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sabato 11 marzo 2023

I partigiani imperiesi, dopo la morte di Felice Cascione, tentarono subito di tornare in azione

Una vista sino ad Imperia Porto Maurizio da Villatalla, Frazione di Prelà (IM). Foto: mpvicenza/flickr

Nella mattinata del 30 gennaio 1944 [n.d.r.: tre giorni dopo l'uccisione del loro comandante, Felice Cascione] i partigiani della banda «Cascione», che si erano fermati nei pressi di Eca Nasagò, partono in direzione di Rezzo. In Rezzo la popolazione era insorta qualche giorno prima (27-1-44), contro alcuni carabinieri di Pieve di Teco, che si erano recati nel paese per arrestare quelli che, secondo i fascisti, erano «renitenti» alla leva. La popolazione, armata, aveva fatto prigioniero il maresciallo dei carabinieri, e minacciava di fucilarlo. Poi venne rilasciato, in seguito a trattative; e i «renitenti» non furono arrestati. Però, subito dopo l'accordo con i carabinieri, vennero i fascisti, che operarono un rastrellamento in massa della popolazione di Rezzo.
I partigiani di Cascione si dirigono a Rezzo, per aiutare la popolazione; ma, mentre sono in cammino, vengono informati che la lotta è cessata per l'impossibilità di resistere contro la superiorità numerica dei nazifascisti; perciò, dopo avere mandato Gustavo Berio e Silvano Alterisio in cerca di notizie più precise, tornano indietro, e si fermano ad Armo.
L'aiuto dei partigiani era stato chiesto per mezzo di due o tre uomini di Rezzo giunti appositamente in Albra la sera del 29 gennaio 1944. Mirko (Angelo Setti), con un altro partigiano, ancora la sera stessa andrà a prendere mitragliatore e fucile nascosti durante il percorso da Forti di Nava a Barchi. I partigiani di Cascione, che la mattina del 30 erano partiti alla volta di Rezzo, saputo che la lotta è cessata si fermano in Trovasta; qui pernottano fra il 30 e il 31: quindi, per Moano e Trastanello, si portano ad Armo, dove pernottano fra il 31 gennaio e il 1° febbraio. Per andare da Albra a Rezzo i partigiani erano passati sul ponte di Eca Nasagò. Fino dal giorno 29 gennaio 1944 esponenti antifascisti imperiesi operanti in città, con i quali la banda «Cascione» era più direttamente in contatto (nucleo comunista), per mezzo di Carenzo Fedele avevano messo Curto (Nino Siccardi) in collegamento con Ivan (Giacomo Sibilla) giunto appena da Alto a Barcheto [Frazione di Imperia], e lo avevano mandato in montagna affinché si incontrasse con gli uomini della banda. Curto, con Ivan, parte intorno alle ore 14 da Porto Maurizio, col treno, e si reca ad Ormea, passando per Savona e per Ceva. Nei pressi di Eca Nasagò non trova più la banda; prosegue per Alto e per Caprauna; infine trova i partigiani ad Armo, dove arriva la sera del 31 gennaio 1944. Curto dà ordini ed istruzioni; e il giorno dopo ritorna in città.
I partigiani di Cascione, ridotti a circa una ventina di uomini o poco più, partono tutti insieme da Armo, pernottano ad Aquila d'Arroscia, pranzano a Bacelega e si fermano a Pizzo d'Evigno, dove arrivano la sera stessa del giorno della loro partenza da Aquila. Ma, prima di spostarsi da Armo per la ricerca di nuove sedi, essi, durante la notte, si erano recati ad Alto, per tentare di ricuperare almeno una parte del materiale abbandonato durante la lotta; ed erano pure andati a rendere omaggio alla salma di Cascione, che, a cura di persone del posto, era stata sepolta nel cimitero locale.
Intanto, il 1° febbraio 1944 veniva ufficialmente creato il Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale (CLNP) di Imperia.
A Pizzo d'Evigno, il giorno immediatamente successivo a quello del loro arrivo, i partigiani, che già avevano appartenuto alla banda «Cascione», si dividono in due squadre: una comandata da Vittorio Acquarone, che dapprima si stabilisce a Villatalla di Imperia (nel periodo dal 2 al 15 febbraio circa) e poi si sposta a Borgo d'Oneglia, per preparare il colpo di Garbella, che verrà disposto per il giorno 18 dello stesso mese; e una comandata da Tito (Risso Rinaldo), che si stabilisce nella valle di Diano Marina, zona di Magaietto.
Il giorno 18 febbraio i due gruppi di partigiani derivati dalla banda «Cascione», ora di nuovo aumentati in tutto di forse una diecina di uomini, si recano sulla Via Aurelia, una parte nella zona di Capo Berta e l'altra nella zona di Garbella, con l'ordine di fare saltare la strada nelle due località. L'azione dovrebbe avvenire in concomitanza con uno sciopero operaio, nonché in relazione col progetto di un eventuale sbarco alleato nella piana di Albenga, del quale si era avuta notizia.
Poi l'azione di Garbella e di Capo Berta viene sospesa, e le squadre si ritirano. Il gruppo di Garbella, che si era appostato in una casa abbandonata, poco lontano dal posto di guardia germanico, in prossimità della strada (Via Aurelia), era stato però scoperto da un tedesco, che, giunto sulla soglia di una delle due stanze nelle quali si erano nascosti i partigiani, li aveva scorti, e aveva sparato tutti i colpi della sua pistola, dando l'allarme.
I partigiani, tuttavia, si ritirano incolumi.
Subito dopo la tentata azione del 18 febbraio, otto partigiani del gruppo di Garbella, che era quello già stanziatosi prima a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, ritornano a Villa Talla; gli altri otto (fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo) si portano in una zona a monte di Borgo d'Oneglia e di Sant'Agata. Qualche giorno dopo la maggior parte di questi ultimi (fra cui ancora Setti Angelo o Mirko), essendo giunto l'ordine di portarsi alla «Maddalena» per un raduno generale, si recano a Villa Talla, allo scopo di ricollegarsi con gli altri partigiani del medesimo gruppo, e di andare alla «Maddalena» insieme con loro; ma, non avendoli trovati, proseguono da soli.
Il gruppo prima di stanza a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, che partecipa al completo all'azione del 18 febbraio, era allora composto di sedici uomini, e, fra gli altri, ne facevano parte Vittorio Acquarone, Emiliano Mercati, Trucco G.B. o «Titèn» (rientrato in banda da qualche giorno), Angelo Setti o «Mirko», Franco Salimbeni, Sibilla Federico, Sibilla Giacomo o «Ivan», Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo.
Il gruppo suddetto, per andare a prendere posto in Garbella, parte da Borgo d'Oneglia; passa per Cantalupo, per il ponte di Piani sul torrente Prino, prosegue a mezza costa fra Poggi e il torrente suddetto, attraversando la regione «Perrine»; per un tratto di strada, gli uomini sono accompagnati da Curto che aveva dato istruzioni sul da farsi; poi vengono guidati da altre due persone, probabilmente una di Artallo e una di Piani. Avrebbero dovuto dormire in una baracca a varie centinaia di passi dal luogo dell'azione, che era da compiersi la sera del giorno seguente, cioè del 18, anzi intorno alla mezzanotte; ma non trovata la baracca, anche a causa dell'oscurità, si sistemano in una casa tinteggiata in rosa (Villa Ludovici), situata vicino al ponte dell'Aurelia sul torrente Prino, o ponte di Garbella, e a pochissimi passi dalla strada stessa. Entrati per una porta posteriore rispetto alla strada, per una scala interna scendono al piano sottostante, dove pernottano. Il giorno dopo vedono dei tedeschi che camminano vicino alla casa; perciò risalgono al piano di soprae occupano due stanze, ciascuna accessibile con una propria porta, dal corridoio, e fra loro intercomunicabili per mezzo di una terza porta. All'improvviso, poco dopo il mezzogiorno, sopraggiungono due tedeschi, accompagnati da due ragazze; uno di essi, mentre l'altro è ancora fuori della casa, entra nella seconda stanza per la porta che dà sul corridoio, vede Gianni e Mirko, spara alla rinfusa, e si precipita alla finestra, continuando a sparare. I partigiani, scendendo per la scala interna, si ritirano in fretta; otto si portano sull'Aurelia, passano per il ponte, e infine andranno a Villa Talla; gli altri otto, fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo, girano intorno alla casa, Ivan spara al tedesco che è ancora alla finestra mentre l'altro è fuggito, poi tutti e otto ritornano nei pressi di Borgo d'Oneglia, passando su per giù per la strada percorsa nel venire, e si fermano fra Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, a monte dei due villaggi. Qui restano per qualche giorno, e poi alcuni di essi si dirigono alla «Maddalena», passando per Villa Talla.
Dopo la tentata azione del 18 febbraio, quando una parte del gruppo, che doveva operare in Garbella, si ritira a monte di Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, Ivan, malato di artrite, si ferma in Sant'Agata, nella casa di Mela Giuseppe («Sacchetto»), che era staffetta del gruppo. Due giorni dopo viene raggiunto da Franco Salimbeni, febbricitante.
Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

mercoledì 28 settembre 2022

Il 28 gennaio 1944 nuclei armati di renitenti ribelli occupavano il comune di Rezzo

Rezzo (IM): uno scorcio del centro storico. Fonte: Davide Papalini su Wikipedia

In relazione al telegramma Nr. 57351/441 si omettono per la seconda quindicina del dicembre u.s. le tre segnalazioni richieste, permanendo tuttora le condizioni di cui alle mie precedenti relazioni per la prima quindicina dello stesso mese, trasmesse con mio foglio del 18 dicembre u.s. pari numero.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia [n.d.r.: della Repubblica Sociale di Salò] - Roma, Imperia, 3 gennaio 1944  - XXII°. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma 
 
[...] Con sempre maggiore impulso viene combattuto il mercato nero e continuano le mie ispezioni personali ai mercati del Capoluogo e degli altri centri della Provincia.
Le recenti incursioni nemiche in questo Capoluogo ed in alcune località della Provincia, che hanno fatto vittime e danni, nonché i frequenti e ripetuti allarmi giornalieri, hanno provocato un certo sbandamento, aggravando il problema dei rifornimenti dei prodotti ortofrutticoli. A rimuovere tale inconveniente si sta procedendo con tutti i mezzi a disposizione.
Attiva sorveglianza viene esercitata sugli elementi avversi al Regime Repubblicano Fascista per seguirne gli ulteriori atteggiamenti e poter, all'occorrenza, tempestivamente intervenire per energicamente reprimere qualsiasi tentativo di turbamento dell'ordine.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 10 gennaio 1944 - XXII°. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma
 
Il 7 corrente in Cosio d'Arroscia elementi ribelli hanno asportato quattro fusti di carburante dall'abitazione di tale Gastaldi.
Il 9 corrente in Cosio d'Arroscia i carabinieri intervenuti per far cessare una festa da ballo che svolgeva in una abitazione privata sono stati respinti e minacciati da elementi partigiani che partecipavano alla festicciuola. Militari germanici accorsi in aiuto dei carabinieri hanno ucciso un borghese e ne hanno feriti due. Poi, hanno fermato il Commissario Prefettizio locale.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 gennaio 1944, pagine 9-10. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

Nella settimana testè occorsa, e precisamente il 28 gennaio u.s. [n.d.r.: il giorno dopo l'uccisione dell'eroe partigiano Felice Cascione], nuclei armati di renitenti ribelli occupavano il comune di Rezzo di questa provincia, ove prelevarono un sottufficiale e 10 militi della G.N.R. (carabinieri), i quali si erano recati sul posto, da Pieve di Teco, per arrestare alcuni renitenti.
Mi recavo subito sul posto, con Funzionari, agenti ed elementi della G.N.R., nel limitrofo comune di Pieve di Teco, donde constatavo l'impossibilità di effettuare consuete operazioni di polizia. Si riusciva però ad ottenere il rilascio del sottufficiale e dei militari prelevati.
Pertanto, l'indomani, 29 gennaio, reparti germanici e della G.N.R., al comando di un ufficiale tedesco, procedevano a perquisizioni nelle abitazioni del comune di Rezzo e venivano arrestate sei persone, di cui tre renitenti, due perché trovati in possesso di armi ed uno quale ostaggio, siccome unico congiunto trovato in luogo del principale responsabile. Venivano inoltre incendiate sette abitazioni nelle quali erano state rinvenute armi.
L'ordine pubblico nel Comune di Rezzo ritornava subito normale.
Continuandosi nell'opera di pacificazione, svolta da me, ritornato nuovamente sul posto, a nome dell'Ecc. il Capo della Provincia, si otteneva la presentazione di 17 renitenti, che sono stati fatti accompagnare al Distretto Militare, nonché il ritiro di 90 fucili, 14 baionette, due pugnali, un fucile mitragliatore, con 8 caricatori, nonché cartucce varie ed alcune bombe a mano, tutto materiale di provenienza militare e spontaneamente versato alle autorità locali, dietro mie esortazioni.
La popolazione manifestava, infine, il suo sincero pentimento per le violenze commesse.
Tale episodio va quindi ridotto di proporzioni, per cui, più che di ribellione vera e propria, deve considerarsi come una ragazzata effettuata da giovani imberbi renitenti. 
Il 28 gennaio u.s. in Aurigo di Borgomaro di questa Provincia, circa 150 persone, in prevalenza, donne aggredirono con sassi e bastoni il comandante la stazione G.N.R. (carabinieri) di Borgomaro e tre dipendenti, mentre traducevano un renitente della classe 1925 poco prima arrestato. I militari per non essere soprafatti facevano uso delle armi, colpendo all'addome una donna, che successivamente decedeva. Un militare leggermente ferito ad una gamba da una bastonata. Il fermo del renitente veniva mantenuto. L'ordine pubblico ritornava subito normale.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 2 febbraio 1944. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

I primi episodi di lotta [a Rezzo] si verificano nel novembre 1943, allorché i Carabinieri di Pieve di Teco, con la costituzione della Repubblica di Salò, invitano i renitenti alle varie leve a presentarsi alle armi del costituendo regime fascista. Questo invito si reitera per tutto il mese di gennaio del 1944. Nel frattempo i giovani di Rezzo, muniti delle armi di cui si sono impadroniti l'8 settembre, si sono organizzati in una banda per montare turni di vedetta a San Bernardo di Conio.
Alla fine di gennaio giungono a Rezzo una quindicina di carabinieri, guidati da un maresciallo per prendere provvedimenti seri contro i renitenti. Ma questi, stanchi delle angherie e forti dell'appoggio della popolazione, armi alla mano circondano una dozzina di carabinieri sulla piazza del paese, li legano e li portano nel bosco di Rezzo. Per farli rilasciare intervengono le autorità fasciste ed il prete della parrocchia. Ottenuto il rilascio dei carabinieri, i fascisti compiono una ritorsione bruciando alcune case e, radunata la popolazione, la portano incolonnata in cima al paese, in località "Pilastri". Sono momenti di terrore. Siamo al 30 gennaio: il contadino Costantino Donati tenta di fuggire, ma i fascisti sparano e lo uccidono in località Crocetta.
A febbraio 1944, dopo gli avvenimenti appena narrati, nel bosco si radunano una novantina di partigiani che si organizzano in tre Distaccamenti.
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
 
Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: Fui trasferito ad Imperia nel 1940 e venni assegnato a prestare servizio presso l’ufficio di polizia di Ponte Unione di Mentone. Nel dicembre del 1943 venni inviato di rinforzo ad Imperia inizialmente nella Squadra Politica e poi siccome non mi ci trovavo bene, essendosi formata una squadra di pronto impiego, io passai a far parte di essa. Detta squadra, composta in un primo tempo di 10 elementi, venne poi aumentata a circa 30 e poi ancora a 60 uomini e cambiò la denominazione in Squadra Antiribelli. Con detta squadra presi parte all’azione svolta a Pieve di Teco allorquando i partigiani avevano assaltato la caserma dei carabinieri ed avevano prelevato il maresciallo comandante. In detta azione fu proceduto al fermo di alcune persone che vennero poi portate in questura ad Imperia.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

martedì 18 gennaio 2022

I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar

Una vista da Triora (IM), zona Cabotina, su Corte e Andagna, Frazioni del Comune di Molini di Triora - Fonte: Mapio.net

I tedeschi operavano periodiche e forti puntate verso l'interno della montagna.
Nel periodo [n.d.r.: fine aprile 1944] in cui la situazione nemica era quella sopra descritta, a «La Goletta» vi erano poco meno di trenta uomini.
Possedevano il seguente armamento: due mitragliatrici «Fiat»; un mitragliatore «OTCIS» (greco); una trentina di fucili; sessanta bombe a mano tedesche a lungo manico e una trentina di bombe a mano italiane; 5.000 colpi per mitragliatrici; 52 caricatori per mitragliatori; una media di quaranta colpi per ogni fucile; un mortaio da «45» con diverse casse di bombe per mortaio.
Il gruppo di Vittò [n.d.r.: "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] disponeva pure dei forti di Marta, dove vi erano depositi di bombe e munizionamento vario: materiale il quale, però, poteva essere preso solo quando i tedeschi non andavano essi stessi nella detta località.
Come si può dedurre da quanto sopra esposto, le modeste forze partigiane erano circondate da tutte le parti da forze di gran lunga preponderanti.
Per i partigiani l'ordine e il programma erano: «Eliminare con ogni mezzo il nemico, catturare il suo materiale e le sue armi, e sparire senza lasciar traccia».
II giorno seguente a quello dell'arrivo di Erven [n.d.r.: Bruno Luppi] e di Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a «La Goletta», dietro suggerimento di Erven vengono date istruzioni circa l'uso e la manutenzione delle armi e per una nuova organizzazione del gruppo (nomi di battaglia e suddivisione in squadre).
La sera del giorno stesso, anzi già a notte fatta, viene compiuta una prima azione contro i carabinieri di Triora. Vi partecipano Vittò, Erven, Tento, Marco, e quasi tutti gli altri partigiani del gruppo (fra cui «Serpe» [n.d.r.: Isidoro Faraldi, in seguito comandante del 1° Distaccamento del II° battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata], «Luciano», «Guido di Creppo» e «Guido di Cetta»).
In tutto sono circa una ventina; comandante del gruppo è Vittò.
I carabinieri, sorpresi nel sonno, vengono disarmati delle armi pesanti; si lasciano ad essi le pistole e le anni individuali.
I carabinieri sono lasciati nella caserma, con l'impegno, da parte loro, di lavorare alle dipendenze dei partigiani; il podestà di Triora viene ammonito, perché non proceda a requisizioni di bestiame o a dare esecuzione a ordini della repubblica fascista.
Alla sera il gruppo rientra a Cetta, dove i partigiani hanno il recapito presso la padrona dell'osteria, una donna chiamata «La Devota», che i partigiani, però, chiamavano «mamma», per l'aiuto che ne ricevevano (specialmente acquistavano da lei generi con tessere prese in azioni varie).
Molti sono i rischi che questa donna affrontò per aiutare i partigiani.
Si tenta poi un'azione contro gli uomini che sono di posto nelle casermette al Colle della Melosa. I partigiani, da una vedetta civile di Cetta, sono informati che circa 80 tedeschi percorrono la strada del Colle della Melosa, diretti verso la zona di Marta. Si portano sul posto, per assalirli; ma, valicata la cresta montana, si trovano a poca distanza dai tedeschi, su un pendio spoglio, battuto dai raggi lunari. Essendo impossibile la sorpresa, devono rinunciare all'azione, data l'enorme sproporzione di forze; e si ritirano incolumi.
A un certo punto, negli uomini di Vittò e di Tento vi è un momento di crisi, a causa delle difficili condizioni di vita. Alcuni, capeggiati dal partigiano Folgore, di 17 anni, genovese, vorrebbero trasferirsi in Piemonte, dove, a quanto si dice, la vita è meno scomoda. Ma uno solo va via, con un salvacondotto di Marco; gli altri si fermano, trattenuti anche da brevi parole di Erven, il quale fa capire come in Piemonte, per i partigiani, vi siano disagi e rischi non meno che in Liguria.
Il giorno stesso i partigiani si recano verso Realdo, per tentare una imboscata contro i tedeschi che, ingenere, salivano tutti i giorni al paese; ma quella volta, per caso, non salgono. I partigiani acquistano viveri in Realdo e in Gerbonte, e poi ritornano alle loro sedi.
Poco dopo, anzi il giorno successivo a quello della puntata in Realdo, i partigiani preparano un'azione contro la postazione «B8», situata sulla strada Andagna-Rezzo.
Alla «B8» vi sono undici uomini, di cui nove sono fascisti (militari dell'esercito di Salò) e due tedeschi. Intorno alla postazione vi è un campo minato, e vi sono cavalli di frisia.
L'azione avviene forse nei primi giorni del maggio 1944, o verso la fine di aprile. Vittò, Erven, Tento e Marco sono ancora tutti insieme.
In Molini «arruolano» Figaro. Entrano da un barbiere, per avere indicazioni. Il barbiere è Figaro (Vincenzo Orengo), che si aggrega ai partigiani, e se ne andrà insieme con loro. Figaro diventerà poi comandante del Battaglione «Mario Bini» (1° Battaglione della V Brigata).
I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar, per catturare i militari fascisti o tedeschi in libera uscita. Trovano solo un sergente della «B8». Da lui, Erven, Tento e Marco si fanno condurre alla «B8», mentre altri partigiani, rimasti in paese, prendono carte annonarie e materiale che i borghesi, dopo l'8 settembre, avevano sottratto alle caserme.
Quando i partigiani arrivano in prossimità della «B8», Folgore chiede di andare avanti agli altri. Va, tenendo due pistole puntate contro le spalle del sergente. Il sergente e Folgore arrivano a ridosso dei cavalli di frisia, ma non sentono l'alt della sentinella; entrano, mentre dietro a loro si precipitano anche gli altri partigiani. Trovano la sentinella addormentata, la disarmano, sfondano la porta, e catturano i restanti uomini della postazione. In tutto sono catturati 8 soldati repubblichini, più il sergente sorpreso in Molini, più due tedeschi.      
I partigiani, quindi, caricano il bottino di armi, munizioni, viveri e materiale da casermaggio su sei muli, appositamente requisiti in Andagna; poi portano il materiale e gli uomini a «La Goletta», dove arrivano in mattinata, essendo l'azione, comprese le marce, durata tutta la notte. «La Goletta», come si può capire anche da precedenti note, è una località a picco su Loreto.
Nella stessa giornata i partigiani decidono sulla sorte dei prigionieri; mancando vitto e altri mezzi, poiché i prigionieri non risultano responsabili di fatti gravi, vengono rimessi in libertà; ai tedeschi si dànno L. 100 a testa, e si lasciano andare; gli altri, quasi tutti studenti e quasi tutti lombardi, vengono vestiti con gli abiti laceri dei partigiani, i quali prendono quelli dei militari, vengono fomiti di carta di identità, e lasciati liberi, perché tornino alle loro famiglie.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 278-280
 
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
[...] Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA [n.d.r.: Tento] Pietro, già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
[...] Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdo.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1945

domenica 12 dicembre 2021

Carabinieri partigiani della I^ Zona Liguria

Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

«Lasciatelo stare, il capo sono io; questo giovane era un mio prigioniero». Corre il tristissimo mattino del 27 gennaio dell'anno 1944. Felice Cascione è ferito gravemente ad una gamba dopo aver tentato, spinto dalla sua nota generosità, un'ardita azione per stanare i nazifascisti rinchiusi in un casone. Siamo presso Madonna del Lago, sulle montagne soprastanti Alto. La zona è suggestiva, abbellita da un ridente laghetto e da un Santuario dell'epoca tardo medievale. Ad una quindicina di minuti dal luogo, sono i casoni in cui ha sede la banda di Cascione.
«U Megu» giace da molto tempo immobile, dietro un muricciolo a secco, sotto l'infuriare del combattimento. Non lontano da lui, è un altro partigiano ferito, disteso a terra, come morto. l Tedeschi avanzano, lo vedono, s'accorgono che è vivo ed iniziano a seviziarlo per fargli rivelare il nome del Comandante, ma il partigiano non risponde, accetta stoicamente la tortura, pronto all'estremo sacrificio.
Allora Cascione, appoggiando il gomito sul terreno, si leva sul busto e, rivolto ai nemici, pronuncia le sue ultime parole, quelle della definitiva rinuncia che nessun combattente della nostra Resistenza potrà mai dimenticare, riportate all'inizio di questo capitolo. I Tedeschi lo vedono, gli s'avvicinano e, inesorabilmente, lo uccidono con una raffica di mitra e si portano dietro il prigioniero per ricoverarlo all'ospedale.
Quel partigiano si chiama Giuseppe Cortelucci [n.d.r.: il cognome, nella maggior parte delle altre fonti, viene riportato come Cortellucci] e il suo nome di battaglia è «Carabiné»: traduzione ligure della parola carabiniere.
È un ex carabiniere che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, obbedisce al suo spontaneo sentimento per l'onore patrio e la libertà e s'avvia volontario verso la montagna. È tra i primi partigiani amico fedele di Cascione, generoso amico di tutti. Della sua gloriosa Arma ha portato la tradizione di lealtà e di fedeltà.
Affronta disagi e rischi; vive girovagando con i primi gruppi patriottici; osserva la dura realtà deicontadini, ne conosce meglio l'animo, la dura esistenza, la serietà di vita.
Cortelucci, nato a Teramo l'11 luglio 1924 (1), porta nelle nostre campagne la freschezza della sua razza e della sua terra. Anche in essa il popolo lavora, fatica, soffre come qui da noi, su queste aride zolle che rifiutano all'uomo l'aiuto delle macchine agricole perché le fasce sono troppo strette.
Settembre 1943 - 27 gennaio 1944: pochi mesi, tutti passati sui nostri monti, nei casoni, tra sofferenze e rischi quotidiani.
Uomini girovaganti e braccati da un nemico spietato che non perdona. Mangiano come e quando possono, soprattutto durante le marce di trasferimento perché, quando sono in qualche paesello, la popolazione, pur nella sua povertà, trova sempre un piatto di minestra, qualche patata, un tozzo di pane per sfamarli. L'animo degli uomini si irrobustisce nelle sofferenze e nei pericoli, maestri insostituibili di vita.
Il 27 gennaio 1944 Cortelucci è ormai temprato a tutte le bufere. È al fianco del Comandante che lo salva con le sue ultime parole. Entra nell'ospedale, si ristabilisce e fugge ancora. Va a riprendere il posto di combattimento a fianco dei compagni di Cascione, dei suoi compagni.
Per un anno intero combatte. È un valoroso. Sul campo di battaglia si guadagna il grado di Vice Comandante di battaglione.
Giunge il 29 dicembre 1944. Ancora meno di un mese e sarà l'anniversario di quel tragico fatto. Ma il destino non lascia più corda a Cortelucci; ancora una volta, stavolta a Pantasina, frazione di Vasia, sta per essere catturato da un nemico sempre più crudele e sempre più straripante per numero e per mezzi.
Ora è lui ad uccidersi. Non più nelle mani dei nazifascisti. Il partigiano, diventato Comandante, segue nella sorte il suo primo ed indimenticabile Capo.
La Resistenza inchina le sue bandiere; la Divisione «Cascione» è in lutto per un significativo dolore che ne rievoca un altro più lontano nel tempo.
Cortelucci, alla cui memoria verrà assegnata la Medaglia d'Argento, si eleva a simbolo del valore spirituale di tutta un'Arma: quella gloriosa e benemerita dei carabinieri che, per molta parte dei suoi uomini, ha scelto la via giusta nella tragica vicenda dell'Italia. Perché, sia chiaro: l'esempio di Cortelucci non è né isolato, né sporadico.
Non pochi lettori resteranno sorpresi nell'apprendere che nelle fila della nostra Resistenza i carabinieri sono stati sorprendentemente numerosi se dall'elenco presso l'Istituto Storico della Resistenza di Imperia possiamo contare ben sessantasei combattenti. A parte, naturalmente, qualche possibile dimenticanza. Sessantasei partigiani, venuti dalle fila dei carabinieri, rappresentano un organico pari ad un intero distaccamento e mezzo, un organico di tutto rilievo.
Un grosso nucleo che trova affiancati i nativi delle province liguri a quelli piemontesi, e i calabresi uniti ai lombardi ed ai laziali, né manca il siciliano.
Se Cortelucci porta l'onore della sua amata Teramo, Avellino e Verona e Caserta non sono assenti nella lotta per la libertà della I Zona Liguria. Da Padova a Bari, da Foggia a Parma e a Piacenza e a Lecce, dallo sperduto paesello alle grandi città, sono giunti i giovani, passati attraverso la dura milizia della loro Arma, sulle nostre montagne per combattere una lotta decisiva per i nostri destini.
Il 15 e il 20 giugno 1944, una ventina di carabinieri del presidio di Realdo, piccola frazione del Comune di Triora, sono invitati dai partigiani ad arrendersi. I carabinieri non solo s'arrendono, ma aderiscono al movimento della Resistenza e passano, con armi e bagagli, nelle formazioni partigiane distribuiti in quei vari distaccamenti che, nel luglio successivo, costituiranno la gloriosa V^ Brigata «Luigi Nuvoloni» (2).
In un breve comunicato, inviato al Comando della IX Brigata il 18 giugno 1944, il commissario «Federico» [Federico Sibilla] dà notizia dell'arrivo di un tenente dei carabinieri presso il suo Comando di Imperia Porto Maurizio. Nel breve scritto «Federico» avvisa che detto tenente è al servizio della Resistenza ed in contatto con il CLN provinciale di Imperia (3).
I Tedeschi ogni tanto azzardano puntate con dei camion, con i fari colorati in blu, nel territorio della «Libera Repubblica di Triora».
Ad Agaggio Inferiore, sulla piazza della Chiesa, al pianterreno della casa canonica, vi sosta una squadra partigiana. Un'altra squadra è dirimpetto, di là dal torrente, presso il casone del «Cuccolo». Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno Nello Bova, di guardia sulla strada, avvista un camion e dà l'allarme. Si apre il fuoco: il camion, colpito nel radiatore, si ferma. Ma, in luogo dei Tedeschi, scende un carabiniere che, abbandonata Parma ove prestava servizio, per non servire la Repubblica di Salò cerca di raggiungere Triora con tutto il suo mobilio. Impegnatosi a far parte delle formazioni, è lasciato libero.
Strano destino: la raffica dei garibaldini non lo ha colpito; il camion, per miracolo, si è fermato presso un fosso profondo scavato dall'esplosione che aveva fatto saltare la strada. L'ex carabiniere in seguito verrà catturato a Molini di Triora dai nazifascisti, durante il rastrellamento dei primi di luglio e, il giorno cinque, bruciato vivo con altri civili nella casa Campoverde (4).
Alla periferia di Pigna ha sede una quindicina di carabinieri. «Vittò» ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed «Erven» [Bruno Luppi] decidono di catturare tutti i componenti del presidio. Suddividono l'ottantina di partigiani in squadre. Destinati all'azione diretta sono «Erven», «Assalto», «Argo», «Marussia» di Ventimiglia e «Gena».
Arrivano circospetti, vedono la canna di un mitragliatore piazzata alla finestra. Rasentano il muro, arrivano alla porta e gridano ai carabinieri d'arrendersi. Dopo un po' di silenzio uno di loro apre la porta: i partigiani si impossessano del mitragliatore ed intimano la resa. Sopraggiunge il brigadiere che invita i suoi uomini ad arrendersi. I quindici carabinieri seguono i partigiani portando materiale di casermaggio, munizioni e viveri. Sono inviati a Carmo Langan e tutti, tranne il brigadiere, aderiscono alle formazioni partigiane (5).
Non tutti hanno assaporato la grande gioia del 25 aprile vittorioso, perché ci fu chi cadde col fucile in pugno o fucilato dal plotone d'esecuzione. Altri riportarono ferite, anche gravi.
Sotto le bandiere della «Cascione» e della «Bonfante» della I Zona Liguria, come sotto ogni bandiera della Resistenza Italiana, i partigiani ex carabinieri hanno portato un grande contributo di sacrificio, d'onestà e d'amor patrio.
Anche nel limitrofo Piemonte, il contributo dato dai carabinieri alla lotta partigiana è consistente.
Prendiamo qualche notizia in proposito da un volume inedito del prof. Renzo Amedeo, partigiano combattente della XIII Brigata «Val Tanaro» (6): «... Ed ecco che il 24 maggio, la famosa vigilia del Bando Graziani­ Mussolini, relativo alla consegna di tutti i renitenti e partigiani, nella tarda mattinata giunge a Piaggia il maresciallo dei carabinieri di Nava su una Topolino. Scopo principale della sua venuta era soltanto la ricerca di formaggio, ma una pattuglia partigiana che si trovava da quelle parti formata da Guido Bologna, Renzo Amedeo e dal sottoscritto (7) lo lascia entrare nell'albergo e poi, intimatagli la resa, lo cattura. Avendo dichiarato che lui e la quindicina dei suoi uomini sono disposti a scappare con i partigiani, lo si lascia tornare in caserma con la sua arma (per difendersi da chi eventualmente non la pensasse come lui, dice) e ci si accorda per un assalto alla caserma di Nava, proprio la notte tra il 1° ed il 2 di giugno, per simulare uno scontro con la conseguente fuga degli uomini e prelievo del materiale.
Così avviene. Avvertito Martinengo [Eraldo Hanau], una folta squadra scende tra Ponti di Nava e Case di Nava [nel territorio del comune di Pornassio (IM)], circonda la caserma, mentre un gruppo rimane più in alto presso il Forte Pozzenghi per proteggere il gruppo nel caso di sorprese.
Accesa una nutrita ma fitta sparatoria, maresciallo e carabinieri fuggono tutti in montagna con Martinengo, portando un'abbondante razione di armi, munizioni, viveri e materiale di caserma. Rientrati a Piaggia ed Upega, il maresciallo sceglierà poi di trasferirsi a Fontane con il gruppo partigiano dei carabinieri...».
Ancora, dal medesimo volume: «... Qui c'era già Gaglietto, che aveva riorganizzato i suoi famosi carabinieri. L'intesa sembrava raggiunta con questa ripartizione di compiti e comandi:
Comandante generale della Val Corsaglia: Gomez.
Comandante amministrativo: Gaglietto.
Comando operativo della squadra: Martinengo.
[... ] Là è Gaglietto con un gruppo di una cinquantina di uomini, quasi tutti carabinieri. A Garessio il carabiniere Angelo Battaglia (8) forma una squadra di partigiani che passa dopo pochi giorni alle dipendenze di Martinengo...».
Anche l'Arma dei carabinieli era partecipe della situazione tragica del momento. Continui rapporti pervenivano ai Comandi tedeschi e fascisti circa lo stato di demoralizzazione dei carabinieri e sulla loro resistenza a collaborare con un'Autorità non riconosciuta e, sovente, avversata.
Molte furono le deportazioni nei campi di concentramento in Germania. I Comandi nazifascisti decisero di affrettare i tempi per lo scioglimento dell'Arma stessa (9).
Dall'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia abbiamo tratto il documento del mese di giugno 1944, che di seguito riportiamo, dal quale si rileva che i carabinieri erano anche al servizio della «Libera Repubblica di Triora», quindi della Resistenza e del popolo:
Comune di Triora
al Comandante  della divisione «Garibaldi»
e p.c. al Comandante la V brigata «Garibaldi»
In base agli accordi avuti dal Vice-Comandante Musso, ho costituito il distaccamento di Polizia in Triora, affidando il Comando al Maresciallo Capo Scarpa Salvatore precettando i seguenti carabinieri:
Appuntato  Fili Domenico
"    Miraglio Carlo
"    Mazzili Valentino
"    Grespan Ernesto
"    Amaldi Emanuele
Carabiniere Sorrentino Alessio
"    Destradis Michele
"    Alberti Giusto
"    Dentoni Erminio
Come da accordi convenuti codesto Comando è pregato di provvedere all'invio dell'armamento necessario per gli uomini di cui sopra.
Il distaccamento verrà preso in forza dal Comando della V Brigata Garibaldi.    
Il Podestà (Pesce)
[NOTE]
(1) Giuseppe Cortelucci, fu Luigi e di Paolina De Laurentis, dichiarazione integrativa n. 4600.
(2) Testimonianza di Vittorio Guglielmo (Vittò).
(3) Cfr. F. Biga, Diano e Cervo nella Resistenza, Milano Stampa, Farigliano, 1975, pag. 99.
(4) Vedasi l'Unità (edizione clandestina imperiese), anno l, n. 2, l5 agosto 1944.
(5) Cfr. G. Strato, 1° volume della presente opera, pagg. 295, 298.
(6) Il volume inedito è conservato presso l'Archivio del Comune di Garessio.
(7) Il fatto riportato dall'autore è ricavato da una pubblicazione di Enrico Martini (Mauri).
(8) Angelo Battaglia, nato a Garessio il 20-8-1921, carabiniere della Legione di Genova, ora pensionato invalido, militò nella Brigata Val Tanaro dal 10/1/1944 al 416/1945. Il Battaglia risiede attualmente ad Imperia nella zona di Castelvecchio.
(9) Vedasi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, op. cit., pag. 35.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 576-581
 
Nel frattempo Avogadro, in veste di collaboratore dell’intelligence britannica, per allacciare col Piemonte un servizio informativo alle dipendenze degli inglesi si era recato in Liguria, dove l’Arma «aveva perso molto terreno in seguito alla condotta degli ufficiali di quella Legione che in massa avevano aderito alla repubblica» <14. Riconoscendo improba l’impresa di impiantare un’organizzazione clandestina, per le sue forze e per la limitatezza delle sovvenzioni, riuscì a raggruppare una cinquantina di carabinieri nella zona tra Imperia e Sanremo, affidati alle cure del pretore di Taggia, il giudice Alessandro Savio, insieme al quale incontrò un comandante di una banda in costituzione (probabilmente Michele Silvestri “Milano”, comandante del distaccamento Gap di Verezzo, confluito poi nelle Sap di Imperia), ma i contatti con gli uomini di questo territorio furono saltuari per il resto della guerra.
Prima di rientrare dalla Liguria nel Biellese, Avogadro ricevette l’informazione che era ricercato dalla Gnr, che aveva fatto irruzione al castello degli Avogadro nel Biellese: ripiegò a Rovasenda, dove proprio in quel periodo si stava formando una banda composta prevalentemente da ex carabinieri. Nella relazione Avogadro non precisa le date, ma nel territorio della Baraggia vercellese, che aveva ospitato fino ad allora solo gruppi partigiani della 50a brigata “Garibaldi”, la presenza di questa formazione partigiana autonoma, inizialmente denominata “Quo fata volunt” e poi brigata “Santorre di Santarosa”, si colloca fra i mesi di agosto e di ottobre del 1944.
Enrico Pagano, “A favore dell’Arma”. L’attività nel periodo clandestino di Rodolfo Avogadro di Vigliano, questore di Vercelli nominato dal Cln, l’impegno, a. XXXV, nuova serie, n. 2, dicembre 2015, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia 
 
Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 un gruppo di cittadini sanremesi guidati dal dottor Giovanni Cristel, coadiuvato da Antonio Canessa e Alfredo Esposito, raggiunsero un accordo con il maggiore Ferrari e il dottor Samà per poter prelevare armi e munizioni dal Presidio di via Lamarmora, che era stato abbandonato dai militari il 9 settembre, mentre altri armi furono asportate da un deposito di corso Garibaldi e consegnate a Michele Silvestri, che faceva parte di un gruppo operante a Verezzo, da dove sarebbero state riportate in città con la collaborazione del già ricordato Canessa, il quale le fece portare in un luogo più sicuro per evitare che finissero nelle mani di tedeschi o fascisti.
Nel corso del 1944 il già citato partigiano Michele Silvestri (Milano), coadiuvato anche dalla giovanissima figlia Dilanda, organizzò i primi gruppi di resistenza a Verezzo, dove costituì una propria banda, facente parte dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), che il 1° ottobre 1944 sarebbe stata inclusa nelle formazioni cittadine SAP.
Durante la guerra di Liberazione il distaccamento GAP di Verezzo operò diversi colpi di mano grazie ai quali furono recuperati denaro, indumenti e viveri poi inviati alle formazioni partigiane di Gino Napolitano e Vincenzo Orengo.
Da segnalare inoltre che il 4 dicembre 1944, nei pressi di Verezzo, un gapista uccise un soldato tedesco che voleva arrestarlo.
(fonti: testo di Andrea Gandolfo...)
Redazione, Storia di Verezzo, Sanremo. Storia e Tradizioni 


Giuseppe Cortellucci

Il 27 dicembre 1944, a Vasia (Imperia), il giovane Carabiniere Giuseppe CORTELLUCCI, appena ventenne, si immolò per la Libertà della Patria. Per la sua eroica Audacia nella guerra di liberazione, fu decorato con la Medaglia di Argento al Valor Militare - alla memoria, per la seguente motivazione: "Già bravo carabiniere, entrava all'8 settembre nella resistenza battendosi quale vice comandante di distaccamento partigiano, con capacità e audacia. Nel tentativo di trarre in salvo il proprio comandante ferito, veniva catturato. Riuscito ad evadere raggiungeva di nuovo la propria formazione. Durante un duro rastrellamento avversario, attaccato da forze preponderanti, combatteva con animo intrepido, sempre primo dove più accanita ferveva la lotta, incitando ed animando i propri dipendenti, finché, colpito a morte, immolava eroicamente la propria esistenza per la libertà della Patria".
Redazione, Audacia per la libertà, Attenti a quei due
 
Si vanno verificando numerose defezioni di carabinieri, di appartenti alla G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana], ex militi e all'esercito repubblicano ed anche di agenti di polizia.
I carabinieri, interpellati, hanno, nella grande maggioranza, dichiarato di volere essere inviati in congedo.
Così la potenzialità delle forze di polizia, già non rispondente agli attuali effettivi bisogni della sicurezza pubblica, si va ancor più assottigliando.
Questa è la situazione, nella sua realtà.
Ispettorato Regionale di Polizia - Zona Savona-Imperia, Ispettore Generale di P.S. di Zona, Situazione politico-economica della Provincia di Imperia, Al Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Polizia - Valdagno, n° di Prot. 038, li 30 giugno 1944 XII
 
Sanremo (IM): Via Escoffier

Un notevole contributo alla Resistenza Imperiese è stato dato dai carabinieri. Hanno raggiunto le formazioni partigiane oltre una sessantina di militari. Una ventina di essi, che erano di stanza a Realdo (frazione del Comune di Triora), il 18 giugno 1944 si aggregarono ai partigiani della IX Brigata Garibaldi. Anche un presidio di stanza a Pigna, passò ai partigiani il 27 agosto successivo. Altri lasciarono i loro presidi dove i Tedeschi li sorvegliavano e raggiunsero la montagna. Sulla scorta dei documenti conservati nell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, risultano sessantasei i carabinieri riconosciuti partigiani: un totale da costituire, se uniti in una sola formazione, un consistente Distaccamento partigiano. Nel giugno 1944, il cittadino Pesce, a capo della libera Repubblica partigiana di Triora, in accordo con il Comando della IX Brigata, costituì il Distaccamento di polizia affidando il Comando al maresciallo Salvatore Scarpa il quale precettò i seguenti appuntati: Fili Domenico, Miraglio Carlo, Mazzili Valentino, Grespan Ernesto, Arnaldo Emanuele, e i carabinieri Sorrentino Alessio, Destradis Michele, Alberti Giusto e Dentoni Erminio.
Fra i carabinieri che hanno contribuito alla lotta per la liberazione ricordiamo: Andreolo Antonio, vice brigadiere, rimasto gravemente ferito a Cima Marta l’11 agosto 1944; Agnese Camillo rimasto invalido; Balestra Giuseppe caduto il 5 marzo 1945; Bartoli Umberto brigadiere, caduto il 20 settembre 1944 nel bosco di Rezzo; Gagliolo Egidio rimasto gravemente ferito in uno scontro con i nazifascisti a Casanova Lerrone; Mancini Marino rimasto ferito in combattimento il 19 giugno 1944; Pirrol Aurelio catturato dal nemico e fucilato a Rastrello (CN) il 29 novembre 1944; Risso Ilario catturato nel Dianese e fucilato il 10 gennaio 1945; Taffaroni Giovanni rimasto ferito in combattimento a Triora il 3 aprile 1944.
In particolare ricordiamo Giuseppe Cortellucci, già nella banda di Felice Cascione, catturato il 27 gennaio dal nemico nel disperato tentativo di salvare il suo comandante, riuscito a fuggire e ricongiuntosi ai partigiani della IV Brigata, per non cadere vivo in mano al nemico, durante un momento drammatico di un rastrellamento, si uccide il 29 dicembre 1944 nella zona di Pantasina; fu proposto per la medaglia d’argento al valor militare.
Infine ricordiamo che dalla Provincia di Imperia i Tedeschi deportarono circa ottocento persone (documentate), di cui quattrocentosessantasette ex militari, compresi quattordici carabinieri.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)
 
[...] Al momento dell’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, a Sanremo come nel resto della Liguria, non si verificarono incidenti di sorta. Il 10 settembre 1943 i primi reparti di soldati tedeschi entravano nel territorio della provincia di Imperia, provenienti da Cuneo. Dal Comando della Legione di Genova era intanto pervenuto al comandante del Gruppo di Imperia l’ordine, per tutti i militari in servizio, di mantenere la calma e rimanere al proprio posto. Nei giorni successivi solo alcune stazioni della tenenza di Ventimiglia, a causa soprattutto dell’ostilità manifestata dalla milizia di confine, vennero disarmate. A parte tali sporadici episodi, le compagnie del gruppo, tra cui anche quella di Sanremo, si mantennero sostanzialmente intatte. Le prime diserzioni, anche se non numerose, sarebbero cominciate soltanto nell’ottobre 1943, dopo il passaggio da Ventimiglia del treno con a bordo i carabinieri romani diretto verso i campi di concentramento nazisti in Germania. Bisogna comunque sottolineare come sarebbe stato particolarmente alto il numero dei carabinieri sanremesi che avrebbero collaborato attivamente con la Resistenza locale, fornendo di armi e munizioni le unità partigiane combattenti in montagna e distribuendo viveri alla popolazione.
Nel frattempo, dopo che, tramite il comando di legione, era stata fatta firmare la dichiarazione di adesione al governo della Repubblica sociale italiana nel dicembre 1943, gli ufficiali del gruppo e una rappresentanza di circa una sessantina di sottufficiali e militari di truppa, il 9 febbraio 1944 furono radunati in una piazza di Imperia per prestare giuramento, insieme alle altre truppe del presidio, alla Rsi. Il mese successivo l’Arma dei Carabinieri venne sciolta e i suoi componenti assorbiti nella neoistituita Guardia nazionale repubblicana. Le legioni furono rimpiazzate dagli ispettorati regionali e in ogni provincia, tra cui anche quella di Imperia, fu istituito un comando provinciale. In conseguenza all’incorporazione dell’Arma nella Guardia nazionale repubblicana, i carabinieri sarebbero stati costretti a indossare la camicia nera e ad apporre le fiamme nere sotto gli alamari. La notte del 5 agosto 1944 tutte le caserme dell’Arma della provincia di Imperia furono circondate da soldati tedeschi e militi della Gnr, che prelevarono tutti gli ufficiali, i sottufficiali e i carabinieri che sorpresero, per condurli, il giorno dopo, a Milano ed Asti. Uguale sorte sarebbe toccata anche a tutti quei militari che si trovavano presso le loro abitazioni. Da Asti e Milano i carabinieri imperiesi sarebbero stati tutti deportati in vari campi di concentramento in Germania e adibiti a lavoro obbligatorio. Un limitato numero di sottufficiali e militari di truppa sarebbe riuscito tuttavia a sottrarsi alla cattura, mentre altri sarebbero riusciti a fuggire durante il viaggio, ma avrebbero dovuto rimanere nascosti o allontanarsi dalle rispettive residenze per far perdere le proprie tracce perché attivamente ricercati da tedeschi e repubblichini.
Nell’aprile 1945, quando la Guardia nazionale repubblicana sarebbe fuggita abbandonando le caserme, anche quella di Sanremo venne completamente saccheggiata dagli stessi militi e dalla popolazione. Il 25 aprile 1945 giunse però il tanto atteso momento della liberazione del suolo nazionale dal nazifascismo, e così, anche per l’Arma dei Carabinieri, cominciò a profilarsi una nuova epoca in un’Italia libera e democratica. Nei mesi immediatamente successivi furono riattivati tutti i comandi provinciali della Liguria: il gruppo di Imperia venne ripristinato il 15 maggio 1945. Anche a Sanremo i carabinieri tornarono a pieno regime con la ricostituzione della loro compagnia e ripresero possesso della caserma di via Privata (l’odierna via Escoffier), da dove si sarebbero poi trasferiti nell’attuale caserma di Villa Giulia, in corso Inglesi, il 6 novembre 1971.
Andrea Gandolfo, La storia dei carabinieri a Sanremo, Sanremo News.it, 20 giugno 2017

lunedì 1 novembre 2021

È il distaccamento di Arturo Secondo

Badalucco (IM): Monumento ai Partigiani - Fonte: Pietre della Memoria

 
Tra Badalucco e Taggia

A soli 11 chilometri all'interno della via Aurelia, lungo la strada carrozzabile che da Arma di Taggia conduce a Triora e Loreto vive la gente di Badalucco. È gente lavoratrice ed indomabile. Indissolubile dalla generosità del suo popolo è la bellezza superba e, nel contempo, ridente della sua natura. Un fresco gorgogliare dell'acqua nell'Argentina,che serpeggia fra pietriccio, piante, sassi, dà il suo contributo alla bellezza del paese.
Dall'alto, il monte Carmo e il monte Rotondo sono ritti per proteggere dalle bufere la tenace gente e per creare uno scenario di fiaba.
Di fronte, domina il monte Faudo, ricco di gloria e di dolore partigiano, che contempla la verde e cupa colonna di sentinelle, e il paese compiaciuto, fra la maestà delle sue aguzze vedette, adagiato nel basso, si presenta con i suoi mille volti ed offre frescura d'alberi, vetustà d'abitacoli, viottoli senza tempo, con la loro pace e la loro storia.
Se la chiesa Madonna degli Angeli pare benedire chi giunge dalla via del nord, quella di S. Nicolò, ieratica e quasi austera, pur se minuta ed aggraziata su un alto poggio, pare vegliare su tutto e su tutti.
Bellezza austera e forza di popolo: due forze, natura ed uomo, insieme hanno irriducibilmente lottato, sofferto, pianto, incredibilmente vinto. Le lotte di Badalucco per la libertà sono degne di leggenda. In ogni mese della tragica epopea vissuta, esistono ricordi di fatti d'arme, di rivolte e di sacrifici. Quanti esaltanti trionfi popolari e sofferti saccheggi! Per lunghi periodi, i nazifascisti non possono calcare il suolo del paese che, in piena epoca d'occupazione del terrritorio nazionale, ha per lunghi periodi propri democratici amministratori, con le sue forze d'ordine perché è una «libera giunta», con tanto di bandiere tricolori e partigiane che sventolano al vento.
L'epopea di Badalucco ha origine dalla sua posizione strategica, vitale per i movimenti delle forze nazifasciste. Infatti oltre a costituire un passaggio obbligato per tutte le località della media ed alta Valle Argentina, si trova quasi al centro della provincia di Imperia. Perciò, già dal settembre 1943, il Comando tedesco ha posto, a presidio del paese, un battaglione di soldati cui si è aggiunto, nel successivo novembre, un contingente di dodici militi della Repubblica di Salò.
Ma i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925, chiamati alle armi dalla Repubblica Sociale, disubbidiscono in blocco e raggiungono le formazioni partigiane o formano la banda locale.
Le rappresaglie dei Tedeschi e dei fascisti sono continue e di varia natura: minacce di stragi, bombardamenti indiscriminati sull'abitato, uccisioni di vecchi e bambini, ostaggi, chiusura di negozi gestiti da famiglie di giovani non presentatisi all'appello. Le autorità fasciste dispongono la soppressione, per tutta la popolazione di Badalucco, delle carte annonarie che danno diritto alle razioni di generi alimentari.
Gli abitanti di Badalucco rispondono con una lotta continua ed irriducibile. Sopportano tutte le angherie, le uccisioni ed i saccheggi. Piangono in silenzio i loro morti e i torturati. Ma, quel silenzio, è pieno di rabbia e di forza.
Il paese non solo aiuta i garibaldini in tutte le forme  possibili, ma dà un intero distaccamento di figli tutti suoi alla Resistenza.
È il distaccamento di Arturo Secondo (Artù), che si coprirà di gloria in cento battaglie.
I nazifascisti sono costretti a sbarrare, con filo spinato e cavalli di frisia, numerosi luoghi e vie, nonché le loro postazioni. E, inoltre, ordinano un rigido coprifuoco notturno e sguinzagliano pattuglie per proteggere ponti e linee elettriche.
In tutte le zone intorno al centro abitato si susseguono le azioni armate partigiane che, si può ben dire, giornalmente apportano danni alla macchina bellica dei Tedeschi.
Il 31 maggio 1944 i partigiani attaccano frontalmente la guarnigione nazifascista. Ed è guerra aperta. Tutto il popolo insorge ed aiuta i patrioti (1).
La battaglia dura aspra ed accanita per tre ore, con i garibaldini all'attacco della chiesa Madonna degli Angeli (2), trasformata in arsenale dai fascisti, e della villa Boeri sede del presidio tedesco.
La reazione nazifascista è rabbiosa, ma necessita dell'intervento di contingenti venuti in aiuto dal litorale e da Taggia.
Lo scacco subito suscita ira e repressione selvaggia nell'animo dei fascisti e dei Tedeschi. Ormai essi sanno con certezza che tutta la popolazione di Badalucco non solo è loro ostile, ma pronta anche a combatterli ed a morire.
Sono presi dodici ostaggi (3) che vengono percossi e torturati affinché forniscano notizie sui combattenti della libertà e su chi li aiuta. Le caserme risuonano delle urla e dei lamenti dei seviziati.
I partigiani Giobatta Brezzo, Antonio Marvaldi, Marcello Panizzi, caduti nelle mani degli aguzzini, anche se inutilmente sono interrogati, selvaggiamente percossi e torturati; finché, il 6 di giugno, portati di notte nel canneto «Al Mulino» presso il ponte di Desteglio, frazione del comune di Montalto Ligure [oggi comune di Carpasio Montalto ((IM)], sono fucilati e sepolti (4).
Il 6 giugno 1944 a Badalucco viene anche fucilato il partigiano Alipio Amalberti, che era stato catturato il 24 di maggio.
La popolazione dello sfortunato paese è percorsa da fremiti di ribellione misti a sentimenti di dolore e di angoscia.
Nello stesso giorno in cui i quattro generosi perdevano la vita, in una località più a nord della valle Argentina, precisamente a Santa Brigida, presso Andagna, Angelo Setti (Mirko) attaccava una postazione nemica annientandola. I tre soldati che si arresero aderirono alla causa partigiana ed entrarono a far parte delle formazioni garibaldine (5).
Il materiale bellico prelevato venne caricato su un camioncino e trasportato a Molini di Triora. Quivi c'erano pure Gino Napolitano ed un contingente del distaccamento di «Tento» e «Marco» [Candido Queirolo]. «Mirko» dispose per il trasbordo delle armi dal camioncino ad una corriera per trasferirle a Triora.
Pattuglie partigiane sorvegliavano l'accesso in Molini di Triora dove, però, riuscì a penetrare un contingente tedesco che iniziò una nutrita sparatoria anche dalle finestre delle abitazioni. Ma l'operazione si concluse felicemente e la corriera partì senza danni per la sua destinazione.
Nello scontro, Emilio Amalberti, della formazione di «Marco», fu ferito alla gola, ma catturato dai Tedeschi che lo scambiarono per un civile colpito casualmente, fu medicato e rilasciato. Successivamente venne curato nell'ospedale partigiano di  Triora.
Qualche giorno prima dell'attacco a Santa Brigida, Umberto Cremonini (6) era stato inviato da «Mirko» ad ispezionare la zona preventivata per l'azione. Il giovane, insieme ad un suo compagno, partì in corriera da Triora diretto a Molini. Raggiunto il paese i due partigiani videro un sottufficiale repubblichino con un soldato. «Folgore» gli intimò la resa ed il sottufficiale tentò di reagire, ma fu freddato e spogliato delle armi, mitra compreso.
I partigiani non sono ancora a conoscenza del fatto che i loro compagni, caduti nelle mani dei nazifascisti nel mese di maggio sono stati ferocemente uccisi e seppelliti il 6 di giugno. «Curto» [Nino Siccardi] e «Giulio» [Libero Briganti] progettano di liberarli ed il giorno 9 ordinano l'attacco alla guarnigione nemica di Badalucco composta da reparti Tedeschi, fascisti e carabinieri.
L'esito della battaglia del 10 di giugno non è quello sperato.

Badalucco (IM): Monumento ai Partigiani (part.) - Fonte: Pietre della Memoria

[NOTE]
(1) Erano sul campo di battaglia: «Artù» con i suoi partigiani; «Mirko», comandante del 6° distaccamento, con il suo vice «Folgore» e parte dei suoi uomini giunti da Bregalla; «Tito» e «Dimitri» giunti dalla località Navette, e Pierina Boeri (Anita o Candacca). Quest'ultima dimostrò, e dimostrerà sempre durante la lotta partigiana, un coraggio eccezionale.
Intanto la chiesetta Madonna degli Angeli era già stata presa di sorpresa e, dalla stessa, molti mitragliatori, moschetti e munizioni erano stati prelevati dai partigiani che li avevano trasportati al sicuro, fuori del paese.
«Artù» attaccò poi, in piazza della Misericordia, la caserma in cui si erano asserragliati i carabinieri. Con le bombe a mano i partigiani sfondarono la porta ed intimarono la resa, ma questi resistettero perché erano a conoscenza dell'arrivo di rinforzi dal litorale. Nel frattempo, due carabinieri sparavano con la mitraglia dal campanile della chiesa parrocchiale del paese.
Il partigiano Armando Cane fu gravemente colpito al ventre, mentre Dario Secondo, fratello di «Artù», fu raggiunto dalle schegge di una bomba a mano mentre correva all'assalto. Purtroppo, il povero giovane perdette la vista di un occhio.
Verso le diciotto, giunsero i rinforzi attesi dai nazifascisti ed «Artù», con due feriti gravi nelle sue fila, dovette forzatamente desistere dal combattimento.
(2) La chiesa Madonna degli Angeli verrà distrutta dai nazifascisti il 28 giugno 1944.
(3) Adamo Buffaria, preso in ostaggio e successivamente rilasciato, morirà il 22 febbraio 1945 nell'ospedale di San Lorenzo-Costarainera a causa delle percosse ricevute (Da documento presso ASR).
(4) Dal diario inedito del partigiano Pietro Carassale.
(5) Due partigiani, Enrico Martelli e «Folgore», passando per Andagna, videro due Tedeschi e li attaccarono. S'iniziò una sparatoria finché i Tedeschi fuggirono e furono inseguiti; ma i partigiani abbandonarono l'inseguimento nelle campagne e proseguirono per Santa Brigida per il combattimento descritto.
(6) Ricordiamo che Umberto Cremonini (Folgore), che troveremo protagonista anche nell'azione temeraria di Sgorreto, era un partigiano giovanissimo di eccezionale coraggio. 
   
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 74-76

Chiesa di San Brigida in Andagna, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: wwww.andagna.it

BUFFARIA Adamo Luigi, “Adamo” - Di Celeste e Vento Carlotta, nato a Livorno il 04 agosto 1890. Partigiano combattente nella Vª Brigata Nuvoloni - IIª Divisione Garibaldi Cascione, nel periodo dal 02 aprile 1944 al 22 febbraio 1945 quando decede per le sevizie ricevute dopo la sua cattura.
Redazione, Partigiani... caduti in Liguria, Radio Maremma Rossa

Verso le ore 18 del 30 maggio u.s. un numeroso gruppo di ribelli, fortemente armato, attaccava, con bombe a mano di forte potenziale ed armi pesanti, il Distaccamento della G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana] di Badalucco, il quale resisteva magnificamente per circa due ore, rispondendo al fuoco, fino al sopraggiungere della Compagnia O.P. e di un reparto germanico, che metteva in fuga gli attaccanti. Da parte nostra rimanevano feriti il comandante del Distaccamento G.N.R. e due militi. Pare che i ribelli abbiano avuto qualche morto ed alcuni feriti, che sono stati trasportati dai ribelli stessi in montagna, durante la ritirata.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Provincia di Imperia: Relazione quindicinale sulla situazione politico, funzionamento servizi, attività di polizia, senza data e senza destinatario [n.d.r.: un documento, quello appena citato, quasi di sicuro accluso in altra/e comunicazione/i del mese di giugno 1944, fatta/e al Ministero dell'Interno della Repubblica Sociale con sede a Maderno] 

Badalucco (IM)

Il 31 maggio 1944 il distaccamento di Arturo Secondo (Artù), allo scopo di procurarsi armi e munizioni, attacca la caserma dei carabinieri di Badalucco. Due militi saloini appostati sul campanile della chiesa parrocchiale sparano verso gli assalitori. Armando Cane viene colpito al ventre (morirà il 6 giugno nell’ospedale di Sanremo). L’azione continua per circa tre ore, con l’attacco alla chiesetta della Madonna degli Angeli, utilizzata come armeria dai fascisti, e con l’assedio al presidio tedesco di Villa Boeri. Al sopraggiungere dei rinforzi giunti da Taggia, gli uomini di Artù riescono a disimpegnarsi. I nazifascisti prelevano una dozzina di ostaggi, che sono trattenuti all’interno del presidio tedesco. Tre giovani, Giobatta Brezzo, Antonio Marvaldi e Marcello Panizzi, accusati di far parte delle bande ribelli, dopo giorni d’interrogatori, il 6 giugno vengono portati di notte presso il ponte di Deste nel comune di Montalto Ligure, dove vengono fucilati.
Giorgio Caudano Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

martedì 4 febbraio 2020

Gli esordi di un futuro comandante partigiano, nativo di Cipressa (IM)


La zona a mare di Cipressa (IM)
Questa era la situazione di quei giorni, questi erano i miei pensieri. Bisognava decidere subito. Ero cresciuto in un paese antifascista; mio padre non mi aveva più mandato alla scuola pubblica dalla IV elementare perché non facessi il «balilla» [...]
La prima esperienza ribellistica la feci a ridosso di Cipressa (IM) dove sono nato e cresciuto.
I miei primi compagni sono stati Michele Bonardi (Casotto), caduto nell'inverno 1944-45 sulle pendici del monte Faudo, Giacomo Gandolfo (Giacò), valoroso partigiano combattente fino all'ultimo, suo fratello, Mario Ardoino, altri ancora dei quali non mi ricordo.
Pernottavamo poche notti nello stesso posto e, per precauzione, quando vedevamo transitare nelle vicinanze persone, che molto probabilmente non pensavano neanche lontanamente a denunciare la nostra presenza, comunque ci spostavamo.
Ci saranno state delle spiate. Non l'ho creduto allora e non lo credo nemmeno adesso a tanti anni di distanza. 
Rimane un fatto curioso che mi frulla sempre in testa, capitato in quei giorni [...]
con un altro componente del gruppo - mi sembra di ricordare che fosse Mariot - andammo a vedere se avevamo lasciato tutto in ordine, cioé se non c'era nessuna traccia della nostra presenza. Notammo allora due uomini armati che si dirigevano con cautela al casone. Ci avvicinammo e riconoscemmo due carabinieri della stazione di Santo Stefano al Mare. Si trattava di un appuntato anziano, che tutti
sapevamo essere in forza alla suddetta Caserma e di un carabiniere più giovane. Arrivati davanti al casone bussarono alta porta ripetutamente e, dopo breve consultazione, si allontanarono. Avevamo deciso di farli prigionieri e di disarmarli, ma quando ci passarono vicino a dove ci eravamo appostati, lungo un sentiero, che giudicavamo avrebbero preso al ritorno se fossero ritornati in caserma, decidemmo più utile lasciarli stare.
Le armi che avevano questi due carabinieri non ci interessavano: erano solo dei moschetti, e noi ne avevamo già in eccedenza [...]
Chissà se avevano ricevuto l'ordine di recarsi a ispezionare quel casone o se avevano solo voluto avvisarci che la nostra presenza era nota.
Vagliammo tutte le possibilità e così raddoppiammo le nostre precauzioni. 
Continuammo intanto a sparare qualche colpo di fucile 91 sulle macchine militari di passaggio sull'Aurelia, ma da una notevole distanza, graduando l'alzocanna come ci era stato insegnato. Non so se abbiamo mai colpito il bersaglio, ma certamente gli occupanti delle vetture e degli autocarri, presi di mira, dovevano per forza essersi accorti di essere stati oggetto di colpi d'arma da fuoco. E io sapevo bene, per esperienza personale, quanto rendesse nervosi e preoccupati dover transitare su una strada dove si poteva da un momento all'altro essere colpiti da un eventuale cecchino appostato in agguato.
Non era facile per noi procurarci i viveri per resistere a quel modo e, per questo motivo, soprattutto alla fine di ottobre, il nostro gruppo si sciolse. Michele Bonardi partì per la Val Casotto, io per le Langhe, dove lo incontrai in seguito: l'esperienza in Val Casotto non era stata di suo gradimento.
Nel novembre 1943 la guerriglia era ancora ben poca cosa anche nelle Langhe: si trattava di piccoli gruppi con poche idee (ma ben confuse) sopratutto perché nello schieramento dei partiti antifascisti c'erano anche dei militari, compreso l'ufficiale superiore che aveva salvato la cassa della IV Armata. C'erano comunque due opposte tendenze.
Una ispirata dal partito comunista italiano che dei partiti era il più attivo e organizzato, appoggiato dal partito d'azione, propenso ad una guerra partigiana attiva e totale.
L'altra, comprendente anche quella appoggiata dai militari, che voleva essenzialmente organizzare tutte le formazioni nella clandestinità. per presentarsi poi agli alleati, al loro arrivo, con reparti ben inquadrati, per il mantenimento dell'ordine pubblico.
L'ufficiale superiore che aveva la cassa della IV Armata, solo nel secondo caso era disposto ad allargare i cordoni della borsa: questo è quanto riuscii a sapere dai vari rappresentanti delle due tendenze. Non ho avuto contatti al vertice, e pertanto qualcuno mi potrà smentire: quello che è certo è che la lotta si scatenò soltanto quando a Torino il Partito Comunista Italiano organizzò un attentato contro un grosso personaggio della Repubblica di Salò, in compagnia del quale, mi sembra di ricordare, c'era anche un alto ufficiale nazista. La rappresaglia nazifascista fu feroce e dura, e questo mise tutti d'accordo sulla necessità della guerra totale, senza sterili e ipocriti temporeggiamenti.
In dicembre andai a casa, dove arrivai prima di Natale. 
Nei primi giorni di gennaio del 1944 decedeva mio padre: per questo motivo ritardai la mia partenza. Avevo deciso, anche per contatti avuti con un esponente del partito d'azione, di entrare in una formazione di Giustizia e Libertà, che operava nel Cuneese [...]
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo) *, Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
* [n.d.r.: Garibaldi nell'ultimo mese di guerra divenne, dopo aver comandato anche la Brigata Garibaldi "Val Tanaro", comandante della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]