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venerdì 23 febbraio 2024

Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania

Lingueglietta, Frazione di Cipressa (IM)

In un mattino nebbioso del 17 gennaio 1945 un numeroso gruppo di fascisti perlustrava le campagne di Prelà. Secondo alcune fonti si sarebbe trattato di Cacciatori degli Appennini, secondo altre della compagnia operativa della G.N.R. del tenente Ferraris. Probabilmente l’azione fu condotta da entrambi i reparti. In due casoni posti ad una certa distanza avevano trovato ristoro per la notte alcuni uomini della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione". In un casone sopra Canneto, di fronte a Tavole, si stavano riposando Carlo Montagna Milan, comandante della Brigata [nato a Voghera il 16 agosto 1911, protagonista di numerose azioni, fra le quali spicca quella del 19 luglio 1944, la liberazione dei detenuti politici dal carcere di Imperia Oneglia], Gaetano Sibilla Ivan, Angelo Perrone Bancarà o Vinicio, vicecomandante della brigata, Sebastiano Acquarone Alpino e Ferrero Staffetta Gambadilegno. In un altro casone più in basso sostavano Mario Bruna Falco, commissario della Brigata, Luigi Peruzzi Luigi ed altri uomini. I fascisti intravvidero nella nebbiolina un uomo armato, che sembrava stesse facendo la sentinella. Spararono senza avvertimento e colpirono, uccidendolo, Angelo Perrone. Gli altri partigiani, intese le raffiche, fuggirono in direzione della cresta della montagna, che però era già stata occupata dai nemici. Ritornarono allora sui propri passi infilando il Vallone di Villatalla dove trovarono altri repubblichini in agguato che al loro avvicinarsi spararono. Montagna e Acquarone vennero colpiti a morte. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020

Faceva parte del distaccamento nemico, responsabile dell'informazione, il sergente Zeffiro Zara, che era anche membro della Guardia Nazionale Repubblicana di Sanremo. Le cause non si conoscono ma dopo alcuni giorni, lo stesso veniva arrestato, tradotto nel carcere di Imperia, quindi processato come traditore della Repubblica Sociale. Verrà fucilato nella Caserma "Asclepia Gandolfo" il 27 gennaio 1945 perché, "pur continuando a militare nella GNR era capo di una formazione di ribelli". Anche il garibaldino Guglielmo Bosco, catturato verrà fucilato, come vedremo, su Capo Berta il 31 gennaio 1945. Sulla morte dei garibaldini sopra menzionati veniva aperta una inchiesta per constatare se l'ex brigadiere Gastone Lunardi, comandante del Distaccamento "Folgore" della IV Brigata, avesse preso qualche iniziativa sbagliata nel campo della sicurezza. A livello politico, del triste episodio si interessava anche l'ispettore della I Zona Operativa Liguria, Carlo Farini (Simon) <6.
Quello che è accaduto nella Caserma Ettore Muti a Porto Maurizio (Piazza del Duomo), dove era di stanza una parte della Brigata Nera "Antonio Padoan", tra il 15 ed il 31 gennaio, ce lo racconta uno degli arrestati, Giovanni Piana, di Oneglia, il quale ci spiega che in quel tempo la costruzione adibita a caserma aveva tutte le caratteristiche deteriori di una spelonca:
"... Tutto vi era in disordine e brutti ceffi presidiavano e volgari sghignazzate e canzonette da lupanare giungevano alle due fetide celle del pianterreno dove rimanevano sprangati i vigilati. Il grosso dei nostri arresti avvenne tra il 15 ed il 31 gennaio del 1945. Le azioni di rastrellamento erano state compiute quasi tutte alla periferia della città, dove ci aveva sospinto lo sfollamento, con improvviso e numeroso impiego di brigatisti neri che penetravano nelle nostre case lasciandovi i segni di una educazione che le nostre famiglie, più di noi stessi, tuttora ricordano. Poi ci intruppavano, preferibilmente di notte, e ci conducevano alla caserma cantando con la sguaiatezza degli avvinazzati i "gloriosi inni del regime", e ci buttavano nelle celle come sacchi di palate. Non dico come ci dovessimo aggiustare in ognuna di esse dove lo spazio bastava appena a contenerci e la umidità che da quelle sporche mura trasudava e l'umiliazione a cui eravamo costretti per i nostri bisogni corporali, e la bestialità del trattamento di cui erano capaci gli aguzzini nelle loro truculenti visite e come la scabbia diventò un tormento della nostra cute cui finimmo per abituarci. Ricordo ancora molti dei compagni di clausura: Armando Filié che un "eroico" tenente non cessava di definire provocatore; Pietro Gazzano, il capitano, che avevo conosciuto tanti anni prima nell'organizzazione dei giovani socialisti e che si spense qualche anno dopo nella natia Coldirodi. Raffaelluccio Languasco di frequente in fase di malinconia pensando alla moglie ed al piccolo Giustino. Rinaldo Torelli arrestato in cambio del fratello Gigetto, riuscito ad allontanarsi per tempo. Ernesto Carli contro il quale si era dato peso allla sciocca accusa di un ragazzo deficiente che egli aveva sempre beneficato. Carlo Dellepiane prelevato una brutta mattina di buonora e condotto alla fucilazione sulla strada a mare verso Diano. Piero Panico sempre irrequieto e pensoso. E poi ancora Giuseppe Maccanò sospettato di tenere nascoste armi partigiane nel recinto del cimitero. Carlo Marvaldi, il più giovane di noi, dal morale alto e fermo. Dominici, il vecchio carrettiere che non sapeva nulla di nulla e temeva che gli capitasse qualche brutto imprevisto. E poi Francesco Sasso di Porto, e Novello, piombatoci addosso a suon di nerbate repubblichine poiché si trincerava in ostinati dinieghi sotto l'incalzare delle domande rivoltegli. Fernandez e Roncetti, due graduati della amministrazione carceraria, denunciati dalla famosa "Donna Velata" (Maria Zucco). In un'altra cella c'erano Faustino Zanchi, Salvatore Costa, Vincenzino Di Leo, Tomaso Dominici ed altri. Fino alla Liberazione altri entreranno ancora in queste carceri, altri ne usciranno per essere fucilati. La terribile atmosfera svanirà soltanto il giorno della Liberazione" <7.
[NOTE]
6 Isrecim, Archivi, Sezione II, cartelle, serie T; Sezione I, cartella 36. Vedasi pure Sezione III, cartella 20.
7 Dal giornale "Il Lavoro" del 12 febbraio 1955.

Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 86,87

Durante un rastrellamento nelle campagne di Prelà del 17 gennaio effettuato dalla compagnia operativa della GNR di Imperia comandata dal tenente Ferraris, che costò la vita a Carlo Montagna e Sebastiano Acquarone, venne catturato il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), il quale sottoposto a torture fu costretto a confessare dove si trovava acquartierato il X distaccamento Walter Berio della IV brigata "Elsio Guarrini". Gli uomini di questa formazione, già pesantemente provata dalle perdite subite nelle settimane precedenti, si erano rintanati in un rifugio ritenuto sicuro. Si trattava di un piccolo gruppo, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri”, Vittorio Aliprandi, e “Merlo”, Nello Bruno, si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla, in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro: un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana. I rastrellatori di Ferraris si avvicinarono al rifugio, sicuri che i partigiani fossero in quel punto. Dopo aver ispezionato palmo a palmo il terreno circostante iniziarono a togliere alcune pietre che celavano il rifugio e buttarono dentro alcune bombe a mano. Ormai i partigiani erano in trappola: Vittorio Aliprandi e Nello Bruno si tolsero la vita per non cadere nelle mani del nemico, gli altri nove uscirono dal rifugio con le mani alzate e vennero fucilati in momenti diversi: tra questi Luigi Guareschi (Camillo) il 9 febbraio 1945, Vincenzo Faralli (Camogli) il 9 febbraio 1945, Carletti Doriano (Misar) il 15 febbraio 1945, Giuseppe De Lauro (Venezia) il 15 febbraio 1945. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020

Dopo la prima quindicina del mese di gennaio 1945 gradatamente formazioni della Divisione nemica "Cacciatori degli Appennini" si trasferiscono verso l'estremo ponente ligure. Abbiamo già visto come durante un rastrellamento colpissero gravemente il Comando della IV Brigata "E. Guarini" nel vallone di Villa Talla. Nell'occasione del trasferimento affiggono un avviso che abbiamo ritenuto riportare integralmente poiché ci dà un quadro abbastanza preciso della situazione nella quale vennero a trovarsi i giovani che avevano disertato le chiamate nemiche, abitanti dei nostri paesi del retroterra.
Ecco il testo dell'avviso: "Gruppo Cacciatori degli Appennini. Si avverte la popolazione che il III Battaglione Cacciatori degli Appennini, desideroso di portare la tranquillità e la normalità nella zona, è disposto a venire incontro a tutti coloro che, avendo obblighi militari, hanno seguito consigli di elementi prezzolati del nemico e si sono dati alla macchia. A coloro che si costituiranno entro 48 ore dalla data del'affissione del presente avviso, si garantisce l'incolumità della vita. Contro quelli, invece, che, non avendo accolto questo appello, venissero catturati nel corso di operazioni militari, verrà applicata la legge di guerra. Z.O. 24 gennaio 1945, ore 8 del mattino. Il comandante del Battaglione maggiore Mario Rosa <1.
Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania. Chi fu catturato dopo il termine dell'ultimatum venne passato per le armi.
Consultando ancora il memoriale del Polacchini, di cui abbiamo già parlato, risulta in modo evidente in che situazione si venissero a trovare i partigiani della IV Brigata. I giorni drammatici che ttrascorrono per il I Battaglione sono uguali a quelli del II e del III.
Scrive Polacchini nel suo memoriale: "... Alle prime luci dell'alba del 24 gennaio 1945 saliamo in vetta alla collina, al passo di Lingueglietta. La stagione è primaverile. Ci laviamo con l'acqua di un serbatoio usato per l'irrigazione. Tocca a me e a Renato Faggian (Gaston) andare in cerca di viveri. Decidiamo per Cipressa, ma partiamo imprudentemente in pieno giorno. Nei pressi di un caposaldo due Tedeschi stanno facendo legna in un boschetto. Hanno le armi a portata di mano. Quando ci vedono smettono di lavorare, ci osservano, parlano tra di loro, ma non ci fermano. Non abbiamo armi in vista, ma sotto la giacca le nostre pistole e, in un zainetto, quattro bombe a mano. Noi facciamo finta di niente e non succede nulla. Facciamo ritorno nel pomeriggio con pane, farina bianca, un fiasco d'olio d'oliva ed una vecchia pentola di alluminio. Tutta roba fornita da un tale del CLN. Dopo l'unico pasto quotidiano andiamo a dormire due a due in piccole costruzioni tra i rovi. Siamo visti da gente di Cipressa venuta a raccogliere le olive per cui decidiamo di cambiare ancora luogo di sosta. Ci portiamo sopra Torre Paponi, paese quasi completamente distrutto dai fascisti nel dicembre 1944. Passiamo la notte in una piccola costruzione tra gli ulivi. Al mattino presto io e Giuseppe Conio (Zabù) andiamo a Pietrabruna anche per avere qualche notizia fresca. Apprendiamo dell'avanzata sovietica in territorio tedesco (Prussia e Slesia), così ci rianimiamo un poco al pensiero che la guerra va verso la fine. Torniamo con pane, formaggio e sapone. Facciamo conoscenza con il nostro padrone di 'casa', è un agricoltore di Lingueglietta il quale ci offre del vino...".
Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gamba di legno), del X Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi <2. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[NOTE]
1 Isrecim, Archivio, Sezione I, cartella 96.
2 Dal giornale "La Verità" del 2 gennaio 1946.

Francesco Biga, Op. cit., pp. 88,89

venerdì 9 febbraio 2024

Solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento

Cervo (IM)

Il 17 aprile 1945 il «Garbagnati» [n.d.r.: Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] distrugge il ponte di Degna [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e la sera stessa il nemico sgombra Vellego e Garlenda: con un colpo solo la Val Lerrone è liberata dalle pattuglie e dalle minacce nemiche: non più l'incubo dei ciclisti tedeschi, non più lo stradone superato d'un balzo. Il 18 giunge con una staffetta Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] a visitare Tèstico: «Verrò con i miei a difendere il paese» dice ai contadini che gli chiedono armi, poi va a S. Damiano alla ricerca del Comando divisionale che da qualche giorno ha lasciato Poggiobottaro. A S. Damiano ci sono le bande di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati"] e Marco: le mitraglie sono puntate verso Alassio, i partigiani si lavano al sole. Sullo stradone, altri preparano il rancio, ovunque un'aria di festa, di sicurezza. «Vai ad occupare Tèstico? Auguri ... noi non siamo stati così scemi», dicono a Fernandel quelli di Stalin. Fernandel è meravigliato, ma non si impressiona: «Ho visto la zona ed ho fatto i miei piani: il Catter [n.d.r.: Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata] può tenere il paese».
Con Fernandel tutta la III^ Brigata si sposterà a sud a presidiare la Val Lerrone. In Val d'Arroscia e ad Alto resterà la II [n.d.r.: II^ Brigata "Nino Berio", comandante "Gino", Giovanni Fossati], in Val Tanaro la IV [comandante "Fra Diavolo", Giuseppe Garibaldi]. Così all'ingrosso lo schieramento da elaborare nei particolari.
Non possiamo contare egualmente su tutte le bande e ci vorrà ancora un po' di tempo perché i nuovi Comandi della II e della III non hanno ancora in mano la situazione e parecchi capibanda sono restii ad obbedire. Comunque l'atmosfera si fa febbrile, una colonna tedesca che punta su Garlenda provoca la reazione di parecchie bande, ma solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento.
Il presidio fascista di Molino Nuovo viene attaccato dalla I Brigata e riporta perdite sanguinose, due disertori del presidio di S. Bernardo di Conio vengono catturati presso Ginestro [Frazione di Testico (SV)], percossi selvaggiamente dalle donne dei paesi che attraversano e finiti da quelli di Stalin.
Al Comando divisionale, che ha ormai sede ufficiale a S. Gregorio, l'attività si fa intensa. Arriva il Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] del Comando zona, arrivano la missione alleata con le radio trasmittenti, staffette, capibanda, ordini, notizie. Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] parte in missione per la IV Brigata in Val Tanaro con notizie e disposizioni urgentissime, Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] va ad Alto dove si dice ci sia stato un piccolo lancio, ad organizzare la II Brigata.
Ha inizio così la terza decade di aprile: il Comando è di fronte ad eventi e problemi di enorme importanza perché la situazione militare precipita. Le azioni di sabotaggio e di imboscata si fanno sempre più audaci e fortunate, il nemico comincia anche lui a sentire la morsa del terrore: ormai la fine è imminente, chi viene catturato o diserta è soppresso senza pietà: i trenta morti di Ginestro e gli otto di Cervo hanno ridato alla guerriglia il suo carattere di durezza spietata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 241-242

18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 302, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che il giorno prima una squadra comandata dal capo squadra "Mancinotto" [Giuseppe Gismondi] e da "Cis" [Giorgio Alpron, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] aveva fatto nuovamente brillare il ponte tra Degna e Vellego [Frazioni di Casanova Lerrone (SV)].
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che lo scontro di Vellego aveva portato alla fucilazione di alcuni civili da parte del nemico, che i tedeschi in zona detenevano molti ostaggi e che era necessaria un'azione di forza su Nava ed altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 300, al comando del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" - Comunicava come punizioni che il capo squadra "Cimitero" [Bruno Schivo] doveva rimanere disarmato per 15 giorni presso il comando di Brigata e che il garibaldino "Riva" doveva eseguire 19 giorni di corvèe presso il Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" e che erano invece mandati assolti i partigiani "Berto", "Grosseto" [Italo Chegia], "Prem-Prem", "Ercole" [Demo Trillocco], "Vessalico" [Vittorio Doglio].
18 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] al comando del Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] ed al comando del Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] - Disponeva che i garibaldini "Osanna" e "Bascherini" venissero assunti in forza al Distaccamento "Francesco Agnese" e che i garibaldini "Cimitero" [Bruno Schivo] e "Riva" dovevano passare, armati solo in caso di allarme, al Distaccamento "Angiolino Viani".
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione ["Livio", Ugo Vitali responsabile, "Citrato", Angelo Ghiron, vice responsabile] S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che ad Acquetico [Frazione di Pieve di Teco (IM)] alcuni partigiani avevano "avvisato la popolazione di un imminente attacco di patrioti al paese"; che lo scontro di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] aveva portato alla fucilazione di alcuni civili; che risultava "pericoloso attaccare frontalmente" i tedeschi perché dimoravano nelle case private trattenendo presso di loro non solo le loro squadre di lavoratori [coatti] ma anche "il consueto numero di ostaggi"; che sarebbe sata necessaria un'azione di forza partigiana su Nava e su tutti gli altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il lancio alleato su Caprauna nel quale, tra l'altro, risultavano 9 cariche di plastico, 6 bombe incendiarie, 15 granate, 11 matite esplosive.
18 aprile 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Invito a mandare sollecitamente il materiale del lancio in pari data al "capitano Roberta" [Robert Bentley] e ordine di mettere a disposizione di "R.C.B." [sempre il capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] i paracadute in seta.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto, Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire nel precedente incarico con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
19 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che una pattuglia del Distaccamento "Francesco Agnese" aveva sorpreso nei pressi di Oneglia un tedesco armato di pistola, ucciso mentre tentava la fuga.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che due ufficiali tedeschi di stanza a Garessio desideravano parlare con una competente persona per fornire i piani militari di cui erano a disposizione e, pertanto, si rimaneva in attesa di istruzioni.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" aveva attaccato il 17 aprile sulla Statale 28 un carro di tedeschi per cui si supponeva l'esito di 18 morti e 3 feriti e che il 18 una squadra dello stesso Distaccamento aveva catturato a Vendone 4 tedeschi tra cui un sergente.
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Igino Rainis" al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Riferiva che sulla Statale 28 nei pressi di Calderara [Frazione di Pieve di Teco (IM)] una squadra di 4 uomini aveva attaccato un carro tedesco uccidendo 2 soldati e ferendone un altro e che, mentre tentavano di recuperare il materiale, quei partigiani erano stati "disturbati da altri 30 tedeschi, riuscendo, tuttavia a sganciarsi".
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Segnalava che il 16 aprile, verso le ore 18, un gruppo di garibaldini aveva attaccato 4 carri tedeschi provenienti, carichi di materiale, da Garlenda (SV): risultavano 4 feriti gravi tra le fila nemiche.
19 aprile 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Val Tanaro" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che in Val Tanaro si erano formati altri 2 Distaccamenti, il primo con elementi di Garessio per un totale di 25 uomini solo in parte armati, il secondo formato da 30 uomini di Ormea; che sarebbero stati necessari 2 mitragliatori, 2 o 3 Sten, plastico e bombe a mano. Chiedeva, poi, di dare il nome definitivo alla Brigata.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

mercoledì 24 gennaio 2024

L'autonomia doveva essere lasciata alle Brigate partigiane ora nascenti

Cesio (IM). Foto di Davide Papalini su Wikipedia

A fine marzo 1945 la I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" con la costituzione del Distaccamento "Marco Agnese", comprensivo di 21 garibaldini, e del Distaccamento "Franco Piacentini" (15 partigiani) portava a cinque il numero dei suoi Distaccamenti. In quel periodo il Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] aveva in organico 36 uomini, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandante "Stalin", Franco Bianchi] 37 ed il Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] 29.
Il 28 marzo ad Alassio venne momentaneamente smarrito un elenco di garibaldini, subito recuperato, di modo che venne evitata per un soffio una strage di partigiani, come quella purtroppo avvenuta proprio quel giorno a Latte, Frazione di Ventimiglia.
Il 30 marzo il capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" faceva saltare gli aghi di scambio nella stazione ferroviaria di Andora. In effetti dal resoconto delle azioni compiute dalla Brigata nel mese di marzo 1945, inviato in data 3 aprile 1945 al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", si legge: "il Capo di Stato Maggiore 'Cis", recatosi da solo nella stazione ferroviaria di Andora, faceva saltare con l'uso di plastico gli aghi di scambio e più di 20 metri di binario, lato Genova. Il treno che doveva transitare quella notte rimase fermo a Laigueglia fino alle ore 10 del mattino seguente".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) -Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 29 [marzo 1945] Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva invitato al Comando Stalin per esaminare la possibilità di creare uno schieramento organico a protezione della Val d'Andora. Ritirate le bande che operavano in Val di Cervo e di Diano, spostato il Comando da Diano Arentino a S. Gregorio la I Brigata doveva schierare il distaccamento «A. Viani» a Villarelli controllando l'accesso da Villa Faraldi-Cona e la carrozzabile da Andora. Il «Piacentini» doveva controllare il passo del Merlo ed il passo dei Pali, bloccando così i varchi dalla valle di Cervo e da quella di Diano; il « F. Agnese» sorvegliava la mulattiera che saliva dalla «28» al passo S. Giacomo, il «Marco Agnese» accampato a S. Damiano avrebbe bloccato la carrozzabile che saliva da Alassio. Infine il cerchio avrebbe dovuto essere chiuso dal «G. Garbagnati» che, presidiando Tèstico, avrebbe controllato l'accesso dalla Val Lerrone da Cesio. Il Garbagnati rifiutò di occupare la posizione.
Il colloquio tra Giorgio e 5talin, che fece fallire il progetto di una difesa organica della Val d'Andora, è indice del morale e della autonomia esistenti alla fine di marzo nelle bande della I Brigata.
Innanzitutto a Tèstico non c'era mai stato nessun presidio, nemmeno gli alpini fascisti in gennaio avevano osato sostarvi. Situato all'incrocio della carrozzabile Alassio-Cesio e delle mulattiere che da Stellanello in Val d'Andora portano a Poggiobottaro ed in Val Lerrone, Téstico poteva essere attaccato evidentemente da molte direzioni, offrendo però anche molte vie di ritirata.
Di esse la migliore sarebbe stata quella di Stellanello perché protetta dagli alberi. Un accerchiamento nemico, assai difficile per le asperità del terreno, avrebbe dovuto esser condotto con quattro colonne simultanee, il che lo rendeva problematico. Le viuzze strette e le case antiche avrebbero consentito una lunga difesa.
Questa la posizione di Tèstico: in teoria lo schieramento delle altre bande avrebbe dovuto garantire il presidio di Tèstico dalle minacce da Alassio e da Stellanello; rimaneva scoperta la più grave minaccia da Cesio, si poteva ovviarvi presidiando in permanenza con una squadra la cresta di Ginestro; ciò avrebbe dato tempo al presidio di contrattaccare o di sganciarsi al coperto del bosco. Come si vede la Matteotti in luglio a S. Bernardo di Garessio e molte altre bande intorno a Rezzo ed a Piaggia avevano presidiato posizioni ben più rischiose con armamento inferiore. Il Garbagnati stesso, in gennaio a Ginestro, aveva combattuto in una posizione tatticamente peggiore attestato su un pendio semiscoperto, battibile facilmente dal versante di fronte e ne era uscito brillantemente. C'era però allora l'illusione di non essere attaccati essendo lontani dalle principali mulattiere, mentre ora si trattava di controllare una carrozzabile per dove più volte era passato il nemico. In verità nel marzo 1945 non c'era ancora nessuna banda accampata su una carrozzabile od un nodo stradale. Se ora volevamo riprenderci era necessario tornare ai vecchi sistemi e se qualcuno doveva cominciare doveva essere il Garbagnati che a ragione era ritenuto il miglior distaccamento della Bonfante. Qual era l'armamento della banda di Stalin? Per il comando divisionale era una incognita. Sapevamo che avevano due lanciagranate, mitra e mitraglie pesanti, ma si sospettava che il numero dichiarato fosse inferiore al vero. Improvvisi sopralluoghi non riuscirono mai a risolvere il problema.
Il rifiuto di Stalin di occupare Tèstico fu abbastanza netto: capiva i vantaggi del controllo della Val d'Andora, non aveva però fiducia di essere appoggiato dalle altre bande. «Non posso garantire che arrestino il nemico, si può però contare che diano l'allarme. Esser garantiti da una sorpresa può essere sufficiente» affermava Giorgio.
«Se non fosse rischioso vorrei provare questa notte ad attaccare quelli di Pippo: vedresti che scappano tutti senza sparare» replicava Stalin scuotendo il capo. «Se vuoi che venga a Tèstico non rispondo delle conseguenze: può darsi che i miei uomini si rifiutino di obbedire e non posso dar loro torto. Se veniamo attaccati uno sbandamento è sicuro e francamente mi dispiacerebbe perdere uomini e materiali che ho salvato per tanti mesi».
«Non si pretende da voi una difesa impossibile: sappiamo che i tedeschi possono strisciare fin sotto ad una nostra posizione e farla fuori a colpi di bombe a mano. Era solo il primo tentativo di riprendere il controllo di una zona per poter attaccare un nemico non molto forte che si infiltrasse nel nostro schieramento ed evitare sorprese in caso di rastrellamento. II cerchio sarebbe stato chiuso: quelli di Marco hanno accettato di controllare lo stradone a S. Damiano e si sono impegnati, in caso di attacco soverchiante, di ripiegare su Tèstico per appoggiarti. Se non vuoi stai pure a Pian Bellotto. Troveremo un'altra banda che accetterà l'incarico, per ora diremo a Pippo di mandar una pattuglia» concluse Giorgio.
Ricordavo un altro colloquio di mesi prima tra Giorgio e Stalin: un partigiano di guardia ad una mitraglia aveva avvistato una pattuglia tedesca che si avvicinava. Appena aveva iniziato il fuoco il compagno che portava le munizioni era fuggito lasciando il mitragliatore col solo caricatore infilato nell'arma. Sparando un colpo alla volta questi era riuscito a tenere a bada il nemico obbligandolo poi a ripiegare. Stalin era allora dell'opinione di fucilare il fuggiasco: «Quando si ha un compito bisogna adempierlo fino in fondo, non si può tollerare che uno scappi lasciando gli altri nei guai per colpa sua».
«Ha avuto paura» - sosteneva Giorgio. «Se fuciliamo lui dovremmo fucilare anche tutti quelli che stanno a casa percbé hanno meno coraggio di lui. Lui per lo meno ha una fede; è più facile fare il partigiano avendo paura, che, essendo coraggioso».
«Nessuno lo aveva pregato di esser dei nostri» - ribatteva Stalin. «Siamo volontari e se uno accetta un compito devo esser sicuro che lo adempia, altrimenti dica chiaro che non se la sente».
Stalin infatti aveva detto chiaro che non se la sentiva di venire a Tèstico.
Quando uscì chiesi a Giorgio se era sicuro di trovare un'altra banda da piazzare al posto di quella di Stalin. «Appunto perché sono i più forti quelli di Stalin hanno più spiccata degli altri l'indisciplina caratteristica delle bande partigiane: per stare a Tèstico non occorrono degli eroi, basta un po' di senso del dovere. Lo diremo al Catter, vedrai che Fernandel [Mario Gennari, a quella data ancora vice comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] accetterà».
L'atteggiamento di Giorgio può forse meravigliare, ma date le circostanze era il migliore. Dimostrava che l'esperienza degli eventi passati non era stata del tutto inutile. Anziché tentare di imporre la propria volontà provocando forse un dissidio, se non un nuovo urto anche col comando della I Brigata, Giorgio preferì mostrarsi tollerante, accettare l'autonomia della I Brigata riservandosi in pratica solo funzioni di controllo. Era la soluzione migliore. Giorgio ebbe fiducia nelle capacità organizzative del Comando brigata: osservammo così con gioia sincera il giovane virgulto della Bonfante che si sviluppava e si irrobustiva. Vedemmo le prime disposizioni date dal Comando brigata alle bande, i collegamenti tra i distaccamenti potenziati, la creazione del S.I.M. di brigata, lo sviluppo dell'intendenza, il risorgere del morale offensivo negli uomini, il Comando brigata che operava alla luce del sole. Tutto ciò era necessario perché con l'aumento degli effettivi la Bonfante si avviava ad essere una Divisione anche di fatto, come la scorsa estate lo era stata la Cascione. L'autonomia che avevano goduto lo scorso anno le Brigate V, IV e I doveva essere lasciata alle Brigate ora nascenti.
Solo così potrà stabilirsi una reciproca stima e collaborazione tra gli uomini d'azione ed i tecnici, tra i proletari ed i borghesi. Vi era una spiccata differenza di stile, di mentalità, di abitudini tra Giorgio, Boris [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] da un lato e Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Federico [Federico Sibilla, vice comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Stalin. Pantera non era comunista, per Giorgio e Boris il comunismo pareva più una condiscendenza ad una moda che una vera fede. Lo stesso non si poteva invece dire del comando della I Brigata che sentivamo come l'ambiente più rosso della Divisione. Anche fisicamente Stalin, con capelli lunghi fino alle spalle, pareva l'incarnazione dello spirito ribelle ad ogni disciplina e consuetudine. Con lui erano alcri capibanda eredi di una tradizione di lotta e di autonomia.
Già altre volte la volontà di Stalin si era scontrata con quella del Comando divisione. Il soldato tedesco Jahob Unkelbach il 18 febbraio si era presentato al Garbagnati. Il Comando aveva consigliato la sua eliminazione, ma Stalin si era rifiutato: il disertore tedesco era uno studente di medicina e poteva essergli utile. Gli aveva dato il nome di battaglia «Antonio» e lo aveva messo alle dipendenze di Esculapio, medico della I Brigata, che si servì di lui per tutto marzo per curare feriti e malati. Purtroppo si vedranno più tardi le conseguenze dei due rifiuti di obbedienza ed anche il Comando della I Brigata dovrà trarne le conseguenze. Si cambierà allora il commissario del Garbagnati promuovendo Athos a commissario della II Brigata ponendo accanto a Stalin un commissario nuovo, ligio ai comandi superiori. La scelta non sarà felice e l'autorità di Stalin non verrà per questo ad essere diminuita. Così finiva il mese di marzo: un alternarsi di duri colpi e di successi, una ripresa sicura per quanto lenta, sintomi del crollo nemico sempre più chiari.
In marzo avvenne il nostro primo sabotaggio ferroviario riuscito sulla Albenga-Imperia. Un treno venne fatto deragliare bloccando la linea per qualche tempo.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 225-228

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituito dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idonei al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file. Comunicava, inoltre, che [...] ad Andora (SV) l'Orstkommandatur aveva ceduto il posto a 30 repubblichini.
1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.
2 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 266, ai comandi del Battaglione "Ugo Calderoni", del Distaccamento "Filippo Airaldi", del Distaccamento "Giannino Bortolotti", del Distaccamento "Giovanni Garbagnati", del Distaccamento "Angiolino Viani", del Distaccamento "Marco Agnese" - Disponeva che per sicurezza della zona occupata dalle formazioni in indirizzo queste dovevano collocare ad una distanza di circa 25 metri delle bombe a mano a sbarramento dei sentieri e dei terreni circostanti; che nelle ore notturne doveva essere fatto "rispettare il coprifuoco per evitare incidenti alla popolazione civile"; che solo le persone dotate di permessi scritti a macchina, rilasciati da membri del Comando Operativo di Zona o del comando divisionale, potevano lasciare la mentovata zona; che nessun garibaldino poteva scendere a Viozene; che per qualsiasi necessità "essendo proibito comprare dai privati" i partigiani dovevano rivolgersi alla propria intendenza.
2 aprile 1945 - Da "Gigino" [Umberto Capelli] e "Germano" [forse Germano Tronville] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 3 aprile ci sarebbe stata a Mondovì (CN) una riunione, presenti elementi comunisti ed il locale CLN, per formare una squadra di garibaldini e che venivano inviate 55.000 lire come ricavato dalla vendita di un mulo.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

lunedì 4 dicembre 2023

Era Stalin con i suoi partigiani e quando giunsero il paese si animò d'improvviso

Aquila d'Arroscia (IM). Fonte: Wikipedia

Molti erano come Basco [n.d.r.: Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], tutti anzi vivevano giorno per giorno senza chiedersi più se quello che facevano era bene o male o perché lo facevano. Avevano deciso una volta, quando erano venuti sui monti. Avevano meditato ancora sul da farsi quando la situazione era mutata, seguendo un impulso interno dettato più dai sentimenti che da ragionamento. Continuavano la lotta perché era ormai una seconda natura. Quali erano i sentimenti inespressi che covavano nell'inconscio di quei giovani che li avevano sostenuti, nei momenti di scoramento, quando l'abitudine non bastava più? Alcuni avevano sentito la necessità di riscattare il passato dell'Italia, di riconquistarle la libertà dall'oppressione con la forza non intendendola come un dono del più forte. Per i comunisti era la speranza di fondare un mondo nuovo, di gettare le basi per una società più giusta. E per gli altri? E' difficile dirlo perché ne parlavamo poco. Forse erano stati sufficienti i sentimenti che covavano in tutti: l'astio per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni morti, i paesi bruciati, gli ostaggi fucilati, anche a costo di nuovi lutti; la speranza di prendersi una sanguinosa rivincita per tutto quello che avevamo sofferto; l'orgoglio di non piegarsi, di poter scendere alla costa a testa alta, il desiderio di non confondersi con la massa dei deboli, di quelli che sono vissuti nel terrore del nemico; la coscienza magari indistinta di essere tra gli attori del grande dramma, di una pagina di storia, di aver afferrato da forti una occasione unica che basterà a riempire di ricordi o di orgoglio tutta una vita per aver sfidato il nemico temuto da tutti e per non aver piegato quando i più l'avevano fatto.
"Una volta in Croazia" - raccontava Basco - " ero in postazione fuori paese quando avvistammo su una collina di fronte degli uomini in pantaloncini bianchi che scendevano con cautela. Era inverno e ci pareva strana una divisa di quel genere. Venivano verso di noi e non erano armati. Quando furono vicini ci accorgemmo che erano scalzi ed in mutande. Il nostro capitano uscì dalle linee, uno di loro scattò sull'attenti e si presentò, diede il nome del reparto e poi concluse: 'Catturati dai ribelli e poi liberati'. Il capitano esaminò il tenente da capo a piedi: 'Andate giù in paese a rivestirvi!'. Mentre scendevano per la mulattiera vedemmo che sul retro delle mutande avevano scritto con pittura rossa e azzurra VINCERE. Come erano stati presi? Lo seppi il giorno dopo da uno di loro che trovai in paese. Erano andati in perlustrazione fin quando avevano avvistato una sentinella partigiana; si erano buttati al riparo delle rocce, poi il tenente impugnando la pistola: 'Ragazzi, si attacca! Savoia!'. Gli altri risposero: 'Savoia!' ma poiché il tenente restava con la testa dietro al sasso, nessuno si mosse. Qualche minuto di attesa, poi di nuovo 'Savoia!' e di nuovo tutti fermi. Infine dopo aver gridato Savoia cinque o sei volte vennero i ribelli e li catturarono".
Il discorso fu interrotto dall'entrata di un partigiano: "C'è gente in cresta dalla parte di Aquila [Aquila d'Arroscia]". Uscimmo in due o tre: sulla mulattiera che scendeva dalla cappella di S. Cosimo scendeva una ventina di armati. "Forse son quelli della I che vengono per le armi. Fra poco li vedremo meglio". Era Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] con i suoi e quando giunsero il paese si animò d'improvviso.
Pranzammo e poi dividemmo le armi. C'era anche Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante], c'era un capobanda della Divisione di Savona cacciato in Val Pennavaira da un attacco tedesco. Anche sopra Savona avevano avuto un lancio: ci promise munizioni per mitraglie che avevano ricevuto in abbondanza mentre a noi mancavano ancora.
"Da oggi ha inizio la campagna di primavera", disse Giorgio, mentre gli uomini riempivano i caricatori dei mitra con i colpi per gli Sten. "Si riprendono gli attacchi, si abbandona la tattica cospirativa: piena libertà di azione per ogni banda, attaccate come e quando volete, non occorre più l'autorizzazione del Comando. Ragazzi, distruggete la scatola delle munizioni, in paese non deve restare traccia del lancio".
L'armamento della Divisione era finalmente aumentato, venne esaminata la situazione di ogni banda sotto l'aspetto delle armi automatiche in dotazione: col nuovo materiale era possibile creare un maggiore equilibrio. L'esplosivo, la miccia, tutto il materiale da sabotaggio che ci era piovuto dal cielo venne consegnato direttamente ai comandi brigata: sarebbe finalmente finita la ricerca snervante nei campi minati.
In quelle ore giunse notizia che una colonna nemica scendeva su Caprauna, l'annuncio sollevò l'entusiasmo: finalmente avremmo affrontato il nemico ad armi pari. La notizia era errata e l'eccitazione si spense, era però buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col nemico.
La banda di Stalin col Comando divisionale lasciò la valle di Alto, lo schieramento protettivo venne sciolto, la situazione tornò normale. L'operazione L 1 si era conclusa con un successo.
La campagna di primavera
L'inizio della campagna di primavera annunciata da Giorgio al distaccamento «G. Garbagnati» e ripetuto lo stesso giorno [16 marzo 1945] agli uomini di Cimitero coincise con una forte ripresa offensiva solo nella zona costiera.
La I Brigata preparava in collaborazione col S.I.M. la distruzione del posto di blocco fascista di Cervo progettando di far saltare la casa dove era trincerato con esplosivo collocato nella cantina. Al progetto si oppose il C.L.N. di Cervo del quale faceva parte Semeria che, salvatosi in ottobre dal disastro di Upega, collaborava ora con Batè (Cotta) nelle S.A.P. e nel C.L.N. Semeria era entrato in contatto coi fascisti del posto di blocco avendone la garanzia che, oltre a non molestare nessuno, avrebbero dato informazioni sul traffico di persone e reparti. Il posto di blocco era messo in posizione errata, poiché controllava solo la Via Aurelia e chi non voleva farsi notare poteva evitarlo passando per il paese. Gli argomenti erano buoni ed i partigiani rinunciarono consolandosi con l'intensificazione delle imboscate. Nelle zone più interne l'iniziativa rimaneva ai tedeschi che intensificavano le puntate.
Era a conoscenza il nemico del lancio avvenuto? Taluni indizi ce lo facevano supporre; era però poco probabile che fosse al corrente del punto preciso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 209-211

19 marzo 1945 - Dal CLN mandamentale di Diano Marina al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di desistere da un'azione prevista contro il posto di blocco nemico di Cervo, del resto pericolosa perché sussisteva già allarme tra i soldati e la popolazione stessa, anche per evitare una rappresaglia contro i civili, e sottolineava che questo assunto era stato già sollevato in un incontro, alla presenza di un delegato del CLN provinciale, con il commissario "Federico" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Federico Sibilla] e con il comandante "Mancen" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Massimo Gismondi]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

lunedì 20 novembre 2023

Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi...

Alto (CN). Fonte: Wikimedia

Il giorno 16 giunsi ad Alto. Là terminava la carrozzabile che saliva da Albenga per Castelbianco e Nasino. Inerpicato su un ripido pendio il paesino di Alto in quel marzo 1945 assomigliava stranamnente a Fontane in novembre. Castani spogli, cielo grigio piombo, viuzze fangose, cime e creste brulle ed a pascolo chiudevano a semicerchio la valle mascherando il varco che lasciava passare la mulattiera per Capraùna.
Alto; strano che Cascione avesse scelto per culla del movimento un luogo così cupo che, pur essendo ancora in Liguria, aveva già l'aspetto dei paesini d'alta montagna, dove la neve si fermava più a lungo, il clima era più freddo. Inesperienza? Motivi di sicurezza? Chi sa! Il fatto che la carrozzabile finisse ad Alto e quindi gli automezzi nemici potessero attaccare da una sola direzione e dopo una dura salita, la lontananza da altri paesi, quindi un maggiore controllo sugli abitanti e sullo spionaggio nemico possono aver fatto cadere la scelta su Alto. Ne dedussi anche che la banda di Cascione, dopo lo scontro di Montegrazie, dovette avere un atteggiamento difensivo analogo più o meno a quello adottato da noi nel periodo di stasi e depressione che ci colpì all'inizio del secondo inverno.
L'aspetto di Alto il 16 marzo era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi che erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine [n.d.r.: Alfredo Coppola, capo squadra in seno alla II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"], uno degli incaricati del lancio. "Sta con la moglie" mi disse. Infatti anche Turbine nei giorni si scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata], Turbine, Trentadue e qualche altro erano intorno a piatti di castagne e di latte.
"Sempre la solita cagnara" -  diceva Basco - "chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. che ascolta la radio con te e si mette a gridare: «Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio!» - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così ti fa perdere il secondo. Ma perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...".
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: "Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più".
Il capobanda del distaccamento "I. Rainis" aveva conservato lo spirito ribelle di allora. "Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci, per vivere, allora niente".
"A Mauri i lanci; noi, che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... Ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravamo di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quelli del Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno".
"Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi, se avanza il tempo".
"L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. E' difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia.
Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga".
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala: una raffica e la staffetta era caduta: "Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i documenti che portava".
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto?
Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 206-209

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle tre linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che "... il quartier generale tedesco si è trasferito nella palazzina Faravelli a Nava. I tedeschi, portandosi dietro il russo catturato ad Alto, hanno fatto una puntata a Gazzo e a Gavenola per arrestare 'Ramon' [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, ma, fortunatamente, il russo si è dimostrato leale e ha reso vana la puntata".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

sabato 14 ottobre 2023

Contabilità partigiana nei giorni dei primi aviolanci alleati

Nasino (SV). Fonte: mapio.net

Il 14 [marzo 1945] passa nell'ansia di una possibile reazione nemica. Il materiale [n.d.r.: derivante da un aviolancio degli Alleati] viene inventariato: sono una ventina di Sten, fucili 91 modello Africa orientale con canne arabescate senza cinghia che vengono dati alla banda locale di Alto, una delle poche sopravvissute. Ci sono munizioni calibro 9 lungo, buone per mitra, pistole, Sten, ci sono anche liquori e cioccolata che non superano la notte del lancio. C'è anche qualche coperta, accolta piuttosto male ora che l'inverno sta per finire.
Ci sono poi sigarette, le Woodbine, tabacco Virginia, in lattine da cinquanta. I partigiani, che da mesi fumavano le più strane misture non le gradirono. Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"] deciderà di darle al S.I.M. [Servizio Informazione Militare dei patrioti] perché le diffondesse tra i civili della costa per dimostrare l'abbondanza che regnava sui monti dopo i lanci alleati.
La distribuzione del materiale è provvisoria perché si attendono le bande della I^ Brigata [n.d.r.: Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] che verranno a ritirare la loro parte, poi lo schieramento di sicurezza verrà sciolto. Ad Alto resteranno pochi incaricati, perché, se la zona resterà tranquilla, richiederemo un altro lancio.
La sera del 14 i partigiani ascoltano la radio: è la trasmissione delle 20,30: è in corso la prima fase della battaglia del Reno: sulla testa di ponte di Remagen si combatte la battaglia decisiva. Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile S.I.M. della "Silvio Bonfante"] ed un altro del Comando hanno un gesto di disappunto: di nuovo il messaggio speciale: gli alleati ripetono il lancio questa notte, malgrado gli accordi presi. Vengono raggruppati i pochi partigiani che sono in paese e, via di corsa. Niente schieramento di sicurezza, sarà molto se arriveremo in tempo ad accendere i fuochi perché ci vogliono due ore buone per le mulattiere buie per arrivare al campo di lancio, e lassù, non c'è niente di pronto. Questa volta il lancio fallisce: i partigiani sentono il ronzìo dell'aereo vibrare nel buio mentre arrancano sudati. Quando arrivano al campo è ormai troppo tardi.
La sera del 15 giunsi anch'io in Val Pennavaira, la valle del lancio, ma per altro motivo. Ero passato per Menezo, una frazione tra Onzo [piccolo comune in provincia di Savona] e Costa Bacelega [Frazione del comune di Ranzo in provincia di Imperia]. Vi cercavo il commissario Gigi [n.d.r.: Giuseppe Alberti, commissario della II^ Brigata "Nino Berio" della "Silvio Bonfante"] perché vi era una differenza tra la contabilità sua e quella di una banda dipendente da lui. Trovai con lui Osvaldo [n.d.r.: Osvaldo Contestabile, in quel momento ancora convalescente, di lì a breve di nuovo commissario di una formazione partigiana, più precisamente della IV^ Brigata della "Silvio Bonfante"]: "Vai nella zona degli Sten nuovi", mi disse. Appresi così che il lancio era riuscito. Osvaldo si teneva informato della situazione, vedevo che soffriva di non poter riprendere la vita di prima, di star con Gigi e Natascia. Pareva a vederlo che stesse bene, ma aveva ogni tanto ancora qualche disturbo. Pranzai con loro, esaminai con Gigi i conti della II^ Brigata: perché Gigi aveva segnate come consegnate ad una banda 15.000 lire che la banda non segnava di entrata? Gigi ci restò male, pensò, guardò, poi concluse che la Brigata aveva chiuso la contabilità a fine mese mentre la banda l'aveva chiusa il 27. Esaminando i conti di mano avrei trovato la somma perché la consegna era avvenuta a fine febbraio. Così fu.
Lasciato Menezo andai verso la cresta che separava la Val d'Arroscia dalla Val Pennavaira. Si camminava bene in Liguria nel mese di marzo. Niente neve ormai, qualche albero in fiore e nell'aria un tepore primaverile: la campagna invernale era finita, il lancio sarebbe stato per noi il segnale della ripresa.
Trovai un contadino che esaminava due ciliegi. Gli chiesi la strada: "Vada su per i prati e poi, quando è in cresta, vada a sinistra per il sentiero fino alla cappellina... Vede quei maledetti... durante il rastrellamento mi hanno crivellato di colpi questi alberi. Che gusto ci avranno trovato?!". "Meglio gli alberi che i cristiani", gli risposi. "Già, questo lavoro lo hanno fatto gli alpini perché i tedeschi ad Onzo hanno ucciso una famiglia intera. Perché? Nessuno lo sa. Hanno ammazzato tutti, compresi due estranei che per combinazione erano in casa. Sembra che prima abbiano voluto che quei poveretti preparassero loro il pranzo: hanno mangiato e poi li hanno uccisi. Prima di andar via hanno dato fuoco a tutto. Dicono che avessero trovato in casa una macchina fotografica, ma di preciso nessuno sa niente perché di quella famiglia l'unica salva è una donna che quel giorno era andata in un altro paese".
"Tedeschi... Noi li conosciamo da mesi. Fortuna che non durerà più molto".
Non durerà più molto. Infatti non ci sarà più un altro inverno di guerra, forse nemmeno un'altra estate; questa volta la Germania è presa alla gola ed in Italia il primo balzo porterà gli alleati sul Po. Contento? Sì... eppure... ho una punta di nostalgia: è tutto un ambiente, tutto un mondo che finisce. Fosse finito allora, in ottobre quando eravamo stremati. Ma allora no, allora avanti, nella neve, nel fango, sempre più pochi. Titolo di onore sarà per noi la campagna invernale e che poco più di trecento sono i partigiani della Bonfante che hanno resistito. Ora che l'inverno sanguinoso è passato, che più forti e più armati potremmo affrontare il nemico da pari a pari, la grande avventura avrà termine. Mai più tornerà l'ambiente di luglio, i tempi della Volante, delle folli audace, le corse sui camion rombanti, i bivacchi sulle cime, le marce sotto la luna cantando. Ricordo i pascoli verdi di Pian del Latte, le malghe di Tanarello, l'odore del formaggio, del fieno, delle stalle; i campanacci delle mucche nella nebbia, il belato dei greggi, le lunghe ore passate sui prati ad osservare il tramonto... Tutta una vita!
Dalla strada in cresta si stacca un sentiero che scende in Val Pennavaira. Non sono ancora alla cappellina, ma a me preme scendere a fondo valle prima di notte. Devo trovare Gapon [Felice Scotto], ora commissario della III^ [Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Silvio Bonfante"], la cui contabilità è piuttosto saltuaria.
Il sentiero con una ripida discesa di un'oretta tra sterpi e castani mi conduce tra Alto e Nasino. Sullo stradone un carro sale lentamente: sopra cinque o sei partigiani con le gambe penzoloni mi guardano indifferenti in silenzio.
"Sapete dove è Gapon?" chiedo loro. "A Nasino, se non è andato via". Avrei preferito ad Alto per aver notizie del lancio, ma in compenso a Nasino non c'era da salire. Dopo accurate ricerche, trovo Gapon all'osteria: avrei dovuto ricordare che quella era la sua base preferita. 
"Stasera ti offro uno spettacolo interessante", mi dice quando mi vede. "Vedrai perché noi della III possiamo fare anche a meno dei soldi della Divisione". Ero incuriosito. Infatti, quando la contabilità non era regolare, sospendevo l'invio dei fondi.
Con la III^ però il provvedimento non era stato efficace e venivo proprio a cercarne il motivo. Appena cenato lo spettacolo comincia. In un'altra stanza della stessa trattoria ci aspettano due contadini. Dietro ad un tavolo sediamo Gapon ed io; in piedi, con un fascio di carte in mano, Megu [Ugo Rosso], uno studente di medicina con barba e baffi vigorosi. Sono così riuniti commissario e capo di Stato Maggiore della III Brigata, nonché l'amministratore [n.d.r.: l'autore di questo memoriale, Gino Glorio] della Bonfante. Come cariche non c'è male. Megu inizia: "Da informazioni prese ci risulta che il signore..." e legge il nome dando una rapida occhiata alle carte. "Siete voi? Benissimo... Ha partecipato nel '36 come volontario alla guerra d'Africa. E il signore... ", anche qui un rapido sguardo alle carte, "alla guerra di Spagna contro il governo repubblicano. E' vero?". I due assentono assieme aggiungendo vivacemente qualche frase a discolpa. "Benissimo", continua Megu, "voi eravate disoccupato e voi avevate litigato con vostro padre. A parte il fatto che rimane da dimostrare che nel '36 non si trovasse altra occupazione più onesta ed onorevole che andare ad ammazzare negri che difendevano la loro terra o che l'aver litigato col padre possa autorizzare uno ad andar a cambiar governo in un altro paese, ho qui un documento che vi smentisce ampiamente e che è il principale capo di accusa... Dov'è?... Ah, ecco!". Ed estrae dal fascio un gruppo di fogli. "Salto le parole che non interessano... Ecco: è il verbale di un tribunale speciale, che voi ben conoscete, costituito nelle persone dei camerati...". E qui legge parecchi nomi. "Tutta brava gente" - mi dice sotto voce Gapon - " che a tempo debito sborserà fior di quattrini di multa se non avrà di peggio". "Constata su parere del medico legale camerata... la piena idoneità del signore... a sopportare il confino di polizia...". "Ti guardano in faccia ed anche se sei tubercolotico agli estremi ti trovano sempre in buona salute", commenta Gapon a bassa voce.
"Risultando provato che il signor... in un pubblico locale il giorno... affermava che i camerati... e..., e siete voi due... avrebbero partecipato rispettivamente alla guerra d'Africa e di Spagna non già, per compiere il loro dovere di italiani e di fascisti, ma per motivi privati. Su istanza dei suddetti camerati, che dalle affermazioni dell'imputato sentono gravemente offesa la loro fede fascista e menomata la loro fedeltà incondizionata al regime, condanniamo il signor... a due anni di confino di polizia. Contenti? E noi adesso multiamo voi di lire centomila e voi di quarantamila".
Segue un breve silenzio, poi i due contadini cominciano a scusarsi, a smentire, a dichiararsi impossibilitati a pagare.
"Niente paura, siamo informati anche a questo riguardo", replica Megu tirando fuori altre carte. "E' uno specialista", commenta Gapon compiaciuto. "E' andato apposta a Castelbianco per avere un estratto catastale con le terre ed i beni di questi due".
"Ci risulta che voi avete terreni che attualmente valgono un milione, se volete posso elencarli... Cosa avete detto? Non sono vostri, ma della buon'anima di vostro padre? Come scusa non vale perché non avete fratelli e siete l'unico erede. Quanto a voi abbiamo fatto un po' meno perché terre ne avete poche... Non avete quarantamila lire liquide! Non importa, avete una sorella, fatevele anticipare, ipotecate le terre, fate un debito, ma vi conviene pagare". Megu posa le carte. Poi prosegue. "Sentite, non sono scherzi, abbiamo bisogno di soldi per condurre la lotta. I partigiani non vivono d'aria ed han bisogno di vestirsi. L'ordine di arrestarvi non è partito di qui; è venuto dall'alto, ma per un insieme di circostanze gli alti comandi hanno altro da pensare e forse si sono scordati di voi. Per il vostro bene, se fermate la cosa qui, siete liberi, altrimenti domani vi mandiamo al tribunale divisionale ed allora non posso garantire per la vostra vita. Non dimenticate, non sono più i tempi in cui Cascione curava i fascisti feriti e prigionieri. Son passati due inverni e troppe ne abbiamo passate per avere il cuore tenero con i servi fedeli del regime".
I due parevano annientati.
"Avete una notte per pensarci. Domani mattina ci darete una risposta".
"Ti è piaciuto?" dice Gapon uscendo. "Li mandiamo a dormire in una cappellina con una squadra partigiana. Dormire per modo di dire, che non chiuderanno occhio senza coperte e con i pensieri che hanno. Domattina saranno maturi. Se pagheranno? Oh, altroché! Hanno sempre pagato tutti finora! Anche il macellaio di Caprauna multato per aver venduto in paese la carne troppo cara. Appena possibile mandiamo a mungere un seniore della milizia che vive tranquillo a Marmoreo ed un altro che ha fatto la guerra di Spagna. Il terreno è fertile se si sa farlo rendere".
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 202-206

domenica 8 ottobre 2023

Il 20 novembre 1943 il col. Giuseppe Bosio, comandante del distretto d'Imperia, fa affiggere i manifesti per la chiamata alle armi delle classi 1923-24-25

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

Con l'occupazione germanica della Liguria Occidentale i fascisti che, il 25 luglio 1943, arrestato Mussolini ed abolito d'autorità il P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), erano scomparsi, rialzano la testa e ricompaiono nella società protetti dalle truppe d'occupazione. I primi loro atti sono le vendette personali e quindi iniziano la riorganizzazione delle loro forze politiche e militari.
Al vertice del potere amministrativo in provincia di Imperia, come capo della provincia, viene insediato il console generale della milizia ecc. dott. Francesco Bellini (12), nato a Cecina nel 1899, già segretario federale a Bolzano, a Pola e a Gondar (Etiopa); console generale della M.V.S.N. (13), prefetto di Belluno e Gorizia nel 1939, fascista ligio alle proprie idee, che governerà fino alla metà del 1944 (14) emanando bandi e prendendo iniziative assai impopolari da causare non pochi drammi tra gli antifascisti ed i civili.
Alla nomina del nuovo prefetto seguono quelle dei segretari politici del nuovo Partito fascista repubblicano. Ad Imperia il cittadino Archi succede al dott. Domenico Filippi, segretario della Federazione locale; a San Remo la sede del Partito fascista repubblicano, con commissario politico Nino Nuvoloni, viene costituita in via Manzoni n. 2, ove si apre la sottoscrizione «pro mitra», e a Diano Marina, sulla piazza del Municipio, il cui nuovo segretario politico è  Enrico Papone.
Il Prefetto, su indicazione dei fascisti locali, insedia i commissari nei Comuni: nel capoluogo all'avv. Ambrogio Viale subentra, il 23 di settembre, il prof. Nardo Languasco; a San Remo il vice-prefetto dott. Alfonso Chiodo sostituisce l'avv. Mario Caraccioni; a Bordighera assume la carica il commendatore Emilio Pognesi [n.d.r.: in effetti, il cognome era Pognisi, un generale a riposo con contatti con antifascisti della zona, come Giuseppe Porcheddu, Pognisi, morto di lì a breve e che, comunque, fu podestà di Bordighera solo nel periodo "badogliano"] ed il 17 a Diano Marina il col. Alessandro Angioino sostituisce il dimissionario Mario Oreggia. In Questura il dott. Benedetti lascia la carica al  nuovo capo di polizia Ermanno Durante, un personaggio che, alla liberazione, fuggito a Milano e il 26 aprile catturato in un nascondiglio e incarcerato da una squadra del distaccamento «Carlo Rosselli», in seguito verrà rimesso in libertà in circostanze poco chiare. (G. Pesce, Quando cessarono gli spari, Ed. Feltrinelli, Milano, 1977, pag. 143). Si organizzano le prime formazioni armate della Repubblica Sociale Italiana. All'inizio la maggior parte dei fascisti, già appartenenti al 33° battaglione C.C.N.N. reduce dai Balcani e sfasciatosi l'8-9-1943, che rivestono la divisa, vengono inquadrati nella 33a legione M.V.S.N. «Generale Gandolfo» del 626° Comando Provinciale G.N.R. d'Imperia (15), comandata dal colonnello Gianni De Bernardi e dal vice, primo seniore colonnello Pier Cristoforo Bussi, capo dell'U.P.I.
La 33a legione suddivisa su tre compagnie O.P. (Ordine Pubblico) dislocate a Ventimiglia, a San Remo e a Imperia, con distaccamenti nei pressi di Bevera, Mortola inferiore, Bordighera, Dolceacqua, San Michele, Ceriana, Isolalunga, Taggia, Badalucco, Triora, Santo Stefano al Mare, Dolcedo, Diano Marina, Cervo, Pieve di Teco, Pornassio, Nava (16), è completata a novembre con l'incorporazione di circa 200 giovani reclutati dal federale Cesalo in Francia, dei quali:  33 a Nizza, 31 a Mentone, altri a Roquebrune, Antibes, Cagnes, St. Laurent du Var, Carnoles, Cap Martin, ecc., già quasi tutti appartenenti all'organizzazione fascista «Azione Nizzarda» (17).
Inizialmente comanda la compagnia O.P. d'Imperia il capitano Ferrari di cui avremo da parlare (18). L'Albenganese rimane sotto la giurisdizione militare del 627° Comando Provinciale G.N.R. di Savona, già 34a legione «Premuda» (Posta da campo n. 831) comandata dal maggiore F.M. originario di Porto Maurizio, da l'U.P.I., dal maggiore Previtera, con compagnie O.P. dislocate a Varazze, Cairo Montenotte, Albenga e, per guanto ci riguarda, con distaccamenti ad Alassio, Andora (con posto di blocco sulla via Aurelia), Casanova Lerrone e Ortovero (19).
Il 20 novembre 1943 il col. Giuseppe Bosio, comandante del distretto d'Imperia, fa affiggere i manifesti per la chiamata alle armi delle classi 1923-24-25, che prevedono la pena di morte per renitenti e disertori. Ma i detti manifesti  lasciano il tempo che trovano.
Altri giovani Italiani, figli di famiglie emigrate nella vicina Francia, allettati da mille promesse, per forza o con consenso, già organizzati nelle squadre fasciste degli Italiani all'estero, dette (oltre alla già citata «Azione Nizzarda») «Fronte Popolare Francese», «Milizia Francese» ecc., inquadrati nel battaglione «Nizza», vengono trasferiti nell'Imperiese.
Al termine del 1943 molti di questi fascisti importati o locali, tendono a costituirsi in reparti autonomi, come Compagnie di Ventura, in cui sono incorporati anche condannati comuni, tratti fuori dalla galera ed arruolati con la promessa della estinzione della pena, a guerra finita. Vi affluiscono pure fascisti fanatici. Fra i militi sono anche gli uomini che il fascismo aveva ingannati ed illusi; gli arrivisti astuti ed ambiziosi ma accorti, che non si  macchieranno di delitti; dei borsari neri che si serviranno della divisa per condurre a buon termine dei traffici illeciti; dei disoccupati; dei prototipi che vivevano ai margini della società, innocui o irresponsabili.
Comanda la Piazza d'Imperia il colonnello tedesco Major che sovrintende e sorveglia, diffidente, l'attività di queste formazioni fasciste (20). Il dott. Gercano diventa commissario capo delle guardie repubblicane.
Il grosso dell'esercito della R.S.I. viene addestrato in Germania dai Feldwebel tedeschi. È composto da coloro che, tra i deportati, avevano aderito alla R.S.I., uniti alle reclute che in Italia, ubbidendo ai bandi nazifascisti, si  erano presentati ai distretti militari.
La divisione di marina «San Marco» è addestrata nel campo di Grafenwohr, la divisione alpina «Monte Rosa» a Munzingen, la «Italia» (bersaglieri) a Hemberg, e la «Littorio» (fanteria motorizzata) nel Sennelager. Sono circa 16.000 uomini in forza organica per ogni divisione, ad eccezione della «Monterosa», con 20.000.
Diversamente, la divisione camicie nere «Tagliamento», i «Cacciatori degli Appennini», reparti paracadutisti «Nembo» e «Folgore», i battaglioni autonomi di difesa costiera, le divisioni rabberciate in forma precaria «Etna» (I divisione  antiparacadutisti e antiaerea «Etna», il cui 8° battaglione si troverà nel Savonese e nell'Imperiese nei primi mesi del 1945) e «Vesuvio», la X MAS del principe Valerio Borghese, le brigate nere, i reparti P.S., le compagnie di ventura «Koc», «Carità» ecc. sono organizzate in Italia.
Nell'Imperiese i fascisti, acquisita una minima organizzazione, dànno il via alle rappresaglie dirette contro le famiglie dei renitenti alla leva: a San Remo vengono tolte le licenze di commercio a varie famiglie e si ordinano i raduni di bestiame bovino per la requisizione (21).
Nella seconda decade del gennaio 1944 i G.A.P. sanremesi compiono le prime azioni di sabotaggio tagliando i fili telefonici del Comando tedesco. Con un discorso di padre Eusebio (ex cappellano della divisione «Julia») nel teatro «Verdi» a San Remo, è istituita una squadra fascista intitolata a Ettore Muti: è il primo embrione di organizzazione militare che darà vita alla «Brigata Nera» della provincia.
A Porto Maurizio nasce il circolo rionale fascista «Silvio Borra». Ad Albenga il Podestà comunica alle autorità nazifasciste i nominativi di n. 87 renitenti alla leva delle classi 1924-25-26. Il 10 febbraio a San Remo è istituito il Tribunale Federale di cui entrano a far parte, oltre al segretario del Fascio repubblicano, Ugo Ughetto ispettore federale per la zona di Mentone, ed Elio Piccioni segretario federale di Ventimiglia. Nasce pure un centro arruolamento  volontari comandato da Francesco Lanteri (22), simile a quello già in funzione presso la federazione dei Fasci repubblicani.
A Realdo, in valle Argentina, si hanno le prime vittime dello spionaggio: il maggiore della milizia fascista F.A., notata in paese la presenza di vari prigionieri inglesi, fuggiti l'8-9-1943 dai campi di prigionia del Piemonte, dal concittadino A.L. li fa consegnare ai carabinieri di Triora che, a loro volta, li dànno in mano ai Tedeschi; i due saranno fucilati dai partigiani come spie perché, senza dubbio, uguale sorte avrebbero questi ultimi subìto se fossero  stati catturati per delazione (23).
In marzo i prefetti d'Imperia e di Savona ordinano il ripristino dei motti del Duce, scritti sui muri, già cancellati dopo il 25-7-1943 (24).
Nella primavera del 1944 l'ufficio U.P.I. d'Imperia acquista una consistente organizzazione: dipende dalla G.N.R., ha per capo il colonnello Bussi, è composto da militi come il maresciallo Mangiapan, il brigadiere Maffei, l'agente Gallerini, il centurione Montefinale, il capo ufficio magg. Gastaldi, ecc. (25).
La compagnia O.P. della 33a legione ed altre formazioni, hanno il compito di mantenere l'ordine pubblico e di dare la caccia ai fuorilegge (partigiani), al tempo stesso si lamentano presso il Duce, informandolo che i figli della borghesia locale, invece di arruolarsi nelle forze della Repubblica Sociale, si sono imboscati nella Todt; gente che non ha mai lavorato e che per opportunità ha imbracciato il badile e la pala in luogo del fucile (26); segnalano che la maggior parte dei richiamati, specie quelli dei paesi montani, hanno già fatto causa coi «banditi» (20-6-1944) e che in provincia quasi ogni giorno si verificano assenze arbitrarie dai presidi costieri (23-6-1944).
La compagnia O.P. d'Imperia, composta di circa 150 uomini, è comandata, come abbiamo già detto, dal capitano Giovanni Ferrari, (ex ufficiale del 41° reggimento fanteria), molto quotato dai Tedeschi e decorato della croce di ferro di 2^ classe, che diventerà non poco famoso (27).
Dai reparti della G.N.R. nascono, in seguito, quelli antipartigiani (R.A.P.), composti da giovani di 18-25 anni, che dànno il via ai rastrellamenti sulle montagne della provincia. Giunti in un paese allacciato alla carrozzabile, a bordo di camions, ed attraversata qualche valle a piedi, sono raccolti altrove con gli stessi mezzi. Veramente non sono rastrellamenti eseguiti in ordine sparso, ma in colonna, pertanto poco efficaci. Anche la polizia del questore in carica  rastrella e, purtroppo, in  maggio infligge duri colpi alle organizzazioni antifasciste ed ai C.L.N. nelle zone di Ventimiglia, Bordighera, San Remo e Diano Marina (28).
In luglio il questore in carica è sostituito dal dott. Sergiacomi, altro capo cui seguirà nell'Imperiese un periodo di vita difficile. Viene istituito un robusto plotone arditi antipartigiani comandato dall'ufficiale superiore Delcaro, con cani lupo e ben fornito di mitra, pistole e bombe a mano. Gruppo di militi repubblichini ben noti a coloro che hanno subito le loro «sedute» d'interrogatorio (29).
Il primo luglio 1944  Mussolini detta la deliberazione per istituire le squadre d'azione camicie nere, il 26 luglio viene impartita a tutte le formazioni fasciste già esistenti la seguente ordinanza: «Gli appartenenti al partito, dai 16 ai 60 anni, devono far parte di queste squadre che assumono il compito di assicurare l'ordine e distruggere i partigiani ed i comunisti ovunque si trovino. Chi non aderirà, può andarsene. I capi devono essere uomini politici locali... » (30). Nascono così le brigate nere con capi fondatori. In esse si raccolgono i «scelti» delle già menzionate formazioni fasciste. Il raggruppamento di tali bande costituisce la «Brigata Nera».
Nel luglio 1944 nasce ad Imperia la 32a brigata nera «Antonio Padoan» ed a Savona la 34a brigata nera «Giovanni Briatore», ambedue dipendenti dall'Ispettorato B.B.N.N. della Liguria, con sede in Genova, di cui è capo il dott. Asti prima e Luigi Sangermano dopo.
La 32a brigata nera d'Imperia prende il nome dal prete Antonio Padoan. Eccone il motivo:
Durante gli anni del fascismo il Padoan era parroco di Creppo, in valle Argentina. Si dimostrava di idee liberali benché fosse figlio di un colonnello fascista. Poi venne trasferito nella parrocchia di Castelvittorio e durante la Repubblica di Salò le sue idee si adeguarono al momento per cui, divenuto uomo fidato della G.N.R. e dei Tedeschi occupanti, incominciò a fare propaganda in chiesa per i nazifascisti. A Pigna, come capitano della milizia, non disdegnò di sostituire don Bono protestatario, per far partecipe di funzioni religiose i partigiani Repetto e Faraldi morituri, fucilati poi dai fascisti.
Forse affrontato da partigiani della V brigata [n.d.r.: invero a quella data non ancora costituita] la sera del 7 maggio 1944 per indurlo a desistere dai suoi propositi e abbandonare Castelvittorio e forse, nata una colluttazione reciproca con spari da ambo le parti (pare che il partigiano detto «Albenga» abbia avuto la cassa del fucile fracassata da una pallottola, così che l'arma gli salvò la vita), il Padoan rimase ucciso (31).
I fascisti fecero del morto un martire ed una bandiera intitolando con il suo nome la brigata nera imperiese e resero gli onori militari alla salma durante i funerali che si svolsero a Ventimiglia.
La 32a brigata nera «A. Padoan» partecipa alla lotta antipartigiana fino alla liberazione. Dopo il 25 aprile 1945, in fuga, raggiunge Alessandria ove viene catturata.
Dislocata ad Imperia con posta da campo n. 779, durante tutto il periodo della lotta è comandata, tra gli altri, da Mario Massina e dal tenente colonnello Edoardo Baralis.
Comprende la Compagnia comando, il 1° battaglione su tre compagnie e il 2° battaglione con la 4^ compagnia «Alassio» comandata dal tenente Ferdinando Rey, la 5^ compagnia «San Remo» comandata dal tenente Renato Moretti, la 6^ compagnia «Ventimiglia» comandata dal tenente Elio Piccioni.  (32) [n.d.r.: si intendeva con ogni evidenza citare Renato Morotti, in ogni caso non tenente e neppure comandante, fucilato il 26 aprile 1945 presso il cimitero della Foce a Sanremo: in ogni caso, sia in Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 che nel Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan (Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo), comandante di tale compagnia risulterebbe essere stato Mangano, così come sembrerebbero confermate, direttamente o in absentia, le scarne notizie di cui sopra, afferenti Renato Morotti].
La brigata nera viene munita di un proprio ufficio U.P.I. diretto da un certo P.G. I capi delle squadre d'azione diverranno tristemente famosi; sono gli ufficiali: R. M., E. M., A. D. R., P. G., L. B., V., A. impiccatore (33), i capitani I. D. (condannato a morte alla Liberazione ma poi assolto), F. M. giustiziato,  G. F., E. P. (giustiziato a Diano Marina il 4-10-1944), A. V. (già capitano della milizia) e A. C. (capitan Paella) giustiziati nei giorni della liberazione, ed altri (34). In concorso con le SS tedesche saranno responsabili di quanto è successo di grave a uomini, donne e bambini (35).
L'ordinanza del Duce sull'inquadramento delle brigate nere in funzione militare fa nascere non poche perplessità nei capi, tanto che ad Imperia il comandante della «A. Padoan» Mario Massina scrive in un suo rapporto del 16 luglio 1944:
«Il provvedimento della militarizzazione del partito ha provocato svariati commenti. È impressione generale che le squadre d'azione non saranno in grado di funzionare, sia per la deficienza di armi, sia per la mancanza di capi, sia, infine, perché il partito in provincia di Imperia non ha largo seguito. Ha destato ilarità il fatto che il Commissario federale prenderà il nome di Comandante di Brigata quando ai suoi ordini, in provincia d'Imperia, avrà sì e no una cinquantina di elementi».
In un altro rapporto del Massina del 28-7-1944: «Con l'ordine di costituzione delle brigate nere il fascismo d'Imperia ha chiaramente dimostrato la sua poca buona volontà di combattere. A tutt'oggi nessuna squadra d'azione è stata costituita, anzi, qualche fascista ha presentato le dimissioni e molti altri, pare, intendono fare lo stesso, non escluso qualche dirigente». (36)
L'11 luglio 1944 è costituita ad Alassio la 34a brigata nera «Giovanni Briatore» (Posta da campo n. 831), comandata da Francesco Girlaro, vicecomandante è Luca Dimora. Altri capi della brigata nera saranno: Mario D'Agostino fino al 22-10-1944, Paolo Pano fino al febbraio 1945, e quindi Quinto Aleardi. È composta da una compagnia comando e da tre battaglioni divisi in nove compagnie, a loro volta suddivise in squadre d'azione per un totale di circa 600 uomini. Le compagnie presidiano Alassio, Albenga, Varazze e Vado Ligure.
[NOTE]
(12) Il nuovo prefetto dott. Vincenzo Bellini sostituì l'8-10-1943 il collega dott. Froggio che, a sua volta, l'8-9-1943 aveva sostituito il prefetto dott. Tallarico.
(13) Dopo l'8-9-1943, la sigla M.V.S.N. non venne più usata dalle ricostituite forze armate fasciste.
(14) Vedi articolo nella cronaca d'Imperia del Corriere Mercantile dell'8-10-1943.
(15) Il 626° Comando Provinciale d'Imperia (Posta da campo n. 779), col 627° di Savona, 628° di La Spezia ed il 625° di Genova, dipendevano dall'Ispettorato Regionale Ligure della G.N.R.
(16) Da documento del Comando 33a legione «Generale Gandolfo», emesso ad Imperia il 20-ll-1943, prot. n. 29 segreto, relativo alla ricerca dei membri del Gran Consiglio del Fascismo che nel luglio votarono contro Mussolini.
(17) Tra gli altri, 14 militi della 33a legione caddero ad Imperia, 7 a San Remo, 5 a Bordighera, alcuni a Triora, a San Lorenzo al Mare, a Taggia e a Diano Marina.
(18) Una pattuglia della compagnia O.P. di Imperia il 20-11-1943 uccise nei pressi di Sant'Agata il partigiano Walter Berio, primo caduto della Resistenza Imperiese (vedi primo volume dell'opera di G. Strato).
(19) Vedi: «Storia delle forze armate della Repubblica Sociale» di G. Pisanò, fascicolo n. 81. Edit. F.P.E., Milano 1968. Tra gli altri, 7 militi del 627° Comando Provinciale caddero nella zona di Alassio; una dozzina in quella di Albenga, alcuni in val Merula, località «Cian du Belottu», nel giugno 1944. (vedi volume II dell'opera di C. Rubaudo).
(20) Con la dicitura: «la presente tessera vale come porto d'arme e come autorizzazione di libera circolazione in caso d'emergenza politica o militare per raggiungere le sedi del P.F.R.», riportata sulla tessera degli aderenti al Partito e da lui firmata, il colonnello tedesco Maior permette a questi ultimi di portare le armi.
(21) Raduni per la requisizione di bovini si tennero a Ventimiglia il 5.1-1945, a San Remo il 13-1-1945, a Borgomaro il 16-1.1945, a Pieve di Teco il 27-1-1945, a Diano Marina il 12-1-1945.
(22) Notizia tratta dal giornale «Eco della Riviera» del 10-2-1944.
(23) Da una testimonianza del comandante Nino Siccardi (Curto).
(24) Da circolare prefettizia del 25-3-1944, prot. n. 769/14/7 Gab. Savona.
(25) Da documento redatto dall'ex brigatista nero E.F.
(26) Vedi volume: Riservato a Mussolini, nota del 4-5-1944/P2/0. Edit. Feltrinelli, Milano 1974.
(27) Da testimonianza del brigadiere T. F. della G.N.R., fatta il 10-5-1945.
(28) Una squadra antipartigiana della P.S. era composta dagli agenti: Gi., Di C., An., La., Sa., Fa., Ai., Cu., Pu., An., Fa., Ba., Ge., Ca., quasi tutti meridionali, rimasti tagliati fuori dalla loro terra dopo lo sbarco alleato  in Sicilia. Vedi documento nel capitolo "Azioni nemiche controbanda", settembre 1944.
(29) Guardie di P.S. che fecero parte del plotone antipartigiani:  Gu.,  Ag., Me., Ne., Re., Te., Pu., ecc., anche questi, meridionali, rimasti in Ligurìa a causa degli eventi come a nota (28). Vedi lettera del S.I.M. di zona al servizio S.I.M. del Comando II^ divisione "F. Cascione" del 3-4-1945.
(30) Dal volume «Italia Partigiana» di G. Bocca, Edit. Laterza, Bari, 1967
(31) Da memorie orali di Bruno Luppi (Erven) e del comandante «Vittò». Per maggiori dettagli vedi l'opuscolo "Sangue a Castelvittorio" di Nino Allaria Olivieri, Edit. Sordomuti, Milano, 1997.
(32) Vedi: "Storia delle forze armate della R.S.I. di G. Pisanò", fascicolo n. 98. Edit. F.P.E., Milano, 1969.
(33) Il milite fascista A., in relazione alle dichiarazioni fatte dai suoi commilitoni, aveva impiccato nove partigiani in una volta. Vedi giornale «L'Unità» del 23-7-1946.
(34) Da relazione del responsabile S.I.M. divisionale al Comando operativo di Zona, del 4.4.1945 prot. n. 21/73
(35) S.S. = Schutzstaffel, che significa: Servizi Speciali. La formazione nacque nell'aprile 1925. Il nome fu dato ad una squadra di 8 uomini scelti, tra i più fanatici, destinata alla protezione personale di Hitler.
(36) Vedi a pag. 188 del volume "L'esercito di Salò" di G. Pansa. Edit. Oscar Mondadori, Milano, 1970.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Pigna (IM): Corso De Sonnaz

Nella tarda estate del '44 tornarono in Italia i primi reparti addestrati nel Reich, la divisione di fanteria San Marco e la divisione alpina Monterosa. Entrambe, assieme a tre divisioni tedesche, finirono per formare l'armata Liguria, la quale, raggruppata tra Imperia e La Spezia, aveva il compito di impedire uno sbarco alleato sulla costa nord-occidentale del Paese <1192: in realtà la sua funzione si orientò principalmente alla lotta partigiana, dato che i tedeschi non avevano alcuna intenzione di adoperare truppe italiane al fronte.
[...] Sempre alla prima sezione della Corte di Assise romana toccò giudicare un altro capo provincia della Rsi, dapprima stanziato a Rieti e successivamente, dal giugno del '44, ad Imperia, Ermanno Di Marsciano. Oltre alle accuse di collaborazionismo pesava sull'imputato il coinvolgimento nei rastrellamenti di Monte San Giovanni in Sabina del 7 aprile 1944 e di Leonessa (RI) del 10 marzo 1944. Con la sentenza 121/50 del 21 giugno 1950 il tribunale romano lo condanna all'ergastolo, all'interdizione dai pubblici uffici e al pagamento delle spese legali. La Cassazione, tuttavia, accolse la richiesta di conversione della pena avanzata dall'imputato, affidando l'onere del giudizio alla Corte d'Appello di Roma, la quale, il 12 maggio 1952, convertì l'ergastolo - già precedentemente condonato in 19 anni di reclusione - in 9 anni di reclusione. Di Marsciano, nel giugno del '44, aveva sostituito ad Imperia Francesco Bellini, il quale era stato trasferito a Treviso. Nominato prefetto durante la guerra per meriti politici, Bellini era come tanti suoi colleghi prefetti uno squadrista della prima che prese parte alla marcia su Roma. Fu console generale della Milizia e durante gli anni Trenta ricoprì la carica di segretario federale a Bolzano, Pola e a Gondar, in Etiopia. Fu nominato prefetto nel 1939 e destinato dapprima a Belluno e poi a Gorizia dove, nell'agosto '43, venne collocato a riposo da Badoglio <1374. Per il suo operato durante la Repubblica di Salò venne riconosciuto colpevole per i reati di collaborazionismo e omicidio dalla Corte d'Assise Straordinaria di Treviso e condannato a morte con sentenza emessa il 16 giugno 1945. La Corte di Cassazione di Milano, tuttavia, accolse il ricorso dell'imputato contro la sentenza, annullandone l'esito e rinviandola alla Corte d'Assise Straordinaria di Venezia. Non si conosce l'esito del processo.
[NOTE]
1192 F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, pp. 707-708
1374 M. Stefanori, Gli ebrei e la Repubblica sociale italiana, p. 131
Jacopo Bernardini, "Un confuso fermento di idee": politica, amministrazione e costituzione nell'ultimo fascismo (1943-1946), Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2019-2020
 
Dopo l'8 settembre Marcianò ricostituì il suo battaglione a Vercelli, da cui il 30 marzo 1944 raggiunse Grafenwöhr per aggregarsi alla divisione San Marco. Al momento di partire per la Germania inviò un vibrante messaggio a Mussolini a cui esprimeva «la volontà di combattere e di morire per le rinnovate glorie della Patria», chiedendo che il suo gruppo venisse «lanciato contro il nemico, come i vecchi reparti d'assalto della Grande Guerra». <194 Una volta rientrato in Italia, il reparto di Marcianò, insieme ad un gruppo del 3° reggimento di artiglieria, fu posto sotto il comando della 34ª Infanterie Division, diretta dal generale Theo von Lieb. Il III gruppo esplorante, che poteva disporre di circa 700 uomini, <195 venne inviato nell'area di Imperia, con il compito di ripulire la zona dalle bande partigiane che minacciavano la sicurezza delle retrovie tedesche. Pur non essendo stricto sensu una vera e propria formazione di controbanda, tuttavia gli uomini di Marcianò applicarono brillantemente i principi della controguerriglia. Attacchi notturni con squadre non troppo numerose (venti o trenta uomini al massimo). Spostamenti continui. Incursioni a sorpresa nei paesi frequentati dai partigiani. Anche se non fu risparmiato dalle diserzioni - 79 alla data del 5 settembre 1944 <196 - il III gruppo esplorante dimostrò comunque una coesione disciplinare e uno slancio combattivo nettamente superiori al resto della divisione. A partire dal settembre 1944 gli uomini di Marcianò si installarono nel territorio al confine tra le province di Asti, Cuneo, Savona ed Alessandria [...]
[NOTE]
94 P. Baldrati, San Marco, San Marco..... cit. vol. II, documento 35, p. 744.
195 Ivi, documento 104, allegati 2, 3 e 4, pp. 856-858. Alla data del 5 settembre, il reparto di Marcianò poteva contare su 732 uomini, così ripartiti: 32 ufficiali, 50 sottufficiali e 650 soldati di truppa.
196 Ivi, documento 104, allegato 6, p. 860. Dei 79 militari che risultavano disertori alla data del 5 settembre, quattro erano sottufficiali e 75 soldati di truppa
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Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021

Pagina 13 del Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) del 19 giugno 1944. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Il 10 corrente, alle ore una, in località Barcheto del comune di Imperia, circa 15 banditi armati prelevarono dalla propria abitazione, mediante violenza, il vice commissario federale del P.F.R. Adalberto Armelio, conducendolo per ignota direzione.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) del 19 giugno 1944, pagina 13. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Cortesia Angelo: nato a Vidor il 4 settembre 1927, squadrista della Brigata Nera “Padoan”
Interrogatorio del 3.7.1945:
[...] Solo nel mese di agosto del 1944 mi arruolai come fecero tutti gli altri che mi istigavano. Rimasi in servizio presso la 32^ Brigata nera “Padoan”, operante nella provincia di Imperia. Durante tale periodo presi parte a svariati rastrellamenti, circa 20, contro i partigiani. I rastrellamenti erano sempre diretti da componenti dell’ufficio politico investigativo dell’ex GNR. Molte volte vi prendevano parte anche truppe tedesche con elementi delle loro SS. Durante tali rastrellamenti da parte della brigata nera, cioè quando vi partecipavo io, non fu mai ucciso nessun partigiano: ne avremo catturati circa una decina che furono sempre consegnati alle SS tedesche. Non so quale fine facessero. In tutto da parte delle formazioni tedesche saranno stati uccisi circa 45 partigiani. Dei predetti parte rimasero uccisi in combattimento e parte furono fucilati sul posto [...] Il comandante della mia brigata si chiama Mario Massina, che nel Regio Esercito ricopriva il grado di caporale ma nella brigata nera era commissario federale. Il Capo di Stato Maggiore si chiama Baralis Edoardo che nel Regio Esercito rivestiva il grado di colonnello. Faceva parte della brigata pure certo Rizzitelli Gino che rivestiva il grado di Maggiore, lo stesso parlava con accento meridionale.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019