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mercoledì 28 giugno 2023

All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio

La zona del Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato.
Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchio di Albino Biga della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò".
Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero.
Il S.I.M. li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, pochi mesi dopo comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamento.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrici.
I soldati tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borganzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo, lasciando lunghe strisce bianche. Il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto 1944 alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio. Il piano del Comando tedesco prevedeva azioni su un territorio molto ampio. Infatti i contingenti militari partirono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I^ Zona Liguria.
Perciò il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione.
I tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al Colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco.
Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti.
La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco.
La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco.
La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procede lentamente e in maniera molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I^ Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (Frazione di Pieve di Teco in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, con la messa in salvo dei partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto Silvio Bonfante (Cion) attacca i tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” [n.d.r.: Luigi Massabò, in seguito vice comandante della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza alla carrozzabile Pieve di Teco-Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)]. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. 
Oltre al Comando della I^ Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo” [Renzo Merlino], “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore” [Domenico Trincheri]. All'alba del 10 di agosto 1944 i tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio.
La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I^ Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno [Frazione di Pieve di Teco (IM)]; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari [Vessalico (IM)] e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi fu tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi, che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica.
I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunse a Case di Nava [Pornassio (IM)] con altri distaccamenti, attaccò decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperse e riuscì in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento.
La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò.
Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)], mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaira.
Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento, ma poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano).
I tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11, anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna.
Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico. I distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia.
Il partigiano, ora, sa occultare il materiale, salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte, ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

lunedì 19 giugno 2023

Quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili

Testico (SV). Fonte: Mapio.net

Mentre oltre la "28" si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale. Se a nord della Val Lerrone la zona pareva priva di partigiani ed i Comandi brigata con gli uomini rimasti continuavano la vita clandestina, nella Val d'Andora il Comando brigata era tornato all'aperto e si era installato a San Gregorio, dove arrivavano staffette e borghesi. L'avere di nuovo un punto di riferimento, un Comando di brigata efficiente, rialzava il morale di tutti, facilitava la ripresa. Pur essendo rimasti in pochi in attesa di quei del lancio, la fiducia che tra poco sarebbero stati più forti ricreava nella Val d'Andora un ambiente che da mesi era scomparso. Anche nei contadini, nei civili la fiducia tornava ed i partigiani erano di nuovo chiamati patrioti.
La polizia della I Brigata non si limitava a compiti militari: un vecchio con un sacco di maglioni e pantaloni bagnati venne arrestato ed interrogato. Affermò di essere caduto in acqua nella zona del Pizzo d'Evigno, mentre in tutta quella zona non c'era che una misera fontanella. Affermò di conoscere "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], ma non lo riconobbe mentre era proprio interrogato da lui. "Mancen" lo ritenne colpevole e, prima di partire per la zona del lancio, lasciò l'ordine di fucilarlo. "Federico" [Federico Sibilla, commissario della I^ Brigata] fece condurre il prigioniero a Stellanello e lo lasciò legato sulla piazza con la refurtiva ai piedi: se qualcuno avesse riconosciuto come sua la roba l'avrebbe potuta ritirare e noi avremmo fucilato il vecchio come ladro. Nessuno, nemmeno dopo qualche giorno, si presentò a rivendicare il suo. Invitammo i parroci dei paesi vicini ad avvertire i fedeli: nemmeno così ottenemmo nulla; allora il vecchio venne liberato e gli indumenti distribuiti ai partigiani. Il furto era stato consumato a Degna dove gli indumenti, lavati, erano stesi ad asciugare. Solo per caso ne venni informato ed avvertii io gli interessati che il ladro era stato trovato e ormai rilasciato. Qualche maglione lo restituii io, per gli altri i borghesi preferirono rinunciare piuttosto che sobbarcarsi qualche ora di marcia fino a San Gregorio. L'opinione pubblica cominciò a poco a poco a considerarci non più come esseri braccati e fuggiaschi, ma come una realtà organizzata ed efficiente.
Il Comando della Bonfante rientrò a Poggiobottaro il 9 aprile 1945. le varie squadre raggiunsero le rispettive bande portando il prezioso materiale del lancio e la notizia del pieno successo.
Il morale migliorò ancora; se il Comando divisionale continuava la tattica clandestina, facendo anzi costruire a Poggiobottaro un rifugio sotterraneo per la missione alleata e gli apparecchi radio trasmittenti, il cui arrivo si annunciava imminente, le bande invece ritornavano quasi ovunque  al vecchio inquadramento estivo. Venivano ripresi i pattugliamenti ed i servizi di guardia, le squadre tornavano a riunirsi, le nuove reclute continuavano ad affluire, si riprendeva la tattica dell'offensiva ad oltranza.
Col miglioramento del morale i partigiani acquistavano una maggior sicurezza, le montagne a poco a poco tornavano verdi.
"Vedi quei cespugli, quelle foglie che spuntano" mi diceva Mala una sera a Ranzo, "quella è per me la miglior propaganda. Non sono le notizie radio o le avanzate americane ad alzarmi il morale, è la primavera, sono le foglie che non tradiscono mai".
Ed infatti arbusti e cespugli offrivano mille rifugi lungo mulattiere e sentieri; le staffette tornavano a circolare, sicure che vaste zone interne erano di nuovo sotto il nostro controllo. Non è ormai lontano il giorno in cui, bloccati gli accessi delle principali vallate, appoggiate le bande l'una all'altra potremo avere uno schieramento organico come ai tempi di Rezzo e Piaggia senza la tensione e la precarietà degli schieramenti realizzati per difendere i lanci. L'intenzione di attaccare le colonne nemiche che si avventurassero nella nostra zona torna a manifestarsi. Operando congiuntamente con varie bande avremmo potuto infliggere al nemico duri colpi, obbligarlo per l'avvenire a rinunciare alle puntate per noi micidiali, obbligarlo a tornare ad operare con colonne numerose e pesantemente armate che, operando sulle carrozzabili, mancavano del fattore sorpresa e e potevano minacciarci solo saltuariamente.
Le maggiori cure del Comando divisionale vennero rivolte alla I Brigata mentre le altre subivano un rimaneggiamento dei quadri, entrando cosi in una nuova crisi di assestamento.
La I con le cinque bande schierate nella Val d'Andora era destinata ad un compito di primo piano essendo la più vicina alla costa. Il morale più alto, l'armamento ed il comando migliore facevano inoltre sperare al comando divisionale di avere un valido appoggio nel caso che il nemico attaccasse Poggiobottaro.
Dopo il lancio le bande della I estesero la zona occupata includendovi le valli di Cervo e di Diano. Il plastico esplosivo avuto col lancio venne provato da "Stalin" [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sul ponte di Chiappa la cui distruzione avrebbe reso più lento un eventuale attacco nemico.
Il 10 aprile due partigiani in missione a S. Bartolomeo del Cervo affrontano due tedeschi in una abitazione privata nel tentativo di disarmarli. Il sopraggiungere di rinforzi obbliga i due garibaldini alla fuga; per potersi sganciare fanno fuoco sul nemico ferendo un tedesco ed uccidendo l'altro. Otto ostaggi borghesi catturati poco dopo vengono fucilati per rappresaglia. Un tentativo partigiano di liberare i prigionieri viene impedito dalla popolazione che teme nuove ritorsioni. Il giorno dopo il nemico passa al contrattacco: colonne tedesche salgono dal mare verso Tovo e Villa Faraldi. I partigiani del "Garbagnati", che erano attestati alle Fontanelle sopra Villa Faraldi, ripiegano in cresta apprestandosi a sostenere l'urto avversario.
I tedeschi da Villa puntano sulle Fontanelle, incendiano il casone, poi avanzano verso la cima venendo a trovarsi sotto il fuoco intenso dei nostri. La lotta è accanita e lunga: i tedeschi dal basso devono avanzare allo scoperto, in salita. I primi tentativi costano loro perdite sanguinose, poi fanno entrare in azione i mortai. I colpi cadono ritmici sulla cresta e sull'altro versante, il "Garbagnati" sotto la nuova minaccia ripiega.
Dalla Valle d'Andora frattanto il "Piacentini" [altro distaccamento della I^ Brigata] è partito in aiuto ai compagni. Non era conforme alle tradizioni della guerriglia accorrere dove il nemico attaccava, pure dopo tanti mesi una banda si è mossa in direzione degli spari: "Simon" [n.d.r.. Carlo Farini, già ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, alla data corrente aveva già assunto un incarico clandestino regionale] ne sarebbe stato contento.
La manovra non è coordinata e pertanto è destinata all'insuccesso: i tedeschi ormai occupano la cresta, il "Garbagnati" ripiega per un'altra via e non incontra i rinforzi che salgono.
Le nuove reclute partigiane hanno il battesimo del fuoco in condizioni di assoluta inferiorità e devono sganciarsi rapidamente. Poco dopo anche i tedeschi ripiegano.
Da parte nostra uno solo manca all'appello: Antonio, il tedesco che era nel "Garbagnati". Diamo poca importanza alla cosa che invece avrà dopo pochi giorni conseguenze tragiche. Ignoriamo l'ammontare delle perdite nemiche.
Lo scontro del giorno 11 ha dato ai partigiani la misura della loro forza. Siamo ormai effettivamente forti abbastanza per poter affrontare e bloccare per qualche tempo il nemico sul nostro terreno.
Il morale migliora ancora dopo lo scontro, torna la fiducia ed il desiderio di misurarsi coi tedeschi anche in forti nuclei: potremo di nuovo contendere al nemico la terra che torna nostra.
Cacciato dalle Fontanelle bruciate, il "Garbagnati" si trasferisce a S. Damiano presso il M. Agnese di nuova formazione. Stalin persiste a non voler presidiare Tèstico, tranne questo punto però tutta la Val d'Andora è sotto il controllo partigiano cosicché anche il Comando divisionale si sposta a S. Gregorio assieme al Comando brigata. Giungendo dalla Val Lerrone o dal mare in Val d'Andora par di essere tornati ai tempi di Rezzo o di Piaggia.
Nelle altre vallate però il nemico mantiene ancora l'iniziativa. Il 13 una colonna fascista e tedesca piomba di notte a Ranzo e a Borghetto, preleva il segretario comunale sospetto di aver aiutato i ribelli e, dopo un rapido interrogatorio accompagnato da percosse, esasperati dai continui dinieghi, lo uccidomo gettando il suo corpo nel fiume.
La moglie dell'intendente Firminio, pur essa ricercata, riesce a stento a salvarsi.
Il 15 i tedeschi tentano un colpo che può riuscire grandioso: l'attacco alla sede del Comando Divisionale che la sera del 14 è rientrato a Poggiobottaro.
"Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione Bonfante], io ed uno del C.L.N. la notte tra il 14 ed il 15 dormiamo nel nuovo rifugio. Pensiamo che Tèstico è sempre sgombero e Poggiobottaro è fuori dalla zona controllata dalla I Brigata, gli altri, fiduciosi nella vicinanza delle bande di S. Damiano, si fermano in sede. A Ginestro il recapito staffette, che dopo il rastrellamento del 21 marzo, funziona saltuariamente ed è spesso assente, non è in grado di dare l'allarme.
Alle 8,30 del 15 aprile i tedeschi, occupata Ginestro, spingono colonne su Tèstico e Poggiobottaro. Raffiche di mitraglia improvvise e vicinissime destano "Giorgio" [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione Bonfante] e "Pantera" [Luigi Massabò, comandante della Divisione Bonfante] che che sono ancora a letto. La sede del Comando è in una casa alla periferia del paese, in pochi istanti i due comandanti, seguiti da qualcuno del S.I.M., sono all'aperto, ma il nemico li scorge e fa fuoco su di loro. Correndo tra ulivi e cespugli, salvandosi con balzi improvvisi, "Giorgio" e "Livio" [Ugo Vitali, responsabile SIM della Divisione Bonfante] passano tra le pallottole nemiche. Pantera, ripetendo il gesto di Ginestro, cammina in piedi mormorando preghiere mentre la mitraglia nemica cerca inovano di colpire quel bersaglio visibilissimo.
Quando i nostri sono ormai fuori tiro i tedeschi, che già hanno preso ostaggi a Ginestro, catturano qualche uomo a Poggiobottaro, poi si spingono su Tèstico mitragliando la piazza della chiesa per impedire ai civili che stanno uscendo da Messa, di mettersi in salvo.
Occupato il paese fu visto Antonio, il tedesco, che era stato col "Garbagnati", guidare i compagni casa per casa facendo arrestare le famiglie che, per suo invito, avevano prestato aiuto ai partigiani malati e feriti. La caccia all'uomo è brevisima: i tedeschi temono la reazione partigiana.
"Tenete duro se vi attaccano" -  aveva promesso a "Giorgio" "Mancen" - "vi dò la mia parola che verrò con i miei uomini". "Giorgio" dalla cresta dove è appostato sente con emozione le raffiche di mitraglia di quelli della I Brigata, Mancen  non aveva promesso  invano.
Quando alla testa del "Garbagnati" "Mancen" entra correndo in Tèstico i tedeschi hanno già sgomberato il paese portandosi dietro una trentina di ostaggi. I garibaldini continuano l'inseguimento: il nemico pagherà cara l'incursione. Agganciati sulla via di Ginestro dalle mitraglie partigiane i tedeschi in ritirata si coprono con gli ostaggi. Nel trambusto un prigioniero riesce a fuggire, ma i tedeschi raggiungono il loro scopo: Mancen deve sospendere il fuoco permettendo ai tedeschi di ripiegare al sicuro verso Cesio.
Prima di lasciare la Val Lerrone, quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili: una lunga raffica di mitraglia ed i trenta civili cadono uno sull'altro fulminati venti metri sotto la strada mentre si avviavano verso casa.
Il colpo di Tèstico rivelò gli errori partigiani e la gravità della situazione nemica. Se da parte nostra senza perdite eravamo riusciti a porre in fuga per la prima volta dopo mesi un forte nucleo nemico penetrato nel nostro territorio, dobbiamo riconoscere che il massacro degli ostaggi, di quelli ostaggi, è imputabile, almeno indirettamente ai due errori di Stalin. Il primo era l'aver rifiutato di fucilare il disertore tedesco come era costume partigiano di fare, concedendogli anche la libertà di osservare e fuggire. Il secondo era stato il rifiuto di occupare Tèstico che aveva dato al nemico il tempo e la possibilità di conoscere e colpire quanti ci avevano appoggiato.
E' difficile però giudicare se Stalin avrebbe potuto resistere, tenere Tèstico per il tempo necessario all'arrivo dei rinforzi e se, nel caso avesse dovuto sgomberare il paese sotto l'attacco nemico, Tèstico sarebbe stato incendiato e distrutto. E' però ragionevole supporre che il "Garbagnati" avrebbe potuto tenere.
Quale era stato l'obiettivo dell'azione nemica? Sapevano i tedeschi che il Comando partigiano era a Poggiobottaro? Le notizie che ci aveva mandato il comandante delle Brigate Nere di Alassio ci portano ad escluderlo. Ad Alassio si sapeva che forti nuclei partigiani della Brigata "A. Viani" operavano in quel di Stellanello, che un altro gruppo comandato dal tubercolotico Boris unito a bande dell'ebreo Martinengo operava in quel di Alto. "A. Viani" era il nome della banda di Russo mentre "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Bonfante], un giorno che aveva la tosse, aveva detto scherzando nella trattoria di Nasino che gli restavano pochi mesi di vita. Evidentemente qualcuno aveva udito e riferito. D'esistenza di un Comando importante a Poggiobottaro pareva quindi che il nemico non fosse informato. Era stato prudente basarsi su questa informazione isolata e regolare su tale fiducia la tattica del comando?
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 232-239 

All’alba di domenica 15 aprile 1945 (la seconda dopo la Pasqua) due colonne tedesche muovono da Cesio e da Vellego verso il piccolo centro abitato di Ginestro, frazione di Testico, ove giungono alle sette del mattino per dare inizio al rastrellamento. I militari catturano una ventina di civili, uomini e donne sorpresi nelle loro case, e li legano con corde. Poi, proseguendo la marcia, uccidono senza apparente ragione un contadino al lavoro. Alle 8.00, arrivati nei pressi della chiesa, irrompono nell’edificio, catturano altre persone e pongono tutti gli ostaggi lungo un muro sotto la sorveglianza di un soldato. Il resto della truppa, in parte, prosegue con il rastrellamento che porterà alla cattura di altri ostaggi; in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Intorno alle 9.00 un gruppo di partigiani, dalla vicina frazione di Santa Maria di Stellanello, spara sui tedeschi permettendo a 3 degli ostaggi di fuggire. In risposta, i tedeschi tornano verso la chiesa, si appostano presso l'osteria del paese e catturano altri 3 contadini di Torria. Infine, la colonna riparte con i prigionieri al seguito. Durante la marcia, si arresta presso la frazione Zerbini per catturare altri ostaggi. L'ultima tappa è Costa Binella ove avviene la selezione dei progionieri. Vengono rilasciati 3 giovani di Ginestro, 4 donne e 4 ragazze. Queste ultime verranno poi condotte al carcere di Imperia, sottoposte a interrogatori e paestaggi e rilasciate almeno una dozzina di giorni dopo. Restano in mano ai tedeschi 27 persone: 25 uomini e 2 donne che vengono separate dagli altri prigionieri, seviziate e uccise a colpi di baionetta. I 25 uomini, legati 2 a 2 col fil di ferro, sono falciati a colpi di mitragliatrice. Dopo il massacro, i corpi risultano irriconoscibili. Nel pomeriggio della domenica e nel giorno successivo, quando i compaesani raggiungono Costa Binella per cercare di identificare le vittime, per riconoscerle devono ricorrere al loro abbigliamento (Armando Zerbone e Leonardo Arduino ricordano di aver riconosciuto i rispettivi padri “solo dalle scarpe”).
Chiara Dogliotti e Giosiana Carrara, Episodio di Testico 15.04.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

martedì 14 marzo 2023

La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani

Colle di Nava: il Forte Centrale. Fonte: Alpi del Mediterraneo

Altro avvenimento degno di nota fu la battaglia di Garessio che si svolse tra il 25 e il 27 febbraio. La cittadina piemontese era stata occupata dai nazisti al fine di compiere severi rastrellamenti, per cui i partigiani tentarono di respingerli nel corso di combattimenti assai sanguinosi, nei quali perse la vita un altro esponente di rilievo del movimento di liberazione: Sergio Sabatini. La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani, che dovettero anche subire, nei giorni immediatamente successivi, un pesante rastrellamento che chiuse questo periodo di scontri sostanzialmente a favore dei nazifascisti per quanto i partigiani avessero combattuto con estrema energia.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012

Olivio Fiorenza.
Nato a Pornassio (IM) il 15 marzo 1924, contadino. Si aggrega con alcuni partigiani di Albenga e dintorni al 3^ distaccamento della Colla di Casotto nelle squadre di Trappa e Valdinferno. Il giorno 10 marzo 1944, “Martinengo” [Eraldo Hanau] delle Formazioni “Mauri”, con gruppi di badogliani fatti affluire da Garessio, unitamente a partigiani di Ormea disarma il presidio dei carabinieri di tale località. Il giorno successivo gruppi di badogliani e gruppi di resistenti del posto, non ancora collegati ad alcuna organizzazione, combattono nella zona di Pornassio contro i tedeschi che vengono respinti ai Forti di Nava (nota 5). Nel corso del combattimento cade Fiorenza Olivio.
Da “Storia partigiana della 13^ Brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo - Testimonianza dell’autore: “L’uomo che stava alla mia sinistra, un giovanissimo ligure giunto al mattino e che ancora era in borghese (Olivio Fiorenza) ha il cranio attraversato da un colpo e cade bocconi sull’arma, versando fiotti di sangue e grida ancora “Viva l’Italia”.
Ad Olivio Fiorenza è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
(nota 5) FORTI di NAVA
Il 9 marzo 1944, data la grande necessità di armi, venne effettuato da una trentina di volontari, capitanati dal tenente Renzo Merlino un assalto alla caserma dei carabinieri di Pieve di Teco. Dopo uno scontro a fuoco, breve, ma intenso, il presidio si arrese consegnando armi e munizioni; ipotizzando, però, una reazione nemica, i partigiani si trasferirono da Ormea ai Forti di Nava.
Da “Storia partigiana della 13^ brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo.
“Diario” del colonnello Ilario Bologna: "In previsione della reazione nazifascista, la mattina del 10, onde poter controllare la provenienza da Imperia, si provvide ad occupare alcuni costoni tra Pieve di Teco e i Forti di Nava. Il nemico, preannunciato da un forte rumore di autocarri, non si fece attendere molto. Pochi colpi sparati lo costrinsero a fermarsi ed ad abbandonare celermente gli automezzi… La posizione più elevata… consentì un’azione efficacissima, che bloccò sul posto i tedeschi… Iniziò allora la caccia al nemico nascosto, con rabbiose riprese di fuoco seguite da silenziosi intervalli. Con tale andamento la lotta continuò per tutto il giorno. La mitragliatrice pesante catturata il giorno prima… piazzata in posizione predominante… poté battere tutto lo schieramento avversario portandovi un notevole scompiglio. Verso l’imbrunire i nazifascisti, con il loro orgoglio alquanto malconcio, ci voltarono la schiena sparendo dalla nostra vista".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

In relazione ai combattimenti dei giorni 11-12-13 marzo 1944, il primo scontro è avvenuto verso mezzogiorno dell'11 marzo in prossimità del Ponte della Teglia, che parecchi giorni prima era stato fatto saltare dai Patrioti e poi riattato in forma provvisoria dai tedeschi attraverso la Todt (che era un'organizzazione tedesca diretta dall'ing. Todt, generale nella riserva, col mandato di riparare i danni e di costruire opere di difesa occorrenti per la guerra in Italia).
In detta località le prime due avanguardie tedesche vi giunsero, unitamente a fascisti, verso il mezzogiorno e furono immediatamente attaccati dai patrioti disseminati nelle macchie sovrastanti.
Il fuoco violento e repentino cagionò perdite alla milizia ed ai tedeschi.
I patrioti ebbero un solo morto, un giovane di Eca frazione di Ormea. Sopraggiunti maggiori rinforzi, i patrioti, temendo d'essere sorpresi alle spalle si ritirarono verso i forti Bellarasco e il Centrale, ove passarono tutta la notte per riprendere il mattino seguente 12, la lotta che si protrasse per alcune ore.
Alla fine, sempre nella tema di accerchiamenti e per la scarsità di munizioni, lasciarono i «forti» e si ritirarono sulle rocce che fiancheggiano la Nazionale che scende a Ponti di Nava, dalle quali con tiri precisi decimarono il nemico che non riusciva a precisarne i nidi di raccolta e a colpirli.
La lotta fu veramente intensa e ferrea, per cui i tedeschi furono costretti a chiedere sempre maggiori rinforzi e artiglieria.
Intanto le autoambulanze tedesche, con un viavai veramente insolito ed allarmante, provvedevano ai trasporti di feriti e morti verso Albenga e verso Oneglia.
La lotta continuò per tutta la giornata e si riaccese il mattino del giorno 13, fin verso mezzogiorno, quando per assoluta mancanza di munizioni i patrioti furono costretti a sbandarsi come era loro tattica, senza aver lasciato un solo uomo prigioniero.
Fu questa però anche la tattica dei Garibaldini nel primo Risorgimento, specialmente nella Campagna del 1860 - ma allora la chiamavano «Il pittoresco disordine dei partigiani».
In questo giorno ebbero però un morto (cioè due, complessivamente, in tre giorni di lotta).
La notizia che il tenente del genio Ing. W. Sabatini fosse caduto in combattimento fu immediatamente smentita.
Un graduato tedesco ebbe a dichiarare che le perdite complessive dei tedeschi e della Milizia, siano state di 100 morti e 200 feriti.
Ma erano voci che non avevano riscontro ufficiale e perciò occorreva starsene sui si dice, perché i bollettini di guerra non solo non esistevano, ma la tendenza era quella di occultare addirittura ogni cosa.
Sbandati così i patrioti, le truppe tedesche e fasciste passarono il Tanaro a Ponte di Nava, occupandola, e marciarono senza resistenza su Ormea, che invasero nel pomeriggio dello stesso giorno 13.
Di lì proseguirono per Casotto, sede del Comando dei Patrioti e lo occuparono pare a causa (si dice) del tradimento di un maggiore.
Comunque sia, cessata la resistenza, dalla stretta di Ponte di Nava, gli invasori ebbero la strada libera alle loro imprese, ed incominciarono le rappresaglie.
Iniziarono quindi le perquisizioni, i furti e gli incendi, con numerose vittime innocenti.
A Ponte di Nava incendiarono tre case, fra cui la villa residenza estiva del Vescovo di Albenga, la casa degli Agaccio e quella di Merlino.
Dalla segheria Merlino asportarono 7 ettolitri di vino - un motore, e farina, con un danno di L. 60.000 - e così fecero in altre case.
In Ormea portarono il terrore. Per prima cosa radunarono sulla piazza dell'Olmo tutti gli uomini dai 15 ai 70 anni e, nel frattempo, perquisirono un'infinità di case.
Mentre erano in Piazza, uccisero il cognato di Cleto' Merigone e ferirono ad una gamba, con un colpo di moschetto, Antonio Basso (Gasparun) di 78 anni.
In seguito alle minacce severissime, diedero ordine di consegnare immediatamente tutte le radio, le macchine da scrivere e da cucire, e tutti i ferri da stiro elettrici.
In tal modo furono carpite circa 300 radio.
In questa terribile circostanza si svolse un episodio veramente mostruoso.
Nell'Ospedale Civico di Ormea era giacente un patriota di Diano Castello, con una gamba rotta per ferite riportate nell'ultimo combattimento di Nava, si chiamava Domenico Novaro.
I tedeschi lo seppero ed un maresciallo, con due della Milizia fascista, si recarono all'Ospedale.
Rintracciarono il ferito e lo fecero portare con un carretto nel cimitero, ov'era una fossa aperta.
Colà lo gettarono nella fossa come una bestia o come un cencio.
Dietro a questo triste corteo s'erano accodate alcune donne col parroco, che imploravano pietà; ma a nulla valsero le preghiere e le invocazioni di quelle popolane, perché quel maresciallo, estratta la rivoltella lo freddò nella fossa.
Mi è stato detto che perfino i due della Milizia si erano rifiutati di ucciderlo così barbaramente e freddamente.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 56,57,58

Fra gli uomini di Martinengo [Eraldo Hanau] alla battaglia di Pornassio (o di Nava) aveva anche partecipato il partigiano dianese Domenico Novaro che qualche giorno più tardi resterà ferito in uno scontro avvenuto quale strascico della battaglia stessa presso il forte di Bellerasco [n.d.r.: ubicato anche questo nel comune di Pornassio (IM)] e verrà ucciso dai tedeschi il 17 marzo...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Imperia.
Sono in corso operazioni di rastrellamento nella zona di Pieve di Teco, contro i ribelli sistemati nelle montagne circostanti i forti di Nava. Vi partecipano, dall'11 corrente, la G.N.R., agenti della polizia repubblicana e reparti tedeschi. Riserva di notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 19 marzo 1944, p. 21. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

mercoledì 30 novembre 2022

I Tedeschi da San Bartolomeo salgono a Villa Faraldi

Villa Faraldi (IM). Fonte: Oggi Cronaca

La battaglia delle Fontanelle, a monte di Villa Faraldi: questi è un piccolo Comune di montagna nella Valle Steria, sovente sede di Distaccamenti partigiani; con tutta la sua popolazione partecipa alla lotta armata contro i nazifascisti dall'ottobre 1943 alla Liberazione. Inoltre fu centro di rifornimenti e informazioni militari. Talmente indomiti gli abitanti che il nemico dovette porvi un presidio dal novembre 1944 al marzo 1945. Furono mesi di perquisizioni, fame, razzie e sofferenze inaudite. E nell'ora decisiva della battaglia scatenatasi l'11 e il 12 aprile, quale conseguenza di una rappresaglia tedesca, come un solo uomo la popolazione insorse, in collaborazione di due Distaccamenti partigiani, per scacciare il nemico e non mollò più, fino al vicino giorno della Liberazione. Ma vediamo da vicino gli avvenimenti: il giorno 10 tre garibaldini dell'Intendenza ("Lolli", "Gambetta" , "Pieren"), venuti a conoscenza che Tedeschi (un ufficiale e un soldato), armati di m.p. e di Mauser, erano a San Bartolomeo al Mare, presso un laboratorio di sartoria, decidono di disarmarli. Dopo una baruffa rimane ucciso l'ufficiale e gravemente ferito il soldato. I tre partigiani riescono ad allontanarsi mentre sopraggiunge una pattuglia di un presidio nemico dislocato a un centinaio di metri di distanza. In seguito a questa azione il nemico reagisce iniziando con una rappresaglia sulla popolazione civile di San Bartolomeo, per cui il mattino del giorno successivo fucilano i civili che incontrano per la strada. Cadono sotto il piombo nemico Angelo Arimondo di anni 32, Emanuele Arimondo di anni 34, Giovanni Elena di anni 20, Giordano Sesto di anni 19, Luciano Grosso di anni l6 e Andrea Regolo di anni 32.
Quindi, ricevuti rinforzi, i Tedeschi da San Bartolomeo salgono a Villa Faraldi, distante circa cinque chilometri dal mare. Entrano nelle case con la forza trascorrendovi la notte. All'alba del giorno 12 salgono guardinghi verso la montagna, ma quando raggiungono la cappella di San Bernardo, sono investiti dal primo fuoco partigiano. Sotto i colpi dei fucili lanciagranate, sono obbligati a indietreggiare, mentre i garibaldini del Distaccamento "Garbagnati" sono riparati in trincee in località Fontanelle, affiancati da una diecina di giovani di Villa Faraldi. I Tedeschi, ricevuti rinforzi (circa duecento uomini), attaccano nuovamente.
La battaglia si riaccende e dura fino alle ore quattordici circa, dopo di che, mancate le munizioni e a causa dei colpi di mortaio nemico, il "Garbagnati" è obbligato a ritirarsi, affiancato dal Distaccamento "Piacentini", il quale era giunto di rinforzo. I garibaldini si ritirano a Stellanello in Valle Andora dove riordinano le file, e dove trovano il comandante Massimo Gismondi (Mancen) con un gruppo di combattenti.
Il nemico, visto fallito il proprio intento, pensando di attuare una dura rappresaglia, riunisce tutta la popolazione di Villa Faraldi sulla piazza della chiesa, davanti ad una mitragliatrice pesante puntata contro di essa. Però, all'ultimo momento sospendono il previsto massacro e con una dozzina di ostaggi si avviano verso Imperia, compreso il parroco Michele don Ghiglione, che finisce nelle carceri a disposizione delle SS.
Il 24 aprile 1945, gli ostaggi e Don Ghiglione saranno liberati da alcuni guardiani delle carceri e da partigiani scesi dalle montagne circostanti per dare la libertà a molti detenuti politici.
Il giorno 12 aprile, a causa dell'uccisione di un sott'ufficiale tedesco a Cerisola, il comando nemico di Albenga ordina una rappresaglia facendo fucilare i civili Nano Giobatta, Clemente Rota e Alfredo Brancher. Una ventina di Tedeschi giunti a Borghetto d'Arroscia perquisiscono alcune case ed arrestano il dottor Lavaggi, segretario comunale il quale, accusato di essere in combutta con i partigiani, in località San Pantaleo lo fucilano e gettano il corpo esanime nel torrente sottostante. Il commissario "Andrea", del Distaccamento "Piacentini", accompagnato da un garibaldino, mentre va in missione a Oneglia, si scontra con una pattuglia tedesca nei pressi di Diano Serreta: caso singolare, entrambe le parti non subiscono perdite.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005 

12 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n° 14, alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Sosteneva che: "L'allarme sbarco continua; nelle valli di Cervo e Diano Marina i nemici hanno intensificato il servizio di guardia dopo i fatti di San Bartolomeo al Mare del 10 u.s. Il coprifuoco è stato anticipato alle ore 18.00. La popolazione nutre un senso di sfiducia verso la fine della guerra".
13 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al Rappresentante [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] dell'Alto Comando Alleato ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che come da accordi presi iniziava il servizio informazioni; che i tedeschi avevano asportato dal forte di Zuccarello tutte le munizioni; che facevano la stessa operazione dai magazzini situati nei pressi di Albenga; che l'11 aprile era transitato "da est ad ovest un camion con rimorchio carico di 70 fusti pieni di benzina"; che nella galleria tra Ceriale e Borghetto vi era un treno blindato, armato con 4 pezzi da 120 e con 2 mitragliatrici da 20 mm; che il nemico aveva intensificato la sorveglianza nelle valli vicine ad Albenga sino ad istituire un nuovo posto di blocco sulla strada Arnasco-Albenga-Coasco [Frazione di Villanova d'Albenga (SV)].
13 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi della II^ Brigata "Nino Berio" e della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Comunicava che "tutti gli sforzi futuri dovranno essere orientati all'eleminazione delle infiltrazioni nemiche". Disponeva che la II^ Brigata sorvegliasse la Valle Arroscia e disturbasse di continuo con pattuglie e fucilieri ogni movimento nemico. Ordinava che la III^ Brigata si portasse su nuove posizioni per liberare la Val Lerrone: il comando di Brigata ed il Distaccamento "Giuseppe Catter" [comandante "Gino" Giuseppe Gennari] a Testico, il Distaccamento "Elio Castellari" a Marmoreo, il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" a Casanova Lerrone.
13 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi dei Distaccamenti dipendenti - Comunicava che, per vari motivi, quali la morte del vice commissario "Franco" [Giovanni Trucco, caduto in combattimento a Trovasta il 27 marzo 1945] ed il passaggio a comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" di "Fernandel" [Mario Gennari], il nuovo organico di comando della Brigata era così composto: comandante "Gino" [Giovanni Fossati] commissario "Athos" [Pellegrino Caregnato] vice commissario "Tino" [Agostino Salvo] capo di Stato Maggiore "Sirio" [Antonio Di Stefano] responsabile politico "Gigi" [Giuseppe Alberti].
15 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Informava che nella mattinata del 14 aprile il comandante ["Mancen", Massimo Gismondi] con una squadra del Distaccamento "Franco Piacentini" aveva attaccato in località Colletto di Moglio [comune di Alassio (SV)] 8 tedeschi e 2 fascisti e che il nemico aveva reagito sparando 3 colpi di mortaio contro i partigiani, che non avevano potuto, a causa della presenza di campi minati, avvicinarsi troppo.
15 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Avvisava che in quella mattinata si erano sentite, provenienti da Testico (SV), alcune raffiche di mitra; che il comandante ["Mancen", Massimo Gismondi] era subito partito con una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" per "portare aiuto in caso di necessità"; che i garibaldini si erano disposti nel seguente modo: una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" sotto il cimitero di San Gregorio per fermare i tedeschi in caso di fuga, il Distaccamento "Franco Piacentini" a difesa del Passo del Merlo e del Passo dei Pali, il Distaccamento "Francesco Agnese" rimaneva a San Damiano; che l'azione dei tedeschi era durata 2 ore.
15 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi del Distaccamento "Marco Agnese", del Distaccamento "Giovanni Garbagnati", del Distaccamento "Franco Piacentini" e del Distaccamento "Angiolino Viani" - Disponeva che una squadra del Distaccamento "Franco Piacentini" si portasse alle ore 23 di quel giorno a Testico (SV) per fare brillare un ponte, con la collaborazione di una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" e del garibaldino "Pirata" del Distaccamento "Giovanni Garbagnati", ed al comando del capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] e che il giorno dopo, 16 aprile, alle ore 4 dovessero trovarsi in Testico a disposizione del comando della Divisione "30 garibaldini ben armati". da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

domenica 5 dicembre 2021

Una tragica partita di calcio tra operai della ditta Paladino e soldati tedeschi

Diano Marina (IM) - Fonte: Mapio.net

L'11 febbraio 1945 6 giovani provenienti dal fronte vennero condotti a Sanremo nella caserma di Via La Marmora in zona San Martino: 5 degli arrestati forse erano francesi.
Sempre il giorno 11 febbraio un membro delle SAP di Diano Marina, Vladimiro Marengo (Casi), impiegato presso la ditta Paladino che effettuava lavori per i tedeschi, venne ucciso durante un incontro di calcio tra operai dell'azienda di cui sopra ed una rappresentativa di soldati tedeschi. "Casi", che ricopriva il ruolo di portiere, fu assalito da un poliziotto fascista, che irruppe nel campo e lo uccise con un colpo di rivoltella.
Ancora nel corso dell'11 febbraio il CLN di Sanremo dava ragguagli a 'Simon' Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, circa la copertura di identità (falso nome di Giovanni Arrigo), la motivazione (acquisto di derrate alimentari) ed altre modalità di copertura per il viaggio a Genova, dove il comandante doveva incontrare il CLN ligure, che gli avrebbe conferito il nuovo incarico a livello regionale. Senonché, il "foglio di viaggio" risultava valido solo per il tratto Taggia-Savona: il resto del tragitto 'Simon' lo avrebbe dovuto compiere clandestinamente in autovettura.
Durante le prime ore dell'11 febbraio 1945 una colonna di soldati tedeschi operò un rastrellamento nella zona di Aurigo nella Valle del Maro, parte orientale della provincia di Imperia.
Il nemico riuscì ad accerchiare il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Silvio Bonfante", il quale si sottrasse all'attacco ma riportando un morto ed un ferito grave. I nazisti subirono "dure perdite di cui non è possibile accertare l'entità".
Il 12 febbraio un altro Distaccamento della Divisione "Silvio Bonfante", il Distaccamento "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio", continuò nell'opera di recupero delle armi nascoste durante l'inverno a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo. Rientrò in possesso di 1 mitragliatore pesante Breda 1937, privo di otturatore, con 1600 colpi, 2 Breda leggeri 1930 con 500 colpi, 1 machine-pistole, 1 fucile mitragliatore Brent, 4 moschetti americani e 2 fucili tedeschi.
Sempre il 12 febbraio, dall'altra parte della provincia a Bregalla nel comune di Triora il Distaccamento "Mortaisti", insieme ad un altro nucleo, anch'esso appartenente al I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", salendo sulla vetta del Monte Pellegrino costrinse una colonna di tedeschi e di fascisti, proveniente da Molini di Triora, ad indietreggiare sino alla "Goletta": qui vennero bersagliati con un mortaio da 81 mm e, secondo un rapporto del comando della V^ Brigata, "le perdite avversarie ammontano a 7 uomini".
Ancora il 12 febbraio 1945 a Sanremo presso Villa Junia vennero uccisi mediante fucilazione i garibaldini Renato Borgogno (Caminito), Francesco Donchio (Franz) [n.d.r.: da nuove fonti si potrebbe dedurre che si trattava di D'Onghia Francesco; altri documenti partigiani sostengono che fosse stato fucilato sempre a Sanremo ma il 2 marzo 1945], mutilato ad un braccio, e il civile Silvestro Polizzi.
I loro corpi finirono in una fossa comune. Sulla tragica fine di 'Franz' dalla Memoria del partigiano Gian Cristiano 'Gianburrasca' Pesavento (conservata nell'archivio ISRECIm sez. III cartella 24 bis) si apprende che "era privo di una mano. Così gli aguzzini gli strapparono i vestiti, finchè il moncherino non fosse scoperto e su quel moncherino infierirono con una frusta".
Nello stesso giorno Sanremo fu oggetto di un bombardamento aereo.
La sera del 12 febbraio, inoltre, un altro contingente di soldati tedeschi abbandonò la provincia dirigendosi in Piemonte.
Si trattava degli uomini del presidio di Borgo di Ranzo, che era l'unico rimasto in Valle Arroscia dopo i rastrellamenti di fine gennaio 1945.
Con la partenza di questi militari la zona Ortovero (SV)-Vessalico (IM) risultava sgombera, tanto che 'Pantera' [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] potè scrivere: "la situazione nemica nella zona della Divisione è molto precaria. I tedeschi si schierano lungo le vie di comunicazione principali allo scopo di proteggere il transito delle colonne ripieganti".
Infatti, i nazisti rinforzarono i presidi di Pieve di Teco e di Garessio (CN), paesi posti rispettivamente a sud e a nord del Colle di Nava lungo la statale n° 28.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Poco tempo dopo, al medico, presso il quale ero in cura, raccontai che i postumi mi erano stati causati da una folle paura che mi aveva percosso per i terribili episodi vissuti, ma questi non credette che quella fosse la causa.
Ad ogni modo per essere ristorato in qualche modo (e ne avevo estremamente bisogno), fui inviato presso una famiglia amica che collaborava con grande dedizione con noi. Il capo famiglia era detto "Carlin de Deiu", direi il nostro perno centrale nella valle Steria. Sì che di aiuti ne ricevevamo anche da altre famiglie, ma se ci fosse stato qualche "Carlin de Deiu" in più, probabilmente le nostre sofferenze sarebbero state certamente minori. Ora di quella famiglia vive ancora Ivonne, figlia del "Carlin". Ricordo con piacere quei giorni, sia per l'affetto, sia per le cure ricevute. Pensai che, forse, a casa mia, non sarei stato così bene.
Ora, prima di inoltrarmi ancora nei miei ricordi, desidero riportare il triste episodio di cui rimasero vittime i sapisti Vladimiro Marengo, figlio della Tassi e Gaetano Sgarbi già menzionato.
A Diano Marina si era formata una squadra di calcio composta da operai della ditta Paladino, che lavorava alle fortificazioni tedesche, e nella quale si erano infiltrati sapisti dianesi tra i quali i due compagni summenzionati.
Nel pomeriggio di domenica 11 febbraio 1945, si disputò una partita amichevole tra la squadra della Paladino di cui Vladimiro era il portiere, ed una squadra di soldati tedeschi.
Quasi a metà gioco spuntarono dei fascisti in borghese i quali rincorsero Vladimiro e lo uccisero seduta stante con colpi di rivoltella. Rincorsero anche Sgarbi che fu colpito gravemente ad una gamba. Questi riuscirà drammaticamente a salvare la vita, ma la gamba gli verrà amputata.
I tedeschi, ignari di quanto stavano tramando i fascisti, supponendo che si stesse sviluppando un attacco partigiano, si misero in difesa, raggruppandosi a circoli sparsi. Ma poi, informati di quanto stava succedendo, si ritirarono nei loro accantonamenti.
La partita fu sospesa e tutto finì. Solo Vladimiro ci rimise la vita a causa di spie che avevano informato il nemico sull'attività cospirativa dei due compagni.
18 - Piccole avventure
Ritornando sulla mia degenza a Deglio Faraldi, dopo una ventina di giorni, sentendomi meglio, anche se a malincuore, mi incamminai verso il Comando della I brigata che si trovava in quei giorni a Bassanego, nella zona di Casanova, per riprenderela mia vita grama in continuo pericolo.
Infatti ricordo che ci fu un pesante rastrellamento nemico e i tedeschi si attestarono in una zona vicinissima alla nostra ed effettuavano puntate nelle frazioni vicine. Sapevano che il Comando era in quella zona, per cui pensavano prima o poi di catturarci, anche con l'aiuto di qualche spia.
Non ci rimaneva altra alternativa che quella di disperderci per i boschi di giorno e riunirci alla notte in una baita per mangiare qualche cosa e riposarci al coperto. Ma non sempre i collaboratori potevano fornirci dei viveri di cui indubbiamente non avevano in abbondanza. Ricordo che una volta, quando la fame era diventata acuta, cercammo di frugare nelle case disabitate per vedere se potevamo trovare qualche cosa da mettere sotto i denti. Quando entrammo in una casa, da una fessura di una porta scorgemmo dei kaki e delle mele, ma ci accorgemmo che la frutta era ancora acerba. La fame era tanta che mangiammo ugualmente la frutta; al mattino ci svegliammo con la pancia in convulsione e i denti legati in tale modo che non potevamo neanche masticare. Per anni non mangiai più un kako.
In quel periodo, saputa la mia dislocazione a Bassanego, mia madre venne a trovarmi, portandomi qualche indumento e pochi soldi. Stemmo insieme una mattinata intera, con noi sostavano anche la futura moglie di "Mancen", la sorella Rina, il fratello "Moschen" e la loro madre detta "Maria a Bumba". Eravamo pieni di pidocchi, in conseguenza di ciò (come si faceva ogni venti giorni circa) procedemmo alla bollitura dei panni al fine di eliminarli, con le loro uova; la Rina provvide alla disinfestazione, stendendo poi i panni ad asciugare, mentre mia madre assisteva all'operazione. Quando la Rina ebbe finito, pensò di mettere sul fuoco il cibo per preparare da mangiare. Si prevedeva un bel minestrone quando giunse "Mancen" con una bella testa scuoiata di agnello, la quale, dopo essere stata lavata sotto l'acqua di una fontana, fu messa a bollire insieme al minestrone stesso.
Notai che mia madre torceva il naso vedendo quello che stava accadendo. Quando giunse il momento di mangiare (eravamo quasi una decina di persone), mia madre, che mi era vicina, mi chiese se il pentolone nel quale era stato cotto il minestrone era lo stesso nel quale erano stati bolliti i panni. Le risposi che era lo stesso perché non ne avevano altri; al tempo stesso le domandai il perché della domanda ed essa mi rispose che voleva soddisfare una sua curiosità.
Il fatto è che, dicendomi che non aveva fame, quel giorno non mangiò niente. Povera donna, era già di poco cibo e quando aveva visto la testa sanguinante bollire nel pentolone insieme al minestrone dove erano già stati bolliti i pidocchi, le si serrò la gola. Invece noi mangiammo con gusto poiché, con i nostri vent'anni, tutto era normale.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 85-87

12 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Trasmetteva informazioni sui bombardamenti avvenuti il 5 febbraio nella zona di Sanremo, sulla base del documento 276/SIM del CLN di Sanremo.
12 febbraio 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Gianni Ro, Giuseppe Viani] della I^ Zona Operativa Liguria ai comandi delle formazioni dipendenti - Comunicava che l'11 febbraio vi erano stati alcuni rastrellamenti, probabilmente per convincere molti partigiani a disertare per approfittare dell'amnistia repubblichina decretata in quei giorni e che il 9 febbraio cinque patrioti erano stati fucilati presso il cimitero di Oneglia, un altro a Capo Berta, un altro ancora nella caserma della Milizia, quest'ultimo un sergente della stessa Milizia, accusato dai fascisti di tradimento, la terza vittima in quindici giorni tra uomini della Milizia trucidati con una tale accusa.
12 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Angiolino Viani" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava il ritiro e la successiva distribuzione di 2 apparecchi radio.
12 febbraio 1945 - Dal comando del II° Battaglione [tedesco], Einheit 23539, al commissario prefettizio di Albenga (documento scritto in tedesco) - Richiedeva 20 operai muniti di picconi e pale.
12 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga, marchese Andrea Rolandi Ricci, al comando del II° Battaglione [tedesco], Einheit 23539 - Comunicava, in risposta alla richiesta pervenuta nella stessa giornata, che il comune di Albenga non era in grado di fornire picconi e pale e che l'unica ditta che poteva soddisfare quanto sollecitato era la Spallanzani, già al servizo della Wehrmacht.
12 febbraio 1945 - Da "Citrato" [Angelo Ghiron] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava diversi movimenti e situazioni nemici, tra cui un posto di blocco a Cervo formato da 20 militi della brigate nere insieme a 6-7 tedeschi, ma soprattutto confermava la fucilazione ad Oneglia del partigiano Carlo Delle Piane.
12 febbraio 1945 - Da "Bruno" alla Sezione SIM del CLN di Sanremo - Riferiva che da alcune informazioni avute da soldati tedeschi risultava che i 6 giovani condotti il giorno 11 alla caserma di Via Lamarmora a Sanremo erano stati catturati al fronte e che 5 di loro parlavano francese.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
 
Particolare cura viene posta nell'attività preventiva di osservazione di tutto quanto interessa l'opera sobillatrice di eventuali emissari in seno all'Organizzazione Paladino che, per raccogliere in prevalenza elementi sbandati od ex partigiani, è divenuto l'organismo da tenere in maggiore conto con l'avvicinarsi della primavera per le prevedibili defezioni.
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna -, Imperia, 5 marzo 1945 [timbro di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 27 marzo 1945]

venerdì 2 aprile 2021

Dimostrato che la guerra per tante persone non è poi così un male

Pieve di Teco (IM): uno scorcio della statale 28 - Fonte: Wikipedia

Il 6 febbraio 1945 una squadra, al comando di 'Russo' Tarquinio Garattini, del Distaccamento "Angiolino Viani" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante", attaccò alcuni militari della Divisione fascista San Marco, che erano partiti da Albisola (SV) per procurarsi dell'olio, e ne uccise 2. Da una relazione garibaldina sull'accaduto si apprende che "il combattimento avviene nei pressi di Molino Nuovo, nei pressi di Andora. Risulta fatto il seguente bottino: 2 fucili ta-pum, 1 pistola, 1 cavallo, 1 domatrice e 90 chilogrammi d'olio".
In nottata il Distaccamento “Francesco Agnese” [della I^ Brigata della Divisione Bonfante] si dislocava nella suddetta valle.

L'8 febbraio il nemico rastrellava ancora l'alta zona di Testico (SV), ma non incontrava forze partigiane; prima di ritirarsi si impadroniva di bestiame della popolazione locale.
Nell'alta Val Tanaro venivano aumentati i presidi tedeschi e rinforzati quelli esistenti, perchè ad Ormea (CN) si insediava un Comando di Corpo d'Armata alle dipendenze del generale tedesco Lieb.
Il 9 una squadra del Distaccamento “Giuseppe Catter” [della I^ Brigata della Divisione "Silvio Bonfante"], in missione nella zona di Cerisola [Frazione di Garessio (CN), Alta Val Tanaro], sorprendeva una pattuglia nemica, la quale lasciava sul terreno tre uomini. La squadra dei garibaldini rientrava incolume alla base.
Il paese di Aquila d'Arroscia (IM) veniva investito nuovamente da militi della Brigata Nera “Francesco Briatore” di stanza a Borgo di Ranzo, che altresì rubavano bestiame di piccola taglia.

Il giorno successivo una pattuglia della I^ Brigata, accompagnata dal comandante della Divisione, Giorgio Olivero ["Giorgio"], scendeva in Diano Marina (IM) per una ricognizione.
Vennero esaminati i campi minati stesi dal nemico, tra i quali se ne rilevava uno falso.

Inoltre veniva studiato il punto dove interrompere la ferrovia con una mina.

Il 10 febbraio iniziarono a concentrarsi nella zona Pontedassio-Chiusavecchia truppe nemiche, principalmente uomini appartenenti alle Brigate Nere: una parte di questi partecipò ad un rastrellamento quattro giorni dopo.
Nello stesso giorno in località Fontanelle nella valle di Cervo tre tedeschi rimasero uccisi transitando su un campo minato.

Durante le prime ore dell'11 febbraio 1945 una colonna di soldati tedeschi operò un rastrellamento nella zona di Aurigo nella Valle del Maro, parte orientale della provincia di Imperia.
Il nemico riuscì ad accerchiare il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Silvio Bonfante", il quale si sottrasse all'attacco ma riportando un morto ed un ferito grave.

I nazisti subirono "dure perdite di cui non è possibile accertare l'entità".

L'11 febbraio un membro delle SAP di Diano Marina, Vladimiro Marengo (Casi), impiegato presso la ditta Paladino che effettuava lavori per i tedeschi, venne ucciso durante un incontro di calcio tra operai dell'azienda di cui sopra ed una rappresentativa di soldati tedeschi. "Casi", che ricopriva il ruolo di portiere, fu assalito da un poliziotto fascista, che irruppe nel campo e lo uccise con un colpo di rivoltella.

Il 12 febbraio un altro Distaccamento della Divisione "Silvio Bonfante", il Distaccamento "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio", continuò nell'opera di recupero delle armi nascoste durante l'inverno a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo.
Rientrò in possesso, pertanto, di 1 mitragliatore pesante Breda 1937, privo di otturatore, con 1600 colpi, 2 Breda leggeri 1930 con 500 colpi, 1 machine-pistole, 1 fucile mitragliatore Brent, 4 moschetti americani e 2 fucili tedeschi.

La sera del 12 febbraio un altro contingente di soldati tedeschi abbandonò la provincia di Imperia dirigendosi in Piemonte. Si trattava degli uomini del presidio di Borgo di Ranzo, che era l'unico rimasto in Valle Arroscia dopo i rastrellamenti di fine gennaio 1945.

Con la partenza di questi militari la zona Ortovero (SV)-Vessalico (IM) risultava sgombera, tanto che 'Pantera' [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] potè scrivere: "la situazione nemica nella zona della Divisione è molto precaria. I tedeschi si schierano lungo le vie di comunicazione principali allo scopo di proteggere il transito delle colonne ripieganti". Infatti, i nazisti rinforzarono i presidi di Pieve di Teco (IM) e di Garessio (CN), paesi posti rispettivamente a sud e a nord del Colle di Nava lungo la statale n° 28.

Il 12 febbraio 1945 Franco Bianchi (Stalin), comandante del Distaccamento “Giovanni Garbagnati”, comunicava al comando [comandante Mancen, Massimo Gismondi] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" che era stato colpito un treno: "una locomotiva, con alcuni vagoni, era caduta nella scarpata e finita sulla strada che costeggia i binari in località Giaiette [nei pressi di Diano Marina (IM)]".

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

7 febbraio 1945 - [...] Da ieri, sul campanile della nostra Chiesa maggiore [a Pieve di Teco (IM)], è stato posto corpo di guardia per l'allarme diurno aereo. Il servizio, fatto naturalmente dai civili, dura dalle 8 del mattino alle 8 di sera.
8 febbraio 1945 - Questa mattina alle 10 è giunto un torpedone propagandistico su cui erano civili e tedeschi. Prima suonavano pezzi varie e poi uno dei civili arringava la popolazione invitandola a convincere gli sbandati e gli affiliati ai partigiani di ritornare alle loro case, ove non avrebbero ricevuta alcuna molestia; non solo, ma li avrebbero, dietro loro richiesta, inviati alla Todt per lavori ben retribuiti, da effettuarsi lungo il litorale.
9 febbraio 1945 - Si seppe poi che l'iniziativa del torpedone-reclame era d'origine Prefettizia e che i civili a bordo dello stesso erano impiegati della Prefettura stessa. Ognuno, però, può facilmente supporre quale possa essere stato il risultato di una simile pagliacciata in tempi di tanta drammaticità.
10 febbraio 1945 - La dimostrazione della falsità di tali propagandisti l'abbiamo avuta oggi, quando abbiamo assistito al passaggio di una colonna di giovanotti in borghese che, incolonnati e scortati da tedeschi e repubblichini, erano condotti a Ceva per essere incorporati nelle fila repubblichine. Questo accadde dopo che quelli erano stati tolti dalla Tod, ove si erano presentati fiduciosi, a seguito delle promesse così spudoratamente sbandierate e poi sfacciatamente non mantenute.
11 febbraio 1945 - È un periodo eccezionale di intensa borsa nera. Persone di ogni sesso e di ogni età e con ogni mezzo di trasporto, si vedono in giro. L'olio non ha più prezzi. È ricercato e pagato in vari modi. Molti pagano in contanti, e si vedono persone, cui a malapena si darebbero due soldi per elemosina, estrarre manciate di biglietti da mille; altri fanno cambio merce portando di là farina, pasta, lardo, salumi d'ogni qualità, cuoio etc. e portando via di qua l'olio che è sempre più ricercato. Ho chiesto a qualcuno se non temono le sorprese tedesche o repubblichine, ma ebbi per risposta una sonora risata, accompagnata da una scrollata di spalle. In tal modo è anche dimostrato che la guerra per tante persone non è poi così un male.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

9 febbraio 1945 - Da "C. 11" al comando della Divisione Bonfante - Segnalava l'arrivo di nuove truppe tedesche ed italiane ad Ormea (CN), dove si era raggiunto il totale di 250 soldati nemici, con il comando stanziato all'Albergo Alpi e gli ufficiali, muniti di 3 radio trasmittenti, alloggiati in alcune ville; inviava un elenco di targhe dei veicoli militari circolanti ad Ormea; comunicava che da Ormea era transitata la compagnia delle Bande Nere (circa 200 uomini) comandata dal capitano Ferrari, forse diretta a Nucetto e Calizzano per effettuare rastrellamenti; aggiungeva che in quella giornata sussisteva in quella zona un gran movimento di veicoli tedeschi.

9 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione Bonfante - Chiedeva ragguagli circa l'ultimo rastrellamento subito dalla Divisione e se aereoplani inglesi avevano effettuato bombardamenti, come richiesto dal comando scrivente, su Casanova Lerrone, Borgo di Ranzo e Garlenda; esprimeva rammarico per la scarsa attenzione mostrata alle modalità, così come delineate nella circolare n° 22, dell'attività cospirativa; sollecitava maggiore disciplina nei singoli e nei reparti; rammentava che i commissari, dovendo essere d'esempio, dovevano istruire i garibaldini sui compiti militari ma anche politici; preanunciava l'intenznione di porre "Mario" [Carlo De Lucis], appena guarito, nel ruolo di responsabile politico del PCI presso le due Divisioni della I^ Zona; consigliava di preparare, dopo aver opportunamente contattato la Divisione "Gin Bevilacqua" della II Zona del Savonese, piani di sabotaggio e di discesa a valle per l'occupazione di Albenga, obiettivo imminente stante la situazione bellica più generale.

10 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che in località Fontanelle nella valle di Cervo e di San Bartolomeo al Mare tre tedeschi erano morti e due erano rimasti feriti "per essere transitati su un campo minato".

10 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comandante ed il capo di Stato maggiore della Divisione si erano recati sulla costa per valutare la possibilità di ricevere materiale bellico via mare, ma che tale ipotesi si era dimostrata impraticabile a causa della stretta sorveglianza dei nemici, per cui si riteneva possibile soltanto l'opzione dei lanci aerei, per i quali la zona che poteva dare maggiori garanzie di sicurezza era Alto [alta Val Pennavaira in provincia di Cuneo] a latitudine 44° 07' 53'' e longitudine 4° 28' 55''.

11 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 113, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione militare riferita al mese di gennaio 1945. Da cui si evince che al 1° gennaio 1945 la I^ Brigata "Silvano Belgrano" vedeva stanziati nella vallata di Diano Marina il comando, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" ed il Distaccamento "Francesco Agnese", nella vallata di Andora il Distaccamento "Angiolino Viani"; che alla stessa data la II^ Brigata "Nino Berio" si trovava con il comando e con il Distaccamento "Filippo Airaldi" in Valle Arroscia, con il Distaccamento "Giannino Bortolotti" nella vallata di Nasino, con il Distaccamento "Igino Rainis" nella zona di Caprauna e con un altro il Distaccamento "Giuseppe Catter" nella vallata di Alto (CN); la III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" aveva, invece, il comando ed il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" dislocati nella zona di Ubaghetta [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)], il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" in Valle Arroscia, il Distaccamento "Elio Castellari" nella zona di Marmoreo [Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)] ed il  Distaccamento "Giuseppe Catter" nella zona di Pieve di Teco (IM). Si possono dedurre anche le azioni condotte in quel mese: il 2 gennaio una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" aveva sminato un campo nella valle di Andora; il 3 gennaio una squadra del Distaccamento "Giuseppe Catter" aveva attaccato lungo la strada n° 28 un gruppo di tedeschi, uccidendone uno e ferendone un altro; il 5 gennaio 5 partigiani del Distaccamento "Angiolino Viani" avevano ucciso un sergente, allievo ufficiale degli arditi della San Marco, perché tentava la fuga dopo l'arresto; il 9 febbraio una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese", comandata da "Moschen" ["Moschin"/"Muschen", Carlo Mosca] attaccava altri tedeschi sulla strada n° 28 causando perdite imprecisate; il 16 gennaio una squadra del Distaccamento "Elio Castellari" al comando di "Mirko" uccideva 2 tedeschi e ne feriva altri 3 in un attacco condotto a Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] ed una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" agli ordini di "Cimitero" [Bruno Schivo] attaccava una pattuglia tedesca uccidendo un soldato e ferendone altri 2; il 19 gennaio una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" comandata da "Ti frego" [Calogero Caramazza] mettendo delle mine sulla strada n° 28 aveva causato l'esplosione di un automezzo tedesco che aveva provocato la morte di un ufficiale e di 6 soldati; dal 20 al 28 gennaio vi erano stati rastrellamenti nemici nelle valli di Andora, Lerrone, Arroscia, Alto, Caprauna e Nasino.

12 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Angiolino Viani" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava il ritiro e la successiva distribuzione di 2 apparecchi radio.

12 febbraio 1945 - Dal comando del II° Battaglione [tedesco], Einheit 23539, al commissario prefettizio di Albenga (documento scritto in tedesco) - Richiedeva 20 operai muniti di picconi e pale.

12 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga, marchese Andrea Rolandi Ricci, al comando del II° Battaglione [tedesco], Einheit 23539 - Comunicava, in risposta alla richiesta pervenuta nella stessa giornata, che il comune di Albenga non era in grado di fornire picconi e pale e che l'unica ditta che poteva soddisfare quanto sollecitato era la Spallanzani, già al servizo della Wehrmacht.

12 febbraio 1945 - Da "Citrato" [Angelo Ghiron] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava diversi movimenti e situazioni nemici, tra cui un posto di blocco a Cervo formato da 20 militi della brigate nere insieme a 6-7 tedeschi, ma soprattutto confermava la fucilazione ad Oneglia del partigiano Carlo Delle Piane.

13 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" [comandata da 'Giorgio' Giorgio Olivero] al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo [comandata da 'Fernandel', Mario Gennari] - Si esprimeva disappunto per "la mancanza di serietà nello svolgimento del servizio di staffette".

14 febbraio 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che "sono imminenti alcuni sbarchi di materiali da parte degli alleati sulle coste controllate dalla II^ Divisione e che i materiali andranno distribuiti tra le Divisioni a seconda delle esigenze. La situazione generale del conflitto è a sfavore dei tedeschi che da tempo si stanno ritirando, venendo sostituiti da militari della RSI; è compito dei garibaldini fare in modo che la loro ritirata sia una 'rotta' e che non possano andarsene indisturbati portandosi via tutto ciò che vogliono. Si consiglia di non confidare troppo negli aiuti degli alleati ma, al cnotrario, di puntare ancora di più sulle proprie forze. Occorre riprendere la lotta con azioni contemporanee su più luoghi, particolarmente in direzione della valle Impero in cui sarebbero possibili aiuti della II^ divisione e dell'aviazione alleata. Per quanto riguarda il finanziamento non si reputa opportuno chiedere alcun contributo agli alleati".

14 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento Alpino "G. Pesce" della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Baltera" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Venivano richieste informazioni su di una volontaria, "Natascia", che aveva chiesto di fare parte della formazione. Siccome il volontario "Cera" aveva sostenuto che la donna in oggetto era ricercata dalla Divisione "Silvio Bonfante". per avere agito ai danni dei garibaldini, il Distaccamento chiedeva informazioni anche su "Cera", il quale aveva affermato di avere fatto pare della Squadra di "Cimitero" [Bruno Schivo], Squadra del Distaccamento di "Ramon" [Raymond Rosso].

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona del I° Distaccamento "con i nemici che arrivavano da tre direzioni, da Via Colletto di Pairola, da Diano Castello e da Chiusavecchia e che, individuato il nascondiglio i nemici, avevano prelevato 5 garibaldini in seguito fucilati a Chiusavecchia: Raspin, Luis, Stendhal, Joe ed un certo Villa".

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2; che il 20 una squadra al comando di 'Gordon' [Germano Belgrano] aveva assalito una pattuglia tedesca uccidendo un soldato; che, ancora il giorno 20, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" aveva ferito 2 tedeschi facendo scoppiare delle mine.

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che una pattuglia del Distaccamento "Angiolino Viani" nei pressi di San Bartolomeo di Andora aveva ucciso due militari repubblichini della San Marco che all'intimazione di fermarsi avevano reagito impugnando le armi ed aveva conseguito un bottino consistente in 2 tapum, 1 pistola ed 1 cavallo.

14 febbraio 1945 - Dal comando della VI^ Divisione, prot. n° 116, al comando della I^ Brigata - Convocazione del comandante "Mancen" [Massimo Gismondi] e del commissario "Federico" [Federico Sibilla] per concertare l'impiego di alcuni Distaccamenti.

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che presto avrebbe potuto avere luogo un lancio di materiale nella zona indicata da quel comando di Divisione, ma aggiungeva che occorrevano dati più precisi sulla natura del terreno, sulla distanza dai presidi militari più vicini e dalle abitazioni. Concludeva invitando a comunicare la lista del materiale ricevuto, per il quale aggiungeva la raccomandazione di un trasferimento in luogo sicuro.

da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

domenica 11 ottobre 2020

Radio Londra e le reclute partigiane

Torrazza, Frazione di Imperia - Foto:
 
Cresceva l'odio verso i nazisti, a causa dei quali la situazione diventava sempre più insostenibile; si sentiva parlare di attentati contro i tedeschi, ma pochi di noi conoscevano come avvenivano.
Il 14 dicembre 1943 per la prima volta da Torrazza
[Frazione di Imperia] sento le raffiche dei mitragliatori nello scontro di Montegrazie fra partigiani e militari fascisti.
Entusiasta di quella battaglia non valutavo il pericolo che si stava creando con la guerra partigiana, e dentro di me sentivo un gran desiderio di essere uno di loro, ma non ancora chiamato alle armi continuavo il mio lavoro, esposto ai bombardamenti.
La guerra si aggravava sempre di più, mentre ogni giorno le bande partigiane crescevano di numero .
Migliaia di persone venivano deportate nei campi di concentramento e i fascisti appoggiavano i nazisti in tutte le loro azioni più criminose.
L'otto giugno 1944 appare sui muri il bando fascista che recluta la mia classe. Quel manifesto cui ero già preparato, non mi aveva sorpreso e quasi ne provai  piacere.
Molti amici mi avevano già preceduto sui monti, non mi rimaneva che seguirli.
Lasciato il lavoro, il 9 di giugno mi nascondo nella mia casa isolata di campagna.
Disapprovato dai miei genitori, mi preparavo per l'imminente partenza.
Il giorno 11 successivo ci raduniamo nell'unica osteria del paese di Torrazza; con me sono Giuseppe Baria e Raffaele, la sala è vuota, vociferando stabiliamo il giorno della partenza in modo da avvertire tutti i compagni che vogliono seguirci e, mentre continua il nostro colloquio, accendiamo la radio per sentire le ultime notizie che possono riguardarci.
Con il volume appena udibile, ci sintonizziamo su radio Londra.
L'indimenticabile "tamtam", seguito dal bollettino di guerra, annunciava le notizie del fronte, proseguendo poi con le notizie della guerra partigiana e con una serie di bollettini in codice a noi incomprensibili.

Torre antibarbaresca di Torrazza - Foto:

11/6/44
Sono alla vigilia di quella indimenticabile partenza; seduto attorno al tavolo vicino a mio padre e a mia madre, ho appena finito di cenare. In casa mia c'è silenzio, sono preoccupato, nel mio entusiasmo nascondo un po' di paura; nello sguardo dei miei genitori c'è tanta malinconia. La mamma mi volta le spalle per nascondere le lacrime; sebbene mio padre capisca che quella é l'unica via che mi rimane, nel suo sguardo leggo disapprovazione. Per alcuni minuti mi trattengo con loro, provo una voglia matta di rimanere, ma non trovo più parole per tergiversare ancora. Mi alzo di scatto, inforco lo zaino sulle spalle e senza voltarmi saluto con un nodo alla gola uscendo quasi di fretta, allontanandomi nel buio.
Mentre proseguo su di una scaletta in mezzo al vigneto, guardo ancora una volta la mia casa; attraverso l'uscio le ombre dei miei genitori sono proiettate fuori dalla luce di un lume a petrolio. Come assalito da un rimorso, mi volto verso la strada per non pensarci, mi avvio sulla mulattiera verso Torrazza, proseguo oltre il paese e raggiungo la vecchia torre, dove avevamo fissato il luogo dell'appuntamento.
Quell'antica costruzione ancora una volta serviva, se pur brevemente, per sfuggire a un nuovo invasore.
Pochi scalini pericolanti mi conducono all'entrata, resto solo nel buio per mezz'ora, dopodiché mi raggiunge Ernesto Corradi detto "Nettu", promotore dell'appuntamento. Trascorriamo quasi tutta la notte al buio nel silenzio della torre, in attesa degli altri compagni. Prima dell'alba il rumore di svariate persone ci fa capire che i nostri amici stanno arrivando; un po' guardinghi ascoltiamo le voci che si approssimano. Con loro ci sono altri compagni del vicino paese di Piani [Frazione di Imperia]. Ci salutiamo nel buio con qualche battuta scherzosa e proseguiamo subito verso i monti.
12/6/44
Siamo in diciotto, senza una meta precisa camminiamo verso un destino che ci riserverà giorni spaventosi. Fra lo scalpitio dei nostri passi, seguo i vari discorsi di quei compagni, penso alle nostre famiglie e al nostro paese che, dopo il nostro gesto, sarebbero diventati motivo di rappresaglia delle milizie fasciste. Preoccupato del nuovo giorno cui andavo incontro, mi tormentavo inutilmente per una realtà che ancora non conoscevo. Raggiunta la chiesetta di Santa Brigida, è quasi l'alba; il cielo si è tinto di rosa e lontano si scorgono nitide le cime dei monti. Proseguiamo inoltrandoci nel bosco che fiancheggia monte Faudo. Ormai si è fatto giorno, finito il bosco siamo nei prati, la visibilità è buona, camminiamo osservando lontano con la speranza di incontrare i partigiani. In prossimità di monte Moro scorgiamo in basso verso Villa Talla [Villatalla, Frazione del comune di Prelà (IM)], fra le piante, qualcosa che luccica sotto i raggi del sole: è un gruppo di uomini armati che sale verso di noi. Seduti sul prato attendiamo l'avvicinarsi di quegli uomini che, senza dubbio, dovevano essere partigiani. Dopo venti minuti il gruppo è vicino sotto di noi. Riconosco subito due compagni che mi avevano preceduto su quelle montagne. Sono Luciano Sciorato e Nardetto. Ci dicono di far parte della banda "Ivan" (Giacomo Sibilla) e che sono di ritorno da una missione. Ci aggreghiamo a quel gruppo e con loro raggiungiamo il comando della banda a Costa di Carpasio [località di Montalto Carpasio (IM)]. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo vi­ sto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo visto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. In quella banda c'era pure una giovane donna detta "Candacca" (Pierina Boeri), che il giorno prima si era battuta contro i nazifascisti nella battaglia di Badalucco. Cominciavo a capire quale era la vita e il pericolo cui andavo incontro. Sentivo parlare di guerra, di attentati e torture; discorsi che mi facevano paura, ma per nessun motivo sarei tornato indietro, e col passare delle ore mi sentivo già dei loro. Ero giunto cosi al termine di una giornata in cui mi ero fatto un'idea di quello che stavo per affrontare. Prima del tramonto la banda si trasferisce; una parte delle attrezzature è caricata sui muli e col sopraggiungere della notte partiamo verso una destinazione sconosciuta. Accodati a quella colonna in marcia, imbocchiamo al buio la strada di Carpasio; appena nel paese ci viene distribuito pane e formaggio e verso mezzanotte giungiamo a Prati Piani. La sosta per quella notte sembrava definitiva; eravamo molto stanchi, alcuni, coricati sul margine della strada, dormivano già [...] 
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982