Nei giorni successivi all'attacco tedesco del 4 ottobre 1944 a
Pigna (IM), i nemici avanzarono in direzione di Collardente e Buggio, Frazione di Pigna.
Vitò Giuseppe Vittorio
Guglielmo, comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi
Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice
Cascione", perduto il controllo dei paesi vicini alla vecchia frontiera italo-francese, individuò Triora quale centro di un nuovo schieramento.
Il 12 ed il 13 ottobre riprese l'inseguimento da parte dei nazisti, che entrarono in Triora (IM), Alta Valle Argentina, costringendo i partigiani a sganciarsi verso Piaggia [oggi Frazione di Briga Alta (CN)].
"
Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza, comprendenti circa 350 garibaldini": così in
Francesco Biga [
Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977].
Piaggia rappresentava l'ultimo disperato tentativo, data la superiorità in termini di effettivi e di armamento, dei tedeschi, di formare una linea di difesa.
Il 14 ottobre 1944, avendo raggiunto Ormea (CN), i tedeschi si avvicinarono.
Da Piaggia partirono alcuni Distaccamenti con l'intento non riuscito di bloccare il nemico.
Il 15 i tedeschi raggiunsero Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN), Alta Val Tanaro], avvicinandosi alquanto alla sede del comando partigiano, che decise allora di portarsi a Pieve di Teco (IM) per poi raggiungere Caprauna (CN).
La notizia che i nazisti avevano già raggiunto Case di Nava [Frazione di Pornassio (IM)] costrinse i garibaldini a cambiare direzione.
Nelle parole di Francesco Biga, Op. cit., "
rapidamente l'indispensabile di documenti, di armi viene caricato sui muli; il materiale ingombrante viene seppellito, nascosto, disperso".
Lo spostamento dei partigiani avvenne di notte verso Upega [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta poche ore dopo: non fu ancora questa la meta prefissata, per cui gli esausti partigiani furono obbligati ad un'altra ora e mezzo di cammino, diretti a Carnino [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta alle 9 del 16 ottobre 1944.
L'illusione di un periodo di tranquilllità fu subito vanificata il giorno successivo dall'eco dei mitragliatori tedeschi.
Rocco Fava di Sanremo (IM),
La
Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della
documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo
I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico
1998 - 1999
Alla metà di ottobre un grande rastrellamento nazifascista culmina nella battaglia di Upega, al confine fra Liguria e Piemonte. Un piccolo gruppo di partigiani impegna le forze nemiche mentre il grosso delle formazioni garibaldine, diviso in piccole unità, riesce a filtrare fra le maglie delle truppe tedesche e a rifugiarsi in territorio piemontese.
1944 - Le Repubbliche Partigiane
Giorni di inferno e di terrore, senza cibo, senza asilo, sotto la
pioggia, i partigiani si aggirano nei boschi cercando una via per uscire
dal cerchio, evitando le mulattiere e i sentieri perché vi passa il
nemico, e nel bosco si può averlo di fronte a dieci metri,
all'improvviso. Triste è in modo particolare la situazione di quegli ex
nemici della Divisione San Marco che erano passati alle formazioni
garibaldine. Essi vedono il bosco per la prima volta e non sanno dove
dirigersi e non hanno chi li guidi. Coi fuggiaschi si sparge la notizia
della tragedia. I tedeschi ripetono: "
Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti"... Dunque, eseguendo le disposizioni emanate da
Simon [n.d.r.: Carlo Farini, in quel periodo
ispettore della provincia di Imperia, inviato dal Comando regionale per
la coordinazione dei servizi militari partigiani], mentre era gravemente malato, il Comando della II^ Divisione
Cascione e le Brigate I^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvio Belgrano", formata
il 20 luglio 1944] e V^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni",
formata il 25 luglio 1944] si mettono in marcia la sera del 17 ottobre
1944 per raggiungere il basso cuneese, attraverso il passo del Bochin
d'Azeo sul Mongioie.
Inizialmente
si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è
possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto
Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora
all'altra la ritirata delle due Brigate, per cui nella notte si riprende
la marcia.
Francesco Biga,
U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001
Drammatica fu invece la ritirata della Divisione "Felice Cascione" dalla Liguria al Piemonte, in seguito ai rastrellamenti dell'ottobre 1944. Nei primi giorni del mese i partigiani liguri si concentrarono a Upega, poi a Carnino e la sera del 17 ottobre ripiegarono su Viozene; quindi passarono il Mongioie per arrivare a Fontane in una lunga e durissima traversata, compiuta di notte, sulla neve ed in condizioni fisiche e psicologiche estreme. Nel frattempo circa 200 tra SS e Alpenjager attaccarono il comando di Upega, dove morì il vicecomandante "Cion" suicida per non farsi prendere vivo dai nemici.
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo
Il 17 ottobre 1944 rappresenta una delle pagini più tristi della storia della resistenza imperiese.
Quel giorno persero la vita i valorosi comandanti partigiani Libero
Briganti (Giulio) e Silvio
Bonfante (Cion).
Il comando partigiano, trasferitosi momentaneamente ad Upega, paese scarsamente indicato per la guerriglia data la sua ubicazione nel fondo valle, venne attaccato nel primo pomeriggio del 17 ottobre 1945 dai tedeschi che si erano infiltrati nel bosco.
Briganti, commissario della II^ Divisione, cadde al fianco di "Curto", Nino
Siccardi, il comandante della II^ Divisione, drammaticamente impossibilitato a fare alcunché.
I garibaldini stavano tentando di proteggere la ritirata ai feriti.
Tra questi c'era anche "Cion", che per non cadere vivo in mano ai nemici, si uccise, sotto gli occhi della madre, con un colpo di rivoltella.
Altri garibaldini caddero sotto il tiro delle armi tedesche; il bilancio fu disastroso: le perdite, tra morti e feriti, ammontavano ad oltre venti uomini.
I nazisti con l'uccisione di "Cion" si illusero di avere distrutto l'organizzazione partigiana.
Rocco Fava, Op. cit.
Inizialmente
si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è
possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto
Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora
all'altra la ritirata delle due brigate, per cui nella notte si riprende
la marcia.
La V^ brigata è in testa, col suo comandante Vittorio Guglielmo [Vitò o Vittò o Ivano,
Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^
Brigata, da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione], e marcia per
prima nella notte oscura.
Lunga
e faticosa è la salita fino al passo, di cenare non se ne parla. Rezzo,
Piaggia, Upega, Carnino [Briga Alta (CN)], Viozene, Bochin d'Azeo [o
Bocchino d'Aseo]: i paesi della ritirata della I^ brigata, più numerosi
di quelli della ritirata della V^.
Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.
Dopo i dolorosi fatti di Upega, il grosso della I^ e della V^ Brigata si diresse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN).
"Magnesia" [Gino Glorio, poco tempo dopo amministratore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] annotò nel suo diario, riportate in Francesco Biga, Op. cit., le seguenti impressioni: "d'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni ed il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, le informazioni, il servizio logistico, gli uomini, il materiale, tutto quello che era la Divisione "Felice Cascione", tutto è disperso; 650 eravamo a Piaggia, ora appena 300 sono gli uomini che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^ Brigata. Gli altri sono là in Liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro".
Dopo qualche chilometro i partigiani incontrarono la neve, che si faceva via via sempre più profonda a costiture un vero e proprio calvario.
Per giunta non solo tutti i partigiani erano già stremati dagli scontri, ma molti di loro erano vestiti con abiti di recupero e tanti erano addirittura scalzi.
Le salmerie si rifiutavano di avanzare.
Il morale dei garibaldini era sotto zero come la temperatura circostante.
Rocco Fava, Op. cit.
La
salita è aspra e faticosa, le soste sempre più frequenti, il clima
sempre più rigido. Il peso dello zaino e dell'arma durante la marcia fa
sudare, stanca; basta fermarsi pochi minuti perchè il vento notturno
geli il sudore, intirizzisca; ciò nonostante la colonna si ferma sempre
più spesso, sempre più a lungo.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di
Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione] e di
Giulio [Libero Remo Briganti, commissario politico della II^ Divisione] .
Esclamazioni
di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega
che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga
lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini
che idolatravano i loro capi.
Testimonia un garibaldino: "La
neve si fa più alta, seguiamo in silenzio la guida che si è offerta di
accompagnarci fino al passo. Voltandomi mi è dato di vedere una scena
che non scorderò mai più: una interminabile fila di uomini che avanzano
serpeggiando sul fianco della montagna arrancando a fatica, curvi sotto
il peso delle armi; non sembravano neppure uomini, ma bensì spettri
perchè non si udiva alcun rumore, nessuna voce che potesse far capire
che non erano anime che venissero dall'aldilà".
Francesco Biga, Op. cit.
Scrisse [documento
Isrecim] il partigiano Giovanni Rebaudo [
Janò/Jeannot/Monaco], al riguardo della ritirata della V^ Brigata in Piemonte: "
Visto
che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il
territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo
distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture
piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande.
Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima di
Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene.
Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i
fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise,
giunse Vittò, comandante la V^ Brigata Nuvoloni, e si mise a capo della
nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il passo del Bochin
d'Azeo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)]
,
un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti
quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise
il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la
marcia della V^ brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e
il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada
), Antonio Allavena (Cuma
), Emilio Arizzi (Penna
), Giovanni Bonatesta (Vencu
) e Silvio Lodi (Bersagliere
),
armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare
dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza,
in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa
strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e
della I^ brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto
[Nino Siccardi, in quel momento comandante della II^ Divisione, da dicembre 1944 comandante della I^ Zona Operativa Liguria]
.
Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e
si visse un momento di commozione quando Curto
, nella sua figura
imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si
buttò nelle braccia di Vittò
singhiozzando e poi quando ci disse che
erano morti Cion
, Giulio
, De Marchi e alcuni altri. Nel raccontarci ciò,
pur pacatamente, Curto
non si vergognò di farsi vedere piangere. Mi
rimase impresso quest'uomo che pur con lo strazio di chi vide uccidere i
compagni davanti agli occhi, mantenne la calma e non ebbe odio
disperato verso i nemici. Dopo un riposo di circa trenta minuti, si
riprese la marcia verso Fontane, dove giungemmo a mezzogiorno, dopo aver
superato mille ostacoli. Infatti, la neve è alta, i muli affondano fino
alla pancia, dei sessantaquattro che seguono la colonna, tre muoiono
congelati, molti vengono trascinati a braccia dai garibaldini attraverso
le scoscese pietraie sulle quali non possono procedere da soli. La
stanchezza è grande e le scarpe fradice fanno male. Quando la neve
scompare, la colonna procede più rapida. Oramai il giorno 18 appare
chiaro. Le castagne, che si possono raccogliere durante la marcia,
vengono mangiate crude".
Francesco Biga,
U Cürtu... , Op. cit.
Eccoli dunque come sono, da non conoscersi più così abbrutiti di fame di freddo e di fatica, quando arrivano di là nella Val Corsaglia: fanno proprio paura, malconci come sono.
Le bande ridotte in questo modo, crollano appena finita la neve nella prima erba dove comincia il prato sopra Fontane, perché finalmente gli alpiniager, finiti i colpi, se ne ritornano indietro nelle caserme in guarnigione.
Allora gli uomini si guardano in giro ancora intontiti: non ce la fanno più a camminare e non sentono manco più il freddo che morde; non gliene importa niente di niente al chiarore dell'alba nella sonnolenza di morte bianca buttandosi a terra, ma va in malora.
Nei giorni successivi con un po' di calma, i posti se li rifanno l'un dopo l'altro intorno, in quella valle di là, spartendoseli suppergiù coi badogliani per starci meglio.
Di qui dal Mongioje invece se li mantengono soltanto quelli della quarta brigata, scambiandoseli ogni tanto coi nazifascisti in rastrellamento permanente.
Ma tutti insieme i partigiani e i patrioti, allo stesso modo e nello stesso tempo al di qua e al di là del Mongioje, la pensano tutti uguale sul come fare a continuare la guerriglia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 113
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo
Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona
intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese,
presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di
“Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che
Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte
delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di
“Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei
comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati
purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni
“Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che
nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva
gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti
nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Pietro Cosa per
l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra
ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato,
rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori
dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi
crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso
Piemonte.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese,
Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e
Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno
Accademico 2012-2013
Il 20 ottobre 1944 "Curto" con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
Rientrarono nelle fila Sandro Nuti (Scrivan), ferito in combattimento l'8 ottobre a Vessalico e salvato da un croato, poi passato nella Resistenza, "Natascia" [Ida Rossi, già infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona] e "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia].
La I^ Brigata "Silvano Belgrano" venne riorganizzata su 6 Distaccamenti.
I Distaccamenti erano i seguenti: "Giovanni
Garbagnati" con commissario "Athos", "Angiolino Viani" con commissario "Gigi", "Giuseppe Maccanò" con commissario "Federico" [Federico Sibilla], "Filippo Airaldi" con commissario "Gomez" [Angelo Montaldo], "Ettore Bacigalupo" con commissario "Giuseppe" e "Giuseppe Catter" con commissario "Jacopo" [Vittorio Giordano].
Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell'VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l'incontro tra il comandante Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski)
(1): "
Curto" chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale "
Curto" rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Francesco Biga sottolineava che "
il colonnello Pompeo Colaianni (
Barbato)
dispose per l'invio di 200.000 lire e di numerose paia di scarpe... giungono lire 500.000 dal CLN imperiese per pagare i debiti contratti... il 31 ottobre, su ordine del comando divisionale, il vice comandante della V^ Brigata si porta a Mondovì per trattare con il cavaliere Battaglia, ricco industriale, il versamento di 5 milioni" [
Caro Curto. La tua richiesta mi è giunta attraverso Antonio. I Tedeschi non riusciranno mai a piegare la tua valorosa Divisione. Auguro che quando questa lettera ti raggiungerà, avrete già avuto notizie dei compagni feriti e della tua famiglia. Scrivo al battaglione di Boves, appoggiatevi ad esso. Cercheremo di darvi aiuto per le scarpe attraverso questa via. Non posso disporre che di L.100.000, perché i nostri bisogni sono preoccupanti e tu ben sai che gli amici <gli Inglesi>
non sono generosi con noi, né di armi né di denaro. Altre 100.000 spero vi possano essere date, dietro mio ordine, dal battaglione Boves. Ricevi questo poco denaro con l'augurio dei nostri animi fraterni. Salutiamo i tuoi uomini e ti abbracciamo fraternamente.
Barbato].
Rocco Fava,
Op. cit.
(1) [...]
l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era
arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo
inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile
della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo
cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 - Nell'agosto '44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore "Temple", missione "Flap". Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. "Temple" (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell'esercito inglese,
morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato
paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe
importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione
dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali
dello Soe che lo sostituirono. Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia
[...] Questa la situazione che determinò i fatti del 10 ottobre ’44, ed indusse i Comandi partigiani all’occupazione di Alba. Si dà poi per certo che il magg. Mauri personalmente sia stato sempre piuttosto alieno da una occupazione del presidio (tant’è vero che le due notti successive alla entrata in Alba i suoi uomini ebbero l’ordine di ritirarsi sulle posizioni di partenza, e così fecero; mentre di occupazione vera e propria si può parlare solo quando si decise di presidiare costantemente la città di giorno e di notte, in seguito a gravi perturbamenti nell’ordine pubblico). In ogni caso, una volta verificatasi la situazione di cui più sopra, secondo la testimonianza del Vescovo venivano a militare a pro della occupazione partigiana ragioni di vera e propria azione di polizia. Particolarmente chiarificativa al riguardo è una Relazione del comandante Mauri pubblicata nel volume del Generale R. Cadorna: «La Riscossa - dal 25 luglio alla Liberazione», Milano, 1949. Il presidio partigiano di Alba durò una ventina di giorni circa.
Ma intanto: «Il fronte sulla linea gotica - riprendiamo col maggiore Mauri - minaccia di stabilizzarsi. La Repubblica di Salò riprende fiato e lo riversa nelle trombe della sua velenosa propaganda. È bandita una nuova crociata anti-ribelli, la definiva, per distruggere per sempre il mal germe dei traditori. Domodossola già liberata dai partigiani è nuovamente caduta sotto la dominazione nazi-fascista. Ora è la volta di Alba. È facile capirlo. Le variopinte legioni neofasciste si concentrano verso Bra e Torino. Poi arriva l’ultimatum: "Sgombrate Alba o vi annienteremo". Rispondo: "Alba l’abbiamo presa e la terremo. Se in fondo al vostro essere è rimasto un briciolo di italianità dovreste vergognarvi di minacciare ancora, dopo tanti delitti, saccheggi ed uccisioni. Restate con la vostra vergogna senza nome; con noi sono tutti gli italiani e tutti gli uomini d’onore e di dignità». Allo stato delle cose la risposta non poteva essere diversa.
Nè mutò nel corso dei tre storici abboccamenti del 30 e del 31 ottobre, svoltisi a Barbaresco, al Mussotto e a Cinzano fra il Comandante partigiano Magg. Mauri con alcuni suoi collaboratori e, per pa rte repubblicana, il Commissario Straordinario per il Piemonte Zerbino accompagnato da alcuni gerarchi; intermediario Mons. Grassi [...]
Filippo Barbano,
I fatti militari di Alba in alcuni documenti partigiani e repubblicani (10 Ottobre 1944 - 15 Aprile 1945), INSMLI, Milano,
Il movimento di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti, novembre 1949, n. 3 - gennaio 1950, n. 4
Mentre gran parte degli effettivi della I^ Brigata e della V^ Brigata, compreso il comando della II^ Divisione, erano forzatamente e momentaneamente trasferiti in Piemonte, per tre settimane rimase completamente isolata in provincia di Imperia la IV^ Brigata "Elsio Guarrini", la quale constava di 10 Distaccamenti per un organico complessivo di circa 600 uomini. In quel periodo subì diversi rastrellamenti: il 17 ottobre in località Ville San Pietro furono uccisi quattro partigiani; nell'attacco a Lingueglietta, frazione di Cipressa, del 28 ottobre rimasero uccisi 2 civili; due fratelli partigiani furono trucidati a Ceriana il giorno 29.
Rocco Fava, Op. cit.
Dal 4 al 6 novembre 1944 i garibaldini rifugiatisi a Fontane e dintorni
dopo la tragica sconfitta di Upega lasciavano incolonnati le montagne
del Piemonte per riprendere possesso delle valli liguri e proseguire la
lotta fino all'agognata vittoria. I primi denari consegnati a
Ramon [Raymond Rosso], da distribuire agli altri Distaccamenti della I e V Brigata della "
Cascione" appena reinsediatisi dalle parti di Gazzo, Casanova Lerrone e altrove nei pressi, erano recati da
Siro [Domenico Amari] per conto del CLN di Albenga (SV). Con solerte tempismo
Siro
provvedeva così le somme necessarie ad acquistare derrate alimentari
per i combattenti della futura Divisione "Bonfante", al momento in
condizioni di grave indigenza.
Francesco Biga e
Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis),
Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria),
Vol. V, Ed.
Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
Il 31 ottobre 1944 i comandi partigiani procedettero ad una ulteriore riorganizzazione.
Tra i più importanti cambiamenti si ebbe la nomina di Carlo De Lucis (Mario) a commissario della II^ Divisione, che subentrò allo scomparso Libero "
Giulio" Briganti, e quella di Agostino Bramé (Orsini) a commissario della V^ Brigata.
Rocco Fava, Op. cit.