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giovedì 4 aprile 2024

Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese


Prima e ultima pagina della sentenza della condanna a morte [tramutata subito in una breve carcerazione] emessa contro Ennio Contini dalla Corte di Assise di Savona, 1945. Fonte: Francesca Bergadano, Op. cit. infra

Ad Albenga (SV), quasi sempre alle foci del Centa, tra partigiani e civili, vengono uccise dai nazifascisti più di cento persone.
Il 13 novembre 1944 a Castelvecchio di Rocca Barbena viene fucilato il civile Moreno Pietro (classe 1883), mentre il figlio Moreno Teodoro (classe 1910), arrestato, è ferito in un tentativo di fuga e, trasportato ad Albenga all'ospedale cittadino, decede per complicazioni. La loro morte è l'esito di una denuncia ben documentata per aver fornito viveri ai partigiani. La ritorsione da parte dei partigiani porta all'uccisione di Giuseppina Daldin Malco, moglie di Giuseppe Malco, commissario prefettizio a Castelvecchio, e di don Guido Salvi, un prete accusato di delazioni a favore della Feldgendarmerie.
Il primo dicembre 1944 Angelo Casanova (Falco), con una squadra di partigiani, tende un agguato mortale ad un gruppo di tedeschi nei pressi di Leca d'Albenga, in cui vengono uccisi otto tedeschi e quattro rimangono feriti. Il "Pippetta", la spia locale Giovanni Navone, denuncia gli autori di questo agguato alla Gendarmeria, ma almeno tre dei quattro arrestati sono solo parenti dei responsabili dell'agguato.
[...] Dopo una perquisizione nella casa della famiglia Navone di Villanova d’Albenga, accusata di fornire cibo ai partigiani, i membri di sesso maschile della famiglia, il padre Pietro e i figli Annibale e Alfredo, vengono catturati.
In seguito tedeschi e brigate nere si recano a Garlenda dove vengono arrestati il partigiano Esirdo Simone (Zirdo), il parroco del paese e altri due uomini nonché due donne.
Il 27 dicembre 1944 il distaccamento “Maccanò” della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" si scontra con una pattuglia tedesca uccidendone tre soldati e ferendone altri sei a nove chilometri da Albenga.
La stessa sera per rappresaglia vengono fucilati alla foce del Centa in Albenga (SV) i sei uomini, Esirdo Simone, Giovanni Fugassa, Pietro Navone, Annibale Navone, Alfredo Navone, Artemio Siccardi, e una donna, Giovanna Viale, presa il giorno precedente. Solamente il parroco di Garlenda, don Giacomo Bonavia, non verrà giustiziato ma salvato dall’intervento del vescovo di Albenga.
Il giorno successivo altri 15 ostaggi, quasi tutti residenti a San Fedele, sono fucilati alla foce del Centa a causa di una delazione delle spie Camiletti e Calderone. I condannati sono Ciarlo Emilio (nato nel 1893), Cristofori Vittorio (1908), Epolone Pio (1879), Fugassa Emilio Domenico (1904),  Fugassa Emilio Samuele (1897), Pastorino Vittorio (1897), Roveraro Angelo (1925), Semeria Giuseppe (1878), Tomati Andrea (1898), Tomati Francesco (1889) e Parolo Cirillo (1901), tutti civili. A questi si aggiungono i partigiani Faroppa Pasquale, Merlino Mario, Parolo Leonida e Roveraro Prospero.
[...] Giuseppe Calmarini (Stalinger) e Settimio Vignola (Vespa), partigiani nel distaccamento "Filippo Airaldi" della Divisione "Bonfante", scesi dai monti nell’inverno, vengono arrestati mentre si trovano nelle proprie abitazioni durante il rastrellamento di Pogli del 20 gennaio 1945, denunciati da una spiata dell'ex partigiano Luciano Ghio detto il Pisano.
Il 22 gennaio 1945 vengono fucilati alle foci del Centa insieme ad altri tre civili tutti di Pogli, Angelo Gandolfo (nato nel 1905), Ernesto Porcella (1921) e Luigi Vignola.
[...] Il 18 febbraio 1945 vengono giustiziati ad Albenga per rappresaglia De Lorenzi Pietro (Gin) nato a Vendone il 17.6.1904 (sappista), Isoleri Gino nato a Villanova d'Albenga il 26.5.1905, Cavallero Severino nato a Cuneo l'1.5.1926, Mosso Ennio nato a Villanova d'Albenga l'1.11.1904, Nano Francesco nato a Castelvecchio di Rocca Barbena il 29.1.1927, Sapello G. Battista nato a Villanova d'Albenga il 23.11.1883.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 

[ altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano con Paolo Veziano, Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 

Genovese Giacomo, nato a Catanzaro il 5 gennaio 1945, Capitano della Brigata nera “Briatore” (Giacomo Genovese venne fucilato a Vado Ligure in località Fosse S. Ermete il 29 giugno 1945 dopo essere stato prelevato con altri dal carcere di Finalborgo dove era detenuto)
Interrogatorio del 12.5.1945 nelle carceri di Savona: [...] Complessivamente la forza della brigata [nera] si aggirava sulle 150 unità, ripartite fra Vado, il posto di blocco di Albisola e servizio fisso al comando tedesco. Vi erano poi tre distaccamenti: Varazze, Albenga ed Alassio, comandati rispettivamente da Felice Uboldi e Fabbrichesi a Varazze, da Scippa prima e poi Sesta ad Albenga e ad Alassio Capello prima ed Esposito poi. Tutti questi reparti erano alle dipendenze dei tedeschi ed anzi aggiungo che i reparti di Alassio ed Albenga dovevano effettuare i servizi di pattuglia per conto dei tedeschi.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

Quando Ennio Contini giunge ad Albenga, nel marzo 1945, lo scontro tra formazioni partigiane ed esercito tedesco è al culmine della sua ferocia; rappresaglie antifasciste e rastrellamenti della Feldgendarmerie <1 sono all’ordine del giorno. Per sua conformazione geografica (la famosa “piana” poteva essere un ottimale punto di sbarco alleato ed era allo stesso tempo molto vicina alla Francia) la zona costituiva un punto di snodo importante sia per le forze alleate sia per l’esercito germanico e in questo lembo di terra era cresciuto in modo esponenziale anche il movimento antifascista. Qui, nel luglio 1944, era nata infatti la Divisione d’assalto Garibaldi intitolata a Felice Cascione, primo comandante partigiano caduto in battaglia. Il 1944 è un anno tristemente importante per l’Italia e per Albenga, ormai nel pieno di una guerra civile. Scrive Gianfranco Simone nel suo libro "Il boia di Albenga": «Fino all’arrivo della Feldgendarmerie nel novembre 1944 l’albenganese aveva sofferto meno per la repressione nazifascista che per le incursioni dei bombardieri francesi e angloamericani» <2. La polizia militare tedesca, alla fine del novembre 1944 in risposta a continui attacchi partigiani e all’uccisione di venti militari e due spie aveva attuato le prime rappresaglie nell’entroterra di Albenga, nella zona di Ortovero e Ranzo (IM), avvalendosi dell’aiuto della Brigata Nera <3 ‘Francesco Briatore’ di Savona, a quel tempo comandata da Felice Uboldi. Ben presto la fama della Feldgendarmerie come ‘squadrone della morte’ si era diffusa nella zona dell’albenganese, accrescendosi anche per la personalità quantomai feroce e spietata di Luciano Luberti <4, chiamato ‘il Boia’. Luberti, si scoprirà solo alla fine della guerra, aveva torturato e ucciso più di un centinaio di persone. Solo la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri, fucilati senza pietà da Luberti e dal suo sottoposto Romeo Zambianchi, chiamato il ‘vice-Boia’.
[NOTE]
1 La Feldgendarmerie era la polizia militare dell’esercito tedesco. Era divisa in «Trupp» e di norma era formata da due plotoni, tre ufficiali, quarantuno sottufficiali e venti graduati di truppa.
2 Gianfranco Simone, Il boia di Albenga. Un criminale di guerra nell’Italia dei miracoli, Milano, Mursia, 1998, p. 25.
3 Nel giugno del 1944 era stato istituito, per volere di Alessandro Pavolini, il Corpo Ausiliario delle Squadre d’azione delle Camicie Nere. Le federazioni provinciali del Partito Fascista Repubblicano avevano preso il nome di Brigate Nere.
4 Luciano Luberti (Roma, 1921-Padova, 2002), detto ‘il Boia di Albenga’, era stato un criminale di guerra, giunto alla ribalta della cronaca anche negli anni ’60 per l’uccisione della compagna Carla Gruber. Secondo alcune fonti Luberti si arruolò nell’esercito nel 1941 ma è nel gennaio 1944, con il suo reclutamento tra le file della Wermacht che Luberti iniziò a farsi strada tra tradimenti e omicidi. Nel gennaio 1944 fu coinvolto nel rapimento di Umberto Spizzichino, ebreo suo amico, condotto nel campo di sterminio di Auschwitz, dove morì nell’agosto 1944. Sempre nel 1944 Luberti decise di passare alla Feldgendarmerie di Albenga, in veste di traduttore, ma ad Albenga uccise e torturò più di
sessanta persone (stando alla sentenza della corte d’Assise straordinaria di Savona Luberti si era reso colpevole di oltre duecento omicidi). Catturato nel 1946, mentre cercava di espatriare in Francia, Luberti venne condannato a morte e scontò sette anni di carcere. Subito dopo la sua scarcerazione Luberti tornò a Roma dove, tra il 1953 e il 1970, diede vita ad alcune iniziative editoriali attraverso l’Organizzazione Editoriale Luberti, pubblicando suoi testi come Furia (sotto lo pseudonimo di Max Trevisant) del 1964 o I camerati del 1969. Nel gennaio 1970 la compagna di Luberti, Carla Gruber, fu ritrovata morta nell’appartamento del ‘Boia’ in avanzato stato di decomposizione, uccisa da un colpo di pistola al cuore. Luberti venne arrestato per l’omicidio della Gruber solo nel 1972 e scontò, anche questa volta, solo otto anni di carcere perché «incapace di intendere e volere». Trascorse i suoi ultimi anni a Padova, tra arresti per detenzione di droga e il manicomio. Nel 1998 la Rai lo intervistò per la trasmissione "Parola ai vinti". Il ‘Boia’ morì qualche anno dopo, ospite di una casa di riposo.

Francesca Bergadano, «Il gioco irresistibile della vita». Ricerche su Ennio Contini (1914-2006): poeta, scrittore, pittore, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2017-2018

giovedì 9 novembre 2023

Aumentano i distaccamenti partigiani imperiesi ad aprile 1944

 

Il torrente Arroscia nei pressi di Ranzo (IM). Fonte: Wikipedia

Il distaccamento imperiese - comandante TITO (Rizzo Renato) [Rinaldo Rizzo, detto Tito] commissario GIULIO (Libero Briganti) - aveva dovuto impegnarsi in una lunga marcia forzata dalla Casa Rosa, sopra Diano Roncagli nel comune di Diano S. Pietro, dove era dislocato, sino a Caprauna (in provincia di Cuneo) per raccogliere un lancio che - secondo le notizie pervenute - gli Alleati avrebbero dovuto effettuare nei giorni dal 4 al 6 aprile [1944].
Il reparto <1 non giunse nel tempo prestabilito e si trovò ad affrontare la via del ritorno senza alcuna scorta di viveri e senza possibilità di rifornimenti <2; ciò rese particolarmente dura la marcia sino a Guardiabella (a occidente del Colle di S. Bartolomeo), da dove una pattuglia guidata da MIRKO (Angelo Setti) scese al comune di Aurigo e nella frazione di Poggialto alla ricerca di aiuti.
L'assistenza generosa di quelle popolazioni aiutò la piccola formazione a rimettersi in sesto; successivamente furono anche compiute azioni particolarmente rischiose allo scopo di prelevare vettovaglie in territorio presidiato dalle truppe germaniche, <3 ma l'esperienza aveva ormai confermato che anche il problema dei rifornimenti doveva avere una sua più organica soluzione.
Tanto più che - in meno di 20 giorni - vi fu un notevole afflusso di volontari, tale da trasformare in altrettanti distaccamenti (con circa 30 effettivi ciascuno) le tre squadre di cui inizialmente era composto il reparto.
Ai primi di maggio - comandati da CURTO [Nino Siccardi] e e dal commissario GIULIO - i distaccamenti avevano assunto le seguenti posizioni <4:
1°) comandante Tito, commissario Boris (Gustavo Berio) - dislocato presso i Tecci di Parodi sopra Pontedassio;
2°) comandante Ivan, commissario Dimitri (Bruno Nello) - dislocato al Passo della Mezzaluna;
3°) comandante Cion [Silvio Bonfante], commissario Federico (Federico Sibilla) - dislocato nel bosco di Rezzo.
Metodo piuttosto efficace ci sembra quello seguito dal comando partigiano imperiese - in modo abbastanza frequente in questo periodo - di designare per le azioni di guerra più importanti uomini scelti in egual numero da tutti e 3 i distaccamenti; tale criterio venne adottato - ad esempio - nell'attacco effettuato al posto di blocco del ponte di Ranzo; in questa occasione 6 partigiani (scelti 2 per distaccamento) volsero in fuga il presidio nemico - uccidendo un soldato germanico e catturando due G.N.R. - e si impossessarono di 2 mitragliatori, di due fucili tedeschi e di molte munizioni.
Si può anche rilevare in proposito - considerando l'armamento messo a disposizione del gruppo attaccante (su 6 effettivi, 4 fucili mitragliatori e 2 mitra) - che molto opportunamente il comando partigiano non aveva esitato ad affidare agli uomini prescelti per l'azione quasi tutte (molto probabilmente tutte, date le condizioni di allora) le armi automatiche in possesso della formazione, pur di ottenere un gruppo che unisse alla particolare agilità numerica una grande potenza di fuoco <5.
Nello stesso periodo si ebbe un ulteriore spostamento dello schieramento partigiano; il distaccamento di Tito venne stanziato a Bosco Nero, quello di Cion a Tecci di Parodi e quello di Ivan a Piani di Corte, nel comune di Triora.
Un nuovo distaccamento - anch'esso forte di circa 30 effettivi - venne costituito nella prima metà di maggio e dislocato, al comando di Mirko, in regione Castagna presso Bregalla, una località di particolare importanza strategica attraverso la quale il dispositivo partigiano della zona a levante di Imperia venne ad essere direttamente collegato con quello della zona a ponente, tramite un gruppo formatosi ai primi di marzo e comandato da MARCO (Candido Queirolo) e da TENTO.
Sempre a metà di maggio vi fu l'inquadramento definitivo del distaccamento operante nella zona di Cima Marta agli ordini di IVANO (Vittorio Guglielmo), commissario ERVEN (Mario Luppi) [invero Bruno Luppi]; questo reparto disponeva di circa 40 effettivi <6.
Anche nell'imperiese si era venuta intanto sviluppando l'azione intimidatoria delle Autorità fasciste e germaniche a seguito del bando Mussolini; dal primo al 20 maggio gli aerei avevano sorvolato le campagne lasciandovi cadere a migliaia i volantini dell'ULTIMA OCCASIONE:
"Coloro che all'Italia hanno offerto gli anni più belli della giovinezza per compiere il loro dovere di soldati e che oggi, fuorviati da una malvagia propaganda, rinnegano il loro valoroso passato di combattenti per rimanere tra le bande dei ribelli dove altro non sono che strumenti di ignobili sfruttatori che giocano sulla loro vita per guadagnarsi lo sporco denaro con cui il nemico paga i traditori, ricordino che la Patria li ha chiamati ancora a sé pronta a perdonare il loro traviamento e ad aiutarli a ritrovare la via del dovere e dell'onore.
Per volere del Duce, il Governo della Repubblica ha stabilito che chi si presenterà spontaneamente entro il 25 maggio p.v. andrà esente da qualsiasi pena e procedimento penale. È L'ULTIMA OCCASIONE. Non deve essere perduta. Dopo, per chi sarà rimasto sordo a quest'ultimo appello avverrà l'inesorabile.
Presentatevi al più presto a qualsiasi autorità civile o militare più vicina".
[NOTE]
1 Suddiviso in tre squadre: la prima comandata da IVAN (Giacomo Sibilla), la seconda da CION (Silvio Bonfante), la terza da MIRKO (Angelo Setti), per un totale di circa 30 effettivi. (Documentazione Biga).
2 Alcune testimonianze attribuiscono la perdita del lancio ad un non precisato sabotaggio.
3  La sera del 10 aprile, ad esempio, una decina di partigiani - tra i quali Cion, Mirko, Mancen (Massimo Gismondi), Carlo Siciliano - scesero, guidati da Curto, dal Colle di S. Bartolomeo sino alla prossimità di Pontedassio, celati sotto il tendone di un camion al volante del quale stava il partigiano Zò. Da lì, mentre il camion con a bordo il solo Curto compiva il percorso di fondovalle, essi raggiunsero Borgo d'Oneglia, passando per la collina, sino ad un deposito di viveri accaparrati da un grosso incettatore collaborazionista. Nella notte il camion veniva caricato dei viveri sequestrati e ripartì per la zona partigiana - con gli uomini armati occultati sotto il tendone - attraversando in pieno giorno i blocchi germanici e fascisti (ai quali Curto esibì dei falsi documenti tedeschi) posti sulla statale n. 28 di Pontedassio, Chiusavecchia, Ponte dei Grassi, Tesio, fino al Bosco di Rezzo. (Documentazione Biga).
4 Cfr. volume I° pag. 181
5 Invero l'armamento del piccolo reparto, potenziato dal considerevole bottino, impressionò favorevolmente alcuni ufficiali delle formazioni Mauri - incontrati sulla via di ritorno - i quali inutilmente proposero ai sei di entrare a far parte del nascente schieramento "Autonomi".
6 Ci viene segnalato - tra le prime azioni di questo distaccamento - il disarmo compiuto da un solo partigiano (FOLGORE) di una postazione della R.S.I. a Santa Brigida (Andagna) e la cattura di 10 soldati di presidio. (Doc. Biga, testimonianza di Angelo Setti).

Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 237-240

La popolazione tutta, specie quella dei paesi non sulla costa, è loro [ai partigiani] favorevole, li ospita, li nasconde e li rifornisce, nonostante che in parecchi casi si siano impossessati di bestiame e di derrate alimentari.   
La loro attività è sempre quella di scendere dai monti nei paesi, rifornirsi di viveri e tabacco, incitare i renitenti a non presentarsi e a cercare di impossessarsi di armi e munizioni assalendo caserme dei distaccamenti della G.N.R. (carabinieri), nonchè di molestare persone ritenute simpatizzanti per il Regime Fascista Repubblicano.   
A volte hanno prelevato ostaggi, fra cui qualche sottufficiale dei carabinieri, che sono stati poi rilasciati.   
Le località della Provincia più battute sono quelle confinanti con la provincia di Cuneo, in quanto tali bande si spostano dall'una all'altra provincia. Campi di azione delle bande di ribelli sono più frequentemente la vallata di Cervo, Diano Arentino, Diano Marina, Diano Roncagli, Chiusavecchia, Bestagno, Molini di Triora, Nava e Case di Nava.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione quindicinale sulla situazione..., 16 aprile 1944, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma

In questi giorni, per ben due volte, nell'abitato di Diano Marina sono stati sparati da ribelli colpi di pistola contro ufficiali dell'esercito repubblicano in divisa, che transitavano isolatamente in bicicletta, senza conseguenze.  Il reparto antiribelli della Questura di Imperia frequentemente si porta nelle località ove viene segnalata la presenza di ribelli, che sistematicamente riescono a sfuggire alle ricerche. In tali operazioni viene però proceduto al fermo di renitenti, disertori e sfaccendati, i quali ultimi vengono proposti per il lavoro in Germania.
Non infrequentemente si addiviene ad uno scontro di colpi di arma da fuoco.   
E' stata sottoposta, con provvedimento dell'apposita commissione, all'ammonizione, per un biennio, una suora del locale Istituto Nostra Signora della Misericordia, la quale, sull'insegnamento che impartiva ai bambini ed alle bambine, teneva contegno niente affatto consono al momento attuale e nettamente contrario all'opera ricostruttiva del Governo Fascista Repubblicano e del suo Capo. Difatti, detta suora, fra l'altro, nella lettura del libro di testo, faceva saltare tutte le pagine riferentisi al Duce ed al Fascismo, proibiva ai bambini di portare emblemi fascisti e di salutare romanamente.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione..., 24 aprile 1944, N. di Prot. 01384, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma 

sabato 10 settembre 2022

Un provvedimento casuale dell'amministratore della Divisione partigiana Bonfante

Ubaghetta, Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: Comune di Borghetto d'Arroscia

Mi sarebbe forse stato facile sapere qualcosa di più chiedendo a Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], con i quali ero a frequente contatto [n.d.r.: in quanto Gino Glorio Magnesia, di cui qui si riproduce una testimonianza, era amministratore della richiamata Divisione garibaldina]. Pure non lo feci. Non che mi mancasse l'interesse, ma la vita che conducevo da due mesi era tale che non potevo  più escludere la possibilità di essere catturato vivo dal nemico. Già a Fontane i membri del Comando erano stati disarmati dei fucili e delle altre armi che potevano garantire una difesa efficace per armare gli sbandati che tornavano. In tali condizioni, se fossi stato sorpreso durante le marce, con una piccola pistola non avrei potuto colpire efficacemente il nemico. Avrei dovuto arrendermi sperando che una circostanza propizia mi consentisse la fuga. Purtroppo ciò mi avrebbe esposto ad interrogatori accompagnati da sistemi persuasivi. Sentivo che in tali ipotesi la migliore garanzia di poter mantenere il silenzio era il non sapere. Ridussi pertanto nel periodo invernale il mio interesse a quanto  era indispensabile all'assolvimento dei miei compiti ed alla mia sicurezza.
Il giorno 5 marzo [1945], lasciato Gazzo [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)], tornando in Val Lerrone, ripasso da Ubaghetta [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Sono digiuno dalla sera prima e devo trovare la famiglia che ospitava i partigiani dell'intendenza e che dovrebbe avere parte dei viveri. L'intendenza non c'è più perché nessuno ha sostituito i caduti ed i prigionieri di gennaio e i superstiti, consumati e distribuiti parte dei viveri, sono passati alle altre intendenze; pure avevo sentito dire che qualche partigiano ad Ubaghetta ci doveva essere. Li trovo: sono un gruppetto di feriti e malati che vivono come possono, dimenticati dai Comandi e dai compagni, senza cure né medicine, aiutando le famiglie del luogo, stendendo i cavi della luce che avrebbero portato l'energia elettrica da fondo valle fino ad Ubaghetta. I borghesi danno loro un po' di cibo in cambio del lavoro svolto, qualcosa dei viveri dell'intendenza è rimasto. Mangio con loro: castagne bollite; poco per dei convalescenti.
Ce n'è uno ferito alla spalla che ha perso in parte l'uso del braccio. «Quando è stato?» gli chiedo. «In febbraio, il giorno 11. Ero della banda di Libero. Durante l'ultimo rastrellamento di gennaio avevamo passato la «28» perché di qua era un inferno e ci eravamo fermati ad Aurigo. Vi eravamo rimasti anche in febbraio perché il posto era buono. Poi una spia deve aver parlato ed una notte son venuti i tedeschi. Se ci siamo salvati lo dobbiamo a Libero che non perse la testa. I tedeschi ci avevano circondato e sparavano come dannati. Noi eravamo appena svegli perché l'allarme era stato dato all'ultimo istante. Libero ci fece segno di seguirlo e si lanciò in una direzione. Noi siamo tutti dietro a lui sparando come diavoli e siamo passati. Uno dei nostri è caduto, mi hanno preso alla spalla, tutti gli altri si sono salvati ma anche dei tedeschi ne devono esser morti».
La banda di Libero era il distaccamento G. Maccanò. Non avevo saputo nulla fino ad allora dello scontro di Aurigo. Mi raccontano la loro vita: piantano pali della luce e poi mettono i fili: «Loro possono lavorare perché hanno solo dei reumatismi, io invece con questo braccio posso far poco».
«Avete mai visto nessuno del Comando? - chiedo loro - Non avete mai detto alle staffette che siete qui?». «Il Comando? Cosa vuoi che se ne faccia di noi. Quando saremo guariti torneremo in banda, per ora ci arrangiamo come possiamo. Tempo fa abbiamo visto Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] che ci ha augurato di guarire presto». «Se il Comando non ha dottori né ospedali, ha però una amministrazione. Tenete quattromila lire, andate a Ranzo dove deve esserci il medico condotto, compratevi le  medicine che vi ordina e che potete trovare e dei viveri perché, con solo castagne, non vi rimetterete di certo. Se potete lavorare meglio, altrimenti è nostro dovere sussidiarvi come facciamo con gli altri feriti e con le famiglie dei partigiani caduti o bisognosi. Sarebbe compito dei Comandi brigata, ma, se non possono farlo, potrebbero almeno avvisarmi. Tenete nota di come spendete questi soldi, quando mi manderete il conto ve ne darò degli altri».
I quattro accettano il denaro commossi e felici. Il ferito, capito che ero del Comando, mi dà del «lei». «Eri della S. Marco?» gli chiedo. «Sì». «Si sente... Adesso che so dove siete vi verrò a trovare quando ripasserò da Ubaghetta».
Mi rimetto in cammino piano, senza fretta. Mi fermo ogni tanto nelle radure del bosco a prendere il sole primaverile, ad osservare il panorama, a raccogliere i manifestini che gli aerei alleati avevano lanciato a centinaia.
Il 6 marzo vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 190,191

 

5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per  St. Etienne , nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.

5 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/79, al comando della Divisione - Segnalava che un informatore di Ormea (CN) aveva comunicato che la stazione radiotrasmittente, con un effettivo di 8 soldati tedeschi, era stata riattivata; che lungo la strada 28 i tedeschi stavano costruendo posti di sbarramento tra Cantarana ed Ormea; che un capitano tedesco aveva detto che i nazisti se ne sarebbero andati dai paesi occupati solo a guerra finita; che a Vegliasco vi erano 34 tedeschi; che ad Acquetico erano arrivati 200 tedeschi; che a Pieve di Teco con l'aggiunta di nuove 200 unità i tedeschi ammontavano a 500.

5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio", ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine" [Alfredo Coppola], fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 2, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Rammentava che a partire dal 9 marzo tutti i Distaccamenti della Brigata dovevano essere pronti ad agire al segnale convenuto: il Distaccamento "Filippo Airaldi" avrebbe sorvegliato Passo San Giacomo e Passo Saline; il Distaccamento "Igino Rainis" Passo Cosimo e la strada per Alto; il Distaccamento "Giuseppe Catter" il Passo San Bartolomeo; il Distaccamento "Giannino Bortolotti" la via d'accesso da Albenga e Cerisola alla vallata di Nasino (SV).

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 5, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che con un'ispezione alla II^ Brigata aveva riscontrato in quei garibaldini un morale alto, ma anche che portavano un vestiario malridotto; che era meglio "allontanare in modo garbato" dal Distaccamento ["Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio"] di "Basco" [Giacomo Ardissone] il commissario "Turbine" [Alfredo Coppola], in quanto "elemento che non fa altro che lamentarsi del C.D.[comando di Divisione]"; che "Basco" era un buon comandante; che nella zona di Albenga non erano presenti molti nemici; che il Centa, invece, risultava minato in molti tratti; che i cannoni nemici a Coasco era salito di numero sino a 12; che si chiedeva perché non fosse stata ancora bombardata Pieve di Teco, dove si trovavano 500 tedeschi.

6 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Domatore" Domenico Trincheri] della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", prot. n° 4, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che alcuni reparti tedeschi, accompagnati da alcuni delatori, tra cui "Carletto"ed il "Boia", erano arrivati da Albenga e da Ponti di Nava in Val Pennavaira, dove si erano "limitati a rastrellare il fondo valle senza avventurarsi nelle campagne"; che a Nasino 200 soldati nemici avevano bruciato diverse case ed operato alcuni arresti, tra i quali anche quello del commissario prefettizio Ballerin; che nell'operazione su Nasino una donna era stata uccisa mentre tentava la fuga; che "Pastorino" era stato arrestato dalla gendarmeria tedesca. Si chiedeva, infine, essendo critica la situazione finanziaria, di inviare del denaro.

6 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che, con la cattura del nucleo repubblichino SIDA, operato dallo scrivente Distaccamento, si era appurato che 14 persone, di cui si indicavano, altresì, le generalità, erano sotto stretta sorveglianza delle Bande Nere e che come agenti delle Brigate Nere, ufficio SIDA, risultavano tali L. Brinis, "Pippo", "Scippa" e "Giacomo", tutti abitanti ad Albenga o zone limitrofe.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

domenica 28 agosto 2022

Un sedicenne nato a Treviso, morto da partigiano, fucilato a Pieve di Teco

Monumento ai partigiani, Pieve di Teco (Imperia): lapide ai sei caduti con meno di vent'anni - fra cui il sedicenne Luciano  [Renato] Mantovani, nato a Treviso - Calderoni Ugo, 19; De Negri Lino, 16;  Ponzoni Mario, 18; Talluri Ettore, 19; Saldo Bartolomeo, 17 - (Pietre della Memoria): didascalia ed immagine qui riprese da Caduti Partigiani Treviso cit. infra

Il 20 gennaio 1945 un grande rastrellamento nazifascista investì il paesino di Degolla, Frazione del Comune di Ranzo (IM). Sul piccolo centro si diressero tre colonne nemiche, provenienti da Cesio, da Pieve di Teco e da Casanova Lerrone. Il nemico giunse nella zona alle sette del mattino. Nei pressi del paese era dislocata la squadra di Riccobono Calcedonio "Assassino", composta da dodici garibaldini, armata con un solo mitragliatore. I garibaldini, rimasti circondati, spararono fino all'ultimo colpo. Il caposquadra Riccobono cadde dilaniato da una bomba a mano. Anche Giuseppe Cognein (Giuseppe) di anni 20, commissario del Distaccamento "De Marchi", venne ucciso da una raffica mentre scagliava la sua arma vuota contro il nemico. Altri sette garibaldini - Ettore Talluri, Giuseppe Loba, Luciano Mantovani, Oreste Medina, Ugo Moschi, Valter Del Carpio - caddero vivi in mano al nemico. Dante Rossi rimase gravemente ferito, ma, pur catturato e portato all’ospedale di Pieve di Teco, riuscì a salvarsi con la fuga grazie ad uno stratagemma (utilizzando il cadavere di un anziano deceduto per morte naturale), attuato con la complicità di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico.  
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

Luciano Mantovani

Un primo esempio che proponiamo è quello di Renato Luciano Mantovani, nome di battaglia Balilla.
Questo giovane nato a Treviso il 16 dicembre 1928 e ucciso a Pieve di Teco (IM) il 26 gennaio 1945 aveva solo 16 anni. Il testo del suo ultimo messaggio dice:
Notizia ai genitori
“Sono accusato di appartenere alle bande comuniste, vi
domando perdono, ora mi fucilano”
Renato
Questa lettera sottolinea in modo evidente un tema tipico di questi documenti storici e che abbiamo evidenziato in rosso. I condannati a morte infatti spesso domandano perdono ai propri cari per il dolore che la loro morte avrebbe potuto causarli.
Giovanni Pietro Vitali, Insegnare la storia attraverso le ultime lettere e gli strumenti digitali, Seminario di aggiornamento per docenti "Il mio terzo mestiere. Primo Levi e gli studenti", 28 novembre 2019, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore 


Renato Luciano Mantovani (Balilla). Di anni 16. Nato il 16 dicembre 1928 a Treviso. Studente iscritto al 2º anno della scuola di avviamento professionale. Nell’estate del 1944 si collega coi partigiani ed entra a far parte della 3ª Brigata della VI Divisione d’assalto Garibaldi-Liguria "Silvio Bonfante". Il 23 gennaio 1945 è sorpreso da un rastrellamento nazifascista mentre si trova a Degolla, una frazione di Ranzo (in provincia di Imperia). Catturato con altri 7 compagni d’armi (Bruno Cavani, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medina, Ugo Moschi, Faustino Romano e Ettore Talluri), Mantovani è subito tradotto a Pieve di Teco (IM), dove viene fucilato senza processo il 26 gennaio 1945.
[...] Notizia ai genitori
"Sono accusato di appartenere alle bande comuniste, vi domando perdono, ora mi fucilano"
Renato
Ultima lettera di Renato Luciano Mantovani ai genitori
Igor Pizzirusso, Renato Luciano Mantovani (Balilla), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza Italiana

26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.                                          

27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli non poteva certo saperlo, ma si trattava di Dante Rossi che, invece, riuscì a salvarsi mercé il sotterfugio descritto da Giorgio Caudano - vedere sopra - ].     

Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994

 

Certificato di morte di Luciano Renato Mantovani, rilasciato dal Comune di Pieve di Teco (IM). Immagine qui ripresa da Caduti Partigiani Treviso cit. infra


Mantovani Luciano di Adelchi, Treviso, classe 1928
Partigiano Combattente - 3. Brg. Bacigalupo - 6. Div. Bonfante
Caduto il 26 gennaio 1945, a Pieve di Teco
Dopo un aspro combattimento veniva arrestato il 23 gennaio, incarcerato, dopo tre giorni di stringenti interrogatori veniva fucilato.
Tipografo - 3. avv. professionale  (Elio Fregonese, 1997)
Ulteriori informazioni tratte dal foglio matricolare
Mantovani Luciano Renato, classe di leva 1928, matricola 56464 quater, Distretto di Treviso (28). / Figlio di Adelchi e di Florian Giovannina, nato il 16.12.1928 a Treviso.
«Considerato come arruolato nell’Esercito per aver fatto parte dal 1°.9.1944 al 26.1.1945 della formazione partigiana 6a Div. Bonfante, 3a Brig. Bacigalupo con la qualifica gerarchica partigiana: nessuna [...]
Timbro
Equiparato a tutti gli effetti (escluso il compimento degli obblighi di leva), per il servizio partigiano anzidetto, ai militari volontari che hanno operato in Unità regolari delle Forze Armate nella Lotta di
Liberazione (D.L. 6/9/1946 n. 93)
A penna
Deceduto nel Comune di Pieve di Teco, come risulta dall’atto di morte del Comune di Venezia in data 10.11.1958 - Partigiano Combattente Caduto (fucilato) - li 26 Genn. 1945)».
[...] Da segnalare come il padre, Adelchi Mantovani, fosse un ex socialista massimalista che nel 1924 entrò a far parte del partito comunista di Treviso. Lo veniamo a sapere dal partigiano e dirigente comunista trevigiano Nicola Paoli, a p. 134 dei suoi "Quaderni": «Cominciava la persecuzione, specie con gli intellettuali. Ghidetti [Vittorio, primo sindaco di Treviso dopo la Liberazione] allora faceva parte del gruppo di Serrati, i così detti “terzini", e fu lui, Oreste Bonaccina, Beppi Fiabon [marito di Teresa Menghi] e Adelchi Mantovani, che nel 1924 la frazione si fuse con noi. Ghidetti era alla camera del lavoro [...]»
[...]  Un piccolo eroe patriota
«Giunge notizia, da Venezia, che la salma del quindicenne Renato Mantovani di Adelchi e di Rina Florian, nato a Treviso, è stata trasportata dalla Liguria a Venezia nella camera ardente predisposta nella sede di S. Polo del P.C.I. Il piccolo Renato era fuggito da casa nel settembre 1943 alla insaputa dei genitori, i quali, dopo tante ricerche, avevano potuto solo stabilire che provvedutosi di uno zaino di marina aveva lasciato Venezia e nulla più. Improvvisamente, verso la metà di luglio, una breve comunicazione da Pieve di Teco faceva conoscere che Renato riposava nel cimitero di quel paese, poiché arrestato il 23 gennaio 1945 insieme ad altri sei patrioti, dopo tre giorni dall’arresto insieme a questi era stato fucilato dalle brigate nere. In un foglietto scritto di suo pugno, il piccolo eroico patriota mandava l’ultimo saluto ai genitori, alla sorella ed ai nonni chiedendo perdono per il dolore che procurava loro. I funerali di Renato Mantovani hanno avuto luogo a Venezia giovedì 26 corr. alle ore 10 dalla camera ardente per il cimitero di Venezia»
(Rinascita, Organo del Comitato di Liberazione Nazionale, Treviso, n. 10, 28.7.1945)                    
PS - La breve vita e la lettera ai genitori del partigiano Renato Mantovani sono ricordate anche nel libro di Eraldo Affinati "Vita di Vita", Mondadori, 2014 -
(Anteprima online su Google Libri - Consultazione: 14 agosto 2017)
Nota - Nella lapide del monumento di Treviso, la sua data di morte è stata scambiata con quella di Giacomo (o Jacopo) Mantovani Orsetti, di Renzo, nato nel 1924 e ucciso a Crespano del Grappa l'8 ottobre del 1944.
Fonte: Fregonese e la pagina Facebook "Studi storici Giovanni Anapoli" - 18-29 settembre 1944: Operazione “Piave” - “il massacro del Grappa” (Pedemontana e Massiccio del Grappa). 2^ PARTE - Le vittime  [scheda n. 157 - Consultazione: 14 agosto 2017]
[...] Redazione, [Renato] Luciano Mantovani, 1928-1945, I caduti partigiani del comune di Treviso, 12 novembre 2016

mercoledì 15 giugno 2022

La meta del Distaccamento partigiano Catter è la valle di Diano

Borghetto d'Arroscia (IM) - Fonte: Wikipedia

Il 25 gennaio 1945, all’alba, tre colonne tedesche “provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco giungono a Ubaghetta [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. La nostra pattuglia avvista il nemico ed apre il fuoco, ma il garibaldino Redaval (Cardoletti Germano) continua impavido a sparare finchè viene colpito da una raffica di mitra e catturato.” (Luigi Massabò, “Pantera”, Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]). Redaval verrà fucilato da un plotone d’esecuzione formato dai “Cacciatori degli Appennini”. Dopo tale attacco i nemici si ritirarono sulle posizioni iniziali ed i Distaccamenti  “Giuseppe Maccanò” e “Gian Francesco De Marchi” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” della Divisione "Silvio Bonfante" poterono sganciarsi. Il giorno successivo riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini” [L. Massabò “Pantera”, op. cit.], tra cui “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa” [L. Massabò “Pantera”, op. cit.]. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  

Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Gli alpini lasciarono ancora una volta Ubaghetta spostandosi a Casanova: Tom e Boriello [Luigi Boriello] erano con loro. Il comandante italiano del reparto si era opposto alla loro fucilazione. I colpi uditi dai rifugi erano stati un'ultima minaccia:  i prigionieri furono addossati al muro di una cappella, ed invitati per un'ultima volta a parlare, poi, al loro rifiuto, gli alpini avevano sparato a pochi centimetri da loro senza colpirli. Avremo notizie incerte e saltuarie della sorte dei nostri due compagni. Sapremo che, condotti a Cuneo, passarono molti mesi in quelle carceri, poi che i tedeschi li avevano fucilati per rappresaglia. Corse voce che Boriello fosse fuggito, ma nessuno lo vide mai. Dopo la liberazione Tom tornò al nostro Comando ad Alassio. Appresi da lui i particolari della finta fucilazione, dei mesi passati a Cuneo dove i tedeschi tiravano a sorte i nomi di quelli da fucilare, come il pensiero della morte imminente fosse per lui ormai abitudine quotidiana. Poi infine la liberazione.
Tom e Boriello vennero catturati il 25, quel giorno il distaccamento Catter, al Comando di Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari] e del commissario Gapon [n.d.r.: Felice Scotto], parte da Alto dove la situazione è diventata ormai insostenibile, dove i contadini terrorizzati dalle minacce nemiche sollecitano i partigiani a disertare o ad andarsene.
La meta del Catter è la valle di Diano: molti della banda sono nativi di quei luoghi e sperano che la valle sia ancora libera e tale possa rimanere. La banda parte dopo il tramonto, verso mezzanotte è a Lénzari, dopo una breve sosta scende a fondovalle, varca l'Arroscia in un punto incontrollato, prende la salita che porta a Montecalvo. Marciando nella neve di notte e di giorno, attraversando con infinite precauzioni il territorio dominato dal nemico, la banda si sposta verso il sud, pronta ad aprirsi il varco con la forza. Con le armi pesanti, i viveri, il materiale della banda, il Catter raggiunge la Val Lerrone all'alba del 26 gennaio.
Passando a ponente evita i paesi di Vellego, Ginestro e Tèstico e punta sul passo dei Pali. La marcia è stata lunga e faticosa per la neve, la necessità di evitare le mulattiere e le strade principali, per la tensione nervosa. Più stanco degli altri è Gapon che, come commissario della banda, sente gravare su di sè la responsabilità della salvezza di tutti, che sa quanto scarse siano le possibilità di salvezza in caso di attacco nemico. Secondo una relazione non  confermata, la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti nell'alta Val d'Andora diviene palese che il ritmo di marcia va rallentando sempre più a causa dei compagni stremati.  Continuando così la salvezza di tutti verrebbe compromessa. Gapon non esita e chiede ai compagni di proseguire e di lasciarlo solo, poi si adagia nella neve esausto: forse un breve riposo lo rimetterà in grado di proseguire. I compagni si consultano, col commissario restano Marat, Bruno e Franco, gli altri partono uno per uno, in fila, salendo faticosamente il pendio nevoso sotto la sferza del vento invernale: al di là del passo dei Pali li attende libera, la loro terra.
II riposo di Gapon è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tran quillizza in parte, ma dà  anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone, di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga.
Bruno viene ferito ad una gamba, Marat cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, dare forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat, che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera, che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile] a Segua.
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
[...] Anche militarmente il rastrellamento ebbe esito negativo. Non ci disorganizzò perché ormai non c'era quasi più niente di organizzato: i collegamenti, i servizi erano troppo rudimentali per poter peggiorare. Non ci disperse perché ormai eravamo così pochi ed avevamo previsto l'attacco da così tanto tempo che tutti quelli che vacillavano se ne erano andati.
I rimasti erano i migliori o quelli che non sapevano dove andare. Dopo la prova, ritenendo che ormai il peggio fosse passato, si cominciò a notare la tendenzan al ritorno nelle bande, anche di quelli che si erano allontanati prima del  rastrellamento.
Unico risultato positivo per il nemico, doloroso bilancio per noi, furono i caduti, i fucilati, i morti in combattimento. Degolla, Bosco, Ubaghetta, Cappella Soprana, Onzo, Ginestro vennero arrossati di sangue partigiano, a Ranzo, a Pieve di Teco echeggiarono le scariche dei plotoni di esecuzione. Più di venticinque compagni che avevano resistito a tutti i disagi, erano passati per mille pericoli, avevano una profonda esperienza di guerriglia erano perduti per sempre. Venticinque, circa l'otto per cento degli effettivi, non molto  paragonati ai bilanci di Upega, Fontana, Val Casotto dove il cinquanta per cento o addirittura la totalità delle forze venne, se non uccisa, dispersa. Questa volta,  come già nei rastrellamenti estivi, il passivo fu costituito quasi esclusivamente dai morti, poiché gli sbandati tornarono tutti entro pochi giorni. La perdita di armi non fu rilevante: solo le armi delle squadre di Bosco e Degolla andarono perdute, le altre bande, eccettuato il Garbagnati, non ebbero a sostenere grandi scontri, sicché anche il consumo di munizioni fu limitato.
Le perdite nemiche? I morti di Cappella Soprana, qualche altro a Ginestro, forse qualcuno a Degolla, pochi, meno dei nostri, come ormai succedeva da ottobre, da quando l'ambiente era mutato, le munizioni erano contate.
I partigiani avevano nel complesso superata la prova, erano rimasti per il nemico una minaccia reale ed ancor più potenziale perché era sopravissuto un germe che, né la forza nemica, né i tradimenti erano riusciti ad annientare. Malgrado le nostre debolezze ed i nostri difetti la forza morale e fisica di resistenza, la volontà tenace di continuare malgrado ogni avversità erano state superiori alle previsioni pessimistiche, avevano fatto fallire il grande tentativo di annientarci, di ciò il nemico non tarderà ad accorgersi.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: gulliver.it


Il distaccamento della 3^ Brigata "E. Bacigalupo" comandato da Mario Gennari (Fernandel) e il Distaccamento "Giuseppe Catter", composto da una trentina di uomini al comando di Giuseppe Gennari (Gino) e dal commissario Felice Scotto (Gapon - classe 1919), decide di abbandonare Alto (CN) per ritornare verso le valli di Diano. Durante il trasferimento la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti presso il Passo dei Pali, Gapon decide di mandare avanti il resto degli uomini e rimanere insieme a Bruno Amoretti (Bruno - classe 1921), Dante Del Polito (Franco - classe 1924) per permettere a Renzo Urbotti (Marat) di riprendere le forze e proseguire la mattina successiva. I quattro trovano rifugio in un casone isolato a Cappella Soprana e accendono un fuoco per riscaldarsi. Un gruppo di Cacciatori degli Appennini vedono il fumo levarsi dal casone. Quando i repubblichini giungono a pochi metri del casone, i quattro partigiani, che avevano scorto la colonna avanzare, aprono il fuoco uccidendo il tenente e altri cinque militari e poi tentano la fuga. Bruno Amoretti viene ferito ad una gamba ma i quattro riescono a fuggire. Urbotti morirà nella notte per congelamento. I quattro meritarono un encomio solenne che recita: “I garibaldini “Gapon”,“Bruno”, “Marat”, “Franco”, del Distaccamento “G. Catter” III^ Brigata “Ettore Bacigalupo”, sorpresi e circondati in un casone dal nemico, dove si erano fermati per il malessere manifestatosi in uno di loro, reagivano con indomabile spirito uccidendo il tenente comandante il pattuglione nemico, un sott'ufficiale e quattro soldati e ferendone un numero inprecisato. In seguito alla loro violenta reazione, riuscivano a sganciarsi e a mettersi in salvo, escluso il garibaldino “Marat”, deceduto poi nella notte per congelamento in seguito a ferite, mentre il commissario “Gapon” nuovamente appostatosi, attraeva l'attenzione su di sé, agganciando la quarantina di militi fascisti superstiti. Passo del Pizzo d'Evigno - 26 gennaio 1945. Il comandante di Divisione 'Giorgio' (Giorgio Olivero)”. 

Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020  

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la condanna a morte di Carlo Serafini, reo di avere guidato i soldati repubblichini contro i garibaldini a Ginestro.
29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della stessa Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti: "[...] Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano.
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

mercoledì 22 luglio 2020

Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili

Pieve di Teco (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 i tedeschi, partendo da Cesio (IM) cercarono di portare un duro colpo alla Divisione Bonfante, iniziando un rastrellamento che interessò soprattutto le località di Bosco, Degolla, Ubaghetta, Alto, Nasino, Casanova. A Bosco [n.d.r.: Frazione del Comune di Casanova Lerrone (SV)] riuscirono a circondare un casone che ospitava un gruppo di partigiani. Dopo un aspro combattimento i dodici uomini che si trovavano dentro il casone ruppero l'accerchiamento. Qualcuno evitò la cattura, ma caddero sul campo il sovietico Gospar, Rolando Martini (Indusco), William Bertazzini (Rosa), Gino Bellato (Gino). Bartolomeo Vio (Tron) della banda locale di Vendone che, in servizio notturno, mentre stava controllando attentamente le strade, veniva ferito ad una caviglia, riuscì a salvarsi con una fuga a perdifiato. Vennero catturati e fucilati i civili Amedeo Bolla, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo venne ucciso il civile Settimio Testa.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, edit. in pr., 2020
 
[ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perchè il nemico è già in movimento.
I tedeschi dislocati a Cesio (IM) partono, raggiungono il Passo del Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], che raggiungono rapidamente.
Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo, a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile [n.d.r.: anche Degna è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona], non giunge subito la grave notizia.
Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Valle Arroscia.
I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna.
La colonna [nazifascista] diretta a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è accompagnata dalla ormai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco.
Ormai è tardi.
Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi.
Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Il comando della Divisione si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino.
Quanti erano gli armati, con muli o senza, perchè la guardia borghese non ha funzionato?
In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là?
Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo?
Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse.
Un borghese, che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla [Frazione di Ranzo (IM)] e da Costa Bacelega [Frazione di Ranzo (IM)], segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco.
Lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali. Verso mezzogiorno giunge a Segna uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I tedeschi!”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano.
Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. 
L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bartolomeo Barbero (Bertumelin) contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. 
In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entrano in paese. 
Dopo mezzora Degna è di nuovo libera. Il nemico ha proseguito per Cesio (IM).
Si spera sia tutto finito.
Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone.
Il comandante Giorgio Olivero (Giorgio) e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I^ Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione.
La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera).
Cosa era avvenuto a Bosco? A Bosco, per la scarsità di munizioni, ai partigiani era stato dato l'ordine di adoperare le armi automatiche soltanto nelle situazioni più critiche. Si accendono combattimenti violentissimi a Bosco, a Degolla [borgata di Ranzo (IM)], a Ubaghetta [Borghetto d'Arroscia (IM)], ad Alto (CN), a Nasino (SV), a Casanova ed in altre località.
Tre colonne nemiche di circa cinquanta uomini ciascuna, partite rispettivamente da Cesio (IM), da Villanova di Albenga (SV) e da Leca [Frazione di Albenga (SV)], si dirigono sul piccolo centro abitato di Bosco. I garibaldini non riescono a sganciarsi. Impugnano le armi e si dispongono alla difesa. Oramai sono circondati perchè il nemico ha individuato il casone dove erano accampati.
Dopo aspro combattimento i dodici uomini riescono a rompere il cerchio di fuoco e qualcuno evita la cattura.
Cadono sul campo il sovietico Gospar, che si sente rantolare, dire qualche cosa nella sua lingua prima di morire; Rolando Martini (Indusco), di anni 20; William Bertazzini (Rosa) di anni 20; Gino Bellato (Gino) di anni 20.
Sono catturati e fucilati sul posto i civili Amedeo Boli, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è ucciso il civile Settimio Testa. I garibaldini che sono riusciti a sottrarsi alla cattura, raggiungono le altre squadre del distaccamento. Tremenda l'avventura del garibaldino “Umegu” che, catturato due volte, e due volte messo davanti al plotone di esecuzione, riesce a fuggire incolume, benchè soggetto a raffiche di armi automatiche.
Le case di Bosco sono date alle fiamme.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005

22 gennaio 1945 - [...] Sono le 2 e dalla Valle Arroscia giunge un forte gruppo di repubblichini recando seco 8 partigiani catturati a Bosco in un'azione militare. Di essi, due sono feriti e vengono trasportati all'ospedale, gli altri 6 sono rinchiusi in un fondo della caserma S. Manfredi.
23 gennaio 1945 - Giungono altri repubblichini, tutti venuti con un buon numero di rastrellati in Vessalico. Ve ne sono di tutte le età. Si tratta di operazioni fatte un po' a casaccio perché questi individui che, per i tempi che corrono, sono tutti muniti di documenti, e cioé della carta di identità, non appena passano al controllo del Comando tedesco, finiscono poi col ritornare quasi sempre alle loro case. Si presume, però, che tali operazioni siano fatte per secondi fini, come quello di terrorizzare le popolazioni e renderle così succubi della loro volontà.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
La Val di Diano è ancora sgombera, la I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] chiede cosa debba fare. Non possiamo dare ordini perché Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] e Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] sono al di là della «28», di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ignoriamo la sorte, il S.I.M. è ormai isolato e disperso, siamo senza notizie  delle altre due Brigate. Se la staffetta riuscirà a tornare indietro potrà solo riferire la situazione portando le esortazioni di Osvaldo [Osvaldo Contestabile] per la I^ Brigata: che si tenga pronta perché il nemico può irrompere nella Valle di Diano da un momento all'altro.
A noi che conviene fare? Attendere Pantera può essere inutile e diventare pericoloso. Rimanendo potremmo ancora servirci deirifugi, ma se la situazione si aggravasse  ancora potremmo sempre contare che i borghesi possano rifornirci?  
A Degna poi molti credono che qui ci sia l'intero Comando divisionale, se un civile tradisse, e dopo le recenti esperienze non possiamo escluderlo, il nemico può piombarci sopra con forze ingenti.
Attendere così passivamente la sorte mentre il nemico scorazza impunemente nella zona crea in noi una situazione morale sempre più penosa che avrebbe potuto prolungarsi per chi sa quanto tempo: l'esempio della Cascione e del rastrellamento di Fontane ci indicava che i rastrellamenti invernali erano assai lunghi. La Val di Diano è ancora libera, forse anche parte della valle di Cervo. Se fossimo partiti ieri anche la via sarebbe stata aperta, ora invece...  Però la staffetta era riuscita a passare; a stento, ma era passata.
Sì, ma al ritorno?... Al ritorno forse il nemico avrà aumentata la sorveglianza e chissà se si potrà ancora?... Con la neve che nei versanti in ombra è ancora alta c'è il rischio di essere scoperti da lontano dovendo percorrere lunghi tratti allo scoperto. Il dubbio è assillante, qui penso che il nostro compito sia ormai finito: bisogna provvedere alla nostra salvezza e solo quando il rastrellamento sarà finito ognuno riprenderà i suoi compiti se il movimento riuscirà a sopravvivere.
Il giomo 24 il nucleo del Comando di Segua [n.d.r.: Segua è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona] si scioglie: in Val Lerrone il Comando italo-tedesco ha pubblicato un bando invitando tutti coloro che, obbedendo alla falsa propaganda nemica, hanno cercato rifugio sui monti, a presentarsi entro le quarantotto ore. «A coloro che si presenteranno si fa garanzia della vita, gli altri saranno passati per le armi; uguale sorte avranno i borghesi che presteranno loro aiuto o che verranno trovati in possesso di roba  militare,  anche vestiario o coperte. Le loro case verranno incendiate».
Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 140 
 
26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.
27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli pensava a Dante Rossi, che, invece, riuscì a salvarsi con l'aiuto di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico, che fece passare per Rossi il cadavere di una persona anziana deceduta di morte naturale]. Sono le 11,30: i due patrioti rastellati in Rezzo, trasportati in Pieve e condannati a morte, non sono ancora stati fucilati.
28 gennaio 1945 - Stamattina alle 9,30 ho parlato col Commissario Provinciale della Croce Rossa, Dott. Amoretti, dentista di Oneglia, e col rappresentante della Federazione di Imperia, affinché si interessino per ottenere un trattamento meno disumano in Pieve. Mi hanno dato assicurazione in merito.
29 gennaio 1945 - Sono partiti gli alpini repubblichini (Monte Rosa) ma, da Triora son giunti i granatieri repubblichini già inviati colà per operazioni di rastrellamento.
Nino Barli, Op. cit.

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole. Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon' [Raymond Rosso], non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi. Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infliggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di un solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "il giorno 1 perirono Badano Ezio, Menini Lionello e Valduna Giovanni ad Armo; il 2 Emilio Zamboni, nativo di Dernis (Jugoslavia); il 3 Lorenzo Gracco; il 15 Italo Menicucci; il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti (1); il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla [n.d.r.: in effetti, Renato Luciano Mantovani, Balilla, un sedicenne nato a Treviso, residente a Venezia, risulta - da fonti successive, quindi, non da questo dispaccio scritto in guerra sotto l'incalzare degli eventi - fucilato a Pieve di Teco]; e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)
   * Proposte assegnazione medaglia d'argento alla memoria a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano * morti il 20 gennaio 1945. * Descritti anche da Don Giacomo Negro, arciprete di Bacelega al C.O. I^ Zona.
   (1) 'Redaval' Germano Cardoletti ex San Marco - IV^ Brigata "Domenico Arnera" - ucciso il 23 gennaio 1945 ai Piani di Ubaghetta dai Cacciatori degli Appennnini
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Mario Longhi. Fonte: ANPI Savona cit. infra

Mario Longhi, Brescia. Sorpreso a Ginestro durante un rastrellamento, sprezzante del pericolo non ascolta l’invito a ripararsi: una prima raffica gli frantuma l’arma; una seconda lo colpisce al ventre. E’ il 27 gennaio 1945.
A Mario Longhi è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011   




Immagini del funerale del partigiano Mario Longhi. Fonte: vedere art. cit. infra

Mario Longhi partigiano della brigata Garibaldi nato a S. Eufemia nel 1924 e ucciso dai tedeschi in provincia di Savona nel gennaio del 1945 (insignito della croce al valor militare alla memoria)
Redazione, Funerale Mario Longhi 13/04/1947, era sant'eufemia della fonte