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mercoledì 17 settembre 2025

Veniva inviato Pagasempre ad un colloquio con i maquisards francesi

L'Escaréne. Fonte: Wikipedia

Scelgo per prima, e non è in ordine cronologico, l'avventura di Pagasempre-Ruffini.
Pagasempre, Arnolfo Ravetti, è nato a Reggio Emilia, diplomato maestro. Prima della seconda guerra mondiale risiedeva a Sanremo con la madre e i fratelli. Chiamato sotto le armi fu mandato in Africa. Nella ritirata percorse la Libia e raggiunse la Tunisia. Fu rimpatriato nel 1943. 
Arruolato nella GAF, fu a Pigna e a Mentone. Torna a Sanremo e quando vuole andare a Mentone per rivedere alcuni amici, viene catturato dai tedeschi. Tenta di fuggire ma viene rinchiuso un mese nelle carceri di Nizza. E' destinato ai lavori di guerra. Mandato  a Calais e poi nella Normandia Francese. Considerato prigioniero è costretto al lavoro coatto. Il trattamento è quasi disumano. Lavorare al freddo ed anche sotto i bombardamenti, con una fame non mai spenta. Doveva lavorare agli scavi e alla costruzione della prima stazione di lancio delle micidiali e infernali bombe radiocomandate V-1. 
Nel febbraio 1944 riusciva a fuggire con altri due italìani. Uno fu catturato sul treno subito dopo la fuga, il secondo riuscì a raggiungere Mentane e qui anche lui fu catturato. I due erano rispettivamente di Salerno e di Lodi. Lui, Paga, raggiunse Parigi e si rifugiò in casa di un certo capo Vincent. Andò quindi a Tolone e trovò lavoro e pane, rimanendo sempre nascosto. 
Nell'aprile del 1944 rientrò in Italia, a Sanremo. Finalmente venne a sapere dell'esistenza dei partigiani sui monti retrostanti Sanremo. Si avviò verso di loro ma non sapeva dove. Sul monte Ceppo, seguendo vaghi indizi di contadini, si diresse verso Carmo Langan. Incontrata una pattuglia tedesca si ritirò verso Baiardo. Rimaneva sempre uccel di bosco e si nutriva come l'istinto dello stomaco suggeriva. Riprese il cammino verso Carmo Langan tenendosi, naturalmente, distante dai sentieri. Arrivato sopra il Santuario di San Giovanni dei Prati, il suo olfatto percepì un odore inconfondibile. Era il lezzo di corpi umani in decomposizione. Erano due soldati tedeschi morti e due carogne di muli. Erano passati sopra una mina. Si avvicinò, si impossessò di una machine-pistole e del sacco di un morto che conteneva ancora zucchero e pane. Dopo essersi rifocillato riprese a camminare e si imbatté in una pattuglia di tedeschi, forse in cerca dei due camerati morti. Impauritosi sparò contro la pattuglia per avere una posizione migliore. Credette di avere ucciso un tedesco ma si curò di più di mettersi al sicuro ed in salvo. Scese, anzi si precipitò nella forra del bosco verso la vallata. Sapeva che ci doveva essere Molini di Triora. Vide poi Cetta e vi si avviò. Incontrati alcuni partigiani, si presentò. Lo temevano come una spia e fu sottoposto ad un lungo interrogatorio. Descrisse il suo viaggio ed il giorno dopo con la scorta di Guido e di Martelau, provò la sua sincerità mostrando sul luogo la verità del suo racconto. Aveva veramente colpito un tedesco della pattuglia. Durante i fatti del 3 luglio 1944, andò con alcuni compagni a Carmo Langan. Qui trovò, fra i rottami di diversa specie, un fucile, un moschetto. Lo pulì per osservarne l'efficienza e scoprì, intagliata sul calcio del moschetto, la parola "Pagasempre". Meravigliato e nello stesso tempo soddisfatto, prese quel nome come termine di riconoscimento.
Divenne, in seguito, capo di Stato Maggiore della V Brigata ["Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"]. 
Noi tutti lo conosciamo bene. La sua azione si protrasse nel tempo. Continuò a dare la sua attività nell'ANPI e nella FVL. Aiutò molti partigiani a sistemarsi nella vita. Di lui abbiamo tutti un ricordo che ci fa pensare ad un buon amico.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pp. 99-100

Nel frattempo «Doria Fragola», con un gruppo di partigiani, attacca ed infligge gravi perdite ai Tedeschi che sorvegliano gli abitanti di Isolabona e Dolceacqua, costretti a lavorare per riattivare il ponte di Bunda [n.d.r.: in effetti, il ponte degli Erici] semidistrutto precedentemente dai partigiani.
Ancora «Doria Fragola» effettua alcuni improvvisi attacchi in Val Roja e, in un'azione improvvisa a Breil, in territorio francese, rompe ponti e danneggia strade utili al transito delle truppe tedesche.
Infine, invia «Pagasempre» ad un colloquio con i maquisards francesi, fissato a l'Escarène, nelle vicinanze di Nizza. I partigiani francesi si fanno attendere per tre giorni. «Pagasempre» si allontana con il suo gruppo, dopo aver fatto saltare il viadotto ferroviario Digne-Nizza, presso l'Escarène. «Tra il 25 settembre ed il primo ottobre - sono parole di Vittorio Curlo (Leo) - si ebbe qualche scaramuccia, ed il 26 settembre un nostro attacco di sorpresa ad Isolabona, col mortaio da 45 mm fatto venire da Langan per l'occasione, scaglia sulla postazione tedesca oltre 25 granate. L'azione è condotta da «Doria Fragola». Questi fatti si rivolsero a nostro favore perché riuscimmo a ricuperare munizioni».
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992  

Pagasempre, che doveva far parte del gruppo di Fragola-Doria [n.d.r.: Armando Izzo, comandante, poco tempo dopo i fatti qui narrati, della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”], era riuscito a scappare dal campanile [n.d.r.: della Chiesa Parrocchiale di Pigna] e a raggiungere il gruppo di retroguardia [n.d.r.: l’autore non mette date, ma qui dovrebbe trattarsi del 10 ottobre 1944, quando la Repubblica Partigiana di Pigna era ormai caduta e la maggior parte dei patrioti combattenti imperiesi, non solo quelli attestati in Alta Val Nervia, ma anche coloro del resto della provincia, si erano ormai avviati, per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti, verso Fontane in Piemonte, in quella che è rimasta nella storia come un’epica ritirata strategica]. È lui, il testimone oculare dei fatti che sto per narrare.
«Stavo per raggiungere il gruppo di Fragola-Doria, dopo aver visto dall’alto del campanile i vari gruppi dirigersi verso Langan. Erano riusciti a sganciarsi bene ed il ripiegamento avveniva con ordine, anche merito mio che sparavo dal campanile e del gruppo di Fragola-Doria che compiva eccellentemente il compito di retroguardia».
[...] Intanto Pagasempre, rimasto solo, all’alba, dopo aver passato la notte al riparo degli alberi, si avviava verso Buggio. Sentiva sopra, verso il Torraggio, le mitragliatrici, che lui pensava fossero di Moscone [n.d.r.: Basilio Mosconi, comandante di un Distaccamento, poi comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata], attestate all’incrocio della strada militare del Torraggio, verso Pietravecchia, che respingevano i tedeschi.
Giunto a Spegli fu accolto da alcuni carbonari, dove incontrò il maggiore Zoroddu, con la moglie e le due bambine.
[...] In Gordale si radunarono molti sbandati e formarono il distaccamento del tenente Lilli [Fulvio Vicàri, medaglia d’argento alla memoria], ma non avevano mezzi di sussistenza, né collegamenti con il grosso delle forze avviate verso il Piemonte.
I tedeschi avevano occupato tutta la zona e bisognava stare in guardia.
Il maggiore Zoroddu incarica Pagasempre di recarsi a Poggio di Sanremo con un biglietto di presentazione per i signori Nino Ghersi e Corrado Mancini, facenti parte del C.L.N. onde avere mezzi di sussistenza. 
don Ermando Micheletto, Op. cit., pp. 199-202

Tornato dalla ricognizione a Cima Marta e dalle zone su Briga non trovai più nessuno. 
Erano tutti scesi verso la costa. 
La strada da Carmo Langan rigurgitava di colonne tedesche in discesa verso Molini di Triora per andare ad imboccare poi la strada verso Rezzo.
Io mi mordevo le mani perché ero nell'impossibilità di fare qualcosa. 
Avevo racimolato qualche uomo da Realdo, da Creppo, da Bregalla. 
In un momento di interruzione del transito dei nemici attraversammo un tornante di quella strada dirigendoci verso Colle Bracco. 
Di lì vidi uno spettacolo impressionante. Lunghe colonne di tedeschi erano in marcia sulla strada di Rezzo. Sarebbero bastati pochi uomini, dotati di armi automatiche, per fermare tutta la fila di tedeschi, senza possibilità di scampo: il passaggio dalle rocche di Drego, distrutto e rifatto male, comportava un passaggio lentissimo.
Sulla via Molini di Triora-Taggia i ponti erano stati fatti saltare.
Impossibilitato a fare qualcosa per mancanza di uomini ben armati, mi diressi verso San Faustino, dove recuperai altri partigiani.
Pensando che il grosso delle nostre forze fosse già a Sanremo, condussi i miei uomini verso Ceriana, Monte Bignone, San Romolo.
Nel tragitto il mio gruppetto aumentava di unità in continuazione. Erano però quasi tutti patrioti disarmati, ragazzi lasciati indietro perché semiinvalidi o per adempiere ad altre incombenze, una specie di informatori di retroguardia.
Giunti a Sanremo la trovammo tutta imbandierata...
Pagasempre in don Ermando Micheletto, Op. cit.

mercoledì 3 settembre 2025

Uccisa sulla via Aurelia per non aver consegnato la bicicletta ai tedeschi

Taggia (IM): poco a levante del bivio Rossat di Arma

Giovanni Strato [n.d.r.: autore di Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia] ricorda: Dilanda Silvestri che aiuta il padre Michele (Milano) nella sua opera a favore della Resistenza; Jolanda Zunino (Spavalda) non ha congiunti da coadiuvare, ma si impegna in prima persona in qualità di staffetta dei distaccamenti cittadini; Gea Gualandri è un'attiva collaboratrice; Cesira Lanteri ospita i partigiani nella sua casa nella zona di Langan [nel comune di Castelvittorio] ed i Tedeschi, scoperta l'attività, incendiano l'abitazione; la professoressa Adelina Biglia è arrestata nel maggio 1943; la professoressa Letizia Venturini è nei gruppi antifascisti già prima del periodo resistenziale e traduce scritti da diffondere clandestinamente; la professoressa Costanza Costantini di Torino è pure lei nel gruppo antifascista.
Né si debbono dimenticare Jose Pila, collaboratrice nella zona di Costa d'Oneglia; le sorelle Evelina e Giuliana Cristel [di Sanremo], già citate nel capitolo dedicato al FdG; Teresa Vespa Siffredi, internata nel campo di concentramento di Fossoli; Iside Corradini, uccisa sulla via Aurelia [vicino al bivio Rossat di Arma di Taggia] e buttata nella scarpata sottostante per non aver consegnato la bicicletta ai Tedeschi (12).
Se tocchiamo la montagna non finisce più la trafila. Già è stato detto che senza l'aiuto dei contadini la Resistenza non sarebbe esistita. Ciò significa che la popolazione contadina ne rappresenta il nucleo centrale. E sulla montagna la donna ha svolto un ruolo determinante. La sua collaborazione è stata qualcosa di sublime. Ma ciò che è più impressionante è la semplicità di un'azione per cui ogni cosa diventa naturale: sfamare un partigiano non è che il semplice dovere di una madre o di una sorella, anche se ciò comporta continui pericoli.
E la donna paga sempre perché le bruciano la casa, la depredano, la percuotono, la violentano, la uccidono. Tutto ciò è storia, non fantasia.
Storia nostra, dei nostri paesi, di tempi ancora recenti, verificabile, documentata da scritti o testimonianze.
Alle donne delle nostre montagne è stato fatto il grande torto di averle ricordate poco. La Resistenza è sempre stata rappresentata dal partigiano con il mitra in mano. Qualche accenno riempitivo al contributo del contadino. Fortunatamente la Storia sta facendo giustizia anche se in pratica la Resistenza non si assume ancora il ruolo di concreta riparatrice. Discorsi e conferenze hanno fruttato cariche ed onori a tanti arrampicatori. Ma si veda quante volte è stata organizzata una visita verso l'umile casa di qualcuna delle madri o sorelle che hanno perduto il figlio o il fratello, o sfamato interi gruppi di partigiani soffrendo esse stesse la fame, sfidando e sopportando le violenze nazifasciste.
Tra le fotografie riportate alla fine di questo capitolo figura l'interessante nota della direzione delle carceri giudiziarie di Sanremo che, in data 29 marzo 1945, dà notizia della detenuta Anna Maria Borgogno, ricoverata presso l'ospedale civile, sorvegliata dalla GNR e da consegnare successivamente al Comando tedesco per l'inevitabile fucilazione. Con lei è una altra donna, Bianca Pasteris (Luciana), ferita e catturata a Beusi, destinata ad analoga sorte (13).
Di Ada Pilastri (Sascia) si deve ricordare il bellissimo racconto della marcia sulla neve per procurare farina e viveri alle nostre formazioni (14). Rina Moraldo nel marzo 1945 salva il Comando garibaldino: di buon mattino, mentre si reca a Gerbonte per assistere alla Santa Messa, scorge i Tedeschi intenti a piazzare mitraglie a Loreto ed a Creppo, perciò ritorna sui suoi passi ed avverte tutti i partigiani.
E Pierina Boeri (Anita) è una partigiana vissuta soltanto di coraggio e di esempi sul campo di battaglia.
Nel capitolo concernente la Sanità partigiana sono ricordate benemerite suore ed infermiere: Angela Roncallo (Fernanda) nel suo diario alterna la pateticità alla disperazione. Ida Rossi (Natascia), diciannovenne, bionda e graziosa, si trova a Upega in quel tristissimo 17 ottobre 1944; è infagottata in una divisa da soldato tedesco, ma ciò non le consente di sfuggire alla cattura anche se poi, facendo tesoro delle risorse inesauribili della personalità femminile, riuscirà a sfuggire alla morte. A Triora, Antonietta Bracco è tuttora un esempio di dignità e di entusiasmo per la missione compiuta. E Ornella Musso passa di battaglia in battaglia contro il fascismo, dall'Italia alla Spagna, e ancora in Italia per la battaglia finale.
[NOTE]
(12) A proposito di Iside Corradini riportiamo un brano tratto dal libro di Alpinolo Rossi, Memorie luci ed ombre, Moderna stampa, Riva Ligure, s.d., pag. 195: "un gruppo di bersaglieri avevano fermato la compagna Iside Corradini che transitava in bicicletta, reclamando la consegna del velocipede di cui avevano urgente bisogno: - Sono infermiera e la bicicletta mi serve per raggiungere il domicilio dei miei pazienti che sono disseminati su una vasta zona; non fateci conto perché non ne posso fare a meno. Mentre alcuni, insensibili alle argomentazioni della ragazza si avvicinavano minacciosi per impossessarsi di prepotenza del veicolo, la Corradini in un impeto d'ira sollevò la bicicletta e la scagliò nella campagna sottostante gridando: - Piuttosto la butto! Fu il suo ultimo gesto di disprezzo: una scarica di mitra la fulminò proprio alla vigilia della liberazione".
(13) Le due patriote, Borgogno e Pasteris, saranno liberate dal distaccamento GAP Zamboni con un'ardita e ben riuscita azione. Cfr. M. Mascia, op. cit., pagg. 289,292.
(14) Cfr. M. Mascia, op. cit., pag. 181 e segg.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1992, pp. 588-599 

giovedì 31 luglio 2025

Il partigiano cerca di occultarsi nel fieno

Dintorni di Bosco, Frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: lokkio

25, 26, 27... lenti e terribili passano gli ultimi giorni di gennaio [1945]: il cielo è sempre grigio, il clima freddo, un vento gelato passa sulle vallate. Lassù sui monti nevosi il nemico continua a gravare con tutto il suo peso, il rastrellamento continua.
Che avverrà lassù? Potranno i partigiani sopravvivere? Quanti cadranno? Quanti saranno gli sbandati? Solo in seguito, quando il nemico avrà lasciato la zona, dai racconti dei borghesi e dalle parole degli scampati potremo a poco a poco ricostruire gli eventi, ma qualche episodio resterà oscuro per sempre.
Il giorno 20 all'alba il nemico era piombato a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], Degolla [borgata di Ranzo (IM)] ed Ubaghetta [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Contemporaneamente aveva occupato i paesi a fondo valle della Val d'Arroscia e fatta qualche puntata anche nel versante nord. Lo stesso giorno all'alba aveva occupato la Val Pennavaira investendo Alto, Nasino e Capraùna. Come si vede l'idea di Osvaldo [n.d.r.: Osvaldo Contestabile, poco tempo dopo commissario della IV^ Brigata della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"] di ritirarsi in Val Pennavaira non sarebbe stata felice.
Ad Ubaghetta l'allarme venne dato in tempo: la sentinella scorse la colonna che operava in Val d'Arroscia ed avvertì i compagni [n.d.r.: di una pattuglia della Divisione "Bonfante", di cui Gino Glorio, che lasciò scritto questo racconto, era amministratore]: quando il nemico prese il paese alle spalle questo era già sgombero.
Gli eventi di Bosco li ricostruii da vari racconti: quando venne dato l'allarme il nemico aveva già circondato il paese dalla parte sud ed individuato il casone dove alloggiavano i nostri. Qualcuno riuscì ancora a fuggire, gli altri, circa una decina, vennero catturati prima che potessero far uso delle armi. Nei primi istanti cadde uno dei nostri: il russo. I compagni lo sentirono rantolare mormorando parole della sua lingua, poi a poco a poco si spense. I prigionieri catturati vennero condotti fuori paese con due borghesi catturati nel trambusto e allineati sotto gli ulivi di fronte ad una mitragliatrice.
Chi mi raccontò la vicenda fu Megu [n.d.r.: Ugo Rosso, poche settimane dopo gli eventi qui descritti vice commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Bonfante"], lo studente in medicina che avevo visto il 19 sera. Era a Bosco con gli altri quella mattina, si erano svegliati e stavano scaldando le castagne, quando uno che era uscito a lavarsi scorge a breve distanza il nemico che si muove cautamente: «Ragazzi, i tedeschi!». Un breve grido. Si accorre alla finestra e si comprende che è troppo tardi per resistere: non c'è che da salvarsi singolarmente, ma ci sarà ancora il tempo?
Megu si lancia verso la porta, esce: sente una voce: «Tenente, una raffica da quella parte». E' Carletto. Megu è stato scorto: giù a terra! Una sventagliata di mitraglia passa qualche passo sopra di lui.
Un balzo e via, prima che il nemico spari ancora. Una corsa folle per le viuzze. I tedeschi sono già in paese: un nemico sbarca la strada puntando il fucile: «Alt!». Il partigiano si sente perduto: no, c'è una porta socchiusa. Uno scarto di fianco e Megu è in un fienile. Si guarda intorno: là c'è un'altra uscita: presto, il nemico lo segue! Il partigiano fa per balzare all'aperto, ma l'altra porta è sorvegliata. Un altro tedesco lo prende di mira, Megu balza indietro, di nuovo dentro, cerca di occultarsi nel fieno, ma ormai si sente perduto: i tedeschi entrano, rovistano ovunque, lo catturano.
Viene condotto fuori, sotto gli ulivi, allineato con gli altri compagni: di fronte hanno una mitraglia. Megu comprende, i suoi nervi si tendono fino allo spasimo nella ricerca di una possibilità di salvezza, di fuga nei brevi istanti che rimangono. Ecco: Megu conosce il tedesco, ascolta attento le parole dei soldati, gli ordini dell'ufficiale, osserva... osserva la mitraglia, vede che il nastro non è ancora in posizione: al mitragliere occorrerebbero pochi secondi per poter cominciare a sparare, bisognerebbe approfittare di quei secondi. L'ufficiale tedesco si rivolge ai nostri in italiano: «Se uno fugge spariamo sugli altri». Poi in tedesco al mitragliere: «Al mio comando inizia il fuoco». 
Megu comprende e pensa ad un inganno: «Ragazzi, ci ammazzano!». Un istante ed i partigiani d'un balzo si disperdono lanciandosi verso il basso: il nemico, per errore, ha lasciato la discesa alle loro spalle. Saltando i muretti di sostegno del terreno, i cespugli ed i fossati, i partigiani fuggono alla cieca: il pericolo è mortale ed il nemico può essere ovunque. Il mitragliere ha tentato di sparare, ma nell'orgasmo l'arma gli si inceppa; allora l'ufficiale impugna la pistola automatica e fa fuoco: cadono quattro compagni e i due borghesi che non erano fuggiti: «Ma io non sono partigiano!». Megu sente il grido disperato coperto dalla raffica. Gli altri riescono a fuggire.
Megu fa qualche decina di metri col cuore in gola, di corsa; poi vede che un tedesco lo ha preso di mira dall'alto di una rupe da pochi metri di distanza: «Alt!». Megu è di nuovo nelle loro mani.
Il prigioniero è condotto sulla piazza della chiesa, perquisito, privato di tutto, anche del poco tabacco, poi è lasciato ad un soldato che lo sorveglia da breve distanza. Il partigiano cerca di parlare col soldato servendosi della sua conoscenza della lingua. Conoscerà il suo destino? Potrà avvicinarsi al nemico e cercare di disarmarlo? Il tedesco intuisce le sue intenzioni e gli impedisce di avvicinarsi: «Ti fucileremo quando torna l'ufficiale, tarderà forse ancora dieci minuti... No, niente prete: il prete è scappato dal paese». Megu allora cambia tattica: il tedesco ha il fucile a tracolla, ci vorrà qualche istante perché possa usarlo. E' più facile che usi la pistola P38 che impugna, ma Megu può sperare di non esser preso al primo colpo. C'è poi la mitraglia pesante che era dei partigiani e che è rimasta sulla piazza, ma se si riesce a saltare nella fascia di terreno sottostante si è in un angolo morto e la mitraglia non è più temibile. Megu conosce la zona ed in pochi istanti potrebbe essere al sicuro in un rifugio. Il difficile è avvicinarsi all'orlo della piazza. Passano minuti che paiono eterni: il tedesco è seduto a breve distanza con gli occhi fissi su di lui e l'arma in pugno. Megu sa che deve distrarlo, deve riguadagnare la libertà in quei pochi minuti in cui sono solo loro due, poi non sarebbe più possibile. Megu chiede al tedesco se può allontanarsi per una necessità urgente. La scusa è puerile, ma non gli è possibile trovare di meglio. «No! Vai solo fin lì», risponde la sentinella indicandogli l'orlo della piazza. Megu obbedisce, si accuccia, al primo attimo di distrazione, senza alzarsi, si lancia giù dalla piazza. Il partigiano cade: il salto è stato più alto del previsto e non ha avuto modo di prendere l'equilibrio nè la spinta. Un colpo violento alla schiena e rimane senza fiato, bloccato. Il tedesco appare in alto, dalla piazza lo scorge riverso, lo prende di mira con la pistola. Megu sa che questa volta il tedesco tirerà senza indugio, fa uno sforzo supremo e si lancia in basso in un altro salto. Il soldato spara, ma non lo colpisce. Megu si rialza e scompare di corsa tra gli alberi. Dopo un mese i compagni portavano ancora il cibo a Megu nel rifugio: «Lo facciamo volentieri perché quel giorno ci ha salvato la vita, visto che sapeva il tedesco: ma da allora non è più uscito dal rifugio. Se continua ci farà i funghi».
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 149-152 
 
Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 i tedeschi, partendo da Cesio, cercano di portare un duro colpo alla Divisione Bonfante, iniziando un rastrellamento che interessa una parte consistente della Valle Arroscia e delle località, in particolare, di Alto, Nasino, Casanova Lerrone. A Bosco, frazione di Casanova Lerrone, riescono a circondare un casone che ospita un gruppo di partigiani. Dopo un aspro combattimento i dodici uomini che si trovano dentro il casone riescono a rompere il cerchio di fuoco e qualcuno evita la cattura. Cadono sul campo il sovietico Gospar, Rolando Martini (Indusco), William Bertazzini (Rosa), Gino Bellato (Gino). Bartolomeo Vio (Tron), della banda locale di Vendone, che in servizio notturno stava controllando le strade, benché ferito alla caviglia riesce a salvarsi con una fuga a perdifiato. Sono catturati e fucilati sul posto i civili Amedeo Bolla, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo è ucciso il civile Settimio Testa. I garibaldini che sono riusciti a sottrarsi alla cattura raggiungono le altre squadre del distaccamento.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

mercoledì 23 luglio 2025

Una cartoleria centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani di Imperia

Imperia: Via Ospedale ad Oneglia

Dall'Archivio Storico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (IsrecIm) affiorano storie straordinarie di fatti e di persone che costituiscono la Storia di questo angolo di Paese, il Ponente ligure, in un periodo particolare e determinante quale la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza, che è stato raccontato in alcune opere fondamentali tra cui la Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria).
E molte altre ne possiamo annoverare, di valenti studiosi e studiose locali, opere che hanno costituito le fonti di questo lavoro, insieme alla raccolta di testimonianze dirette.
Questo è un libro di passione, non pretende di essere esaustivo, ma è un percorso dentro la memoria locale per riprendere il filo di ideali, sentimenti, esperienze e aspettative che interessano ancora, per «orientarsi nella modernità confusa e smarrita», come dice Lidia Menapace.
Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke LoiaconoProtagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligureIsrecIm - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025,  p. 7

Come già detto, accanto all'organizzazione Gruppi di Difesa della Donna, abbiamo un'infinità di donne che hanno sopportato una serie ben lunga di sacrifici.
Non erano forse donne della Resistenza tutte le madri, le spose e le sorelle dei patrioti? Non erano esse stesse partecipi dei rischi e dei tormenti dei loro cari? Quante preghiere venivano pronunciate nelle case o nelle chiese per la salvezza dei propri congiunti!
Nei casoni e nei fienili, impropriamente chiamati ospedaletti da campo partigiani, in ogni ora del giorno e della notte le donne erano pronte ad accogliere feriti e malati per curarli, sfamarli e rincuorarli. E tra esse, le suore negli ospedali hanno offerto esempi di dedizione infinita, sopportabile da chi è retto da una fede trascendente che fornisce il duplice dono del sacrificio e del coraggio nell'affrontare la morte stessa con una serenità d'animo eccezionale e consapevole.
Il servizio staffette nelle formazioni molte volte veniva svolto da ragazze che, attraverso sentieri mozzafiato, si recavano in zone distanti anche alcuni chilometri per portare circolari, notizie o segnalazioni.
E in banda la donna con il fucile in mano rivestiva il ruolo, tipicamente maschile, del guerriero in lotta. Sparava come l'uomo nell'impeto della battaglia, e della delicatezza della sua figura e del disagio tra quegli spari nulla doveva affiorare, perché in certe situazioni non poteva esistere debolezza o privilegio.
Quanti ruoli la donna abbia sostenuto nella Resistenza è difficile dire, perché se si possono descrivere fatti accaduti, mi pare non sia possibile penetrarne lo spirito, l'ispirazione, i moventi autentici per cui scatta l'azione. Ho cercato, comunque, di chiarire come la partecipazione della donna nella Resistenza italiana, perciò anche in quella imperiese, sia costituita da una vasta gamma di impegni ed abbia origine da svariate direzioni.
E mi rammarico per l'impossibilità di ricordare l'interminabile serie di interventi di donne nella lotta, perché una ricerca seria presenterebbe problemi pressoché insolubili ed un impegno gravoso anche per il fatto che tante protagoniste, veramente modeste ed aliene da riconoscimenti ed onori, non intendono fornire notizie sulla loro attività resistenziale, mentre altre, purtroppo, sono invecchiate, malate o scomparse. Ed ancora, come ho già accennato in altra parte, occorrerebbe per ognuno dei tanti argomenti, una singola pertinente pubblicazione.
In appendice a questo capitolo è riportato l'elenco delle donne partigiane, patriote e collaboratrici del movimento organizzato di Liberazione nella nostra provincia. Ma, prima dell'elenco finale, mi siano permesse alcune citazioni e qualche breve commento.
Pietro Roggerone, nel corso di un rastrellamento, viene arrestato e condotto a Sanremo con una decina di prigionieri in ostaggio; una ragazza, Anna Lanteri, riesce a far fuggire tutto il gruppo (1). Risulta inoltre che la coraggiosa ragazza abbia salvato addirittura una cinquantina di civili incappati in un rastrellamento. Successivamente sarà arrestata.
Le SAP non sono un'organizzazione prettamente maschile. Anche le donne sanno combattere: «Nei primi mesi dei 1945 i sapisti della III Brigata riuscivano a disarmare una quindicina di militari italiani e tedeschi. Azioni rischiose nelle quali si distinsero per il coraggio dimostrato anche le giovanissime sapiste Palma Bianca e Daolio Nanda, seguite da un folto gruppo di donne, quali Elena Caterina, Robino Carolina, Garibaldi Geromina, Trevia Elisabetta, Agnese Teresa, Bestoso Emilia, Piana Gilda, Verda Lucia, Vittoria Giobbia (Sanjacopo), ed altre della Val Steria che si adoperarono instancabilmente per la lotta di Liberazione...» (2).
La professoressa Vittoria Giobbia (Sanjacopo), donna eccezionale il cui antifascismo è radicato ed autentico dirige le SAP femminili in Diano Marina. Organizzatrice abile e coraggiosa, lancia alla gioventù studentesca il suo appello alla lotta. Costituisce otto nuclei resistenziali: a Cervo, San Bartolomeo, Tovo Faraldi, Villa Faraldi e quattro a Diano Marina.
Verso la metà dell'ottobre 1944 è ricercata dalle SS perché la sua abitazione in Diano Marina (al n° 1 di via Genova) viene riconosciuta come centro dell'attività clandestina. Fugge, ma non si rassegna. Riprende i contatti con l'organizzazione femminile di Imperia e, naturalmente, con quella di Diano Marina. Ritorna alla guida del movimento femminile ed è preziosa collaboratrice del CLN locale con i collaterali movimenti maschili della Resistenza. Donna di cultura, incaricata dei corsi di traduzione della Facoltà di lettere dell'Accademia di Digione, già dal sorgere del fascismo in Italia si era rivelata come una delle più acerrime nemiche della dittatura (3).
Alba Rizzo di Camporondo (Diano Borganzo) è la staffetta che informa giornalmente i patrioti locali di stanza nei pressi di Diano Roncagli. Verso le 15 del 1O gennaio 1945 un gruppo di Tedeschi, guidato da una spia mascherata, irrompe all'improvviso nella zona e minaccia di sorprendere l'accampamento dei garibaldini di «Stalin»; anche da altre due direzioni giungono colonne nemiche. La ragazza intuisce il pericolo, percorre la salita a perdifiato ed avvisa i partigiani che riescono a mettersi in salvo occultando il materiale. Alba è stremata: al giungere dei Tedeschi si butta a terra e si salva fingendosi morta (4).
Analogamente, il 2 agosto 1944, un'altra ragazza, Lucia Ardissone, dopo un'estenuante corsa riesce ad avvisare una decina di giovani di Roncagli che dormono in una baita in località denominata «Piano della Chiesa», salvandoli perciò dalla morte (5).
Il 29 gennaio 1945 durante un rastrellamento Francesco Camiglia tenta la fuga attraverso i tetti, ma è ferito e chiede un disperato aiuto alla madre. Viene catturato e trascinato verso un albero di pero per essere impiccato. Gli passano il cappio intorno al collo. La madre, presa dalla disperazione raccoglie tutte le forze e si scaglia con un urlo straziante contro i Tedeschi che la respingono (6).
Povera madre, la Resistenza è fatta anche di te. Il popolo ti deve gratitudine, come gratitudine deve alla madre del sapista Augusto Vignola che, per tanti giorni, paziente e trepida di speranza, si avvia alle carceri di Oneglia con il pacchetto contenente il cibo per il figlio prigioniero. Patetica madre, tuo figlio è stato assassinato da alcuni giorni. Anche tua è la Resistenza.
Mi disse un giorno Vera Belgrano (Pia): «Nel capitolo dedicato alle donne della Resistenza Imperiese non dimenticarti di Liliana e di Maria, che avevano sposato i fratelli Quaglia, noti pollivendoli di Oneglia, un triste giorno i due giovani con il camioncino per il trasporto del pollame passarono su una mina posta dai partigiani sulla via Aurelia per far saltare automezzi nemici in transito. Sfortunatamente il camioncino saltò in aria ed i due fratelli morirono. Erano due bravi giovani antifascisti e le loro mogli collaboravano con noi del GDD. Un mattino, dopo il triste fatto mi recai in casa di una delle vedove e la trovai nell'atto di pregare davanti alla fotografia del marito vicino al lumino. Assistere a tanto dolore, dignitoso e composto mi si restrinse il cuore di commozione...». Eppure, comprendendo la fatalità, dell'accaduto, le due donne continuarono la lotta contro il fascismo portando documenti della Resistenza, anche a rischio della loro vita (7).
La stessa Vera Belgrano passa momenti drammatici. Nel corso di un rastrellamento i Tedeschi perquisiscono la sua casa a Costa di Oneglia: buttano tutto sotto sopra, ma fortunatamente non trovano la macchina da scrivere ed i documenti del FdG e dei GDD.
«Forse - dice Vera - i Tedeschi erano troppo impegnati a cercare denaro ed oggetti preziosi, che trovarono ed asportarono; ma ho benedetto quel furto che mi ha salvato la vita!».
Giovanna e Nina sono le sorelle di Giacomo Amoretti (Menicco). Che dire di loro? Sono della famiglia Amoretti e non mi sembra il caso di enumerarne i continui pericoli sopportati con quella cartoleria all'inizio di via Ospedale, diventata centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani.
Tra i miei ricordi, Velia Amadeo, mia cugina. Ero piccolo e, malgrado il gran numero di anni passati, mi rivedo alla finestra dell'abitazione di mia nonna, al primo piano di piazza San Francesco, dove è situata l'attuale Camera del Lavoro. Assisto agli ultimi sprazzi di quel carnevale del 1930. È la sera del 3 marzo e vedo le scene di allegria popolare di quell'epoca. Rivedo sulla piazza i miei zii Alessandro (Pepen) e Raffelina, spontanei ed allegri come era possibile allora. Ma qualche centinaio di metri distante, dal porto di Oneglia scivola silenziosa sull'acqua una barca di pescatori sulla quale c'è la loro figlia Velia con tre antifascisti. Vogliono espatriare, fuggire lontano dalla nostra terra oppressa, per continuare all'estero la loro battaglia. Il mattino seguente, la notizia della fuga tramuta quella gioia spontanea in cupa disperazione. Velia non ritornerà più nella sua casa, ingoiata con i compagni dai gorghi del mare.
Ed Anna, madre di Wladimiro, è la sorella di Giacomo Seccatore, sempre perseguitato dal fascismo. Anche lui morirà presto, vittima delle sue idee e della lotta per la libertà. Anna Seccatore abita sullo stesso pianerottolo della mia famiglia. Le porte dei due appartamenti sono affiancate, in quel corridoio di piazza San Francesco, nel portone adiacente a quello già ricordato di mia nonna. Wladimiro ed io siamo piccoli ed amici; dalle parole carpite dai miei genitori sento che la madre di lui vive anni di tormento per il fratello imprigionato, confinato e perseguitato.
[NOTE] 
(1) Cfr. F. Biga. Diano e Cervo nella Resistenza, op. cit., pag. 100. 
(2) Ibidem, pag. 186.
(3) Ibidem, pag. 236.
(4) Ibidem, pag. 195.
(5) Ibidem, pag. 114.
(6) Ibidem, pag. 200.
(7) Testimonianza orale di Vera Belgrano (Pia).

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1992, pp. 582-585

19 Ottobre [1944]. 
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto, presero la signorina B., sorella di un "fuorilegge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità. Una ragazza giovanissima tra le mani di quella gente chissà che cosa deve aver provato: sofferenze atroci, tanto che ora si trova in uno stato pietosissimo in una clinica sotto la cura di diversi professori, i quali fecero una denuncia al Comando della G.N.R. dimostrando come stanno le cose. I colpevoli, tre o quattro, sono stati arrestati e ora si attende il processo che dovrà esserci in questa settimana.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006, p. 20

28 febbraio 1945 - Dai Gruppi Difesa della Donna della provincia di Imperia al Comitato regionale del Fronte della Gioventù e dei Gruppi Difesa della Donna - Relazione sull'attività del mese di febbraio, da cui si evince che i gruppi erano organizzati e retti da un triumvirato femminile, composto da un'operaia e da due intellettuali; che la citata operaia si stava adoperando per creare nuovi comitati; che le donne intellettuali curavano la stampa e la propaganda tra le giovani nella scuola e nelle fabbriche; che erano stati riallacciati i contatti con le vallate e con l'organizzazione del Fronte della Gioventù; che il servizio di spionaggio era già in funzione e che alcune impiegate delle Poste avevano già fornito notizie utili a salvare la vita a diversi partigiani.
Documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)- Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 20 maggio 2025

I rastrellatori tedeschi uccisero il Segretario Comunale di Borghetto d'Arroscia

Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: mapio.net

Non si era ancora spenta l'eco del colpo all'ospedale che una grave notizia metteva in agitazione l'intera provincia.
Si trattava di questo.
La questura di Imperia, forse in cerca d'una altrettanto clamorosa rivincita, minacciava la fucilazione di 17 prigionieri politici qualora non fossero stati rilasciati entro il 14 aprile 1945, un commissario e un agente di Pubblica Sicurezza da lei dipendenti, catturati dai partigiani a Diano Arentino qualche settimana prima. Tale divisamento era espresso in una lettera della Questura al Comando S.S. germanico di S. Remo in data 7 aprile.
Della grave questione la questura interessò Mons. Luigi Boccadoro, arciprete della Basilica di S. Siro in Sanremo, ma, forse con malizia, lo si fece soltanto il giorno undici, quando cioè mancavano appena 4 giorni alla scadenza dell'ultimatum.
Tuttavia il fatto non scoraggiò il degno sacerdote il quale si sentì anzi stimolato ad accelerare la sua efficace e delicata opera di mediazione consistente nel risalire, grado a grado, dal partigiano "Robinson" comandante del Distaccamento SAP "Zamboni" al CLN Circondariale e a quello Provinciale sino al Comando Zona, riuscendo in tal modo, a salvare la vita dei 17 ostaggi, ma non a impedire che, proprio nello stesso giorno in cui era stato investito della difficile missione, i nazifascisti, quale primo provvedimento, incendiassero e distruggessero undici case di Diano Arentino, il paese dov'era avvenuta la cattura dei due questurini.
In montagna e comunque da parte delle formazioni che vi stanziavano, l'attività era ancora più intensa che sulla costa.
Alcuni episodi, scelti fra i numerosi riferiti nei rapporti giornalieri degli stessi comandanti dei reparti che ne furono testimoni o protagonisti, ne offrono la più credibile e drammatica delle conferme.
11 aprile
Nella Valle del Cervo 200 rastrellatori tedeschi si scontrano con il Distaccamento "Garbagnati" della Brigata "Belgrano", il quale riesce a bloccare il nemico sparando dalle trincee in precedenza approntate da militari germanici. A conclusione dello scontro a fuoco durato l'intera mattinata, i partigiani possono sganciarsi indenni mentre nelle file nemiche si contano 6 morti e numerosi feriti.
12 aprile
(Div. Cascione - brg. Nuvoloni)
Il SIM della Brigata segnala che partigiani garibaldini hanno catturato nei pressi di Goina una decina di nazifascisti; il 4° Distaccamento del Batt. "D. Rossi" attacca sul Monte Trono una pattuglia di 25 tedeschi; un ferito grave fra i partigiani, 3 morti e un ferito fra i nemici.
13 aprile
A Borgo di Ranzo e a Borghetto d'Arroscia, rastrellatori tedeschi catturano il Segretario Comunale di Borghetto e, dopo averlo crivellato di fucilate, ne precipitano il corpo nel fiume sottostante da uno strapiombo di 20 metri.
14 aprile
(Div. Bonfante - Brigata "Belgrano")
A Pogli una squadra del Distaccamento Piacentini attacca il presidio avversario. Altra squadra del Distaccamento "Agnese" sorprende una colonna nemica uccidendo 3 cavalli.
Div. Cascione - brg. Nuvoloni)
A S. Faustina una pattuglia del 4° Distaccamento (Battaglione "Rossi") affronta una squadra nazifascista. In località Rocche di Drego a seguito di una azione effettuata dal Comandante della Brigata saltano 35 metri di strada.
[...]
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni - Bologna, 1970

Il 15 aprile alcuni garibaldini del Distaccamento "Castellari" attaccarono una colonna tedesca che si trasferiva da Garlenda (SV) ad Albenga (SV).
Una squadra del IV° Distaccamento della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione" si scontrava con alcuni tedeschi che scortavano un carro, uccidendone due.
Nella stessa serata gli stessi garibaldini attaccavano una motocicletta, che trasportava due ufficiali ed una donna, i quali nell'attentato trovavano la morte.
Sempre il 15 aprile una staffetta avvisava il I° Distaccamento del Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" che "a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri i quali erano venuti allo scopo di asportare bestie da soma. Il comandante 'Italo' chiedeva rinforzo al II° Distaccamento, andando a prendere immediata posizione con 12 uomini sotto Pietrabruna" sulla carrozzabile Pietrabruna-Torre Paponi.
Dopo un paio d'ore, i bersaglieri, che appartenevano alla VI^ compagnia di stanza tra Riva Ligure e San Lorenzo al Mare, mentre ritornavano con un bottino di 16 muli, venivano attaccati, subendo l'uccisione di 10 soldati, la cattura di altri 2 e la perdita di materiale bellico, consistente in 1 mitragliatore Breda, 1 mitragliatore Saint Etienne, 1 mitra Beretta, 5 moschetti con relative munizioni, 3 pistole e 5 bombe a mano.
I bersaglieri, che riuscirono a fuggire, diedero l'allarme: "da Imperia partiva prontamente, per portare rinforzo, un automezzo con a bordo una quarantina di Brigate Nere ed un cannoncino da 75 mm. Anche questi venivano attaccati in due riprese e subirono la perdita di 6 uomini".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

venerdì 11 aprile 2025

Donne imperiesi dall'antifascismo alla Resistenza

Imperia: nei pressi del ponte stradale sul torrente Impero

A Imperia, la giovane Velia Amadeo, ai primi di marzo del 1930, nell'accompagnare in una barca il fidanzato, il giovane comunista Vincenzo Bottino, nel tentativo di espatriare nella vicina Francia, periva con lui.
Ancora più significativo il caso di Ornella Musso, di Oneglia, che seguì in Spagna il padre Felice espatriato per motivi politici. Ivi la solidarietà familiare divenne un preciso e autonomo impegno politico, in quanto la Musso collaborò a Radio Barcellona durante il periodo della guerra civile.
Sempre nella provincia di Imperia, a partire dalla fine degli anni trenta, spuntava un vivace antifascismo tra gli intellettuali, tra cui alcune donne. Così la prof. Antonello-Brusco fu minacciata, redarguita e molestata: il movimento si fece più intenso dopo lo scoppio dello seconda guerra mondiale, quando alcune professoresse e intellettuali parteciparono addirittura a gruppi di chiaro stampo antifascista: la prof. Vittoria Giobbia, la prof. Costanza Costantino, Letizia Venturini, traduttrice del libro di Rauschnig, "Hitler m'a dit", la prof. Adelina Biglia, che fu addirittura arrestata per avere confidato ad un'occasionale conoscente che era tempo di porre fine alla guerra.
Sempre a Imperia Fede Amoretti assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare influenzato dallo zio Giacinto Menotti Serrati già dirigente nazionale del partito socialista, e Uliana Zanetta dal padre che durante il ventennio era costantemente sorvegliato speciale perché comunista. Anche Alba Berio, costretta ad emigrare durante il fascismo per le angherie subite, fu iniziata all'antifascismo dall'ambiente familiare, e così Maria Ricci, proveniente da famiglia di vecchi socialisti.  
Teresa Agnese di Albenga fa risalire il suo sentimento viscerale contro i fascisti alle minacce di bastonature e di purghe che i fascisti fecero contro la sua famiglia. Bianca Calvi di Imperia, più che dall'ambiente familiare, trasse alimento al suo antifascismo dall'ambiente di lavoro, l'oleificio Agnesi, dove i pochi operai e le poche operaie fasciste erano isolati e guardati con sospetto.
Assunta Berro Bianchi di Imperia imparò l'antifascismo dal padre più volte arrestato durante il regime. Padre e marito di Maria Terrone di Valloria erano anch'essi antifascisti, tanto che l'intera famiglia fu costretta ad emigrare per un certo periodo in Francia. Tebe Demonte di Imperia maturò il suo antifascismo sia dall'ambiente di lavoro "molto duro", sia dal marito Adolfo Stenca iscritto al PCI, e anche Olinda Aicardi, operaia di Imperia, assimilò l'antifascismo dall'ambiente familiare (suo padre era un vecchio socialista) e da quello di lavoro.
Nella famiglia di Anna Bonfante si tenevano riunioni antifasciste con distribuzione di volantini e scambio di notize già prima del 1943, e anche la famiglia di Gilda Piana di Diano era antifascista. Anche Aurelia Rebecco di Pairola, madre di un partigiano fucilato [n.d.r.: Alberto Lorenzi], maturò il suo antifascismo attraverso il marito. Maria Lanteri di Triora dichiara di aver ricevuto l'antifascismo "in casa". Per Milena Massa di Diano Marina la tradizione antifascista e socialista di casa sua le rese poi, secondo le sue parole, "la scelta facile"; anche Giulia Negro di Imperia, moglie di un antifascista, fu iniziata all'antifascismo dal marito, mentre Andreina Rondelli imparò l'antifascismo dalle esperienze e dalle angherie subite dal padre. Angela Carbone di Sanremo, trasse ispirazione al suo antifascismo dal padre socialista. Maria Scotti di Pigna, levatrice, assorbì l'antifascismo dall'ambiente familiare cattolico, e così Emma Borgogno di Perinaldo ereditò l'antifascismo dall'ambiente familiare socialista, allo stesso modo di Giorgina Ascheri di Dolcedo.
Danilo Veneruso, La donna dall'antifascismo alla Resistenza in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979

Felice Musso, ex sindaco socialista di Castelvecchio, all’avvento del fascismo dovette lasciare il paese perché perseguitato e si rifugiò nella vicina Nizza, come tanti compaesani. La famiglia lo raggiunse piuttosto tardi, nel 1930, la moglie Giuseppina, la figlia Ornella e il figlio Lorenzo, il quale si inserì subito nell’organizzazione socialista al fianco del padre e dei vecchi compagni imperiesi <335.
Giuseppe Amoretti, il “Moretto” comunista di Oneglia, lasciò Imperia anch’egli dopo il dissesto finanziario della sua attività di commercio in olio, e grazie alla dote della moglie poté rilevare un negozio di commestibili nel cuore della Vieille Ville, intrico di vicoli dove dal secolo precedente gli italiani si erano installati con le loro botteghe, alimentari, ristoranti. Egli si inserì dapprima nel movimento comunista italiano a Nizza, ottenendo ruoli di responsabilità, in stretto contatto con Felice Musso e i compagni imperiesi, poi si integrò sempre più nelle organizzazioni del Pcf, mantenendo rapporti con l’emigrazione antifascista e con la sinistra locale <336.
[NOTE]
335. AIsrecIm: IID4: f. Lorenzo Musso.
336. Cpc: b. 105, f. Giuseppe Amoretti.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015

[...] Dilanda Silvestri che aiuta il padre Michele (Milano) nella sua opera a favore della Resistenza; Iolanda Zunino (Spavalda) non ha congiunti da coadiuvare, ma si impegna in prima persona in qualità di staffetta dei distaccamenti cittadini; Gea Gualandri è un'attiva collaboratrice; Cesira Lanteri ospita i partigiani nella sua casa nella zona di Langan ed i Tedeschi, scoperta l'attività, incendiano l'abitazione; la professoressa Adelina Biglia è arrestata nel maggio 1943; la professoressa Letizia Venturini è nei gruppi antifascisti già prima del periodo resistenziale e traduce scritti da diffondere clandestinamente; la professoressa Costanza Costantini di Torino è pure lei nel gruppo antifascista.
Né si debbono dimenticare Jose Pila, collaboratrice nella zona di Costa d'Oneglia; le sorelle Evelina e Giuliana Cristel, già citate nel capitolo dedicato al FdG; Teresa Vespa Siffredi, internata nel campo di concentramento di Fossoli; Iside Corradini, uccisa sulla via Aurelia e buttata nella scarpata sottostante per non aver consegnato la bicicletta ai Tedeschi.
[...] Tra le fotografie riportate alla fine di questo capitolo figura l'interessante nota della direzione delle carceri giudiziarie di Sanremo che, in data 29 marzo 1945, dà notizia della detenuta Anna Maria Borgogno, ricoverata presso l'ospedale civile, sorvegliata dalla GNR e da consegnare successivamente al Comando tedesco per l'inevitabile fucilazione. Con lei è una altra donna, Bianca Pasteris (Luciana), ferita e catturata a Beusi, destinata ad analoga sorte.
Di Ada Pilastri (Sascia) si deve ricordare il bellissimo racconto della marcia sulla neve per procurare farina e viveri alle nostre formazioni. Rina Moraldo nel marzo 1945 salva il Comando garibaldino: di buon mattino, mentre si reca a Gerbonte per assistere alla Santa Messa, scorge i Tedeschi intenti a piazzare mitraglie a Loreto ed a Creppo, perciò ritorna sui suoi passi ed avverte tutti i partigiani.
E Pierina Boeri (Anita) è una partigiana vissuta soltanto di coraggio e di esempi sul campo di battaglia.
Nel capitolo concernente la Sanità partigiana sono ricordate benemerite suore ed infermiere: Angela Roncallo (Fernanda) nel suo diario alterna la pateticità alla disperazione. Ida Rossi (Natascia), diciannovenne, bionda e graziosa, si trova a Upega in quel tristissimo 17 ottobre 1944; è infagottata in una divisa da soldato tedesco, ma ciò non le consente di sfuggire alla cattura anche se poi, facendo tesoro delle risorse inesauribili della personalità femminile, riuscirà a sfuggire alla morte. A Triora, Antonietta Bracco è tuttora un esempio di dignità e di entusiasmo per la missione compiuta. E Ornella Musso passa di battaglia in battaglia contro il fascismo, dall'Italia alla Spagna, e ancora in Italia per la battaglia finale.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, 1992

Ad Imperia Uliana Zanetta si era messa in contatto con Anna Airaldi e Bianca Novaro e insieme avevano formato l'embrione dei Gruppi di difesa della donna, che avrebbero poi svolto la loro attività nella zona. L'Airaldi, che lavorava nella fabbrica Renzetti, si occupava del lavoro tra le operaie, la Zanetta di quello tra le studentesse, nel tentativo di convolgere il maggiore numero di donne appartenenti a strati sociali diversi nell'opera di aiuto ai partigiani. Dopo un lavoro capillare, andando casa per casa a parlare con tutte le ragazze di loro conoscenza, erano riuscite a creare una vera e propria organizzazione.
Giuseppe Benelli, La Resistenza femminile in città in (a cura di) Aa.Vv., La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria - La Nuova Italia Editrice (Firenze), 1979 

mercoledì 26 marzo 2025

A Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi

Pontedassio (IM)

Pontedassio
(ab. 1807, cens. 1951)    
(con le frazioni Bestagno, Borgata Monti, Villa Guardia e Villa Viani)

L'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio, era di presidio sul territorio del Comune un Battaglione di artiglieria del Regio Esercito, che si disperse all'arrivo dei tedeschi. Pochi giomi dopo, una ventina di giovani di Pontedassio si portavano in località Monti dove rimanevano circa due mesi, quindi si sbandavano: alcuni ritornavano a casa, altri raggiungevano i partigiani in Piemonte, altri ancora entravano a far parte della Divisione Garibaldi "F. Cascione".
Considerata la località strategicamente importante, i tedeschi organizzavano a Pontedassio un presidio, prima di un centinaio, poi di alcune centinaia di soldati con il Platzkommandantur agli ordini dell'ufficiale Schmidt. Piazzarono batterie antiaeree nel capoluogo, a Villa Guardia e a Bestagno, dove costruirono fortificazioni e trinceramenti. Circa cinquanta tedeschi occuparono Villa Viani e insediarono nei pressi di Pontedassio un grande autoparco dove custodire i numerosi mezzi che avevano in dotazione.
A fine dicembre 1943 si aggregava ai tedeschi una squadra di una ventina di fascisti di "Ordine Pubblico" al comando di Armando Carassale. Nel gennaio 1944 giungeva nel Comune un'altra formazione della Repubblica Sociale, detta "Battaglione Genio Italiano N.1" e comandata daI tenente colonnello Gisulfo.
Il 25 luglio i soldati della III Compagnia alpina tedesca compivano un grande rastrellamento nella zona, infierendo sulla popolazione di Villa Guardia e Villa Viani e rapinando bestiame, pollame, vino, biciclette, radio e così via. Furono anche prelevati venti ostaggi poi trasferiti ad Arma di Taggia, sottoposti a maltrattamenti e rilasciati dopo quarantacinquegiorni.
Nell'agosto 1944 la Piazza di Pontedassio era comandata dall'ufficiale Schmidt.
I tedeschi occupavano le scuole ed il Comune, dove istituivano una prigione. Altro duro rastrellamento il 25 agosto successivo, durante il quale venivano uccisi i civili Felice Dani e Valente Marvaldi. Nove militari del Capoluogo, quattro di Bestagno e due delle Ville subivano la deportazione nei campi di concentramento in Germania. Gravi danni causava il nemico alla popolazione: rapine nelle abitazioni, tre case distrutte, una dozzina di casoni di campagna incendiati, quindici muli e una ventina di bovini, nonché tutti gli animali da cortile, depredati.
Nonostante la forte pressione degli occupanti sul paese, la popolazione manifestò sempre a suo modo e con vari mezzi più o meno clandestini il suo appoggio alla Resistenza. Solo nel settembre 1944, tuttavia, poté costituirsi un vero CLN, composto da Carlo Pansieri (PSIUP), presidente, Leonardo Pansieri (indipente), Napoleone Zerbone (PCI) e Carlo Risso (Partito Repubblicano), i quali, pur nella precarietà della situazione, si impegnarono a fondo nell'aiuto ai partigiani combattenti e nella difesa della popolazione dalle misure vessatorie del nemico.
Continuarono invece ad agire al di fuori del CLN gli antifascisti Nino Verda, Albino Quarti, Francesco Aicardi ed altri, tra i quali il tenente colonnello Alberto Varusio, che tenne collegamenti con il Corpo Italiano di Liberazione operante al fianco delle armate alleate.
Alla Liberazione Pontedassio veniva occupato da partigiani del II Battaglione della IV Brigata "Elsio Guarrini". La Giunta della Liberazione risultò così composta: Francesco Aicardi, sindaco, con Nicola Anselmi e Albino Quarti, assessori.
Tredici i cittadini di Pontedassio, ivi compresi una donna ed il solo caduto [Armando Gerini (Armando)], riconosciuti partigiani combattenti. Felice Scotto (Gapon) fu commissario politico della IlI Brigata "E. Bacigalupo" (VI Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante).
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 124,125

Il 10 febbraio 1945 iniziarono a concentrarsi nella zona Pontedassio-Chiusavecchia truppe nemiche, principalmente uomini appartenenti alle Brigate Nere: una parte di questi partecipò ad un rastrellamento di quattro giorni dopo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

Moro Pietro: nato a Pigna il 15 gennaio 1916, squadrista della Brigata nera “Padoan”
Interrogatorio del 13.7.45: [...] Rimessomi dalla ferita, alla fine del febbraio 1945, venni inviato a Pontedassio, in servizio all’UNSA, per il controllo del conferimento all’ammasso dell’olio dove rimasi fino a pochi giorni prima della liberazione.
[...] Lorenzi Giovanbattista: nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 17.11.1945: [...] Verso i primi di febbraio venni inviato al distaccamento di Cervo Ligure, in servizio al posto di blocco dove rimasi per più di un mese, dopodiché venni trasferito a Pontedassio, presso quel distaccamento, con l’incarico di controllo ai frantoi per il conferimento dell’olio agli ammassi. A Pontedassio sono rimasto fino alla vigilia della liberazione, in quanto venni rilevato con un camion e seguii la sorte dell’autocolonna dei fascisti fuggitivi. [...] Allorché mi trovavo in forza al distaccamento di Pontedassio presi parte all’azione di rappresaglia avvenuta in S. Lazzaro, poiché in detta località era stato prelevato dai partigiani un milite. Nel suddetto paese venne incendiata una casa e precisamente la prima a destra entrando in paese. L’azione di rappresaglia avvenne pochi giorni prima del nostro esodo dalla Liguria.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

20 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando di Moschin [Carlo Mosca] aveva attaccato ed ucciso 3 tedeschi il 9 gennaio sulla strada statale 28 nel tratto Pontedassio-Frantoio Biscialla.
10 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", prot. n° 279, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che negli ultimi giorni in ... Pontedassio e Chiusavecchia si erano concentrati molti nemici; che a Pontedassio vi erano 10 cannoni di grosso calibro, 1500 soldati nemici, 500 cavalli, 2 stazioni radio-trasmittenti...
14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2...
21 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/65, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - ... Aggiungeva la notizia che a Pontedassio si stavano concentrando molti soldati nemici con una motivazione, quella di effettuare delle esercitazioni, che poteva in realtà celare la preparazione di un rastrellamento a danno delle formazioni partigiane.
1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... il 28 febbraio erano transitati circa 400 tedeschi provenienti da Ventimiglia e diretti a Pontedassio, tutti giovani appartenenti alla FLAC...
12 marzo 1945 - Da un informatore non individuabile alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Pontedassio la forza nemica variava da 70 a 150 tedeschi...
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ['Livio' Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 aprile da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Grot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio...
20 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria, alla Sezione SIM della II^ Divisione, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che... sulla strada n° 28 il movimento nemico era aumentato, ma limitato a spostamenti da un presidio ad un altro. Che in particolare i soldati si sposatvano verso Pontedassio e Pieve di Teco, dove continuava la preparazione di costruzioni difensive.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 109, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ... da Nava giungevano una volta a settimana a Pontedassio (IM) circa 10 carri che, dopo un pernottamento, ripartivano per il Piemonte con viveri procurati sulla costa, formando una colonna priva di scorta, mentre gli uomini addetti a quel trasporto erano quasi tutti polacchi, serbi, sloveni, russi.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Ribadiva il contenuto della segnalazione sulle Brigate Nere fatta con prot. n°1/91 del 13 marzo 1945. ... a Pontedassio 60 tedeschi con il compito di sorvegliare i magazzini viveri...
26 marzo 1945 - Dal comando della VI Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 248, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Segnalava, come riferito da informatori, che ogni settimana arrivava a Pontedassio una colonna di carri nemici per caricare viveri da portare in Piemonte via Col di Nava...
13 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 133, al comando della VI^ Divisione - Comunicava che... a Pontedassio erano rientrati i tedeschi che il 2 aprile avevano abbandonato quel presidio.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

[Franco Ghiglia] Era entrato giovanissimo nel Distaccamento "Walter Berio" della 4a Brigata Garibaldi della II Divisione "Felice Cascione". Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di "Gigante", ma una di queste (avvenuta l'8 gennaio 1945), gli fu fatale. "Gigante" e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d'Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma "Gigante" era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all'immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell'episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l'inizio tormentoso della fine [...]
Redazione, Franco Ghiglia, ANPI, 25 luglio 2010

6 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il giorno prima era stato impiccato a Pontedassio dai tedeschi il garibaldino "Gigante" [Franco Ghiglia]...
da documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 10 marzo 2025

Nell'Albergo Miramare è installato il Comando Tedesco della Piazza

Sanremo (IM): Miramare Palace

Anche Bussana viene coinvolta in tragici episodi: il 14 [marzo 1945] gruppi di fascisti giungono nella località con mezzi motorizzati, insediano un posticcio tribunale nel palazzo scolastico per giudicare il garibaldino Roberto Muratore. All'accusa di essere partigiano, questi risponde: "Sono un padre di famiglia che ha fatto una scelta, voi avete fatto la vostra, io ho scelto quella della libertà, dell'onore, dell'Italia libera". Il Muratore è condannato a morte dal tribunale che è presieduto da Aldo Vandone, maggiore della GNR. Condotto nel Parco della Rimembranza, dietro al monumento, è legato su una sedia e alle ore 13 una scarica lo uccide.
Il garibaldino Fulvio Vicàri (Lilli), era addetto allo svuotamento dei proiettili accattastati nella polveriera di Val Gavano: l'esplosivo ricavato veniva utilizzato dalle formazioni partigiane per opere di sabotaggio (distruzione di ponti, strade e così via). Purtroppo, durante il lavoro di ricupero, un proiettile esplode e lo uccide. Il tragico episodio si verifica il 15 marzo. Fulvio Vicàri era stato un bravo combattente tanto da venire insignito di medaglia d'argento al valor militare, alla memoria, per attività partigiana.
Il giorno 16, alcuni partigiani della V Brigata attaccano una carretta nemica che sta scendendo da Carmo Langan, due tedeschi subiscono gravi ferite; la carretta è di scorta ad una trentina di uomini diretti verso Pigna. A quanto pare, i rastrellamenti dovranno continuare perché a Sanremo giunge nuovamente il famigerato maggiore Kruemel, che già si era coperto di crimini nell'estremo ponente ligure. Nonostante ciò, il morale del nemico diventa sempre più basso e il CLN della città ne approfitta lanciando manifestini di propaganda, quasi quotidianamente, che giungono anche tra le forze armate nemiche tramite infiltrati. Inoltre questi manifestini sono lanciati anche a Bussana, Taggia, Ospedaletti, Bordighera ed in altre località costiere e del retroterra.
A metà mese, per ragioni tattiche e strategiche, il Comando I Zona Operativa Liguria, che doveva avere sempre presente un quadro della dislocazione e degli accantonamenti delle forze nemiche nella zona di operazioni della V Brigata, invitava il garibaldino Franco Bianchi (Brunero), responsabile del SIM della Brigata stessa, a compilare tale quadro il quale inseriamo in questo capitolo come testimonianza documentale di notevole importanza, poiché serve per avere una visione completa della lotta che si è svolta in quel periodo. Il "Brunero" comunica al Comando della I Zona una relazione la quale recita: "Ad Arma di Taggia non esiste alcun presidio nazifascista. Completamente vuota è la Caserma Revelli. A Taggia il presidio è composto da una trentina di Tedeschi e da una diecina di militi della Pubblica Sicurezza. Parte dei Tedeschi che componevano tale presidio, sono partiti per Imperia, in questi ultimi giorni, per proseguire poi per Genova. I rimasti avrebbero dovuto seguirli dopo pochi giorni. Invece, a causa di un contrordine, la partenza è stata rimandata. Sembra che ciò sia dovuto ad un probabile sbarco alleato nel tratto di costa tra Albenga e Savona. Nella Villa Cipollini, ubicata tra Arma e Taggia, opera il Comando Tedesco che comprende una trentina di militari, con armamenti automatici. In zona denominata "Borghi" è piazzata una batteria composta da quattro pezzi da 105/17, i quali sono dotati di circa 130 proiettili per pezzo. Nella stessa zona ad opera della impresa Paladino vengono eseguiti lavori militari consistenti in camminamenti, riservette, postazioni e così via. All'altezza del 4° chilometro della strada provinciale che da Arma porta a Triora, i nazifascisti stanno sempre costruendo delle postazioni. A Taggia è già pronto il materiale occorrente per la ricostruzione dei ponti della Valle Argentina, distrutti dai partigiani. Quanto prima questi lavori dovranno avere inizio. Badalucco, Montalto e Agaggio non sono presidiate da forze nemiche. Naturalmente, però, delle pattuglie eseguiscono delle puntate in dette località. Molini di Triora è presidiata da una trentina di fascisti e da una diecina di Tedeschi. Il comando del presidio trovasi nella casa del Municipio. Ad Andagna non esiste presidio. Le truppe di stanza a Sanremo e dintorni si posso valutare a circa duemila unità. Queste formerebbero la prima riserva per il fronte. Nell'Albergo Miramare è installato il Comando Tedesco della Piazza. Al Castello Devachan trovasi la SS tedesca. In detto castello dopo la tortura sono uccisi i partigiani catturati ed i civili in ostaggio. Nei giorni scorsi il castello è stato colpito durante un bombardamento aeronavale alleato. La Villa Hauber è adibita a prigione della SS tedesca. L'Albergo Mediterraneo è occupato da forze tedesche e la sua piscina è adibita a deposito di munizioni. A Madonna della Costa, nei Giardini Elena, sono piazzate tre batterie contraeree, due da 20 mm. ed una da 37 mm., due cannoni da 87 e due da 90. Sulla passeggiata Trento e Trieste sono stati costruiti quattro bunker con quattro cannoni. A Ceriana il presidio è composto da quattro capitani, tre tenenti, un sottotenente, due marescialli ed una quindicina di sergenti. Gli uomini di truppa della Repubblica Sociale ammontano ad una cinquantina, i Tedeschi ad una diecina. Baiardo, come è noto, è presidiata da trentasette bersaglieri ed alcuni Tedeschi. Pigna è presidiata da un centinaio di Tedeschi, così Isolabona. A Dolceacqua i nazifascisti hanno circa duemila uomini, e hanno in dotazione un numero notevole di quadrupedi. Carmo Langan è presidiata da settanta tedeschi i quali sono adibiti alla costruzione di postazioni. La strada Marta - Sanson - Grai è controllata dai nazifascisti. Nella valle di Vallecrosia si notano due batterie ed un centinaio di uomini. A Borghetto c'è un autoparco con una ventina di automezzi. Sulla spiaggia di Bordighera sono dislocati cinque siluri umani, di fronte al mercato del pesce. Allo sbocco dell'ultima galleria di Ospedaletti si trovano sempre due cannoni e due mitraglie. A Bordighera, presso Capo Ampelio, posto di blocco tedesco. Nell'ultima galleria verso Sanremo, è ricoverato il treno armato tedesco. Tutti i rifornimenti che arrivano in Val Nervia partono da Sanremo. Quasi giornalmente apparecchi alleati eseguiscono incursioni sulle zone di Sanremo, Ospedaletti e Bordighera. Nelle stesse zone frequenti si verificano bombardamenti navali degli Alleati. Forte attività aerea si nota pure nella zona Briga - San Dalmazzo".
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 241-244

sabato 30 novembre 2024

Il CLN di Albenga prese contatto con il CLN di Imperia

Entroterra di Albenga (SV)

I promotori della lotta resistenziale di Albenga sono i vecchi antifascisti che dal 25 luglio all’8 settembre 1943 avevano promosso un Comitato Antifascista, rimasto in clandestinità durante il periodo “badogliano”.
Durante il periodo della lotta armata il Comitato muta denominazione e diventa CLN comunale che, per prima cosa, prende contatto con il CLN di Imperia. Infatti il territorio ingauno durante la lotta resistenziale, pur trovandosi in provincia di Savona, è inserito nell’organizzazione patriottica imperiese.
Le ragioni di ciò possono essere ricercate in:
- maggiore vicinanza e facilità operativa,
- durante il ventennio fascista l’unica struttura clandestina organizzata è quella comunista la cui rete cospirativa non teneva conto delle ufficiali suddivisioni territoriali provinciali, ma ne aveva sue proprie.
- l’aspetto organizzativo della Chiesa: Imperia era ed è compresa nella Diocesi di Albenga.
Al CLN costituitosi ad Albenga viene riconosciuta per meriti in data 20 settembre 1944 e su decisione presa dal CLNP di Imperia, l’autonomia circondariale.
Riportiamo i documenti, tratti dal testo di Francesco Biga “Storia della Resistenza Imperiese”.
Vista e considerata la vasta opera di propaganda svolta dal CLN di Albenga in tutta la plaga compresa nell’ex sotto-prefettura; vista e considerata l’odierna instancabile attività per la creazione di nuovi comitati locali e la spinta impressa a quelli già esistenti per una maggiore attivazione dei suoi membri, delega il suddetto Comitato ad agire in nome del CLNP riconoscendo il titolo di CLN circondariale.
Con ciò ritiene di diritto giurisdizionale al detto comitato tutto il territorio facente parte dell’ex sotto-prefettura.
Con la sicurezza che ci deriva dalla vostra coscienza patriottica non esitiamo ad aderire a tutte le vostre richieste.
Sentitamente vi salutiamo.
CLNP - Imperia
In risposta a tale comunicazione, il CLN di Albenga:
Comitato di Liberazione Nazionale 1° settore circondariale N.27 di prot. li, 27/9/1944
Oggetto: riconoscimento di titolo circondariale
Al Comitato provinciale di Liberazione Nazionale - Imperia
e p.c. Alla Federazione di Imperia
La notifica da voi fattaci in data 20 corrente con la quale riconoscete il nostro CLN come Comitato circondariale ci è giunta molto gradita, e senz’altro abbiamo provveduto ad ampliare maggiormente la nostra attività che si era dovuta limitare da Alassio a Loano, compreso l’entroterra.
Perciò ora, avendo diritto giurisdizionale su tutto il territorio facente parte dell’ex sotto-prefettura ci estendiamo da Andora a Finale e relativo entroterra ed abbiamo subito provveduto ad organizzare la zona aggiunta.
Il Comitato di Liberazione Nazionale
1° settore circondariale"
Nella seduta del 7 dicembre 1944 il CLN di Savona approva lo schema organizzativo dei comitati di liberazione di zona. “… Il territorio della provincia di Savona viene diviso in cinque zone, lasciando alla giurisdizione di Albenga una funzione circondariale… Tenuto conto della particolare posizione geografica e del notevole numero di comitati di liberazione comunali organizzati dal comitato di liberazione circondariale di Albenga si dispone sia data a quest’ultimo piena autonomia deliberativa ed esecutiva…e inoltre sia ad esso concessa la libertà di contrarre rapporti di collegamento con le Zone viciniori compresa la provincia di Imperia, dei quali sarà data opportuna conoscenza al CLN provinciale di Savona. Per comporre tutte quelle questioni controverse che potranno sorgere fra il CLN provinciale di Savona e il CLN Circondariale di Albenga quest’ultimo avrà piena facoltà, qualora non si riesca a trovare una base di reciproco accordo, di ricorrere all’autorità del CLN Regionale…
In occasione del convegno di Beusi del 9 febbraio 1945 in cui il CLN di Albenga non è rappresentato, è riconfermata l’autorità sul circondario come da delega del CLN di Imperia.
Tale fatto gli permette di estendere ulteriormente la sua sfera operativa al territorio compreso nell’antica sotto Prefettura amministrativa.
In data 8 marzo 1945 il CLN per la Liguria invia ai CLN di Savona e di Albenga disposizioni sulla base delle quali i centri cospirativi delle due città sono tenuti ad allacciare più saldi legami e contatti tra loro. La decisione del CLN per la Liguria è evidentemente presa in previsione del dopo liberazione e nel fatto dell’appartenenza del territorio ingauno alla provincia di Savona.
La Brigata SAP “Giuseppe Mazzini”
Ad Albenga la brigata SAP “G. Mazzini”, con il riconoscimento della funzione del CLN circondariale ingauno, ottiene l’autonomia operativa sino alla fine del conflitto. Non risulta ufficialmente nell’organico della divisione imperiese “G.M. Serrati” anche se i rapporti con l’organizzazione a cui inizialmente faceva capo, non hanno avuto soste, e i contatti di collaborazione tra i combattenti imperiesi e i sapisti di Albenga sono ricorrenti.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "3. Le squadre di Azione Patriottica nel savonese (prima parte)", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2001

lunedì 18 novembre 2024

Solo il partigiano Giacomo Ghersi, benché ferito, riuscì a mettersi in salvo

Santo Stefano al Mare (IM): uno scorcio, con vista sino ad Arma di Taggia e a Bussana di Sanremo

Il 23 gennaio 1945 nella parte occidentale della “I^ Zona Operativa Liguria” avveniva l’uccisione di alcuni partigiani appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”. Circa cento SS con due mortai circondavano casa Ghersi a Taggia (IM). I quattro garibaldini che si trovavano nell’abitazione vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Venne bruciato il fienile di Raffaele Polito. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano stati fucilati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone riuscì a salvarsi solo Luigi Franco Ghersi, pur ferito.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 
 
La sera del 23 gennaio u.s. in Taggia e in regione "Castelletti" 30 militari della S.D. germanica e otto militi dell'U.P.I. effettuavano un rastrellamento per la cattura dei componenti la banda "Folgore".
Sono stati arrestati sette banditi, di cui cinque fucilati sul posto dai germanici, uno trattenuto in arresto e tale Luigi Ghersi evaso.
Venivano recuperati sei moschetti mod. 91, una pistola e sedici bombe a mano, nonché il ruolino completo della banda "Folgore".
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 febbraio 1945, pp. 27,28. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti  
 
"... Alle ore 20 circa del 23 gennaio 1945 reparti delle SS tedesche e italiane provenienti da Imperia e guidati da una spia procedevano all'arresto in Arma di Taggia ed in regione Castelletti dei garibaldini Giacomo Ghersi, Mario Cichero, Vincenzo Pistone, Vincenzo De Maria, Raffaele Politi, Guglielmo Bosco, Luigi Ghersi ed Ermanno Gazzolo. Tutti i fermati appartenevano al Distaccamento 'Folgore'. Alcuni giorni prima garibaldini del Distaccamento 'Peletta' avevano, su indicazione di Pino Faustini, perquisito la casa dei Ghersi e, dopo un chiarimento, avevano capito che essi erano garibaldini sinceri, mentre Faustini era un individuo 'torbido' che aveva in odio i Ghersi stessi. La sera del 23, quindi, mentre il comandante del Distaccamento si trovava assente... reparti delle SS tedesche e italiane (circa 100 uomini) con due mortai, circondavano casa Ghersi facendovi irruzione. Erano guidati da un borghese con faccia mascherata in parte, cappello calato sugli occhi e bavero del cappotto rialzato. In quel momento si trovavano in casa Ghersi Giacomo e Luigi ed anche Guglielmo Bosco e Vincenzo De Maria. Furono bestialmente percossi, senza alcuna pietà, perché non vollero rivelare la località dove erano nascoste le loro armi con le munizioni e i nomi degli altri partigiani componenti il Distaccamento. Essi sopportarono con coraggio e fermezza la tortura senza pronunciare una sola parola che potesse essere di nocumento ai compagni. Anche i genitori dei Ghersi furono minacciati e malmenati affinché parlassero. Il nipote del Ghersi di anni 11 alle domande rivoltegli dal borghese rispondeva fieramente di nulla sapere, invitando la spia a togliersi la maschera. Altri elementi delle SS appiccavano il fuoco alla baracca di Raffaele Politi il quale, costretto dal fumo e dalle fiamme, dovette uscire all'aperto e arrendersi, fu percosso e seviziato a lungo... un gruppo di SS partì per andare ad arrestare altri i cui nomi erano in una lista in loro possesso. Dopo aver completamento depredato la casa... legati insieme i fratelli Ghersi... i nazifascisti si portarono in Arma di Taggia, sulla Via Aurelia di fronte alla Chiesa. Lungo la strada giacevano già i cadaveri dei garibaldini Vincenzo Pistone, Ermanno Gazzolo e Mario Cichero. Al garibaldino Gazzolo, perché parlasse, furono cavati i denti con le pinze da fabbro, ma nonostante la sofferenza non pronunciò una parola di delazione e si lasciò massacrare. Il Pistone subì la stessa sorte. Alla vista dei compagni morti, accortisi di essere portati nei pressi, Giacomo Ghersi, che era stato slegato dal fratello Luigi, incitava quest'ultimo a fuggire perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito, riuscì a mettersi in salvo. Gli altri prigionieri, ormai agli estremi per i tormenti subiti, non potevano tentare la fuga e vennero barbaramente trucidati. Dei loro cadaveri fu fatto scempio". 
Da un rapporto (documento Isrecim) del 17 maggio 1945 del comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione, inviato al comando del III° Battaglione in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
    
Il 24 gennaio 1945 i fascisti rastrellano la vallata di Montegrazie ed anche la zona di Terzorio dove purtroppo viene catturato il partigiano Renato Giusti (Baffino); sorpreso in un fienile (per causa di spie) dove solevano dormire dei partigiani è portato al comando tedesco di Santo Stefano al Mare (Villa Dea). Strada facendo è percosso duramente con il calcio del fucile. Gli viene intimato di rivelare il luogo dove si nascondono i suoi compagni altrimenti non avrebbe più visto la moglie e il figlio. Accompagnato per diversi giorni nelle località notoriamente consciute come frequantate dai partigiani non ottengono da lui nessuna informazione. Successivamente è trasferito a Sanremo (Villa Fiorentina) dove subisce ulteriori torture. Da quel momento non si è saputo più niente. Quando furono recuperate cinque salme irriconoscibili probabilmente tra queste c'era anche quella di "Baffino".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, p. 149
 
Le nostre azioni purtroppo al momento erano in forte ribasso. Sorprese fatali accadevano di continuo, triste bilancio che l'inverno esigeva. Anche Baffino [Renato Giusti], in transito per Terzorio, all'alba del famoso mattino [24 gennaio 1945] era stato catturato nell'operazione congiunta effettuata nei due paesi della valle; quasi irriconoscibile per le percosse e sevizie subite, era stato portato da militi repubblicani, seduto sopra una sedia, come un trofeo per le vie di Pompeiana, triste sfilata di un uomo giunto alla fine del suo percorso.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984
 
Il 27 gennaio 1945 venne fucilato anche Renato Giusti (Baffino), della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", partigiano che era stato catturato durante il rastrellamento di Terzorio (IM) avvenuto tre giorni prima. “Baffino” lavorava nell’organizzazione “Todt” di Porto Maurizio, da cui era riuscito a far fuggire diversi patrioti che si erano subito diretti in montagna; già scoperto ed incarcerato una volta, ma in seguito liberato dai garibaldini, era stato incorporato nelle formazioni della II^ Divisione “Felice Cascione”.  
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I