mercoledì 22 ottobre 2025

Con gli abiti a brandelli, i fascisti passano per le vie di Triora

Triora (IM). Foto: Alessandro Spataro

Lo stesso giorno 12 [febbraio 1945], verso le ore 10, una cinquantina di fascisti salgono da Molini di Triora verso il Monte Pellegrino per poi scendere a Bregalla. E' il momento della riscossa: due Distaccamenti del I Battaglione (V Brigata), raggiungono il Pellegrino prima del nemico che, per sfuggire al tiro dei mitragliatori partigiani, è costretto a scendere in un vallone adiacente a Bregalla. Dalla località Goletta il Distaccamento comandato da Vittorio Curlo (Leo), apre il fuoco con il mortaio da 81. Sotto il tiro delle bombe il nemico si disperde. Nuovi rinforzi cercano di raggiungere i fascisti che intanto erano stati accerchiati. Ma anche questi uomini, che avrebbero dovuto soccorrere i primi, ritornano sui loro passi in precipitosa fuga, sotto le bombe. Soltanto durante la notte il nemico riuscirà a liberarsi dalla stretta. Affranti ed umiliati, con gli abiti a brandelli, i fascisti passano per le vie di Triora  additati a scherno da parte della popolazione. A causa della sua fuga il nemico lascia sul terreno una mitraglia pesante, bombe a mano e diversi caricatori. Pare che sette fascisti non siano rientrati alla base di partenza (19). 
Un fascista del presidio di Molini di Triora, mentre sta rubando galline in un pollaio, viene ucciso da una pattuglia partigiana (20).
[NOTE]
(19) - ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 30, da relazione del comandante Armando Izzo (Doria) - Archivio, Sezione III, cartella 9, da una relazione di Vittorio Curlo: "Ero alla Goletta con Vitò e vi rimasi fino alla metà di febbraio. Il giorno 12 febbraio avvenne il fatto che, pur non cambiando il rapporto delle forze, ci risollevò il morale e ci fece intravvedere la fine delle sofferenze. A Molini di Triora era di stanza una Compagnia di Cacciatori degli Appennini (fascisti), comandata dal famigerato capitano Cristin. Erano convinti, credo, che fossimo tutti dispersi, avevano arruolato di forza, piu che altro per tenerli d'occhio, tutti i giovani della zona, e facevano duramente pesare l'occupazione sulle popolazioni con angherie, sopraffazioni e razzie, tipico loro modo di comportarsi quando si ritenevano i più forti. Effettivamente il loro modo di comportarsi con le popolazioni locali era pessimo e spesso mi sono chiesto le ragioni di ciò: forse il loro credo politico che li portava a disprezzare le opinioni e gli interessi della povera gente. Il loro carattere mercenario, la scarsa disciplina, il presentimento della fine prossima, la chiara senzazione dell'inimicizia che li circondava, era un generale comportamento che nuoceva loro e favoriva noi. Ci venne riferito che sarebbero venuti a Bregalla per razziare e far festa a spese di quei poveri contadini. Vennero effettivamente il mattino del 12 febbraio 1945, credo attraverso Triora, monte Trono, Gorda, scendendo poi verso Bregalla. Se li trovò di fronte, all'improvviso, il Distaccamento comandato da "Sergio", che si trovava in regione Castagna, in funzione protettiva nei confronti dell'ospedale da campo governato dallo studente in medicina Leo Anfosso (Pavia). La sorpresa fu reciproca, ed incominciò la sparatoria. Loro si ritirarono sulla cresta vicino a Gorda, e di là sparavano con i mitragliatori contro i nostri in regione Castagna, senza risparmiare munizioni. Il nostro Distaccamento rispondeva con brevi raffiche e colpi isolati. Per qualche ora la situazione non cambiò. Come dissi, con Vitò mi trovavo alla Goletta, sopra le rocche di Loreto; tirammo fuori ii mortaio da 81 dal ricovero e sparammo qualche colpo sulla cresta di Gorda: i nemici si dispersero quasi subito. Dopo qualche minuto, sul sentiero che da Triora passa sopra Loreto e giunge a Bregalla, scorgemmo una lunga colonna di rinforzi, il resto della Compagnia, indubbiamente chiamata con radio da campo. Attendemmo di averli di fronte e poi sparammo anche a loro; si arrestarono per qualche secondo quando udirono il colpo di partenza, poi continuarono ad avanzare, certo persuasi che il colpo non fosse diretto a loro e mancarono così l'appuntamento con la bomba che, dopo un viaggio di mezzo minuto, esplose una ventina di metri innanzi; non ebbero quindi dei danni, forse qualche ferito leggero, ma bastarono il fumo e la polvere dell'esplosione per farli tornare sui loro passi di corsa. Li accompagnammo con gli ultimi due o tre colpi fino a Triora; correvano molto rapidamente, ma ad ogni colpo in arrivo acceleravano ancora di più la loro corsa; in fondo uno spettacolo abbastanza penoso, che dimostrava, oltre al resto, la loro scarsa convinzione politica. L'azione non produsse gran danno al nemico, forse qualche ferito leggero, più che altro di schegge e per cadute nella corsa disperata per salvarsi. Le conseguenze psicologiche furono invece enormi, rovesciarono addirittura il rapporto in modo a noi favorevole, tanto che, la notte successiva, una nostra pattuglia con divise tedesche andò a Molini di Triora e prelevò le loro sentinelle sulla porta della caserma, senza che nessuno di loro reagisse efficacemente. L'azione venne compiuta, tra gli altri, da Riccardo Vitali (Cardù), Pierluigi Daniele (Tritolo), e "Minturno". Gli altri loro presidi erano in allarme, ed in parte vennero ritirati per rinforzare i rimasti: era quanto volevamo noi. Ci venne riferito che, come prima ci sottovalutavano considerandoci dispersi e innocui, ora ci ritenevano ben più forti di quanto non fossimo, tanto da non sentirsi sicuri neppure nella loro caserma. La circondarono, dopo l'azione della nostra pattuglia, di cavalli di Frisia, la notte vegliavano tutti e sparavano al minimo rumore. Il favore delle popolazioni verso di noi aumentò e si tradusse in maggiori aiuti e informazioni". 
(20) - Archivio Storico del Comune di San Remo. 
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria). Da Gennaio 1945 alla Liberazione - Vol. IV, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 172, 173