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venerdì 9 febbraio 2024

Solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento

Cervo (IM)

Il 17 aprile 1945 il «Garbagnati» [n.d.r.: Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] distrugge il ponte di Degna [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e la sera stessa il nemico sgombra Vellego e Garlenda: con un colpo solo la Val Lerrone è liberata dalle pattuglie e dalle minacce nemiche: non più l'incubo dei ciclisti tedeschi, non più lo stradone superato d'un balzo. Il 18 giunge con una staffetta Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] a visitare Tèstico: «Verrò con i miei a difendere il paese» dice ai contadini che gli chiedono armi, poi va a S. Damiano alla ricerca del Comando divisionale che da qualche giorno ha lasciato Poggiobottaro. A S. Damiano ci sono le bande di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati"] e Marco: le mitraglie sono puntate verso Alassio, i partigiani si lavano al sole. Sullo stradone, altri preparano il rancio, ovunque un'aria di festa, di sicurezza. «Vai ad occupare Tèstico? Auguri ... noi non siamo stati così scemi», dicono a Fernandel quelli di Stalin. Fernandel è meravigliato, ma non si impressiona: «Ho visto la zona ed ho fatto i miei piani: il Catter [n.d.r.: Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata] può tenere il paese».
Con Fernandel tutta la III^ Brigata si sposterà a sud a presidiare la Val Lerrone. In Val d'Arroscia e ad Alto resterà la II [n.d.r.: II^ Brigata "Nino Berio", comandante "Gino", Giovanni Fossati], in Val Tanaro la IV [comandante "Fra Diavolo", Giuseppe Garibaldi]. Così all'ingrosso lo schieramento da elaborare nei particolari.
Non possiamo contare egualmente su tutte le bande e ci vorrà ancora un po' di tempo perché i nuovi Comandi della II e della III non hanno ancora in mano la situazione e parecchi capibanda sono restii ad obbedire. Comunque l'atmosfera si fa febbrile, una colonna tedesca che punta su Garlenda provoca la reazione di parecchie bande, ma solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento.
Il presidio fascista di Molino Nuovo viene attaccato dalla I Brigata e riporta perdite sanguinose, due disertori del presidio di S. Bernardo di Conio vengono catturati presso Ginestro [Frazione di Testico (SV)], percossi selvaggiamente dalle donne dei paesi che attraversano e finiti da quelli di Stalin.
Al Comando divisionale, che ha ormai sede ufficiale a S. Gregorio, l'attività si fa intensa. Arriva il Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] del Comando zona, arrivano la missione alleata con le radio trasmittenti, staffette, capibanda, ordini, notizie. Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] parte in missione per la IV Brigata in Val Tanaro con notizie e disposizioni urgentissime, Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] va ad Alto dove si dice ci sia stato un piccolo lancio, ad organizzare la II Brigata.
Ha inizio così la terza decade di aprile: il Comando è di fronte ad eventi e problemi di enorme importanza perché la situazione militare precipita. Le azioni di sabotaggio e di imboscata si fanno sempre più audaci e fortunate, il nemico comincia anche lui a sentire la morsa del terrore: ormai la fine è imminente, chi viene catturato o diserta è soppresso senza pietà: i trenta morti di Ginestro e gli otto di Cervo hanno ridato alla guerriglia il suo carattere di durezza spietata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 241-242

18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 302, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che il giorno prima una squadra comandata dal capo squadra "Mancinotto" [Giuseppe Gismondi] e da "Cis" [Giorgio Alpron, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] aveva fatto nuovamente brillare il ponte tra Degna e Vellego [Frazioni di Casanova Lerrone (SV)].
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che lo scontro di Vellego aveva portato alla fucilazione di alcuni civili da parte del nemico, che i tedeschi in zona detenevano molti ostaggi e che era necessaria un'azione di forza su Nava ed altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 300, al comando del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" - Comunicava come punizioni che il capo squadra "Cimitero" [Bruno Schivo] doveva rimanere disarmato per 15 giorni presso il comando di Brigata e che il garibaldino "Riva" doveva eseguire 19 giorni di corvèe presso il Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" e che erano invece mandati assolti i partigiani "Berto", "Grosseto" [Italo Chegia], "Prem-Prem", "Ercole" [Demo Trillocco], "Vessalico" [Vittorio Doglio].
18 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] al comando del Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] ed al comando del Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] - Disponeva che i garibaldini "Osanna" e "Bascherini" venissero assunti in forza al Distaccamento "Francesco Agnese" e che i garibaldini "Cimitero" [Bruno Schivo] e "Riva" dovevano passare, armati solo in caso di allarme, al Distaccamento "Angiolino Viani".
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione ["Livio", Ugo Vitali responsabile, "Citrato", Angelo Ghiron, vice responsabile] S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che ad Acquetico [Frazione di Pieve di Teco (IM)] alcuni partigiani avevano "avvisato la popolazione di un imminente attacco di patrioti al paese"; che lo scontro di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] aveva portato alla fucilazione di alcuni civili; che risultava "pericoloso attaccare frontalmente" i tedeschi perché dimoravano nelle case private trattenendo presso di loro non solo le loro squadre di lavoratori [coatti] ma anche "il consueto numero di ostaggi"; che sarebbe sata necessaria un'azione di forza partigiana su Nava e su tutti gli altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il lancio alleato su Caprauna nel quale, tra l'altro, risultavano 9 cariche di plastico, 6 bombe incendiarie, 15 granate, 11 matite esplosive.
18 aprile 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Invito a mandare sollecitamente il materiale del lancio in pari data al "capitano Roberta" [Robert Bentley] e ordine di mettere a disposizione di "R.C.B." [sempre il capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] i paracadute in seta.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto, Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire nel precedente incarico con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
19 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che una pattuglia del Distaccamento "Francesco Agnese" aveva sorpreso nei pressi di Oneglia un tedesco armato di pistola, ucciso mentre tentava la fuga.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che due ufficiali tedeschi di stanza a Garessio desideravano parlare con una competente persona per fornire i piani militari di cui erano a disposizione e, pertanto, si rimaneva in attesa di istruzioni.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" aveva attaccato il 17 aprile sulla Statale 28 un carro di tedeschi per cui si supponeva l'esito di 18 morti e 3 feriti e che il 18 una squadra dello stesso Distaccamento aveva catturato a Vendone 4 tedeschi tra cui un sergente.
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Igino Rainis" al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Riferiva che sulla Statale 28 nei pressi di Calderara [Frazione di Pieve di Teco (IM)] una squadra di 4 uomini aveva attaccato un carro tedesco uccidendo 2 soldati e ferendone un altro e che, mentre tentavano di recuperare il materiale, quei partigiani erano stati "disturbati da altri 30 tedeschi, riuscendo, tuttavia a sganciarsi".
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Segnalava che il 16 aprile, verso le ore 18, un gruppo di garibaldini aveva attaccato 4 carri tedeschi provenienti, carichi di materiale, da Garlenda (SV): risultavano 4 feriti gravi tra le fila nemiche.
19 aprile 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Val Tanaro" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che in Val Tanaro si erano formati altri 2 Distaccamenti, il primo con elementi di Garessio per un totale di 25 uomini solo in parte armati, il secondo formato da 30 uomini di Ormea; che sarebbero stati necessari 2 mitragliatori, 2 o 3 Sten, plastico e bombe a mano. Chiedeva, poi, di dare il nome definitivo alla Brigata.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 11 marzo 2023

I partigiani imperiesi, dopo la morte di Felice Cascione, tentarono subito di tornare in azione

Una vista sino ad Imperia Porto Maurizio da Villatalla, Frazione di Prelà (IM). Foto: mpvicenza/flickr

Nella mattinata del 30 gennaio 1944 [n.d.r.: tre giorni dopo l'uccisione del loro comandante, Felice Cascione] i partigiani della banda «Cascione», che si erano fermati nei pressi di Eca Nasagò, partono in direzione di Rezzo. In Rezzo la popolazione era insorta qualche giorno prima (27-1-44), contro alcuni carabinieri di Pieve di Teco, che si erano recati nel paese per arrestare quelli che, secondo i fascisti, erano «renitenti» alla leva. La popolazione, armata, aveva fatto prigioniero il maresciallo dei carabinieri, e minacciava di fucilarlo. Poi venne rilasciato, in seguito a trattative; e i «renitenti» non furono arrestati. Però, subito dopo l'accordo con i carabinieri, vennero i fascisti, che operarono un rastrellamento in massa della popolazione di Rezzo.
I partigiani di Cascione si dirigono a Rezzo, per aiutare la popolazione; ma, mentre sono in cammino, vengono informati che la lotta è cessata per l'impossibilità di resistere contro la superiorità numerica dei nazifascisti; perciò, dopo avere mandato Gustavo Berio e Silvano Alterisio in cerca di notizie più precise, tornano indietro, e si fermano ad Armo.
L'aiuto dei partigiani era stato chiesto per mezzo di due o tre uomini di Rezzo giunti appositamente in Albra la sera del 29 gennaio 1944. Mirko (Angelo Setti), con un altro partigiano, ancora la sera stessa andrà a prendere mitragliatore e fucile nascosti durante il percorso da Forti di Nava a Barchi. I partigiani di Cascione, che la mattina del 30 erano partiti alla volta di Rezzo, saputo che la lotta è cessata si fermano in Trovasta; qui pernottano fra il 30 e il 31: quindi, per Moano e Trastanello, si portano ad Armo, dove pernottano fra il 31 gennaio e il 1° febbraio. Per andare da Albra a Rezzo i partigiani erano passati sul ponte di Eca Nasagò. Fino dal giorno 29 gennaio 1944 esponenti antifascisti imperiesi operanti in città, con i quali la banda «Cascione» era più direttamente in contatto (nucleo comunista), per mezzo di Carenzo Fedele avevano messo Curto (Nino Siccardi) in collegamento con Ivan (Giacomo Sibilla) giunto appena da Alto a Barcheto [Frazione di Imperia], e lo avevano mandato in montagna affinché si incontrasse con gli uomini della banda. Curto, con Ivan, parte intorno alle ore 14 da Porto Maurizio, col treno, e si reca ad Ormea, passando per Savona e per Ceva. Nei pressi di Eca Nasagò non trova più la banda; prosegue per Alto e per Caprauna; infine trova i partigiani ad Armo, dove arriva la sera del 31 gennaio 1944. Curto dà ordini ed istruzioni; e il giorno dopo ritorna in città.
I partigiani di Cascione, ridotti a circa una ventina di uomini o poco più, partono tutti insieme da Armo, pernottano ad Aquila d'Arroscia, pranzano a Bacelega e si fermano a Pizzo d'Evigno, dove arrivano la sera stessa del giorno della loro partenza da Aquila. Ma, prima di spostarsi da Armo per la ricerca di nuove sedi, essi, durante la notte, si erano recati ad Alto, per tentare di ricuperare almeno una parte del materiale abbandonato durante la lotta; ed erano pure andati a rendere omaggio alla salma di Cascione, che, a cura di persone del posto, era stata sepolta nel cimitero locale.
Intanto, il 1° febbraio 1944 veniva ufficialmente creato il Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale (CLNP) di Imperia.
A Pizzo d'Evigno, il giorno immediatamente successivo a quello del loro arrivo, i partigiani, che già avevano appartenuto alla banda «Cascione», si dividono in due squadre: una comandata da Vittorio Acquarone, che dapprima si stabilisce a Villatalla di Imperia (nel periodo dal 2 al 15 febbraio circa) e poi si sposta a Borgo d'Oneglia, per preparare il colpo di Garbella, che verrà disposto per il giorno 18 dello stesso mese; e una comandata da Tito (Risso Rinaldo), che si stabilisce nella valle di Diano Marina, zona di Magaietto.
Il giorno 18 febbraio i due gruppi di partigiani derivati dalla banda «Cascione», ora di nuovo aumentati in tutto di forse una diecina di uomini, si recano sulla Via Aurelia, una parte nella zona di Capo Berta e l'altra nella zona di Garbella, con l'ordine di fare saltare la strada nelle due località. L'azione dovrebbe avvenire in concomitanza con uno sciopero operaio, nonché in relazione col progetto di un eventuale sbarco alleato nella piana di Albenga, del quale si era avuta notizia.
Poi l'azione di Garbella e di Capo Berta viene sospesa, e le squadre si ritirano. Il gruppo di Garbella, che si era appostato in una casa abbandonata, poco lontano dal posto di guardia germanico, in prossimità della strada (Via Aurelia), era stato però scoperto da un tedesco, che, giunto sulla soglia di una delle due stanze nelle quali si erano nascosti i partigiani, li aveva scorti, e aveva sparato tutti i colpi della sua pistola, dando l'allarme.
I partigiani, tuttavia, si ritirano incolumi.
Subito dopo la tentata azione del 18 febbraio, otto partigiani del gruppo di Garbella, che era quello già stanziatosi prima a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, ritornano a Villa Talla; gli altri otto (fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo) si portano in una zona a monte di Borgo d'Oneglia e di Sant'Agata. Qualche giorno dopo la maggior parte di questi ultimi (fra cui ancora Setti Angelo o Mirko), essendo giunto l'ordine di portarsi alla «Maddalena» per un raduno generale, si recano a Villa Talla, allo scopo di ricollegarsi con gli altri partigiani del medesimo gruppo, e di andare alla «Maddalena» insieme con loro; ma, non avendoli trovati, proseguono da soli.
Il gruppo prima di stanza a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, che partecipa al completo all'azione del 18 febbraio, era allora composto di sedici uomini, e, fra gli altri, ne facevano parte Vittorio Acquarone, Emiliano Mercati, Trucco G.B. o «Titèn» (rientrato in banda da qualche giorno), Angelo Setti o «Mirko», Franco Salimbeni, Sibilla Federico, Sibilla Giacomo o «Ivan», Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo.
Il gruppo suddetto, per andare a prendere posto in Garbella, parte da Borgo d'Oneglia; passa per Cantalupo, per il ponte di Piani sul torrente Prino, prosegue a mezza costa fra Poggi e il torrente suddetto, attraversando la regione «Perrine»; per un tratto di strada, gli uomini sono accompagnati da Curto che aveva dato istruzioni sul da farsi; poi vengono guidati da altre due persone, probabilmente una di Artallo e una di Piani. Avrebbero dovuto dormire in una baracca a varie centinaia di passi dal luogo dell'azione, che era da compiersi la sera del giorno seguente, cioè del 18, anzi intorno alla mezzanotte; ma non trovata la baracca, anche a causa dell'oscurità, si sistemano in una casa tinteggiata in rosa (Villa Ludovici), situata vicino al ponte dell'Aurelia sul torrente Prino, o ponte di Garbella, e a pochissimi passi dalla strada stessa. Entrati per una porta posteriore rispetto alla strada, per una scala interna scendono al piano sottostante, dove pernottano. Il giorno dopo vedono dei tedeschi che camminano vicino alla casa; perciò risalgono al piano di soprae occupano due stanze, ciascuna accessibile con una propria porta, dal corridoio, e fra loro intercomunicabili per mezzo di una terza porta. All'improvviso, poco dopo il mezzogiorno, sopraggiungono due tedeschi, accompagnati da due ragazze; uno di essi, mentre l'altro è ancora fuori della casa, entra nella seconda stanza per la porta che dà sul corridoio, vede Gianni e Mirko, spara alla rinfusa, e si precipita alla finestra, continuando a sparare. I partigiani, scendendo per la scala interna, si ritirano in fretta; otto si portano sull'Aurelia, passano per il ponte, e infine andranno a Villa Talla; gli altri otto, fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo, girano intorno alla casa, Ivan spara al tedesco che è ancora alla finestra mentre l'altro è fuggito, poi tutti e otto ritornano nei pressi di Borgo d'Oneglia, passando su per giù per la strada percorsa nel venire, e si fermano fra Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, a monte dei due villaggi. Qui restano per qualche giorno, e poi alcuni di essi si dirigono alla «Maddalena», passando per Villa Talla.
Dopo la tentata azione del 18 febbraio, quando una parte del gruppo, che doveva operare in Garbella, si ritira a monte di Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, Ivan, malato di artrite, si ferma in Sant'Agata, nella casa di Mela Giuseppe («Sacchetto»), che era staffetta del gruppo. Due giorni dopo viene raggiunto da Franco Salimbeni, febbricitante.
Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

venerdì 25 novembre 2022

Un lancio alleato che non era stato destinato ai partigiani imperiesi

Rifugio Mongioie. Fonte: Mapio.net

Il mattino del 16 [novembre 1944] lasciammo Viozene [Frazione di Ormea (CN)]. Discutemmo un po' sulla via da tenere. La strada della Fascette era la più breve, ma forse era gelata. Pure parecchi di noi avrebbero voluto passare per Upega a salutare le tombe di Cion, Giulio e di tanti compagni noti ed ignoti. Scegliemmo infine l'altra via, quella del varco del Tanarello. Marciammo fino al pomeriggio, conoscevo la strada per averla fatta il 13 agosto. Pure quel giorno mi parve più lunga e più triste. Anche qui, come già oltre il Mongioie, alberi spogli e cumuli di foglie, fango gelato, ghiaccio e squallore.
Superato il varco del Tanarello trovammo una colonna di muli che bloccava il sentiero: erano le bestie che le popolazioni di Pigna, Langan, Triora avevano affidato alla V^ Brigata quando i tedeschi avevano cacciato i partigiani dalle retrovie del fronte francese. Erano sessanta muli che ci avevano seguito nella ritirata: «Se un giorno tornerete ci ridarete le nostre bestie. Se saranno morte pazienza, tanto se restano qui le prenderanno i tedeschi...», avevano detto i contadini di Pigna, ma ora i partigiani della V^ tornavano con i muli verso il sud. Chissà per dove erano passati? Forse per Val Casotto, non certo per il Bocchino. Anche la strada del Tanarello era in qualche punto impraticabile per i muli, solo le pecore vi passavano facilmente. Quelli della V^ vi si erano inoltrati restando bloccati. Dovemmo così lasciare la strada più breve ed inerpicarci sulla mulattiera di Baussun, il percorso era così allungato di qualche ora. Salimmo con la colonna fino in cresta, poi l'abbando­ nammo per scendere lungo il ripido pendio e raggiungere di nuovo il fiume. Passammo da Baussun dove in settembre c'era Battaglia con i suoi; ora i casoni erano deserti. Il tetto sfondato, la paglia fradicia.
Marciammo ancora a fondovalle per raggiungere Piaggia, intorno sempre lo stesso abbandono: fuochi spenti, carbonaie abbandonate, casolari deserti: dove i mesi scorsi ferveva la vita ora il freddo sole invernale stentava a fondere i ghiaccioli che ogni notte sulle rive del fiume si riformavano più spessi. Solo i partigiani si aggiravano ormai tra i rami stecchiti ed i pascoli brulli: il vento gelido delle cime ha spinto pastori e boscaioli verso il mare.
Ecco un gruppo di uomini che viene verso di noi sul nostro sentiero. Chi sono? Partigiani. Li abbiamo riconosciuti subito perché ci siamo accorti della loro presenza a breve distanza: il sentiero corre nel bosco.
Sono uomini di Martinengo, ci salutiamo, poi continuiamo il cammino. Ho già visto il primo di loro da qualche parte, non ricordo dove, poi marciando rammento: è lui, Nasone, il commissario di una banda della V che per conto di Turbine avevo cercato a Case di Nava [nel territorio del Comune di Pornassio (IM)] il 10 luglio. Giungiamo a Piaggia alle tre, troviamo Curto, Boris, Achille e qualche altro del comando divisionale. Pantera e gli altri del comando I^ Brigata erano partiti qualche istante prima verso la Val di Triora alla ricerca del gruppo di Osvaldo e Pablo. Scorgemmo il gruppo di Pantera che saliva rapido per la mulattiera che portava alla cima del Frontè, non ci sarebbe stato possibile raggiungerlo, eravamo stanchi e Pantera aveva un particolare motivo per sbrigarsi: i contadini, che avevano visto le giacche militari dei partigiani della V Brigata che erano con noi, gli avevano segnalato che un forte nucleo di tedeschi o repubblicani si avvicinava a Piaggia.
Sostammo a Piaggia. Poco dopo di noi giunse il dottore e comunicò di aver visto nel bosco dei paracadute impigliati nei rami. Era bene mandare degli uomini a controllare ed in caso a recuperare il materiale.
Perché gli alleati avevano effettuato un lancio in quella zona deserta? A chi era diretto? E' possibile che qualche fuoco acceso da sbandati abbia tratto in inganno gli aerei. Comunque quello era per noi il primo lancio! Qualche illusione, qualche speranza, ma per poco: non c'era niente di utile per noi, solo bombe di mortaio di un tipo inglese. Le seppellimmo, avremmo avvertito i badogliani, forse avremmo potuto combinare con loro qualche scambio, poi recuperammo i paracadute.
Curto e Boris partirono anche loro verso Triora. Noi restammo ancora. Era inutile inseguirci l'un l'altro, non ritenevamo probabile che il gruppo Osvaldo fosse in Val di Triora, fuori della zona della I^ Brigata: fin quando non avessimo saputo con precisione dove fossero ambedue i nuclei del comando I^ Brigata non ci saremmo mossi da Piaggia.
Il 15 passammo il Mongioie, il 16 rimanemmo a Viozene, il 17 giungemmo a Piaggia, il 18 partì Curto. Poco prima della partenza di Curto anche il dottor Caduceo e Cobra l'infermiere ci lasciarono. Ne avevano avuto autorizzazione dal Curto. Motivi di salute, hanno detto, in realtà le incognite della situazione e lo spostarsi in zone a loro poco note avevano fiaccato il loro morale. Caduceo sarebbe tornato a Viozene dove la popolazione mancava di dottori, Cobra lo avrebbe accompagnato. Non erano i primi e non sarebbero stati nemmeno gli ultimi compagni a lasciarci. Cobra mi affidò una valigetta con pochi medicinali. Io gli diedi una mia giacca, ci abbracciammo.
Eravamo stati buoni compagni perché rari erano gli studenti fra i garibaldini e la sua partenza mi rattristò. De Marchi e Gazzelli erano morti, Caduceo ci lasciava, la I^ Brigata restava così senza dottori, solo con Libero che era ancora uno studente di medicina, ma nessuno d'ora in poi sarebbe rimasto con noi se non per sua volontà. Purtroppo anche lasciando le formazioni partigiane gli ex San Marco non cancellavano il loro passato, venivano solo a perdere l'appoggio che, malgrado tutto, eravamo ancora in grado di dare con la nostra organizzazione e le nostre povere armi. Cobra e Caduceo si fermarono nell'alta Val Tanaro sperando di trovarvi una relativa sicurezza. Fu un errore che avrebbero scontato amaramente.
Passarono altri cinque partigiani, avevano lasciato la loro banda a Montegrosso di Mendatica, anche loro abbandonavano la lotta: la Cascione si andava lentamente sfaldando.
Un gruppo di noi era ancora occupato nel bosco col materiale del lancio quando scese la sera. A Piaggia eravamo rimasti in tre: Luigi, Cappello ed io.
Luigi era anziano, l'avevo conosciuto la sera del 2 luglio nel bosco di Rezzo quando ci eravamo presentati al comando garibaldino; Luigi quella sera aveva cantato la nostra canzone Katiuscia che io udivo allora per la prima volta. Chissà se se ne ricordava. Luigi si sarebbe fermato a Piaggia dove aveva delle conoscenze, Cappello ed io esitammo. L'ambiente di Piaggia era già freddo in ottobre; al nostro ritorno poi erano sorte divergenze col Curto per la scomparsa di zucchero ed altro materiale di Faravelli che prima dell'ultimo rastrellamento era stato affidato a civili. La popolazione, che, come abbiamo visto, si era allarmata credendoci tedeschi, pareva in quei giorni angustiata dalla nostra presenza: pure non avrebbe dovuto preoccuparsi per rappresaglie tedesche. Non ne aveva subite in ottobre per quanto il nemico avesse scoperto che era stata sede del nostro comando. Un contadino infatti era stato preso con un permesso di circolazione del comando della Cascione. Interrogato aveva portato i tedeschi all'albergo Saccarello dove il lasciapassare gli era stato consegnato. Le SS che occupavano il paese si erano limitate ad arrestare Pastorelli, proprietario dell'albergo ed a condannarlo a morte per un ordine del comando geoerale che prevedeva tale pena per tutti coloro che ospitavano partigiani. Anche Pastorelli si salvò, perché le SS lasciarono il paese ed il reparto di fanteria subentrato si convinse che l'albergo poteva esser stato da noi occupato senza il consenso del proprietario. Al posto del padre arrestarono il tredicenne figlio Pietro. Lo portarono nelle caserme di Tanarello nella neve e poi di nuovo a Piaggia a pelare patate fino allo sgombero del paese. Cosa la gente di Piaggia abbia pensato dell'imprevedibile contegno tedesco non saprei, era però evidente che aveva paura di noi e così prendemmo un po' di riso e di farina, resti di quella nascosta prima del rnstrellamento, e partimmo per Valcona dove avremmo trovato una famiglia amica che già in passato ci aveva accolto.
La strada per Valcona era coperta di uno strato di ghiaccio, il sentiero percorso decine di volte al buio o con la pioggia era diventato insidioso in pieno giorno. Rivedemmo Seppà dove era stato il comando della I^ in agosto: i due casoni erano deserti, gli usci scardinati. Ecco: lì erano state le stalle, qui il dormitorio; c'era ancora un po' di paglia, e lassù erano gli uffici: c'era ancora il rustico parapetto di legno costruito da noi. Sulla strada la fontana gettava sempre acqua, solo la vasca era in più punti gelata.
Proseguimmo, il rumore dei nostri passi era l'unico suono nel freddo crepuscolo. Anche a Valcona silenzio: che fossero partiti tutti?
Ecco il nostro ospedale, vediamo che ne è stato. La villetta esiste ancora, non l'hanno bruciata. Lì ci fermammo con Turbine il 4 luglio durante il temporale, lì sostai dal 1 al 9 settembre quando De Marchi vi curava i feriti. Ora De Marchi è nel cimitero di Upega. Che ne sarà stato della moglie di Curto e di quell'altra ragazza bionda che ci curavano? Come si chiamava? Silvana mi pare; doveva essere un'infermiera diplomata tanto era brava ed attiva.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

lunedì 8 marzo 2021

La granata ha colpito il capannone

Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Carpenosa: gruppo di case sparse, adagiate sulla strada che da Badalucco e Montalto Ligure porta a Molini di Triora e Triora. Al suo fianco scorre l'Argentina, quel torrente che dà il nome alla vallata e che tanta parte ha avuto nel corso della lotta resistenziale.
La valle Argentina è la zona della V^ Brigata di «Vittò» [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], una formazione ed un comandante dal prestigio indiscutibili; un binomio legato ad una corona di successi popolari, di sacrifici, di somma determinazione e di umanità senza limiti.
L'Argentina ha conosciuto dei giovani indimenticabili, parte dei quali passati come splendide meteore dopo avere esaurito, in qualche mese, tulle le energie vitali di un'esistenza. Ma, molti di essi, sono sopravvissuti ad un'epopea irripetibile, passati sull'orlo degli abissi mortali presso cui hanno vissuto sempre, fino a quel 25 aprile conquistato con una determinazione inarrestabile.
Carpenosa è un piccolo punto e pochi fumaioli, quasi nascosti e timidi. Ma intorno a quelle poche case, più di una volta si intrecciano e si alternano le raffiche delle schiere nemiche e gli attacchi partigiani che, partendo come aquile dai punti più alti di Langan, Cima Marta, Triora, ogni tanto lasciano il segno sulla postazione nazifascista. Oltre che dai distaccamenti 4° e 5°, il presidio è frequentemente molestato anche dalla formazione di Gino Napolitano (Gino) che conta una cinquantina di uomini. Verso la metà di giugno «Gino» è pronto per uno scontro più impor­tante del solito. La presa della casermetta di Carpenosa gli permetterà di dare un'adeguata sede al suo distaccamento. «Gino» già da tempo esercita pressione sulla guarnigione di Carpenosa, affinché si arrenda. Ma la trattativa diventa lunga, sicché, spazientito il Comandante partigiano manda l'ultimatum al presidio: «Arrendersi entro la domenica successiva. In caso contrario i garibaldini passeranno all'attacco».
Domenica, diciotto giugno 1944, giornata splendida: il distaccamento di «Gino», della IX^ Brigata, è sul campo per sostenere la prima prova veramente dura, dopo le precedenti azioni ed i colpi di mano di minore entità. Ore 11 e 30: ora è alto il sole della morente primavera. Trentadue partigiani partecipano all'azione e preparano l'attacco alla postazione tedesca di Carpenosa.
Ore 12, ecco la notizia: sale un camion pieno zeppo di nazisti accorrenti in aiuto del presidio. La tensione è al massimo ed i garibaldini fremono, piazzati sul costone di un'altura donde è agevole dominare la strada ed il nemico.
Ma il camion non è isolato: è il primo di un'intera colonna composta di sette camion gremiti di soldati. Inoltre, ci sono due autoblinde ed altre truppe armatissime, appoggiate dal tiro di un cannone da 75 mm.
È proprio giunto per il distaccamento di «Gino» il battesimo del fuoco.
Anche gli uomini di «Marco» [Candido Queirolo] partecipano all'attacco e si battono bene sul campo di battaglia.
I garibaldini si dispongono a difesa in ordine sparso dietro i cespugli, mentre la staffetta Aldo Barbieri si reca in motocicletta verso Carmo Langan per chiedere rinforzi al 5° distaccamento. Ma il comandante «Vittò» non è presente, essendo già partito in missione per Pigna e Passo Muratone. Non sono rimasti all'accampamento che un centinaio di uomini.
«Erven» [Bruno Luppi] non esita un istante ed assume il comando dei garibaldini presenti anche perché, da tempo, sta ascoltando i colpi delle armi da fuoco di cui non conosce la località di provenienza. Ora è avvisato ed è giunto il momento dell'azione.
A Langan è in dotazione un mortaio da 81 mm giunto dal Piemonte privo del congegno di puntamento e della piastra di basamento. Ciò, nei giorni precedenti, aveva costretto «Erven» a complicate manovre per rendere l'arma funzionante. La formazione è dotata pure di un mortaio da 45mm, due mitragliatrici pesanti e vari mitragliatori.
Tutte le armi ed un certo numero di garibaldini sono ora sul camion che «Vittò» aveva sottratto ai Tedeschi in Val Gavano il 9 di giugno. L'automezzo si avvia veloce verso il luogo dello scontro. Agli altri, «Erven» dà l'ordine di raggiungerlo a piedi, il più rapidamente possibile.
Nel frattempo, la posizione dei partigiani impegnati nella battaglia si aggrava.
Attesa: i nazisti avanzano, piazzano il cannone e le autoblinde. Iniziano il fuoco con fracasso enorme. Bombardano anche case e casoni, né risparmiano San Faustino.
Il silenzio secolare di quei luoghi è interrotto dallo schianto delle bombe che, come sempre, incute terrore e causa distruzione e morte, mentre l'eco lugubre rimbalza tra le valli.
Agostino Moraldo, meglio conosciuto come «Luigi» o «Petrin di Creppo», giace sul campo di battaglia, ferito gravemente al ventre da una scheggia di mortaio.
Trascorre lento il tempo: un po' di tregua, un po' di quella musica dei cannoni. I reparti tedeschi avanzano lentamente e giungono vicini: ora le armi automatiche partigiane sono efficaci. Fuoco nutrito ed i Tedeschi arretrano, per poi avvicinarsi ancora. I partigiani riaprono il fuoco, ed i Tedeschi arretrano nuovamente. Poi, come un'altalena, ancora per varie volte.
Nel campo garibaldino c'è entusiasmo e decisione anche se la superiorità numerica e di mezzi dei nazisti è notevole, aggirandosi approssimativamente sulle quattrocento unità.
Il pomeriggio è già inoltrato. Il tempo passa lento. Le munizioni incominciano a mancare. Le armi automatiche dei garibaldini ora tacciono. Solamente la mitragliatrice di Nuvoloni e dei suoi aiutanti risponde ancora al nemico come il canto dell'ultima cicala. Un'ultima raffica ferma alcuni nazisti. Poi tace.
Ad un certo momento gli uomini di «Marco» e di «Gino» si trovano semiaccerchiati dai Tedeschi, i quali attendono l'occasione per schiacciarli. Sui partigiani incombe il pericolo della strage e della morte.
All'improvviso si scorge, ancora molto lontana, una fila di uomini armati. Interminabili momenti di incertezza. Poi giunge il camion con i rinforzi partigiani. Non tutti gli stati d'animo si possono descrivere. Certi fatti restano soltanto impressi negli occhi per tutta una vita e nella gola par quasi s'incrocino groppi che impediscono pianto, riso, pazzia di gioia e d'amore nel contempo. Tale è il momento dell'incontro. «Erven» rincuora «Marco» già stanco e demoralizzato. «Moscone» [Basilio Mosconi] e «Guido di Cetta» appena scesi dal camion si portano avanti e mettono in funzione le mitragliatrici ed i mitragliatori. È fermata l'avanzata dei Tedeschi, sorpresi dalla ripresa della lotta. Le perdite naziste aumentano.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 80-82

Agaggio Inferiore, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

Episodio raccontato da «Gino» (Gino Napolitano)
:
Nel mese di giugno del ’44 m’ero portato ad Agaggio inferiore col mio distaccamento composto da cinque uomini. Eravamo poco armati, ma pieni di entusiasmo: numerose piccole azioni, agguati e colpi di mano ci erano riusciti benissimo e avevano messo in noi la smania di affrontare il nemico in forze, certi di poterlo battere. In verità sino a quel momento lo avevamo sempre vinto: numerose piccole stazioni di tedeschi e di fascisti erano state eliminate e ovunque incontravamo le pattuglie nemiche le volgevamo in fuga, tant’era l’ardore che i miei uomini ponevano nella lotta. Si mangiava poco, ma si faceva il proprio dovere “senza mugugni”. E se si riusciva a catturare un moschetto da carabiniere, di quelli con la cinghia bianca, era per noi una festa. Ero dunque ad Agaggio. Avevo intavolato trattative col presidio nemico di Carpenosa composto di sette guastatori e di due tedeschi per convincerli ad arrendersi: avevo bisogno di far riposare i miei uomini in un luogo decente e Carpenosa faceva al caso mio. Il nemico tergiversava. Io cominciavo a diventar furioso. Un venerdì inviai un mio garibaldino a Carpenosa con l’incarico di riferire al Presidio che se entro la domenica successiva non avesse capitolato avrei sferrato l’attacco. Ci risposero che avrebbero meditato sull’ultimatum. La notte fra il sabato e la domenica feci i preparativi e la domenica mattina alle 11,30 ero in posizione. Si trattava del mio primo attacco in forze e volevo vincere ad ogni costo. Avevamo con noi un mortaio da 45 che Minorato mi assicurava di saper manovrare molto bene, il che si dimostrò vero durante l’azione. Piazzai il mortaio su un’altura dove scaglionai i miei uomini in modo da dominare il nemico e la rotabile. Temevo una sorpresa e, infatti, la sorpresa venne. Alle 11,50 sulla strada sotto di noi apparve un camion pieno di tedeschi che veniva su arrancando. Evidentemente il presidio di Carpenosa, invece di arrendersi, aveva chiesto rinforzi per tentare di eliminarci. Decisi di rimanere sul posto anche se tutta la forza nemica della provincia fosse venuta su: il pensiero di dare una lezione memorabile ai nazifascisti sommergeva ogni prudenza: ne ero ossessionato e i miei uomini mostravano la stessa volontà. Ordinai a Minorato di aprire il fuoco. Fu un colpo magnifico: al primo sparo il camion venne preso in pieno. Scorgemmo il proiettile scoppiare con un gran rombo sul cofano e i tedeschi saltar giù in preda al panico. Urlammo di entusiasmo mentre il nemico si buttava in un tombino della strada. Lanciai un gruppo di uomini innanzi. I miei ragazzi scesero di corsa come se andassero a una festa: pugnale fra i denti, le bombe a mano pronte. S’arrestarono a pochi metri dalla strada e lasciarono cadere una pioggia di bombe sul nemico che non tentò alcuna reazione. Scorsi però in distanza altri camion nemici che risalivano la strada. Li contai: erano nove e tutti fortemente carichi e, fra l’altro, uno di essi trasportava un cannoncino da 75. L’affare cominciava a diventar grosso. La mia sola forza non sarebbe bastata a tenere testa a tre o quattrocento uomini armati di artiglieria. Disposi la mia truppa in posizione di resistenza, scaglionandola tra gli alberi, al coperto delle rupi e inviai una staffetta veloce al comandante Vittò perché mi inviasse rinforzi. Ed attesi. Il nemico non osava avanzare. Aveva arrestato i suoi veicoli a qualche chilometro da noi spostando lentamente le sue truppe avanti, fuori dal tiro delle nostre armi ponendo il cannone in postazione. Poco dopo cominciò il tiro. I colpi scoppiavano tra gli alberi con un rumore che gli echi della valle centuplicavano. Noi tirammo due o tre volte col mortaio, ma le munizioni erano scarse ed il nemico troppo lontano perché il nostro tiro potesse essere efficace e perciò ordinai di cessare il fuoco. Le ore passavano: i tedeschi continuavano a bombardarci ad intervalli. Essi avanzarono ancora fino a giungere a tiro delle nostre armi automatiche. Le impugnammo immediatamente ed il nemico si ritirò. La manovra venne ripetuta parecchie volte, ma, ogni volta, il tedesco fu costretto a ripiegare subendo perdite. Le nostre erano leggere: Petrino era stato ucciso e qualche ferito giaceva al suolo.
Il nostro morale era altissimo. Balzavamo di riparo in riparo come dannati, noncuranti dello scoppio dei proiettili avversari e freschi malgrado l’azione continuasse per ore ed ore. Nel tardo pomeriggio vedemmo spuntare su una cresta al di sopra di noi un gruppo di uomini: erano i rinforzi di Vittò che giungevano. E giungevano portandoci un aiuto prezioso: un mortaio da 81!
Credo ballassi dalla gioia! Ero esultante. Ponemmo il mortaio in postazione ed iniziammo un tiro accelerato. Nello stesso tempo mandai avanti gruppi di garibaldini per impegnare il nemico in combattimento ravvicinato. Scendevo con loro allo scoperto, tra le palle che sibilavano: l’ebbrezza della lotta ci aveva fatto perdere il senso della realtà. Si andava incontro alla morte con passo franco e cuor leggero e la vita, pur sotto la minaccia fatale, ci sembrava una bella e magnifica avventura. Il nemico non ci attese. Lo vedemmo sbandarsi, abbandonare le sue posizioni, correre disordinatamente verso le macchine ferme, montarvi sopra, abbandonando il cannone che recuperammo, sebbene inservibile, e fuggire a tutta velocità inseguito dai nostri colpi. Alle 9 occupammo Carpenosa completamente abbandonata. Il nemico ebbe numerose perdite: trovammo tutto l’equipaggio del primo camion ucciso sulla strada. I resti del camion stesso sono ancora abbandonati sulla scarpata. Nel complesso i tedeschi perdettero oltre 80 uomini fra morti e feriti: un quarto almeno delle forze impegnate nel combattimento.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 119-121


La cava di Carpenosa. Foto: Eraldo Bigi

Ormai è chiaro: la Resistenza non sarà battuta malgrado la sua solita inferiorità in numero e mezzi.
Ora i garibaldini sviluppano un fuoco nutrito che provoca scompiglio tra le fila naziste. «Erven», intanto, non perde tempo e piazza da posizione arretrata il suo mortaio da 81. È vicino alla Fereira. Pepin Lantrua, da un rifugio del sottostrada, lo avvisa che c'è un gruppo di partigiani circondati. Il Lantrua, padre di due garibaldini, indica anche ad «Erven» la posizione in cui si trovano i Tedeschi (che, a loro volta, tentano di colpire il mortaio con colpi di cannone) e lo invita a puntare l'arma in direzione di un olmo distante circa trecento metri.
Inizia il tiro dei mortai ed una vedetta segnala ad «Erven» di allungare la traiettoria di una cinquantina di metri. Il colpo successivo centra un camion di truppa. È il primo sostanzioso successo.
Ma i colpi del cannone nemico si avvicinano ed il mortaio è continuamente spostato per non essere colpito.
Quello che accade poco dopo ha dell'incredibile. Un altro colpo e poi si ode un fragore immenso e dal luogo dove sono i Tedeschi si leva una grande colonna di fumo. La granata ha colpito il capannone in cui era situato il dispositivo per il brillamento del campo presso la casermetta di Carpenosa, precedentemente minato dai nazifascisti. Gli effetti sono terribili. Salta pure un tratto di strada.
Intanto, dopo un altro paio di colpi sparati con bombe a grande capacità, il mortaio perde la sua stabilità e diventa inservibile. In mezzo all'immane scoppio, incalzati dal fuoco delle mitraglie, ai Tedeschi non resta che abbandonare il campo dopo aver caricato sugli automezzi tutto il possibile. «Erven» scende verso il basso, con «Marco» attraversa la passerella sull'Argentina e sale a San Faustino per avere una visione del campo di battaglia. I due, affamati, chiedono del pane di cui sentono un fragrante profumo. Un vecchio gliene offre uno grosso, invitandoli a desistere dalla lotta per il timore che i Tedeschi li uccidano tutti. Poi, da una posizione elevata si recano ad osservare la zona. Ai loro occhi si presenta un vero e proprio paesaggio bellico: sul terreno, sconvolto dalle bombe di mortaio, giacciono sparsi corpi umani. I Tedeschi in quel giorno non nuocera nno alle popolazioni dei nostri paesi. Sono fuggiti tutti precipitosamente con il ricordo di una sconfitta vera e propria.
Ore 21: la Resistenza entra in Carpenosa tra l'incredulità degli abitanti dei paeselli all'intorno che temevano veramente per la vita di quei giovani. Ma il miracolo è accaduto e c'è il ritorno agli accampamenti, nella notte, accompagnati dalle canzoni dei «ribelli». (5)
Il 20 di giugno nell'ospedale di Triora cessa di vivere Agostino Moraldo, rimasto gravemente ferito nella battaglia. Il democratico e libero Comune di Triora sostiene le spese del funerale in segno di perenne riconoscenza verso colui che, vittima di una nobile scelta di vita, onorando i suoi concittacUni, tutto ha dato senza nulla chiedere per la causa della libertà. Quando la salma esce dalla chiesa rintoccano le campane e  portano tanta tristezza nel cuore di  tutti.
Il distaccamento di «Gino» si trasferisce a Carpenosa.
Un altro importante punto strategico dell'Argentina è liberato in quell'esaltante mese di giugno per le forze della Resistenza.
Le perdite dei Tedeschi nello scacco subito a Carpenosa sono state variamente segnalate: Gino Napolitano afferma che il nemico ha lasciato sul terreno oltre 80 uomini tra morti e feriti. Da un racconto di Italo Calvino i morti risultano 72. Da una relazione scritta e non firmata le perdite naziste ammontano a 173 uomini, un camion, cinquanta litri di benzina e materiale vario. Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario fa risalire ad alcune decine il numero dei Tedeschi messi fuori combattimento. A noi, sinceramente, alcune cifre appaiono un po' gonfiate. Ma diciamo che le perdite tedesche a Carpenosa non furono poche.
(5) A detta di Ernesto Corradi (Nettù) *, anche il 7° distaccamento ha preso parte alla battaglia, in forma autonoma dalle altre formazioni partigiane.
Riviviamone le vicende attraverso una relazione scritta dal Comandante stesso: "Due giorni prima la banda «Nettù» era partita da Carmo Langan per una missione a Baiardo. Il giorno dopo, sulla via del ritorno, a causa di un violento temporale, gli uomini, inzuppati e fradici per l'acquazzone sopravvenuto, sono costretti a pernottare in un casone semidistrutto. All'alba, confortati dal tempo rimesso al bello, si rimettono in marcia. Arrivati all'accampamento chi ha la possibilità di farlo si cambia gli abiti. All'improvviso giunge una staffetta per chiedere urgenti rinforzi. «Nettù» raduna i partigiani disponibili, i quali, alla svelta, si incammminano per una destinazione non ancora ben precisata a sud di Molini di Triora. «Nettù» si presenta a «Erven» ed a «Marco» e riceve l'ordine di portarsi su San Faustino con l'aiuto di una guida. Questa conduce i garibaldini nei pressi del luogo destinato e si allontana. Il Comandante si inoltra nella borgata e vede alcuni Tedeschi scendere precipitosamente verso il fondovalle. Con i suoi uomini cerca di inseguirli. Ad un tratto scorge, sull'altra riva del torrente, dei nazisti che stavano sparando da un bosco di castagni. Il distaccamento «Nettù» apre il fuoco con la mitragliatrice ed avanza verso i nemici. Mentre attraversa il ponticello vicino alla caserma di Carpenosa s'ode uno spaventoso fragore di esplosione. Un lungo tratto di strada è distrutto. Gli uomini entrano poi nel boschetto e trovano un gran disordine, zaini, elmetti forati, chiazze di sangue. Sulla carrozzabile, dietro la curva, un camion inservibile ma con un serbatoio di scorta pieno di benzina (che in seguito si recupererà). La sera la banda «Nettù» è invitata dalla popolazione a Molini di Triora ed il mattino seguente ritorna a Carmo Langan..."
Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 82-84  

* [Sulla controversa figura di Ernesto Netu/Netù Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020]

Dintorni di Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Gli uomini di Vittò si preparano velocemente le armi per l’azione. Il distaccamento possedeva allora un mortaio da 81 […] le squadre mortai e mitraglieri, al comando di Erven, scendono in camion […] Cosa succede intanto a Carpenosa? I tedeschi, con quattro o cinque cannoni e lanciabombe, tirano sulla parte superiore del costone […].
Fu allora che cadde, ferito dalle scheggie, il garibaldino Petrin di Creppo. Le sorti della battaglia arridono ai nazisti […]. Alle nostre mitraglie non resta che ritirarsi. Solo una, la più avanzata, […] tra i cespugli rimane isolata: era la mitragliatrice del futuro eroe garibaldino Luigi Nuvoloni [Grosso] […] i tedeschi riguadagnano i camions e stanno per prendere la via del ritorno, quando, a un dato momento, il mortaio tace.
Cosa era successo?
Facciamo un passo indietro e torniamo ad Erven […].
Che cosa è successo? […] Una fila di uomini stracciati, vestiti delle divise più disparate, i partigiani insomma che scendono verso Carpenosa. Marco e Erven si precipitano per unirsi a loro e avanzare insieme. Sulla strada si imbattono in un camion sfasciato in mezzo a pozze di sangue, brandelli di carne umana, scheggie di mortai, mitragliatori, elmetti, fucili […] La grande esplosione era dovuta alla strada saltata in aria […]
La sera vede il trionfo dei garibaldini vincitori tributato loro dalla popolazione d’Agaggio. Suggestivo è il ritorno: nella notte la fila dei partigiani si snoda verso gli accampamenti al canto dei loro inni.
Fu questa una delle più cruenti sconfitte tedesche nella nostra zona. Settantadue morti ed un numero imprecisato di feriti ne segnano il sanguinoso bilancio.
Mario Mascia, Op. cit., pp. 236-238

venerdì 1 maggio 2020

Dal rastrellamento nazi-fascista di Beusi alla strage del Castello Devachan di Sanremo

Uno scorcio del centro storico di Taggia (IM)
 
Verso le ore 11 del 17 febbraio 1945 "un gruppo di guardiafili del comando di Molini di Triora stava perlustrando la linea da Molini a Langan [località di Castelvittorio (IM)]. A metà strada, quasi al bivio della strada per San Giovanni dei Prati [Molini di Triora (IM)]" < così scrisse don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" (Dal Diario di "Domino nero" - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 >, gli 8 fascisti ed i 3 tedeschi che componevano la pattuglia vennero attaccati "dalle squadre dei comandanti Serpe [Isidoro Faraldi, comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"] ed Olmo [Giobatta Moraldo, comandante del III° Distaccamento del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata]; dopo una sparatoria di 15 minuti i nostri catturavano l'intera pattuglia con tutte le armi. Il numero delle armi automatiche è il seguente: 1 Mayerling, 1 Breda ed 1 Sten" (18 febbraio 1945 - Dal comando del II° Battaglione, prot. n° 3,  al comando della V^ Brigata - documento Isrecim).

I partigiani subito fucilarono (esecuzione segnalata dal comando della II^ Divisione al comando della I^ Zona Operativa il 18 febbraio - documento Isrecim) questi soldati nemici catturati.

Come rappresaglia a quest'ultima esecuzione i comandi militari tedeschi e fascisti portarono a morte 14 garibaldini (e due ex partigiani diventati spie nemiche) il 5 marzo 1945 nel Castello Devachan di Sanremo (IM).
Molte di queste vittime erano state catturate il 18 febbraio 1945 durante il rastrellamento condotto a Beusi e a Campi nel territorio di Taggia (IM).

Alcuni reparti, composti da tedeschi e da bersaglieri repubblichini, provenienti da Sanremo, Taggia, Ceriana (IM) e Baiardo (IM), durante le prime ore del 18 febbraio "condotti da spie circondavano il comando Battaglione ed il Distaccamento di Tito; attendevano l'alba e verso le ore 8,30 attaccavano improvvisamente e catturando una delle nostre sentinelle si portavano nei pressi dominanti ed aprivano il fuoco con armi automatiche" (così nella testimonianza di Cipriano, Raffaele Alberti, commissario di Battaglione).
I garibaldini tentarono la fuga, ma per molti di loro non vi fu scampo.
Ancora dal racconto di Cipriano: "il vice commissario divisionale Miliani venne catturato dai tedeschi, il furiere divisionale D'Artagnan ucciso dai tedeschi, il furiere del Distaccamento di Tito, Fiffa [Fifa, Domenico Lupi], e i garibaldini Alba, Luciana [Renato Dardanelli], Bulbo (ferito), catturati dai bersaglieri. I garibaldini Cinò [Benedetto Reghezza] ed Italo [Francesco Bergonzo] catturati dai tedeschi. Dispersi Torre [Antonio Torre], Baldo [Francesco Foca], più due da ritenersi catturati ed uno morto. Venivano, inoltre, catturati in Taggia, alla sera, i garibaldini Carlo [Secondo Lanteri], Radio [Carmelo Genova], Udine [Giuseppe Genova], Anguilla [Emilio Cesarone], la madre del garibaldino Mare, Fulmine ed il padre di Primavera. Venivano pure ricercati alcuni garibaldini che collaboravano con noi stando a Taggia".
Su indicazione di uno degli arrestati venivano asportati da parte dei bersaglieri 30 fucili del Distaccamento di Tito. Le spie conducevano, inoltre, i soldati fascisti verso gli accampamenti degli altri due Distaccamenti del Battaglione "Candido Queirolo", tuttavia abbandonati da circa una settimana. 

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Taggia (IM): Monumento ai Partigiani Caduti

La mattina del 18 febbraio del 1945 Italo (Bergonzo Francesco) e Franco (Pastorino Francesco) erano di vedetta in località Campi Alti e sorvegliavano la zona andando avanti e indietro. Non accorgendosi che una pattuglia tedesca si stava avvicinando mentre le davano le spalle. Sentii un fruscio fra i cespugli e feci due o tre passi indietro, ed ecco comparire un tedesco che mi sparò un colpo di pistola, udii la pallottola fischiare vicino alle mie orecchie e scappai, scendendo verso i casoni dei Campi facendo segno al mio amico di seguirmi.  Invece lui fuggì dalla parte opposta dove c'erano le brigate nere che lo catturarono e lo pestarono a sangue. Lo seppi dall'americano a fine guerra. Io, dopo circa centocinquanta metri, mi voltai un attimo per vedere se Italo fosse dietro di me, e mi tirarono una bomba a mano tedesca; feci in tempo a buttarmi dietro un muro, che mi piovve addosso terra e pietre. Velocemente andai giù, arrivando in una casa di anziani dove sapevo esserci dei moschetti che lasciammo la sera prima, la coppia per fortuna, aveva già nascosto per bene le armi.
Continuai la mia fuga verso l'accampamento ed una raffica di mayerling sibilò sopra la mia testa, la cima di un albero cadde davanti a me, costringendomi a cambiare percorso, mi avviai così, verso la mulattiera che porta a Beusi e sentii delle voci! Vidi poi una pattuglia di brigate nere, mi nascosi guardando meglio,e scorsi anche una donna che conoscevo. Sentivo chiaramente i loro discorsi! Il comandante fascista voleva dare fuoco a tutto il bosco per stanarci, ma lei gli fece notare che era pericoloso anche per loro stessi [...] A notte fonda arrivano John (Giovanni Ubezio), Milan [questo nome di battaglia del comandante Miliani quasi di sicuro, tuttavia, dovrrebbe essere errato] (Beniamino Miliani) e anche Artiglio (Giuntini Pastorino). Ci abbracciammo nuovamente e le lacrime furono liberatorie. Quel tedesco sparandomi svegliò molti componenti della banda che dormivano nei casoni poco distanti che riuscirono così a fuggire. Purtroppo quel giorno nel bosco, il partigiano D'Artagnan (Egidio Sironi) di Imperia venne ucciso, Bulbo (Antonio Palmisano) venne ferito e fatto prigioniero insieme a Italo, ai due piloti americani, a Beniamino Miliani, al ribelle Jimmy e a l'ex prigioniero Alba. Carlo (Lanteri Secondo) venne arrestato dalle SS per la soffiata di una spia, mentre si trovava nascosto, malato con la febbre, in una casa in Castello (centro antico) a Taggia. I giovani (in tutto furono 15 i partigiani catturati) furono portati a Sanremo nel castello di Devachan... vennero tutti (tranne uno che si salvò) fucilati il 5 marzo 1945...
Rita Pastorino, Prendemmo la via dei monti (Racconti sulla resistenza dei fratelli Pastorino), 2016

20 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", del Corpo Volontario della Libertà aderente al CLN P. 5/11/44, prot. n° 292, al comando Operativo della I^ Zona, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione", alla Sezione SIM della II^ Divisione e p.c. al comando della V^ Brigata - Testo scritto a mano: "Il giorno 18 c.m. forze nazi-fasciste, provenienti da S.Remo, Taggia, Ceriana e Baiardo, hanno effettuato un rastrellamento in località denominata Campi, nella vicinanza della quale erano dislocati i Distacc. del II Btg. "C. Queirolo". Detta forza nemica che sin dalle prime ore del mattino trovavasi appostata nelle vicinanze di detta località, favorita dalla foschia, aveva il modo cogliere alla sorpresa le nostre formazioni. Da ultime informazioni assunte risulta che il Garibaldino D'Artagnan [Egidio Sironi, nato a Sampierdarena il 3 giugno 1920] è rimasto ucciso ed altri otto Garibaldini venivano catturati tra cui Miliani Vice Commissario Divisionale. Ci consta che i Garibaldini Alba del Distacc. "Oddo A" non appena catturati abbiano indicato al nemico il nascondiglio dove erano celate le armi dello Stesso Distaccamento. Il garibaldino Cinò [Benedetto Reghezza], uno dei catturati, è stato visto a Taggia in compagnia di tedeschi  [spazio nella lettera]    faceva da guida per la ricerca delle famiglie dei Garibaldini che trovansi in licenza. In data odierna 12 tedeschi con 10 muli provenienti da Taggia hanno fatto una puntata in località Alboreo da dove hanno asporato del fieno. I Garibaldini catturati sembra siano stati portati al Castello Dewachan in S.Remo. Ho già interessato il C.L.N. di detta città, affinché s'informi della loro sorte. Il Resp. S.I.M. di Brigata. Brunero [Francesco Bianchi]".
documento Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

Quattro giorni dopo quel rastrellamento 62 tedeschi con 17 muli si recarono nuovamente a Campi e Beusi con l'intento dichiarato di asportare foraggio per i loro animali da soma: l'obiettivo vero era quello di ricercare la sede segreta della I^ Zona Operativa Liguria.
Il SIM della V^ Brigata (documento Isrecim) fece sapere che "una persona ha avuto l'incarico dal comando tedesco delle SS di presentarsi ai partigiani con il preciso intento di scoprire ove si nascondono 'Simon' [Carlo Farini, ispettore] e 'Curto' [Nino Siccardi, comandante]. Infatti sanno che i suddetti comandanti si trovano in zona segreta. Detta persona dovrebbe mettersi direttamente a contatto con i comandanti oppure corrompere con una grossa somma qualche garibaldino che ne è a contatto. Ci viene comunicato, inoltre, che un garibaldino fatto prigioniero avrebbe dichiarato che la zona segreta in cui si nascondono i due si trova tra la regione Campi e la regione Beusi in quel di Taggia". Ed aggiungeva la descrizione fisica del delatore.
Il 23 febbraio 1945 veniva ucciso a Beusi il garibaldino Moscone [purtroppo non diversamente identificato, in ogni caso da non confondere con il comandante partigiano Basilio Moscone Mosconi], il quale era già stato ferito cinque giorni prima a Bussana, Frazione di Sanremo, mentre tentava il recupero di materiale bellico insieme a "Cancello" (Guerrino Mosso). Moscone venne ricoverato presso un Distaccamento del III° battaglione "Candido Queirolo" "per essere curato dal medico del Battaglione mentre il sottotenente 'Cancello' rientrava al Distaccamento per riferire dell'accaduto. Il giorno 23 febbraio fu eseguito in Beusi un rastrellamento da parte dei nazi-fascisti. Il garibaldino Moscone fu sorpreso unitamente ad altri in un casone a dormire. Benché ferito si gettava sopra il primo milite... fu ucciso selvaggiamente e fattone scempio il suo corpo venne abbandonato in tale località "(relazione successiva del 7 maggio 1945 - Dal comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione "Orazio 'Ugo' Secondo" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 7, al comando del III° Battaglione - documento Isrecim).
Il 5 marzo 1945 presso il Castello Devachan di Sanremo vennero fucilati 14 partigiani, in parte arrestati nel citato rastrellamento di Beusi e Campi del 18 febbraio, in parte catturati la sera stessa a Taggia. Vennero altresì fucilati i due ex partigiani, ormai spie del nemico, che avevano tradito i loro ex compagni di lotta.
Il giorno successivo all'alba "i 16 corpi straziati sono stati trasportati nel cimitero di Sanremo con un carro della nettezza urbana. È stata scavata una fossa comune ed i cadaveri vi sono stati scaricati alla rinfusa direttamente dal carro. Lo sdegno della popolazione è enorme. Noi provvediamo a che sia lanciato domani stesso un manifesto di cui vi invieremo copia", così diceva una comunicazione del CLN di Sanremo [documento Isrecim] al comando della I^ Zona Operativa Liguria.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I 

Bersaglieri repubblichini in Sanremo

18 febbraio 1945 - Dal comando del II° Battaglione "Marco Dino Rossi", prot. n° 3, al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Relazionava che "il 17 u.s. le squadre dei comandanti Serpe [Isidoro Faraldi, comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"] ed Olmo [Giobatta Moraldo, comandante del III° Distaccamento del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata] attaccavano a Carmo Langan una pattuglia nemica composta da 8 fascisti e 3 tedeschi; dopo una sparatoria di 15 minuti i nostri catturavano l'intera pattuglia con tutte le armi. Il numero delle armi automatiche è il seguente: 1 Mayerling, 1 Breda ed 1 Sten...".

18 febbraio 1945 - Dal comando della II^ Divisione al comando della I^ Zona Operativa - Riferiva la comunicazione dello stesso giorno del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" sullo scontro con il nemico del 17 febbraio ed aggiungeva la notizia dell'immediata esecuzione dei soldati nemici catturati.

20 febbraio 1945 - Dal comando del III° Battaglione "Candido Queirolo" [comandante 'Gori' Domenico Simi], al comando della V^ Brigata - Relazionava che "il 18 u.s. in località Campi-Beusi dalle 8.30 alle 12.30 reparti nemici, composti da tedeschi e bersaglieri, circondano il Battaglione in indirizzo ed il Distaccamento di 'Tito'. Non avendo avuto il tempo di reagire i garibaldini tentarono la fuga. E' rimasto ucciso 'D'Artagnan', mentre una decina di partigiani sono stati arrestati. Durante la sera dello stesso giorno, inoltre, sono stati catturati a Taggia altri 7 patrioti. Armi perse: 30 fucili appartenenti al Distaccamento di 'Tito'".

21 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 294, al comando della I^ Zona Operativa ed al comando della II^ Divisione - Riferiva che, provenienti da Taggia, 20 tedeschi con 10 muli si erano recati a Maberga, dove avevano scovato ed asportato numerosi sacchi di viveri custoditi dai garibaldini del III° Battaglione e che avevano preventivamente detto alla popolazione che, avendone assoluto bisogno, si sarebbero assentati per diversi giorni alla ricerca di foraggio.

22 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione - Segnalava che "... Risulta che una lettera del defunto 'D'Artagnan' sia caduta nelle mani tedesche...".

22 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 296, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Riferiva anche che quella mattina 62 tedeschi con 17 muli si erano recati in località Campi di Taggia per asportare di nuovo del foraggio.

7 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 389/SIM,  alla Sezione SIM della V^ Brigata  - Comunicava, tra le altre notizie, che nei giorni precedenti erano stati uccisi i partigiani Moscone e 'Oris'.

15 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 437, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che ... rispetto alla strage del 5 marzo si era venuti a conoscenza del fatto che un partigiano era riuscito a fuggire ed a salvarsi.

da documenti Isrecim  in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

lunedì 13 gennaio 2020

I partigiani fucilati al Castello Devachan di Sanremo

Sanremo (IM)

All'alba del 18 febbraio 1945, i nazifascisti, probabilmente guidati dalle spie Benedetto Reghezza “Cino”, un maestro di scuola, e Domenico Lupi “Fifa”, un "sempliciotto" nelle parole di Mompracem (Natale Massai, delle cui annotazioni su diario - conservato presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - si dirà dopo), ex partigiani precedentemente catturati in un rastrellamento dell'11 febbraio 1945 in località Beusi, Taggia (IM), rastrellarono ancora la zona di Beusi e dintorni, nonché Pamparà, Scumelin, Campi Alti e Campi du Beppe. Nei casoni di tali località si erano rifugiati gran parte dei garibaldini del III° Battaglione “Candido Queirolo” della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", che per il freddo erano scesi dall'alta montagna. Accortisi della presenza nemica cercarono di nascondersi nel bosco. I tedeschi catturarono Bergonzo Francesco (Italo), Dardanelli Renato (Lucia), Foca Francesco (Baldo), Miliani Beniamino (Miliano), Palmisano Antonio (Burbo), Ricagno Luigi, Scarpari Riccardo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Taggia (IM) vista da Castellaro

Ma rifacciamoci un poco a quanto ci ha raccontato Rosetta, figlia di Francesco Lanteri (Chicò): "... tramite la spia Armida Santini i nazifascisti venivano a conoscenza del fatto che la famiglia Lanteri Francesco (padre di sei figli) aiutava in tutti i modi i garibaldini del III battaglione della V brigata, comandato da Domenico Simi (Gori), ed il Comando della I Zona Operativa Liguria, composto da "Curto" [Nino Siccardi, comandante], "Simon" [Carlo Farini, ispettore], Lorenzo Musso (Sumi), il capitano inglese Robert Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall e Bianca Novaro (Rossana). Questo Comando era dislocato nella zona di Beusi, bosco del Pistorino, e Campi, a monte di Taggia. Nella notte del 18 febbraio 1945, guidati dalla spia, i nazifascisti, giunti presso la cascina del Lanteri, con i piedi fasciati di stracci per non fare rumore, la circondano. Sfondate le porte e catturata tutta la famiglia, dopo averla trascinata fuori, sullo spiazzo, le piazzano davanti tre mitragliatrici. Il capofamiglia, Lanteri Francesco, viene torturato per primo, dopo qualche minuto ha tutta la faccia livida e tumefatta, con un occhio che gli pende fuori dall'orbita. Il figlio tredicenne Idilio, staffetta presso il Comando I Zona, è brutalmente percosso, gli slogano completamente il braccio destro, gli uccidono il cane che abbaia ai Tedeschi. Ma nessuno parla. Il padre verrà fucilato il 5 marzo nel giardino del Castello Devachan a Sanremo. Gli altri familiari, condotti in prigione, saranno liberati in seguito. Dopo poco tempo, Angela, una delle figlie, morirà di crepacuore; Battistina, l'altra figlia, rimarrà permanenteente inferma per lo stesso motivo. La spia, che era sempre in divisa tedesca, alla Liberazione si salverà fuggendo a Genova. Giorno per giorno trasmetteva al nemico l'attività partigiana della famiglia Lanteri. Il Comando Zona pensò ad uno scambio di prigionieri, ma il tentativo non riuscì..." 
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 181
 
La mattina del 18 febbraio del 1945 Italo (Bergonzo Francesco) e Franco (Pastorino Francesco) erano di vedetta in località Campi Alti e sorvegliavano la zona andando avanti e indietro, non accorgendosi che una pattuglia tedesca si stava avvicinando mentre loro davano le spalle. Franco ricordava in seguito "Sentii un fruscio fra i cespugli e feci due o tre passi indietro, ed ecco comparire un tedesco che mi sparò un colpo di pistola. Udii la pallottola fischiare vicino alle mie orecchie e scappai, scendendo verso i casoni dei Campi facendo segno al mio amico di seguirmi. Invece lui fuggì dalla parte opposta dove c'erano le brigate nere che lo catturarono e lo pestarono a sangue: lo seppi dall'americano a fine guerra. Io, dopo circa centocinquanta metri, mi voltai un attimo per vedere se Italo fosse dietro di me, e mi tirarono una bomba a mano. Feci in tempo a buttarmi dietro un muro, quando mi piovvero addosso terra e pietre. Velocemente andai giù, arrivando in una casa di anziani dove sapevo esserci dei moschetti che avevamo lasciato la sera prima, ma la coppia per fortuna aveva già nascosto per bene quelle armi. Continuai la mia fuga verso l'accampamento ed una raffica di Mayerling sibilò sopra la mia testa, la cima di un albero cadde davanti a me, costringendomi a cambiare percorso. Mi avviai verso la mulattiera che porta a Beusi e sentii delle voci. Vidi poi una pattuglia di brigate nere, mi nascosi guardando meglio, e scorsi anche una donna che conoscevo. Sentivo chiaramente i loro discorsi! Il comandante fascista voleva dare fuoco a tutto il bosco per stanarci, ma lei gli fece notare che era pericoloso anche per loro stessi. 'Meglio sparare con il mitra', disse. Sapeva che eravamo accampati lì vicino, conosceva bene la zona! La spia!" (Questa signora ha un nome e cognome qui non scritto per rispetto alla famiglia totalmente diversa da lei, ma forse neanche la tipa si rese conto di quanto aveva fatto). "Mi sdraiai dietro un cespuglio e mi coprii la testa e lo stomaco con una pietra piatta che trovai vicino a me, sentivo le raffiche di mitra fischiare intorno alla mia postazione, chiusi gli occhi e iniziai a tremare. Dalla paura mi venne la dissenteria, e dopo un po' mi addormentai. Mi svegliò il rumore di qualche bomba a mano che scoppiava nei nostri casoni, che avevano bruciato, compreso quello di comando. Al buio mi avviai verso quella zona, per ritrovare speranzoso i miei compagni e soprattutto i miei fratelli. Per primo vidi Pedro (Lino Lanteri) con una coperta sulle spalle da cui mancava un angolo, mi disse che lo aveva mangiato per non tossire; dietro di lui c'era un altro che se l'era fatta addosso come me e dopo mezz'ora vedemmo arrivare mio fratello Tito (Giovanni Pastorino). Appena mi vide pianse e mi abbracciò, era disperato, pensava di essere l'unico superstite di noi tre fratelli. A notte fonda arrivano John (Giovanni Ubezio), Milan (Beniamino Miliani) ed anche Artiglio. Ci abbracciammo nuovamente e le lacrime furono liberatorie. Quel tedesco sparandomi aveva svegliato molti componenti della banda che dormivano nei casoni poco distanti e che così riuscirono a fuggire. Purtroppo quel giorno nel bosco venne ucciso il partigiano D'Artagnan (Egidio Sironi) di Imperia, Bulbo (Antonio Palmisano) venne ferito e fatto prigioniero insieme a Italo, ai due piloti americani, a Beniamino Miliani, al ribelle Jimmy ed a l'ex prigioniero Alba. Carlo (Lanteri Secondo) venne arrestato dalle SS per la soffiata di una spia mentre si trovava nascosto, malato con la febbre, in una casa in Castello (centro antico) a Taggia." I giovani (in tutto furono 15 i partigiani catturati) furono portati a Sanremo nel castello di Devachan e mentre i due piloti americani restarono prigionieri di guerra rimanendo in carcere fino al 25 aprile giorno della Liberazione, gli altri partigiani, invece, vennero tutti (tranne uno che si salvò) fucilati il 5 marzo 1945. Davanti al plotone di esecuzione Jimmy tentò, riuscendo, essendo l'ultimo della fila, a buttarsi nel grande roveto vicino al cortile delle tristi esecuzioni; nonostante le innumerevoli fucilate sparate a raffica nel cespuglio spinoso, nessuna gli fu fatale. Egli uscì dal suo nascondiglio tutto graffiato, con un braccio ferito e il mattino dopo di buon'ora lo vide una ragazza, che lo nascose per parecchio tempo nella propria casa, curandolo amorevolmente.
Rita Pastorino, Prendemmo la via dei monti (Racconti sulla resistenza dei fratelli Pastorino), 2016



Durante il rastrellamento sono catturati altri partigiani: dopo una breve pausa a casa propria, quando risalgono in montagna, Enrico Poggi (Sparviero) e Luigi Anfossi (Lio), cadono in mano ai tedeschi. Lino, fratello di Luigi, che era con loro in posizione arretrata riesce a salvarsi gettandosi in un  roveto sotto il sentiero, rimanendovi nascosto un giorno e una notte. Della cattura di Francesco Lanteri (Chicò), che aveva tre figli nei partigiani, e cosa fecero della sua famiglia e della sua casa abbiamo già scritto in precedenza. Purtroppo il Reghezza e il Lupi additano ai tedeschi anche i partigiani Guido Bendinelli (Toscano), che era sceso in missione in città, Secondo Lanteri (Carlo), che sostava in una vecchia casa di Taggia, ed infine in via Solaro [a Sanremo] Carmelo Genova  (Radio) con il genero Emilio Cesarone (Anguilla) e Pino figlio diciassettenne del Genova: sono catturati e condotti a Sanremo. Il Genova, già maresciallo dell'esercito, aveva in casa una radio trasmittente che faceva funzionare.  Il Pino ad un certo momento riuscì a fuggire ai Tedeschi grazie ad un allarme aereo, però i fascisti lo catturano, ma poi lo liberano perché dice di essere al servizio dei fascisti alla Villa Auber. Là giunto, riesce nuovamente a fuggire ed a salvarsi.

Castello Devachan. Fonte: la Riviera.it
 
Alla tragica alba del 5 marzo 1945 sedici dei rastrellati sono passati per le armi al castello Devachan, senza aver subito alcun processo o simulacro di giustizia [...] <5 I sedici corpi straziati sono trasportati, nella mattinata del 6, nel cimitero di Sanremo con un carro della nettezza urbana e scaricati alla rinfusa direttamente dal carro in una fossa comune. 
[NOTA]
5 Il Lupi e il Reghezza, che le SS avevano vestiti con le divise come le loro, pensavano di salvarsi facendo la spia. Invece, terminato il loro nefasto compito, venivano fucilati ugualmente e finivano nella fossa comune insieme ai partigiani.
 

Lo sdegno della popolazione è enorme. Il CLN di Sanremo lancia un manifesto ed un volantino che recitano:
CARNEFICI DEL NOSTRO POPOLO, UCCIDETE, MA TREMATE.
I vostri crimini avranno presto termine e la spada della giustizia calerà finalmente su di voi tutti. Il sangue dei nostri martiri non può restare invendicato. La voce straziante delle madri, delle spose, dei padri e dei figli non rimarrà senza eco. La giustizia del popolo sarà inesorabile. Ogni crimine verrà punito. Ma più terribile di ogni punizione è la maledizione di tutta quanta l'umanità che vi perseguiterà in eterno. Non crediate di poter arrestare o fuorviare il corso della giustizia: ovunque andiate sarete raggiunti poiché il marchio di Caino è sulle vostre fronti.
Tremate dunque, carnefici!
Tremino tutti coloro che di Villa Auber, del castello Devachan e di molti altri luoghi hanno fatto dei carnai. Tremino tutti coloro che, direttamente o indirettamente, hanno reso possibili gli eccidi commessi nelle nostre valli, sulle nostre montagne, nelle nostre città. La nemesi bussa, ormai alle vostre porte. Sarà giustizia divina, sarà giustizia di popolo.
CITTADINI DI SANREMO:
Nelle prime ore del mattino del 6 corrente mese un “autocarro della nettezza urbana”, infamia senza nome, trasportava al cimitero della nostra città i corpi straziati di 16 martiri. Una fossa comune fu la loro tomba. Inchiniamoci fratelli, davanti al loro sacrificio e facciamo voto di deporre le armi solo quando il mondo intero sarà liberato da così orrendi mostri. Solo allora i nostri martiri potranno riposare in pace. Solo allora potremo dire di averli vendicati. Il comitato circondariale di Liberazione di Sanremo


Il nemico giustificava il suo orrendo delitto con un volantino lanciato con una macchina in corsa, intitolato notificazione, di questo tenore: Con sentenza del 5 marzo 1945, il Presidente del Tribunale competente, riunitosi in Sanremo, ha condannato alla pena di morte mediante fucilazione i sottosegnati cittadini italiani, colpevoli di omicidio (seguono i nomi che abbiamo elencato). E' stata ordinata l'esecuzione immediata della sentenza come rappresaglia per l'assassinio di due soldati tedeschi e otto italiani, avvenuto presso Carmo [n.d.r.: Carmo Langan,  località in altura di Castelvittorio (IM)] nel febbraio 1945. Sanremo, 5 marzo 1945
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 230-232

Taggia (IM): Piazza Eroi Taggesi

Il 5 marzo 1945 a Sanremo  presso il castello Devachan, sede delle SS nella zona del Berigo in Corso Inglesi, furono fucilati 14 partigiani e 2 ex partigiani, ormai spie dei nazi-fascisti, Benedetto Reghezza (Cinò) e Domenico Lupi (Fifa), che avevano tradito i loro ex compagni di lotta. I nomi di questi martiri della Libertà sono Luigi Anfossi (Lio), Guido Bendinelli (Toscano), Francesco Bergonzo (Italo), Emilio Cesarone (Anguilla), Renato Dardanelli (Lucia), Francesco Foca (Baldo), Carmelo Genova (Maresciallo), Francesco Lanteri, Secondo Lanteri (Bastian, Carlo), Beniamino Miliani (Miliano), vicecommissario della II^ Divisione "Felice Cascione", Enrico Poggi (Mare-Monti, Sparviero), Riccardo Scarpari.
Una parte dei garibaldini fucilati erano stati arrestati durante il rastrellamento di Beusi-Campi del 18 febbraio 1945.
Gli altri erano stati catturati durante un rastrellamento effettuato a Taggia sempre il 18 febbraio.
Il nome di Miliani non risultò nell'elenco del tribunale militare tedesco che condannò i garibaldini perché al momento della cattura indossava il cinturone del partigiano Attilio Alquati. Secondo quanto lasciò scritto in un documento [Isrecim] Mompracem (Natale Massai) "questi partigiani sono stati fucilati (e fa male al cuore doverlo dire) per colpa di due giovani compagni presi dai tedeschi durante un rastrellamento in montagna. Non si sa se è per la paura che hanno tradito oppure per le botte prese durante l'interrogatorio... quel giorno mi trovavo in Piazza Eroi Taggesi [nome attuale] all'angolo di Via Mazzini nord davanti al bar Gigi... ad un tratto arriva il tram di San Remo; alla fermata scendono per primi vestiti kaki i due partigiani liberi e subito dietro scesero parecchie SS anche loro in divisa kaki. I due erano Lupi Domenico e Reghezza Benedetto. Di questi, il primo era un giovane maestro di scuola, mentre il secondo era un po' sempliciotto e forse per questo i tedeschi ne approfittarono per farli parlare dando loro dei soldi che non gli lasciarono mai spendere. Sono rimasti anche loro uccisi il 5 marzo 1945 al Castello Devachan di San Remo insieme ad altri 14 garibaldini, questi quasi tutti catturati durante il rastrellamento di Beusi-Campi del 18 febbraio".
Un documento [IsrecIm] della V^ Brigata redatto il 20 febbraio 1945 aveva sottolineato che "il garibaldino 'Cinò' [Benedetto Reghezza] è stato visto a Taggia in compagnia di tedeschi; faceva da guida per la ricerca delle famiglie dei garibaldini che trovansi in licenza". Sempre il 20 febbraio una comunicazione del III° Battaglione "Candido Queirolo" firmata dal vice comandante 'Cipriano' [Raffaele Alberti] ed indirizzata al comando della V^ Brigata riportava che "il 18 u.s. in località Campi-Beusi dalle 8.30 alle 12.30 reparti nemici, composti da tedeschi e bersaglieri, circondano il Battaglione in indirizzo ed il Distaccamento di 'Tito' [Giovanni Pastorino]. Non avendo avuto il tempo di reagire i garibaldini tentarono la fuga. E' rimasto ucciso 'Dartagnan' [n.d.r.: o D'Artagnan, Egidio Sironi, nato a Sampierdarena il 3 giugno 1920], mentre una decina di partigiani sono stati arrestati. Durante la sera dello stesso giorno, inoltre, catturati a Taggia altri 7 patrioti. Armi perse: 30 fucili appartenenti al Distaccamento di 'Tito'".
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I
 
[...] Agli inizi del 1944, Miliani era stato arruolato nelle forze armate della repubblichetta di Salò ed era stato assegnato ad una batteria contraerea di Oneglia. Nel giugno dello stesso anno, il giovane, con alcuni suoi commilitoni, decise di disertare per unirsi alle forze della Resistenza.
Entrò così in una formazione partigiana e in breve tempo, per le sue capacità di direzione, divenne Vice commissario politico della Divisione Garibaldi Felice Cascione.
Caduto in un’imboscata e finito in mano ai tedeschi, fu eliminato a Sanremo.
Il 26 luglio 1944, Beniamino Miliani era riuscito a far recapitare alla madre una lettera nella quale scriveva: "Cara Mamma …Il 5 giugno sono riuscito a scappare di notte dalla batteria di Oneglia, trascinandomi dietro una dozzina di altri miei compagni delle stesse idee. Abbiamo portato ai partigiani una grande quantità di armi, munizioni, viveri. Un’impresa veramente grandiosa! I tedeschi arrabbiati hanno disarmato tutta la batteria e l’hanno portata via, dicono in Germania. Lo scopo che volevo è stato completamente raggiunto! Sto riscattando la vergogna di essermi dovuto presentare nella Repubblica…".
Redazione, 5 marzo 1945: A 21 anni il partigiano Beniamino Milani viene fucilato dai nazisti, Magazine Italia, 7 marzo 2019


CORPO VOLONTARIO DELLA LIBERTA' ADERENTE AL C.L.N.
COMANDO V BRIGATA D'ASS. GARIBALDI
"L.NUVOLONI"

                             Zona d'operaz. 14/3/45
P.llo 339

SEZIONE S.I.M.


Al Comando Operativo I Zona = Liguria
Al Comando II Div. D'Ass.Gar."F.CASCIONE"
Alla Sezione S.I.M. Divisionale
e p.c. Al Comando V Brigata D'ASS.GAR."L.NUVOLONI" 

OGGGETTO: Informazioni militari.

    Siamo conoscenza che a Taggia presidiano il paese una quindicina di tedeschi, alloggiati nel palazzo Spinola, ed una diecina di militi della P.S.
    Il Tribunale Speciale Militare si è trasferito da S.Remo a Bussana.
   Ci comunicano che ieri sono partiti da Molini verso Rezzo un centinaio di tedeschi. in detto paese è rimasto il solito presidio (Questi ultimi, da voci attendibili, sembra abbiano ricevuto oggi, ordine di partire).
    Carmo Langan, Marta, Grai e Sanson controllate da truppe tedesche.
    Il presidio di Baiardo dopo l'attacco effettuato il 10 c.m., è stato rinforzato da forze naziste. Durante detta azione, rimanevano feriti 4 bersaglieri e l'ufficiale comandante il presidio. Quest'ultimo è stato ricoverato all'ospedale di S.Remo.
     Corrono voci che il Comando tedesco abbia fatto affiggere dei manifesti, nei quali tra l'altro è detto:
             Partigiani! perchè continuate la lotta quando i vostri Capi vi tradiscono? Il Commissario Miliani e due americani da noi catturati ci hanno svelato i vostri segreti.

Ci interessiamo per sapere se ciò corrispone a verità ed in caso affermativo vi invierò copia di detto manifesto.

IL RESPONSABILE S.I.M. di BRIGATA
(Brunero) *

*[Francesco Bianchi, Responsabile S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni della II^ Divisione]   

15 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 437, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che... rispetto alla strage del 5 marzo si era venuti a conoscenza del fatto che un partigiano era riuscito a fuggire ed a salvarsi.     
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II