giovedì 30 giugno 2022

Una contessa sequestrata dai partigiani

Un'immagine d'epoca di Gavenola, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM) - Fonte: pagina Facebook "Gavenola"

Lasciata Gavenola il comando scese a Borghetto e di là risalì ad Ubàga dove la banda di Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, in seguito vicecomandante della VI^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] aveva operato la scorsa estate.
Sostammo ad Ubàga un giorno: avremmo atteso il partigiano che avevamo mandato a Valcona. In realtà era in tutti una certa indecisione, un'inerzia indefinibile che dipendeva forse dal clima più dolce, dal sostare per il vitto in case di contadini, dal non essere armati. Mancava forse nel nostro gruppo una personalità che fosse decisa e combattiva; si diffondeva la sensazione che il Comando [n.d.r.: della I^ Brigata "Silvano Belgrano" alla data qui corrente ancora alle dipendenze della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"] avesse più funzioni amministrative che direttive.
La staffetta ci raggiunse: aveva tentato di passare la 28 a Case di Nava ma i tedeschi presidiavano i forti, Case di Nava, Ponti, Ormea: la statale era ormai rioccupata integralmente e gli automezzi riprendevano a transitare sui ponti  ricostruiti. Fatto segno a colpi di fucile il partigiano aveva dovuto desistere, avrebbe ritentato il passaggio tra Cesio e Pieve. Ripartì.
Io quel giorno scesi a Borghetto a sentire la radio ed ebbi occasione di assistere alla cattura di due donne francesi sospette di spionaggio. Un nostro informatore ci assicurò che erano pericolose ed incaricò un partigiano dell'arresto. La cosa non mi interessò eccessivamente, conoscevo la più giovane  delle due sorelle per averla vista come cameriera in un alberghetto di S. Bernardo di Mendatica ai tempi della Matteotti, ma non sapevo nulla di lei.
Il 27 [novembre 1944] il Comando era di nuovo in marcia per Casanova. Ad Ubaghetta incontrammo le due francesi del giorno prima, parecchi di noi riconobbero la più giovane, la camerierina di S. Bernardo. Ci dissero che erano state riconosciute innocenti ed ora tornavano ad Ormea. La cosa ci lasciò indifferenti, eppure chi aveva il dovere ed il diritto di dare un giudizio saremmo stati noi del Comando Brigata. Sopra Ubaghetta trovammo Fra Diavolo [n.d.r.: Giuseppe Garibaldi, poco tempo dopo comandante della Brigata Val Tanaro, rinominata ad aprile 1945 IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] con un gruppetto che andava in missione  di guerriglia, sarebbe rimasto fuori qualche giorno. Ci accennò alle due francesi: un suo partigiano le aveva portate nella sua banda la sera prima dicendo che erano spie; Fra Diavolo aveva fatto legare il partigiano al palo ed aveva rilasciato le donne: «Se voglio fucilare qualcuno lo so fare da me ma non ho voglia di fare processi né il tempo di raccogliere prove e testimoni su due donne». Gli augurammo buona fortuna.
A breve distanza trovammo cinque partigiani che ci precedevano sulla salita portando una branda: «Siamo di Fra Diavolo» - ci dissero - «portiamo la branda per la contessa che non vuol dormire sulla paglia». Su un costone boscoso trovammo il grosso della banda. «Abbiamo preso la contessa Cepollini di Alto» - ci spiegarono - «non c'è nessuna accusa contro di lei, ma suo marito è ricco e gli abbiamo chiesto un milione».
Già qualche altra volta, quando i soldi del C.L.N. erano mancati o erano stati insufficienti, ci eravamo trovati nella necessità di procurarcene in modo forzoso per evitare che l'eccessivo numero di buoni di prelevamento non pagati impoverissero la popolazione delle nostre zone provocando malcontento. In qualche raro caso la somma venne chiesta come prestito e fu da noi restituita, negli altri casi pensammo che lo avrebbe fatto il Governo legittimo a fine guerra e pertanto rilasciammo sempre regolare ricevuta delle somme avute. Naturalmente, con l'inflazione forte, la somma avrebbe avuto un valore minore come d'altra parte accadrà con i buoni per merci rilasciati ai contadini, che nel 1945 in  maggio verranno pagati per le cifre segnate, anche se erano dell'estate 1944, mentre il valore della lira si era dimezzato. Nel 1944 era Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, in seguito vicecommissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] che si incaricava di questi contatti od almeno così credevo.
Oltre al caso Faravelli, al tempo di Piaggia, avemmo due ospiti forzati: una signora, moglie o parente dell'industriale della lavanda Col di Nava ed un altro signore il cui padre avrebbe potuto contribuire efficacemente alla Causa. Avevo assistito al colloquio di Boris con quest'ultimo, era stato molto cortese, non aveva fatto nessuna minaccia, solo lo aveva avvertito di affrettare la trattativa perché l'attacco nemico era imminente e poteva esservi coinvolto. Le trattative allora erano fallite perché il rastrellamento ci aveva obbligato a lasciare Piaggia. I nostri ostaggi erano stati liberati e mi fu detto che il giovane, avviatosi a piedi verso casa, era stato ucciso dalle mitraglie tedesche presso S. Bernardo di Mendatica.
Il caso Cepollini da chi era stato organizzato? Io che ero l'amministratore non ne sapevo nulla, il commissario Osvaldo [n.d.r.: Osvaldo Contestabile, verso la fine del conflitto commissario della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] nemmeno. Erano sintomi di indisciplina e di autonomia preoccupanti e, quel che era peggio, vedevo che il Comando non faceva rimostranze, ma considerava tutto naturale. Avallammo quanto era stato fatto e disponemmo che la liberazione della contessa avvenisse solo quando i fondi fossero stati versati all'amministrazione della Brigata.
Giungemmo in serata a Casanova dove trovammo Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, poco tempo dopo questa data comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"] coi capibanda Basco e Domatore: il Comando Brigata sarebbe così stato al completo se non fosse mancato, purtroppo per sempre, il vicecommissario Socrate [n.d.r.: Francesco Agnese] che ormai sapevamo caduto nel disastro di Upega.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pagg. 56-58

Del Comando brigata sempre nessuna notizia. Per tenere gli uomini in efficienza, e anche per non farli pensare troppo, era necessario effettuare qualche azione; ma le munizioni erano scarse. Perciò iniziammo a fare provvista di tritolo, prelevandolo dai campi minati tedeschi (cioè sminando i loro campi minati). Riuscimmo a farne una buona scorta, adoperandoli poi sulla strada statale SS 28, nel tratto Cesio-Pieve di Teco, oppure nella zona di Albenga, o anche sulla statale Aurelia, nel tratto Albenga-­Alassio.
Il C.L.N. di Albenga aveva chiesto un contributo in denaro per la lotta di liberazione al Conte Cepollina, il quale si era rifiutato di farlo.
A causa di questo rifiuto il mio reparto ricevette l'ordine dal C.L.N. di rapirne la moglie, contessa Cepollina, che abitava a San Fedele nei pressi di Albenga, e di tenerla in ostaggio fin tanto che il Conte non avesse versato il suo contributo. La Contessa, una donna molto bella, rimase con noi il periodo necessario alle trattative, e quindi venne rilasciata.
La ricordo sempre con tanta simpatia per la sua dignità, per il suo coraggio: sola in mezzo a tanti ragazzi che la spogliavano con gli occhi. Il loro desiderio era nell'aria, «si sentiva»; ma lei si comportò sempre con tutti come se si fosse trovata in mezzo a degli amici.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, p. 147

[...] Con la presenza a Casanova di tutti i componenti del Comando poteva aver inizio la fase di riorganizzazione. La presenza di Mancen poteva ridare vigore ed autorità. La presenza a Casanova di un prigioniero, un questurino di  Imperia, con un impermeabile chiaro, dimostrava che le azioni, i colpi di mano avevano ripreso. Quando vedrò l'impermeabile indosso a Livio, il viceresponsabile S.I.M., saprò che il prigioniero era stato fucilato.
[...] Sostammo a Casanova tre giorni. Dormivamo nei fienili sotto la carrozzabile, alla mattina giravamo per le famiglie per far colazione a base di cachi. A pranzo ed a cena mangiavamo in albergo dove era la sede del Comando. Mandammo in licenza ed in congedo un certo numero di partigiani che ne espressero il desiderio, riorganizzammo i quadri di qualche banda.
Il 29 sera salii a Marmoreo chiamato dal parroco: trovai settecentomila lire del conte Cepollini di Alto; bastavano per il riscatto della moglie?
Ritenni che bastassero. Attesi fino a tarda sera che una staffetta conducesse la contessa, poi, al suo arrivo, ritirai la somma. Le consegnai una ricevuta già preparata dal Comando che esonerava la famiglia del conte da altri contributi in tutta la zona da noi controllata. Ad una domanda sul significato di tale frase precisai: «Non posso garantire l'atteggiamento di altre Divisioni partigiane se i familiari del conte si spostassero fuori dalla nostra zona. Ritengo però  che questa dichiarazione dovrebbe aver valore anche per loro. In caso di necessità si rivolgano a noi». Mi scusai e le augurai buon viaggio.
Sembra che la contessa non si sia lamentata della sua avventura con i partigiani: «Dicevano che i partigiani erano dei banditi ma in città ce ne sono dei peggiori» pare abbia detto. E' probabile che ci avesse immaginato sul tipo dei banditi da romanzo mentre, osservando da vicino la vita della banda, apparivamo molto più semplici ed umani, specialmente nei periodi di calma. Le cento necessità della vita quotidiana occupavano buona parte del nostro tempo e venivano  risolte in modo primitivo. La nostra giovinezza, la nostra allegria, che qualche volta si sforzava di coprire sentimenti ben più dolorosi, il nostro rispetto istintivo per gli ospiti, i disagi a cui ci eravamo sobbarcati per offrirle un minimo di conforto può darsi abbiano commosso chi era abituata a vivere in ben altro ambiente.
Forse il conte, cui la banda di Stalin, per puro vandalismo, aveva distrutto la biblioteca del castello di Alto, era di diverso parere.
Il giorno dopo verso sera lasciammo Casanova diretti a Marmoreo [...]
Gino Glorio (Magnesia), Op. cit., pagg. 60,62


«Il 29 sera salii a Marmoreo chiamato dal parroco». In quello stesso giorno veniva scritto il presente documento conservato nell'archivio di Ramon [n.d.r.: Raymond Rosso, svizzero, in seguito Capo di Stato Maggiore della Divisione Bonfante] ]. Il documento è singolare per vari motivi. Il primo che mai venni informato della mia nomina a Capo di Stato Maggiore. L'Ufficio Operazioni era stato soppresso a Fontane e Pablo aveva lasciato le formazioni il 26 novembre. Non viene nominata la carica di amministratore che continuavo a ricoprire. Boscia era più  conosciuto col nome di Stalin. Era realmente intenzione del comando brigata darmi un incarico più impegnativo? Qualche tempo dopo Pantera mi disse che Simon [n.d.r.: Carlo Farini, alla corrente data responsabile della I^ Zona Operativa Liguria] aveva detto che era necessario valorizzare Magnesia. Sarei stato disposto a divenire Commissario di una brigata? Gli risposi che era una carica politica e, non essendo io comunista, avevo dubbi di esser idoneo alla carica. Pantera rise e disse che prendevo la cosa troppo sul serio. Tutto finì lì. Vi è un legame tra questo documento e la proposta successiva? Forse non è questo documento la sola testimonianza dello stato confusionale dei comandi alla fine di novembre.
Gino Glorio (Magnesia), Op. cit., p. 61  

Il 30 novembre 1944 una nota comunicava che il Conte Cepollini aveva pagato 700.000 lire per riscattare la moglie trattenuta prigioniera ad Alto e Nasino. Visto il suo rifiuto a finanziare amichevolmente la Resistenza si era ricorsi a metodi estremi pur di ottenere quelle somme necessarie per pagare il sostentamento dei ribelli. Un certo Alfredo Valle aveva invece elargito 50.000 lire ai partigiani.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, p. 369

mercoledì 22 giugno 2022

Dissero che anche qui stavolta andava bene chiamarsi garibaldini

Imperia: il porto di Porto Maurizio

Subito dopo l'8 settembre 1943, antifascisti dei vari gruppi e delle varie tendenze si avvicinarono alle caserme, per tentare di ricuperare le armi. Frattanto, piccoli nuclei di tedeschi, ma bene armati, bene organizzati, e spalleggiati da forze che potranno intervenire al più presto, si impadroniscono delle città della costa. In Imperia arrivano dapprima due tedeschi, in motocicletta, la mattina del 9 settembre, e la popolazione, che è praticamente inerme, e non sa se, dopo i primi venuti, siano per arrivare altri tedeschi, reprime l'ira e l'indignazione, e non reagisce. Infatti, dietro alle prime pattuglie vi erano forze soverchianti.
Fra gli antifascisti che poi cadranno per il ricupero delle armi si adoperano: in Porto Maurizio i fratelli Enrico e Nicola Serra, e in Oneglia i giovani comunisti Nino Berio e Carlo Delle Piane.
Fra i molti altri, che parteciparono alle operazioni di ricupero anni, si ricordano, ad esempio: i giovani Angelo Setti (o «Mirko»), Tonino Berrelli (poi «Alioscia») e Rovere Secondo (o «Uliano»), i quali, insieme con Carlo Delle Piane e con Nino Berio, presero armi varie, più due mitragliatori Skoda, che, portati a Magaietto, furono le due prime armi automatiche in dotazione della banda «Cascione».
I mitragliatori suddetti erano stati presi dietro «Villa Novarini», dove, poco prima, li aveva abbandonati una postazione italiana del disciolto esercito.
Anche sul disciolto esercito, e sui militari di truppa, si può citare qualche particolare, per dare una più completa idea dello svolgersi degli eventi.
In Oneglia vi era di stanza la Divisione «Cosseria». Questa Divisione la mattina del 9 settembre era partita alla volta di Nava; a Nava si era scontrata con pattuglie tedesche, il Generale comandante la Divisione e gli altri ufficiali se ne erano andati, e la truppa si era dispersa. Aveva fatto resistenza solo il gruppo che era stato di posto al Monte Bardelino, gruppo del quale facevano parte: Caffaro Michelino, Perrone Angelo o Vinicio (poi «Bancarà», in seguito caduto in montagna presso Tavole), Ninetto siciliano e altri. Caffaro Michelino era anche rimasto ferito. Dopo lo scontro e la sparatoria, il gruppo si recò a Sant'Agata, dove entrò in contatto con Mela Giuseppe (o «Sacchetto») e con Stenca Adolfo (o «Rino»). Non molto dopo, alcuni degli uomini entrarono nella banda «Cascione», e sono già presenti ad Alto; Perrone Angelo rimase invece a Sant'Agata, ed entrerà nelle Formazioni più tardi.
Prima che la Divisione «Cosseria» partisse da Oneglia, sempre la mattina del 9 settembre, alcuni giovani (tra cui Setti Angelo o «Mirko») si erano presentati al Generale comandante, chiedendo di avere le armi. Il Generale aveva risposto che alla difesa della zona avrebbe provveduto lui stesso.
Gli antifascisti, ora, si propongono di organizzare i militari e i giovani che si sono dati alla macchia.
Il lavoro per organizzare i militari e i civili alla macchia viene fatto, intensamente, sia dagli antifascisti che sono rimasti in città, sia da quelli che si sono recati in montagna, con i quali i primi cercano di collegare i gruppi o i singoli individui con cui riescono ad avere contatto.
Così, nel circondario di Imperia si formano tre prime bande
[...] Incorporato nel gruppo di Borgo d'Oneglia è pure da considerarsi Antonio Dell'Aglio, ex carcerato politico.
Antonio Dell'Aglio, pur essendo aggregato al gruppo di Borgo d'Oneglia, svolgeva soprattutto un lavoro organizzativo di indole generale. Il gruppo di Borgo d'Oneglia fu anche chiamato «gruppo dei politici», perché molti dei componenti di esso avevano già subito arresti e condanne per motivi politici.
I fratelli Peruzzi, inoltre, erano noti, come si è detto, per la partecipazione di due di essi quali antifascisti e comunisti alla guerra di Spagna.
Dalla parte di Imperia, paesi facilmente in contatto con la zona del Monte Faudo sono: Valloria, Tavole, Villa Talla, e, sebbene assai più distante, anche Pantasina e Vasia, alquanto spostati verso levante, e - specialmente Vasia - quasi ai piedi del Monte Acquarone.
Praticamente in tutto questo territorio operavano i fratelli Serra e i loro amici. Ad essi, in momenti diversi, si aggregarono pure altre persone, come, ad esempio, i fratelli Di Maggio Antonio e Giobatta, Ericario Giovanni (fratello del già ricordato Ericario Carlo deceduto in Germania), Amoretti Filippo di Tommaso, tutti della corrente Comunista, nonché Acquarone Giovanni fu Maurizio (detto «Barba»).
I fratelli Serra, previa consultazione con lo scrivente, nei gruppi del quale erano incorporati, erano saliti in montagna - con espresso incarico di organizzare i giovani alla macchia - nei giorni immediatamente seguiti all'armistizio dell'8 settembre, dopo essersi adoperati, fra l'altro, per il ricupero delle armi (Enrico aveva partecipato all'azione per tentare di recuperare le armi della Capitaneria di porto in Porto Maurizio, il 9 settembre, ed entrambi qualche giorno dopo avevano preso parte ad un'azione per l'occultamento e il trasporto di armi della caserma Crespi, già precedentemente fatte uscire dalla caserma stessa). Nicola, diplomato in ragioneria, studente universitario della facoltà di scienze economiche e commerciali, sottotenente di complemento a Chiari l'8 settembre, era appassionato studioso di Croce, e appariva di tendenze liberali; Enrico, fornito del diploma di capitano marittimo (conseguito al Nautico di Savona dopo avere frequentato il ginnasio-liceo di Oneglia), e già collegato, tramite lo scrivente, al Partito d'Azione, dimostrava, in genere, lo stesso orientamento politico del fratello. Arrestati nel dicembre del '43, morirono, come già è stato ricordato, a Mauthausen, dopo indicibili sofferenze.
Acquarone Aldo, o Sebastiano Aldo, di Lena Pilotti e fu Federico, appartenente allo stesso gruppo di montagna dei fratelli Serra, era nato in Imperia il 12 agosto 1924. Fermato mentre si trovava nella propria abitazione, fu costretto - per evitare molestie alla madre - a frequentare in Germania i corsi di addestramento dell'esercito di Salò; ma riuscì di nuovo a fuggire, e tornò in montagna verso la fine del '44 col soprannome di «Alpino». Fu ucciso dai nazifascisti nelle vicinanze di Tavole nel gennaio del 1945 (17 gennaio). Il di lui padre, Federico, era morto nella campagna di Russia.
In montagna con i Serra vi era anche stato il giovane Bruno Gazzano, nato a Roma il 19 febbraio del '24, ma oriundo imperiese. Il Gazzano, arrestato dalla GNR l'11-2-44, fu successivamente incarcerato ad Oneglia e a Genova (Marassi), e quindi deportato nel campo di concentramento di Fossoli. Di qui dimesso, verso la fine del giugno 1944 entrerà nelle formazioni partigiane «GL» dislocate nei dintorni di La Spezia; di nuovo arrestato il 3 agosto del '44, sarà incarcerato prima a Marassi in Genova, poi a San Vittore a Milano, e quindi sarà successivamente deportato nei campi di concentramento di Bolzano e in quelli di Flossenburg, dove morì in data 22-2-45, nella dipendenza di Hersbruk.
Il nucleo centrale del gruppo dei fratelli Serra aveva la caratteristica di essere formato specialmente di giovani intellettuali, o comunque studiosi di problemi economici, sociali, politici.
La località «Bestagni-Magaietto», nella quale era sistemato il gruppo «Cascione» è situata nel territorio del Comune di Diano Castello, a sua volta situato nella zona di Diano Marina.
[...] Carlo Carli, Luccio Verda, Gregis e Valcado, pure costituendo un gruppo a sé, erano in genere insieme con gli uomini del gruppo «Castagno» anche per i precedenti rapporti di amicizia che esistevano fra alcuni di loro. Più tardi due gruppi, quello di Castagno e quello di Trucco, si unirono a formarne uno solo; Carli, Valcado, Luccio Verda e Gregis continuarono a costituire un piccolo gruppo a sé stante.
Il gruppo di Eolo Castagno era partito, per recarsi in «Inimonti», da una casa di campagna di Ughes Giacomo, situata sul pendio del Bardellino rivolto verso il torrente Impero (con Eolo vi era anche Ivar Oddone, poi «Kimi», nipote di Ughes).
A un certo momento al gruppo stesso si collegano oltre cinquanta persone (militari sbandati e civili fuggiaschi); ma, poco tempo dopo, molte di esse torneranno in città.
Frattanto è avvenuta l'unificazione del gruppo di Trucco con quello di Eolo Castagno (il quale apparteneva anch'egli alla corrente comunista).
Cascione si reca in «Inimonti»; conosceva già varie persone, come Ivar Oddone e Carlo Carli; a Trucco G.B. viene presentato da Nino Giacomelli. Il gruppo di Eolo e di Trucco si collega con quello di Cascione in modo da formare con esso un organismo unitario; e quando Cascione si trasferirà da Magaietto a Pizzo d'Evigno, anche il gruppo di Trucco e Castagno si recherà nella medesima zona.
[...] Carlo Carli, allievo ufficiale di complemento, il giorno 8 settembre '43 era in licenza ad Ormea. Rientra in Imperia la sera del giorno stesso e si incontra con Ricci Raimondo. La mattina del 9 settembre '43 si presenta, per il ricupero delle armi, alla Capitaneria di porto, in Porto Maurizio, dove s' incontra di nuovo con Ricci Raimondo che nella Capitaneria stessa è ufficiale di complemento, nonché con Castagneto Giacomo, con lo scrivente Giovanni Strato, con Serra Enrico e con altri, ivi convenuti per il medesimo scopo.
La sera del 9 settembre, insieme con Ricci Raimondo, Carli provvede all'affondamento di una piccola petroliera ormeggiata nel porto di Oneglia, aprendo valvole nella sentina. Vari mesi più tardi i tedeschi rimetteranno a galla la petroliera e la porteranno via.
Nei primi giorni del settembre '43 (periodo dall'8 al 20), in casa dell'avv. Ambrogio Viale Carlo Carli si incontra pure con lo scrivente Giovanni Strato, già incaricato per la costituzione e l'organizzazione della DC; e si parla, fra l'altro, del lavoro relativo alla creazione di gruppi armati in città e in montagna.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Imperia: Calata G.B. Cuneo del porto di Oneglia

Negli stessi giorni altri patrioti senza tanti pensamenti e di su e di giù, che tanto non servivano, affondarono una piccola petroliera nel porto di Oneglia.
Ci andarono di nascosto soltanto con un po' di pratica che avevano, e qualche spiata dei camalli sulla banchina.
Non dissero niente a nessuno prima di come volevano fare dopo, ma ci riuscirono che non pareva vero, allagandoci subito la sentina con così poco rumore che i marinai non poterono manco dare l'allarme.
Nella caserma Crespi, anche lì senza tanti preamboli, arrivarono presto al colonnello: che non facesse il fesso e si sbrigasse subito, essendo già troppo tardi e bisognando collaborare coi ribelli senza discutere.
Presero le armi alla rinfusa più che poterono senza perdere tempo con la burocrazia e senza il carico e lo scarico di fureria; lo stesso più o meno, sempre alla svelta, fecero entrando nella Capitaneria di Porto, e poi tornandosene rasentarono di corsa la banchina come dei contrabbandieri.
Mitragliatori bombe a mano fucili moschetti e caricatori a vanvera, così come capitarono qua e là con tutto il munizionamento che poterono, li arraffarono anche dalle scorte private dello sbandamento generale.
- Svelti, e spicciarsi perché adesso c'è poco da fare i furbi, sennò guai - gli dicevano entrando nelle case che sapevano.
Nella raccolta per armarsi, i più svelti furono i comunisti già organizzati belli e pronti in segreto col tirocinio che avevano; si misero in più soltanto la stella rossa sui berretti come in Spagna, siccome li avevano già collaudati nella guerra civile; per non dare nell'occhio a causa del partito, dissero che anche qui stavolta andava bene chiamarsi garibaldini.
Dissero che la faccenda di Garibaldi è sempre buona quando c'è da fantasticare sull'eroe dei due mondi in transito per Caprera col sacco di sementi.
Gli altri già pronti in divisa grigioverde sulle montagne, tirarono avanti come ho detto con quel vestiario militare, che per fare la guerra era sempre il più adatto. Soltanto in più ci aggiunsero le mostrine tricolori per una questione di principio prevalentemente piemontese; così li chiamarono badogliani non sapendo sul momento come chiamarli diversamente, ma non voleva dire proprio niente questo nome.
Difatti loro volevano soltanto continuare ad essere dei patrioti amanti della patria, o con Badoglio o senza, chi se ne sbatte le balle.
Il medico Felice Cascione di Porto Maurizio fu il primo tra quelli che scelsero qui vicino al mare di praticare il ribellismo nel traffico della clandestinità.
Era un giovane prestante e intelligente molto sportivo, ex nazionale di pallanuoto e già famoso nei dintorni in cospirazione.
Armi sempre pronte all'erta nel recapito fuori mano - qui va bene se c'è da fare con l'allarme o senza, poi si vedrà - cominciò alla garibaldina per provare come si fa; e così a due passi dal mare nei primi tempi si arrangiarono alla meglio nel casone rustico di Magaietto, sopra Diano Marina.
Lui era convinto come qualmente adesso basta discutere di nascosto o col tirocinio in corsia, quando invece bisogna esercitare all'aperto o al chiuso non importa come, essendo clandestini: ma si capisce dove c'è più di bisogno per la guerriglia, e subito perdio.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 18-19

mercoledì 15 giugno 2022

La meta del Distaccamento partigiano Catter è la valle di Diano

Borghetto d'Arroscia (IM) - Fonte: Wikipedia

Il 25 gennaio 1945, all’alba, tre colonne tedesche “provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco giungono a Ubaghetta [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. La nostra pattuglia avvista il nemico ed apre il fuoco, ma il garibaldino Redaval (Cardoletti Germano) continua impavido a sparare finchè viene colpito da una raffica di mitra e catturato.” (Luigi Massabò, “Pantera”, Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]). Redaval verrà fucilato da un plotone d’esecuzione formato dai “Cacciatori degli Appennini”. Dopo tale attacco i nemici si ritirarono sulle posizioni iniziali ed i Distaccamenti  “Giuseppe Maccanò” e “Gian Francesco De Marchi” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” della Divisione "Silvio Bonfante" poterono sganciarsi. Il giorno successivo riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini” [L. Massabò “Pantera”, op. cit.], tra cui “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa” [L. Massabò “Pantera”, op. cit.]. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  

Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Gli alpini lasciarono ancora una volta Ubaghetta spostandosi a Casanova: Tom e Boriello [Luigi Boriello] erano con loro. Il comandante italiano del reparto si era opposto alla loro fucilazione. I colpi uditi dai rifugi erano stati un'ultima minaccia:  i prigionieri furono addossati al muro di una cappella, ed invitati per un'ultima volta a parlare, poi, al loro rifiuto, gli alpini avevano sparato a pochi centimetri da loro senza colpirli. Avremo notizie incerte e saltuarie della sorte dei nostri due compagni. Sapremo che, condotti a Cuneo, passarono molti mesi in quelle carceri, poi che i tedeschi li avevano fucilati per rappresaglia. Corse voce che Boriello fosse fuggito, ma nessuno lo vide mai. Dopo la liberazione Tom tornò al nostro Comando ad Alassio. Appresi da lui i particolari della finta fucilazione, dei mesi passati a Cuneo dove i tedeschi tiravano a sorte i nomi di quelli da fucilare, come il pensiero della morte imminente fosse per lui ormai abitudine quotidiana. Poi infine la liberazione.
Tom e Boriello vennero catturati il 25, quel giorno il distaccamento Catter, al Comando di Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari] e del commissario Gapon [n.d.r.: Felice Scotto], parte da Alto dove la situazione è diventata ormai insostenibile, dove i contadini terrorizzati dalle minacce nemiche sollecitano i partigiani a disertare o ad andarsene.
La meta del Catter è la valle di Diano: molti della banda sono nativi di quei luoghi e sperano che la valle sia ancora libera e tale possa rimanere. La banda parte dopo il tramonto, verso mezzanotte è a Lénzari, dopo una breve sosta scende a fondovalle, varca l'Arroscia in un punto incontrollato, prende la salita che porta a Montecalvo. Marciando nella neve di notte e di giorno, attraversando con infinite precauzioni il territorio dominato dal nemico, la banda si sposta verso il sud, pronta ad aprirsi il varco con la forza. Con le armi pesanti, i viveri, il materiale della banda, il Catter raggiunge la Val Lerrone all'alba del 26 gennaio.
Passando a ponente evita i paesi di Vellego, Ginestro e Tèstico e punta sul passo dei Pali. La marcia è stata lunga e faticosa per la neve, la necessità di evitare le mulattiere e le strade principali, per la tensione nervosa. Più stanco degli altri è Gapon che, come commissario della banda, sente gravare su di sè la responsabilità della salvezza di tutti, che sa quanto scarse siano le possibilità di salvezza in caso di attacco nemico. Secondo una relazione non  confermata, la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti nell'alta Val d'Andora diviene palese che il ritmo di marcia va rallentando sempre più a causa dei compagni stremati.  Continuando così la salvezza di tutti verrebbe compromessa. Gapon non esita e chiede ai compagni di proseguire e di lasciarlo solo, poi si adagia nella neve esausto: forse un breve riposo lo rimetterà in grado di proseguire. I compagni si consultano, col commissario restano Marat, Bruno e Franco, gli altri partono uno per uno, in fila, salendo faticosamente il pendio nevoso sotto la sferza del vento invernale: al di là del passo dei Pali li attende libera, la loro terra.
II riposo di Gapon è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tran quillizza in parte, ma dà  anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone, di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga.
Bruno viene ferito ad una gamba, Marat cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, dare forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat, che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera, che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile] a Segua.
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
[...] Anche militarmente il rastrellamento ebbe esito negativo. Non ci disorganizzò perché ormai non c'era quasi più niente di organizzato: i collegamenti, i servizi erano troppo rudimentali per poter peggiorare. Non ci disperse perché ormai eravamo così pochi ed avevamo previsto l'attacco da così tanto tempo che tutti quelli che vacillavano se ne erano andati.
I rimasti erano i migliori o quelli che non sapevano dove andare. Dopo la prova, ritenendo che ormai il peggio fosse passato, si cominciò a notare la tendenzan al ritorno nelle bande, anche di quelli che si erano allontanati prima del  rastrellamento.
Unico risultato positivo per il nemico, doloroso bilancio per noi, furono i caduti, i fucilati, i morti in combattimento. Degolla, Bosco, Ubaghetta, Cappella Soprana, Onzo, Ginestro vennero arrossati di sangue partigiano, a Ranzo, a Pieve di Teco echeggiarono le scariche dei plotoni di esecuzione. Più di venticinque compagni che avevano resistito a tutti i disagi, erano passati per mille pericoli, avevano una profonda esperienza di guerriglia erano perduti per sempre. Venticinque, circa l'otto per cento degli effettivi, non molto  paragonati ai bilanci di Upega, Fontana, Val Casotto dove il cinquanta per cento o addirittura la totalità delle forze venne, se non uccisa, dispersa. Questa volta,  come già nei rastrellamenti estivi, il passivo fu costituito quasi esclusivamente dai morti, poiché gli sbandati tornarono tutti entro pochi giorni. La perdita di armi non fu rilevante: solo le armi delle squadre di Bosco e Degolla andarono perdute, le altre bande, eccettuato il Garbagnati, non ebbero a sostenere grandi scontri, sicché anche il consumo di munizioni fu limitato.
Le perdite nemiche? I morti di Cappella Soprana, qualche altro a Ginestro, forse qualcuno a Degolla, pochi, meno dei nostri, come ormai succedeva da ottobre, da quando l'ambiente era mutato, le munizioni erano contate.
I partigiani avevano nel complesso superata la prova, erano rimasti per il nemico una minaccia reale ed ancor più potenziale perché era sopravissuto un germe che, né la forza nemica, né i tradimenti erano riusciti ad annientare. Malgrado le nostre debolezze ed i nostri difetti la forza morale e fisica di resistenza, la volontà tenace di continuare malgrado ogni avversità erano state superiori alle previsioni pessimistiche, avevano fatto fallire il grande tentativo di annientarci, di ciò il nemico non tarderà ad accorgersi.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: gulliver.it


Il distaccamento della 3^ Brigata "E. Bacigalupo" comandato da Mario Gennari (Fernandel) e il Distaccamento "Giuseppe Catter", composto da una trentina di uomini al comando di Giuseppe Gennari (Gino) e dal commissario Felice Scotto (Gapon - classe 1919), decide di abbandonare Alto (CN) per ritornare verso le valli di Diano. Durante il trasferimento la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti presso il Passo dei Pali, Gapon decide di mandare avanti il resto degli uomini e rimanere insieme a Bruno Amoretti (Bruno - classe 1921), Dante Del Polito (Franco - classe 1924) per permettere a Renzo Urbotti (Marat) di riprendere le forze e proseguire la mattina successiva. I quattro trovano rifugio in un casone isolato a Cappella Soprana e accendono un fuoco per riscaldarsi. Un gruppo di Cacciatori degli Appennini vedono il fumo levarsi dal casone. Quando i repubblichini giungono a pochi metri del casone, i quattro partigiani, che avevano scorto la colonna avanzare, aprono il fuoco uccidendo il tenente e altri cinque militari e poi tentano la fuga. Bruno Amoretti viene ferito ad una gamba ma i quattro riescono a fuggire. Urbotti morirà nella notte per congelamento. I quattro meritarono un encomio solenne che recita: “I garibaldini “Gapon”,“Bruno”, “Marat”, “Franco”, del Distaccamento “G. Catter” III^ Brigata “Ettore Bacigalupo”, sorpresi e circondati in un casone dal nemico, dove si erano fermati per il malessere manifestatosi in uno di loro, reagivano con indomabile spirito uccidendo il tenente comandante il pattuglione nemico, un sott'ufficiale e quattro soldati e ferendone un numero inprecisato. In seguito alla loro violenta reazione, riuscivano a sganciarsi e a mettersi in salvo, escluso il garibaldino “Marat”, deceduto poi nella notte per congelamento in seguito a ferite, mentre il commissario “Gapon” nuovamente appostatosi, attraeva l'attenzione su di sé, agganciando la quarantina di militi fascisti superstiti. Passo del Pizzo d'Evigno - 26 gennaio 1945. Il comandante di Divisione 'Giorgio' (Giorgio Olivero)”. 

Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020  

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la condanna a morte di Carlo Serafini, reo di avere guidato i soldati repubblichini contro i garibaldini a Ginestro.
29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della stessa Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti: "[...] Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano.
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

giovedì 9 giugno 2022

Nella giornata di ieri, 17 c.m., forze nazi-fasciste effettuavano un rastrellamento nelle zone Tumena, San Faustino, Ciabaudo, Vignai

Ciabaudo, Frazione del Comune di Badalucco (IM) - Fonte: Riviera Time
 
Quello che segue è un dispaccio scritto a mano; trascrivendolo, si è cercato di rendere l'idea della stesura originale.
Adriano Maini
 
Corpo Volontari della Libertà aderente al C.L.N.
N° 265 Prot. Comando V^ Brigata d'Ass. Garibaldi L. Nuvoloni
Sezione S.I.M.                                                   Zona, il 18/1/45
Oggetto: Relazione militare                                      Al Comando II^ Div. Garibaldi
                                                                 Alla Sezione S.I.M. Divisionale
                                                                 e p.c. Al Comando V Brigata Garibaldi
           Nella giornata di ieri, 17 c.m., forze nazi-fasciste effettuavano
un rastrellamento nelle zone "Tumena", "S. Faustino" "Ciabaudo" "Vignai" e dintorni.
           Le forze attaccanti erano così divise: I granatieri di Mo-
lini con una colonna rastrellavano la zona "S. Faustino" "Tumena",
le forze di presidio a Montalto e Badalucco divise in due colonne
si portavano sulla cresta della regione "Cavanelle" e nel vallone cercando così di accerchiare la zona "Pallera".
Un'altra colonna partiva da Ceriana e si portava in quel di "Vignai" mentre i tedeschi di stanza a Bajardo attaccavano "Vignai" da "S. Bernardino" e M.te Ceppo.
Punto di riferimento di tali colonne "Vignai".
Le forze attaccanti si aggiravano sui 300-350 uomini-
Erano armati con un mortaio da "81", parecchi mitragliatori di marca inglese, "mayerling" e gli uomini con "Stenk" mitra e macin Pistola.
Dette forze hanno assicurato alla popolazione che per 15 giorni effettueranno rastrellamenti, poi si porteranno a Pieve di Teco per eliminare anche da quella zona i partigiani.
[...] Nei dintorni di Ciabaudo [...] molti rustici sono stati incendiati [...] In tale rastrellamento il Garibaldino De Santis [n.d.r.: Antonio 'Marco' De Santis, partigiano della IV^ Brigata "Elsio Guarrini della II^ Divisione Garibaldi d'Assalto "Felice Cascione"] e la Garibaldina Irma [Emilia Rosso, partigiana della IV^ Brigata "Elsio Guarrini], cadevano [a Ciabaudo] eroicamente sparando contro i repubblicani un colpo di rivoltella e ferendone uno alla mano.
Nella zona di S. Bernardino [i nemici] uccidevano altri due garibaldini e due signorine, che si recavano con loro [...]
documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Il giorno 17 gennaio 1945 nella zona Palega-Zerni-Vignai i “Cacciatori degli Appennini” in un'imboscata uccidono i garibaldini Antonio De Santis (Marco) ed Emilia Rosso (Irma). De Santis si recava in missione assieme ad altri garibaldini e con loro si trovava la garibaldina Irma, colpita al petto da una prima raffica. Il De Santis, estratta la pistola, sparava contro il nemico, ma una seconda raffica lo colpiva a morte. Il Cacciatore Zecchini, responsabile della morte di entrambi, verrà catturato dai partigiani in marzo nella zona di Triora, e fucilato.
Nello stesso mattino nebbioso del 17 gennaio un numeroso gruppo di fascisti perlustra le campagne di Prelà. Secondo alcune fonti si tratterebbe di Cacciatori degli Appennini, secondo altre della compagnia operativa delle G.N.R. del tenente Ferraris; probabilmente l’azione fu condotta entrambi i reparti. In due casoni posti ad una certa distanza hanno trovato ristoro per la notte alcuni uomini della IV Brigata "Elsio Guarrini". In un casone sopra Canneto, di fronte a Tavole, si stanno riposando Carlo Montagna "Milan", comandante della brigata, Gaetano Sibilla "Ivan", Angelo Perrone "Bancarà" o "Vinicio", vicecomandante della brigata, Sebastiano Acquarone "Alpino" e Ferrero "Staffetta Gambadilegno". In un altro casone più in basso sostano Mario Bruna "Falco", commissario della Brigata, Luigi Peruzzi "Luigi" ed altri uomini. I fascisti intravvedono nella nebbiolina un uomo armato che sembra stia facendo la sentinella. Sparano quindi senza avvertimento e colpiscono, uccidendolo, Angelo Perrone. Gli altri partigiani, intese le raffiche, fuggono in direzione della cresta della montagna, che però è già occupata dai nemici, ritornano quindi sui propri passi infilando il Vallone di Villatalla dove trovano altri repubblichini in agguato che al loro avvicinarsi sparano. Montagna e Acquarone vengono colpiti a morte. Staffetta Gambadilegno viene ferito e catturato. Come vedremo successivamente, sottoposto a torture, fu costretto a confessare dove aveva trovato rifugio il distaccamento di Dimitri.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020  
 
[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016  ]
 
Uno scorcio di Vignai - Fonte: Facebook/Vignai

Il 17 gennaio 1945 iniziarono altri rastrellamenti dei nazifascisti contro i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria.
Avanzarono per primi contro i patrioti della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", attestati nella zona di Vignai, Frazione di Baiardo (IM), e Ciabaudo, Frazione di Badalucco (IM), i granatieri di stanza a Molini di Triora (IM), con una colonna, in direzione delle località San Faustino e Tumena.
I nemici dei presidi di Montalto Ligure [n.d.r.: oggi comune di Montalto Carpasio (IM)] e di Badalucco cercarono di effettuare l'accerchiamento in località Pellera.
Un terza colonna partita da Ceriana (IM) si congiunse a Vignai con i tedeschi del presidio di Baiardo (IM): in parte si diressero verso San Bernardino e Monte Ceppo.
Caddero in combattimento durante questo rastrellamento a Ciabaudo i garibaldini della Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione Antonio De Santis (Marco), nato a Napoli il 12 marzo 1921, già tenente del Regio Esercito, ed Emilia Rosso (Irma), nata a Ceriana, il 26 gennaio 1926. Nella zona di San Bernardino vennero uccisi altri 2 garibaldini e  "due signorine che si accompagnavano con loro".
[...]  Il grave momento vissuto dalla IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" risulta evidente nello scritto di Venko del 19 gennaio 1945, indirizzato al Comando Divisionale.
Il Comando Divisionale prese nei giorni successivi la decisione di intitolare il I° Battaglione della IV^ Brigata a Carlo Montagna (Milan) e l'ex Distaccamento "Italia" ad Angelo Perrone (Bancarà).
Il 29 gennaio rese noto il nuovo organico direttivo della stessa Brigata.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I
 
Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo Bersaglieri Repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c’erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi “Miccia” riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Oberg e successivamente in un luogo poco distante Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005,
Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
Luigi Laura “Miccia”, essendo invalido (era stato ferito precedentemente ad un ginocchio mentre era in località Carmo Langan di Castelvittorio), non era vigilato come gli altri prigionieri. Suonato l'allarme aereo mentre si svolgeva un interrogatorio, egli colse il momento favorevole e si diede alla fuga, riuscendo addirittura a prendere un tram per portarsi in località Tre Ponti di Sanremo, dove si nascose nel casolare di una sua campagna.
Adriano Maini
 
Il 23 gennaio 1945 nella parte occidentale della “I^ Zona Operativa Liguria” avveniva l’uccisione di alcuni partigiani appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”.
Infatti la sera del 23 circa cento SS con due mortai circondavano casa Ghersi a Taggia (IM). I quattro garibaldini che si trovavano nell’abitazione vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Venne bruciato il fienile di Raffaele Polito. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano stati fucilati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone soravvisse all'esecuzione il solo Luigi Franco Ghersi, pur ferito (ma si suicidò
il 26 marzo 1946 a causa del trauma riportato). Nella vicina Sanremo (IM), la notte successiva, vennero fucilati presso Villa Junia cinque partigiani della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione, che erano stati arrestati a Baiardo (IM) il 17 gennaio. Quattro di essi portavano il cognome Laura: Gio Batta “Paolo”, Luigi “Gino”, Mario “Mario” e Silvio “Antonio”.
Rocco Fava, Op. cit. Tomo I