Alto; strano che Cascione avesse scelto per culla del movimento un luogo così cupo che, pur essendo ancora in Liguria, aveva già l'aspetto dei paesini d'alta montagna, dove la neve si fermava più a lungo, il clima era più freddo. Inesperienza? Motivi di sicurezza? Chi sa! Il fatto che la carrozzabile finisse ad Alto e quindi gli automezzi nemici potessero attaccare da una sola direzione e dopo una dura salita, la lontananza da altri paesi, quindi un maggiore controllo sugli abitanti e sullo spionaggio nemico possono aver fatto cadere la scelta su Alto. Ne dedussi anche che la banda di Cascione, dopo lo scontro di Montegrazie, dovette avere un atteggiamento difensivo analogo più o meno a quello adottato da noi nel periodo di stasi e depressione che ci colpì all'inizio del secondo inverno.
L'aspetto di Alto il 16 marzo era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi che erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine [n.d.r.: Alfredo Coppola, capo squadra in seno alla II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"], uno degli incaricati del lancio. "Sta con la moglie" mi disse. Infatti anche Turbine nei giorni si scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata], Turbine, Trentadue e qualche altro erano intorno a piatti di castagne e di latte.
"Sempre la solita cagnara" - diceva Basco - "chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. che ascolta la radio con te e si mette a gridare: «Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio!» - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così ti fa perdere il secondo. Ma perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...".
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: "Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più".
Il capobanda del distaccamento "I. Rainis" aveva conservato lo spirito ribelle di allora. "Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci, per vivere, allora niente".
"A Mauri i lanci; noi, che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... Ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravamo di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quelli del Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno".
"Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi, se avanza il tempo".
"L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. E' difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia.
Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga".
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala: una raffica e la staffetta era caduta: "Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i documenti che portava".
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto?
Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 206-209
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle tre linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che "... il quartier generale tedesco si è trasferito nella palazzina Faravelli a Nava. I tedeschi, portandosi dietro il russo catturato ad Alto, hanno fatto una puntata a Gazzo e a Gavenola per arrestare 'Ramon' [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, ma, fortunatamente, il russo si è dimostrato leale e ha reso vana la puntata".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La
Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della
documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della
Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo
II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico
1998-1999