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domenica 8 ottobre 2023

Il 20 novembre 1943 il col. Giuseppe Bosio, comandante del distretto d'Imperia, fa affiggere i manifesti per la chiamata alle armi delle classi 1923-24-25

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

Con l'occupazione germanica della Liguria Occidentale i fascisti che, il 25 luglio 1943, arrestato Mussolini ed abolito d'autorità il P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), erano scomparsi, rialzano la testa e ricompaiono nella società protetti dalle truppe d'occupazione. I primi loro atti sono le vendette personali e quindi iniziano la riorganizzazione delle loro forze politiche e militari.
Al vertice del potere amministrativo in provincia di Imperia, come capo della provincia, viene insediato il console generale della milizia ecc. dott. Francesco Bellini (12), nato a Cecina nel 1899, già segretario federale a Bolzano, a Pola e a Gondar (Etiopa); console generale della M.V.S.N. (13), prefetto di Belluno e Gorizia nel 1939, fascista ligio alle proprie idee, che governerà fino alla metà del 1944 (14) emanando bandi e prendendo iniziative assai impopolari da causare non pochi drammi tra gli antifascisti ed i civili.
Alla nomina del nuovo prefetto seguono quelle dei segretari politici del nuovo Partito fascista repubblicano. Ad Imperia il cittadino Archi succede al dott. Domenico Filippi, segretario della Federazione locale; a San Remo la sede del Partito fascista repubblicano, con commissario politico Nino Nuvoloni, viene costituita in via Manzoni n. 2, ove si apre la sottoscrizione «pro mitra», e a Diano Marina, sulla piazza del Municipio, il cui nuovo segretario politico è  Enrico Papone.
Il Prefetto, su indicazione dei fascisti locali, insedia i commissari nei Comuni: nel capoluogo all'avv. Ambrogio Viale subentra, il 23 di settembre, il prof. Nardo Languasco; a San Remo il vice-prefetto dott. Alfonso Chiodo sostituisce l'avv. Mario Caraccioni; a Bordighera assume la carica il commendatore Emilio Pognesi [n.d.r.: in effetti, il cognome era Pognisi, un generale a riposo con contatti con antifascisti della zona, come Giuseppe Porcheddu, Pognisi, morto di lì a breve e che, comunque, fu podestà di Bordighera solo nel periodo "badogliano"] ed il 17 a Diano Marina il col. Alessandro Angioino sostituisce il dimissionario Mario Oreggia. In Questura il dott. Benedetti lascia la carica al  nuovo capo di polizia Ermanno Durante, un personaggio che, alla liberazione, fuggito a Milano e il 26 aprile catturato in un nascondiglio e incarcerato da una squadra del distaccamento «Carlo Rosselli», in seguito verrà rimesso in libertà in circostanze poco chiare. (G. Pesce, Quando cessarono gli spari, Ed. Feltrinelli, Milano, 1977, pag. 143). Si organizzano le prime formazioni armate della Repubblica Sociale Italiana. All'inizio la maggior parte dei fascisti, già appartenenti al 33° battaglione C.C.N.N. reduce dai Balcani e sfasciatosi l'8-9-1943, che rivestono la divisa, vengono inquadrati nella 33a legione M.V.S.N. «Generale Gandolfo» del 626° Comando Provinciale G.N.R. d'Imperia (15), comandata dal colonnello Gianni De Bernardi e dal vice, primo seniore colonnello Pier Cristoforo Bussi, capo dell'U.P.I.
La 33a legione suddivisa su tre compagnie O.P. (Ordine Pubblico) dislocate a Ventimiglia, a San Remo e a Imperia, con distaccamenti nei pressi di Bevera, Mortola inferiore, Bordighera, Dolceacqua, San Michele, Ceriana, Isolalunga, Taggia, Badalucco, Triora, Santo Stefano al Mare, Dolcedo, Diano Marina, Cervo, Pieve di Teco, Pornassio, Nava (16), è completata a novembre con l'incorporazione di circa 200 giovani reclutati dal federale Cesalo in Francia, dei quali:  33 a Nizza, 31 a Mentone, altri a Roquebrune, Antibes, Cagnes, St. Laurent du Var, Carnoles, Cap Martin, ecc., già quasi tutti appartenenti all'organizzazione fascista «Azione Nizzarda» (17).
Inizialmente comanda la compagnia O.P. d'Imperia il capitano Ferrari di cui avremo da parlare (18). L'Albenganese rimane sotto la giurisdizione militare del 627° Comando Provinciale G.N.R. di Savona, già 34a legione «Premuda» (Posta da campo n. 831) comandata dal maggiore F.M. originario di Porto Maurizio, da l'U.P.I., dal maggiore Previtera, con compagnie O.P. dislocate a Varazze, Cairo Montenotte, Albenga e, per guanto ci riguarda, con distaccamenti ad Alassio, Andora (con posto di blocco sulla via Aurelia), Casanova Lerrone e Ortovero (19).
Il 20 novembre 1943 il col. Giuseppe Bosio, comandante del distretto d'Imperia, fa affiggere i manifesti per la chiamata alle armi delle classi 1923-24-25, che prevedono la pena di morte per renitenti e disertori. Ma i detti manifesti  lasciano il tempo che trovano.
Altri giovani Italiani, figli di famiglie emigrate nella vicina Francia, allettati da mille promesse, per forza o con consenso, già organizzati nelle squadre fasciste degli Italiani all'estero, dette (oltre alla già citata «Azione Nizzarda») «Fronte Popolare Francese», «Milizia Francese» ecc., inquadrati nel battaglione «Nizza», vengono trasferiti nell'Imperiese.
Al termine del 1943 molti di questi fascisti importati o locali, tendono a costituirsi in reparti autonomi, come Compagnie di Ventura, in cui sono incorporati anche condannati comuni, tratti fuori dalla galera ed arruolati con la promessa della estinzione della pena, a guerra finita. Vi affluiscono pure fascisti fanatici. Fra i militi sono anche gli uomini che il fascismo aveva ingannati ed illusi; gli arrivisti astuti ed ambiziosi ma accorti, che non si  macchieranno di delitti; dei borsari neri che si serviranno della divisa per condurre a buon termine dei traffici illeciti; dei disoccupati; dei prototipi che vivevano ai margini della società, innocui o irresponsabili.
Comanda la Piazza d'Imperia il colonnello tedesco Major che sovrintende e sorveglia, diffidente, l'attività di queste formazioni fasciste (20). Il dott. Gercano diventa commissario capo delle guardie repubblicane.
Il grosso dell'esercito della R.S.I. viene addestrato in Germania dai Feldwebel tedeschi. È composto da coloro che, tra i deportati, avevano aderito alla R.S.I., uniti alle reclute che in Italia, ubbidendo ai bandi nazifascisti, si  erano presentati ai distretti militari.
La divisione di marina «San Marco» è addestrata nel campo di Grafenwohr, la divisione alpina «Monte Rosa» a Munzingen, la «Italia» (bersaglieri) a Hemberg, e la «Littorio» (fanteria motorizzata) nel Sennelager. Sono circa 16.000 uomini in forza organica per ogni divisione, ad eccezione della «Monterosa», con 20.000.
Diversamente, la divisione camicie nere «Tagliamento», i «Cacciatori degli Appennini», reparti paracadutisti «Nembo» e «Folgore», i battaglioni autonomi di difesa costiera, le divisioni rabberciate in forma precaria «Etna» (I divisione  antiparacadutisti e antiaerea «Etna», il cui 8° battaglione si troverà nel Savonese e nell'Imperiese nei primi mesi del 1945) e «Vesuvio», la X MAS del principe Valerio Borghese, le brigate nere, i reparti P.S., le compagnie di ventura «Koc», «Carità» ecc. sono organizzate in Italia.
Nell'Imperiese i fascisti, acquisita una minima organizzazione, dànno il via alle rappresaglie dirette contro le famiglie dei renitenti alla leva: a San Remo vengono tolte le licenze di commercio a varie famiglie e si ordinano i raduni di bestiame bovino per la requisizione (21).
Nella seconda decade del gennaio 1944 i G.A.P. sanremesi compiono le prime azioni di sabotaggio tagliando i fili telefonici del Comando tedesco. Con un discorso di padre Eusebio (ex cappellano della divisione «Julia») nel teatro «Verdi» a San Remo, è istituita una squadra fascista intitolata a Ettore Muti: è il primo embrione di organizzazione militare che darà vita alla «Brigata Nera» della provincia.
A Porto Maurizio nasce il circolo rionale fascista «Silvio Borra». Ad Albenga il Podestà comunica alle autorità nazifasciste i nominativi di n. 87 renitenti alla leva delle classi 1924-25-26. Il 10 febbraio a San Remo è istituito il Tribunale Federale di cui entrano a far parte, oltre al segretario del Fascio repubblicano, Ugo Ughetto ispettore federale per la zona di Mentone, ed Elio Piccioni segretario federale di Ventimiglia. Nasce pure un centro arruolamento  volontari comandato da Francesco Lanteri (22), simile a quello già in funzione presso la federazione dei Fasci repubblicani.
A Realdo, in valle Argentina, si hanno le prime vittime dello spionaggio: il maggiore della milizia fascista F.A., notata in paese la presenza di vari prigionieri inglesi, fuggiti l'8-9-1943 dai campi di prigionia del Piemonte, dal concittadino A.L. li fa consegnare ai carabinieri di Triora che, a loro volta, li dànno in mano ai Tedeschi; i due saranno fucilati dai partigiani come spie perché, senza dubbio, uguale sorte avrebbero questi ultimi subìto se fossero  stati catturati per delazione (23).
In marzo i prefetti d'Imperia e di Savona ordinano il ripristino dei motti del Duce, scritti sui muri, già cancellati dopo il 25-7-1943 (24).
Nella primavera del 1944 l'ufficio U.P.I. d'Imperia acquista una consistente organizzazione: dipende dalla G.N.R., ha per capo il colonnello Bussi, è composto da militi come il maresciallo Mangiapan, il brigadiere Maffei, l'agente Gallerini, il centurione Montefinale, il capo ufficio magg. Gastaldi, ecc. (25).
La compagnia O.P. della 33a legione ed altre formazioni, hanno il compito di mantenere l'ordine pubblico e di dare la caccia ai fuorilegge (partigiani), al tempo stesso si lamentano presso il Duce, informandolo che i figli della borghesia locale, invece di arruolarsi nelle forze della Repubblica Sociale, si sono imboscati nella Todt; gente che non ha mai lavorato e che per opportunità ha imbracciato il badile e la pala in luogo del fucile (26); segnalano che la maggior parte dei richiamati, specie quelli dei paesi montani, hanno già fatto causa coi «banditi» (20-6-1944) e che in provincia quasi ogni giorno si verificano assenze arbitrarie dai presidi costieri (23-6-1944).
La compagnia O.P. d'Imperia, composta di circa 150 uomini, è comandata, come abbiamo già detto, dal capitano Giovanni Ferrari, (ex ufficiale del 41° reggimento fanteria), molto quotato dai Tedeschi e decorato della croce di ferro di 2^ classe, che diventerà non poco famoso (27).
Dai reparti della G.N.R. nascono, in seguito, quelli antipartigiani (R.A.P.), composti da giovani di 18-25 anni, che dànno il via ai rastrellamenti sulle montagne della provincia. Giunti in un paese allacciato alla carrozzabile, a bordo di camions, ed attraversata qualche valle a piedi, sono raccolti altrove con gli stessi mezzi. Veramente non sono rastrellamenti eseguiti in ordine sparso, ma in colonna, pertanto poco efficaci. Anche la polizia del questore in carica  rastrella e, purtroppo, in  maggio infligge duri colpi alle organizzazioni antifasciste ed ai C.L.N. nelle zone di Ventimiglia, Bordighera, San Remo e Diano Marina (28).
In luglio il questore in carica è sostituito dal dott. Sergiacomi, altro capo cui seguirà nell'Imperiese un periodo di vita difficile. Viene istituito un robusto plotone arditi antipartigiani comandato dall'ufficiale superiore Delcaro, con cani lupo e ben fornito di mitra, pistole e bombe a mano. Gruppo di militi repubblichini ben noti a coloro che hanno subito le loro «sedute» d'interrogatorio (29).
Il primo luglio 1944  Mussolini detta la deliberazione per istituire le squadre d'azione camicie nere, il 26 luglio viene impartita a tutte le formazioni fasciste già esistenti la seguente ordinanza: «Gli appartenenti al partito, dai 16 ai 60 anni, devono far parte di queste squadre che assumono il compito di assicurare l'ordine e distruggere i partigiani ed i comunisti ovunque si trovino. Chi non aderirà, può andarsene. I capi devono essere uomini politici locali... » (30). Nascono così le brigate nere con capi fondatori. In esse si raccolgono i «scelti» delle già menzionate formazioni fasciste. Il raggruppamento di tali bande costituisce la «Brigata Nera».
Nel luglio 1944 nasce ad Imperia la 32a brigata nera «Antonio Padoan» ed a Savona la 34a brigata nera «Giovanni Briatore», ambedue dipendenti dall'Ispettorato B.B.N.N. della Liguria, con sede in Genova, di cui è capo il dott. Asti prima e Luigi Sangermano dopo.
La 32a brigata nera d'Imperia prende il nome dal prete Antonio Padoan. Eccone il motivo:
Durante gli anni del fascismo il Padoan era parroco di Creppo, in valle Argentina. Si dimostrava di idee liberali benché fosse figlio di un colonnello fascista. Poi venne trasferito nella parrocchia di Castelvittorio e durante la Repubblica di Salò le sue idee si adeguarono al momento per cui, divenuto uomo fidato della G.N.R. e dei Tedeschi occupanti, incominciò a fare propaganda in chiesa per i nazifascisti. A Pigna, come capitano della milizia, non disdegnò di sostituire don Bono protestatario, per far partecipe di funzioni religiose i partigiani Repetto e Faraldi morituri, fucilati poi dai fascisti.
Forse affrontato da partigiani della V brigata [n.d.r.: invero a quella data non ancora costituita] la sera del 7 maggio 1944 per indurlo a desistere dai suoi propositi e abbandonare Castelvittorio e forse, nata una colluttazione reciproca con spari da ambo le parti (pare che il partigiano detto «Albenga» abbia avuto la cassa del fucile fracassata da una pallottola, così che l'arma gli salvò la vita), il Padoan rimase ucciso (31).
I fascisti fecero del morto un martire ed una bandiera intitolando con il suo nome la brigata nera imperiese e resero gli onori militari alla salma durante i funerali che si svolsero a Ventimiglia.
La 32a brigata nera «A. Padoan» partecipa alla lotta antipartigiana fino alla liberazione. Dopo il 25 aprile 1945, in fuga, raggiunge Alessandria ove viene catturata.
Dislocata ad Imperia con posta da campo n. 779, durante tutto il periodo della lotta è comandata, tra gli altri, da Mario Massina e dal tenente colonnello Edoardo Baralis.
Comprende la Compagnia comando, il 1° battaglione su tre compagnie e il 2° battaglione con la 4^ compagnia «Alassio» comandata dal tenente Ferdinando Rey, la 5^ compagnia «San Remo» comandata dal tenente Renato Moretti, la 6^ compagnia «Ventimiglia» comandata dal tenente Elio Piccioni.  (32) [n.d.r.: si intendeva con ogni evidenza citare Renato Morotti, in ogni caso non tenente e neppure comandante, fucilato il 26 aprile 1945 presso il cimitero della Foce a Sanremo: in ogni caso, sia in Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 che nel Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan (Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo), comandante di tale compagnia risulterebbe essere stato Mangano, così come sembrerebbero confermate, direttamente o in absentia, le scarne notizie di cui sopra, afferenti Renato Morotti].
La brigata nera viene munita di un proprio ufficio U.P.I. diretto da un certo P.G. I capi delle squadre d'azione diverranno tristemente famosi; sono gli ufficiali: R. M., E. M., A. D. R., P. G., L. B., V., A. impiccatore (33), i capitani I. D. (condannato a morte alla Liberazione ma poi assolto), F. M. giustiziato,  G. F., E. P. (giustiziato a Diano Marina il 4-10-1944), A. V. (già capitano della milizia) e A. C. (capitan Paella) giustiziati nei giorni della liberazione, ed altri (34). In concorso con le SS tedesche saranno responsabili di quanto è successo di grave a uomini, donne e bambini (35).
L'ordinanza del Duce sull'inquadramento delle brigate nere in funzione militare fa nascere non poche perplessità nei capi, tanto che ad Imperia il comandante della «A. Padoan» Mario Massina scrive in un suo rapporto del 16 luglio 1944:
«Il provvedimento della militarizzazione del partito ha provocato svariati commenti. È impressione generale che le squadre d'azione non saranno in grado di funzionare, sia per la deficienza di armi, sia per la mancanza di capi, sia, infine, perché il partito in provincia di Imperia non ha largo seguito. Ha destato ilarità il fatto che il Commissario federale prenderà il nome di Comandante di Brigata quando ai suoi ordini, in provincia d'Imperia, avrà sì e no una cinquantina di elementi».
In un altro rapporto del Massina del 28-7-1944: «Con l'ordine di costituzione delle brigate nere il fascismo d'Imperia ha chiaramente dimostrato la sua poca buona volontà di combattere. A tutt'oggi nessuna squadra d'azione è stata costituita, anzi, qualche fascista ha presentato le dimissioni e molti altri, pare, intendono fare lo stesso, non escluso qualche dirigente». (36)
L'11 luglio 1944 è costituita ad Alassio la 34a brigata nera «Giovanni Briatore» (Posta da campo n. 831), comandata da Francesco Girlaro, vicecomandante è Luca Dimora. Altri capi della brigata nera saranno: Mario D'Agostino fino al 22-10-1944, Paolo Pano fino al febbraio 1945, e quindi Quinto Aleardi. È composta da una compagnia comando e da tre battaglioni divisi in nove compagnie, a loro volta suddivise in squadre d'azione per un totale di circa 600 uomini. Le compagnie presidiano Alassio, Albenga, Varazze e Vado Ligure.
[NOTE]
(12) Il nuovo prefetto dott. Vincenzo Bellini sostituì l'8-10-1943 il collega dott. Froggio che, a sua volta, l'8-9-1943 aveva sostituito il prefetto dott. Tallarico.
(13) Dopo l'8-9-1943, la sigla M.V.S.N. non venne più usata dalle ricostituite forze armate fasciste.
(14) Vedi articolo nella cronaca d'Imperia del Corriere Mercantile dell'8-10-1943.
(15) Il 626° Comando Provinciale d'Imperia (Posta da campo n. 779), col 627° di Savona, 628° di La Spezia ed il 625° di Genova, dipendevano dall'Ispettorato Regionale Ligure della G.N.R.
(16) Da documento del Comando 33a legione «Generale Gandolfo», emesso ad Imperia il 20-ll-1943, prot. n. 29 segreto, relativo alla ricerca dei membri del Gran Consiglio del Fascismo che nel luglio votarono contro Mussolini.
(17) Tra gli altri, 14 militi della 33a legione caddero ad Imperia, 7 a San Remo, 5 a Bordighera, alcuni a Triora, a San Lorenzo al Mare, a Taggia e a Diano Marina.
(18) Una pattuglia della compagnia O.P. di Imperia il 20-11-1943 uccise nei pressi di Sant'Agata il partigiano Walter Berio, primo caduto della Resistenza Imperiese (vedi primo volume dell'opera di G. Strato).
(19) Vedi: «Storia delle forze armate della Repubblica Sociale» di G. Pisanò, fascicolo n. 81. Edit. F.P.E., Milano 1968. Tra gli altri, 7 militi del 627° Comando Provinciale caddero nella zona di Alassio; una dozzina in quella di Albenga, alcuni in val Merula, località «Cian du Belottu», nel giugno 1944. (vedi volume II dell'opera di C. Rubaudo).
(20) Con la dicitura: «la presente tessera vale come porto d'arme e come autorizzazione di libera circolazione in caso d'emergenza politica o militare per raggiungere le sedi del P.F.R.», riportata sulla tessera degli aderenti al Partito e da lui firmata, il colonnello tedesco Maior permette a questi ultimi di portare le armi.
(21) Raduni per la requisizione di bovini si tennero a Ventimiglia il 5.1-1945, a San Remo il 13-1-1945, a Borgomaro il 16-1.1945, a Pieve di Teco il 27-1-1945, a Diano Marina il 12-1-1945.
(22) Notizia tratta dal giornale «Eco della Riviera» del 10-2-1944.
(23) Da una testimonianza del comandante Nino Siccardi (Curto).
(24) Da circolare prefettizia del 25-3-1944, prot. n. 769/14/7 Gab. Savona.
(25) Da documento redatto dall'ex brigatista nero E.F.
(26) Vedi volume: Riservato a Mussolini, nota del 4-5-1944/P2/0. Edit. Feltrinelli, Milano 1974.
(27) Da testimonianza del brigadiere T. F. della G.N.R., fatta il 10-5-1945.
(28) Una squadra antipartigiana della P.S. era composta dagli agenti: Gi., Di C., An., La., Sa., Fa., Ai., Cu., Pu., An., Fa., Ba., Ge., Ca., quasi tutti meridionali, rimasti tagliati fuori dalla loro terra dopo lo sbarco alleato  in Sicilia. Vedi documento nel capitolo "Azioni nemiche controbanda", settembre 1944.
(29) Guardie di P.S. che fecero parte del plotone antipartigiani:  Gu.,  Ag., Me., Ne., Re., Te., Pu., ecc., anche questi, meridionali, rimasti in Ligurìa a causa degli eventi come a nota (28). Vedi lettera del S.I.M. di zona al servizio S.I.M. del Comando II^ divisione "F. Cascione" del 3-4-1945.
(30) Dal volume «Italia Partigiana» di G. Bocca, Edit. Laterza, Bari, 1967
(31) Da memorie orali di Bruno Luppi (Erven) e del comandante «Vittò». Per maggiori dettagli vedi l'opuscolo "Sangue a Castelvittorio" di Nino Allaria Olivieri, Edit. Sordomuti, Milano, 1997.
(32) Vedi: "Storia delle forze armate della R.S.I. di G. Pisanò", fascicolo n. 98. Edit. F.P.E., Milano, 1969.
(33) Il milite fascista A., in relazione alle dichiarazioni fatte dai suoi commilitoni, aveva impiccato nove partigiani in una volta. Vedi giornale «L'Unità» del 23-7-1946.
(34) Da relazione del responsabile S.I.M. divisionale al Comando operativo di Zona, del 4.4.1945 prot. n. 21/73
(35) S.S. = Schutzstaffel, che significa: Servizi Speciali. La formazione nacque nell'aprile 1925. Il nome fu dato ad una squadra di 8 uomini scelti, tra i più fanatici, destinata alla protezione personale di Hitler.
(36) Vedi a pag. 188 del volume "L'esercito di Salò" di G. Pansa. Edit. Oscar Mondadori, Milano, 1970.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Pigna (IM): Corso De Sonnaz

Nella tarda estate del '44 tornarono in Italia i primi reparti addestrati nel Reich, la divisione di fanteria San Marco e la divisione alpina Monterosa. Entrambe, assieme a tre divisioni tedesche, finirono per formare l'armata Liguria, la quale, raggruppata tra Imperia e La Spezia, aveva il compito di impedire uno sbarco alleato sulla costa nord-occidentale del Paese <1192: in realtà la sua funzione si orientò principalmente alla lotta partigiana, dato che i tedeschi non avevano alcuna intenzione di adoperare truppe italiane al fronte.
[...] Sempre alla prima sezione della Corte di Assise romana toccò giudicare un altro capo provincia della Rsi, dapprima stanziato a Rieti e successivamente, dal giugno del '44, ad Imperia, Ermanno Di Marsciano. Oltre alle accuse di collaborazionismo pesava sull'imputato il coinvolgimento nei rastrellamenti di Monte San Giovanni in Sabina del 7 aprile 1944 e di Leonessa (RI) del 10 marzo 1944. Con la sentenza 121/50 del 21 giugno 1950 il tribunale romano lo condanna all'ergastolo, all'interdizione dai pubblici uffici e al pagamento delle spese legali. La Cassazione, tuttavia, accolse la richiesta di conversione della pena avanzata dall'imputato, affidando l'onere del giudizio alla Corte d'Appello di Roma, la quale, il 12 maggio 1952, convertì l'ergastolo - già precedentemente condonato in 19 anni di reclusione - in 9 anni di reclusione. Di Marsciano, nel giugno del '44, aveva sostituito ad Imperia Francesco Bellini, il quale era stato trasferito a Treviso. Nominato prefetto durante la guerra per meriti politici, Bellini era come tanti suoi colleghi prefetti uno squadrista della prima che prese parte alla marcia su Roma. Fu console generale della Milizia e durante gli anni Trenta ricoprì la carica di segretario federale a Bolzano, Pola e a Gondar, in Etiopia. Fu nominato prefetto nel 1939 e destinato dapprima a Belluno e poi a Gorizia dove, nell'agosto '43, venne collocato a riposo da Badoglio <1374. Per il suo operato durante la Repubblica di Salò venne riconosciuto colpevole per i reati di collaborazionismo e omicidio dalla Corte d'Assise Straordinaria di Treviso e condannato a morte con sentenza emessa il 16 giugno 1945. La Corte di Cassazione di Milano, tuttavia, accolse il ricorso dell'imputato contro la sentenza, annullandone l'esito e rinviandola alla Corte d'Assise Straordinaria di Venezia. Non si conosce l'esito del processo.
[NOTE]
1192 F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, pp. 707-708
1374 M. Stefanori, Gli ebrei e la Repubblica sociale italiana, p. 131
Jacopo Bernardini, "Un confuso fermento di idee": politica, amministrazione e costituzione nell'ultimo fascismo (1943-1946), Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2019-2020
 
Dopo l'8 settembre Marcianò ricostituì il suo battaglione a Vercelli, da cui il 30 marzo 1944 raggiunse Grafenwöhr per aggregarsi alla divisione San Marco. Al momento di partire per la Germania inviò un vibrante messaggio a Mussolini a cui esprimeva «la volontà di combattere e di morire per le rinnovate glorie della Patria», chiedendo che il suo gruppo venisse «lanciato contro il nemico, come i vecchi reparti d'assalto della Grande Guerra». <194 Una volta rientrato in Italia, il reparto di Marcianò, insieme ad un gruppo del 3° reggimento di artiglieria, fu posto sotto il comando della 34ª Infanterie Division, diretta dal generale Theo von Lieb. Il III gruppo esplorante, che poteva disporre di circa 700 uomini, <195 venne inviato nell'area di Imperia, con il compito di ripulire la zona dalle bande partigiane che minacciavano la sicurezza delle retrovie tedesche. Pur non essendo stricto sensu una vera e propria formazione di controbanda, tuttavia gli uomini di Marcianò applicarono brillantemente i principi della controguerriglia. Attacchi notturni con squadre non troppo numerose (venti o trenta uomini al massimo). Spostamenti continui. Incursioni a sorpresa nei paesi frequentati dai partigiani. Anche se non fu risparmiato dalle diserzioni - 79 alla data del 5 settembre 1944 <196 - il III gruppo esplorante dimostrò comunque una coesione disciplinare e uno slancio combattivo nettamente superiori al resto della divisione. A partire dal settembre 1944 gli uomini di Marcianò si installarono nel territorio al confine tra le province di Asti, Cuneo, Savona ed Alessandria [...]
[NOTE]
94 P. Baldrati, San Marco, San Marco..... cit. vol. II, documento 35, p. 744.
195 Ivi, documento 104, allegati 2, 3 e 4, pp. 856-858. Alla data del 5 settembre, il reparto di Marcianò poteva contare su 732 uomini, così ripartiti: 32 ufficiali, 50 sottufficiali e 650 soldati di truppa.
196 Ivi, documento 104, allegato 6, p. 860. Dei 79 militari che risultavano disertori alla data del 5 settembre, quattro erano sottufficiali e 75 soldati di truppa
.
Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021

Pagina 13 del Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) del 19 giugno 1944. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Il 10 corrente, alle ore una, in località Barcheto del comune di Imperia, circa 15 banditi armati prelevarono dalla propria abitazione, mediante violenza, il vice commissario federale del P.F.R. Adalberto Armelio, conducendolo per ignota direzione.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) del 19 giugno 1944, pagina 13. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Cortesia Angelo: nato a Vidor il 4 settembre 1927, squadrista della Brigata Nera “Padoan”
Interrogatorio del 3.7.1945:
[...] Solo nel mese di agosto del 1944 mi arruolai come fecero tutti gli altri che mi istigavano. Rimasi in servizio presso la 32^ Brigata nera “Padoan”, operante nella provincia di Imperia. Durante tale periodo presi parte a svariati rastrellamenti, circa 20, contro i partigiani. I rastrellamenti erano sempre diretti da componenti dell’ufficio politico investigativo dell’ex GNR. Molte volte vi prendevano parte anche truppe tedesche con elementi delle loro SS. Durante tali rastrellamenti da parte della brigata nera, cioè quando vi partecipavo io, non fu mai ucciso nessun partigiano: ne avremo catturati circa una decina che furono sempre consegnati alle SS tedesche. Non so quale fine facessero. In tutto da parte delle formazioni tedesche saranno stati uccisi circa 45 partigiani. Dei predetti parte rimasero uccisi in combattimento e parte furono fucilati sul posto [...] Il comandante della mia brigata si chiama Mario Massina, che nel Regio Esercito ricopriva il grado di caporale ma nella brigata nera era commissario federale. Il Capo di Stato Maggiore si chiama Baralis Edoardo che nel Regio Esercito rivestiva il grado di colonnello. Faceva parte della brigata pure certo Rizzitelli Gino che rivestiva il grado di Maggiore, lo stesso parlava con accento meridionale.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

mercoledì 6 settembre 2023

Il nuovo Comitato era subito riconosciuto dal CLN Regionale Liguria e durerà in carica dal primo febbraio 1944 alla Liberazione, con giurisdizione su tutta la Provincia di Imperia e sul Circondario di Albenga

Imperia: uno scorcio di Porto Maurizio

Il 10 settembre 1943, dopo una prima riunione in Imperia di quadri comunisti, seguita da una seconda, alla quale, oltre ai comunisti parteciparono uomini politici delle altre correnti antifasciste, venne formato un "triangolo militare", composto da Nino Siccardi, Felice Cascione e Carlo Aliprandi, con l'incarico di inviare altri uomini in montagna, aiutare con viveri, armi e munizioni quelli che già vi si trovavano, organizzare militarmente anche gli uomini della città. Contemporaneamente, con militari rimasti sul posto, si sarebbe provveduto ad asportare armi, munizioni e vestiario dalle caserme. Così, prima dell'arrivo dei tedeschi furono ricuperate cinque mitragliatrici, oltre cento fucili, alcune decine di rivoltelle, parecchie migliaia di cartucce, cassette di bombe a mano, coperte, scarponi e così via.
Due giorni dopo, il 12 settembre, i tedeschi giungevano ad Imperia prendendo possesso della città. Il Centro sopraddetto, con i suoi collaboratori, funzionava e teneva i collegamenti con quello di Genova, svolgendo altresì una funzione di raccordo tra la città della Lanterna e i centri minori di Albenga, Alassio, Diano Marina e Sanremo. Il materiale di propaganda proveniente dal Centro di Genova veniva regolarmente diffuso nella zona.
Verso la fine di settembre 1943, Gian Carlo Paietta giunse ad Imperia, inviato dal Centro di Genova per prendere contatto con l'organizzazione comunista locale. Scopo della riunione era quello di lanciare tutta l'organizzazione comunista nella lotta di liberazione, trattandosi, tra l'altro, di una rete politicamente già ben ramificata nella Provincia.
[...] Dopo l'eroica morte di Felice Cascione in montagna (Alto, 27.1.1944), il Comitato decideva di inviare Nino Siccardi (Curto) a prendere il comando delle formazioni partigiane della I Zona Operativa Liguria. Il primo febbraio 1944 il primo CLN Provinciale veniva modificato in quanto, essendo stati individuati dai nazifascisti, i membri Viale e Berio dovettero allontanarsi, mentre Giacomo Castagneto, per disposizione del PCI, si trasferiva a Cuneo a dirigere la Federazione del Partito in quella Provincia, in sostituzione del compagno Barale, caduto durante l'incendio di Boves da parte dei tedeschi. Lasciò infine il CLN Giacomo Amoretti, pur restando nelle file dell'organizzazione della Resistenza a Imperia, per trasferirsi poi nei primi giorni di settembre 1944 a Genova, a far parte del Comando della Delegazione delle Brigate Garibaldi della Liguria.
Il nuovo Comitato era subito riconosciuto dal CLN Regionale Liguria e durerà in carica dal primo febbraio 1944 alla Liberazione, con giurisdizione su tutta la Provincia di Imperia e sul Circondario di Albenga. Questa la formazione del nuovo Comitato: Gaetano Ughes (PCI), presidente; Ernesto Valcado (PSIUP), Carlo Folco (DC), (Ugo Frontero (PSIUP), Carlo Aliprandi (PCI) e Amilcare Ciccione (DC), tutti e tre addetti militari.
Allo scopo di coordinare l'azione militare, che andava oramai assumendo un ruolo di prim'ordine nella lotta di liberazione nazionale, veniva pure costituito alle dirette dipendenze del CLN un centro militare che riprendeva le funzioni del "triangolo militare", creato subito dopo l'armistizio e poi sciolto a fine novembre 1943, quando i suoi più attivi componenti erano stati inviati in montagna per organizzare le formazioni partigiane. Del Centro Militare, strettamente integrato nel gruppo politico del CLN e da questo dipendente, fecero parte, fino alla Liberazione, i tre addetti militari del CLN stesso, Carlo Aliprandi (Il Lungo), Amilcare Ciccione (Milcoz) e Ugo Frontero (Ugo).
Nell'intento di garantire la clandestinità dell'organizzazione e sventare i continui tentativi della polizia nemica di annientarne gli organismi dirigenti, nonché onde evitare inutili dispersioni di energie, venne deciso di accentrare, per quanto possibile, nelle mani del presidente e segretario la gran parte dell'organizzazione politica (stampa e propaganda, organizzazione locale e gli svariati e delicati servizi di collegamento), anche in considerazione del fatto che il presidente era in grado di valersi, nell'espletamento delle sue funzioni, della già esistente organizzazione del PCI e dei suoi principali terminali nella Provincia. Anche gran parte della finanza venne affidata alle cure del segretario, il quale poteva così disporre sia dei fondi che giungevano saltuariamente dal Centro di Genova, sia di quelli raccolti o prelevati nella città di Imperia e nei Centri della Provincia, e quindi provvedere di volta in volta, anche nei casi di emergenza, ai necessari finanziamenti, si trattasse delle forze operanti in città o delle formazioni partigiane in montagna, le cui esigenze si andavano facendo sempre più onerose e complesse con il crescere delle loro file.
I membri del Comitato di Liberazione si riunivano periodicamente, quasi sempre con la presenza di uno o di tutti gli addetti militari. Nei primi mesi del 1944 le riunioni avvenivano una o due volte la settimana, poi, quando i tempi divennero più duri e la situazione si fece pericolosa, in media ogni quindici o venti giorni. Generalmente le riunioni avevano luogo nell'abitazione del segretario. Talvolta, quando si sospettava un pericolo, presso quella dell'avvocato Folco, di Valcado, o di uno degli addetti militari. In alcune occasioni, convegni vennero tenuti in caffè cittadini.
[...] Il segretario, nello svolgimento della sua complessa e difficile attività politica e finanziaria, d'informazione e di collegamento, era affiancato da numerosi organi, generalmente collegiali, alcuni con proprie organizzazioni autonome, di cui egli stesso si serviva. Si deve all'instancabile attività di questi organi ausiliari se la rete cospirativa poté funzionare efficacemente fino alla Liberazione. I primi organismi ausiliari del CLN imperiese, costituiti nella primavera del 1944, furono la squadra politica e finanziaria, ed il gruppo di collegamento e staffette. La costituzione di tali organi coincise con il riconoscimento del CLN di Imperia quale organo di Governo per la Provincia, riconoscimento che il CLN di Genova fece pervenire, su autorizzazione del CLN Alta Italia, nei primi giorni di aprile 1944. La costituzione della squadra politica e finanziaria, e del gruppo collegato a staffette, si rese necessaria
per il continuo accrescersi dei bisogni inerenti alla lotta partigiana in montagna e a quella clandestina nei centri della Provincia.
Infatti con la costituzione definitiva della IX Brigata d'assalto Garibaldi (metà giugno 1944) sulle montagne dell'entroterra, sotto il comando di Nino Siccardi (Curto) ed il commissario Libero Briganti (Giulio), brigata elevata poi il primo luglio successivo a II Divisione d'assalto Garibaldi "Felice Cascione", si rese opportuno un collegamento regolare ed efficiente con la montagna, non solo, ma anche un intensificato invio di danaro, viveri, armi, munizioni, vestiario e medicinali, e l'organizzazione di un vero e proprio servizio d'informazione (SIM), diretto da uomini preparati a questo compito, essenziale per lo sviluppo ulteriore di una lotta fatta principalmente di colpi di mano, sorprese, agguati.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 
 
I C.L.N. locali con l'approssimarsi della fine del 1944 avevano suddiviso il territorio di competenza della I^ Zona Operativa Liguria in tre parti. La "A" comprendeva il territorio da Ventimiglia (IM) a Santo Stefano al Mare (IM), comprese  tutte le vallate. La "B" i paesi tra Imperia e Cervo (IM) e vallate. La "C" riguardava il territorio tra Andora (SV) ed Albenga (SV).
I Comitati di Liberazione Nazionale, benché clandestini e perseguitati, si prefiggevano l'obiettivo di condurre con ogni mezzo la lotta per la liberazione di tutto il territorio occupato, cooperando con le squadre di montagna e supportandole con apporti di tipo economico, logistico e politico-militare.
I C.L.N. locali si facevano, inoltre, carico, della propaganda antifascista, di aiutare le famiglie dei combattenti partigiani e di raccogliere notizie sugli spostamenti delle truppe nazifasciste.
Il C.L.N. di Sanremo (IM), avendo, come sottolineato poco sopra, il proprio raggio d'azione dalla frontiera con la Francia a Santo Stefano al Mare (IM), intrattenne rapporti quasi giornalieri con il comando della II^ Divisione "Felice Cascione". E furono molto stretti anche i rapporti tra il  CLN di Taggia (IM) con il comando del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 18 febbraio 2023

Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eleonora Maini

A maggio 1944 i distaccamenti partigiani dipendenti da Nino Curto Siccardi ammontavano a sei, considerando anche il gruppo di Mirko (Angelo Setti, in seguito vice comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione").
Nel medesimo periodo i tedeschi emanarono un ultimatum diretto ai "ribelli" che agivano in montagna. Un titolo eloquente: "Si tratta dell'ultima occasione". Pervenne ai patrioti sotto forma di volantini lanciati da alcuni aerei.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Nei primi giorni del maggio 1944 esce il bando fascista contraddistinto dalla frase "È L'ULTIMA OCCASIONE", col quale ancora una volta si intima ai militari di presentarsi, e ai partigiani di deporre le armi, pena la morte, fissando il 24 maggio 1945 come termine di scadenza per la presentazione stessa.
Vittò [Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento [Francesco Tento, già sergente maggiore dei reparti repubblichini G.A.F. (Guardia Armata alla Frontiera)] e Marco [Candido Queirolo] fanno affiggere alcuni esemplari del manifesto nei pressi delle baite che servono da alloggiamento, perché tutti i partigianipossano liberamente scegliere se andare o stare.
Nessuno va; anzi, ogni giorno arrivano nuove reclute.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Nella settimana testè decorsa l'attività dei ribelli nel territorio di questa provincia è stata particolarmente intensa.
Il 9 corrente, in ora imprecisata, in località campestre prossima alla frazione S. Lazzaro del Comune di Chiusavecchia, ignoti tagliavano il filo della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni, a scopo di sabotaggio.
In ora imprecisata del 12, ignoti, in territorio del Comune di Mendatica, a scopo di sabotaggio, hanno tagliato i fili della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni.
Nel territorio sovrastante Oneglia si sono pure verificati tagli di fili della rete telefonica militare germanica.
L'autorità militare tedesca ha richiesto degli ostaggi per la vigilanza delle linee telefoniche nelle località ove si sono verificati i suddetti atti di sabotaggio.
Un buon numero di ribelli armati si è portato nel bosco "Bugliena" in frazione di Buggio di proprietà del Comune di Pigna, e nel bosco "Colletta Manaira" in territorio del Comune di Castelvittorio, entrambi in via di utilizzazione.
I ribelli hanno imposto agli operai di sospendere immediatamente i lavori, avvertendoli che qualora si fossero presentati nel bosco sarebbero stati fucilati.
Alcuni operai furono incaricati di diffidare il proprietario a continuare il taglio, minacciando di incendiare i boschi e distruggere la teleferica.
Tale episodio ha prodotto la sospensione dei lavori di taglio e quindi la diminuzione della produzione di legna e carbone per i bisogni della popolazione civile.
Se tali episodi dovessero ripetersi ci si troverebbe nella impossibilità di mantenere la produzione con il ritmo regolare adeguato ai bisogni della provincia.
Tre sconosciuti disarmati, qualificatisi "patrioti", sono entrati nella scuola elementare di Pieve di Teco e hanno asportato due cartelli dell'alfabeto con le parole "bandiera", "fascio" ed il quadretto del martire maltese Carmelo Borgo PISANI.
Pure a Pieve di Teco, cinque così detti "patrioti" asportavano, con la minaccia delle armi, l'apparecchio radio della scuola.
Nella frazione Montegrosso del Comune di Mendatica, alcuni ribelli hanno asportato con violenza la bandiera della scuola, nonostante l'opposizione dell'insegnante.
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
Il 14 corrente, verso le ore 23, in Cervo S. Bartolomeo, quattro ribelli armati di moschetto, pistola, pugale e bombe a mano, si presentavano nell'abitazione del capitano marittimo Calo Attilio di anni 62, assente, e procedevano ad una perquisizione, asportando preziosi, danaro, buoni del tesoro ed oggetti vari, arrecando un danno di lire 100.000 circa.
Il 10 corr. in regione "Colle Manaira" tra "Carmo Langan" e "Palazzo Maggiore" 15 ribelli armati fermavano alcuni boscaiuoli, strappando i documenti che portavano addosso. Di poi si presentavano nell'abitato della frazione di Buggio, prelevando 6 giovani. Tale fatto suscitava vivo allarme in quella popolazione, la quale è costretta a subire la violenza dei ribelli ed a favorirli, in quanto non si sente tutelata dalle forze legali, che o non sono presenti o arrivano sul posto troppo tardi e quando i ribelli hanno abbandonato la zona.
Il 15 corrente, in località "Chiappe" [Chiappa] del Comune di Cervo S.Bartolomeo, otto ribelli armati prelevavano, con violenza, nella propra abitazione, il contadino CASALINI Stefano, fascista, il cui cadavere veniva poi rinvenuto - ucciso con colpi d'arma da fuoco - successivamente in contrada campestre del Comune di Andora (Savona).
Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA Pietro [n.d.r.: Pietro Tento], già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
I capi delle bande di ribelli di questa Provincia, ex tenente colonnello VANNI (ora autopromossosi generale) ed il tenente colonnello di artiglieria CALORETTI, già comandante il gruppo di Molini di Triora, si sarebbero recati nel Cuneense.
E' stato segnalato che una forte banda di ribelli armati ed inquadrati, in uniforme grigio-verde dell'ex-esercito, ha sostato nel territorio di Pornassio, proveniente dal comune di Alba (Cuneo), dirigendosi poi verso la frazione di Nava del comune di Pornassio. Si apprende che tale banda sia stata rifornita di armi e munizioni la notte sul 12 corr. da aerei nemici, e che altre bande di eguale forza, provenienti pure da Alba (Cuneo) si sarebbero dirette contemporaneamente nella zona di "Monte Melogno" del comune di Calizzano (Savona).
Da qualche giorno nella zona sita tra il Colle S.Bartolomeo (comune di Borgomaro) ed il colle di S. Bernardo (comune di Rezzo) viene notata la presenza di più nuclei di ribelli, costituiti ciascuno di 20 uomini circa, i quali, per il momento, si mantengono lontani dagli abitati.
Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdi [Realdo].
Da qualche giorno gruppi di ribelli si sono portati oltre Buggio ed il bosco di "Bugliena", incitando anche i giovani ad arruolarsi tra i partigiani. Risulta che un ex tenente, certo LOLLI [Giuseppe Longo], tiene il collegamento tra le bande suddette con quelle di Nava.
Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente ovunque venga segnalata la presenza di ribelli.
Nella decorsa settimana si è portato in territorio dei comuni di Chiusavecchia e di Borgomaro, prelevando alcuni ostaggi e procedendo al fermo di renitenti.
Continua l'assunzione del personale ausiliario agenti, laddove alcuni ausiliari dimostratisi inidonei, specie per motivi disciplinari, sono stati licenziati.
L'addestramento tecnico e professionale del personale ausiliario procede con ritmo accelerato mediante lezioni giornaliere impartite da Funzionari di polizia.
Fervono tuttora le indagini per la scoperta degli assassini del parroco di Castelvittorio, già segnalato con la precedente relazione.
La situazione economica della provincia è stazionaria.
Circa la situazione del personale Funzionari di polizia si fa presente che è stato testè disposto il trasferimento del Commissario Agg. VERRUSIO Roberto da questa provincia a Vicenza, senza sostituzione.
Data la nota deficienza di personale effettivo in questa Provincia, si prega di voler provvedere, con l'urgenza che il caso richiede, alla sostituzione del Verrusio ad Imperia con altro Funzionario effettivo, facendo presente che alla Questura del Capoluogo prestano attualmente servizio soltanto tre funzionari effettivi, il cui numero è assolutamente insufficiente alle esigenze dei vari servizi di polizia, nelle attuali contingenze, specie se si considera la necessità, non infrequente, di dover inviare in altre località della Provincia funzionari per accertamenti ed inchieste di carattere politico.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1944 - XXII. Documento "MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4" dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

lunedì 19 dicembre 2022

Un comandante partigiano in urto con i suoi sottoposti

Pontedassio (IM): uno scorcio della strada statale 28

Ai primi di gennaio [1945] la Divisione Bonfante contava circa trecentocinquanta uomini compresi i comandi, i servizi, le intendenze.
La I Brigata ["Silvano Belgrano"] dislocata nelle valli di Diano e di Andora comprendeva i tre distaccamenti: A. Viani, G. Garbagnati, F. Agnese.
La II Brigata, operante in Val d'Arroscia Nord e Val Pennavaira aveva ormai solo quattro distaccamenti: F. Airaldi, G. Bortolotti, G. Catter, I. Rainis. Il distaccamento E. Bacigalupo era stato sciolto dopo la morte di Menini ed il suo  nome era stato assunto dalla III Brigata.
La III Brigata: Val d'Arroscia sud e Val Lerrone, comprendeva il G. Maccanò, il Castellari, il De Marchi e il Florenza. Il distaccamento M. Agnese, rimasto al di là della "28" nella Val di Mendatica, era in pratica poco più di una banda locale.
Il 5 gennaio, mentre il Comando divisionale si spostava sempre di banda in banda, anche in Liguria scese la neve.
Da anni non ne veniva tanta. Quando scesi dal fienile vicino a Degna dove avevo dormito, due pioli della scala ne erano coperti. Si sprofondava fino al ginocchio e camminando si lasciava un solco nella massa farinosa. Gli ulivi si piegavano sotto il peso, il cielo era di un bianco latteo. Il freddo che alla fine di dicembre era intenso, si mitigò un poco, poi cominciò a piovere.
Quella mattina il Comando della Bonfante era a Degna, di passaggio. Sostò qualche ora per la contabilità e la corrispondenza, poi si spostò a Casanova presso il S.I.M. Più tardi un gruppo: Osvaldo [Osvaldo Contestabile], Pantera [Luigi Massabò] e Nenno, responsabile S.I.M., partirono per la valle di Diano per ispezionare il Comando di Mancen [Massimo Gismondi] e ristabilire i contatti con gli informatori di Pontedassio. Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] e Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante" dalla costituzione - a dicembre 1944 - della medesima alla Liberazione]  partirono per un'altra direzione.
Il giorno 10 Pantera era di ritorno con Osvaldo dopo aver subìto al Passo del Merlo un mitragliamento da parte di una pattuglia tedesca. Da Degna Pantera si spostò a Vellego.
In quel periodo il comando era instancabile: marciando nella neve, dormendo, mangiando dove e come poteva, riunendosi e suddividendosi cercava di mantenere collegate le bande, di sondare i sentimenti degli uomini, di conoscere i loro bisogni, di controllare l'attività dei nuovi comandi brigata.
Perché l'opera di Giorgio fosse realmente efficace erano necessari dei buoni collaboratori, energici e capaci sia nei vari servizi che nei comandi inferiori. Oltre agli uomini, che forse non mancavano, era necessario lo spirito di collaborazione ed era questo che faceva difetto.
Il Comando passava, vedeva, giudicava ed ordinava. Appena si allontanava la situazione tornava come prima.
I nuovi Comandi brigata, lungi dall'alleggerire l'opera del Comando divisionale, costituivano nuovi problemi da risolvere; furono allora più un ostacolo nel far giungere gli ordini alle bande che un appoggio reale.
A poco a poco Giorgio si accorse di ciò, notò l'atmosfera di sfiducia e di non collaborazione che si formava intorno a lui, come molti, ormai sfiduciati e contrari a qualunque cambiamento, ignorassero praticamente i suoi ordini.
La situazione era delicata; sarebbe stato opportuno in parecchi casi sostituire gli elementi che non rendevano, rinnovare ad esempio i quadri del S.I.M., rifare su altre basi il recapito staffette, cambiare in parte anche i quadri dei comandi brigata. Il problema era duplice: mentre ci volevano motivi chiari e concreti per destituire un comandante, era necessario avere un elemento migliore da mettere al suo posto, un individuo che si sapesse in grado di ricoprire la carica e che godesse la fiducia degli uomini. E se questi uomini fossero anche stati trovati come si poteva esser sicuri della loro futtu-a volontà cli collaborare? Nel movimento partigiano l'energia ed il prestigio dei capi erano di importanza decisiva. Quando un capo godeva della fiducia dei subalterni riusciva difficile destituirlo, ci voleva qualcosa di grosso, di provato.
Mancen e Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi] avevano stima e prestigio presso i loro uomini, Nenno responsabile del S.I.M. aveva cento motivi per giustificarsi se il servizio funzionava poco.
A poco a poco Giorgio si convinse che, senza la collaborazione degli inferiori, la sua opera era vana, che tale collaborazione si poteva ottenere ormai solo cambiando uomini con un gesto d'autorità del comando.
Contemporaneamente i comandi di brigata si convinsero della necessità di sostituire Giorgio.
Come si giunse a questo punto? Le cause furono molte e varie.
Dallo sbandamento di Upega un certo numero di bande si era salvato in Val d'Arroscia: Ramon [Raymond Rosso], Basco e Domatore con i loro uomini erano vissuti praticamente autonomi fino a tutto novembre. Anche prima, al tempo di Piaggia, solo la volontà potente di Simon [Carlo Farini] aveva potuto trattenere concentrate in piccolo spazio molte bande e vedemmo come per tutta l'estate il rafforzamento dell'autorità del Comando della Cascione avesse trovato ostacolo nello spirito di autonomia delle bande. Vedemmo come la stessa Matteotti nella sua breve esistenza si fosse permessa più volte di ignorare, anche in circostanze assai gravi, gli ordini superiori. Da quando erano tornati tutti dal Piemonte i distaccamenti si erano dispersi su una zona vastissima, senza contatti regolari fra loro ed il comando, collegati solo attraverso le intendenze. I capibanda erano tornati così per necessità di cose all'autonomia finanziaria che avevano avuto nella primavera, operando anche requisizioni necessarie, ma che da lungo tempo erano ormai prerogativa dei comandi superiori e delle intendenze e che dovevano tornare tali.
Il Comando era diventato segreto, il S.I.M. funzionava poco, gli ordini per la campagna invernale erano parsi confusi. Lentamente i capibanda si erano convinti che al Comando non sapessero che decisioni prendere e che pertanto dovevano arrangiarsi da soli come avevano fatto già tante altre volte. Quando era nata la Divisione Bonfante, nominando Mancen e Fra' Diavolo comandanti di Brigata, si era cercato di scegliere gli uomini migliori, quelli che erano più amati ed apprezzati dai garibaldini. L'autorità dei nuovi eletti era duplice, derivava dal comando divisionale e dagli uomini. Era quindi facile che, sopravvalutando l'ascendente che avevano sugli uomini, i comandi Brigata si sentissero autonomi, pensassero in molti casi di poter ignorare le disposizioni superiori se non le ritenevano utili.
Avrebbe potuto Giorgio far nominare altri uomini invece che Mancen e Fra' Diavolo? Uomini meno noti ed apprezzati, che derivassero la loro autorità solo dal Comando divisionale e che fossero quindi meno indipendenti? Teoricamente sì, la scelta era però difficile ed egualmente pericolosa, perché comandanti di Brigata poco apprezzati dagli inferiori potevano non essere a loro volta obbediti dai capibanda ed era poi pericoloso circondarsi di elementi di secondo piano in un momento tanto grave. D'altra parte non era possibile allora prevedere quanto sarebbe accaduto. Vi fu poi il caso di Ivan [Giacomo Sibilla], comandante della II Brigata. Egli proveniva dalla Cascione e quindi derivava la sua autorità esclusivamente dal Comando superiore: ebbene la sua collaborazione non fu affatto superiore a quella degli altri due comandanti di Brigata.
L'atteggiamento dei comandanti di Brigata fu dovuto, oltre che alle circostanze che favorivano l'autonomia, alla figura morale del nuovo comandante.
Probabilmente se al Comando di Divisione ci fosse stato il Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] o Cion [Silvio Bonfante] non saremmo arrivati ad un urto. Anche Cion e Curto furono disobbediti nel passato, ma sempre con discrezione ed in circostanze un po' eccezionali. Nessuno mai pensò apertamente che dovessero venir sostituiti.
Cion e Curto avevano creato loro la Cascione e la I Brigata, avevano portato gli uomini al combattimento innumerevoli volte e di loro si raccontavano cento episodi audaci e fortunati che tanta presa avevano sul nostro spirito avventuroso. Di Curto si raccontava che una volta si fosse avvicinato ad una sentinella tedesca con una sigaretta spenta in bocca e le avesse chiesto a gesti del fuoco. Quando il tedesco aveva messo le mani in tasca per prendere i fiammiferi, Curto gli aveva tolto l'elmetto e lo aveva stordito con una martellata. Un'altra volta Curto aveva trovato un partigiano e si era fatto da lui accompagnare ad attaccare una caserma di Brigate Nere. Avvicinandosi con noncuranza alla sentinella, Curto gli aveva piazzato d'improvviso una pistola alla schiena immobilizzandola. Il compagno era entrato in caserma, aveva preso tutti i mitra e le altre armi che erano su una rastrelliera, poi si erano allontanati portando seco il bottino e la sentinella prigioniera. Naturalmente nessuno controllava se queste storie erano vere, circolavano per tali e a tutti piaceva crederle; esse si adattavano perfettamente alla figura sobria e quasi ascetica di Curto che nessuno aveva mai visto non solo spaventato, ma nemmeno emozionato.
Cion era stato diverso, meno portato all'azione isolata, era stato il capobanda per eccellenza, romantico ed impulsivo, sapeva restar freddo davanti al pericolo conducendo i suoi uomini alle imprese più rischiose. Aveva organizzato le nuove reclute di primavera, le aveva addestrate ad una scuola di ardimento indimenticabile, tre delle bande migliori e gran parte dell'armamento della I Brigata erano stati opera sua.
Se queste doti fossero necessarie e utili per esser un buon comandante di divisione o di brigata, per organizzare e manovrare in combattimento od in ritirata molti uomini non è facile dire. Si potrebbe rilevare che Cion tendeva a ritenere che tutte le bande avessero la combattività della Volante; che spesso rinunciò alla superiorità numerica quando avrebbe potuto facilmente averla, che la difesa di Garessio in luglio e l'attacco di Cesio in ottobre guidati da lui non ebbero successo forse per tali mancanze. Si potrebbe anche dire di Curto che il suo coraggio qualche volta si mutava in mancanza di percezione del pericolo, che se prima di fermare il Comando ad Upega avesse avuto un po' di paura non sarebbe stato male. Ma tutto questo a noi pareva solo imperfezione trascurabile in personalità che erano dei capi indiscussi, che consideravamo degli autentici trascinatori.
Giorgio era di un'altra pasta. Era comparso in luglio come vicecomandante della I Brigata e da allora era vissuto un po' nell'ombra del Cion occupando successivamente le cariche da lui lasciate nell'ascesa. Era andato anche lui in combattimento, aveva partecipato alla cattura dei San Marco, aveva al suo attivo lo scontro di Degna ed il combattimento di Vessalico e nessuno poteva dire di averlo visto timoroso sotto il fuoco o di fronte al nemico. Le sue gesta però non avevano fatto rumore, non avevano il carattere eroico, romantico, partigiano della battaglia del Ceresa del 19 di giugno, di Pievetta in luglio, di Monte Grande in settembre, cui era legata per sempre la fama di Cion e di Mancen.
Dal bosco di Rezzo in settembre fino a Fontane, Giorgio era stato al comando della I Brigata, ma il Comando di divisione troppo vicino aveva continuamente limitato la sua libertà di azione non permettendo di valutare quante e quali delle decisioni prese in quel periodo furono realmente opera sua; avvertivano in lui il giovane di un'altra classe sociale. Gli uomini lo rispettavano, lo stimavano, ma avevano per lui della simpatia, non la venerazione che era stata tributata ad altri capi partigiani. Il suo stesso nome: Giorgio, mancava del carattere romantico o grottesco che eccitava la nostra fantasia in quei tempi, e spesso gli stati d'animo si basavano sull'imponderabile.
Probabilmente Giorgio era l'elemento più adatto per guidare la Bonfante nel periodo invernale, per interpretare esattamente le disposizioni del Comando zona, per creare un minimo di organizzazione. Aveva le idee chiare, la disciplina, la volontà per riuscirvi. Era attivo ed instancabile. Erano tutte qualità positive che, dato l'ambiente, diventarono negative poiché fecero sentire il peso della sua autorità su chi non non era più abituato a sottostarvi. Un mediocre, che si fosse accontentato di una autorità nominale, sarebbe stato tollerato, Giorgio non lo fu: i comandanti di brigata si decisero ad agire contro di lui e chiesero al Comando zona la sua destituzione.
Tutto ciò andò maturando lentamente nella prima metà di gennaio fino al giorno 20; in questo periodo Giorgio e Boris cercarono instancabilmente di superare la resistenza interna e la minaccia esterna che si facevano sempre più gravi e vollero conquistare con ogni mezzo l'animo degli uomini e dei capibanda per poter applicare le direttive del Comando zona anche scavalcando i comandi brigata. Se fossero riusciti nel loro compito avrebbero potuto chiedere la destituzione dei comandanti di brigata sapendo di poter contare sui capibanda.
Pantera ed Osvaldo cercavano di riorganizzare i servizi mantenendosi estranei al dramma. Ambedue furono nel complesso neutrali.
Il loro contegno fu prezioso perché mantenne un ambiente sereno, evitò che la situazione precipitasse, mantenne la possibilità di una soluzione di riserva.
Chi appoggiò Giorgio fu Boris. Studente e borghese anche lui. Gli fu compagno nelle peregrinazioni e lo aiutò con la sua conoscenza degli uomini e dell'ambiente.
Mentre alla Bonfante perdurava questo stato di fatto al di là della "28" iniziava terribile il dramma della Cascione.
Ai primi di gennaio Mario, già commissario della I Brigata col Cion, era rimasto gravemente ferito alla testa e, privo di conoscenza, si disperava di salvarlo. Senza il grave incidente Mario sarebbe stato commissario della Bonfante e la sua opera ci sarebbe stata preziosa.
Poco dopo altre notizie ben più gravi: il nemico ha attaccato la Cascione.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a "Simon" [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona]: Relazione sulla visita del comandante Curto alla Divisione "Silvio Bonfante"
3 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Zona Liguria a "Simon": Si comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria: Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo”: Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
4 gennaio 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione ed comando della Divisione "Silvio Bonfante": Il massimo di spesa giornaliera per le missioni era fissato in 100 lire. Tutti gli oggetti di valore requisiti dovevano pervenire al Comando di Zona con apposita documentazione.
5 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvio Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 2 garibaldini del Distaccamento “Angelo Viani” avevano ucciso un sergente degli arditi di San Marco che, arrestato, aveva tentato la fuga.
5 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 88, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Si segnalava che "sono state occultate delle armi nei pressi di Nasino (SV). Materiale bellico frutto di un lancio inglese fatto al capitano "Cosa": pare si tratti di 130 casse. Sono stati inoltre occultati a Fontane un pezzo anticarro da 75 mm ed una "Topolino"".
5 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 92, ai comandi delle Brigate dipendenti - Si trasmetteva l'ordine ricevuto dal comando della I^ Zona Operativa Liguria circa la necessità di comunicare tempestivamente qualsiasi azione intrapresa contro il nemico.
6 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento di Pancho al comando della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" [comandata da Massimo Gismondi] della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che c'era stato un rastrellamento nemico al Passo della Verna ai danni del Distaccamento "Luigi Novella" del I° Battaglione "Carlo Montagna" della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione": erano stati, tuttavia, catturati 2 tedeschi (o austriaci).
6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante"[comandante "Giorgio" Giorgio Olivero] a tutti i reparti - Si comunicava che il comandante "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione] era autorizzato a prelevare somme presso il C.L.N. ed i privati.
8 gennaio 1945 - Dal S.I.M. della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ed ai Distaccamenti di Fra Diavolo - Informazioni militari. Sul transito in Caramagna [Frazione di Imperia] di 2 camion con 40 tedeschi a bordo: 3 delatori (Musso, Ozenda ed un terzo di cui era solo indicata la descrizione fisica) avevano indicato la strada per Vasia (IM). Da Ceva (CN) erano giunti 60 fascisti a Porto Maurizio [Imperia]. Ad Albenga (SV) erano arrivati molti tedeschi: era probabile un rastrellamento nella zona ingauna.
8 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Il comando rispondeva negativamente alla richiesta di armi automatiche a causa della scarsità delle medesime e rimarcava che Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi] risultava irreperibile.
9 gennaio 1945 - Dalla Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 97, al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Veniva comunicata la situazione delle Brigate dipendenti dalla Divisione: nella I^ Brigata, "Silvano Belgrano", "Mancen" [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata] aveva dei problemi; nella II^, "Nino Berio", "Ivan" [Giacomo Sibilla] e "Gigi" [Giuseppe Alberti, commissario] non erano molto idonei agli incarichi; nelle altre, "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] e "Giorgio" assolvevano in modo adeguato i loro incarichi.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 11 agosto 2022

I comandanti partigiani Giorgio e Boris tornarono confermati nei loro incarichi

Il Castello di Alto (CN). Fonte: Riviera dei Fiori TV

Ero a Pairola [n.d.r.: Frazione di San Bartolomeo al Mare (IM)] per Natale [n.d.r.: del 1944], quando era giunta la notizia della controffensiva tedesca sul fronte belga. Le notizie come al solito erano state ingrandite, si diceva cbe i tedeschi avessero sfondato e puntassero sul mare e su Parigi che avanzassero anche sul nostro fronte ed avessero ripreso Nizza, che avessero impiegato nuove armi misteriose e decisive.
«Che farai, figlio? - mi chiese mia madre portandomi queste belle notizie - se i tedeschi vinceranno ci sarà sicuro qualche amnistia e tu potrai tornare a casa». Sentii un brivido interno. In tanti mesi non avevo mai considerato l'ipotesi di una  vittoria tedesca.
«Vedremo - risposi - non è ancora detto che vincano. Una sola cosa posso dirti fin d'ora, se dovessero vincere: a casa non ci torno, mai più. Cercheremo di sconfinare in Francia, piomberemo su Oneglia e ci impadroniremo di qualche nave per andare in Corsica, ma la resa mia e dei miei compagni non l'avranno mai». Sentivo che se non proprio tutti, la maggioranza l'avrebbe pensata come me.
Il nostro morale malgrado tutto era ancora abbastanza saldo per non considerare la possibilità di una resa. Certo, senza il bando emesso nelle vallate, molti partigiani sarebbero tornati alla vita civile, si sarebbero confusi con i giovani che lavoravano nei paesi, ma finito il pericolo, forse dopo soli pochi giorni, sarebbero riaccorsi nelle bande. Il nemico ci aveva tolto anche questa possibilità, contribuendo a mantenerci uniti, armati e vigilanti.
Il nemico fu sorpreso di non scontrarsi con uno schieramento difensivo, di non subire un contrattacco organizzato: i Cacciatori degli Appennini erano un corpo specializzato in rastrellamenti: era la prima volta, dicevano, che i  partigiani non reagivano. Un nostro contrattacco fu temuto a lungo, ciò impedì al nemico di aumentare il numero dei presidi a scapito della loro forza numerica, di operare in colonne più numerose, ma meno forti, di disperdere sentinelle e pattuglie a tutti gli incroci, sui passi, nei passaggi obbligati, occultandole e tendendoci agguati.
Il nemico comprese che i colpi che ci aveva inflitto avevano eliminato due o al massimo tre squadre e che tutte le altre nostre bande erano intatte ed inafferrabili. Non comprese la nostra tragica debolezza, la mancanza di capi, di armi e di collegamenti.
Certo che se avessimo usato di tutte le nostre forze, se tutte le bande, le squadre ed i partigiani isolati avessero sempre agito con freddezza e coraggio come i quattro di Cappella Soprana ed avessimo attaccato il nemico ad ogni occasione, avremmo potuto infliggergli duri colpi se avesse commesso l'imprudenza di lasciare nuclei esigui ed isolati. Ciò lo indusse alla prudenza e contribuì alla nostra salvezza.
Il nemico volle attaccarci contemporaneamente alla Cascione per impedire uno spostamento, un appoggio reciproco che in pratica non sarebbero stati possibili: ciò ridusse gli effettivi impiegati.
Questo il giudizio che è possibile dare del rastrellamento di gennaio, atteso da molti mesi come il colpo di grazia della Bonfante.   
In conclusione le nostre possibilità di resistenza avevano superato le previsioni.
Terminato il rastrellamento, il Comando cercò di prendere in mano la Divisione. Giorgio [Giorgio Olivero] e Boris [Gustavo Berio] tornarono dal territorio della Cascione confermati nei loro incarichi. In base a quali elementi il Comando Zona abbia operato la sua scelta non saprei dire. E' probabile che abbia tenuto conto che le difficoltà erano sorte in massima parte proprio per la decisione di Giorgio di rendere operanti le circolari e le disposizioni del Comando Zona; sostituirlo avrebbe minato per sempre l'autorità dei comandi superiori. Giorgio, Boris e Pantera [Luigi Massabò] si unirono al S.I.M. nella sede di Poggiobottaro che d'ora in avanti sarà la nuova base clandestina del Comando della Bonfante. Osvaldo [Osvaldo Contestabile], ancora malato, venne ricoverato a Meneso presso privati e sostituito da Mario [Carlo De Lucis] che, appena rimessosi dalla caduta, raggiungerà la nuova sede: l'opera dell'antico commissario del Cion [Silvio Bonfante] ci sarà preziosa.
Era necessario anzitutto formare i nuovi quadri dei comandi brigata, perché Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi] ed Ivan [n.d.r.: Giacomo Sibilla, già comandante di una delle prime bande partigiane dell'imperiese, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile] erano dimissionari da prima del rastrellamento.
Sarebbe stato però forse necessario allontanarli materialmente dalle bande dove le loro dimissioni erano considerate una pura formalità. Giorgio decise di operare direttamente e da solo per consolidare il prestigio del Comando divisionale. Andò in Val Pennavaira, ad Alto dove Fra' Diavolo ed Ivan avevano occupato il castello del conte Cepollini con una cinquantina di partigiani. Giorgio prese contatto con Turbine che lo informò degli ultimi dettagli della situazione e si incaricò di far venire in paese il [Distaccamento] Catter che da Diano era tornato alla propria base in Val Pennavaira.
Un'azione di autorità era opportuna, un'azione di forza no. Giorgio lasciò la propria pistola automatica a Turbine ed entrò nel castello solo e disarmato. Psicologicamente era superiore ai suoi avversari e lo sapeva.
Presentandosi armato avrebbe potuto provocare una reazione istintiva che avrebbe potuto avere conseguenze incalcolabili per lui e per tutto il movimento, perché un suo assassinio non sarebbe potuto restare impunito. Andando disarmato dimostrava la propria sicurezza, coraggio ed autorità ed evitava gesti inconsulti.
Trovò i partigiani, quasi tutti ex S. Marco, che seduti ascoltavano le parole di Fra' Diavolo. All'entrata di Giorgio regnò di colpo il silenzio. Giorgio ordinò: «In piedi!». Fu ubbidito. Ingiunse a Fra' Diavolo ed a Ivan di uscire e di  andare al Comando Zona a giustificarsi dal Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Non vi fu reazione alcuna. Gino [Giovanni Fossati] e Domatore [Domenico Trincheri] vennero chiamati a comandare rispettivamente la II e la III  Brigata e stenteranno a lungo ad imporsi alle bande, senza mai raggiungere l'ascendente e l'autorità necessari per operazioni in grande stile.
Ivan scomparve, Fra' Diavolo fu mandato in Val Tanaro con una nuova banda.
Le nomine di Gino alla II e di Domatore alla III erano avvenute all'insaputa di Ramon [Raymond Rosso]. Domatore dopo qualche tempo verrà sostituito da Fernandel [Mario Gennari].
Vi fu in Giorgio il timore che Fra' Diavolo passasse ai badogliani come era avvenuto in autunno con Pelassa [altrimenti detto Arturo Pelazza] e King Kong [Secondo Bottero], ma Fra' Diavolo era di altra pasta. Era comunista e la sua lealtà verso il Curto era indubbia. Non era uomo da portare rancore e quando vedrà che Giorgio dimostrerà buone doti di comandante di divisione, collaborerà lealmente anche con lui. Quanto alla capacità di Fra' Diavolo di esser qualcosa di più che un capobanda la dimostrerà in marzo ed  aprile, creando con i partigiani che accorreranno sotto di lui la IV Brigata «Arnera Domenico». La cosa era particolarmente difficile operando in Val Tanaro a contatto con un comandante come Martinengo [n.d.r.: appartenente agli autonomi comandati da Enrico Martini, Mauri] di indubbio prestigio.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp.166-169

Ancora nella mattinata del 20 gennaio 1945 una colonna tedesca, guidata dalla spia Boll, tentava nuovamente di catturare Ramon, Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", già gravato dalla cattura di tutta la famiglia.
I Distaccamenti "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio", "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata, e "Giuseppe Catter" della III^ Brigata, tutte della Divisione "Silvio Bonfante", riuscivano a sganciarsi senza perdite dalla zona di Ranzo (IM), Nasino (SV), Alto CN), Aquila.
Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò.
Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.
Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il Castello di Alto (CN). Fonte: Riviera dei Fiori TV

Ma quello che mi indisponeva veramente erano i morti di Degolla e Bosco. Ancora oggi si cerca di darmi la responsabilità per quei morti. Glorio Gino (Magnesia) nel suo secondo volume "Alpi Marittime" riferisce che io mi difesi per quanto successo adducendo l'attenuante che gli uomini erano privi di scarpe. Ciò è completamente infondato: i Distaccamenti che eseguirono gli ordini del Comando Brigata ebbero un ferito nello scontro a fuoco a Ubaga (il povero Redaval, poi catturato e fucilato a Borghetto d'Arroscia), mentre le squadre di Bosco e Degolla, che contrariamete agli ordini si erano sistemati nei paesi, furono sorpresi nel sonno.
Avevo informato il Comando Divisione che il comandante dei partigiani di stanza a Degolla e Bosco non pernottava con gli uomini, e che questi, contrariamente alle mie disposizioni, dormivano e vivevano nei paesi. Avevo chiesto l'autorizzazione a prendere provvedimenti che mi sarebbero sembrati necessari, ma mi venne risposto che il Comando Divisione avrebbe provveduto da sé a fare rispettare gli ordini del Comando Brigata.
Poco dopo incontrai Giorgio e Boris davanti al castello di Alto (e non certamente dentro il castello come dice Gino Glorio). Alla presentazione da parte del Comandante divisionale del nuovo commissario "Boris", risposi che non lo riconoscevo come tale e per questo davo le dimissioni da Comandante di Brigata. Il Commissario mi chiese di consegnargli le armi, ma io risposi come avrebbe fatto qualunque altro partigiano nella mia situazione: no. Con Lello [Raffaele Nante, che di lì a breve sarebbe diventato il Commissario della nuova Brigata "Val Tanaro", comandata da Giuseppe Garibaldi, Fra Diavolo], Firenze [Marino Mancini] e pochi altri rimasi ad Alto.
[...] Il Vice Commissario di Brigata Calzolari e il vicecomandante avevano seguito il Comando Divisione. Ma eravamo sempre troppi, così si allontanò anche Pantera (Luigi Massabò): prima di lasciare il paese venne a salutarmi e, stringendomi la mano, mi fece i migliori auguri.
[...] Il giorno seguente, alla sera, arrivò ad Alto Viveri, un rappresentante del Comitato di Liberazione di Albenga che gà conoscevo e stimavo. Si informò di ogni cosa e mi raccomandò di non prendere decisioni affrettate. Non capii cosa avesse inteso dirmi, fino a quando non giunsero altri esponenti del CLN di Albenga e a tutti raccontai quanto accaduto.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 164-166

Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
La faccenda dei nomi di battaglia è un po' lunga da spiegarsi, se uno la vuole capire bene come succedeva a quei tempi.
Un nome di battaglia o ce l'aveva di nascita o se lo guadagnava di prepotenza o se lo teneva quando glielo davano, ma non se lo poteva inventare all'atto pratico.
Così Giorgio [Giorgio Olivero], quando arrivò in banda dalla città, che nessuno lo conosceva e in montagna non l'avevano ancora visto, continuò a chiamarsi Giorgio come prima, niente da fare.
Lui parlava sempre in italiano perchè il dialetto non lo sapeva; e con quel modo di fare che aveva, si capiva bene che non era come gli altri; eppoi, avendo già fatto l'ufficiale prima dell'armistizio, con tutte quelle menate che gli avevano insegnato, di confidenza ne dava poca.
Epperò, lì dov'era capitato, non gli restituivano manco quella essendo che avevano soltanto l'istruzione elementare; ma i partigiani perdio sì che lo sapevano fare, altro che dargli il nome di battaglia.
Il fatto sta che gli uomini della Volante dove lo avevano mandato, subito non ci fecero caso; ma alla sera, quando si misero sdraiati, lo sentirono parlare mentre anche lui frugava nella paglia per dormire, e così capirono com'era. Allora il Mancen cominciò a guardargli ben bene gli scarponi, come fa uno che se li vuole misurare se gli vanno giusti per tenerseli, e non gli disse niente.
Cosicchè anche gli altri della banda, gli guardarono sul serio scarponi giubbotto nuovo braghe di panno maglia di lana, e tutto il resto che aveva e gli serviva.
Guardandogli ste cose, tenevano la lingua di fuori, quasi per provare a mettersele, e sentirsele come gli stavano.
Dalle parti di Garessio dov'erano in quei giorni, dovevano guardarsi specialmente dalle spie che ce n'era dappertutto; dovevano guardarsi bene in giro, essendo posti nuovi che non conoscevano ancora; eppertanto adesso questo qui chissà, parlando bene educato, cominciò a vedersela brutta per le occhiate che gli davano di riffa o di raffa; lo guardavano male, quando magari andavano in giro di qua o di là; e c'era sempre uno che se lo sentiva dietro le spalle.
Cosicchè e dai e dai, Giorgio cominciò a capire che prima o poi, al momento giusto si capisce fuori mano, ti vedo e non ti vedo, bona né, non se ne parla più.
Essendo a quel modo smandrappati, dopo tutti quei rastrellamenti con tutto il bisogno di vestiario che avevano, ti lascio dire com'era in quei posti, doversene andare all'avventura senza mai sapere dov'erano i nazifascisti; siccome, poi gli toccava ancora di andarsene a ramengo per chissà quanto tempo in quei posti del vaccamondo, ti lascio dire se non poteva capitare per fare più presto, che chi t'ha visto t'ha visto bona né.
Andando ancora avanti, Giorgio si accorse sempre di più delle occhiate storte che si davano, bisbigliando tra loro che lui non sentisse, sempre così.
A un certo punto, si accorse che la faccenda si metteva male; ma proprio tanto male da sembrargli impossibile seguitare a quel modo, facendo finta di niente.
Allora Giorgio con la scusa di un bisogno urgente che aveva, scantonò un poco tra il lusco e il brusco oltre la cunetta tra gli alberi; fuori tiro, si mise a camminare di corsa sempre bene al coperto, finchè arrivò al comando con l'affanno. Lì col nervoso e il mal di milza che aveva, si mise fermo sull'attenti a spiegargli com'era capitato all'improvviso con tutta quella fretta; come qualmente cioè, nonostante la diffidenza, anche sembrando troppo militare regio esercito, lui aveva tutte le carte in regola lo stesso e verificassero pure, va bene?
Ma bisognava dirglielo subito a quelli del Mancen, che anche con la diffidenza, lui non era disponibile a fare la fine a quel modo; voglio dire a quel modo sbrigativo, come aveva sentito dire in banda - uno in più uno in meno, porca la miseria non si può mica rischiare?
Dunque glielo dicessero subito al Mancen, che soltanto perchè parlava italiano con un bel paio di scarponi nuovi e un po' di panno buono addosso, non glielo doveva dire di andare al comando e chi s'è visto s'è visto, bona né.
Adesso invece lui, si sentiva sul serio un ribelle, anche parlando l'italiano; e piuttosto cercava di imparare il dialetto, mettendocela tutta per impararlo in fretta senza sbagliarsi.
- Ma brutto mondo ladro - diceva, - rimetterci la ghirba da gabibbo proprio in questo modo, assolutamente no.
Successe poi che, andando avanti col tempo e l'istruzione che aveva con un po' di pratica militare; hai voglia dire che sono tutte balle i gradi per fare i gagà, ma serve sempre, anche se uno nella naia c'è stato soltanto di complemento; e così Giorgio dopo un po', diventò il comandante dei garibaldini.
I galloni però, non se li mise subito, perchè era proibito e poi perchè bisognava fare diverso dai badogliani.
Ma venne il tempo sissignori, che gli ordini alla fine li diede lui eccome, anche al Mancen, che pure era diventato un partigiano famoso, niente da dire; li diede anche agli altri comandanti tutti in regola con i nomi di battaglia e senza, girando come un padreterno per i distaccamenti, con la sua roba buona addosso.
Girava sempre con un mascinpistole nuovo, di quelli perfezionati ultimo modello, che se l'era guadagnato proprio alla maniera giusta; e cioè se l'era andato a prendere dov'era, ed era tornato con un mucchio di sammarchini armi e bagagli munizioni muli bardature e soldi delle paghe, tutto compreso.
Dunque perdio il mascinpistole adesso gli toccava punto e basta, va bene? Gli toccava perchè lui sì che ormai il partigiano lo faceva eccome, anche senza il nome di battaglia; inutile guardarlo ancora di traverso da strafottenti, come per dire che lì c'era da fare i gagà; e poi lui in più sapeva leggere le carte militari al venticinquemila, come Pantera capo di stato maggiore. Ma gli altri, anche famosi col nome di battaglia, com'erano tutti smandrappati analfabeti o quasi, no.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 72-76