La zona del Col di Nava, comune di Pornassio (IM). Foto: Mauro Marchiani |
Giorgio (Giorgio I, poi Cis) Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri [Enrico Martini] e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto", come risulta da una sua memoria scritta (oggi documento IsrecIm, studiato da Giorgio Caudano). Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante".
L’ordine di catturare i ribelli era stato emanato dal colonnello Paolo
Ceschi “Rossi”, comandante locale che, con il suo attendismo, in pratica
manteneva l’ordine nella zona per conto dei nazifascisti. Basti pensare
che in quel periodo le caserme di Mondovì e Fossano, città controllate
da tedeschi e repubblicani, erano presidiate da uomini agli ordini di
Ceschi! Il colonnello aveva il controllo della zona Monregalese - Langhe
fin dal convegno di Val Casotto del 24 ottobre 1943 (cui, con tutta
probabilità, aveva preso parte anche l’avvocato Astengo, poche ore prima
di essere catturato), in cui la mentalità attendistica degli ufficiali
era stata aspramente criticata, fra gli altri, da un personaggio del
calibro di Duccio Galimberti, un monumento della Resistenza azionista.
[...]
Questa vicenda evidenziò una frattura mai del tutto ricomposta fra
resistenti “rossi” e “azzurri”. Inoltre, insieme alla crescente
impazienza dei partigiani “colpisti” decisi ad attuare una vera
guerriglia contro il nemico, fu la causa della sfiducia del CLN
regionale piemontese al generale Operti dell’ex Quarta Armata del
disciolto Regio Esercito, che ebbe tra le sue conseguenze la rimozione
dal comando del colonnello Ceschi, rimpiazzato dal maggiore Enrico
Martini “Mauri”.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000
I partigiani locali, allora al comando di Enzo Marchesi (col.
Musso) catturano alcune autorità fasciste il 20 dicembre 1943 in valle
Corsaglia (CN). Il 26 dicembre giunge a comandare il gruppo il
maggiore Enrico Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi,
con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale
capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano
rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e
non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i
tedeschi attaccarono in forze quasi tutti i partigiani
dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani
e furono trucidati.
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57
Aldo Romei (Roma) fu dapprima per circa tre mesi con Martinengo [Eraldo Hanau, comandante in seguito della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'], poi nel giugno, luglio e agosto 1944 con il capitano Umberto (Candido Benassi) e infine entrò nelle SAP sanremesi... Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
Mandammo tutti gli sbandati della 4^ Armata che transitavano nella
nostra zona, specialmente quelli che arrivavano da Albenga, a
Valcasotto. Vestivamo quei soldati con abiti civili e li accompagnavamo
in montagna, a Valcasotto dove si stavano organizzando le formazioni di
Mauri.
Il primo maggio del '44 successe una cosa curiosa. Di solito
in quella giornata venivo fermata, mi trattenevano a Mondovì oppure agli
arresti domiciliari; quell'anno un signore mi fece una soffiata che
giunto un ordine ai carabinieri di arrestarmi per una settimana.
Mi
nascosi e non mi feci prendere; poi lasciai trascorrere un po' di tempo e
scrissi al questore domandandogli perché avevano paura di una donna
piccola come me, tanto da ordinare di arrestarmi senza un motivo
preciso.
Le autorità misero in guardia i carabinieri, volevano sapere chi mi aveva fatto la soffiata.
Ricevetti l'ordine di recarmi immediatamente a Cuneo alla questura.
[...]
Dunque a Valcasotto c'erano le formazioni di Mauri; Bogliolo e Gaietto
lavoravano con altri piccoli gruppi. Le brigate Garibaldine vennero una
volta, in occasione della battaglia del S. Bernardo (ne parla anche
Mario Giovana nel suo libro “I Garibaldini delle Langhe”).
Una volta
rischiai la vita. C'era un compagno, si chiamava Dino; lo volli
conoscere perché venni a sapere che aveva dipinto falce e martello sul
vessillo del suo gruppo di partigiani. Aveva abbandonato le formazioni
di Mauri ed organizzato un gruppo di quindici uomini. A Mauri la cosa
non piacque perché voleva mantenere il controllo dell'intero territorio,
quindi si giunse ad uno scontro.
Salii una notte a Valcasotto con un
membro del C.N.L. Per parlare con Mauri e far terminare queste lotte
intestine, ma fu inutile.
Dopo qualche giorno ero in casa quando
sentii che stava accadendo qualcosa sul crocevia, c'era la mitraglia
piazzata. Mi precipitai pensando che volessero uccidere Dino e i suoi
uomini. Avevano preso Dino e tre dei suoi. Era presente Bogliolo, tentai
di farlo ragionare, ma l'unica risposta che ottenni fu uno schiaffo che
mi spostò la mandibola.
Volli parlare con Mauri.
Partimmo per
Bagnasco; mentre aspettavamo udimmo una raffica: avevano ucciso un
partigiano di Ceva. Bava, che venne nella nostra zona dopo l'incendio di
Boves, si trovava quel giorno a Bagnasco e venne a sapere che mi
avevano preso - ormai ero nelle loro mani - così fece arrestare il gen.
Paolini e il console Gobbi e disse a Bogliolo che se mi fosse successo
qualcosa ne avrebbero pagato loro le conseguenze.
Mauri non era a
Bagnasco, così partimmo per le Langhe, dopo aver saputo che la
situazione a Garessio era di massima tensione. Durante il tragitto
fermarono il camion su cui viaggiavano Dino e i suoi e li uccisero. A
Rocca Cigliè c'era il comando generale di Mauri. Mi fecero entrare nella
torre e alla mia richiesta di avere qualcosa da mangiare, perché ero
ancora a digiuno, mi risposero che chi era passato di là non aveva più
né mangiato né bevuto. C'era prigioniero con me un tenente d'aviazione,
che avendo saputo che ero comunista volle sapere cosa fosse il
comunismo, perché non ne sapeva nulla. Sul momento, a pancia vuota, dopo
aver visto fucilare quattro persone e con la prospettiva di essere
fucilata io stessa, gli dissi semplicemente che per me il comunismo era
lottare per la libertà.
La prima reazione nel rivedere Mauri fu il
pianto; mi sentivo tradita dalle stesse persone che avevamo aiutato;
molte donne a Garessio lavoravano a fare le calze che poi inviavano,
insieme al tabacco, su in montagna ai partigiani.
Non riuscivo veramente a capire quelle lotte intestine.
Alla
fine Mauri mi mandò in cucina a mangiare qualcosa, ma io non riuscivo a
deglutire nulla, un po' per lo spavento, un po' per la mandibola ancora
dolorante. Raccontai al cuoco ciò che era successo in Alta Val Tanaro,
ed egli si schierò dalla mia parte. Mauri mi accompagnò poi in albergo e
mi mise due piantoni alla porta perché non scappassi. Il giorno
successivo mi accompagnò con l'auto fino al forte di Ceva. Oltre non si
poté proseguire perché Ceva era occupata dai tedeschi. Di lì dovetti
proseguire da sola; Mauri mi diede i soldi per il treno perché non avevo
preso nulla quando ero uscita di corsa da casa.
A Garessio mi
aspettavano due partigiani per accompagnarmi dal comando che si trovava
ad Ormea. Andammo su con la locomotiva del treno, perché non c'era altro
mezzo di trasporto, ed anche dal Partito arrivò l'ordine che non mi
esponessi più così.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995
La notizia che “Turbine” faceva disarmare gli sbandati e che si era
approvvigionato di viveri a Viozene si era diffusa e, passando di bocca
in bocca, si era naturalmente deformata. Al Comando badogliano fu detto
che gruppi badogliani erano stati disarmati da noi, che un deposito di
viveri di “Martinengo” era stato saccheggiato. “Martinengo, che già ci
riteneva degli intrusi nella zona, inviò un forte nucleo dei suoi contro
le squadre di “Gapon” e di “Stalin”: i garibaldini dovevano essere
disarmati. La mattina del 10 [luglio 1944] quelli della “Matteotti”, che
si erano fermati a Nava tutto il giorno 9, erano seduti sulle panchine
dell'albergo, dove in quei giorni avevano mangiato, quando videro un
gruppo di badogliani armati che passava davanti a loro, mentre un altro,
fermatosi sullo stradone un po' prima, piazzava una mitragliatrice. I
garibaldini guardavano meravigliati ed incuriositi la manovra strana. Il
gruppo che era passato loro davanti si ferma in fondo alla strada ed
apposta anch'esso le sue armi, poi un ufficiale viene verso l'albergo:
'Ho l'ordine del mio comando di disarmarvi, ci risulta che avete tolto
le armi a dei nostri uomini. E' inutile che tentiate di resistere, la
strada è sbarrata e siete tra due fuochi'. Effettivamente la 28, che
passava fra le case, era bloccata. Alle spalle dell'albergo c'era il
Tanaro. “Stalin” [Franco Bianchi] sorrise ironico: 'Queste armi non sono vostre ed io ho
dal mio comando l'ordine di non cederle. Se la strada è sbarrata
entreremo nell'albergo e spareremo dalle finestre'. La mattina del 10
scendevo lungo la 28 da Case di Nava [comune di Pornassio (IM)] verso Ponti quando vidi un
badogliano che saliva in bicicletta. Lo chiamai: 'Dani, c'è qualcosa di
nuovo che mi sembri arrabbiato?' L'aspetto di Dani mi impensieriva. Il
badogliano si fermò, parlò senza scendere: 'Ci hanno mandato a Ponti a
disarmare i vostri. Non abbiamo potuto rifiutare. ma siamo andati con le
armi scariche, non vogliamo sparare sulla Stella Rossa. Ora vado al
Comando a vedere cosa dobbiamo fare perché i vostri non si vogliono
arrendere. Se al Comando insistono pianto tutto e me ne vado. Non sono
venuto sui monti per sparare sui compagni. Se vedi i tuoi, di' loro che
non sparino, se ci ammazziamo tra di noi è finita. Di' ai tuoi che i
miei compagni hanno le armi scariche'. Il buon senso degli uomini evitò
il peggio. I garibaldini non vollero sparare per primi, gli altri non
potevano farlo. Da Viozene venne giù “Turbine” e “Martinengo” arrivò in
moto; intervennero altri comandi, si discusse a lungo mentre gli uomini
delle due formazioni si univano ed i badogliani mostravano i caricatori
vuoti. Cosa si dissero i comandanti? Non lo sapemmo. Come conclusione la
“Matteotti” rientrò in serata a Viozene con l'ordine di partire appena
possibile per San Bernardo di Garessio.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979
Il secondo caso è più eclatante: quando nei primi giorni di agosto 1944
Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di
Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un
esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a
Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che
probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento”
attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un
piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie
di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di
Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si
trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo
per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni
partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la
Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio
delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri” [101].
Con
quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto
[102], abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda
alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non
possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia
intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i
comunisti e poi Mauri”.
Probabilmente, da comandante abile e astuto
quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione
ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante
il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara
falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là
di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue
formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante
la sua breve assenza, non poté non influire sulla sua decisione di
continuare la lotta nel movimento di Liberazione.
[NOTE]
[101]
BAB, R 70 Italien/3, p. 2a s. Il testo originale è: "Bandenführer Mauri
festgenommen bei SD Cuneo. Wiesner z.Zt. in Cuneo [...] betr.
Verhandlungen [...] Mauri zurück. Regelung: keine Angriffe auf Wm.
Hinweise auf Kommunengruppen [sic]. Bekämpfung u. Nachsicherung von
K[ommunistische]P[artei]-Räumen; erst K[ommunistische]P[artei], dann
Mauri“ (la punteggiatura e le integrazioni sono mie).
[102] Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Bologna, Cappelli, 1988.
Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia, 1943-1945 in Aa.Vv., (a cura di) Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010
[...] nella seconda metà di luglio, “Mauri” crea il Comando del 1° settore cuneese e delle Langhe, che comprende due divisioni alpine: la I, valli di Peveragno, Pesio, Ellero, Miroglio, Corsaglia; la II, Casotto, Mongia, Tanaro; e una divisione Langhe. Sotto questo comando non risultano esserci formazioni di partito, che vengono quindi escluse da questa zona, a meno che formazioni politiche che intendano operare in queste zone non si sottopongano come le altre al Comando del 1° settore. Il comando dichiara la sua esclusiva dipendenza dal CLN, e si specifica il carattere militare delle divisioni Alpine che fanno capo al Comando. All'interno di questo comando di settore, “Mauri” crea un ulteriore organismo, il comando del 1° GDA, composto inizialmente da circa tredici distaccamenti.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013
Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di
sole (con noi c'era anche Rustida [Costante Brando] che coi suoi ci
aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza
nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo.
[...] Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi].
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose.
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il
Comitato Liberazione Nazionale di Garessio (CN) e quello di Ormea (CN) avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina
Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val
d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di
combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non
intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo
Badogliani, come loro ci chiamavano Stelle Rosse).
Tradotto in
pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano
grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto
probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la
formazione di una Brigata garibaldina.
E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [n.d.r.: in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi,
tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa
della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era
allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [in
provincia di Imperia].
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 , p. 166
10 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" all'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria] - Comunicazione circa la presunta cattura del comandante Mauri [n.d.r.: probabile riferimento, fatto, dati i tempi, in netto ritardo, all'arresto di Mauri da parte dei tedeschi avvenuto ai primi dell'agosto precedente nelle Langhe; sul ritorno in libertà del comandante badogliano esistono due versioni: fuga rocambolesca (memorie di Mauri stesso, riprese anche con questo articolo pochi mesi or sono da Patria Indipendente, rivista dell'ANPI) e trattativa con i teutonici con conseguente rilascio (come in Carlo Gentile, non solo in I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi, 2015, ma anche in vedere infra] "... giurata da Mauri una lotta feroce contro fascisti e garibaldini..."
16 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Comunicava che ... 'in Val Tanaro i bandi di reclutamento di "Mauri" rimanevano inascoltati'.
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
Aosta 3° corso, 1° dicembre 1941, alla Testafochi con il cap. Rasero ed il ten. Scagno (di essi serbo un ricordo meraviglioso!). Campo invernale ad Oropa. Sergente a Merano, Maja Bassa, con il col Martinoja ed il ten. Formato (poi caduto in Russia). Campo a Solda, rientro a Merano, quindi a Bassano. A fine giugno, per me fine del corso: appendicite, operato ad Alessandria, un mese di convalescenza ed eccomi al 3° Alpini a Pinerolo dove rimasi all’addestramento reclute fino al drammatico 8 settembre 1943.
- Armistizio! Il Maresciallo Badoglio l’ha chiesto, il generale Eisenhower lo ha concesso: ma noi? Che siamo adesso noi, lasciati senza ordini? Che cosa siamo per i tedeschi ed i fascisti, che di ordini precisi sono ben forniti?
A queste domandine non proprio leggere risposi prendendo il treno delle 4.40 per Torino Lingotto - Ceva - Ormea e così, proseguendo sempre per vie secondarie a piedi e in bicicletta, arrivai a casa il 10.
Contattai un amico, che sapevo antifascista e Guardiamarina alla Capitaneria di Porto ad Imperia. Risposta: - Qui non è rimasto nessuno, ma le armi sì.
Lo raggiunsi con un furgoncino Balilla, presi moschetti, pistole, una mitragliatrice Breda con relative munizioni e portai il tutto in casa di amici in un paesetto della vallata. Questa fu la seconda risposta alle domandine di cui sopra.
Il 18 settembre uscì il bando di presentazione.
Carlo Verda (poi “Lucio”), sottotenente appena uscito da Bassano, altri due amici nelle mie condizioni ed io, zaini pieni di generi alimentari, prendemmo la via dei monti e ci sistemammo in un casolare. Ben presto la zona si riempì di “renitenti”, subito pressati da comunisti che li volevano “arruolare”. Io raggiunsi gli amici presso i quali avevo nascosto le armi e organizzammo un paio di bande (questo era il termine) di 25 uomini ciascuna raccogliendo i giovani che non intendevano unirsi ai Garibaldini.
A marzo [1944], constatando che la convivenza con le formazioni comuniste era difficile, cercai contatti con formazioni del basso Piemonte e là mi trasferii, alla V Div. Alpina, Brg Val Tanaro; era comandata dal “capitano Martinengo” (al secolo Eraldo Hanau) che dipendeva dal maggiore Enrico Martini “Mauri”, comandante di tutte le formazioni che operavano nelle Langhe.
Ebbi il comando di una “squadra” di 40 uomini. La valle che solitamente occupavamo era l’alta Val Tanaro, ma a volte, per sfuggire ai rastrellamenti, passavamo nelle contigue Val Casotto o Val d’Inferno. Il comando tedesco era al Grand Hotel Miramonti di Garessio, quindi le nostre azioni di disturbo e contrasto avvenivano sulla S.S. 28, che collega la provincia di Imperia con quella di Cuneo.
Un giorno mi venne consegnato un foglio:
ESERCITO ITALIANO NAZIONALE DI LIBERAZIONE
V Divisione alpina
XXX, 24.11.1944
Siamo autorizzati dalle competenti autorità militari a venire incontro alle richieste a suo tempo avanzate dai rappresentanti della provincia di Imperia.
Pertanto deleghiamo il Sig. Carli Carlo a concludere in forma definitiva, e quali saranno nella veste del C.L.N. gli esponenti delle masse rappresentate.
In forza di tale autorizzazione riconosciuta verranno appoggiati dalle Forze Armate dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Il Comandante della V Div. Alpina
Cap.. Martinengo
Il Rappresentante Militare
dell’Esercito It.Naz. di Liberazione
Dott. Sismondi
Lessi e rilessi. La località XXX era Viozene in Val Tanaro; il Dott. Sismondi era l’Ammiraglio Marenco di Moriondo, e fin qui ci arrivavo, ma il resto non brillava per chiarezza. Il cap. Martinengo mi spiegò che i tempi erano quelli, che la prudenza non era mai troppa e che, in sostanza, dovevo prendere contatti con il C.L.N. di Imperia al fine di costituire la Brigata Liguria dell’Esercito Italiano Nazionale di Liberazione.
Tale costituzione non avvenne: tutti i giovani erano “occupati”, o con i partigiani, o con i fascisti, o con la Todt, oppure “occupavano” qualche compiacente cantina. Sì, i tempi erano quelli.
A metà gennaio tornai al mio reparto, che un rastrellamento aveva fatto spostare in Val Casotto. Il 25 aprile, ultimo scontro con fascisti e tedeschi a Garessio, poi la Liberazione.
Partigiano Combattente. Croce al Merito di Guerra. Laureato in scienze economiche e commerciali, ora sono Presidente della Fratelli Carli, con sede ad Oneglia. Cominciai la ricostruzione dello stabilimento, distrutto dalla guerra, con i soli mezzi di famiglia, nel 1945, terminando nel 1950. L’azienda, fondata da mio padre nel 1911, era rimasta inattiva per otto anni ed io subito riavviai la produzione industriale puntando sull’alta qualità del prodotto e sulla vendita per corrispondenza. Ora, lasciatemelo dire, serviamo a domicilio con mezzi nostri settecentomila clienti. Dal 2002 l’azienda ha un prestigioso “Museo dell’Olivo”, ricco di storia e di preziosi cimeli archeologici, visitatissimo.
Sono Membro dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, Cavaliere del Lavoro e Ragazzo di Aosta ’41, tessera n° 397. [...]
Redazione, A -Z, Ragazzi di Aosta ’41