti tra loro. La decisione del CLN per la Liguria è evidentemente presa in previsione del dopo liberazione e nel fatto dell’appartenenza del territorio ingauno alla provincia di Savona.
La Brigata SAP “Giuseppe Mazzini”
Ad Albenga la brigata SAP “G. Mazzini”, con il riconoscimento della funzione del CLN circondariale ingauno, ottiene l’autonomia operativa sino alla fine del conflitto. Non risulta ufficialmente nell’organico della divisione imperiese “G.M. Serrati” anche se i rapporti con l’organizzazione a cui inizialmente faceva capo, non hanno avuto soste, e i contatti di collaborazione tra i combattenti imperiesi e i sapisti di Albenga sono ricorrenti.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "3. Le squadre di Azione Patriottica nel savonese (prima parte)", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2001

lunedì 18 novembre 2024

Solo il partigiano Giacomo Ghersi, benché ferito, riuscì a mettersi in salvo

Santo Stefano al Mare (IM): uno scorcio, con vista sino ad Arma di Taggia e a Bussana di Sanremo

Il 23 gennaio 1945 nella parte occidentale della “I^ Zona Operativa Liguria” avveniva l’uccisione di alcuni partigiani appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”. Circa cento SS con due mortai circondavano casa Ghersi a Taggia (IM). I quattro garibaldini che si trovavano nell’abitazione vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Venne bruciato il fienile di Raffaele Polito. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano stati fucilati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone riuscì a salvarsi solo Luigi Franco Ghersi, pur ferito.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 
 
La sera del 23 gennaio u.s. in Taggia e in regione "Castelletti" 30 militari della S.D. germanica e otto militi dell'U.P.I. effettuavano un rastrellamento per la cattura dei componenti la banda "Folgore".
Sono stati arrestati sette banditi, di cui cinque fucilati sul posto dai germanici, uno trattenuto in arresto e tale Luigi Ghersi evaso.
Venivano recuperati sei moschetti mod. 91, una pistola e sedici bombe a mano, nonché il ruolino completo della banda "Folgore".
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 febbraio 1945, pp. 27,28. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti  
 
"... Alle ore 20 circa del 23 gennaio 1945 reparti delle SS tedesche e italiane provenienti da Imperia e guidati da una spia procedevano all'arresto in Arma di Taggia ed in regione Castelletti dei garibaldini Giacomo Ghersi, Mario Cichero, Vincenzo Pistone, Vincenzo De Maria, Raffaele Politi, Guglielmo Bosco, Luigi Ghersi ed Ermanno Gazzolo. Tutti i fermati appartenevano al Distaccamento 'Folgore'. Alcuni giorni prima garibaldini del Distaccamento 'Peletta' avevano, su indicazione di Pino Faustini, perquisito la casa dei Ghersi e, dopo un chiarimento, avevano capito che essi erano garibaldini sinceri, mentre Faustini era un individuo 'torbido' che aveva in odio i Ghersi stessi. La sera del 23, quindi, mentre il comandante del Distaccamento si trovava assente... reparti delle SS tedesche e italiane (circa 100 uomini) con due mortai, circondavano casa Ghersi facendovi irruzione. Erano guidati da un borghese con faccia mascherata in parte, cappello calato sugli occhi e bavero del cappotto rialzato. In quel momento si trovavano in casa Ghersi Giacomo e Luigi ed anche Guglielmo Bosco e Vincenzo De Maria. Furono bestialmente percossi, senza alcuna pietà, perché non vollero rivelare la località dove erano nascoste le loro armi con le munizioni e i nomi degli altri partigiani componenti il Distaccamento. Essi sopportarono con coraggio e fermezza la tortura senza pronunciare una sola parola che potesse essere di nocumento ai compagni. Anche i genitori dei Ghersi furono minacciati e malmenati affinché parlassero. Il nipote del Ghersi di anni 11 alle domande rivoltegli dal borghese rispondeva fieramente di nulla sapere, invitando la spia a togliersi la maschera. Altri elementi delle SS appiccavano il fuoco alla baracca di Raffaele Politi il quale, costretto dal fumo e dalle fiamme, dovette uscire all'aperto e arrendersi, fu percosso e seviziato a lungo... un gruppo di SS partì per andare ad arrestare altri i cui nomi erano in una lista in loro possesso. Dopo aver completamento depredato la casa... legati insieme i fratelli Ghersi... i nazifascisti si portarono in Arma di Taggia, sulla Via Aurelia di fronte alla Chiesa. Lungo la strada giacevano già i cadaveri dei garibaldini Vincenzo Pistone, Ermanno Gazzolo e Mario Cichero. Al garibaldino Gazzolo, perché parlasse, furono cavati i denti con le pinze da fabbro, ma nonostante la sofferenza non pronunciò una parola di delazione e si lasciò massacrare. Il Pistone subì la stessa sorte. Alla vista dei compagni morti, accortisi di essere portati nei pressi, Giacomo Ghersi, che era stato slegato dal fratello Luigi, incitava quest'ultimo a fuggire perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito, riuscì a mettersi in salvo. Gli altri prigionieri, ormai agli estremi per i tormenti subiti, non potevano tentare la fuga e vennero barbaramente trucidati. Dei loro cadaveri fu fatto scempio". 
Da un rapporto (documento Isrecim) del 17 maggio 1945 del comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione, inviato al comando del III° Battaglione in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
    
Il 24 gennaio 1945 i fascisti rastrellano la vallata di Montegrazie ed anche la zona di Terzorio dove purtroppo viene catturato il partigiano Renato Giusti (Baffino); sorpreso in un fienile (per causa di spie) dove solevano dormire dei partigiani è portato al comando tedesco di Santo Stefano al Mare (Villa Dea). Strada facendo è percosso duramente con il calcio del fucile. Gli viene intimato di rivelare il luogo dove si nascondono i suoi compagni altrimenti non avrebbe più visto la moglie e il figlio. Accompagnato per diversi giorni nelle località notoriamente consciute come frequantate dai partigiani non ottengono da lui nessuna informazione. Successivamente è trasferito a Sanremo (Villa Fiorentina) dove subisce ulteriori torture. Da quel momento non si è saputo più niente. Quando furono recuperate cinque salme irriconoscibili probabilmente tra queste c'era anche quella di "Baffino".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, p. 149
 
Le nostre azioni purtroppo al momento erano in forte ribasso. Sorprese fatali accadevano di continuo, triste bilancio che l'inverno esigeva. Anche Baffino [Renato Giusti], in transito per Terzorio, all'alba del famoso mattino [24 gennaio 1945] era stato catturato nell'operazione congiunta effettuata nei due paesi della valle; quasi irriconoscibile per le percosse e sevizie subite, era stato portato da militi repubblicani, seduto sopra una sedia, come un trofeo per le vie di Pompeiana, triste sfilata di un uomo giunto alla fine del suo percorso.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984
 
Il 27 gennaio 1945 venne fucilato anche Renato Giusti (Baffino), della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", partigiano che era stato catturato durante il rastrellamento di Terzorio (IM) avvenuto tre giorni prima. “Baffino” lavorava nell’organizzazione “Todt” di Porto Maurizio, da cui era riuscito a far fuggire diversi patrioti che si erano subito diretti in montagna; già scoperto ed incarcerato una volta, ma in seguito liberato dai garibaldini, era stato incorporato nelle formazioni della II^ Divisione “Felice Cascione”.  
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I

giovedì 10 ottobre 2024

In provincia di Imperia ci fu la più alta percentuale di vittime di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca

Copia della prima pagina di un documento di denuncia a carico della "Donna Velata". Ricerca di Paolo Bianchi. Fonte: Archivio di Stato - Genova.

Nell'Imperiese la lotta resistenziale al nazifascismo si sviluppò intensamente e assunse un'asprezza inaudita. Lo confermano questi numeri: 582 partigiani, patrioti e renitenti alla leva caduti in battaglia o fucilati: 524 civili uccisi durante le rappresaglie nazifasciste o nei campi di stenninio: una trentina di partigiani deceduti dopo la guerra in seguito a gravi ferite; 22 stranieri di nazionalità diverse, disertori della Wehrmacht, uccisi in battaglia o fucilati dai nazifascisti.
Sicuramente fu la più alta percentuale di vittime - rispetto agli abitanti - di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca. Altro triste primato riguarda un numero consistente di partigiani che si sono suicidati piuttosto di cadere nelle mani dei fascisti locali.
Le cause di queste numerose perdite, a mio avviso, sono da attribuirsi ai seguenti motivi:
- la maggior parte delle località imperiesi, dove i partigiani risiedevano, erano arroccate: quando venivano attaccate e circondate dai nazifascisti, i partigiani avevano poche vie di fuga; quasi sempre combattevano sino alla morte. Ad esempio nel massiccio rastrellamento del gennaio '45 un centinaio di partigiani cadde in battaglia e chi si salvò dovette sconfinare tra mille difficoltà, a causa del freddo e della neve, in Piemonte;
- tutte le formazioni partigiane nell'Imperiese erano garibaldine: chi cadeva nelle mani del nemico difficilmente ne usciva vivo; la stessa cosa succedeva ai nazifascisti; raramente si effettuavano scambi di prigionieri;
- la provincia di Imperia, essendo sul confine francese, era considerata una zona strategica. Gli sbarchi alleati avvenuti in Normandia e in Provenza (nell'estate del '44) avevano fatto concentrare in quelle zone numerosissime truppe tedesche.
- le spie fasciste erano ovunque: la più famosa fu Maria Concetta Zucco, chiamata "La Donna Velata" o "La Francese", la quale venne infiltrata per qualche mese nelle fila della Resistenza e quando ritornò dai fascisti fece arrestare un centinaio di patrioti e loro fiancheggiatori, 33 vennero fucilati mentre gli altri furono deportati in Germania;
- operava in provincia di Imperia una formazione fascista della GNR di Ordine Pubblico (O.P.). con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili e davano loro protezione. Per la loro ferocia, questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi. la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovannni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra (in seguito furono tutti amnistiati). Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili della provincia di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Alla Provincia di Imperia venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010, pp. 82,83

venerdì 4 ottobre 2024

La morte del comandante partigiano Menini fece scuola solo a pochi

Armo (IM). Foto: Davide Papalini. Fonte: Wikipedia

Intanto l'ufficio SIM della Divisione "Silvio Bonfante" viene informato che il rastrellamento nazifascista preannunciato è rinviato di qualche giorno, perché la Divisione fascista "Cacciatori degli Appennini", che avrebbe dovuto effettuarlo, si trova impegnata contro la II Divisione d'assalto Garibaldi "F. Cascione". La notizia è trasmessa ai Comandi delle Brigate dipendenti, che hanno il tempo, così, di mettere in esecuzione con rapidità le direttive contenute nelle circolari n. 22 e n. 23. I garibaldini meno atti sono inviati a rafforzare le squadre di riserva, passate alle dipendenze dirette del vicecomandante di Divisione Luigi Massabò (Pantera). Anche le altre disposizioni contenute nelle ricordate circolari sono messe in esecuzione.
In attesa del grande rastrellamento, i Distaccamenti della nuova [n.d.r.: la "Bonfante venne formata il 19 dicembre 1944] Divisione cercano di infliggere in qualche modo nuovi colpi al nemico: il 2 di gennaio [1945] una squadra del Distaccamento "A. Viani" smina un campo in Valle Andora: l'esplosivo è inviato a Ubaga, al Distaccamento di Giuseppe Garibaldi; il 3 un'altra squadra del "G. Catter", con il comandante Mario Gennari (Fernandel), al rientro da una missione, si scontra con una pattuglia tedesca sulla strada Albenga-Garessio: il nemico lascia sul teneno un morto e un ferito. Lo stesso nemico, che pare sia in attesa di eventi, compie micidiali puntate provocando vittime tra i civili.
Nel piccolo centro di Armo, in alta Valle Arroscia, era dislocato un nucleo partigiano dell'Intendenza Divisionale, per immagazzinare rifornimenti provenienti dal Piemonte. A fine dicembre vi si trovava ammalato pure Lionello Menini, comandante del Distaccamento Mortaisti "E. Bacigalupo". Su indicazione di una spia, il mattino presto del 31 dicembre 1944, un centinaio di Tedeschi, provenienti da Pieve di Teco, investono la zona di Armo, Trovasta e Moano. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri cadono prigionieri, tra cui tre Austriaci disertori, e i civili Giuseppe Cacciò e Giovanni Ferrari.
Il Menini riesce a far fuggire altri due partigiani prima di essere catturato. Portato al Comando tedesco di Pieve di Teco, è riconosciuto come capo partigiano. Chiuso in carcere confessa di essere partigiano ma, malgrado sia sottoposto a feroci torture, non parla, mantiene il silenzio. Il 3 di gennaio è condannato a morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo commissario Giuseppe Cognein per informarlo che gli Austriaci avevano parlato, e che non gli dispiaceva morire per una causa giusta.
Mentre il Comando divisionale attua lo spostamento dei Distaccamenti, l'Intendenza della II Brigata si trasferisce in Val Pennavaira e quella divisionale in Valle Arroscia. Lionello Menini ed i compagni della triste sorte Lorenzo Gracco, Ezio Badano e Giovanni Valdora sono condotti in località Carrega e fucilati.
[...] Il Distaccamento "E. Bacigalupo" viene sciolto, i superstiti sono aggregati ad altri Distaccamenti. La cattura di Menini dimostrò che la nuova tattica nemica delle puntate dirette poteva essere più pericolosa dei rastrellamenti. Il nemico piombava ora in silenzio e in modo sicuro sulle basi garibaldine senza che raffiche di mitragliatrici e colpi di mortaio dessero l'allarme come era avvenuto nell'estate e nell'autunno del 1944.
Solo un perfetto servizio di guardia e di pattuglie poteva garantire i garibaldini dalle sorprese. Si era visto come esso fosse sempre stato inadeguato anche quando una catena di Distaccamenti, appoggiandosi a vicenda, limitava la possibilità di attacco da una o due direzioni al massimo.
In gennaio poi, con gli effettivi ridotti e la minaccia da ogni lato, era impossibile essere avvertiti in tempo. Solo dei buoni rifugi, come abbiamo già ricordato, usati ogni notte, potevano garantire in un certo qual modo l'incolumità. Ma la sorte di Menini fece scuola solo a pochi: la mente era sempre fissa al prossimo grande rastrellamento che si prevedeva imminente.
Infatti il Comando della "Bonfante" lascia la sede di Marmoreo per rendersi conto della situazione nelle tre Brigate, nei Distaccamenti ed informare i volontari della drammatica situazione dagli sbocchi imprevisti. Si cerca di fare funzionare bene il centro staffette di Degna ed il SIM dislocato a Poggio, sotto Casanova, ristabilendo i vccchi contatti e creandone di nuovi. Più tardi, un gruppo del Comando, formato da Osvaldo Contestabile (Osvaldo), da Luigi Massabò (Pantera) e da Lorenzo Semeria (Nenno) responsabile del SIM, partono per la valle di Diano onde ispezionare il Comando di Massimo Gismondi (Mancen), il quale è ricercato dai brigatisti neri e dalle SS tedesche con fotografia alla mano e per ristabilire i contatti con gli informatori di Pontedassio. Invece Giorgio Olivero [comandante della Divisione "Bonfante"] e Gustavo Berio partono verso altra direzione. 

Francesco  Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 19-22

 

2 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", ai comandi delle Brigate dipendenti I^, "Silvano Belgrano", II^, "Nino Berio”, e III^, "Ettore Bacigalupo" - Comunicava che "...l'Intendenza della I^ Brigata si appoggerà al C.L.N. di Albenga... Il servizio S.I.M. divisionale sarà ridotto a tre soli elementi e ad una staffetta...".
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte per i garibaldini Lionello Menini (Menini), comandante del Distaccamento "Bacigalupo" della I^ Zona Operativa Liguria ed Ezio Badano (Zio), G.B. Valdora (Ferroviere) e Lorenzo Gracco della II^ Brigata "Sambolino" della Divisione d'Assalto Garibaldi " Gin Bevilacqua" operante nella II^ Zona Operativa Liguria.
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
3 gennaio 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio Bonfante" a tutti i reparti dipendenti - Comunicava che "la zona in cui si opera è di immediato retrofronte, per cui serve gente convinta, mettendo al bando ogni forma di disfattismo. Occorre reagire agli atti di vandalismo del nemico".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Ettore Bacigalupo” - Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria] - Relazione sulla visita fatta alla Divisione Bonfante.
3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a Simon - Comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 17 settembre 2024

Due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani

Villatalla, frazione di Prelà (IM). Fonte: ErmaAnna/Flickr

Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), del X° Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a  duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[...] Ma vediamo nei dettagli il triste episodio dalla relazione del vice commissario della IV° Brigata Gino Gerini.
“La Brigata è in stato di sfacello, in un solo mese ha avuto quasi un centinaio di caduti, più di un terzo dei suoi effettivi, già ridotti dalle gravi perdite precedenti e da alcuni defezioni. Tutto intorno ai superstiti, il nemico aveva posto un cordone di sicurezza; li aveva tagliati in tronconi, senza possibilità di ricongiungersi o mantenere i collegamenti. Si era infiltrato dappertutto presidiando i centri vitali. Fu il momento più terribile della lotta. I partigiani prevedevano l'annientamento definitivo poiché non avevano quasi più munizioni, nè viveri, nè indumenti. Non erano più una formazione, ma una massa di poveri esseri laceri e sfiniti in cui soltanto lo spirito continuava a vivere indomabile. Si erano divisi in gruppi per sfuggire alla continua sorveglianza nemica. Gruppi di cinque o sei uomini, dieci o dodici al massimo, che si aggiravano senza meta fra i boschi, rupi e burroni, come fantasmi. Il X Distaccamento “Walter Berio” era stato decimato come tutti gli altri. Un piccolo gruppo del Distaccamento stesso, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri” e “Merlo” (quest'ultimo uno dei più vecchi garibaldini), si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla [frazione del comune di Prelà (IM)], in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro, un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana, ove la vita trascorreva orribile per il fango e l'umidità. Ma gli uomini resistevano nella speranza di poter ricongiungersi ai compagni e riprendere la lotta interrotta. Il famigerato capitano Giovanni Ferraris, con i suoi uomini della compagnia “Senza Patria”, rastrellatori di Imperia, battevano la campagna. Era un feroce masnadiero ed i suoi sgherri formavano la più spietata banda di aguzzini. Derubavano i contadini, terrorizzavano, seviziavano ed uccidevano con un sadismo inumano.Naturalmente le spie e i traditori non mancavano. Erano in ogni luogo: gente che si vendeva per denaro sempre, tavolta per odio. Il giorno 25 gennaio 1945, Ferraris va su a Villatalla con le squadre. Le notizie che egli ha sono sicure, perché circonda il vallone dove stavano i partigiani ed incomincia a batterlo. Il Distaccamento si rifugia nella caverna: pensare di resistere è impossibile, non vi sono armi automatiche, i fucili sono scarichi, le sole rivoltelle, alcune delle quali inservibili, hanno qualche pallottola. I giovani si uniscono e attendono nella speranza di non venire scoperti. Sentono i passi dei fascisti che vanno avanti e indietro e ne seguono con ansia tutti i movimenti. Poi odono il rumore delle pietre smosse e vedono filtrare nella tana la luce del giorno: è la fine! Impugnano le armi e tirano, dal di fuori si risponde con il lancio di bombe a mano che feriscono quasi tutti i partigiani. Le munizioni sono esaurite. “Dimitri” e “Merlo” sono per una sortita in massa, ma gli altri non si reggono in piedi, alcuni non possono più muoversi. Il nemico, che fuori schiamazza e insulta, ma non osa entrare, esulta perché sa di aver vinto. I due capi compiono il gesto eroico: salutano i compagni uno ad uno, poi, addossatisi alla parete della caverna, si sopprimono con i due ultimi colpi rimastigli. Il nemico sente i colpi. Intuisce quello che sta avvenendo. Dopo aver esitato ancora e quindi scaricate le armi all'interno della caverna senza avere ottenuto risposta, irrompe fulmineamente nel rifugio. Vi trova due partigiani morti e altri nove feriti. Ma né  l'eroismo né la maestà della morte valgono a mitigare la loro ferocia. I garibaldini, vivi o morti, sono spogliati, insultati e percossi. I superstiti vengono legati e, tra gli scherni della soldataglia, avviati verso il paese. Due giorni dopo un gruppo di partigiani, informati dell'accaduto, si recano a recuperare le salme dei due compagni caduti. “Dimitri” e “Merlo” giacevano ove si erano uccisi, quasi nudi e senza scarpe. Sul corpo di “Dimitri” c'era un pezzo di carta con scritte poche e turpi parole che dicevano: “Questa è la sorte che toccherà a tutti i banditi”. E più sotto il nome di un partigiano con la postilla: “Anche tu farai la stessa fine”. Le salme furono poste sopra due barelle fabbricate con rami intrecciati e portati nel cimitero di Villatalla dove vennero seppellite. Gli accompagnatori andavano su per un sentiero alpestre, muti e commossi. A metà strada un vecchio andò loro incontro, fu riconosciuto, era il padre di “Dimitri”. Si fermò,i suoi occhi erano fissi, sbarrati, sulle rozze portantine. Intuì che suo figlio era lì, esanime. Senza un grido, senza una lacrima, come se il dolore lo avesse impietrito, con un balzo si gettò sul corpo del figlio e lo abbracciò. Poi cadde svenuto. I nove prigionieri furono trasportati ad Imperia, torturati e in seguito fucilati...".
Tra questi ricordiamo: Carletti Doriano (Misar), Giuseppe De Lauro (Venezia), Luigi Guareschi (Camillo), Vincenzo Faralli (Camogli), il russo Nicolay Gabrielovic Poronof (Tenente Nicolay). Di essi daremo altri ragguagli in seguito.
Il 27 il tempo si guasta, piovaschi e nebbia. Si sente una sparatoria, il nemnico rastrella Pietrabruna e dintorni. Partigiani del primo Battaglione, che si trovano nella zona, si portano in cresta dove preparano una postazione per la mitragliatrice che hanno in dotazione.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 89-92

Annibale Agostini, nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945:
"[...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero, il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città [Imperia]. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

... un reparto della Brigata Nera con elementi della polizia dipendenti dalla Questura eseguiva azione di rastrellamento in territorio di Vasia, Pantasina, Arborei, riuscendo a catturare nove partigiani, fra cui due di nazionalità russa. Un capo banda ed un commissario politico per evitare l'arresto si suicidavano, sparandosi un colpo di pistola alla tempia.
Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna (visto di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 7 marzo 1945), Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, 1 febbraio 1945  - XXIII°