Visualizzazione post con etichetta 1945. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 1945. Mostra tutti i post

lunedì 18 novembre 2024

Solo il partigiano Giacomo Ghersi, benché ferito, riuscì a mettersi in salvo

Santo Stefano al Mare (IM): uno scorcio, con vista sino ad Arma di Taggia e a Bussana di Sanremo

Il 23 gennaio 1945 nella parte occidentale della “I^ Zona Operativa Liguria” avveniva l’uccisione di alcuni partigiani appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”. Circa cento SS con due mortai circondavano casa Ghersi a Taggia (IM). I quattro garibaldini che si trovavano nell’abitazione vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Venne bruciato il fienile di Raffaele Polito. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano stati fucilati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone riuscì a salvarsi solo Luigi Franco Ghersi, pur ferito.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 
 
La sera del 23 gennaio u.s. in Taggia e in regione "Castelletti" 30 militari della S.D. germanica e otto militi dell'U.P.I. effettuavano un rastrellamento per la cattura dei componenti la banda "Folgore".
Sono stati arrestati sette banditi, di cui cinque fucilati sul posto dai germanici, uno trattenuto in arresto e tale Luigi Ghersi evaso.
Venivano recuperati sei moschetti mod. 91, una pistola e sedici bombe a mano, nonché il ruolino completo della banda "Folgore".
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 febbraio 1945, pp. 27,28. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti  
 
"... Alle ore 20 circa del 23 gennaio 1945 reparti delle SS tedesche e italiane provenienti da Imperia e guidati da una spia procedevano all'arresto in Arma di Taggia ed in regione Castelletti dei garibaldini Giacomo Ghersi, Mario Cichero, Vincenzo Pistone, Vincenzo De Maria, Raffaele Politi, Guglielmo Bosco, Luigi Ghersi ed Ermanno Gazzolo. Tutti i fermati appartenevano al Distaccamento 'Folgore'. Alcuni giorni prima garibaldini del Distaccamento 'Peletta' avevano, su indicazione di Pino Faustini, perquisito la casa dei Ghersi e, dopo un chiarimento, avevano capito che essi erano garibaldini sinceri, mentre Faustini era un individuo 'torbido' che aveva in odio i Ghersi stessi. La sera del 23, quindi, mentre il comandante del Distaccamento si trovava assente... reparti delle SS tedesche e italiane (circa 100 uomini) con due mortai, circondavano casa Ghersi facendovi irruzione. Erano guidati da un borghese con faccia mascherata in parte, cappello calato sugli occhi e bavero del cappotto rialzato. In quel momento si trovavano in casa Ghersi Giacomo e Luigi ed anche Guglielmo Bosco e Vincenzo De Maria. Furono bestialmente percossi, senza alcuna pietà, perché non vollero rivelare la località dove erano nascoste le loro armi con le munizioni e i nomi degli altri partigiani componenti il Distaccamento. Essi sopportarono con coraggio e fermezza la tortura senza pronunciare una sola parola che potesse essere di nocumento ai compagni. Anche i genitori dei Ghersi furono minacciati e malmenati affinché parlassero. Il nipote del Ghersi di anni 11 alle domande rivoltegli dal borghese rispondeva fieramente di nulla sapere, invitando la spia a togliersi la maschera. Altri elementi delle SS appiccavano il fuoco alla baracca di Raffaele Politi il quale, costretto dal fumo e dalle fiamme, dovette uscire all'aperto e arrendersi, fu percosso e seviziato a lungo... un gruppo di SS partì per andare ad arrestare altri i cui nomi erano in una lista in loro possesso. Dopo aver completamento depredato la casa... legati insieme i fratelli Ghersi... i nazifascisti si portarono in Arma di Taggia, sulla Via Aurelia di fronte alla Chiesa. Lungo la strada giacevano già i cadaveri dei garibaldini Vincenzo Pistone, Ermanno Gazzolo e Mario Cichero. Al garibaldino Gazzolo, perché parlasse, furono cavati i denti con le pinze da fabbro, ma nonostante la sofferenza non pronunciò una parola di delazione e si lasciò massacrare. Il Pistone subì la stessa sorte. Alla vista dei compagni morti, accortisi di essere portati nei pressi, Giacomo Ghersi, che era stato slegato dal fratello Luigi, incitava quest'ultimo a fuggire perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito, riuscì a mettersi in salvo. Gli altri prigionieri, ormai agli estremi per i tormenti subiti, non potevano tentare la fuga e vennero barbaramente trucidati. Dei loro cadaveri fu fatto scempio". 
Da un rapporto (documento Isrecim) del 17 maggio 1945 del comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione, inviato al comando del III° Battaglione in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
    
Il 24 gennaio 1945 i fascisti rastrellano la vallata di Montegrazie ed anche la zona di Terzorio dove purtroppo viene catturato il partigiano Renato Giusti (Baffino); sorpreso in un fienile (per causa di spie) dove solevano dormire dei partigiani è portato al comando tedesco di Santo Stefano al Mare (Villa Dea). Strada facendo è percosso duramente con il calcio del fucile. Gli viene intimato di rivelare il luogo dove si nascondono i suoi compagni altrimenti non avrebbe più visto la moglie e il figlio. Accompagnato per diversi giorni nelle località notoriamente consciute come frequantate dai partigiani non ottengono da lui nessuna informazione. Successivamente è trasferito a Sanremo (Villa Fiorentina) dove subisce ulteriori torture. Da quel momento non si è saputo più niente. Quando furono recuperate cinque salme irriconoscibili probabilmente tra queste c'era anche quella di "Baffino".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, p. 149
 
Le nostre azioni purtroppo al momento erano in forte ribasso. Sorprese fatali accadevano di continuo, triste bilancio che l'inverno esigeva. Anche Baffino [Renato Giusti], in transito per Terzorio, all'alba del famoso mattino [24 gennaio 1945] era stato catturato nell'operazione congiunta effettuata nei due paesi della valle; quasi irriconoscibile per le percosse e sevizie subite, era stato portato da militi repubblicani, seduto sopra una sedia, come un trofeo per le vie di Pompeiana, triste sfilata di un uomo giunto alla fine del suo percorso.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984
 
Il 27 gennaio 1945 venne fucilato anche Renato Giusti (Baffino), della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", partigiano che era stato catturato durante il rastrellamento di Terzorio (IM) avvenuto tre giorni prima. “Baffino” lavorava nell’organizzazione “Todt” di Porto Maurizio, da cui era riuscito a far fuggire diversi patrioti che si erano subito diretti in montagna; già scoperto ed incarcerato una volta, ma in seguito liberato dai garibaldini, era stato incorporato nelle formazioni della II^ Divisione “Felice Cascione”.  
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I

giovedì 10 ottobre 2024

In provincia di Imperia ci fu la più alta percentuale di vittime di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca

Copia della prima pagina di un documento di denuncia a carico della "Donna Velata". Ricerca di Paolo Bianchi. Fonte: Archivio di Stato - Genova.

Nell'Imperiese la lotta resistenziale al nazifascismo si sviluppò intensamente e assunse un'asprezza inaudita. Lo confermano questi numeri: 582 partigiani, patrioti e renitenti alla leva caduti in battaglia o fucilati: 524 civili uccisi durante le rappresaglie nazifasciste o nei campi di stenninio: una trentina di partigiani deceduti dopo la guerra in seguito a gravi ferite; 22 stranieri di nazionalità diverse, disertori della Wehrmacht, uccisi in battaglia o fucilati dai nazifascisti.
Sicuramente fu la più alta percentuale di vittime - rispetto agli abitanti - di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca. Altro triste primato riguarda un numero consistente di partigiani che si sono suicidati piuttosto di cadere nelle mani dei fascisti locali.
Le cause di queste numerose perdite, a mio avviso, sono da attribuirsi ai seguenti motivi:
- la maggior parte delle località imperiesi, dove i partigiani risiedevano, erano arroccate: quando venivano attaccate e circondate dai nazifascisti, i partigiani avevano poche vie di fuga; quasi sempre combattevano sino alla morte. Ad esempio nel massiccio rastrellamento del gennaio '45 un centinaio di partigiani cadde in battaglia e chi si salvò dovette sconfinare tra mille difficoltà, a causa del freddo e della neve, in Piemonte;
- tutte le formazioni partigiane nell'Imperiese erano garibaldine: chi cadeva nelle mani del nemico difficilmente ne usciva vivo; la stessa cosa succedeva ai nazifascisti; raramente si effettuavano scambi di prigionieri;
- la provincia di Imperia, essendo sul confine francese, era considerata una zona strategica. Gli sbarchi alleati avvenuti in Normandia e in Provenza (nell'estate del '44) avevano fatto concentrare in quelle zone numerosissime truppe tedesche.
- le spie fasciste erano ovunque: la più famosa fu Maria Concetta Zucco, chiamata "La Donna Velata" o "La Francese", la quale venne infiltrata per qualche mese nelle fila della Resistenza e quando ritornò dai fascisti fece arrestare un centinaio di patrioti e loro fiancheggiatori, 33 vennero fucilati mentre gli altri furono deportati in Germania;
- operava in provincia di Imperia una formazione fascista della GNR di Ordine Pubblico (O.P.). con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili e davano loro protezione. Per la loro ferocia, questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi. la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovannni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra (in seguito furono tutti amnistiati). Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili della provincia di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Alla Provincia di Imperia venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010, pp. 82,83

venerdì 4 ottobre 2024

La morte del comandante partigiano Menini fece scuola solo a pochi

Armo (IM). Foto: Davide Papalini. Fonte: Wikipedia

Intanto l'ufficio SIM della Divisione "Silvio Bonfante" viene informato che il rastrellamento nazifascista preannunciato è rinviato di qualche giorno, perché la Divisione fascista "Cacciatori degli Appennini", che avrebbe dovuto effettuarlo, si trova impegnata contro la II Divisione d'assalto Garibaldi "F. Cascione". La notizia è trasmessa ai Comandi delle Brigate dipendenti, che hanno il tempo, così, di mettere in esecuzione con rapidità le direttive contenute nelle circolari n. 22 e n. 23. I garibaldini meno atti sono inviati a rafforzare le squadre di riserva, passate alle dipendenze dirette del vicecomandante di Divisione Luigi Massabò (Pantera). Anche le altre disposizioni contenute nelle ricordate circolari sono messe in esecuzione.
In attesa del grande rastrellamento, i Distaccamenti della nuova [n.d.r.: la "Bonfante venne formata il 19 dicembre 1944] Divisione cercano di infliggere in qualche modo nuovi colpi al nemico: il 2 di gennaio [1945] una squadra del Distaccamento "A. Viani" smina un campo in Valle Andora: l'esplosivo è inviato a Ubaga, al Distaccamento di Giuseppe Garibaldi; il 3 un'altra squadra del "G. Catter", con il comandante Mario Gennari (Fernandel), al rientro da una missione, si scontra con una pattuglia tedesca sulla strada Albenga-Garessio: il nemico lascia sul teneno un morto e un ferito. Lo stesso nemico, che pare sia in attesa di eventi, compie micidiali puntate provocando vittime tra i civili.
Nel piccolo centro di Armo, in alta Valle Arroscia, era dislocato un nucleo partigiano dell'Intendenza Divisionale, per immagazzinare rifornimenti provenienti dal Piemonte. A fine dicembre vi si trovava ammalato pure Lionello Menini, comandante del Distaccamento Mortaisti "E. Bacigalupo". Su indicazione di una spia, il mattino presto del 31 dicembre 1944, un centinaio di Tedeschi, provenienti da Pieve di Teco, investono la zona di Armo, Trovasta e Moano. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri cadono prigionieri, tra cui tre Austriaci disertori, e i civili Giuseppe Cacciò e Giovanni Ferrari.
Il Menini riesce a far fuggire altri due partigiani prima di essere catturato. Portato al Comando tedesco di Pieve di Teco, è riconosciuto come capo partigiano. Chiuso in carcere confessa di essere partigiano ma, malgrado sia sottoposto a feroci torture, non parla, mantiene il silenzio. Il 3 di gennaio è condannato a morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo commissario Giuseppe Cognein per informarlo che gli Austriaci avevano parlato, e che non gli dispiaceva morire per una causa giusta.
Mentre il Comando divisionale attua lo spostamento dei Distaccamenti, l'Intendenza della II Brigata si trasferisce in Val Pennavaira e quella divisionale in Valle Arroscia. Lionello Menini ed i compagni della triste sorte Lorenzo Gracco, Ezio Badano e Giovanni Valdora sono condotti in località Carrega e fucilati.
[...] Il Distaccamento "E. Bacigalupo" viene sciolto, i superstiti sono aggregati ad altri Distaccamenti. La cattura di Menini dimostrò che la nuova tattica nemica delle puntate dirette poteva essere più pericolosa dei rastrellamenti. Il nemico piombava ora in silenzio e in modo sicuro sulle basi garibaldine senza che raffiche di mitragliatrici e colpi di mortaio dessero l'allarme come era avvenuto nell'estate e nell'autunno del 1944.
Solo un perfetto servizio di guardia e di pattuglie poteva garantire i garibaldini dalle sorprese. Si era visto come esso fosse sempre stato inadeguato anche quando una catena di Distaccamenti, appoggiandosi a vicenda, limitava la possibilità di attacco da una o due direzioni al massimo.
In gennaio poi, con gli effettivi ridotti e la minaccia da ogni lato, era impossibile essere avvertiti in tempo. Solo dei buoni rifugi, come abbiamo già ricordato, usati ogni notte, potevano garantire in un certo qual modo l'incolumità. Ma la sorte di Menini fece scuola solo a pochi: la mente era sempre fissa al prossimo grande rastrellamento che si prevedeva imminente.
Infatti il Comando della "Bonfante" lascia la sede di Marmoreo per rendersi conto della situazione nelle tre Brigate, nei Distaccamenti ed informare i volontari della drammatica situazione dagli sbocchi imprevisti. Si cerca di fare funzionare bene il centro staffette di Degna ed il SIM dislocato a Poggio, sotto Casanova, ristabilendo i vccchi contatti e creandone di nuovi. Più tardi, un gruppo del Comando, formato da Osvaldo Contestabile (Osvaldo), da Luigi Massabò (Pantera) e da Lorenzo Semeria (Nenno) responsabile del SIM, partono per la valle di Diano onde ispezionare il Comando di Massimo Gismondi (Mancen), il quale è ricercato dai brigatisti neri e dalle SS tedesche con fotografia alla mano e per ristabilire i contatti con gli informatori di Pontedassio. Invece Giorgio Olivero [comandante della Divisione "Bonfante"] e Gustavo Berio partono verso altra direzione. 

Francesco  Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 19-22

 

2 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", ai comandi delle Brigate dipendenti I^, "Silvano Belgrano", II^, "Nino Berio”, e III^, "Ettore Bacigalupo" - Comunicava che "...l'Intendenza della I^ Brigata si appoggerà al C.L.N. di Albenga... Il servizio S.I.M. divisionale sarà ridotto a tre soli elementi e ad una staffetta...".
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte per i garibaldini Lionello Menini (Menini), comandante del Distaccamento "Bacigalupo" della I^ Zona Operativa Liguria ed Ezio Badano (Zio), G.B. Valdora (Ferroviere) e Lorenzo Gracco della II^ Brigata "Sambolino" della Divisione d'Assalto Garibaldi " Gin Bevilacqua" operante nella II^ Zona Operativa Liguria.
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
3 gennaio 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio Bonfante" a tutti i reparti dipendenti - Comunicava che "la zona in cui si opera è di immediato retrofronte, per cui serve gente convinta, mettendo al bando ogni forma di disfattismo. Occorre reagire agli atti di vandalismo del nemico".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Ettore Bacigalupo” - Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria] - Relazione sulla visita fatta alla Divisione Bonfante.
3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a Simon - Comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 17 settembre 2024

Due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani

Villatalla, frazione di Prelà (IM). Fonte: ErmaAnna/Flickr

Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), del X° Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a  duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[...] Ma vediamo nei dettagli il triste episodio dalla relazione del vice commissario della IV° Brigata Gino Gerini.
“La Brigata è in stato di sfacello, in un solo mese ha avuto quasi un centinaio di caduti, più di un terzo dei suoi effettivi, già ridotti dalle gravi perdite precedenti e da alcuni defezioni. Tutto intorno ai superstiti, il nemico aveva posto un cordone di sicurezza; li aveva tagliati in tronconi, senza possibilità di ricongiungersi o mantenere i collegamenti. Si era infiltrato dappertutto presidiando i centri vitali. Fu il momento più terribile della lotta. I partigiani prevedevano l'annientamento definitivo poiché non avevano quasi più munizioni, nè viveri, nè indumenti. Non erano più una formazione, ma una massa di poveri esseri laceri e sfiniti in cui soltanto lo spirito continuava a vivere indomabile. Si erano divisi in gruppi per sfuggire alla continua sorveglianza nemica. Gruppi di cinque o sei uomini, dieci o dodici al massimo, che si aggiravano senza meta fra i boschi, rupi e burroni, come fantasmi. Il X Distaccamento “Walter Berio” era stato decimato come tutti gli altri. Un piccolo gruppo del Distaccamento stesso, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri” e “Merlo” (quest'ultimo uno dei più vecchi garibaldini), si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla [frazione del comune di Prelà (IM)], in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro, un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana, ove la vita trascorreva orribile per il fango e l'umidità. Ma gli uomini resistevano nella speranza di poter ricongiungersi ai compagni e riprendere la lotta interrotta. Il famigerato capitano Giovanni Ferraris, con i suoi uomini della compagnia “Senza Patria”, rastrellatori di Imperia, battevano la campagna. Era un feroce masnadiero ed i suoi sgherri formavano la più spietata banda di aguzzini. Derubavano i contadini, terrorizzavano, seviziavano ed uccidevano con un sadismo inumano.Naturalmente le spie e i traditori non mancavano. Erano in ogni luogo: gente che si vendeva per denaro sempre, tavolta per odio. Il giorno 25 gennaio 1945, Ferraris va su a Villatalla con le squadre. Le notizie che egli ha sono sicure, perché circonda il vallone dove stavano i partigiani ed incomincia a batterlo. Il Distaccamento si rifugia nella caverna: pensare di resistere è impossibile, non vi sono armi automatiche, i fucili sono scarichi, le sole rivoltelle, alcune delle quali inservibili, hanno qualche pallottola. I giovani si uniscono e attendono nella speranza di non venire scoperti. Sentono i passi dei fascisti che vanno avanti e indietro e ne seguono con ansia tutti i movimenti. Poi odono il rumore delle pietre smosse e vedono filtrare nella tana la luce del giorno: è la fine! Impugnano le armi e tirano, dal di fuori si risponde con il lancio di bombe a mano che feriscono quasi tutti i partigiani. Le munizioni sono esaurite. “Dimitri” e “Merlo” sono per una sortita in massa, ma gli altri non si reggono in piedi, alcuni non possono più muoversi. Il nemico, che fuori schiamazza e insulta, ma non osa entrare, esulta perché sa di aver vinto. I due capi compiono il gesto eroico: salutano i compagni uno ad uno, poi, addossatisi alla parete della caverna, si sopprimono con i due ultimi colpi rimastigli. Il nemico sente i colpi. Intuisce quello che sta avvenendo. Dopo aver esitato ancora e quindi scaricate le armi all'interno della caverna senza avere ottenuto risposta, irrompe fulmineamente nel rifugio. Vi trova due partigiani morti e altri nove feriti. Ma né  l'eroismo né la maestà della morte valgono a mitigare la loro ferocia. I garibaldini, vivi o morti, sono spogliati, insultati e percossi. I superstiti vengono legati e, tra gli scherni della soldataglia, avviati verso il paese. Due giorni dopo un gruppo di partigiani, informati dell'accaduto, si recano a recuperare le salme dei due compagni caduti. “Dimitri” e “Merlo” giacevano ove si erano uccisi, quasi nudi e senza scarpe. Sul corpo di “Dimitri” c'era un pezzo di carta con scritte poche e turpi parole che dicevano: “Questa è la sorte che toccherà a tutti i banditi”. E più sotto il nome di un partigiano con la postilla: “Anche tu farai la stessa fine”. Le salme furono poste sopra due barelle fabbricate con rami intrecciati e portati nel cimitero di Villatalla dove vennero seppellite. Gli accompagnatori andavano su per un sentiero alpestre, muti e commossi. A metà strada un vecchio andò loro incontro, fu riconosciuto, era il padre di “Dimitri”. Si fermò,i suoi occhi erano fissi, sbarrati, sulle rozze portantine. Intuì che suo figlio era lì, esanime. Senza un grido, senza una lacrima, come se il dolore lo avesse impietrito, con un balzo si gettò sul corpo del figlio e lo abbracciò. Poi cadde svenuto. I nove prigionieri furono trasportati ad Imperia, torturati e in seguito fucilati...".
Tra questi ricordiamo: Carletti Doriano (Misar), Giuseppe De Lauro (Venezia), Luigi Guareschi (Camillo), Vincenzo Faralli (Camogli), il russo Nicolay Gabrielovic Poronof (Tenente Nicolay). Di essi daremo altri ragguagli in seguito.
Il 27 il tempo si guasta, piovaschi e nebbia. Si sente una sparatoria, il nemnico rastrella Pietrabruna e dintorni. Partigiani del primo Battaglione, che si trovano nella zona, si portano in cresta dove preparano una postazione per la mitragliatrice che hanno in dotazione.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 89-92

Annibale Agostini, nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945:
"[...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero, il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città [Imperia]. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

... un reparto della Brigata Nera con elementi della polizia dipendenti dalla Questura eseguiva azione di rastrellamento in territorio di Vasia, Pantasina, Arborei, riuscendo a catturare nove partigiani, fra cui due di nazionalità russa. Un capo banda ed un commissario politico per evitare l'arresto si suicidavano, sparandosi un colpo di pistola alla tempia.
Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna (visto di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 7 marzo 1945), Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, 1 febbraio 1945  - XXIII°

lunedì 26 agosto 2024

Con l'arrivo del capitano Bentley tra i partigiani imperiesi...


 
Si pubblicano qui le copie di due comunicazioni inviate a gennaio 1945 da ufficiali statunitensi all'antenna OSS di Nizza. Questi documenti furono a suo tempo rinvenuti a cura di Giuseppe Mac Fiorucci in preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia (IsrecIm, 2007).
Adriano Maini 
 
 
S E G R E T O
Ref : OB/I/19
13 gennaio 1945

Al Capitano: G.M.T. Jones,
Collegamento delle Forze di Informazione
NIZZA

Da: Distaccamento 20
N°1 Forze Speciali

Come richiesto, per le informazioni del 6° Gruppo d'Armata dell'Esercito [statunitense], segue un resoconto delle nostre attività fino a ora.

La prima fase del nostro lavoro, ora quasi completata, fu di stabilire un contatto con le bande partigiane nell'area, e di approntare un piccolo invio di rifornimenti per soddisfare le richieste immediate.

Nella seconda fase abbiamo inaugurato il contatto radio e per corriere coi partigiani più prossimi e abbiamo inviato rifornimenti via terra su piccola scala. Un Ufficiale di Collegamento Britannico [n.d.r.: Robert Bentley] con operatore W/T è stato infiltrato via mare con il compito di organizzare il ricevimento e il successivo trasporto via terra dei rifornimenti inviati via mare.

Ci si aspetta che questi mezzi siano i più fruttiferi, sebbene la loro messa in opera sia stata ritardata dalla necessaria preparazione e dalle avverse condizioni meteorologiche.

Terremo informato il vostro ufficio circa ogni importante progresso che otterremo nella realizzazione di questi piani o di ogni altro nuovo progetto iniziato da noi.

(firmato) Betts

S/Ldr.
20° Dist. N° 1 SF




S E G R E T O
Rif: OP/I/19
30 Gennaio 1945

Capt. G.M.T. Jones,
Distaccamento OSS,
NIZZA


In riferimento al nostro OB/I/19 del 13 gennaio scorso, facciamo seguire un
ulteriore resoconto:

Due pattuglie di corrieri e una pattuglia per rifornimenti sono state inviate via terra oltre frontiera sin dal 13 gennaio; uno dei corrieri ha preso contatto con organizzazioni partigiane più remote di quelle contattate in precedenza, e ha riportato informazioni riguardo le centrali idro-elettriche e i centri di distribuzione in VAL MAIRA e in VAL VARAITA.

È nostra intenzione organizzare una squadra anti-sabotaggio con riferimento speciale per queste strutture. Il contatto radio con la nostra missione nell'area settentrionale è eccellente.

Il nostro Ufficiale di Collegamento Britannico nella Liguria Occidentale è stato disturbato dalla pressione Tedesca sulla Divisione a cui è stato inviato.

Il contatto radio è stato interrotto a causa dei suoi spostamenti, comunque un certo ammontare di informazioni tattiche ci è stato trasmesso da lui e successivamente passato a voi.

Il clima ha impedito l'arrivo clandestino a lui di rifornimenti in questo mese, ma in quello di febbraio è previsto un certo numero di operazioni al riguardo.

Firmato: M.P. Lam Capitano

per S/Ldr,
Distaccamento OC 20
N° 1 Forze Speciali
 
 
Negi, Frazione di Perinaldo (IM): uno scorcio

Bentley nella sua lunga intervista rilasciata a Mario Mascia per L’epopea dell’esercito scalzo (A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura di IsrecIm) parlò anche della preparazione della sua missione tra i partigiani: nel fare questo si riferì, inoltre, alla Missione Kahnemann; aggiunse che per la sua aveva preso preventivo contatto con il comandante Stefano Leo Carabalona, il quale a metà dicembre 1944 era già in Costa Azzurra; dettagliò, poi, il suo arrivo via mare del 6 gennaio 1945 a Vallecrosia, dove era atteso da uomini del Gruppo Sbarchi (S.A.P.) di questa città: di questi fa solo i nomi, anche perché erano stati di ausilio nella fase preparatoria, di Nino, Mimmo, Tonino, aggiungendo, di quest'ultimo, che lo aspettò a Negi, Frazione di Perinaldo, dove dovevano poi arrivare, per scortarlo sino al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, i garibaldini del battaglione di Gino Napolitano Gino. In effetti, in base alle disposizioni operative del comandante Holdsworth del 6 dicembre 1944, Bentley aveva già tentato con il radiotelegrafista caporale Millington di passare le linee ed entrare in Liguria attraverso i passi alpini: recavano con loro 500.000 lire per il compimento della missione e per aiutare i patrioti. Il maltempo e l’accresciuta sorveglianza tedesca avevano impedito il successo di questa manovra. Riprovando via mare, in una missione rinominata “Chimpanzee”, veniva accompagnato invece dal radiotelegrafista caporale MacDougall.
Adriano Maini

sabato 10 agosto 2024

Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella

Degna, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Fonte: F.A.I.

Il 26 gennaio 1945 riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini”: così annotò Luigi Massabò “Pantera”, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", nella sua Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: documento inedito perlomeno nel 1999, al momento della stesura della qui citata tesi di laurea, documento conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]. Tra quei partigiani vi era anche “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa”: ancora una memoria di Luigi Massabò “Pantera”, Op. cit. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il riposo di Gapon [n.d.r.: Felice Scotto, commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante] è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tranquillizza in parte, ma dà anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone; di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga. Bruno viene ferito ad una gamba, Marat [Renzo Urbotti] cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, darà forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario della stessa Divisione partigiana] a Segua [borgata del comune di Casanova Lerrone (SV)].
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il Comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
Il nemico da Casanova può piombare a Segua in mezz'ora, non vi è quindi da esitare, il comando deve partire. Per dove? Si decide di andare a Ginestro: là c'è un gruppo numeroso del G. Garbagnati, la banda di Stalin; in caso di bisogno si potrà contare su uomini decisi e su armi discrete. Partono così Pantera, Osvaldo ed una staffetta, quello che rimaneva del Comando della Bonfante.
Il nemico invece di attaccare Segua aveva già come obiettivo Ginestro. Perché? Ci fu chi lo mise al corrente dello spostamento? Probabilmente no, forse la verità fu diversa da quanto avevamo supposto. E' probabile che Pimpirinella, interrogato dagli alpini su dove fosse il comando divisionale, abbia compreso che tenersi sulla negativa era rischiare la pelle o la tortura. Non volendo tradire e sapendo che era nella zona di Degna fece il nome di Ginestro. Perché proprio Ginestro? E' difficile dirlo, probabilmente perché il nemico aveva già visitato Vellego, Casanova, Degna, Poggiobottaro e Tèstico. A Poggiobottaro anzi era entrato più volte nella casa dove era il S.I.M. senza trovare traccia dei partigiani nascosti. Il nemico sapeva che il Comando era in Val Lerrone, aveva creduto che fosse ancora presso Marmoreo ed aveva battuto la zona a fondo. Non si poteva far quindi il nome di questi paesi perché il nemico non vi avrebbe creduto e sarebbe passato alle torture. Non rimaneva incontrollata che qualche frazione isolata come Segua e Ginestro; è probabile che il prigioniero abbia fatto questo nome per salvarsi e sviare le ricerche; per questo in seguito verrà da Pantera accusato di tradimento. L'accusa resterà però solo teorica perché Pimpirinella sparì e si disse che fosse deportato in Germania.
A Casanova quindi il 26 si sospettava che il Comando della Bonfante fosse a Ginestro: prevedendo una forte resistenza si decise di tentare il colpo in grande stile, non uno avrebbe dovuto sfuggire.
Ginestro è situato in una valletta laterale scavata da un ruscello che nasce sotto lo stradone Tèstico-Cesio e che finisce nel Lerrone. Due mulattiere provenienti da Degna e da Vellego scavalcano il Lerrone, si uniscono a fondovalle  presso la cappella dell'Ascensione, indi salgono nella valletta ripida e chiusa costeggiando il rivo sul lato occidentale. Il paese di Ginestro è situato in alto, verso la testata della valle, la massima parte sul versante occidentale verso Cesio, qualche casupola sul versante di fronte. Le due creste della piccola valle sono percorse da sentieri e mulattiere, i pendii sono a castagni, ulivi e rovi, molti rovi che rendono impraticabili le zone senza strade ed anche qualche sentiero come quello che dalla frazione orientale dovrebbe portare a Degna.
Questo il terreno, ottimo d'estate, mediocre d'inverno perché l'occultamento vi è difficile per la ristrettezza della zona e la scarsità di alberi a foglie perenni. Se si occupano in tempo le creste, la valle è difendibile. In caso di attacco di sorpresa ci si potrebbe ritirare su Poggiobottaro, Tèstico, Vellego e Degna, è però possibile essere anche attaccati simultaneamente da tutti questi punti ed allora la situazione può diventare disperata.
Due squadre del Garbagnati presidiano la frazione orientale, in quella principale ad occidente c'è una buona banda locale su cui si può contare, almeno per il servizio di guardia: sono giovani che non hanno risposto al bando italo-tedesco di Casanova e quindi condividono il nostro destino. Le sentinelle partigiane controllano la cresta orientale di Poggiobottaro e gli accessi da Tèstico, i borghesi la cresta verso Cesio e la mulattiera di fondovalle.
La mattina del 27 i borghesi danno l'allarme: colonne provenienti da Degna e Vellego risalgono la valle puntando verso il paese: sono Cacciatori degli Appennini, non si sa quanti siano ma è evidente la loro intenzione di rastrellare.
Appena dato l'allarme i partigiani impugnano le armi e puntano verso la cresta: se riescono ad arrivare in cima potranno dare una buona lezione ai rastrellatori perché con le mitraglie pesanti piazzate sulla cresta potranno battere agevolmente la strada di Ginestro. E' necessario salire rapidamente per non essere colti sul versante in fase di spostamento. Purtroppo è già tardi: come si temeva, il nemico non attacca solo da fondovalle. Mentre salgono, i garibaldini incontrano la pattuglia che era in cresta che scende: ci sono i tedeschi che da Tèstico salgono sull'altro versante. Sono già in cresta? E' probabile perché, quando la sentinella li ha avvistati, erano ormai vicini. La pattuglia ha preferito scendere ad avvisare piuttosto che dare l'allarme sparando per non rivelare la propria presenza. Questo ritardo ci è fatale: ormai i partigiani sono tra due fuochi: bloccati sul pendio da tre lati col nemico di fronte, di sopra e di fianco.
Riconquistare la cresta è difficilissimo perché dal versante di fronte gli alpini possono controllare i nostri movimenti e spararci addosso; sperare che il nemico non ci veda è impossibile, perché la manovra indica chiaramente che il rastrellamento è per noi. Non rimane che cercare di ripiegare verso Degna per il vecchio sentiero impraticabile, passando come si potrà. Se necessario si darà battaglia per aprirsi il varco.
La lotta si sviluppa violenta: il nemico piazzato tra gli ulivi e nel paese di fronte tira sui nostri con tutte le sue armi, i partigiani, occultati tra i roveti ed i cespugli, si spostano a tratti, a brevi balzi rapidi, verso il fianco libero, cercando di non esporsi ai colpi nemici. Le armi del Garbagnati rispondono ai colpi cercando di individuare le mitraglie più pericolose, di coprire la ritirata dei compagni.
I partigiani sono abituati a vedere la morte da vicino; pure poche volte una banda si trovò in una situazione così grave; erano necessari tutta l'esperienza, l'allenamento, il coraggio affinati in lunghi mesi di lotta per riuscire a sganciarsi. Nella ritirata si forma un gruppo composto da Osvaldo, Pantera, Formica, Pirata e Brescia: procedono a sbalzi fra i rovi fin quando vengono bloccati da un piccolo dirupo: quattro o cinque metri più sotto è la piazzola di una carbonaia battuta delle mitraglie nemiche, più in là il bosco. E' necessario saltare sotto il fuoco. Prima tenta Osvaldo: una raffica di colpi gli strappa la coperta dalle spalle e lo ferisce leggermente ad un piede, ma riesce a passare. Poi è la volta di Pirata, che era stato con la Matteotti: viene colpito ad un braccio e perde il fucile automatico. Poi è la volta di Pantera, Formica e Brescia: passano incolumi. Al margine del bosco Brescia si ferma, prende il mitragliatore che ha portato con sé e riprende a sparare sui fascisti che gridano ai partigiani di arrendersi. Per meglio sparare si alza in piedi, invano incitato da Pantera a venir via. Una raffica nemica lo colpisce alle braccia, un'altra gli crivella il ventre. Gli altri proseguono la ritirata al coperto del bosco. Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella. Chissà come era finito in settembre con i San Marco di base a Chiappa:  quando i partigiani si erano avvicinati al suo reparto aveva fatto arrendere i compagni evitando il combattimento. Mentre il «Garbagnati» ripiegava Romano si smarrì e scese a fondovalle assieme a Mimmo. Scontratisi con una pattuglia nemica vennero catturati entrambi. Poco dopo Mimmo tentò la fuga e, lasciando la giacca fra i rovi, riuscì a dileguarsi. Romano, fuggito anche lui, incontrò un'altra colonna e venne fulminato da una scarica. Sono perduti per il «Garbagnati» la mitraglia di Brescia ed il fucile di Pirata, le altre armi e parte del materiale vengono invece salvate. Il terreno è aspro ed impervio, in molti punti vere barriere di rovi vengono sfondate dai partigiani lanciatisi tra le spine per aprirsi un varco: nuovi sentieri vengono aperti nel sottobosco nella disperata fuga della banda sotto il fuoco nemico. Anche questa volta si riesce ad uscirne; a poco a poco la valle si allarga, i colpi si fanno più radi, i partigiani passano in Val Lerrone, quindi la banda si disperde.
Le perdite nemiche non furono accertate; qualche tempo dopo il corpo di un alpino fu trovato nella cappella dell'Ascensione: forse un ferito dissanguatosi che aveva cercato un inutile rifugio. Di altri caduti non avemmo notizia.
Il nemico incendiò a Ginestro la cappelletta che era stata la nostra base, saccheggiò a fondo Ginestro usando i metodi propri delle squadre comandate dal cap. Ferraris del quale alcuni dissero di aver riconosciuto la voce che intimava ai partigiani la resa, poi tornò da dove era partito: il colpo era andato in gran parte a vuoto.
Pantera ed Osvaldo ripiegarono su Degna, poi di là proseguirono per Ubaghetta. Osvaldo era malato, una febbre forte lo aveva colpito da qualche giorno e la sua marcia era difficile e lenta. Ad Ubaghetta il nemico si accorse dell'avvicinarsi dei nostri e li attese appostato con una mitraglia: avrebbe ripetuto il colpo già riuscito e che era costato la vita di Miscioscia. Quando i nostri erano ormai quasi a tiro incontrarono un civile che, in preda ad una violenta emozione, li avvertì che il nemico li aspettava. Così questa volta l'agguato andò a vuoto.
Lo scontro di Ginestro fu l'ultimo del rastrellamento: il 28 ed il 29 i nemici sgomberarono la Val Pennavaira, la Val Lerrone, la Valle di Stellanello. In Val d'Arroscia rimase solo un presidio a Ranzo.
Ancora una volta i partigiani possono riunirsi, contarsi, seppellire i loro morti, riannodare le file strappate.
Il bilancio del rastrellamento? Quale era stato intanto l'obiettivo nemico? L'annientamento del movimento partigiano?
L'inverno ci aveva obbligato a scendere in una zona militarmente infelice, senza possibilità di ritirata. Eravamo rimasti in pochi, male armati: se il nostro annientamento non fosse riuscito ora, non sarebbe riuscito mai più. Il rastrellamento invernale era stato la migliore e forse ultima occasione che aveva avuto il nemico.
I mezzi impiegati? Vari: l'attacco diretto contro le bande, il presidio dei paesi, il pattugliamento degli stradoni per impedire il raggruppamento degli sbandati, per aumentare le possibilità di catture fortite. Le minacce contro i civili dovevano impedire che i banditi trovassero appoggio, potessero mimetizzarsi tra i giovani dei paesi per poi tornare ad accrescere gli effettivi delle bande.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 156-160

29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della menzionata Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "... Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" a... allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 23 Germano Cardoletti; il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)...".
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
3 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga ai podestà di Ortovero, Villanova d'Albenga, Casanova Lerrone, Vendone, Nasino, Castelbianco, Castelvecchio, Zuccarello, Cisano sul Neva e Garlenda - Trasmetteva l'ordine della Feldgendarmerie di fare rientrare nella Brigata Nera di Albenga le giovani reclute che, appena arrivate all'arruolamento, si erano allontanate dalla caserma, perché passibili di fucilazione come "banditi".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 3 agosto 2024

Partendo da Capo Nero, il primo muro Todt lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa"

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

E proprio nell'estate del 1943, anche nella città di Sanremo, la TODT, affiancata in molti casi dalle imprese italiane Paladino di Roma, Bertelè e Piazzoli di Milano, realizzava importanti opere difensive, un muro anti sbarco inframmezzato e guarnito da tutta una serie di postazioni mobili e permanenti, bunker poderosi usati sia come punti di osservazione che come piazzole per batterie costiere.
Il vallo anti sbarco sanremese era dislocato in tre punti precisi della battigia, per la precisione dove la presenza di spiagge consentiva ad eventuali mezzi da sbarco di entrare facilmente in città. Per questa semplice ragione tattica vennero trascurati tutti quei tratti di costa scoscesi, a strapiombo sul mare o separati da questo con muri particolarmente alti, come quelli ferroviari di Villa Helios, corso Imperatrice e la Brise.
Partendo da Capo Nero, il primo muro TODT lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa" (località già nota per il famoso sbarco delle truppe d'occupazione genovesi comandate dal Generale Agostino Pinelli nel giugno del 1753). Tale tratto di fortificazione, superato il rio Foce, si concludeva ad ovest del porticciuolo dell'Imperatrice con una postazione fissa antiaerea e costiera piazzata sul caposaldo più esposto a mare di quella che avrebbe dovuto divenire la dipendenza estiva della casa da gioco sanremese.
Da questo punto e sino al Mulino Bianchi, ex Casa del Fascio, costruito sull'argine destro del torrente San Romolo, i muri di contenimento del sedime ferroviario e del sovrastante Corso Imperatrice, erano di per sé più che sufficienti ad impedire qualsiasi atterraggio di mezzi da sbarco. Tuttavia, proprio di fronte ai giardini dell'Hotel Royal, a scanso di equivoci, era stata eretta una bella postazione per mitragliere, tuttora presente e mascherata da cespugli di pitosforo.
A partire dallo spiazzo antistante il Mulino Bianchi (Sporting Club), il vallo riprendeva la sua continuità verso levante, circondando, lungo la via Umberto (odierna Via Nino Bixio), il porto cittadino reso così del tutto separato e inaccessibile dal lato terra.
Questo secondo tratto, senza dubbio il più importante, terminava oltre i bagni Italia, sul confine con il Morgana, là dove inizia il contrafforte di contenimento a mare della passeggiata Trento & Trieste. A monte degli stabilimenti balneari del Morgana, l'intera via Fiume sino alla sua confluenza con il Rondò Francia, allora priva degli odierni palazzi, aveva tutti i giardini limitrofi minati.
Il terzo e ultimo tratto di muro della TODT riprendeva oltre il bar Sud-Est con un grosso bunker sul mare e, superata la foce del torrente San Martino, sempre intercalato da numerose postazioni campali, giungeva sino all'inizio della Brise, poco sotto il passaggio a livello di fronte al campo Polisvortivo. Al termine del tratto a mare della via alla Brise, sopra l'accesso della galleria ferroviaria in regione Vesca, era, ed è ancora presente, un massiccio bunker adibito ad osservatorio fisso e postazione difensiva costiera.
Queste le opere, facenti parte del Vallo Ligure, realizzate dall'impresa dello sfortunato ingegnere Fritz Todt nel Comune di Sanremo con maestranze locali, formate perlopiù da cittadini allettati da una paga sicura in tempi incerti e grami, ma anche da coloro i quali non volevano più combattere in prima linea una guerra che stava diventando tristemente fratricida.
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume primo, Atene Edizioni, 2005

Con i limitati mezzi a nostra disposizione iniziammo con Ciccio Corrado e Virgilio Oddo, nel maggio 1944, il montaggio di una radiotrasmittente someggiabile, da 75 W.
[...] «Alfa» domanda 24 ore di tempo per procurarsi la benzina ed intanto nasconde nel suo ufficio le cassette contenenti l’apparecchio. Il figlio di Millo, Luigino, interessa anche il Dr. Giampalmo della Todt che possiede una Topolino con tanto di O.T. Artz sul parabrise. Adesione e partenza il mattino successivo prestissimo: Luigino Millo, il Dr. Giampalmo, che l’accompagna, e la Topolino hanno la loro gatta da pelare. Quando si dice la fortuna! Fuori Sanremo due militari tedeschi della SS fermano la macchina: «noi andare Imperia…».Sospiro di sollievo dei nostri amici e scorta sicura per almeno venti chilometri con due angeli custodi che nel frattempo si erano sistemati alla meglio sulle cassette.
Ad Imperia una staffetta li attende e, come Dio vuole, filtrando attraverso quattro blocchi tedeschi, la macchina arriva a Tavole accolta da un «urrà» formidabile.
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia

A metà ottobre 1944 avvenne a Sanremo la più grave deportazione in massa di civili della provincia.
I tedeschi, partiti con questo obiettivo da Savona, operarono diverse centinaia di controlli ai danni dei cittadini sanremesi.
Centinaia di persone furono avviate al centro di raccolta, costituito nell'attuale Piazza Eroi Sanremesi, circondata da SS armate di mitra e financo di mitragliatrici.
Dopo diverse ore di fermo un numero considerevole di abitanti venne rilasciato, mentre 150 uomini, quelli fisicamente più idonei, vennero fatti salire su camion per essere trasportati alle carceri di Marassi a Genova.
Genova fu una tappa intermedia.
La triste meta era per loro, due settimane dopo, il campo di concentramento di Bolzano.
Si legge in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977: "a turno sono rapati e passati alla doccia... nell'ufficio materiale ricevono il distintivo: un triangolino di stoffa rossa ed una striscia con il numero di matricola".
Dopo un paio di mesi di vita irta di stenti e di sacrifici, i prigionieri catturati a Sanremo vennero utilizzati, quando le potenze dell'Asse erano ormai agonizzanti, come "liberi lavoratori" in organizzazioni similari alla Todt, di stanza in Alto Adige.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 16 ottobre 1944 tra 130 e 160 persone furono catturate durante un rastrellamento nel quartiere della Pigna di Sanremo e inviate al lavoro a Bolzano e nella rete dei suoi sottocampi, e tra il 15 e il 17 novembre altre 60 furono prese nel corso di un’azione antipartigiana nel quartiere collinare sanremese di S. Romolo. Altra manodopera fu prelevata nel corso di rastrellamenti in centri montani e della costa.
Redazione, Liguria, Tante braccia per il Reich

La colonna con i rimorchi dei «Molch» arrivò in città nella notte, destinazione la base che l’organizzazione Todt aveva realizzato a Ponente della città i cui resti (i bunker e le gallerie d’approdo) sono venuti alla luce pochi mesi fa nell’ambito della costruzione del nuovo albergo a Pian di Poma. Li avevano nascosti nella galleria del treno di Capo Nero, perchè non venissero colpiti in caso di bombardamenti o notati da eventuali voli di ricognizione alleati.
Giusto il tempo di renderli operativi, dotandoli ciascuno di due siluri, e da Berlino venne disposto l’attacco. Ma i «Molch», lentissimi e con grandi problemi di manovrabilità (non avevano la retromarcia), non ebbero successo. Incrociarono per circa 30 ore al largo di Mentone e di Villefranche prima di incappare nella squadra alleata che, soprattutto grazie al radar, individuò subito la loro presenza e ritenendo che si trattasse di normali sommergibili li ricoprì di decine e decine di bombe di profondità (che fecero esplodere anche alcuni siluri).
Giulio Gavino, Il fallimento delle “salamandre” di Hitler in missione dalla base segreta di Sanremo, Il Secolo XIX, 21 settembre 2018

Sergio Grignolio (Ghepeu), di Sanremo, lavora giovanissimo come fabbro. Di formazione comunista. Nel 1943 é richiamato alle armi. Dopo l'8 settembre é arrestato e lavora alla Todt per i Tedeschi. Il 1° maggio 1944 effettua un lancio di volantini in fabbrica e poi fugge in montagna. E' stato protagonista di azioni cruente e difficili.
Redazione, Fondo Memoria Orale, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea

22 Ottobre [1944]
La X Flottiglia Mas che era all'Albergo Splendido, dopo il bombardamento navale dell'altro giorno, dove l'albergo è stato quasi colpito, si è trasferita momentaneamente all'Albergo Astoria, in attesa di trovare altrove, poiché questa casa è già a disposizione della "Wermacht" e della "Todt".
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006

4 gennaio 1945
Risulta che la ditta Paladino è diventata un covo di autentici ribelli, renitenti, disertori e simili.
Certamente questi individui sono mimetizzati per il periodo invernale ed è più che certo che passato il periodo del freddo se ne torneranno ai monti in primavera e li avremo di nuovo di fronte.
Informare il comando tedesco.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

7 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 389/SIM,  alla Sezione SIM della V^ Brigata - Comunicava che 'Piero', responsabile del CLN di Ospedaletti, entrato nella ditta Paladino, si trovava in quel periodo a Taggia con una lettera di garanzia dello scrivente Comitato.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata, prot. n° 325, al Comando Operativo della I^ Zona ed alla Sezione SIM della II^ Divisione - Comunicava che nella zona di Taggia (IM) 22 operai della ditta Paladino stavano costruendo baracche, gallerie e trincee...
20 aprile 1945 - Da "Santamaria" al commissario "Orsini" - Informava che "sono arrivati presso lo scrivente 3 uomini, di cui 2 ex Bande Nere ed 1 ex lavoratore dell'organizzazione Paladino".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Francesco Paladino in RSI dirige l'Organizzazione Paladino (nel dopoguerra viene celebrato re degli imboscati). Nato a Scilla (RC) il 5 novembre 1890, muore a Sanremo (IM) il 16 ottobre 1974.
Redazione, Fondazione RSI

domenica 28 luglio 2024

I nazifascisti trovano Ubaghetta deserta

Borghetto d'Arroscia (IM). Foto: Pampuco. Fonte: Wikipedia

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perché il nemico è già in movimento. I Tedeschi dislocati a Cesio partono, raggiungono il passo di Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego che raggiungono rapidamente. Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo; però a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile, non giunge subito la grave notizia. Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Val Arroscia. I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna. La colonna diretta a Bosco è accompagnata dalla oramai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco. Oramai è tardi. Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi. Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Scrive Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario: "Il Comando della Divisione “Bonfante” si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino; quanti erano e come armati, con muli o senza, perché la guardia borghese non ha funzionato? In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là? Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo? Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse. Un borghese che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla e da Costa Bacelega, segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco, lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali, verso mezzogiorno giunge a Segua uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I Tedeschi”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano. Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bertumelin, contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i Tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entra in paese. Dopo mezzora Degna è di nuovo libera, il nemico ha proseguito per Cesio. Si spera sia tutto finito. Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone. Il comandante Olivero e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione. La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera). La sera del 21 il SIM, trasferitosi a Poggio Bottaro, annuncia che il rastrellamento è sospeso in seguito all'offensiva sovietica; non si capisce il collegamento tra i due eventi, ma la notizia è quella. Il 22 la situazione si chiarisce di colpo. La Valle Arroscia è presidiata dai Tedeschi e dai Cacciatori degli Appennini...".
Ma vediamo un poco più da vicino cosa è accaduto nei paesi attaccati il primo giorno di rastrellamento. All'alba del 20 un poderoso schieramento di forze irrompe nella zona della "Bonfante" col compito di rastrellare e distruggere definitivamente le formazioni partigiane ivi dislocate.
Francesco Biga  (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 35-37

Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò. Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV). Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Nelle prime ore di sabato 20 gennaio tre colonne naziste e alcune compagnie di Cacciatori degli Appennini giungono in zona provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco. La pattuglia garibaldina avvista il nemico e apre il fuoco (dal diario militare di Luigi 'Pantera' Massabò). Al rientro dalla zona di Marmoreo dove ha portato viveri, il ventitreenne addetto all’Intendenza Mario Miscioscia avvista una delle tre colonne nazifasciste che si sta dirigendo verso Ubaghetta. Impossibilitato a sorpassarla senza farsi notare e trovandosi in una posizione che gli rende difficile la fuga, per dar l’allarme ai compagni Mario lancia contro la colonna una bomba a mano e s’avvicina ulteriormente per scaricarle contro la pistola: il colpo di mano nemico viene così scongiurato. Una raffica però colpisce mortalmente Mario: all’ufficiale fascista che gli offre di darsi prigioniero in cambio delle cure che gli avrebbe fatto prodigare, risponde: “Preferisco la morte al disonore di venire con voi”, frase riferita dallo stesso ufficiale a persone di Borgo di Ranzo. I nazifascisti trovano Ubaghetta deserta: i partigiani dislocati nei dintorni si sono allontanati e anche i contadini hanno abbandonato le loro case. Tuttavia, nel tentativo di sottrarsi al rastrellamento, sabato 20 gennaio 1945 il ventenne Germano [Cardoletti (Redaval)] resta ferito gravemente a una gamba con frattura dell’osso. In qualche modo riesce a nascondersi ma verso sera viene scoperto e catturato dai nazifascisti: portato su una scala a Borghetto d’Arroscia gli viene praticata una medicazione superficiale e viene adagiato su un dito di paglia con una sola coperta. Il maggiore comandante del battaglione dice che Germano sarà portato all’ospedale di Pieve di Teco. Eppure per tre giorni Germano resta privo di ogni cura: dei circa 60 uomini della compagnia presente a Borghetto solo un sergente maggiore mostra attenzione verso di lui. Probabilmente Germano viene interrogato, forse con percosse e torture, ma nessuna informazione ottengono i fascisti sulle posizioni dei distaccamenti in zona. Alla sera di lunedì 22 gennaio un tenente coi capelli grigi annuncia che il tribunale militare (pare composto solo da lui e da un altro soldato) s’è adunato e ha condannato Germano a morte. Nel tentativo di salvargli almeno provvisoriamente la vita, il locale sacerdote don Casa si offre invano con altri per portarlo all’ospedale. Al sacerdote che dalle ore 5.30 di martedì 23 gennaio 1945 è in attesa dell’ultimo colloquio, neppure viene concesso di parlare a Germano se non cinque minuti prima dell’esecuzione. A quel punto la voce di Germano è talmente debole che il sacerdote non è certo d’aver compreso il nome del padre Cesare e quello della madre Erminia. Alle ore 7 lo sfinito Germano viene fucilato a vent’anni dal plotone fascista d’esecuzione sulla piazzetta del municipio di Borghetto d'Arroscia in provincia di Imperia.
Redazione, Scheda biografica di Germano "Redaval" Cardoletti, Centro Documentazione Resistenza ANPI Voghera

domenica 7 luglio 2024

Il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza

Fontane, Frazione del comune di Frabosa Soprana CN): manifestazione in ricordo della Resistenza del 21 ottobre 2013

A seguito dell'attacco a Baiardo [10 marzo 1945] da parte di Distaccamenti della V^ Brigata [della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"], si scatena furiosa la reazione nemica. Vittorio Guglielmo (Vittò), comandante della "Cascione", (il quale non aveva partecipato all'azione perché a livello tattico, secondo lui, era impossibile conquistare il caposaldo nemico), il "Curto", Armando Izzo comandante della V^ Brigata, il capitano inglese Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi (Guido), Felice Miraglio (Felice), Maiano Alfredo (Lupo), ed altri garibaldini quali staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata di Gerbonte, si mettono in marcia verso la stessa grotta pensando di trovarvi rifugio sicuro. Intanto nella notte tra il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe tedesche appartenenti ai RAP (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la suddetta borgata senza che fosse dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati dall'accerchiamento. Infatti, su invito di "Vittò" e di "Curto", che intuiscono il pericolo vicino, prima dell'alba gli uomini, abbandonando Gerbonte e incamminandosi nel torrente Argentina, si dirigono verso la grande grotta che si apre su una parete verticale nelle rocche di Loreto-Ciaberta per rifugiarvisi (raggiungere la grotta voleva dire salire per una scala di corda lunga una ventina di metri). Però, durante lo spostamento, "Vittò", che è in testa alla colonna, scorge nell'oscurità una pattuglia, forse nemica, ad un centinaio di metri di distanza, che marcia in senso contrario. Per non destare allarme e dato che non è sicuro di chi siano, non dice niente e tutto finisce liscio.
Quando il gruppo raggiunge la grotta in posizione di sicurezza, il capitano Bentley si accorge di avere dimenticato l'antenna della radio trasmittente nelle case di Gerbonte, per cui si presenta la necessità di andarla a recuperare. Viene incaricato della missione la staffetta "Lupo", il quale, purtroppo, appena giunto sul posto, viene colpito dal nemico che già si trova nei dintorni: una raffica di arma automatica lo coglie ignaro e lo piega senza lasciargli il tempo di pronunciare una sola parola. Il ritardo del ritorno di "Lupo" fa insospettire il gruppo, per cui parte in missione il garibaldino "Felice". Anch'esso, dopo aver sentito le raffiche nemiche, cerca di mettersi al riparo, ma un colpo di Mauser lo colpisce a morte. E' giorno fatto e le mitragliatrici tedesche piazzate a Creppo impediscono ogni ulteriore tentativo di salvataggio per i due compagni, oramai caduti. Lo stesso giorno 11, nei pressi di Bregalla, viene ucciso dai Tedeschi il garibaldino Paolo Oddo (Bruno).
Catturati il 3 marzo in Grattino (Valle Argentina), dopo otto giorni di torture subite a Molini di Triora dove erano stati condotti, i garibaldini Quinto Verrando (Basilede) e Livio Maggi (Maggio) sono obbligati a ritornare nei pressi di Agaggio Superiore, in località dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, in Pian del Carré ricevono un colpo di pistola alla nuca. Quinto muore subito, mentre il compagno Maggi viene lasciato agonizzante, nella sua pozza di sangue: soccorso dai contadini, morirà dopo una diecina di giorni di indicibili sofferenze. Anche i garibaldini Giobatta Lanteri (Seccù) e Gustavo Stoppiani cadono in combattimento, l'uno nei pressi di Goina (Triora) e l'altro a Molini di Triora. A Latte di Ventimiglia, il 13 è fucilato il garibaldino Guido Costanzo (Clark).
Ritornando alla grotta, il gruppo vi rimane per tre giorni. Ma, poiché le batterie della radiotrasmittente sono scariche, il radiotelegrafista inglese Mac Dougall, accompagnato da "Guido", è obbligato a recarsi alla centrale elettrica di Loreto per caricarle. Costruita un'antenna di emergenza, il radiotelegrafista tenta nuovi collegamenti con Nizza. Individuata la fonte delle onde della trasmittente, i Tedeschi continuano i rastrellamenti nel torrente Argentina e sulla montagna, ma con esito negativo. Non immaginano che le onde radio escano da una parete rocciosa, verticale, della montagna.
Dopo tre giorni, essendo la zona rastrellata dai Tedeschi, che continuano a pattugliare i dintorni, e non potendo quindi effettuare le trasmissioni per la vicina presenza nemica, "Curto" consiglia di cambiare zona. Alle prospettate difficoltà da parte di "Guido", che ritiene pericoloso lo spostamento, quello, nel tipico dialetto ligure, risponde: "Nel libro dei garibaldini non c'è scritta la parola paura", per cui esce per primo. Inosservato, tra colonne tedesche, riesce a spostarsi per raggiungere il territorio della V^ Brigata, a levante della Valle Argentina. Dietro di lui, uno ad uno, escono anche gli altri componenti il gruppo, tranne i due Inglesi, paralizzati dal terrore, ma sono obbligati a rassegnarsi alla sorte e a seguire gli altri.
Mentre ci stiamo avvicinando ai giorni dei lanci aerei, ai quali dedicheremo nei prossimi capitoli ampio spazio, seguiamo un momento l'itinerario di marcia e spostamento del Comando I^ Zona Operativa Liguria verso il campo dei lanci stesso.
Questo Comando istituito, come sappiamo, il 21 dicembre 1944, nel marzo 1945 è così composto:
Comandante: Nino Siccardi (Curto); Commissario: Lorenzo Musso (Sumi); Ispettore: Raffaello Paoletti (Giulio).
Il gruppo, messosi in movimento e attraversato il torrente Argentina, per Bregalla, Monte Pellegrino, verso mezzanotte giunge tra la galleria del Garezzo e San Bernardo dove pernotta. Il giorno dopo marcia verso la valle di Mendatica che è coperta di nebbia, mentre è in corso un vasto rastrellamento. Si odono raffiche di mitra e colpi di fucile Mauser. Infine, per San Bernardo di Mendatica e Valcona giunge a Upega, dove i componenti, dopo tre giorni di fame, riescono a mangiare un piatto di minestrone caldo. Nel pomeriggio al gruppo si aggregano tre prigionieri russi che hanno disertato dai Tedeschi. Il gruppo pernotta a Upega, dove il mattino del 16 da una centralina locale il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza; ma il collegamento non riesce a causa della corrente elettrica che è alternata. Successivamente il gruppo si sposta nuovamente a Valcona dove rimane altri tre gioni, e poi a Pian Rosso, a monte di Viozene, dove si prevede avvengano i lanci. Don Paolo Regis, parroco locale, si reca ad Ormea, nel tentativo di far ricaricare le batterie della trasmittente. Ma il tentativo non riesce, anzi, viene fermato dai Tedeschi mentre transita con la batteria sulla bicicletta. Si salva per fortuito caso. Il 23, nell'impossibilità di effettuare le trasmissioni, il radiotelegrafista Mac, "Sumi", il parroco e "Guido", tentano di raggiungere Fontane di Frabosa attraverso il Bochin d'Azeo (Mongioie) innevato. Vi riescono in un modo drammatico; ad ogni modo, giunti a Fontane, effettuano alcune trasmissioni. Il radiotelegrafìsta rimarrà sul posto fino al primo lancio che avverrà quasi alla fine di marzo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 238-241