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domenica 30 luglio 2023

Si decise allora di bloccare la strada attraverso la quale transitavano i rifornimenti alla postazione tedesca

Baiardo (IM): alle spalle, senza alberi, Monte Ceppo

27 giugno 1944, Sella Carpe, località a 1300 metri di altezza, nel territorio del Comune di Baiardo (IM).
È un passo nel quale la strada carrozzabile proveniente dal paese si biforca, proseguendo con un ramo verso Monte Ceppo e l’altro scende verso la Valle Argentina.
Sul culmine di Monte Ceppo era rimasto l’unico presidio tedesco (circa 400 uomini) che costituiva una minaccia costante ai partigiani del V° Distaccamento dislocati a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)].
Tentare un attacco al monte per distruggere la postazione nemica era impossibile per mancanza di armi pesanti.
Si decise allora di bloccare la strada attraverso la quale transitavano i rifornimenti alla postazione tedesca.
Il 27 giugno Erven [Bruno Luppi] con una settantina di uomini si apposta sulla curva della strada per Monte Ceppo, in località detta Sella Carpe.
Verso mezzogiorno giungono due camions carichi di soldati nemici i quali sono investiti da una valanga di raffiche di mitragliatori, di altre armi automatiche e di bombe a mano.
Senza che avessero tempo a organizzare qualche resistenza, molti soldati vengono uccisi, altri rimangono feriti, i pochi superstiti si rifugiano nei boschi sottostanti.
I partigiani si apprestano a raccoglie molte preziose armi quando sopraggiungono imprevisti altri camions carichi di soldati i quali trovano il tempo di prendere posizione.
"La situazione si fa gravissima - racconta il Luppi in una sua memoria - man mano giungono altri Tedeschi i quali possono piombarci alle spalle. Un gruppo di sette partigiani riesce a bloccare momentaneamente l’azione del nemico per cui noi con un fuoco intenso possiamo affrontare i Tedeschi che si trovano sul bivio e che, però, aumentano di numero. Il loro fuoco è intensissimo, una quindicina di partigiani sono feriti, ma per fortuna in modo leggero. Solo due di essi rimangono colpiti a morte. Di fronte all’incombente minaccia, tento una sortita per cercare di eliminare una mitragliatrice nemica che ci rafficava alla nostra sinistra e che ci impediva l’unica via di ritirata e di scampo. Ma in quel momento sono colpito, prima di striscio al costato sinistro, poi da una granata che mi spezza il nervo sciatico al terzo medio della coscia destra. Poco dopo il mio ferimento per fortuito caso giunge una nuvola di nebbia spessissima che ci permette di defilarci nel sottostante bosco mettendoci in salvo".
Il bilancio della battaglia: Erven ferito gravissimo, una quindicina di partigiani feriti leggermente e, purtroppo, tre sono i caduti.
Ma i tedeschi lasciano sul campo quasi una cinquantina di morti.
I feriti, che sono una trentina, li trasportano negli ospedali di Sanremo.
Dopo il ferimento, il Luppi rimane tra i boschi e sui monti per mesi, senza cure, spesso braccato per la caccia che gli danno i nazifascisti, ma sempre a contatto con il Comando I^ Zona Liguria, assumendo, nei momenti di calma, incarichi per produrre stampa partigiana.
Al termine della lotta di liberazione Erven rivestiva il grado di vicecommissario della I^ Zona Operativa Liguria.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Bruno Luppi fu Paolo e fu Ponzoni Iside, nasce a Novi di Modena l’8 maggio 1916. Da giovane, organizzato in un gruppo giovanile comunista nell’aprile del 1935 a Modena, è arrestato ed imprigionato con altri antifascisti nelle carceri di Sant’Eufemia. Resistendo ai maltrattamenti e nulla confessando, dopo una ventina di giorni riesce a farsi scarcerare.
Negli anni 1935-1936, sempre a Modena, entrato nuovamente a far parte del gruppo giovanile comunista, continua l’attività cospirativa diffondendo manifestini antifascisti e scritti vari tra i giovani dei corsi premilitari, raccogliendo fondi per soccorsi alle famiglie degli antifascisti in carcere.
Trasferitosi a Taggia (IM), negli anni 1938-1940, prende contatto con un gruppo di comunisti di Sanremo (IM), tra cui Umberto Farina, Giuseppe Ferraironi, Luigi Nuvoloni, Bruno Garruti e, con loro, svolge attività antifascista e organizza in Piazza Bresca una specie di stamperia clandestina composta da macchina da scrivere e ciclostile. Ivi sono compilati migliaia di volantini contro la guerra, da distribuire nelle caserme della Città e di Arma di Taggia. Dal 1941 al 1943 è militare sul fronte meridionale. 
L’8 settembre 1943 viene catturato dai Tedeschi mentre è sottotenente nel 20° Reggimento Fanteria in ritirata verso il nord dalla Calabria. Dalla località Maddaloni - Campania riesce a fuggire, dopo avere assistito alla fucilazione di ufficiali italiani da parte dei tedeschi, e a raggiungere Roma. La notte del 9 settembre si unisce a reparti della Divisione Piave ed al comando di due squadre di mitraglieri combatte contro il nuovo nemico per tutta la giornata del 10, presso il cimitero ebraico e quindi a Fuori Porta San Paolo. In questa località la resistenza dura tutta la giornata, dopo di che inizia una ritirata fino al Colosseo e, per Via Cavour, raggiunge Via Principe Amedeo, dove fa nascondere le due mitragliatrici in dotazione a causa l’esaurimento delle munizioni. Nelle operazioni sono caduti otto bersaglieri e altri rimangono feriti.
Dopo l’occupazione di Roma da parte dei Tedeschi, dal giorno 12 al 20, insieme al sottotenente di Fanteria Enrico Contardi, ad alcuni soldati sbandati e ad alcuni popolani di Trastevere, prende parte alla raccolta di armi, abbandonate negli ex accantonamenti militari (fucili, armi automatiche, munizioni), che vengono consegnate agli antifascisti di Trastevere. Negli stessi giorni col Contardi e quattro soldati riesce a sottrarre ai Tedeschi due automobili nuove di cui una era in uso a un console della milizia.
Grazie ad un permesso di circolazione, inoltratosi nel Ministero della Difesa, riesce ad asportare una grossa radioricetrasmittente che con una delle macchine riesce a trasferire ai Colli Albani ove la consegna ad un gruppo di antifascisti che si stanno organizzando per combattere i nazifascisti.
Nei giorni successivi spara a gruppi di soldati tedeschi ma, rimasto intrappolato, per fortuito caso riesce a sfuggire alla cattura e a raggiungere la stazione ferroviaria dove è tenuto nascosto da due ferrovieri.
Nei primi di ottobre, dopo varie peripezie, raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della Città, in località Beusi, una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo.
In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme ad Umberto Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare.
Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri.
Con i sanremesi dà vita ad un giornale clandestino quindicinale dal titolo Il Comunista Ligure, ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso.
Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.
Dopo la morte del dottore Felice Cascione, capobanda ucciso in combattimento dai tedeschi il 27 gennaio 1944, la Federazione Comunista di Imperia costituisce il Triangolo Insurrezionale e il Luppi è designato a farne parte per la zona della Valle Argentina-Sanremo.
Con queste mansioni prende contatto con il comandante partigiano Nino Siccardi (Curto), in previsione dell’organizzazione di bande partigiane in altre zone della Provincia di Imperia.
Contemporaneamente organizza a Molini di Triora (IM) un presunto Comitato con a capo il farmacista Alfonso Vallini (Teia), tramite il quale fa giungere ai partigiani riuniti intorno al comandante Guglielmo Vittorio (Vitò) [Giuseppe Vittorio Guglielmo, organizzatore di uno dei primi distaccamenti partigiani in provincia di Imperia, dal 7 luglio 1944 comandante della V^ Brigata Garibaldi "Luigi Nuvoloni", dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"], viveri, armi, e munizioni.
Nei primi giorni di aprile 1944 il Luppi si incontra nuovamente con il Siccardi a Costa di Carpasio, presenti il savonese Libero Briganti (Giulio), Giacomo Sibilla (Ivan) [a fine 1944 comandante della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], Vittorio Acquarone (Marino) e Candido Queirolo (Marco).
Si decide di raccogliere tutte assieme una ventina di bande sparse sul territorio per costituire la IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi "Felice Cascione". Il che avviene. Anche Vitò si aggrega alla Brigata con i suoi uomini accampati in località “Goletta” (Valle Argentina).
Questi vengono suddivisi in due Distaccamenti denominati IV° e V°; quest’ultimo ha per comandante Vitò e per commissario il Luppi, con nome di battaglia Erven.
Il Luppi, come commissario, nei mesi di maggio e giugno prende parte a tutte le azioni che hanno consentito di ripulire i territori delle alte valli Argentina, Nervia e Roja da presidi e postazioni tedesche e fasciste...
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora) Atti del Convegno storico Le Forze Armate nella Resistenza di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona

sabato 11 marzo 2023

I partigiani imperiesi, dopo la morte di Felice Cascione, tentarono subito di tornare in azione

Una vista sino ad Imperia Porto Maurizio da Villatalla, Frazione di Prelà (IM). Foto: mpvicenza/flickr

Nella mattinata del 30 gennaio 1944 [n.d.r.: tre giorni dopo l'uccisione del loro comandante, Felice Cascione] i partigiani della banda «Cascione», che si erano fermati nei pressi di Eca Nasagò, partono in direzione di Rezzo. In Rezzo la popolazione era insorta qualche giorno prima (27-1-44), contro alcuni carabinieri di Pieve di Teco, che si erano recati nel paese per arrestare quelli che, secondo i fascisti, erano «renitenti» alla leva. La popolazione, armata, aveva fatto prigioniero il maresciallo dei carabinieri, e minacciava di fucilarlo. Poi venne rilasciato, in seguito a trattative; e i «renitenti» non furono arrestati. Però, subito dopo l'accordo con i carabinieri, vennero i fascisti, che operarono un rastrellamento in massa della popolazione di Rezzo.
I partigiani di Cascione si dirigono a Rezzo, per aiutare la popolazione; ma, mentre sono in cammino, vengono informati che la lotta è cessata per l'impossibilità di resistere contro la superiorità numerica dei nazifascisti; perciò, dopo avere mandato Gustavo Berio e Silvano Alterisio in cerca di notizie più precise, tornano indietro, e si fermano ad Armo.
L'aiuto dei partigiani era stato chiesto per mezzo di due o tre uomini di Rezzo giunti appositamente in Albra la sera del 29 gennaio 1944. Mirko (Angelo Setti), con un altro partigiano, ancora la sera stessa andrà a prendere mitragliatore e fucile nascosti durante il percorso da Forti di Nava a Barchi. I partigiani di Cascione, che la mattina del 30 erano partiti alla volta di Rezzo, saputo che la lotta è cessata si fermano in Trovasta; qui pernottano fra il 30 e il 31: quindi, per Moano e Trastanello, si portano ad Armo, dove pernottano fra il 31 gennaio e il 1° febbraio. Per andare da Albra a Rezzo i partigiani erano passati sul ponte di Eca Nasagò. Fino dal giorno 29 gennaio 1944 esponenti antifascisti imperiesi operanti in città, con i quali la banda «Cascione» era più direttamente in contatto (nucleo comunista), per mezzo di Carenzo Fedele avevano messo Curto (Nino Siccardi) in collegamento con Ivan (Giacomo Sibilla) giunto appena da Alto a Barcheto [Frazione di Imperia], e lo avevano mandato in montagna affinché si incontrasse con gli uomini della banda. Curto, con Ivan, parte intorno alle ore 14 da Porto Maurizio, col treno, e si reca ad Ormea, passando per Savona e per Ceva. Nei pressi di Eca Nasagò non trova più la banda; prosegue per Alto e per Caprauna; infine trova i partigiani ad Armo, dove arriva la sera del 31 gennaio 1944. Curto dà ordini ed istruzioni; e il giorno dopo ritorna in città.
I partigiani di Cascione, ridotti a circa una ventina di uomini o poco più, partono tutti insieme da Armo, pernottano ad Aquila d'Arroscia, pranzano a Bacelega e si fermano a Pizzo d'Evigno, dove arrivano la sera stessa del giorno della loro partenza da Aquila. Ma, prima di spostarsi da Armo per la ricerca di nuove sedi, essi, durante la notte, si erano recati ad Alto, per tentare di ricuperare almeno una parte del materiale abbandonato durante la lotta; ed erano pure andati a rendere omaggio alla salma di Cascione, che, a cura di persone del posto, era stata sepolta nel cimitero locale.
Intanto, il 1° febbraio 1944 veniva ufficialmente creato il Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale (CLNP) di Imperia.
A Pizzo d'Evigno, il giorno immediatamente successivo a quello del loro arrivo, i partigiani, che già avevano appartenuto alla banda «Cascione», si dividono in due squadre: una comandata da Vittorio Acquarone, che dapprima si stabilisce a Villatalla di Imperia (nel periodo dal 2 al 15 febbraio circa) e poi si sposta a Borgo d'Oneglia, per preparare il colpo di Garbella, che verrà disposto per il giorno 18 dello stesso mese; e una comandata da Tito (Risso Rinaldo), che si stabilisce nella valle di Diano Marina, zona di Magaietto.
Il giorno 18 febbraio i due gruppi di partigiani derivati dalla banda «Cascione», ora di nuovo aumentati in tutto di forse una diecina di uomini, si recano sulla Via Aurelia, una parte nella zona di Capo Berta e l'altra nella zona di Garbella, con l'ordine di fare saltare la strada nelle due località. L'azione dovrebbe avvenire in concomitanza con uno sciopero operaio, nonché in relazione col progetto di un eventuale sbarco alleato nella piana di Albenga, del quale si era avuta notizia.
Poi l'azione di Garbella e di Capo Berta viene sospesa, e le squadre si ritirano. Il gruppo di Garbella, che si era appostato in una casa abbandonata, poco lontano dal posto di guardia germanico, in prossimità della strada (Via Aurelia), era stato però scoperto da un tedesco, che, giunto sulla soglia di una delle due stanze nelle quali si erano nascosti i partigiani, li aveva scorti, e aveva sparato tutti i colpi della sua pistola, dando l'allarme.
I partigiani, tuttavia, si ritirano incolumi.
Subito dopo la tentata azione del 18 febbraio, otto partigiani del gruppo di Garbella, che era quello già stanziatosi prima a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, ritornano a Villa Talla; gli altri otto (fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo) si portano in una zona a monte di Borgo d'Oneglia e di Sant'Agata. Qualche giorno dopo la maggior parte di questi ultimi (fra cui ancora Setti Angelo o Mirko), essendo giunto l'ordine di portarsi alla «Maddalena» per un raduno generale, si recano a Villa Talla, allo scopo di ricollegarsi con gli altri partigiani del medesimo gruppo, e di andare alla «Maddalena» insieme con loro; ma, non avendoli trovati, proseguono da soli.
Il gruppo prima di stanza a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, che partecipa al completo all'azione del 18 febbraio, era allora composto di sedici uomini, e, fra gli altri, ne facevano parte Vittorio Acquarone, Emiliano Mercati, Trucco G.B. o «Titèn» (rientrato in banda da qualche giorno), Angelo Setti o «Mirko», Franco Salimbeni, Sibilla Federico, Sibilla Giacomo o «Ivan», Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo.
Il gruppo suddetto, per andare a prendere posto in Garbella, parte da Borgo d'Oneglia; passa per Cantalupo, per il ponte di Piani sul torrente Prino, prosegue a mezza costa fra Poggi e il torrente suddetto, attraversando la regione «Perrine»; per un tratto di strada, gli uomini sono accompagnati da Curto che aveva dato istruzioni sul da farsi; poi vengono guidati da altre due persone, probabilmente una di Artallo e una di Piani. Avrebbero dovuto dormire in una baracca a varie centinaia di passi dal luogo dell'azione, che era da compiersi la sera del giorno seguente, cioè del 18, anzi intorno alla mezzanotte; ma non trovata la baracca, anche a causa dell'oscurità, si sistemano in una casa tinteggiata in rosa (Villa Ludovici), situata vicino al ponte dell'Aurelia sul torrente Prino, o ponte di Garbella, e a pochissimi passi dalla strada stessa. Entrati per una porta posteriore rispetto alla strada, per una scala interna scendono al piano sottostante, dove pernottano. Il giorno dopo vedono dei tedeschi che camminano vicino alla casa; perciò risalgono al piano di soprae occupano due stanze, ciascuna accessibile con una propria porta, dal corridoio, e fra loro intercomunicabili per mezzo di una terza porta. All'improvviso, poco dopo il mezzogiorno, sopraggiungono due tedeschi, accompagnati da due ragazze; uno di essi, mentre l'altro è ancora fuori della casa, entra nella seconda stanza per la porta che dà sul corridoio, vede Gianni e Mirko, spara alla rinfusa, e si precipita alla finestra, continuando a sparare. I partigiani, scendendo per la scala interna, si ritirano in fretta; otto si portano sull'Aurelia, passano per il ponte, e infine andranno a Villa Talla; gli altri otto, fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo, girano intorno alla casa, Ivan spara al tedesco che è ancora alla finestra mentre l'altro è fuggito, poi tutti e otto ritornano nei pressi di Borgo d'Oneglia, passando su per giù per la strada percorsa nel venire, e si fermano fra Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, a monte dei due villaggi. Qui restano per qualche giorno, e poi alcuni di essi si dirigono alla «Maddalena», passando per Villa Talla.
Dopo la tentata azione del 18 febbraio, quando una parte del gruppo, che doveva operare in Garbella, si ritira a monte di Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, Ivan, malato di artrite, si ferma in Sant'Agata, nella casa di Mela Giuseppe («Sacchetto»), che era staffetta del gruppo. Due giorni dopo viene raggiunto da Franco Salimbeni, febbricitante.
Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

sabato 29 ottobre 2022

È una vera e propria arma contro i fascisti





[...] banda [...] guidata dal giovane medico Felice Cascione, per tutti “u megu”. Inizialmente essa è stanziata in località “Magaietto” nel comune di Diano Castello, dove si raccolgono e si organizzano i gruppi di giovani che per primi vi affluiscono.
Verso la fine di novembre 1943 le condizioni del momento consiglieranno lo spostamento della banda in via di formazione in una zona ritenuta più sicura dietro la montagna del Pizzo d’Evigno, che sovrasta le Valli di Oneglia, di Diano e di Andora, in alcuni casoni nella zona del “Passu du Beu” sopra la frazione Duranti nel Comune di Stellanello (SV) in Val Merula dove resterà fino al 20 dicembre.
Durante questo periodo [...] nei periodi di calma, alla sera intorno al fuoco nasceranno le prime strofe della canzone “Fischia il  vento”,  destinata  in  breve  tempo  a  diventare, attraverso la sua diffusione spontanea, l’inno di tutta la Resistenza. [...]
Tra questi giovani volontari c’è il partigiano “Ivan”, Giacomo Sibilla, reduce dalla campagna di Russia dove aveva imparato una popolare canzone, “Katiuscia”, che parlava della nostalgia di una ragazza per il suo soldato al fronte.
Il motivo suonato con la chitarra da “Ivan” è orecchiabile e accattivante per tutti e, le stesse condizioni di questi partigiani e la dura vita che conducono, assieme all’anelito che li spinge, suggeriscono all’animo sensibile del Comandante Cascione le parole ed i primi versi del loro inno. “Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna ardir, a conquistare la rossa primavera, in cui sorge il sol dell’avvenir”. [...]
In seguito alla Battaglia di Colla Bassa, detta anche di Montegrazie, del 13 e 14 dicembre 1943, la sede del comando della banda di Felice Cascione al Passu du Beu divenne insicura, troppo esposta alla prevedibile reazione fascista. [...]
All’alba del 21 dicembre 1943 iniziò il trasferimento verso la nuova destinazione. 
Si discese al paese di Testico (SV) e da qui verso il fondovalle del torrente Lerrone passando da Poggio Bottaro. 
Giunti sotto il paese di Casanova Lerrone i partigiani di Cascione risalirono la montagna verso Nord [...]
La Notte di Natale del 1943 gli abitanti della frazione Curenna del Comune di Vendone, uscendo dalla messa di mezzanotte, avranno la sorpresa di trovare il gruppo dei partigiani armati sul sagrato della chiesa, ad intonare la loro nuova canzone “Fischia il vento” nella sua primitiva stesura, che verrà rifinita e completata nel Casone dei Crovi i giorni seguenti.
Ogni partigiano fu accolto il giorno di Natale presso le famiglie del paese che si strinsero a loro in un abbraccio fraterno e solidale. [...]
Il 6 gennaio 1944 Felice Cascione e buona parte della banda in pieno assetto si portano a scopo esplorativo al paese di Alto dove vengono accolti dagli altri partigiani e da parte della popolazione. Viene improvvisata una piccola festa nel corso della quale verrà cantato ufficialmente l’inno della  banda  nel  suo  testo  definitivo.
Roberto Moriani, Tra quei sentieri nacque “Fischia il vento, Patria Indipendente, n° 1, gennaio 2013
 
Fonte: Eppur bisogna andar

È una vera e propria arma contro i fascisti. Li fa impazzire, mi dicono, solo a sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.

(B. Fenoglio, “Il partigiano Johnny”)
Tra i boschi, nel Comune di Stellanello (SV), coperto dalla vegetazione incolta, sorge un vecchio casolare. All’apparenza non è che un rudere, ma sul finire del 1943 il casone di “Passu du Beu” fu il rifugio della banda di partigiani di Felice Cascione e proprio lì fu ideato “Fischia il vento”, inno dapprima della Divisione Garibaldi e poi della Resistenza tutta. A riscoprire il luogo è stata l’associazione “Eppur bisogna andar”, che si propone di recuperare e valorizzare i siti, i sentieri, i manufatti che hanno segnato il difficile cammino di giustizia e dignità dei partigiani della “I Zona Operativa Liguria”.
[...] Nel dicembre del 1943, poco più di venti giovani partigiani della divisione garibaldina al comando di Felice Cascione - per tutti “u Megu” (il medico) - cominciano a percorrere un sentiero che sale da Casanova Lerrone, entroterra di Albenga, verso le prime pendici delle Alpi Marittime. Su quel sentiero, questo gruppo di ventenni alla guerra cammina di notte, si ferma di giorno, nei casoni dove si ripara il bestiame, o dove i contadini tengono gli attrezzi o qualcosa per affrontare la fame della guerra.
Cascione ha solo 25 anni, bello e carismatico come dev’essere un eroe; orfano di padre in tenera età, cresce con la madre, maestra elementare determinata e antifascista, che riesce a farlo studiare. È uno sportivo, campione italiano di nuoto e pallanuoto: capitano della squadra imperiese del Gruppo Universitario Fascista e secondo ai Mondiali con la nazionale universitaria, lascia Genova per la Sapienza a Roma e infine si laurea in Medicina a Bologna nel ’42, in fuga dalla burocrazia fascista che lo ostacolava negli esami e nelle graduatorie per un posto alla Casa dello Studente.
Il giovane Felice era nel mirino per le sue frequentazioni, che lo avevano introdotto nel partito comunista clandestino e presentato a Natta e Pajetta: decide di aderire al partito ancora prima di essere medico, la sua scelta di vita. Appena laureato, diventa subito popolare a Oneglia perché non fa pagare medicine né visite a chi ha bisogno e non ha soldi. Arrestato con la madre durante le manifestazioni successive alla caduta di Mussolini, nell’agosto del ‘43 sconta venti giorni di prigione per adunata sediziosa e, dopo l’armistizio, si rifugia sui monti coi compagni.
Tra loro c’è Giacomo Sibilla detto Ivan, operaio che ha fatto la campagna di Russia e porta una chitarra a tracolla accanto al mitra. È lui che la sera, nei casolari diroccati, strimpella Katjuša, la celebre melodia popolare russa; il testo del poeta Isakovskij parlerebbe di meli e peri in fiore, ma già i soldati italiani nella steppa l’avevano storpiato con riferimenti al vento e alle loro scarpe di cartone. “U Megu” s’ingegna a riadattarlo, per questa nuova guerra.
La canzone viene scritta su un foglietto staccato da un ricettario medico, il suo; nevica, fa freddo, la tramontana scura urla sui costoni.
“Soffia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna agir / a conquistare la nostra (?) primavera in cui sorge il sol dell’Avvenire”, recitava la prima strofa a matita, in calligrafia ordinata.
Cascione la spedisce dai monti liguri alla mamma Maria, che gliela fa riavere corretta e dattiloscritta: soffia è diventato fischia, agir è ardir, e la primavera non ha più punto interrogativo, non è più nostra ma rossa. La prima volta viene intonata dalla brigata di Cascione davanti al portone della chiesa di un borgo isolato in valle Arroscia, dopo la messa della vigilia di Natale, davanti a un pentolone di castagne; la ricanteranno, questa volta completa, davanti alla chiesa di Alto, il giorno dell’Epifania del ‘44.
Pochi giorni più tardi Cascione viene trucidato dai fascisti, dopo solo 141 giorni di lotta partigiana, mentre i suoi versi, cantati di bosco in bosco, diventano l’inno ufficiale della Resistenza, prima ancora della più trasversale “Bella ciao”.
Alberto Quattrocolo, 1944, viene ucciso il partigiano Felice Cascione, autore di "Fischia il vento", Me.Dia.Re., 27 gennaio 2019 

Alla fine di novembre del 1943, Felice Cascione e la sua banda di partigiani, sempre più braccati dai nemici nazisti e fascisti, dal casone di Magaietto (Diano Castello) si spostarono a nord, per trovare un luogo più sicuro nella boscaglia, dove, in considerazione dell’arrivo della fredda stagione, dovettero prendere strategiche decisioni di attacco al nemico.
Trovarono nella zona di Stellanello, sopra Andora, il casone a due piani di “U Passu du Beiu”. In questo luogo impervio dei monti liguri, in un momento epico e decisivo della guerra, il comandante Felice Cascione, insieme ai compagni della sua banda, decise di scrivere una canzone come “inno” alla Resistenza italiana: “Fischia il Vento”.
Alla presenza di Cascione, la canzone fu poi cantata per la prima volta dai partigiani ad Alto (CN) il giorno dell’Epifania del 1944.
Tre settimane dopo Felice Cascione, nel tentativo di salvare i suoi compagni da una imboscata nazifascista, perse la vita da eroe.
Christian Flammia, Alle origini della nostra civiltà: il casone di “U Passu du Beiu” dove fu scritta la canzone “Fischia il Vento”. Un luogo leggendario per la Liguria, Rete Genova, 22 settembre 2018
 
Il monumento dedicato alla canzone "Fischia il vento", realizzato dall'artista Flavio Furlani. Foto: Trucioli art. cit. infra

Sabato 17 luglio 2021, alle 11,00 presso i Giardini “Libero Nante”, zona Pontelungo di Albenga solenne inaugurazione del Monumento “Partigiani cantano Fischia il Vento”, dell’artista Flavio FURLANI, donato al Comune dal Prof. Nicola Nante in memoria del padre.
Libero Nante, già medico condotto nell’entroterra ingauno (7 Specialità e Primario Chirurgo), partigiano e Dirigente Sanitario dell’ospedaletto da campo a Carnino e poi della Brigata Nino Berio ad Alto. Imprenditore nella ricostruzione postbellica della rete di assistenza sanitaria ingauna, fondò due Case di Cura, di cui una, la “San Michele” in attività.
[...] Il testo fu partorito sotto la regia del Capo Partigiano, Dr. Felice CASCIONE, uno dei primi martiri della Guerra di Liberazione (settembre 1943-aprile 1945), Medaglia d’Oro al Valore Militare, nelle lunghe notti passate con i compagni d’arme nei “Casoni” di montagna, baite che li ospitavano via via, in preparazione degli assalti o in fuga dalle rappresaglie nazi-fasciste. Nel “Casone di Votagrande” presso “u Passu du Beu”, alle spalle del Pizzo d’Evigno (Stellanello-SV, inizio dicembre 1943) ai gregari della banda ribelle viene l’idea di scrivere un proprio inno: Giacomo SIBILLA (IVAN), reduce dalla Campagna di Russia (agosto 1941-dicembre 1943, sempre nel contesto della Seconda Guerra Mondiale), accompagnandosi con la chitarra intona l’aria di Katiuscia (canzone popolare russa, testo di Ivan ISAKOVSKIJ, musica di Matvej BLANTER).
Felice (U MEGU - il Medico) e Silvano ALTERISO (VASSILI) scrivono i primi versi. Le strofe vengono completate tra il 15 ed il 25 dicembre, nel “Casone dei Crovi”, sul monte Castellermo (Vendone-SV), con la collaborazione di altri Partigiani della Banda; la madre di Felice, Maria BAIARDO, maestra, vi apporterà le prime correzioni. Una prima prova del testo completo avvenne a Curenna (frazione di Vendone-SV), dalle cui famiglie i Partigiani vennero ospitati la sera di Natale del ’43.
Vi furono (e vi sono) incertezze su alcune parole, in particolare sulla prima (inizialmente “soffia” oppure “urla” oppure “fischia”), ma anche tra “ardir” ed “andar”, nonché, soprattutto, sull’aggettivo “rossa” oppure “nostra”, attribuito a “primavera” e “bandiera”: chi le voleva più marcatamente di parte, chi preferiva rispecchiare in quei versi l’unione di tutte le forze partigiane, senza distinzione di colore, così da unire in una sola causa tutti i combattenti antifascisti, manifestando un sentimento universale di fratellanza e unione tra gli uomini. La canzone riceverà forma matura a “Case Fontane” (sopra il Lago della Madonna di Alto-CN, alle pendici del Monte Dubasso), dove, pochi giorni dopo, Felice CASCIONE troverà eroica morte sotto il fuoco nazi-fascista, il 27 gennaio 1944.
“Fischia il Vento” fu ufficialmente cantata per la prima volta in pubblico dalla Banda Partigiana, passata in rassegna da Felice CASCIONE, sul sagrato della Chiesa di San Michele in Alto (CN), il giorno dell’Epifania 1944, divenendo rapidamente “la canzone più nota ed importante nella Lotta di Liberazione”.
[...]
Fischia il vento, urla la bufera

Scarpe rotte e pur bisogna andar

A conquistare la nostra primavera

In cui sorge il sol dell’avvenir.

Ogni contrada è patria del ribelle

Ogni donna a noi dona un sospir

Nella notte ci guidano le stelle

Forte il cuore e il braccio nel colpir.

Se ci coglie la crudele morte

Dura vendetta verrà dal Partigian

Ormai sicura è la bella sorte

Contro il vil che ognun di noi cerchiam

Cessa il vento, calma la bufera

Torna fiero a casa il Partigian

Sventolando la nostra bandiera

Vittoriosi alfin liberi siam.

Redazione, Albenga, grata, inaugura: ‘Partigiani cantano Fischia il Vento’. Monumento di Furlani donato al Comune dal prof. Nicola Nante in ricordo del padre, Trucioli, 15 luglio 2021

domenica 31 luglio 2022

Ed i fascisti a Sanremo cercavano anche il capitano Umberto

San Romolo (768 m.s.l.m.), Frazione di Sanremo (IM): uno scorcio

9 gennaio 1945 - XXIII
(Relazione registrata in ritardo. L'interrogatorio avvenne il 4 gennaio 1945 - XIII)
Relazione succinta sulle dichiarazioni fatte dall'ex sbandato Cadrozzi Corrado, presentatosi per arruolarsi nella Brigata Nera il 4 gennaio 1945 - XIII.
Il Cadrozzi si è presentato dal Prof. Porta con una lira di carta divisa a metà come segno di riconoscimento ed ha così potuto ritirare dei medicinali che li ha poi consegnati al Ten. Rico. Glielo hanno ordinato Ned ed il Ten. Rico.
Questo Rico per scendere a S.Remo faceva la strada di S. Bartolomeo e poi seguiva sentieri insospettati. Ha i seguenti connotati: statura media - bruno - con borse sotto gli occhi. Ultimamente era in Corso Impero [n.d.r.: attuale Corso Inglesi]. È armato di Glisendi [n.d.r.: Glisenti, pistola simile alla Luger], già di Pereno Mario. Rico si è fatto tingere di rosso i capelli dalla madre di Ned e così camuffato è andato a bere con Morotti ed il comandante Mangano una quindicina di giorni fa. Naturalmente il Comandante nulla sapeva e così si crede di Morotti.
(1) Ervedo (De Bigault che abita in Guardiole) [n.d.r.: Ervedo De Bigault, squadrista della Brigata Nera Padoan, morto il 27 gennaio 1945 a Tomena, località di Montalto Ligure: ma in precedenza o era stato partigiano o era riuscito in qualche modo ad avere contatti con i patrioti (vedere infra)] sa dove si trova il Rico che non è di S.Remo e ha la voce dolce. Altre persone conoscono Rico. Lo conosce Ned, ragazzo biondo, di venti anni. Lo conosce il fratello del Baggioli, Renato. A sua volte Ervedo sa dove abita Ned.
[...] In casa di Ervedo (De Bigault) sono stati presenti il Cap. Umberto, Siffredi, il Ten. Rico e hanno nominato quella sera stessa il Conti aiutante maggiore della risma. Questo Conti è un tipo alto ed ha i capelli ricci.
[...]
1) Ervedo (De Bigault) abita in Strada S. Bartolomeo, 26.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
 
[ n.d.r.: il Capitano Umberto era Candido Bertassi, già comandante di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, operante tra Baiardo (IM) e Ceriana (IM), che, prima di venire sciolta intorno al 20 settembre 1944, aveva sporadicamente collaborato con i garibaldini e aveva anche momentaneamente incorporato Italo Calvino

Nasce la repubblichina di Salò e subito vengono affissi i manifesti per il richiamo alle armi della classe 1923: proprio quella di Calvino. Per i disertori, come si sa, è prevista la fucilazione.
Il giovane, per non essere arrestato, prende la via delle colline e si rifugia in boschi e boschetti, nelle terre di proprietà del padre. Poi, con un gruppo di amici, Aldo Baggioli, Massimo Porre, Renzo Barbieri e altri, decide di salire in montagna. Viene accolto nella formazione partigiana «Brigata Alpina» presso Beulla. È una brigata, la sua, che si muove tra Baiardo e Ceriana ed è comandata da Candido Bertassi, conosciuto come Capitano Umberto.
Wladimiro Settimelli, Nome di battaglia «Santiago». Il giovane Calvino partigiano nei racconti di alcuni compagni. Dall’archivio dell’Anpi spuntano documenti che ricostruiscono il periodo della montagna e della Resistenza, l’Unità, 11 dicembre 2013, articolo riprodotto come Nome di battaglia "Santiago" in Nord Milano Notizie, 12 dicembre 2013 
 
Entra [Italo Calvino] a far parte di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, che è stanziata in località Beulla o si muove nei territori dei Comuni di Baiardo e di Ceriana. La formazione è comandata da Candido Bertassi detto "Capitano Umberto”. Calvino vi rimane finché non inizia il suo graduale sfaldamento.
Francesco Biga, A 20 anni dalla morte del grande scrittore. Italo Calvino, il partigiano chiamato "Santiago", Patria Indipendente, 29 gennaio 2006  
 
Nei primi mesi della lotta di liberazione si era anche formato un gruppo partigiano "Giustizia e Libertà", ossia del Partito d'Azione: era comandato dal capitano Umberto (Candido Bertassi) e in un certo momento giunse ad avere anche 200 uomini.
Operava fra Bordighera e Sanremo, sulla fascia collinare e montana in prossimità della costa. In seguito, verso la fine dell'ottobre '44 e i primi di novembre, fu per qualche tempo alle dipendenze del CLN circondariale sanremese.
"Si sciolse dopo il rastrellamento di San Romolo" (14 novembre 1944); ed i suoi uomini "in parte passarono alle formazioni garibaldine, in parte si misero a disposizione del CLN di Sanremo, in parte si sbandarono". <49
49 Note ricavate da "L'epopea dell'esercito scalzo, Mascia, pag. 204. Sentite pure varie persone.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 
Poi altri sbandati ed altre notizie, è la banda badogliana del capitano Umberto che ripiega da Langan
[...] Era ancora buio alle quattro del 5 luglio quando fu data la sveglia.
[...] Gli uomini di Umberto descrivevano con vivacità i recenti combattimenti.
[...] Gli avvenimenti dei primi di luglio [1944] crearono una nuova situazione
[...] A Carnino Umberto e la sua banda si fermarono. Umberto aveva un vecchio conto da regolare perché ai tempi di Val Casotto aveva perso due uomini nei pressi di Carnino. Era convinto che qualcuno del paese avesse tradito perché solo così i tedeschi avrebbero potuto sorprendere i suoi uomini quando erano scesi in paese per farsi il pane.
La Matteotti con gli altri proseguì per Viozène.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

In una particolare situazione si trova la formazione di Candido Bertassi (Capitano Umberto). Questi, nei mesi estivi, è di stanza a Valcona, Piaggia e nei pressi dei monti circostanti (Saccarello, Redentore, Fronté), dopo essere stato nella zona di Viozene e di Carnino.
La banda ha in forza una quarantina di effettivi, forse meno, anche se il Bertassi la denominò, un po' pomposamente, «Brigata Alpina», fornendo dati gonfiati circa il numero degli uomini.
Infatti, qualche pubblicazione riporta notizie grossolanamente errate, facendo ammontare a 150-200 i partigiani militanti agli ordini del «Capitano Umberto»; Augusto Miroglio (17) così si esprime: «...Candido Bertassi (Capitano Umberto) del PdA (Partito d'Azione, n.d.r.), comandante di un distaccamento G.L. forte di 200 uomini operanti nell'entroterra di Sanremo-Bordighera...».
La notizia è tanto più imprecisa in quanto riferita al successivo periodo in cui il Bertassi arriverà nei dintorni di Ceriana con una decina di patrioti, per poi scomparire definitivamente. Ne L'Epopea dell'Esercito Scalzo (18), troviamo scritto: «... Crediamo doveroso ricordare in questo volume l'opera svolta da un distaccamento di Giustizia e Libertà, al comando del Capitano Umberto (Candido Bertassi). Il distaccamento che raggiunse la forza di 200 uomini, sebbene indipendente, operò per alcuni mesi nella zona dell'imperiese occidentale...».
Inoltre, la posizione del «Capitano Umberto» appare alquanto confusa con quell'aderire alla IX Brigata e, contemporaneamente, col volersi considerare autonomo. Tale aggettivo, infatti, figura sovente accanto alla denominazione della formazione «Brigata Alpina».
Questa posizione assumerà il massimo dell'anacronismo a proposito della battaglia sostenuta il 25 luglio 1944 nell'Alta Val Tanaro quando (già costituitasi la II Divisione «F. Cascione»), la I Brigata «S. Belgrano», sotto il comando del «Cion» [Silvio Bonfante], sosterrà duri combattimenti contro i Tedeschi. In tale occasione, come più diffusamente vedremo, il «Capitano Umberto» emetterà, non si sa a quale titolo, un suo comunicato sugli scontri.
Infine, va considerato che nelle zone montane estreme della nostra provincia e di quelle limitrofe savonesi, confinanti con l'Alta Val Tanaro, sono presenti alternativamente formazioni della XIII Brigata Val Tanaro alle dipendenze di Eraldo Hanau (Capitano Martinengo), che effettuano varie azioni contro i presidi nazifascisti, soprattutto a Nava. Dette formazioni sono autonome e denominate «badogliane». Alcune bande, distanti dal loro comando centrale, passano a volte sotto l'influenza delle forze garibaldine a seconda della massiccia presenza, o meno, degli uomini di «Curto» nella loro zona.
(17) A. Miroglio, Venti mesi contro vent'anni, 2^ edizione Istituto Storico della Resistenza in Liguria, Genova, 1968, pagg. 141,142.
(18) Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Casa Editrice Alis, Sanremo, pag. 204.

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 46,47

[Il 5 luglio 1944 i tedeschi uccisero a Carnino, località di Briga Alta (CN), 5 persone] Chiesi a Rico di Carnino se conosceva quei cinque che avevano trovato morti tra Carnino e Viozene ai primi di luglio. - Erano miei parenti, due anziani erano miei zii -, poi raccontò come nel primo inverno avessero consigliato i giovani a presentarsi ai bandi di chiamata della Repubblica [Sociale di Salò]. Raccontò l'imboscata tesa dai tedeschi alla banda di Umberto (Candido Benassi), la fuga dei giovani del paese durante l'occupazione tedesca, la marcia nella neve, il sospetto di essere stati traditi, il rancore sordo per quelli che in paese parteggiavano per i fascisti. Quando eravamo scappati ed i nostri ci temevano morti, mio zio diceva che se avessimo dato retta a lui, se ci fossimo presentati quando eravamo in tempo, non avremmo dovuto poi scappare come delinquenti. Quando poi tornammo in paese parevano contrariati di vederci ancora. Passarono molti mesi di attesa, poi passò un gruppo di partigiani di Martinengo, avevano del bagaglio da portare a Viozene. I partigiani si fecero aiutare da quei cinque. I giovani del paese si erano appostati fra le rocce con i moschetti, quando quelli erano tornati si erano fatti riconoscere e poi li avevano uccisi. Al parroco di Viozene l'ultimo che era ancora vivo aveva dato e chiesto il perdono per il male che era stato fatto. E' segno che il nostro sospetto che avessero chiamato i tedeschi in paese era vero.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943/45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

Prima di partire da Piaggia il Capitano Umberto, che proveniva da una famiglia nobile del cuneese, m’invitò a rimanere con lui promettendomi di darmi il comando di un reparto di partigiani di Giustizia e Libertà. Ho rifiutato e ringraziato, partendo con gli altri compagni alla volta di Carmo Langan. Non sono in grado di ricordare le date di tutti questi spostamenti essendo trascorsi oltre 65 anni quando mi accingo a scrivere questi ricordi, ma eravamo ormai nella seconda metà dell’anno 1944. Giunti a Carmo Langan, abbiamo trovato “Vittò” e si è ricostituita la brigata.
Gio Batta Basso (Tarzan)
Chiara Salvini, Ricordi di un partigiano, Nel delirio non ero mai sola, 29 luglio 2012 

Era riapparso nella zona della V brigata il capitano "Umberto" di cui abbiamo già parlato, con documenti di riconoscimento che lo identificavano come Bertassi Candido di Torino, proveniente da Massaua (Eritrea) e con una lettera di fiducia del CLN di San Remo. Chiedeva la riorganizzazione del suo distaccamento e il suo inquadramento nella V brigata. <9
9 Da relazione del commissario Peitavino Ferdinando (Silla) al Comando Divisionale (Prot. n° 106, 2 dicembre 1944).
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria). Da settembre a fine anno 1944. Vol. III, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

9 gennaio 1945 - XXIII
"Gazzola, Vacchino, Marsaglia sono stati i finanziatori della banda del Capitano Umberto. Il versamento veniva effettuato presso il Commissario Ormea che successivamente ne divideva le somme. Non preciso se il denaro veniva offerto, oppure estorto sotto minaccia, ma quest'ultima ipotesi è quasi da escludersi". Informatore Imp. M.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo 

1 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 173/CL, all'Ispettorato della I^ Zona Operativa - Comunicava che il capitano Umberto forse stava costituendo un distaccamento da spostare in Piemonte per poterlo unire ai badogliani, con i quali avrebbe poi sostenuto l'esigenza di eliminare le formazioni garibaldine.
8 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 197/CL, al comando della V^  Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Forniva notizie sul capitano "Franco", definito un disgregatore, e sul capitano "Umberto", che aveva rotto con il C.L.N. e che sembrava cercare contatti con "Mauri" in funzione di rottura con i garibaldini di "Curto" [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]
10 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando del I° Battaglione "Mario Bini" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" - Veniva ordinato l'arresto del capitano "Umberto" e di Riccardo Siffredi, presenti al Borgo di Sanremo (IM)
27 febbraio 1945 - Da "Mimosa" [Emilio Mascia, della V^ Brigata SAP "Giacomo Matteotti" della zona di Sanremo] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvisava che ad Alassio era stato visto il "capitano Umberto" mentre incitava ad arruolarsi nel Battaglione "San Remo", da lui formato per andare a combattere in Piemonte.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

18 gennaio 1944 - XXIII
Si presenta De Bigault Ervedo (Strada San Bartolomeo, 26).
Quando si sono sciolte le bande nazionaliste del Cap. Umberto (circa tre mesi fa) il capo doveva organizzare a Torino un cantiere (Il Comandante della divisione 'F. Cascione'. generale Curto) edile per impiegare tutti i ribelli (Siffredi, ecc). I ribelli avevano avuto l'ordine di recarsi a Torino.
Forse il cantiere non è più stato organizzato e tutti se ne sono andati per conto loro (?). Il cantiere doveva sorgere a Mirafiori e anche una Agenzia per battere qualsiasi affare, sempre a Torino. Prima i ribelli avrebbero dovuto trovarsi ad Alba, ad un dato punto di riferimento. Sempre ad Alba il Capitano Umberto aveva 20 "Stein" (fucili mitragliatori inglesi).
Il Curto voleva prendere Umberto e tutta la banda nazionalista, e quando Umberto si accorse di ciò, lasciò andare via col Curto i partigiani anarchici e delinquanti, e lui prosciolse gli altri da ogni obbligo. Questo accadeva circa un mese e mezzo fa: verso fine ottobre e primi novembre 1944. Consigliò di andare a lavorare a Torino.
Forse nella Brig. Nera c'è chi fa doppio gioco perché all'indomani che Ervedo "Edo" è venuto al comando, c'è stato chi ha mandato l'informazione ad uno dei tre membri del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.), e uno di questi membri, a firma "Mimosa" [n.d.r.: Emilio Mascia, responsabile del SIM (Servizio Informazioni Militari) del CLN di Sanremo], ha mandato un biglietto ad un incaricato, così come visto: "Diffidate di Edo. Mimosa". Circa 4 giorni fa, 3 individui, armati di pistola, si aggiravano nei pressi della casa di Ervedo ("Edo").
Per rendere autentici i documenti, il Cap. Umberto ha detto: "C'è un certo Console Hans che mi aiuterebbe, perché è mio amico".
C'è un biglietto da portare al Comando, interessante.
19 gennaio
Infatti, al pomeriggio viene consegnata dal De Bigault una lettera n. 156 di prot. del Comando Unificato [n.d.r.: si intende, un dispaccio dei partigiani], in data S.Remo 23 dicembre 1944.
Copia di tale lettera viene passata al Federale, giunto in sede al pomeriggio.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

25 gennaio 1945 - VERBALE DI INTERROGATORIO
Il giorno 25 Gennaio dell'anno 1945 alle ore 11 antimeridiane è stata interrogata negli uffici del Distaccamento di Brigata Nera di San Remo innanzi a noi sottoscritti Cap. RIZZELLI LUIGI, Magg. ALDO RAVINA V.ce comandante del Distaccamento; e i Legionari PELUCCHINI DARIO e CADROZZI CORRADO la Signorina sfollata in Via DANTE ALIGHIERI N° 95 (prima Via Gaudio N° 12) SAPPIA LINA di Pilade e di Corradi Teresa, nata in San Remo 28 novembre 1918 perché accusata di avere contatti con elementi ribelli.
Opportunamente interrogata così risponde.
Conosco il Cap. UMBERTO, MA NON SO LE SUE GENERALITA' COMPLETE. L'ho conosciuto due anni fa ed ho avuto con lui dei rapporti di amicizia.
Mi ha confidato che era in banda e mi ha consegnato oggetti personali di vestiario da custodire. Non conosco la località dove vive detto Capitano ma so l'attività che esso svolge.
Conosco il S.Ten. "RICO" Enrico da circa tre mesi. L'ho conosciuto assieme ad una mia cugina di nome SAPPIA RENATA, abitante in Via Canessa mente mi recavo a S. Romolo per raccogliere castagne. Ho riveduto il RICCO in compagnia del Cap. UMBERTO a S. Romolo.
Conosco il Signor SIFFREDI ADRIANO di San Remo. Detti elementi fanno parte della banda X.
Le volte che mi sono recata a S. Romolo sono andata esclusivamente col compito di raccogliere castagne.
Negli abboccamenti avuti non ho mai dato notizie politiche o militari riguardanti la città.
A.d.r.  A S. Romolo non ho mai avuto fastidi dai ribelli.
A.d.r.  Il solo incarico che ho avuto è stato quello di andare a prendere a casa di SIFFREDI, un paio di pantaloni, una camicia, e consegnarli al Cap. UMBERTO a mezzo di un suo mandatario che mi ha portato una lettera. Detto Capitano si trovava a S. Bartolomeo nella casa di DE BIGAULT ERVEDO, strada S. Bartolomeo, dove ho portato gli indumenti.
A.d.r.  C'erano anche il Tenente "RICO", SIFFREDI, CONTI.
A.d.r.  Il Capitano UMBERTO mi ha chiesto ospitalità per la sera stessa ma io non ho potuto aderire all'invito. Credo che si sia rivolto assieme a SIFFREDI a villa Impero, in Via DANTE ALIGHIERI N° 14.
A.d.r.  In questa villa mi sono recata qualche volta per prove o consegna di abiti da donna alla Signora MONTORO, essendo io sarta. So che vi lavorava a ore una donna di servizio di nome GINA.
A.d.r.  Il Tenente "RICO" l'ho incontrato a S. Romolo la prima volta tre mesi or sono, e parlando ho scoperto che eravamo parenti alla lontana. Da allora mi ha chiamata "Cuginetta". L'ho ancora visto altre due volte, e l'ultima da Ervedo.
A.d.r.  Il Cap. Umberto l'ho conosciuto, ripeto, circa due anni fa, sotto il nome di "Dido". L'ho riveduto a S. Romolo, vicino alla funivia, e ho saputo lì che era capitano. Eravamo nel cuore della stagione delle castagne.
Un'altra volta l'ho incontrato sulla piazza di San Romolo. Era in compagnia di altri ribelli, ed era molto affaccendato.
A.d.r.  Sono andata a San Romolo dalle 3 alle 4 volte, sempre per castagne e anche per trovare tracce di mio fratello Franco, di anni 20, che se ne era andato dalla TOD dove lavorava a Diano Marina quando la TOD è stata sciolta e da allora non conosco né recapito né ho avuto notizie.
A.d.r.  So ancora che il Cap. Umberto ha il papà vivo, mentre la mamma gli è morta. E' un piemontese.
Il Ten. Rico è di Cuneo.   Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

30 gennaio 1945 - XXIII
Egli [Luigi Dragone] è apportatore di missiva di carattere militare consegnatagli da Pier de le Vigne (Sughi Pietro) per il Cap. Umberto e Riccardo Siffredi.
La consegna avvenne un mese e mezzo fa in casa di Ervedo De Bigault. Il Dragone la consegnò a De Bigault e questi a Siffredi e al Cap. Umberto.
Qualche tempo prima di consegnare la lettera al De Bigault Dragone vide in casa del De Bigault stesso il Cap. Umberto e il Siffredi.
Dragone abita a S. Bartolomeo [n.d.r.: Frazione in collina di Sanremo]: Strada S. Bartolomeo (osteria del tabacchino di S. Bartolomeo).
La zia di Dragone è l'amante di Pier de le Vigne.
La zia (Dragone Cesarina, concubina di Pier de la Vigna) sa dove si trova Pier de le Vigne.
Il Dragone ha portato altra missiva consegnatagli da Pier de le Vigne, oltre le due lettere passate a Ervedo.
Il biglietto diceva: "Urge nostro abboccamento tra Siffredi e Cap. Umberto. Situazione regolarizzata al Comando di Divisione. Saluti fraterni. Pier de le Vigne" [...]
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

giovedì 30 giugno 2022

Una contessa sequestrata dai partigiani

Un'immagine d'epoca di Gavenola, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM) - Fonte: pagina Facebook "Gavenola"

Lasciata Gavenola il comando scese a Borghetto e di là risalì ad Ubàga dove la banda di Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, in seguito vicecomandante della VI^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] aveva operato la scorsa estate.
Sostammo ad Ubàga un giorno: avremmo atteso il partigiano che avevamo mandato a Valcona. In realtà era in tutti una certa indecisione, un'inerzia indefinibile che dipendeva forse dal clima più dolce, dal sostare per il vitto in case di contadini, dal non essere armati. Mancava forse nel nostro gruppo una personalità che fosse decisa e combattiva; si diffondeva la sensazione che il Comando [n.d.r.: della I^ Brigata "Silvano Belgrano" alla data qui corrente ancora alle dipendenze della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"] avesse più funzioni amministrative che direttive.
La staffetta ci raggiunse: aveva tentato di passare la 28 a Case di Nava ma i tedeschi presidiavano i forti, Case di Nava, Ponti, Ormea: la statale era ormai rioccupata integralmente e gli automezzi riprendevano a transitare sui ponti  ricostruiti. Fatto segno a colpi di fucile il partigiano aveva dovuto desistere, avrebbe ritentato il passaggio tra Cesio e Pieve. Ripartì.
Io quel giorno scesi a Borghetto a sentire la radio ed ebbi occasione di assistere alla cattura di due donne francesi sospette di spionaggio. Un nostro informatore ci assicurò che erano pericolose ed incaricò un partigiano dell'arresto. La cosa non mi interessò eccessivamente, conoscevo la più giovane  delle due sorelle per averla vista come cameriera in un alberghetto di S. Bernardo di Mendatica ai tempi della Matteotti, ma non sapevo nulla di lei.
Il 27 [novembre 1944] il Comando era di nuovo in marcia per Casanova. Ad Ubaghetta incontrammo le due francesi del giorno prima, parecchi di noi riconobbero la più giovane, la camerierina di S. Bernardo. Ci dissero che erano state riconosciute innocenti ed ora tornavano ad Ormea. La cosa ci lasciò indifferenti, eppure chi aveva il dovere ed il diritto di dare un giudizio saremmo stati noi del Comando Brigata. Sopra Ubaghetta trovammo Fra Diavolo [n.d.r.: Giuseppe Garibaldi, poco tempo dopo comandante della Brigata Val Tanaro, rinominata ad aprile 1945 IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] con un gruppetto che andava in missione  di guerriglia, sarebbe rimasto fuori qualche giorno. Ci accennò alle due francesi: un suo partigiano le aveva portate nella sua banda la sera prima dicendo che erano spie; Fra Diavolo aveva fatto legare il partigiano al palo ed aveva rilasciato le donne: «Se voglio fucilare qualcuno lo so fare da me ma non ho voglia di fare processi né il tempo di raccogliere prove e testimoni su due donne». Gli augurammo buona fortuna.
A breve distanza trovammo cinque partigiani che ci precedevano sulla salita portando una branda: «Siamo di Fra Diavolo» - ci dissero - «portiamo la branda per la contessa che non vuol dormire sulla paglia». Su un costone boscoso trovammo il grosso della banda. «Abbiamo preso la contessa Cepollini di Alto» - ci spiegarono - «non c'è nessuna accusa contro di lei, ma suo marito è ricco e gli abbiamo chiesto un milione».
Già qualche altra volta, quando i soldi del C.L.N. erano mancati o erano stati insufficienti, ci eravamo trovati nella necessità di procurarcene in modo forzoso per evitare che l'eccessivo numero di buoni di prelevamento non pagati impoverissero la popolazione delle nostre zone provocando malcontento. In qualche raro caso la somma venne chiesta come prestito e fu da noi restituita, negli altri casi pensammo che lo avrebbe fatto il Governo legittimo a fine guerra e pertanto rilasciammo sempre regolare ricevuta delle somme avute. Naturalmente, con l'inflazione forte, la somma avrebbe avuto un valore minore come d'altra parte accadrà con i buoni per merci rilasciati ai contadini, che nel 1945 in  maggio verranno pagati per le cifre segnate, anche se erano dell'estate 1944, mentre il valore della lira si era dimezzato. Nel 1944 era Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, in seguito vicecommissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] che si incaricava di questi contatti od almeno così credevo.
Oltre al caso Faravelli, al tempo di Piaggia, avemmo due ospiti forzati: una signora, moglie o parente dell'industriale della lavanda Col di Nava ed un altro signore il cui padre avrebbe potuto contribuire efficacemente alla Causa. Avevo assistito al colloquio di Boris con quest'ultimo, era stato molto cortese, non aveva fatto nessuna minaccia, solo lo aveva avvertito di affrettare la trattativa perché l'attacco nemico era imminente e poteva esservi coinvolto. Le trattative allora erano fallite perché il rastrellamento ci aveva obbligato a lasciare Piaggia. I nostri ostaggi erano stati liberati e mi fu detto che il giovane, avviatosi a piedi verso casa, era stato ucciso dalle mitraglie tedesche presso S. Bernardo di Mendatica.
Il caso Cepollini da chi era stato organizzato? Io che ero l'amministratore non ne sapevo nulla, il commissario Osvaldo [n.d.r.: Osvaldo Contestabile, verso la fine del conflitto commissario della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] nemmeno. Erano sintomi di indisciplina e di autonomia preoccupanti e, quel che era peggio, vedevo che il Comando non faceva rimostranze, ma considerava tutto naturale. Avallammo quanto era stato fatto e disponemmo che la liberazione della contessa avvenisse solo quando i fondi fossero stati versati all'amministrazione della Brigata.
Giungemmo in serata a Casanova dove trovammo Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, poco tempo dopo questa data comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"] coi capibanda Basco e Domatore: il Comando Brigata sarebbe così stato al completo se non fosse mancato, purtroppo per sempre, il vicecommissario Socrate [n.d.r.: Francesco Agnese] che ormai sapevamo caduto nel disastro di Upega.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pagg. 56-58

Del Comando brigata sempre nessuna notizia. Per tenere gli uomini in efficienza, e anche per non farli pensare troppo, era necessario effettuare qualche azione; ma le munizioni erano scarse. Perciò iniziammo a fare provvista di tritolo, prelevandolo dai campi minati tedeschi (cioè sminando i loro campi minati). Riuscimmo a farne una buona scorta, adoperandoli poi sulla strada statale SS 28, nel tratto Cesio-Pieve di Teco, oppure nella zona di Albenga, o anche sulla statale Aurelia, nel tratto Albenga-­Alassio.
Il C.L.N. di Albenga aveva chiesto un contributo in denaro per la lotta di liberazione al Conte Cepollina, il quale si era rifiutato di farlo.
A causa di questo rifiuto il mio reparto ricevette l'ordine dal C.L.N. di rapirne la moglie, contessa Cepollina, che abitava a San Fedele nei pressi di Albenga, e di tenerla in ostaggio fin tanto che il Conte non avesse versato il suo contributo. La Contessa, una donna molto bella, rimase con noi il periodo necessario alle trattative, e quindi venne rilasciata.
La ricordo sempre con tanta simpatia per la sua dignità, per il suo coraggio: sola in mezzo a tanti ragazzi che la spogliavano con gli occhi. Il loro desiderio era nell'aria, «si sentiva»; ma lei si comportò sempre con tutti come se si fosse trovata in mezzo a degli amici.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, p. 147

[...] Con la presenza a Casanova di tutti i componenti del Comando poteva aver inizio la fase di riorganizzazione. La presenza di Mancen poteva ridare vigore ed autorità. La presenza a Casanova di un prigioniero, un questurino di  Imperia, con un impermeabile chiaro, dimostrava che le azioni, i colpi di mano avevano ripreso. Quando vedrò l'impermeabile indosso a Livio, il viceresponsabile S.I.M., saprò che il prigioniero era stato fucilato.
[...] Sostammo a Casanova tre giorni. Dormivamo nei fienili sotto la carrozzabile, alla mattina giravamo per le famiglie per far colazione a base di cachi. A pranzo ed a cena mangiavamo in albergo dove era la sede del Comando. Mandammo in licenza ed in congedo un certo numero di partigiani che ne espressero il desiderio, riorganizzammo i quadri di qualche banda.
Il 29 sera salii a Marmoreo chiamato dal parroco: trovai settecentomila lire del conte Cepollini di Alto; bastavano per il riscatto della moglie?
Ritenni che bastassero. Attesi fino a tarda sera che una staffetta conducesse la contessa, poi, al suo arrivo, ritirai la somma. Le consegnai una ricevuta già preparata dal Comando che esonerava la famiglia del conte da altri contributi in tutta la zona da noi controllata. Ad una domanda sul significato di tale frase precisai: «Non posso garantire l'atteggiamento di altre Divisioni partigiane se i familiari del conte si spostassero fuori dalla nostra zona. Ritengo però  che questa dichiarazione dovrebbe aver valore anche per loro. In caso di necessità si rivolgano a noi». Mi scusai e le augurai buon viaggio.
Sembra che la contessa non si sia lamentata della sua avventura con i partigiani: «Dicevano che i partigiani erano dei banditi ma in città ce ne sono dei peggiori» pare abbia detto. E' probabile che ci avesse immaginato sul tipo dei banditi da romanzo mentre, osservando da vicino la vita della banda, apparivamo molto più semplici ed umani, specialmente nei periodi di calma. Le cento necessità della vita quotidiana occupavano buona parte del nostro tempo e venivano  risolte in modo primitivo. La nostra giovinezza, la nostra allegria, che qualche volta si sforzava di coprire sentimenti ben più dolorosi, il nostro rispetto istintivo per gli ospiti, i disagi a cui ci eravamo sobbarcati per offrirle un minimo di conforto può darsi abbiano commosso chi era abituata a vivere in ben altro ambiente.
Forse il conte, cui la banda di Stalin, per puro vandalismo, aveva distrutto la biblioteca del castello di Alto, era di diverso parere.
Il giorno dopo verso sera lasciammo Casanova diretti a Marmoreo [...]
Gino Glorio (Magnesia), Op. cit., pagg. 60,62


«Il 29 sera salii a Marmoreo chiamato dal parroco». In quello stesso giorno veniva scritto il presente documento conservato nell'archivio di Ramon [n.d.r.: Raymond Rosso, svizzero, in seguito Capo di Stato Maggiore della Divisione Bonfante] ]. Il documento è singolare per vari motivi. Il primo che mai venni informato della mia nomina a Capo di Stato Maggiore. L'Ufficio Operazioni era stato soppresso a Fontane e Pablo aveva lasciato le formazioni il 26 novembre. Non viene nominata la carica di amministratore che continuavo a ricoprire. Boscia era più  conosciuto col nome di Stalin. Era realmente intenzione del comando brigata darmi un incarico più impegnativo? Qualche tempo dopo Pantera mi disse che Simon [n.d.r.: Carlo Farini, alla corrente data responsabile della I^ Zona Operativa Liguria] aveva detto che era necessario valorizzare Magnesia. Sarei stato disposto a divenire Commissario di una brigata? Gli risposi che era una carica politica e, non essendo io comunista, avevo dubbi di esser idoneo alla carica. Pantera rise e disse che prendevo la cosa troppo sul serio. Tutto finì lì. Vi è un legame tra questo documento e la proposta successiva? Forse non è questo documento la sola testimonianza dello stato confusionale dei comandi alla fine di novembre.
Gino Glorio (Magnesia), Op. cit., p. 61  

Il 30 novembre 1944 una nota comunicava che il Conte Cepollini aveva pagato 700.000 lire per riscattare la moglie trattenuta prigioniera ad Alto e Nasino. Visto il suo rifiuto a finanziare amichevolmente la Resistenza si era ricorsi a metodi estremi pur di ottenere quelle somme necessarie per pagare il sostentamento dei ribelli. Un certo Alfredo Valle aveva invece elargito 50.000 lire ai partigiani.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, p. 369

martedì 31 maggio 2022

Ventisei ore dopo, con una traversata tremenda, raggiungevamo il porto di Livorno


Sanremo (IM): il porto vecchio

Nella notte tra il 27 ed il 28 agosto 1944, la motovela San Marco, adibita dai Tedeschi al trasporto di rifornimenti, lascia il porto di Sanremo e, dopo una fuga di ventisei ore in mare aperto, raggiunge il porto di Livorno portando in salvo tre garibaldini scesi dalla montagna. Il colpo è riuscito grazie alla perizia del capitano Stefano Zolezzi e del motorista Armando Odemondo (2).
(2) Cfr. M. Mascia, op. cit., pag. 59 e segg.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992
 

Nello Cella racconta
:
Dopo lo sbarco degli anglo-americani in Provenza e l'intensificarsi dei bombardamenti alleati sul nostro litorale, le comunicazioni ferroviarie nella Riviera vennero a cessare completamente e quelle stradali si fecero estremamente difficili. Il nemico aveva perciò organizzato un servizio notturno di piccoli convogli composti di chiatte, motobarche e motovele - alcune delle quali sequestrate alla mia ditta - che, scortate da una o due moto vedette, eseguivano i rifornimenti fra Genova e Savona e le linee del fronte.
Avevamo, in quell'epoca, installato sopra Capo Nero un posto di segnalazioni che era in collegamento coi centri della Riviera francese e più di una volta i galleggianti tedeschi dovettero incassare duri colpi da parte dell'azione dei caccia notturni alleati.
Ma noi avevamo progettato qualcosa di più grosso: addirittura la fuga d'una nave con tutto il suo carico. E ci ponemmo all'opera per attuarla.
Dopo aver passato in rivista le imbarcazioni adibite ai rifornimenti, decidemmo di tentare l'attuazione del progetto col San Marco, una mia piccola motovela, di cui conoscevo molto bene l'ottimo stato dei motori e le possibilità di  tenere a lungo il mare, qualità essenziali perché la fuga riuscisse. Inoltre, e quest'era senza dubbio il punto più importante, potevo contare ciecamente sull'equipaggio della nave, il capitano Zolezzi Stefano ed il motorista Odemondo Armando, ambedue antifasciti accaniti ed uomini di mare nel senso completo della parola.
Preparammo i piani accuratamente: negli ultimi giorni il SIM ci informò che tre patrioti, scesi dalla montagna, avrebbero tentato l'avventura col San Marco. Ci ponemmo in contatto con essi ed attendemmo.
Nel pomeriggio del giorno stabilito giunge al nostro ufficio il «Feldgendarme» ad avvertirci che per le 21 tutto l'equipaggio dev'essere a bordo.
Consumammo la cena discutendo ancora il nostro piano in attesa dei tre patrioti. Alle 20 essi giungono e tutti insieme, dopo aver definito gli ultimi dettagli ci avviammo al porto.
La notte era fredda e scura: piovigginava e un vento diaccio spazzava le strade e il molo. Contavamo appunto sull'oscurità e sull'inclemenza del tempo per far passare inosservati i tre fuggitivi. E vi riuscimmo. Pochi minuti prima delle nove eravamo all'entrata del porto; poi, di corsa, tutti noi provvisti del permesso di entrata, ci affolliamo innanzi alla garitta ove stava la guaordia per ripararsi dal vento, mentre i nostri patrioti, approfittando della confusione, scìvolavano attraverso il varco sperdendosi nell'oscurità. Li raggiungemmo qualche minuto più tardi e in breve fummo sul San Marco: essi s'arrampicano a bordo e spariscono nella stiva, attraverso il passaggio lasciato aperto fra il  materiale che ingombra il fondo. La prima parte dell'operazione era riuscita in pieno ed era per noi di buon augurio per il compimento del progetto. Attendemmo una mezz'ora: un sott'ufficiale della Kriegsmarine ci raggiunge con l'ordine «nessuno può più uscire. Preparatevi a partire. Seguite il capo convoglio che vi segnalerà le istruzioni».
Il momento è  giunto. Mi sento commosso: penso ai miei uomini che stanotte si giocheranno la vita, ma conosco a fondo il carattere e la volontà di Zolezzi ed Odemondo e son certo che se la caveranno. Faccio le ultime raccomandazioni e attendo: veggo i razzi segnalatori illuminare il cielo, il porto e le imbarcazioni; sento il rombo dei motori che si mettono in moto: discerno nettamente il caratteristico ritmo delle macchine del San Marco e  mi sforzo di isolarlo dagli altri per poterlo seguire.
Passano cinque, dieci minuti, un quarto d'ora: il convoglio si snoda lentissimo nel mare agitato. Poi non sento più il rombo del motore del San Marco: il piano funziona. Passano ancora dieci minuti; ed il ritmo inconfondibile delle  macchine della mia nave riprende. Vi è qualcosa di diverso, però, è più cupo e distante: capisco che il San Marco ha cambiato rotta e che si è messo controvento, come d'accordo. La fuga si è iniziata, ma potrà svolgersi indisturbata? Mi domando e, malgrado il freddo, sento che la fronte e il palmo delle mani si fanno umide di sudore. Scandisco i minuti. Poi veggo la luce dei riflettori sciabolare il mare: un razzo, due razzi accecanti si alzano verso il cielo: al largo si sgrana il crepitio di una mitragliatrice: poi ancora, uno, due, tre colpi di cannone partono dalla punta del molo.
E' tutto finito? Non so. Resto ancora a lungo e non odo che il brontolio dei motori che si fa sempre più indistinto; poi decido di lasciare il porto per non destar sospetti. Ritorno a casa, affranto, inzuppato e attendo che ritorni il  giorno.
La mattina dopo, in ufficio, un ufficiale della Kriegsmarine mi informò della fuga. Dovetti lottare con le unghie e coi denti per convincerlo della mia innocenza.
E fu solo a liberazione avvenuta che Zolezzi ed Odemondo mi fecero il racconto della loro avventura.
«Lasciammo il porto insieme alla moto-vela Leo - il cui equipaggio doveva assecondare la nostra fuga - e due o tre altri galleggianti. Fuori della diga cominciammo a ballare: il mare era agitato e grossi cavalloni, bianchi di spuma, ribollivano intorno a noi, rompendosi con rumore di tuono sui frangiflutti.
Demmo fondo ed attendemmo che tutto il convoglio fosse fuori: sentivamo, nel frastuono delle onde, il rumore delle motozattere che accostavano. Una rapida imbarcazione si avvicinò a noi, un riflettore, con una rapidissima sciabolata nel  buio, sembrò contarci, poi l'oscurità ricadde, fonda ed ostile.
Il capo convoglio urlò, attraverso il megafono, in cattivo italiano, l'ordine di accodarsi al convoglio. Poi ripartì immediatamente per portarsi in testa. Andammo avanti adagio perché il resto del convoglio potesse allontanarsi sempre più e per accertarci della entità della scorta di retroguardia.
Nel buio intravedevamo il Leo che navigava di conserva con noi e faticava enormemente sotto i colpi di mare.
Non appena fummo in rotta una moto-vedetta sbucò dal buio e impennandosi venne lungo il nostro bordo. Una voce rauca ci ingiunse di far presto poiché il convoglio era già lontano.
Rispondemmo che i motori ci davano delle noie, ma che saremmo presto stati in grado di aumentare la velocità. La moto-vedetta non accennava a lasciarci: pareva avesse intenzione di attenderci: se così fosse stato tutto il nostro progetto sarebbe andato in fumo.
Allora il Leo, per ingannare il nemico, si staccò da noi e riprese la rotta del convoglio.
Gridammo alla moto-vedetta che anche il San Marco era pronto e, con nostro sollievo, la vedemmo accostare sulla sua dritta e partire.
Immediatamente invertimmo la rotta puntando verso l'alto mare, verso la libertà!
Non appena accostammo il mare ci investì in pieno, di prua, con furia tremenda. Ondate dopo ondate si frangevano contro il tagliamare, rompendosi con violenza selvaggia spazzando il ponte. Eravamo nell'acqua, inzuppati sino all'osso, schiaffeggiati dal vento freddo su una nave che sembrava impazzita. Ma si andava! Il motore era in pieno: sembrava non avesse mai girato così vorticosamente come in quella notte. I minuti passavano e tutto proseguiva bene: sembrava che il convoglio non si fosse accorto di nulla. Poi, subitamente, alcuni razzi ruppero il buio e noi scorgemmo segnalazioni ottiche partire da terra. Dal convoglio si rispose: sentivamo che la nostra fuga era stata scoperta e ci attendevamo la reazione.
Infatti, subito dopo il fascio di luce di un riflettore ci inquadrò in pieno. Al di sopra del rumore del vento e del mare udimmo le scariche delle grosse mitragliere. Il cielo sembrava essere fantasticamente illuminato da una festa di fuochi artificiali: ma noi sapevamo di essere fuori tiro e si teneva la nave contro il vento diritti verso la meta. Sapevamo che le moto tedesche non avrebbero potuto, col mare grosso, mantenere la nostra velocità e sapevamo di aver ormai vinto la partita.
Stavamo accostando per rettificare la rotta, quando dal porto tuonò il cannone. I primi colpi passarono su di noi, fischiando; l'ultimo scoppiò al di sopra del ponte crivellandolo di scheggie. Poi la lotta ebbe termine.
Ventisei ore dopo, con una traversata tremenda, raggiungevamo il porto di Livorno: portavamo in salvo i tre patrioti e il nostro carico e ci ponevamo al servizio degli alleati».
Naturalmente i miei due valorosi collaboratori dimenticarono di aggiungere che entrambi furono feriti dallo scoppio dell'ultimo proiettile, e che, malgrado le sofferenze, essi restarono al loro posto ventisei terribili ore, finché la  nave non fu in acque amiche.
La loro impresa fu una delle più audaci di tutta la nostra guerra e merita di essere ricordata ad onorare gli uomini del mare d'Italia i quali non furono secondi ad alcuno nella lotta per il riscatto nazionale.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Edizioni ALIS, Sanremo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 
 
Sanremo (IM): molo lungo del porto vecchio

Carlo Unger di Löwenberg, trentottenne lucchese di nascita a dispetto del patronimico tutto teutonico, e il suo vice Silvio Fellner, triestino cinquantatreenne, erano stati giustiziati alle una del mattino di sabato 19 agosto 1944 con una scarica di machinen pistole nel cortile della stamperia del forte San Giorgio, sede genovese del Comando germanico della Kriegsmarine. Quivi era stata allestita in tutta fretta una corte marziale presieduta dal comandante Berlinghaus e composta da soli ufficiali tedeschi compreso il difensore d’ufficio. Prima dell’esecuzione ai due condannati era stata negata l’assistenza religiosa e, a Löwenberg, un ultimo incontro con i familiari, col pretesto che “non c’era tempo”. La motivazione della sentenza giunta sino a noi recita testualmente: “per alto tradimento in tempo di guerra e di fronte al nemico”. Formalmente venne imputato ai due alti ufficiali di aver ordinato, senza averne facoltà, il ripiegamento delle forze di mare distaccate nella Liguria di ponente traducibile, in pratica, nell’imputazione appunto di “alto tradimento”. Ma la realtà consacrata da una documentazione inoppugnabile non sembra poter accreditare tale impostazione accusatoria né riconoscere alla sentenza una corretta e convincente proporzionalità tra l’esiguità della presunta colpa e l’abnormità della pena comminata e subito eseguita. Infatti la prima si fonda esclusivamente sui telegrammi inviati dal comandante Löwenberg il 14 agosto 1944 alla astazione segnali di Bordighera, al posto radio di Arma di Taggia e agli uffici di porto di Sanremo e Imperia per disporre il ripiegamento su Genova del personale (peraltro non necessario alla difesa in quanto prevalentemente civile e difatti ritirato più tardi dalle stesse autorità germaniche), mentre la seconda è in aperto evidente contrasto con quanto disposto dall’articolo 5 del regolamento, sulla posizione del personale della Marina italiana che collabora con la Marina germanica, che imponeva dover essere i due ufficiali eventualmente giudicati da un tribunale italiano.
Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Ilsrec, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 - * Testo dell'intervento tenuto al convegno "Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata", organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)

sabato 2 gennaio 2021

Uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno

Trovasta - Fonte: Mariojk66/Wikiloc

Il 28 marzo del 1945 muore fucilato a Pieve di Teco (Imperia) dopo essere stato lungamente torturato dai tedeschi ROBERTO DI FERRO (15 anni, nome di battaglia Baletta) apprendista meccanico e Partigiano.
Di Ferro nacque a Malvicino ( Alessandria) ed aveva quattro fratelli. I genitori si trasferirono per lavoro ad Albenga (Savona) e Roberto cominciò giovanissimo a lavorare come apprendista meccanico per aiutare la famiglia. Già dall’8 settembre 1943 a soli 13 anni decise d’interessarsi della Resistenza insieme al fratello più grande Guido e fu tra i primi a darsi alla macchia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Anche se i genitori erano contrari vista la giovane età il 2 settembre 1944 Di Ferro inizia a collaborare fattivamente con i partigiani con il nome di battaglia Piccinen o Baletta che nel dialetto ligure è traducibile come pallina ed indica il comportamento tipico dell’età adolescenziale. Raggiunta una formazione partigiana sull’Appennino Ligure “Baletta” fu inizialmente impiegato come staffetta. Col passare dei mesi fu difficile impedirgli di partecipare anche alle più rischiose operazioni della sua formazione.
La Liberazione sembrava essere ormai imminente quando il 27 marzo 1945 una colonna motorizzata tedesca forte di duecento uomini irruppe nella zona di Tovrasta sopra Pieve di Teco (Imperia). Guidava gli uomini della Wermacht un delatore. Un gruppo di partigiani del distaccamento “Marco Agnese” appartenente alla Brigata “Silvano Belgrano” (VI Divisione Garibaldi d’assalto “Bonfante”) fu colto di sorpresa. Nell’impossibilità di rompere l’accerchiamento i partigiani si difesero sino all’ultimo. Il loro comandante GIOVANNI TRUCCO fu ucciso con altri suoi compagni nel conflitto. “Baletta“ con nove superstiti fu catturato dai tedeschi.
Gruppo Laico di Ricerca

Nelle prime ore del 27 marzo 1945, accompagnati dalla spia Angela Bertone di Pieve di Teco, già fidanzata con uno dei partigiani destinato a morire in seguito all'agguato qui descritto, una colonna tedesca di duecento uomini si inoltrava nella zona di Trovasta, Frazione di Pieve di Teco (IM), per catturare un piccolo presidio partigiano. Il casone era la sede provvisoria del Distaccamento “Marco Agnese” della VI° Divisione “Silvio Bonfante”. Pochi giorni prima una squadra del Distaccamento era stata inviata in missione, mentre dodici uomini rimasero nel casone. Mentre gli uomini in servizio di sentinella davano l'allarme ai compagni, la colonna nemica si era già divisa in tre gruppi per giungere al casone da diverse direzioni. Vista l’impossibilità di sganciarsi, il comandante Giovanni Trucco "Franco" [n.d.r.: vice commissario della II^ Brigata "Nino Berio"], ordinava di difendersi con ogni mezzo possibile, ma cadeva per primo, seguito dal garibaldino Angelo Volpari "Sceriffo" e da Antonio De Negri (un civile, padre di Nino e Lino: era salito nella notte per avvisare del pericolo incombente). Tutti gli altri nove, finivano presto le munizioni e si dovevano arrendere. Condotti a Pieve di Teco dove la mattina del 28, otto di loro, Lino De Negri Nino De Negri (Nino) fratelli Elio Galvani (Elio) Antonio Lancella (Caramba) Luciano Saldo (Bab) Giovanni Saldo (Naia) fratelli Giuseppe Moraca (Zai) Giovanni Saldo (Faen), vengono fucilati a Prato Sertorio e Prato San Giovanni sulla sponda destra del torrente Arroscia. Il giovane partigiano Roberto Di Ferro (Baletta) non fu subito fucilato con i suoi compagni, ma interrogato tutto il pomeriggio dal Maresciallo tedesco Kroth. In serata venne messo sopra un carretto, portato in Prato San Giovanni, e passato per le armi.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020  

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016;  Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]


Il 26 marzo 1945 il Distaccamento "Marco Agnese" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante", Distaccamento comandato da "Franco" [Giovanni Trucco], il quale era impossibilitato a muoversi a causa di una slogatura ad un piede, catturò 2 tedeschi. I tedeschi per rappresaglia catturarono 3 persone tra cui il fratello di "Franco".
Nelle prime ore del 27 marzo 1945, accompagnata da una spia, "una colonna tedesca di 200 uomini si inoltrava nella zona di Trovasta [Frazione di Pieve di Teco (IM)] per catturare il piccolo presidio (momentaneamente composto da 12 garibaldini, in quanto altri 10 erano in missione) partigiano. La pattuglia preposta per il servizio di vigilanza avvistava una colonna, in quanto il nemico qualche centinaio di metri prima del paese si era suddiviso in tre parti, per entrare da diverse direzioni. Il comandante Trucco Giovanni, vista l'impossibilità di sganciarsi, iniziò con tutte le armi un furioso combattimento... caddero sul campo dell'onore il comandante Trucco Giovanni ed il partigiano Volpari Angelo. Gli altri 10 partigiani, fra i quali il quattordicenne Di Ferro Roberto, esaurite le munizioni, vennero catturati dal nemico e condotti a Pieve di Teco" (da una relazione senza data del comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria). Il casone nel quale si erano asserragliati i 12 uomini del Distaccamento "Marco Agnese" era lo stesso nel quale tre mesi prima era stato arrestato il comandante "Menini": un rifugio inadatto ad accogliere i garibaldini perché visibile da tutte le parti. Secondo quanto sosteneva l'informatore dei partigiani "Giglio", Antonio e Lino De Negri (padre e figlio) avevano cercato di avvisare "Franco" dell'imminente attacco tedesco, ma era stati prima intercettati. E "Giglio" avanzò l'ipotesi che i tedeschi fossero stati indirizzati per vendetta dalla concubina di Lino De Negri. Il 28 aprile "Basco" ["Blasco", Giacomo Ardissone], "Ramon" e "Biscio" tentarono di intavolare una trattativa con i tedeschi cercando di scambiare i garibaldini prigionieri con due sergenti tedeschi trattenuti da "Basco". Tutti i tentativi si dimostrarono inutili ed i partigiani arrestati vennero fucilati il 28 aprile alle ore 20 a Pieve di Teco: De Negri Antonio, De Negri Lino, De Negri Nino, Trucco Giovanni, Saldo Giovanni, Saldo Luciano, Galvani Elio, Langella Antonio, Monaco Giuseppe, Volpari Angelo e Di Ferro Roberto (Baletta, medaglia d'oro alla memoria al valor militare).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Roberto di Ferro, "Baletta"

[Roberto Di Ferro] nato a Malvicino (Alessandria) il 7 giugno 1930, trucidato a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945, operaio, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. È, con Filippo Illuminato, uno dei più giovani partigiani decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare. La motivazione della ricompensa alla memoria di “Baletta”, questo il nome di battaglia di Roberto Di Ferro, suona: “Primo fra i primi nelle più audaci e rischiose imprese, ardente di fede ed animato dal più puro entusiasmo, appena quattordicenne partecipava alla dura lotta partigiana, emergendo in numerosi fatti d’arme per slancio leonino e per supremo sprezzo del pericolo. Dopo strenuo combattimento contro preponderanti forze nazifasciste, in cui ancora una volta rifulse il suo indomito valore, esaurite le munizioni, veniva catturato e condotto dinanzi ad un giudice tedesco. Benché schiaffeggiato e minacciato di terribili torture, si manteneva fiero e sereno non paventando le barbare atrocità dell’oppressore. Le sue labbra serrate in un tenace e sprezzante silenzio, nulla rivelarono che potesse nuocere ai compagni di fede ed alla causa tanto amata. Condannato a morte rispondeva: «Uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno». La brutale rabbia nemica stroncava la sua giovane esistenza interamente dedicata alla liberazione della Patria. Magnifico esempio di valore e di giovanile virtù”. Il ragazzo lavorava già nonostante la giovanissima età, per aiutare la famiglia che si era trasferita dall’Alessandrino ad Albenga e fu tra i primi a darsi alla macchia dopo l’armistizio. Raggiunta una formazione partigiana sull’Appennino Ligure, “Baletta” fu, inizialmente impiegato come staffetta. Col passare dei mesi, fu difficile impedirgli di partecipare anche alle più rischiose operazioni della sua formazione. La Liberazione sembrava essere ormai imminente quando, il 27 marzo 1945, una colonna motorizzata tedesca, forte di duecento uomini, irruppe nella zona di Tovrasta, sopra Pieve di Teco. Guidava gli uomini della Wermacht un delatore. Un gruppo di partigiani del distaccamento “Marco Agnese”, appartenente alla Brigata “Silvano Belgrano” - VI^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Silvio Bonfante“ - fu colto di sorpresa. Nell’impossibilità di rompere l’accerchiamento, i partigiani si difesero sino all’ultima cartuccia. Il loro comandante, Giovanni Trucco, fu ucciso nel conflitto, con altri suoi compagni. “Baletta”, con nove superstiti, fu catturato dai tedeschi. Inutile il tentativo del vicecomandante della VI^ Divisione Garibaldi, Luigi Massabò, di salvarli: la proposta di uno scambio con due ufficiali nazisti fu respinta dai tedeschi, che trucidarono i dieci prigionieri. La memoria della giovane Medaglia d’oro della Resistenza è ancora molto viva nell’Alessandrino, nell’Imperiese e nel Savonese. Un importante contributo a non dimenticare il ragazzo partigiano di Albenga è stato dato da Daniele La Corte col suo libro Diventare uomo - La Resistenza di Baletta (prefazione di Alessandro Natta), che nel 2006 è giunto, per i tipi della Totalprint di Genova, alla terza ristampa.
Redazione, Roberto di Ferro "Baletta", I RESISTENTI, Anno VIII, n° 1/2015, ANPI Savona
 
A Malvicino nacque Roberto Di Ferro “Baletta”, giovanissimo partigiano, crudelmente ucciso dai tedeschi, a soli 14 anni, il 28 marzo 1945, a Pieve di Teco, nell’Imperiese. Di Ferro, trasferitosi ad Albenga con la famiglia, dopo l’Armistizio aderì subito ai gruppi partigiani, dapprima come staffetta, per la sua giovane età. Col passare dei mesi, però fu difficile impedirgli di partecipare anche alle più rischiose operazioni della sua formazione, nel corso delle quali si distinse per entusiasmo, determinazione e coraggio.
Il 27 marzo 1945, una munita colonna nazifascista, irruppe nella zona Pieve di Teco e “Baletta”, in forza al Distaccamento “Agnese” della VI^ Divisione Garibaldi “Bonfante”, combattè sino all’esaurimento delle munizioni. Catturato, con altri 9 compagni, sebbene percosso e torturato, nulla rivelò al nemico. La proposta di uno scambio con due ufficiali nazisti, prigionieri dei ribelli, fu respinta dai tedeschi, che trucidarono tutti i partigiani, riservando al ragazzino acquese il supplizio della crocifissione sulla pubblica piazza. 


Roberto di Ferro è una delle più giovani Medaglie d’Oro al Valor Militare della lotta di Liberazione. Nato a Malvicino in Provincia di Alessandria il 7 giugno del 1930, è stato fucilato dai nazi-fascisti a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945: a Roberto mancavano tre mesi per compiere quindici anni.
Nel 1943 la famiglia si era trasferita ad Albenga dove Roberto aveva completato l’obbligo scolastico ed aveva iniziato a cercare lavoro. Ad Albenga, dopo l’8 settembre 1943, aveva conosciuto il movimento di resistenza e vi aveva aderito con l’incarico di staffetta. Poi, nell’estate del 1944, era entrato a far parte di una formazione partigiana dell’entroterra savonese, come combattente ed aveva assunto lo pseudonimo di “Balletta” che in dialetto locale vuoi dire “pallina”, in considerazione della sua giovane età e della vivacità atletica del suo comportamento.
Malgrado i ripetuti richiami dei genitori, che lo avrebbero voluto con loro e da loro protetto, restò con i suoi amici, manifestando la ferma volontà di opporsi all’invasore e la speranza di un avvenire di giustizia e libertà. Con questo animo partecipò a diversi scontri a fuoco.
Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1945, Roberto e altri dieci partigiani vennero attaccati da preponderanti forze nazi-fasciste e, dopo forte resistenza, finite le munizioni, furono catturati.
Dieci di loro furono immediatamente trucidati. Roberto fu risparmiato nella speranza che rivelasse posizioni ed entità della sua formazione e condotto nel Municipio di Pieve di Teco. Qui, per tre giorni, fu sottoposto ad interrogatori e torture ma non parlò. Vista inutile ogni violenza, fu trascinato sulla riva di un torrente e nelle prime ore del 28 marzo 1945 (a meno di un mese dalla fine del secondo conflitto mondiale) fu fucilato.
IL NASTRO AZZURRO, n° 3-2007

Sul luogo del martirio di Baletta - Fonte: ANPI Milano

Mancava meno di un mese alla Liberazione, Roberto Di Ferro venne fucilato e poi crocefisso dai nazisti, non aveva ancora 15 anni. Nel numero di ANPI news 157 del 31 marzo-7 aprile è stata pubblicata la nota del Presidente Smuraglia, che qui sotto riportiamo e vogliamo tenere in evidenza, per tenere a mente il sacrificio suo e quello dei tanti partigiani che ci hanno donato Libertà. Repubblica e Costituzione, soprattutto ora che si avvicina il 70° della Liberazione.
Smuraglia già una volta concluse una commemorazione ufficiale a Pieve di Teco con queste parole “ Io a vent’anni ho dovuto compiere una scelta: o fare parte della repubblica di Salò o scegliere la via delle montagne. Ho fatto una scelta che non fu difficile e io spero che non sia mai difficile per un giovane una scelta del genere perché a mio parere un giovane a vent’anni dovrebbe essere istintivamente rivolto verso la libertà e non verso la dittatura e mi auguro che i nostri giovani, in futuro, se si troveranno a dovere fare scelte diverse, sappiano sempre scegliere la strada giusta, che è quella della libertà e quella della democrazia. Da ANPI news: 'Si trattava di un ragazzo che già era impegnato nel lavoro e che si unì subito ai partigiani, “pretendendo” fermamente di essere impiegato come combattente. E così avvenne: il ragazzo dimostrò coraggio e ardimento; quando fu sorpreso, a seguito di una delazione, con altri, e fu arrestato e sottoposto a violenze e torture perché, parlasse, sopportò tutto con la fermezza di un adulto, e fu barbaramente fucilato dai componenti di una colonna motorizzata di tedeschi. Il ricordo di “Baletta” è vivissimo ancora oggi, tant’è che gli sono stati dedicati libri, c’è un cippo che lo ricorda, assieme ad un monumento, che riguarda anche altre vittime della ferocia nazista. Ogni anno la memoria viene attivata con una serie di manifestazioni, che poi culminano in una pubblica celebrazione ed un corteo nelle vie di Pieve di Teco. Anche domenica scorsa, c’è stata la celebrazione, particolarmente partecipata da gente venuta anche dal savonese e dall’imperiese, ancora una volta commossa nel ricordo di quel ragazzo a cui fu attribuita una medaglia d’oro al valor militare, con una bellissima motivazione, che esalta il coraggio, l’ardimento e la fermezza di quel “magnifico esempio di valore e di giovanile virtù' [...] Roberto Di Ferro: il più giovane fucilato d’Italia è una delle più giovani Medaglie d’Oro al Valor Militare della lotta di Liberazione. Nato a Malvicino in Provincia di Alessandria il 7 giugno del 1930, è stato fucilato dai nazi-fascisti a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945: a Roberto mancavano tre mesi per compiere quindici anni. Nel 1943 la famiglia si era trasferita ad Albenga dove Roberto aveva completato l’obbligo scolastico ed aveva iniziato a cercare lavoro. Ad Albenga, dopo l’8 settembre 1943, aveva conosciuto il movimento di resistenza e vi aveva aderito con l’incarico di staffetta. Poi, nell’estate del 1944, era entrato a far parte di una formazione partigiana dell’entroterra savonese, come combattente ed aveva assunto lo pseudonimo di “Baletta” che in dialetto locale vuoi dire “pallina”, in considerazione della sua giovane età e della vivacità del suo comportamento. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1945, Roberto e altri dieci partigiani vennero attaccati da preponderanti forze nazi-fasciste e, dopo forte resistenza, finite le munizioni, furono catturati. Dieci di loro furono immediatamente trucidati. Roberto fu risparmiato nella speranza che rivelasse posizioni ed entità della sua formazione e condotto nel Municipio di Pieve di Teco. Qui, per tre giorni, fu sottoposto ad interrogatori e torture ma non parlò. Vista inutile ogni violenza, fu trascinato sulla riva di un torrente e nelle prime ore del 28 marzo 1945 (a meno di un mese dalla fine del secondo conflitto mondiale) fu fucilato e crocefisso.
ANPI Milano, 4 aprile 2015

Il suo soprannome era Baletta, pallina, perchè si muoveva velocemente. Ma il suo nome era Roberto di Ferro, che a soli 14 anni fu fucilato dai tedeschi a Pieve di Teco, il 28 marzo 1945, perchè partigiano.
Riviera Time ha incontrato sua sorella Wanda, che ci ha raccontato la storia di Roberto.
Nel 2016 è stato pubblicato un fumetto della storia di Baletta, il partigiano Di Ferro.
Daisy Parodi, Riviera Time, 30 Ottobre 2017

Fonte: Patria Indipendente art. cit. infra

La genesi della graphic novel dedicata alla breve vita e alla fulminea morte di Roberto Di Ferro, uno dei più giovani resistenti, decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare, è un esempio di collaborazione che ha coinvolto l’intera comunità di Albenga per non far cadere nell’oblio e relegare a un nome su una targa l’inaudita vicenda. Tutto nasce da un libro del giornalista e scrittore Daniele La Corte che nel 1999 la riporta alla luce indagando le fonti locali della Resistenza nel Ponente ligure.
[...] Invece la storia del partigiano “Baletta” (‘pallina’, come si chiamano i ragazzini da quelle parti) è presto detta, purtroppo. Nato nel 1930, Roberto termina la scuola dell’obbligo e inizia l’apprendistato da meccanico. Nel ’43, dopo l’8 settembre, il fratello maggiore Guido prende contatto con i resistenti e l’anno dopo, quattordicenne, malgrado la contrarietà dei genitori, lui stesso inizia ad operare come staffetta, partecipando poi anche alle azioni più rischiose di sabotaggio ai nazifascisti. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo ’45, tre colonne motorizzate della Wermacht, guidate da una spia fascista, accerchiano un casolare sopra Pieve di Teco: dopo una strenua difesa, esaurite le munizioni, i partigiani sopravvissuti sono fatti prigionieri, alcuni fucilati sul posto, Roberto portato via, interrogato e torturato. Non parla e tre giorni dopo è condotto sul greto di un fiume e fucilato. Doveva ancora compiere i suoi primi 15 anni e mancava meno di un mese al 25 aprile.
[...] Settant’anni dopo, anniversario della Liberazione, il Presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia ha ricordato la sua “scelta non isolata, che lo unisce, assieme a tanti altri che hanno partecipato alla Resistenza, benché giovanissimi, agli ‘scugnizzi’ delle Quattro Giornate di Napoli”.
 

Fonte: Patria Indipendente art. cit. infra

E guardando il visetto biondo e bellissimo di Roberto Di Ferro, come lo ha ricreato la matita di Frank Gallo, la mente va veloce a un altro volto angelico del neorealismo, quello del bambino di Germania anno zero che nella città distrutta decide di volar giù dal palazzo sventrato che è diventato la sua casa.
[...] Hanno scritto gli alunni di Albenga, pensando a Roberto: “Sì, io voglio fare del mio meglio per fare in modo che i diritti siano universali” (Marco, II C), “La Resistenza per me significa: aria pulita-libertà-fine dei soprusi e della corruzione” (Gaetano Calabrese, III B).
Daniele De Paolis, 15 anni, fucilato: il resistente di Albenga, Patria Indipendente, 31 ottobre 2016

25 aprile, la storia del partigiano Baletta: torturato a 14 anni, morì per i suoi compagni a un mese dalla Liberazione.
Alberto Marzocchi, Il Fatto Quotidiano, 24 aprile 2018

Caduti in seguito ai fatti di Trovasta
TRUCCO GIOVANNI Franco Acquetico 3/12/22 + Pieve di T./Trovasta combattimento 27/3/45
VOLPARI ANGELO Sceriffo Ticengo CR 17/12/24 + Pieve di T./Trovasta combattimento 27/3/45
DE NEGRI LINO Pieve di Teco 24/3/28 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
DE NEGRI NINO Acquetico 23/7/24 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
DI FERRO ROBERTO Baletta Malvicino AL 7/6/30 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
GALVANI ELIO Bondeno FE 18/2/06 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
LANGELLA ANTONIO Caramba Torre del Graco NA 8/11/19 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
MORACA GIUSEPPE Zaj S.Mango d’Aquino CZ 10/1/06 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
SALDO GIOVANNI Faen Pieve di Teco 26/9/18 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
SALDO GIOVANNI Naia Pieve di Teco 2/9/19 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
SALDO LUCIANO Bab Pieve di Teco 15/9/20 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
DE NEGRI ANTONIO (Civile) + Pieve di T./Trovasta combattimento 27/3/45
Giorgio Caudano, Op. cit.

27 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava ... che in Val Tanaro era forte la presenza garibaldina; che proponeva di sciogliere il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" "facendo defluire gli uomini parte a 'Fra Diavolo' [Giuseppe Garibaldi] parte a 'Franco' [Giovanni Trucco]"...

27 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio" Giorgio Olivero] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 252, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Ordinava di rintracciare e fare rientrare il Distaccamento di "Franco" [Giovanni Trucco], che si trovava nella zona di Moano. Stabiliva di fare aggregare quel Distaccamento al Distaccamento di "Libero"...

27 marzo 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava le sue scuse per la precedente sospensione del servizio informativo, dovuta alla delazione della spia "Boll"; che il giorno prima a Trovasta era stata catturata da tedeschi provenienti da Acquetico, Pieve di Teco e Nava l'intera banda di "Franco" [Giovanni Trucco], in un agguato che aveva visto cadere sul campo due garibaldini; che si poteva tentare di salvare i 10 prigionieri minacciando rappresaglie contro il presidio di Pieve di Teco; che ad Acquetico il nemico aveva prelevato 3 ostaggi tra i quali il fratello di "Franco"; che quell'azione nemica forse era stata condotta in conseguenza della "sparizione di 2 tedeschi" per opera della banda di "Franco".
               
senza data - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul combattimento di Trovasta del 27 marzo 1945

senza data - Testimonianza di "Blasco" [anche Basco, Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata "Nino Berio"] sui fatti di Trovasta - Relazionava di avere catturato il 26 marzo 1945 due tedeschi che aveva poi tentato di scambiare con i 13 prigionieri partigiani in mano al nemico; che al diniego ricevuto aveva tentato uno scambio di 1 a 1; che gli venne rifiutata anche questa proposta; che venne fucilato uno dei due tedeschi fatti prigionieri, perché si era annotato di nascosto tutti i nomi dei garibaldini incontrati; che l'altro tedesco venne giustiziato dopo i fatti di Ginestro del 15 aprile 1945 quando il comando della VI^ Divisione diede l'ordine di liberarsi dei prigionieri tedeschi.

28 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che forse la spia "Carletto" era stata misteriosamente uccisa ad Albenga; che i tedeschi con un attacco [nella zona di Trovasta, Frazione di Pieve di Teco (IM)] al Distaccamento "Marco Agnese" avevano ucciso dei garibaldini, forse 3, e ne avevano catturati 10; che, dato che il comandante "Basco" [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata "Nino Berio"] teneva prigionieri 2 sergenti tedeschi, aveva chiesto a "Ramon" [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] di tentare uno scambio di questi prigionieri con quelli in mano ai nazisti.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione relativa alla proposta di assegnazione della medaglia d'oro al valor militare al caduto Roberto di Ferro, nato a Malvicino (AL) il 7 giugno 1930. Motivazione: "la sera del 26 u.s. il Dst. "M. Agnese" partiva in missione per minare un tratto della strada n° 28 compresa tra Pieve di Teco e Ponti di Nava. Un piccolo gruppo di 12 uomini rimaneva nel casone di Trovasta [Frazione di Pieve di Teco (IM)]. All'alba del giorno successivo, accompagnata da una spia, una colonna tedesca si dirigeva verso il casone. Avvistati i nemici che provenivano da tre direzioni diverse, scattava l'allarme, ma, impossibilitati a sganciarsi, il comandante "Trucco" ordinava di resistere. Caddero sul campo il comandante "Trucco" ed il partigiano "Sicilia". Gli altri 10 uomini venivano portati, esaurite le munizioni, a Pieve di Teco. Tra questi si trovava Roberto di Ferro che, interrogato senza rispondere nulla, alla notizia della propria condanna a morte rispondeva 'uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno'. Il giorno 28 a Pieve di Teco venivano fucilati i 10 partigiani".

29 marzo 1945 - Da "Biscio" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che dopo la cattura degli uomini di "Franco" aveva chiamato un interprete "cercando di intercedere presso i tedeschi, ma non c'è stato nulla da fare: il 28 u.s. ne furono fucilati 9 alle ore 20"...

30 marzo 1945 - Da "G. 20" al SIM della VI^ Divisione - Informativa sull'arresto della banda di "Franco" [Giovanni Trucco], avvenuto il 27 marzo: "il casone nel quale sono stati sorpresi i garibaldini [della costituenda IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione] è lo stesso in cui fu arrestato 'Menini'. Il casone è da tutti i punti di vista inadatto per il soggiorno delle bande perché visibile da tutti e quattro i punti cardinali. Lino De Negri ed il padre Antonio, avendo saputo da un tedesco dell'imminente rastrellamento, partirono per avvertire i compagni, ma furono anche loro sorpresi. 'Franco' e Antonio De Negri furono uccisi sul posto, mentre gli altri furono fucilati a Pieve di Teco. Pare che i tedeschi siano stati indirizzati dalla concubina di Lino De Negri, che voleva vendicarsi di quest'ultimo".

30 marzo 1945 - Da "G. 20" al SIM della VI^ Divisione - Riferiva ancora sugli avvenimenti del 27 marzo: "la famiglia De Negri ha subito la perdita del padre e di due figli; la consorte di 'Elio' [Elio Galvani] e la famiglia di Trucco versano in condizioni economiche disastrose. Si prega il comando divisionale di elargire almeno 10.000 lire per ogni famiglia".

30 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 259, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che "il Distaccamento 'M. Agnese' è stato travolto a Trovasta. Esiste la possibilità che sotto tortura qualche garibaldino possa far trapelare notizie relative al lancio" e con questa motivazione e con quella del maltempo chiedeva di far fare nella sua zona un unico lancio, seguito da eventuali lanci più piccoli.

2 aprile 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di provvedere finanziariamente alle tre famiglie dei partigiani [catturati a Trovasta ed uccisi a Pieve di Teco] già segnalate da "Giglio" ["G. 20"] perché versavano in condizioni economiche disastrose.

2 aprile 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava... che sussistevano gravi indizi a carico della concubina del commissario "Franco" [Giovanni Trucco], signora Angiolina, che era con i tedeschi a San Luigi.

6 aprile 1945 - Da "Giglio" [G.B. Vento] alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava... che la squadra di "Franco" [Giovanni Trucco] era stata avvisata del pericolo incombente [riferimento all'eccidio di Trovasta del 28 marzo]; che la sottovalutazione del monito ricevuto era costata la vita a quei partigiani; che la signorina Angiolina [Angela Bertone, ex fidanzata di "Franco", Giovanni Trucco] si trovava a Pornassio, trattata bene dai tedeschi.

7 aprile 1945 - Da "Biscio" alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che dopo la cattura degli uomini del Distaccamento di "Franco", Angiolina [Angela Bertone], ex fidanzata di "Franco", aveva accompagnato i tedeschi in una puntata su Vergana con la quale i nemici avevano bruciato 25 case, tra cui quella di "Ilda" [Gilda Piana], la quale aveva già subito un arresto sempre per opera della ricordata Angiolina...

8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che ... era stato realizzato il soccorso alle famiglie dei patrioti caduti a Trovasta.

da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II