venerdì 24 gennaio 2025

E così in quell'anno, 1943, i giorni di autunno calarono rapidi nei paesi più grigi

Il Col di Nava. Foto: Mauro Marchiani

Non mancarono, comunque, i distaccamenti che tentarono di fermare i germanici o che resistettero con le armi alle loro intimazioni di resa.
Iniziando dall’estremo ponente, i principali fatti d’armi furono i seguenti: - battaglia di Ormea (in provincia di Cuneo ma al confine con la Liguria) sulla statale 28 del colle di Nava che da Imperia porta a Fossano, combattuta tra le 19 e le 21,30 del 9 settembre tra le forze tedesche che cercavano di raggiungere la costa e i reparti italiani che tentavano di bloccare la strada. Fu probabilmente il più grosso fatto d’armi ad aver interessato la regione in quei giorni. Un battaglione autotrasportato germanico dotato di mitragliatrici e mortai si scontrò con alcune migliaia di uomini armati con mitragliatrici e alcuni cannoni leggeri da campagna. Nonostante gli italiani avessero iniziato a sistemare a difesa il paese in mattinata, furono sopraffatti - dopo un violento scontro che causò perdite a entrambe le parti - dalla manovra aggirante dei tedeschi che, divisisi in tre colonne, presero Ormea e i suoi difensori con un pesante fuoco incrociato dai due lati dell’abitato. La mattina del 10 il battaglione nemico si mosse verso la costa mentre i prigionieri furono avviati verso Alessandria il giorno 12, assieme a circa 800 altri italiani catturati nella notte tra il 10 e l’11 sulla strada tra Cesio e Nava, sul versante imperiese della statale 28. La strada fu poi presidiata dai nazifascisti fino alla Liberazione, essendo considerata fondamentale per far affluire e defluire truppe in previsione del temuto sbarco degli Alleati in riviera <41; - mentre le truppe italiane che presidiavano Ventimiglia tentavano di raggiungere Cuneo, la notte tra il 9 e il 10 un nucleo di militari fece brillare una mina che interruppe la linea ferroviaria costiera all’altezza del vecchio confine di Stato, impedendo momentaneamente l’afflusso di truppe tedesche dalla Francia via ferrovia e costringendo le stesse a impiegare quasi una giornata per sgomberare le macerie <42 [...]
[NOTE]
41. Per gli eventi nella provincia di Imperia, cfr. Biga, 8 settembre nell’imperiese, cit.; idem, L’8 settembre nell’imperiese, in “Patria indipendente”, 19 settembre 2004, pp. 28-31.
42. Telegramma del prefetto di Imperia Guglielmo Froggio, al Gabinetto del Ministro dell’interno del 10 settembre (ore 11.20), in ACS, DGPS, AAGGRR, Ag, Categorie permanenti, A5G 2ª GM, b. 145, f. 221, sf. 2, ins. 28 Imperia.
Marco Pluviano, Dal 25 luglio all’8 settembre 1943 in Liguria: fine del fascismo, sfaldamento delle Forze armate, controllo del tessuto produttivo, conflittualità politica e sociale in "le porte della memoria" - Supplemento al n. 11/12 - 2023 di Liberi

8. Il grosso della IV armata si sbandò dopo l'8 settembre tra questi salienti alpini, e fu questione di ore lo sfacelo totale dei reparti abbandonati senza comandi.
Quando iniziò lo sbandamento fu una faccenda che non pareva vera né ai militari né ai borghesi, pareva impossibile.
Ce n'erano ancora tanti in giro che dicevano di quel generale fetente della Cosseria, già famoso dappertutto per le carognate che faceva - ma va a ramengo farabutto -: eraquello che sotto i portici di Oneglia durante l'oscuramento, ficcava a tradimento la pila sui soldati in libera uscita strappando lì per lì le licenze, anche quelle agricole.
Gliele strappava a chi aveva soltanto la giubba sbottonata o magari la bustina floscia senza stecca.
Ma su per i tornanti della 28, con tutta quella nebbia e il freddo nelle ossa, con quella tristezza nel petto, sentivano tutte le foglie accartocciate nel pietrisco, pestandole.
Erano lì a pestarle inutilmente essendo che ormai tutti avevano capito anche senza quel generale della Cosseria; e allora fu una rabbia ancora più bastarda in sequenza di automi scricchiolìo di salmerie mezzi cingolati e carriaggi semoventi, andandosene in malora; andavano avanti senza sapere dove con quel vuoto nello stomaco come di nausea e di umidità.
In andirivieni frettoloso gli ufficiali all'ultimo se la squagliavano, mentre uscivano dai paesi facendo i pesci balocchi, e travestendosi in fretta con la roba dei borghesi.
- Si capisce che è tutta una porcata, ma è così: non ci vedi adesso che tutto va a ramengo per la miseria, e così in fretta che non si è mai visto? Però a rimetterci anche le braghe sono sempre questi qui, scarpinando in grigioverde con le stellette della naia -, diceva la gente.
Subito dopo quel lungo scarpinare a vanvera da una curva all'altra, arrivarono due graduati tedeschi in sidcar, con mitra e pistola bene in vista.
Ripresero il possesso di tutta la statale 28 da Oneglia a Ormea, compresi i dintorni da una parte e dall'altra, per conto della Werhmacht in nome del feldmaresciallo Rommel che allora comandava tutto l'occidente: e così finì lo sbandamento da queste parti, nell'autunno del '43.
Però la gente non volle più aspettare né gli ordini né i contrordini, che tanto ormai a tutti gli girava l'elica; e nessuno ci capiva niente di come fosse la situazione, girala come vuoi che tanto era sempre uguale.
Dalle città dai paesi e dalle borgate, dappertutto, come non si era mai visto per la gran sveltezza, la gente cominciò a bottinare piglia chi piglia, e fecero così: entrarono subito nelle caserme frugando in cataste smontando autornni assalendo depositi e trafficndo ogni cosa velocemente.
Da Pieve di Teco in su, nelle cunette della 28 ad ogni curva, c'erano cassette di munizioni ancora intatte, con pile di bombe a mano ad ogni paracarro.
Nei fossi dei Forti di Nava c'erano quintali di tritolo appena arrivato ancora impacchettato in cumuli di saponette, buttato là alla rinfusa.
9. I semoventi e i traini li avevano fatti rotolare subito col si salvi chi può senza tante balle, giù per gli scoscendimenti di Montescio.
Bastarono pochi spintoni ben dati e qualche scrollata di spalle, per quelle arature tra i carpini, sempre più giù come valanghe dentro cespugli e prati fino in fondovalle.
Allora la gente cominciò ad avere paura alla vista di quella baraonda a quel modo, con tutto che andava di storto sempre di più; non c'era più nessuno a comandare ed era una vergogna, invece c'era quel gran disordine dello sbandamento militare.
Macché disciplina o rispetto dei gradi o logica del buon senso in questo crollo generale, alé tutto a buttemburgo e non  se ne parla più.
E così in quell'anno, 1943, i giorni di autunno calarono rapidi nei paesi più grigi, in soprassalti di sfacelo di disastro e di tradimento dappertutto.
Rimase a lungo nella gente lo squallore appiccicato alla pelle dalla prima pioggia, che durava senza poterselo togliere.    
Ma qualcuno fatto a modo suo ci fu ancora testardo come un mulo col sangue nelle vene, e rabbia sempre di più da stringere i denti; a qualcuno gli era rimasta l'idea bizzarra ben ficcata in testa come un chiodo, e così per la strada si impuntò non disarmando manco a morire.
- E forza dai, chissà come sarà o da soli o in compagnia; ma porcavacca poi si vedrà come sarà.
Non sembrava vero, sembrava impossibile voglio dire che dovesse finire a quel modo tutto di baracca, dopo quelle prepotenze guerresche; anche la gente di questi paesi già tutta intrigata, chissà non lo sapevano come succedeva - ma fa lo stesso perdio, ecco lì come si fa -, dicevano tutti d'accordo.
Diedero tutti insieme una mano, che fece anche bene al morale pensandola tutti uguale contro i nazifascisti; così cominciò la ribellione qui e nelle altre valli tutto intorno, che pareva fossero suonate le campane alla grande.
I tedeschi allora diventarono più diffidenti e subito si sistemarono ben bene nei bunker e nei posti di blocco, non si sa mai. Poi si impratichirono dei prelievi della roba a colpi sicuri con la prepotenza, raus raus kaputt, senza fermarsi entrando dappertutto; infine girarono per le valli con gli sputafuoco sempre in funzione, mettendosi gli ostaggi davanti nei rastrellamenti da un paese all'altro.
Ci andarono subito di brutto senza tante confidenze con gli estranei e nemmeno coi fascisti; gestapo SS e guastatori chiusi in plotoni sparavano a vista con molta facilità senza distinguere.
In questo modo non ci fu bisogno di spiegazioni: la nostra gente capì benissimo che anche qui era arrivata la malora; capì che si andava proprio a ramengo tutti insieme allo stesso modo in una volta sola e fino in fondo.
La gente lo capì senza scordarselo mai più nemmeno dopo; per la miseria se lo capì che quand'è così, in qualunque modo sia, è sempre così non potendosela cambiare: e dunque così sia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982,  pp. 15-17

venerdì 10 gennaio 2025

Azioni partigiane a Badalucco, Pizzo d'Evigno, Caramagna, Carpenosa

Badalucco (IM)

Determinanti ai fini dell'inquadramento e della elaborazione tattica della Brigata [n.d.r.: IX Brigata "Felice Cascione"] furono i rapporti con il Comando della Delegazione Ligure delle Brigate Garibaldi e con il Comando Unificato Militare Ligure, rappresentati in zona dall'Ispettore Simon [n.d.r.: Carlo Farini].
Tra le prime iniziative riguardanti l'organico della Brigata il Comando stabilì - con circolare in data 13-6-'44 - che la forza degli effettivi di ogni distaccamento doveva essere fissata in 4 squadre di 10 uomini ciascuna più un capo squadra, due staffette e due infermieri, oltre al comandante e al commissario del reparto; ogni squadra venne suddivisa in due nuclei di 5 uomini.
Questo consentì anche lo snellimento di alcuni distaccamenti, la costituzione di nuovi e il completamento di altri.
Il comando curò anche la nomina di un Tribunale Militare di Brigata e la impostazione di un corso di addestramento per capisquadra, comandanti e commissari.
L'adozione di queste misure organizzative - come di altre a carattere disciplinare - era resa pressante soprattutto dal costante arrivo di nuovi volontari che particolarmente dalla seconda metà del mese di giugno [1944] avevano cominciato ad affluire numerosi presso i reparti della formazione appesantendone l'organico e creando sempre nuovi problemi pratici, come è possibile documentare:
Distaccamento n. 1 (Volante)
lì, 18/6/44
Impossibile preparare servizio giornaliero. Continuamente affluiscono uomini di tutte le classi.
Distaccamento al completo, possibilmente formarne altri da queste parti (attendiamo ordini). Formate 3 bande locali a nostra disposizione.
Totale uomini 20 a Pairola, Riva Faraldi, Testico.
Attualmente presenti a questo distaccamento 80 uomini.
Azione Santa Croce rimandata perché rinforzata. Facilmente lunedì o martedì.
F.to Commissario Politico «Federico» [n.d.r.: Federico Sibilla].
Esaminando la relazione inviata il 10-6-'44 al Comando delle Brigate d'Assalto Garibaldi (Liguria) dal Comando della IX Brigata possiamo inoltre rilevare come l'impostazione data all'inquadramento e alla preparazione degli effettivi fosse -    almeno in teoria - nettamente conseguente alle esigenze poste dal rapido sviluppo della formazione e alle condizioni belliche in cui la formazione stessa operava.
Le soluzioni adottate sono - a nostro giudizio - le uniche possibili del momento e coincidono, del resto, con le esperienze riscontrate nelle altre zone della regione:
1°) far partecipare uomini di tutti i reparti alle azioni di guerriglia (ne abbiamo già sottolineato la validità)
2°) proporzionare il numero e la portata degli attacchi alla preparazione degli effettivi
3°) data l'urgenza di disporre di ufficiali e graduati, orientare le nomine - in mancanza di elementi sufficienti di giudizio - sugli effettivi che dimostrino maggior decisione e coraggio nelle azioni, riservandosi ogni cambiamento
indicato da successive esperienze.
Azioni a pieno ritmo
L'attività bellica dei volontari imperiesi assunse conseguentemente un ritmo più veloce ed impegnato.
Un resoconto abbastanza organico delle azioni compiute dai reparti dipendenti dalla IX Brigata nei mesi estivi si trova nella relazione Rubaudo e nei documenti forniti dall'on. Carlo Farini.
Dal suddetto materiale si è potuto ricavare - per quanto riguarda le fasi più salienti della attività militare della formazione nei mesi di giugno, luglio e agosto [1944] - una cronaca sufficientemente particolareggiata che viene presentata a parte. Vi si può trovare la conferma al nostro giudizio circa la spinta combattiva presente fin dall'inizio nei reparti imperiesi, in misura notevole e spesso determinante, anche se ad essa non sempre corrispose un adeguato senso tattico.
Ciò può essere particolarmente accertato dall'esame degli scontri più rilevanti con le forze nemiche dei quali furono protagonisti - in questo stesso periodo - i distaccamenti della IX Brigata a Badalucco, Pizzo d'Evigno, Caramagna, Carpenosa e Sgureo [Sgorreto].
L'attacco al presidio germanico e fascista di Badalucco venne deciso dal Comando della formazione allo scopo di liberare un gruppo di giovani dello stesso paese che vi erano stati imprigionati quali ostaggi da fucilare per rappresaglia dopo un tentativo - effettuato il 31 maggio da uomini della banda locale appoggiati da una squadra del VI distacc. - di impadronirsi di un ingente quantitativo di armi depositate nella locale Chiesa degli Angeli.
Il dispositivo per l'operazione di Badalucco e la liberazione degli ostaggi prevedeva molto semplicemente l'impiego simultaneo e concentrico di quattro distaccamenti: il 3° e il 6° sarebbero entrati in azione ad est del paese (lato valle di Porto Maurizio); il quarto e il quinto ad ovest, mentre la banda locale avrebbe controllato la strada proveniente da Arma di Taggia per segnalare e contrastare l'eventuale arrivo di rinforzi nemici.
La scelta della data e dell'ora stabilite per l'attacco (l'11 giugno) non tenne però evidentememe conto della distanza che separava alcuni distaccamenti dalla zona di operazione: infatti, appena ricevuto l'ordine, il terzo e il 6° dovettero impegnarsi in una marcia forzata per raggiungere in tempo le posizioni loro assegnate, e per procedere più speditamente furono costretti a lasciare indietro il trasporto col mortaio da 45 mm.; intanto i distaccamenti 4° e 5°, per motivi diversi, trovavano difficoltà a raggiungere le loro posizioni.
Cosicché al momento dell'attacco i soldati tedeschi del presidio - che disponeva di postazioni ben munite e sopraelevate, fin sul campanile della chiesa - dovettero fronteggiare l'avanzata partigiana da un solo lato e, pur subendo perdite, la respinsero dopo poche ore di combattimento accanito nel corso del quale vennero feriti alcuni volontari tra cui lo stesso Mirko [n.d.r.: Angelo Setti], comandante del 6° distaccamento.
È evidente, nello stesso svolgimento di questa azione, il contrasto tra lo slancio combattivo degli ufficiali e degli effettivi partigiani e l'insufficiente coordinamento dei reparti impiegati.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 247-251