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giovedì 9 ottobre 2025

Partigiani cattolici in provincia di Imperia

Cosio d'Arroscia (IM)

Ai margini delle Brigate componenti le Divisioni Garibaldi "Felice Cascione", "Silvio Bonfante" e "G.M. Serrati" si vennero organizzando anche altre piccole formazioni partigiane che, pur seguendo analoghe tattiche militari, tendevano a difendere non solo la loro diversa identità politica e ideale, ma anche una propria autonomia operativa, finendo talvolta per sottovalutare il problema del coordinamento, fattore cruciale nelle operazioni belliche. Ciò in taluni casi fu motivo di gravi contrasti con il grosso delle forze partigiane del Ponente, di matrice garibaldina e quindi di prevalente ispirazione politica comunista. Ad ogni modo anche tali formazioni minori diedero un loro non trascurabile contributo alla Resistenza ponentina.
In questo capitolo presentiamo una sintesi delle loro fisionomie e delle loro iniziative, appoggiandoci al materiale documentario conservato negli archivi dell'Isrecim.
Secondo quanto riferito da Carlo Carli <188 nel suo scritto dal titolo "L'azione Cattolica imperiese e la banda "La Fenice" nei suoi rapporti con la "Val Tanaro" <189, due bande partigiane, "Libertas" e "La Fenice" sarebbero nate a Imperia alle soglie dell'estate 1944 per sua personale iniziativa e grazie all'apporto finanziario di alcuni simpatizzanti. Dell'attività militare e delle vicende interne della prima formazione poco è dato sapere, scarseggiando sia le testimonianze che l'evidenza documentaria, salvo nel caso dell'attacco a un reparto tedesco in località Fontana di Bachin presso Villatalla nel settembre 1944, con la conseguente liberazione di un gruppo di ostaggi in mano nemica. <190
Più copiose sono invece le testimonianze riguardanti le alterne e travagliate vicende della "Fenice", la più significativa espressione del partigianato autonomo cattolico dell'Imperiese. 
Capo della banda "La Fenice" era Tonino Siccardi, che aveva preso con sé il grosso dei giovani di Azione Cattolica cresciuti e operanti a Imperia negli anni 1938-1940, sotto la guida di Don Santi, animatore del "Circolo di San Maurizio". Giovani che ci tenevano a chiamarsi "Forti e Puri", in contrapposizione ideale alla gioventù fascista del "Libro e Moschetto". Su 300 di questi giovani, almeno 200 presero al momento delle decisioni cruciali la via della montagna, favoriti da tale intima maturazione democratica e antifascista.
Non solo i fascisti, per la verità, avevano in uggia questi giovani refrattari alle esercitazioni del "sabato militare", ma anche i partigiani comunisti del comandante Nino Siccardi (Curto), i quali solevano chiamarli, con beffardo sarcasmo, "la banda del rosario". Non sorprende quindi che, sin dagli inizi, il nucleo dirigente della compagnia mirasse a stabilire rapporti preferenziali di collaborazione e dipendenza con le formazioni autonome d'ispirazione monarchico-moderata della IV Divisione Alpina di Enrico Martini (Mauri), se è vero che, come ricorda il citato Carlo Carli, egli stesso già a fine luglio si recò a Upega, dove stava la Brigata "Val Tanaro" di quella Divisione, per prendere contatto con il comandante, capitano Hanau (Martinengo), e porre sotto il suo Comando le due bande da poco fondate.
D'altro canto, queste formazioni, trovandosi nel frattempo a stazionare prevalentemente sulle alte dorsali tra Val Prino, Valle Impero e Val Tanaro, non potevano che stabilire rapporti di buon vicinato e collaborazione con le brigate garibaldine a scanso di gravi rischi per la sicurezza degli uomini e l'efficienza dei dispositivi militari di entrambe le parti. Di fatto, avvenne che le due bande di ispirazione cattolica, e soprattutto la "Libertas", operassero spesso e volentieri sotto il comando del Curto, godendo peraltro di una certa autonomia d'iniziativa, tranne che per le azioni di guerriglia, che comportavano il preventivo benestare del comandante.
Ma lasciamo di nuovo la parola a Carli: "Intanto la posizione di queste due bande non garibaldine, in mezzo a tante di queste, era sempre più precaria. Io non riuscivo nell'intento di metterle sotto il Comando della IV Divisione Alpina perché era indispensabile che i componenti di dette bande si trasferissero in Piemonte, ma gli uomini che le componevano in gran parte non ne volevano sapere. Con alcuni che erano disposti al trasferimento, una radio trasmittente e un mulo preso all'Organizzazione Todt, partii per la zona della Val Tanaro, decisi a fermarcisi, perché le due bande erano passate sotto il Comando garibaldino (in seguito verranno disarmate dalle bande delle stesse formazioni garibaldine perché non di eguali idee politiche). Da Upega, dove raggiunsi la Brigata "Val Tanaro", passai a Carnino dove a metà agosto 1944 assunsi il comando di una squadra della Brigata stessa, la così detta squadra di Cosio... Il 20 novembre mi raggiunse (a Viozene) la Brigata. Il 24 novembre con due amici mi recai in Liguria quale delegato dell'EINL, per formarvi il CLN, come dal documento sopraccitato." <191
Tale documento è una lettera rilasciata il 24.11.1944 dal Comando della IV Divisione Alpina, a firma del capitano Martinengo e del rappresentante militare dell'EILN dottor Sismondi, secondo la quale "autorizzati dalle competenti autorità militari a venire incontro alle richieste a suo tempo avanzate dai rappresentanti della Provincia di Imperia, delegano il signor Carlo Carli a concludere in forma definitiva... quali saranno nella veste dei CLN gli esponenti delle masse rappresentate. In forza di tale autorizzazione riconosciuta, verranno appoggiati dalle forze armate dell'EINL (Esercito Italiano Nazionale di Liberazione)". Questo mandato, di ordine decisamente più politico che militare, conferito a Carli dal capitano Eraldo Hanau (Martinengo), autorizza a pensare che lo stesso Hanau ambisse, nelle parole stesse di Carli, "a estendere la sua influenza al di fuori della zona considerata allora di normale attività della Brigata ["Val Tanaro", N.d.C.]", ovvero nelle adiacenti vallate liguri, di convenuta competenza garibaldina.' <192
Nel frattempo, vuoi per la persistente divergenza politica, vuoi perché si sarebbero lasciati sfuggire un fascista loro prigioniero, verso la metà di settembre i partigiani della "Fenice" furono messi di fronte alla scelta obbligata tra il Curto e il Tonino: chi fosse rimasto con il Tonino sarebbe stato disarmato. Di fatto, la banda era sciolta. Così narra Giovanni Strato nel primo volume di questa "Storia della Resistenza Imperiese": "Sciolta la banda, dei componenti di essa qualcuno entrò in altre bande garibaldine, altri si nascosero per conto proprio, alcuni si trasferirono in Francia con un battello ed altri ancora passarono tra i partigiani della Brigata 'Val Tanaro'. Questi ultimi, subito dopo lo scioglimento della banda, si erano rifugiati nel villaggio di Pantasina, poco lontano da Monte Acquarone. Appunto, mentre erano in Pantasina, si misero in contatto con la Brigata "Val Tanaro", nella quale vennero incorporati e, verso i primi di dicembre del 1944, partirono da Pantasina per recarsi in Piemonte. Del gruppo partito per il Piemonte facevano parte, per quanto si ricorda, Vincenzo Giribaldi, Giuseppe Vassallo, Bernardo Asplanato, Pietro Demossi, Domenico Brusso, Paolo Saglietto, nonché cinque militari già della batteria di Caramagna <193 che da alcuni mesi si erano aggregati alle bande partigiane, passando ad esse con tutte le loro armi, ritirate poi dal Comando garibaldino. Fra i militari vi era anche Franco Paganesi (Cisco). Il suddetto gruppo, partito per il Piemonte, a Mendatica doveva incontrarsi con alcuni partigiani fra i quali Athos Giribaldi, Flaminio Spinetti, Alfredo Pungiglione. Avvenuto l'incontro, pernottavano nella zona, alcuni all'aperto presso Montegrosso, in Mendatica, altri ancora - fra cui i militari e Paolo Saglietto - in un fienile nell'abitato di Montegrosso." <194 Qui venivano sorpresi da un improvviso rastrellamento tedesco, effettuato nella zona di Viozene il 6.12.1944.
La notizia del rastrellamento non doveva essere del tutto inattesa, se già verso le ore 20 del giorno precedente era stata fatta una riunione dei capisquadra per prendere delle iniziative onde evitare l'attacco nemico. Ma evidentemente mancò il tempo, per cui i patrioti subirono tragiche conseguenze. Nell'impari confronto rimaneva ucciso Franco Paganesi <195, catturati gli altri quattro militari e Paolo Saglietto, mentre Vassallo, Spinetti, Pungiglione e Giribaldi riuscivano fortunosamente a mettersi in salvo, nonostante le raffiche degli MG42 tedeschi. A Viozene il 6 dicembre 1944 cadeva anche il partigiano Gian Luigi Martini (Gian), originario di Diano Marina.
In seguito i cinque catturati non verranno fucilati perché si riuscirà a far credere che essi fossero prigionieri dei partigiani. Scampati infatti una prima volta alla fucilazione loro minacciata davanti alla chiesa di Montegrosso, venivano tradotti a Pieve di Teco, dove dovettero la salvezza a padre Firmino (ossia Don Albino Simi, fratello del capo partigiano Domenico Simi (Gori), trasferitosi poi a Genova presso la chiesa di Santa Caterina), il quale sostenne che erano stati prelevati dal loro presidio di Caramagna dai partigiani, che dunque di prigionieri si trattava e non certo di comunisti, tant'era vero che nelle loro tasche era stato appunto rinvenuti il lasciapassare di Martinengo con la nota sigla ZC (Zona Cuneo). Furono quindi risparmiati ed inviati presso vari presidi repubblichini, donde poi riusciranno a fuggire, ad eccezione del sottotenente Folchi, ucciso a Savona in uno scontro avvenuto poco prima della Liberazione.
[NOTE]
188 - Carli Carlo, di Giovanni e Panero Eva, nato a Imperia il 20 maggio 1918, studente, sergente allievo ufficiale del 3° Reggimento Alpini. Dopo l'8 settembre 1943 appartenne alla Brigata partigiana "Val Tanaro". Comandante della squadra di Conio dal primo aprile 1944 al 7 giugno 1945. Riconosciuto partigiano combattente con deliberazione del CM n. 35237 del 31 maggio 1947. Industriale. Trovandosi in convalescenza ad Ormea l'8 settembre 1943, ritornò quel giorno stesso con l'amico Ricci Raimondo ad Imperia, provvedendo a privare delle armi la capitaneria di Porto Maurizio, parte gettandole in mare, trasferendole a Cosio con camioncino sottratto allo stesso Comando. Il 27 settembre organizzò un primo raduno in montagna, dove restarono una trentina di giovani. Fu nel giugno 1944 che iniziò una vera e propria attività partigiana con la stampa a mezzo ciclostile di tre numeri di un giornale clandestino, ampiamente distribuito ad Imperia. Nel giugno e luglio 1944 provvide alla costituzione delle bande partigiane "Libertas" e "La Fenice", delle quali stiamo appunto dicendo. In settembre 1944, attraverso Viozene raggiunse Valle Inferno di Garessio, dove sostenne un attacco dei tedeschi in rastrellamento. Si trasferì a Nascio, sopra Garessio, per meglio osservare e sostenere l'attacco che si ebbe l'indomani con piena fortuna. Col trasferimento della Brigata in Val Casotto (15 settembre) si fissò con la sua squadra alla Correria, compiendo qualche azione sulla strada statale n. 28 e sulla strada Mondovì San Michele fino a quando si trasferì attraverso Valle Inferno a Viozene, dove il 20 novembre giunse anche la Brigata. Dopo lo sbandamento ed il periodo ligure, trascorso l'inverno tra Mendatica e Cosio, raggiunse la Brigata a Viozene agli ultimi di marzo 1945 e fu inviato a Cosio per ricostituirvi la squadra, scendendo alla Liberazione in Nava e Garessio.
189 - Documento allegato in fotocopia alle schede dei partigiani della Brigata "Val Tanaro" (vedasi: ISRECIM. Archivio, Sezione II, cartelle "combattenti fuori zona").
190 - ISRECIM, Archivio, Sezione I, Cart.112. Attorno a quella data, la banda "Libertas" risulta regolarmente inquadrata tra i garibaldini della Divisione "Cascione", come 3° Distaccamento della IV Brigata "E. Guarrini". Cfr. questa "Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Imperia, ISRECIM et al., 1976-1916. Vol. III di Francesco Biga, La Resistenza nella Provincia di Imperia da settembre a fine 1944, Amministrazione Provinciale di Imperia-ISRECIM, 1977, pag. 76.
191 - Ibidem.
192 - Ibidem.
193 - Oltre a Franco Paganesi (Cisco), ricordato subito sotto, questi militari erano il sottotenente Falchi, poi catturato a Savona e ivi in seguito ucciso, Lupo di Mandello Lario, Pinto e Moretto, entrambi di Novara.
194 - Storia della Resistenza Imperiese, Vol. I di Giovanni Strato, cit., pag. 225 e sgg.
195 - Franco Paganesi (Cisco), nato a Verteva il 14.12.1925, studente universitario, arruolato nell'artiglieria alpina, compì a Genova Sturla il corso allievi ufficiali, militò dalla fine di aprile al giugno 1944 nella IX Brigata "F. Cascione", nella banda di Ermanno Martini (Veloce). Dal luglio successivo all'ottobre fu nella banda "La Fenice" come caposquadra, quindi si trasferì nella Brigata "Val Tanaro", nella quale militava quando fu ucciso. Prese parte alla battaglia di Badalucco dell'11 giugno 1944 e a quella di Villatalla e Tavole nell'agosto successivo. La famiglia risiede a Gazzanica (Bergamo).
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 93-96

giovedì 26 ottobre 2023

Il Vescovo di Albenga conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane

Albenga (SV): Cattedrale di San Michele. Foto: Eleonora Maini

Ricorderò sempre con rimpianto le lunghe notti di novembre-dicembre del '44, le lunghe chiacchierate sul proclama degli Alleati che ci invitava a sospendere la lotta per il periodo invernale, come se la cosa fosse di estrema facilità. Per loro quella decisione era considerata come scegliere di cambiarsi d'abito: faceva freddo, e allora semplicemente si cambiavano i vestiti estivi con quelli invernali. Questi ordini assurdi anzichè demoralizzare gli uomini, cementarono fra noi la vera amicizia, e sopratutto la volontà comune di continuare la lotta. Quando poi sistemai i meno validi presso le famiglie dei dintorni, non fu cosa facile far loro capire che quello era un provvedimento temporaneo e che dopo sarebbero ritornati a far parte delle varie formazioni in primavera, ma che comunque sarebbero stati ritenuti sempre in servizio, come se si fossero trovati ancora nei Distaccamenti.
Dovevo ridurre gli effettivi nei Distaccamenti stessi per renderli più agili e manovrieri. C'erano con noi due fratelli gemelli sanmarchini, di cognome Baroni, nativi dei dintorni di Milano: uno era ammalato di polmoni e il medico (Dr. Lai) ne consigliava l'allontanamento dalle formazioni, perchè poteva essere infettivo. Non potevo sistemarlo presso qualche famiglia sapendo che poteva essere contagioso; allora li fornimmo tutti e due di carte d'identità rilasciate da un Comune della valle e, con gli abiti avuti da alcuni giovani del paese e qualche chilogrammo d'olio donato loro dai contadini, partirono per la Lombardia dalla stazione di Albenga e riuscirono ad arrivare a casa (quello ammalato morì di t.b.c. alcuni anni dopo la fine della guerra, senza purtroppo aver potuto ottenere il riconoscimento e la relativa pensione).
Il loro ritorno fu fortunato, ma noi non potevamo saperlo e allora, nelle interminabili sere davanti al fuoco dei casoni, ci soffermavamo a parlare delle probabilità che avrebbero avuto di riuscire ad arrivare a casa. Lì iniziò il gioco dei perché: perché erano partiti? Perché uno dei due era ammalato? Perché uno dei due era di costituzione delicata? Perché era stato arruolato nel sanmarco? e a forza di perché, si arrivava al perché della guerra, al perchè del fascismo, fino a che, vicino al fuoco, non rimaneva più nessuno.
Altre volte si parlava di calcio e i più preparati in materia iniziavano a ricordare i componenti delle squadre di serie A, e i loro ruoli; finita la serie A, iniziavano con la serie B. Fino a che non riuscivano a ricordare gli undici uomini titolari e le riserve, non passavano ad un'altra squadra. Da diverse sere cercavano di ricordare il nome di un terzino senza riuscirci; i più ostinati nella ricerca erano Lello [Raffaele Nante] e un ragazzo dei dintorni di Milano, il cui nome di battaglia «Disdot» (diciotto) derivava da una partita di calcio della squadra del suo paese, in cui questa aveva subito ben diciotto goal.
Una sera, vicino al fuoco, erano rimasti Lello e Disdot, che non riuscivano a ricordare il nome di un terzino. Andarono a coricarsi senza averlo trovato. Durante la notte, uno dei due, rannicchiato nella sua cuccia, pronuncia un nome e l'altro, situato all'estremità della baita, gli risponde: «Hai ragione, è proprio lui il tertino che ci mancava!» Chissà se erano rimasti svegli tutti e due a pensare, oppure se nel sogno avevano ricordato quel nome.
In uno di quei giorni di novembre ero andato con l'intendente Bergamini a Ortovero per cercare di convincere il nostro fornitore di tabacco a praticare un prezzo a noi più favorevole; ma il commerciante riuscì a convincerci che il prezzo da lui praticato era giusto e che, per causa di quello, avrebbe lavorato in perdita. Io approfittai dell'occasione per fare avere notizie alla mia ragazza e il risultato fu che un bel giorno ella arrivò a Ubaghetta dopo aver peregrinato chissà come e chiedemmo a Don Rembado di sposarci. Don Rembado chiese l'autorizzazione al Vescovo di Albenga, che allora non la concesse per motivi certamente validi (il Vescovo di Albenga che conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane, temeva che se i nazifascisti fossero venuti a conoscenza del matrimonio, avrebbero infierito più di quanto stavano facendo sul clero in generale).
Decidemmo così di sposarci solo civilmente, ci avrebbe sposato il nuovo Commissario di brigata [la IV^ della Divisione "Silvio Bonfante"] (nel frattempo ero stato nominato Comandante di brigata) e Federico [Federico Sibilla], il commissario, era passato alla I brigata ["Silvano Belgrano"], sostituito da Calzolari (un ragazzo di Bergamo) ex sanmarchino. Riporto copia conforme dell'atto di matrimonio: l'originale è ancora in possesso di Fanin uno dei testimoni.
Era stato un ben triste dicembre; i tedeschi a Pieve di Teco, con l'ausilio di delatori, riuscivano spesso a sorprendere i partigiani nei loro rifugi. Le prigioni del piccolo centro erano colme di ragazzi che, in grosso numero, vennero prima torturati e poi fucilati.
Al servizio dei tedeschi erano purtroppo anche due uomini del mio vecchio distaccamento «C. Maccanò», Walter e Bol, anche loro provenienti dalla liberazione dei prigionieri delle carceri di Oneglia come il prof. Come lui facevano le spie, non avendo però la capacità e tanto meno la libertà della quale godeva il prof. (non mi ero mai fidato infatti di loro completamente).
Erano poi riusciti a sganciarsi durante quel combattimento nella nebbia avvenuto a Cosio, ed erano ritornati a collaborare col nemico riferendo quanto erano riusciti a sapere nel periodo che restarono con noi.
Per Natale Bergamini era riuscito a procurarsi della carne di maiale, senza danno per i contadini. Era riuscito infatti a sapere che i maiali esistenti nei paesi della Val d'Arroscia erano per la maggior parte di un commerciante che li aveva dati ai contadini con l'accordo che, quando fossero stati ingrassati, li avrebbe divisi in parti uguali fra loro.
Bergamini ne fece uccidere uno per il Distaccamento, lasciando ai contadini la loro metà e pagando il resto a prezzo di mercato. Tutti i Distaccamenti per Natale ebbero così mezzo maiale e ne venne fuori un pranzo natalizio davvero sontuoso.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 151-153