Dopo qualche giorno di permanenza nelia nuova base presso Marmoreo il Comando si accorse di non aver raggiunto la sicurezza cercata. Per la necessità di rifornirsi di viveri al vicino distaccamento di Domatore [Domenico Trincheri], per l'atteggiamento di Mancen [Massimo Gismondi] che conduceva in sede partigiani in ogni occasione, fu in breve noto a partigiani e borghesi che il Comando Brigata era nei dintorni di Marmoreo.
Trovare una nuova sistemazione non era semplice, sperammo così che la voce si diffondesse con una certa lentezza, che il nemico non ne venisse presto informato. Continuammo a lavorare nella stessa sede, solo verso l'alba, l'ora più pericolosa, vedevo che spesso Gigi si svegliava ed usciva: tra noi ed il nemico non c'era nessuna banda né alcuna sentinella. Gigi che, più anziano, aveva il sonno più leggero di noi e forse anche più giudizio, montava spontaneamente la guardia per i compagni che dormivano.
La nuova situazione venne esaminata a fondo da Giorgio, vicecomandante della Cascione [n.d.r.: a quella data la I^ Zona Operativa Liguria coincideva con la menzionata Divisione; la I^ Brigata "Silvano Belgrano", alla quale appartenevano molti dei partigiani qui citati dall'autore del diario - ed egli stesso - si sarebbe trasformata il 19 dicembre 1944 nella Divisione "Silvio Bonfante" con comandante Giorgio, Giorgio Olivero], che giunse a Casanova in quei giorni portando la circolare 23 del 24 novembre. Le disposizioni dei Comandi superiori erano precise: la meta non era più l'occupazione imminente della costa, con l'appoggio degli alleati avanzanti, bensì la sopravvivenza come movimento organizzato. Non più quindi aumentare il numero, l'armamento, la coesione dei reparti, ma conservare fino alla primavera un minimo di effettivi, di armni, di quadri intorno a cui ricostruire rapidamente le bande onde esser pronti quando, tornato il buon tempo, i giovani sarebbero riaccorsi sui monti. Era necessario superare i rastrellamenti, i disagi, resistere alla stanchezza, alla demoralizzazione. Era urgente adottare una nuova tattica, l'esperienza del passato inverno era stata tragica: le bande badogliane che avevano mantenuto fino a marzo l'organizzazione autunnale erano state disfatte: solo adottando nuovi metodi di guerriglia potevamo sperare di salvarci.
Il Comando doveva limitare ulteriormente gli effettivi e suddividersi in gruppi. Un gruppo: comandante e vicecomandante, commissario e vicecommissario doveva stabilirsi in una sede segreta appoggiandosi ad una famiglia sicura. Venivano eliminati cuoco e dattilografo. Due componenti del comando a turno avrebbero dovuto restare in sede, gli altri due avrebbero ispezionato i distaccamenti. In caso di rastrellamento ci si sarebbe uniti alla banda più vicina o ci si sarebbe organizzati in precedenza scavando un rifugio sotterraneo.
Altro gruppo sarebbe stato il S.I.M., che avrebbe dovuto spingersi il più possibile verso la costa. I due gruppi sarebbero stati collegali fra loro e con le bande per mezzo del recapito staffetta. L'amministratore [n.d.r.: nel caso della Brigata Belgrano l'autore del diario, "Magnesia"] sarebbe stato autonomo girando per i pagamenti per i paesi ed i distaccamenti, e fissando la sua base dove gli sarebbe parso meglio l'arrivo dei fondi e i contatti col C.L.N. sarebbero stati curali dal S.I.M.
Disposizioni analoghe erano state adottate dal Comando divisionale e dal comando zona, si riteneva quindi che fossero possibili.
Per quanto riguardava le bande era necessario ridurre gli effettivi. Tutti coloro che per la stanchezza e la demoralizzazione erano ormai un elemento disgregatore per le bande venissero pure congedati; era però opportuno non perdere definitivameme i contatti con questi elementi. Le disposizioni del Comando ci parvero poco chiare su questo punto. Si parlava di costituire squadre di riserva agli ordini di un comandante di valle, persona di valore, posata, già facente parte del movimento. Il garibaldino che lasciava la banda avrebbe consegnato l'arma al comandante di valle che ne avrebbe curato la custodia, indi avrebbe potuto tornare al proprio paese o impiegarsi presso qualche famiglia locale per il raccolto delle olive.
I commissari avrebbero dovuto mettersi in contatto con le giunte comunali, che si andavano organizzando, per sapere quanta mano d'opera avrebbe potuto assorbire ogni paese. Lo scopo di tutto ciò era che i partigiani che chiedevano il congedo non si sentissero abbandonati alla loro sorte e si trattenessero nella zona da noi controllata. In caso di bisogno un capobanda in transito avrebbe potuto rivolgersi al comandante di valle per ottenere la collaborazione degli ex partigiani presenti per un servizio di guardia o un appoggio armato. Per essere in grado di appoggiare i compagni che continuavano la lotta armata il garibaldino delle squadre di riserva, con l'eventuale collaborazione delle S.A.P. locali, avrebbe dovuto scavare un rifugio per sè e per i compagni delle bande armate, impratichirsi dei sentieri e del terreno onde poter guidare in caso di bisogno i compagni in missione.
Per coloro che restavano nelle bande a continuare la lotta armata era necessario ad ogni costo rialzare il tenore di vita, fornire vitto abbondante, vestiario e tabacco. Le bande armate avrebbero avuto il distintivo di reparti d'assalto mentre, per quelli passati alla riserva, i mesi di licenza sarebbero stati calcolati come mesi di appartenenza al movimento. Come si vede il progetto era ben studiato e la collaborazione dei partigiani di riserva nei paesi avrebbe potuto riuscirci preziosa come lo era stato l'appoggio che ci avevano fornito a Carnino Rico e gli altri ex partigiani di Umberto quando avevamo recuperato i feriti da Upega.
Se un difetto si può trovare a questo progetto era che difficilmente sarebbe stato possibile applicarlo integralmente. Vi sarebbe stata una inevitabile dispersione di coloro che lasciavano le bande armate e l'autonomia riacquistata li avrebbe portati a subire influenze diverse e maggiori dell'autorità del comandante di valle. La maggior parte dei congedati sarebbe stata inevitabilmente sottratta all'ambiente partigiano. Era poi necessario un tempo abbastanza lungo per prendere contatto con le giunte, scegliere i comandanti di valle, scavare i rifugi, provvedimenti che, quasi tutti, avrebbero dovuto precedere il congedo degli uomini.
In base alle notizie recate da Giorgio questo tempo pareva mancare: il concentramento di sempre nuove forze nemiche faceva prevedere l'inizio di un nuovo rastrellamento prima di Natale.
Dopo il rastrellamento, che avrebbe coinvlto tutta la nostra zona, il nemico avrebbe tentato di riaprire al traffico la Albenga-Pieve interrotta da noi in più di nove punti. I tedeschi avrebbero posto presidi in quasi tutti i paesi per requisire tutto il raccolto dell'olio, poiché la Liguria era ormai l'ultima regione occupata dalla Germania che producesse olio d'oliva.
Per evitare che il nemico conoscesse le nostre basi avremmo dovuto attaccarlo solo a distanza da esse ed occultarci evitando la lotta, se colonne nemiche fossero passate a breve distanza dalle nostre sedi. Nei giorni immediatamente prima del rastrellamento tutte le azioni avrebbero dovuto esser sospese.
C'era il pericolo che tali misure, interpretate oltre il loro significato letterale, inducessero ad astenersi comunque dalla lotta con conseguenze morali imprevedibili.
All'inizio del rastrellainento era previsto un ripiegamento generale oltre la carrozzabile Albenga-Garessio nel territorio della divisione di Savona.
Sarebbe stata una manovra molto difficile perché tutte le carrozzabili erano perpendicolari alla direzione di marcia, pure tornare oltre il Mongioie non sarebbe staro possibile per la neve ormai alta, né ritornare nella zona di Piaggia priva di risorse alimentari.
Era necessario che la riduzione degli effettivi e l'applicazione della organizzazione invernale precedessero l'attacco nemico.
Appena partito Giorgio le conseguenze delle nuove disposizioni furono chiare quasi subito. Mancen rifiutò in pratica di adottare la tattica cospirativa e comparve al Comando solo saltuariamente; non c'era quindi la possibilità di alternarsi. Il S.I.M. si trasferì a Poggio, a fondo valle sotto Casanova, sottraendosi così alla diretta influenza del comando. Abbandonati a loro stessi, i vari uffici, invece di riorganizzarsi, entrarono in una specie di letargo. Appena giunta la circolare i capibanda invitarono chi voleva ad andarsene immnediatamente.
A metà dicembre, giunse un contrordine: un supplemento alla circolare 23, ma in parte era tardi.
La circolare nuova rettificava ed in gran parte modificava radicalmente le disposizioni precedenti. Dallo stile e dallo spirito che l'animava era chiaramente opera di Simon.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 62-65