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domenica 10 dicembre 2023

Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini

Pietrabruna (IM): uno scorcio

A sua volta il Comando della II divisione «F. Cascione» il 18 di settembre [1944] costituisce il distaccamento mortaisti che assume il nome del garibaldino caduto Ettore Bacigalupo e il distaccamento rifornimento viveri in Fontane di Frabosa al comando di Domenico Arnera (Aldo). Assegna alla I brigata «S. Belgrano» i distaccamenti «G. Catter» al comando di Mario Gennari (Fernandel) e «G. Maccanò» al comando di Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo).
Sciolto il battaglione «Lupi» di E. Pelazza, con i suoi elementi vengono costituiti i distaccamenti «L. Fiorenza» e «I. Rainis», rispettivamente al comando di Valerio Ghirardo (Antonio) e Giacomo Ardissone (Basco).
I due distaccamenti di «Domatore» e «Battaia» assumono i nomi dei caduti Elio Castellari e Antonio Terragno.
Intanto i Tedeschi sgomberano Pieve di Teco, Nava, Ormea e altre località lungo la statale n. 28 che rimane libera, ma non sgomberano le città della costa. Non si conoscono gli scopi di tali movimenti nemici. Si decide di far saltare tutti i ponti ricostruiti dai Tedeschi sulla predetta strada per creare loro maggiori difficoltà. Con i muli viene recuperato il materiale pesante nascosto a Moano durante il grande rastrellamento svoltosi tra l'8 e il 12 agosto.
Una grande retata elimina molte spie e collaborazionisti annidati in Pieve di Teco. Però il Comando non ordina di occupare la città e gli altri paesi lasciati liberi dal nemico per timore di una trappola dato che, ormai, il fronte
francese si era stabilizzato e perciò i Tedeschi potevano manovrare molte forze rimaste disimpegnate.
Si conviene di occupare i valichi e le cime dei monti in modo da poter dominare la situazione come si era dominata il 25 di luglio, il 9 di agosto, il 4-5 di settembre, ed aspettare il successivo rastrellamento che, certamente, come l'esperienza passata aveva dimostrato, non avrebbe tardato.
Nel retrofronte il nemico doveva assolutamente avere le spalle tranquille e sicure, e così una via libera per una eventuale ritirata, come poteva essere la statale n. 28.
A ponente della I brigata operavano le formazioni della IV dalla valle Impero alla valle Argentina, e quelle della V dalla valle Argentina alla valle Roja.
Il 9 di settembre due garibaldini del 10° distaccamento «W. Berio», spintisi nel centro di Oneglia, prelevano e giustiziano un milite delle brigate nere; altre squadre recuperano tremila colpi di «Mauser» in una postazione a Santo Stefano, due fucili e bombe a mano in località Santa Brigida.
A Taggia i Tedeschi fucilano il garibaldino Antonio Martina fu Vincenzo, nato nel 1887. L'11 alcuni garibaldini puntano su Bestagno per prelevare delle spie; segue una rappresaglia nazifascista.
Il 13 di settembre, mentre i distaccamenti di «Dankò» e «Peletta» prendono posizione al passo della Follia e il distaccamento di Nino Verda al passo del Grillo, altre squadre ingaggiano combattimento con una trentina di Tedeschi in località Isolalunga, dopo di che, richiesto dal nemico l'intervento dei mortai da 81 mm. piazzati sul monte Papé a un chilometro di distanza dallo scontro, i garibaldini, sganciatisi e non accertate le perdite inflitte al nemico, ripiegano incolumi.
Cinque garibaldini del 3° battaglione «Artù» in missione, trascorsa la notte in Castellaro, all'alba del 18 di settembre mentre si avviano fuori paese sono sorpresi da un plotone di Tedeschi; una raffica colpisce al capo il volontario Antonio Boeri (Pescio) di Antonio, nato a Badalucco il 13.12.1919, che rimane ucciso all'istante.
In seguito ad un attacco garibaldino a soldati in perlustrazione a Santa Brigida (un morto ed alcuni feriti) il nemico bombarda Dolcedo con cannoni piazzati nella valle di Oneglia. In tale circostanza muore il civile Giobatta Guasco ed il paese subisce danni materiali (A.S.R.).
Nei giorni che seguono, in previsione di un rastrellamento che dovrebbe partire da Chiusavecchia e da Pontedassio, il distaccamento di «John» prende posizione ai passi di Ville e della Pistona, i distaccamenti di «Romolo» e di «Mirko»  [Angelo Setti] a Colla d'Oggia, il «Paglieri F.» in località Arzéne. Sorpreso dai partigiani in allarme il nemico desiste dalla sua azione.
Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini recuperando un mitra, due fucili tedeschi e cinque bombe a mano.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977

"Ed eccola, nutrita, improvvisa eppur prevista, la scarica dell'imboscata, proveniente dai terrazzi degli ulivi. Il sergente Bolla rotola a destra della strada che ci riporta a San Lorenzo: io, colpito ed immobilizzato all'anca destra, mentre sto facendo una piroetta, con perfetta manovra di "a terra" come nelle esercitazioni lungo la Bormida.
Finisco in una scanalatura del terreno e una miriade di proiettili arriva a dieci centimentri di distanza dal mio corpo, oramai al sicuro, e scalfiggono il suolo. Ma sento anche, benedetta ed assai violenta, la reazione degli altri bersaglieri col fuoco di copertura, un poco più dietro, che muta a nostro favore le sorti dell'imboscata.
[...] A tarda notte (io su un carretto) si giunge a S. Lorenzo al Mare. Vengo raccattato da un furgoncino, mandatoci incontro dal Comando e guidato dal bersagliere Carlo Bioni di Montichiari, con il bersagliere Lucio Questa di Brescia, a protezione, sul parafango anteriore destro.
Amici cari, benvenuti.
Sono portato a notte fonda all'Ospedale da campo di Taggia.
Vengo a sapere che anche il sergente Bolla, avanti a me, è salvo, pure se con una pallottola in un polpaccio.
[...] Avevamo lasciato Pietrabruna e ci dirigevamo verso le nostre postazioni a valle.
Mancavano all'appello il sergente maggiore Quartero, il caporal maggiore Rosier, il caporale Azzi, il bersagliere Bonadei che sapevamo essere stati catturati dai partigiani".
Queste - sullo scontro di Pietrabruna - le parole di un ex bersagliere di Salò, nostalgico, così come riportate nel libello di Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995 <Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1995>, parole che in ogni caso confermano la portata dell'evento, risolto con successo dai garibaldini.
Adriano Maini

lunedì 28 agosto 2023

Bersaglieri fascisti a Baiardo

Baiardo (IM)

Avevamo accennato nei capitoli precedenti alla formazione di bersaglieri fascisti che era stata dislocata nel paese di Baiardo.
La decisione presa dalle Autorità nazifasciste, nell'ambito del piano strategico relativo all'occupazione di tutti i paesi del retroterra per isolare le forze partigiane dai centri di rifornimento, creò nella zona una situazione particolare e difficile che ebbe modo di ripercuotersi, con tutte le sue drammatiche conseguenze, sulla popolazione civile locale per tutto il periodo che va dal 20 dicembre 1944 al 25 aprile 1945.
Abbiamo sintetizzato il suddetto periodo nei fatti che seguono, per ricordare il contributo di sangue dato dalla popolazione di Baiardo alla lotta di liberazione, testimonianza gloriosa da consegnare alla storia e alle generazioni di oggi e di domani, e per mettere in evidenza quale è stato il vero volto del fascismo e gli effetti dell'occupazione tedesca.
Il 20 dicembre 1944 i bersaglieri fascisti della «9^ Compagnia della Morte» di stanza a Baiardo, comandati da un tenente di nome F. B., di Corniglio (Parma), incominciano ad usare violenza, a spargere terrore e morte, a torturare e a macchiarsi d'infami delitti.
Spalleggiano il tenente nelle azioni criminose aguzzini come i sott'ufficiali G. C. M., G. T., C. C., T., e militi come S. G., V. R., A. F., G. S., L. A., O. T., M. e V.
Hanno la sede nell'albergo «Miramonti» e nei momenti cruciali della lotta non esitano a farsi scudo con la popolazione civile inerme. Altrimenti irrompono nelle case asportando ogni cosa, compiono prelievi notturni, interrogatori forzati, sevizie brutali contro persone ritenute favorevoli ai partigiani.
Un giorno arrestano i giovani Silvio Laura di Silvio, Mario Laura di Eugenio, Silvio Laura di Luigi, Giobatta Laura di Gio. B. Il tenente B. ne ordina l'interrogatorio eseguito dai suddetti ufficiali e soldati. Dopo indicibili torture, tradotti a San Remo, dove sono obbligati a scavarsi la fossa, vengono trucidati dalle S.S. tedesche (21-1-1945).
Oltre che dai Tedeschi, la 9^ compagnia è coadiuvata nei rastrellamenti da due o tre spie locali, tra cui l'amante del B., il quale non risparmia mai le persone da lei segnalate e su cui inveisce con crudele malvagità. La compagnia opera scassi e furti, rapina le scorte alimentari della popolazione, saccheggia il negozio di Eugenio Laura, padre di un caduto.
Per mesi i bersaglieri tengono forzatamente presso di loro donne e ragazze (M. Giovanna, L. Lidia, M. Giovanna, G. Luciana, L. Maria Rosa, L. Maria Caterina, T. Giovanna, L. Petronilla, L. Caterina, R. Giovanna, R. Maria, T. Caterina, ecc.) che seviziano in ogni modo.
Anche parecchi uomini subiscono la stessa sorte, rinchiusi nelle carceri dell'albergo trasformato in caserma. Per lungo tempo tengono prigionieri i cittadini: Luigi Laura, Gio. B. Chierico, Sergio Boeri, Giacinto Moriano, Michele Laura, Bartolomeo Novelli, Eugenio Chierico, Antonio Aurigo, G. B. Taggiasco, Antonio Moirano, Eugenio Laura, Nicola Rosafino, Antonio Pannaudo, Marco Taggiasco, ecc.
Danversa Giuseppe uscirà dalle carceri col volto irriconoscibile per le sevizie subite.
Il 10 marzo 1945 i carnefici fascisti legano per due giorni ad un palo i garibaldini Gaetano Cervetto (Nino) fu Guglielmo, e Matteo Perugini (Iena) fu Antonio, catturati in rastrellamento, dopo di che sfilano loro davanti, tempestandoli di pugni, bastonate e pedate. Al termine delle sevizie i martiri hanno le tibie fratturate, gli zigomi asportati, il mento senza carne, le mandibole spaccate. «Iena» viene esposto al pubblico ridotto in condizioni tali da essere irriconoscibile.
Dopo essere stati seviziati e fucilati nel cimitero di Baiardo, vengono oltraggiati e sputacchiati dalla soldataglia prima che le mani pietose di alcuni civili diano loro sepoltura.
In seguito, altri partigiani caduti nelle mani dei bersaglieri subirono la stessa sorte. Nel seviziare i garibaldini «Iena» e «Nino» si distinsero il sergente A. e il soldato G. S. Nel marzo del 1945 lo S. uccise personalmente il garibaldino Riccardo Vitali (Cardù), (vedi: «Battaglia di Baiardo»). Fu sanguinario e crudele, solo secondo al B. e, per ironia della sorte..., venne insignito di medaglia al valor militare.
Però la 9^ compagnia bersaglieri pagò cari i suoi misfatti con la perdita di oltre un centinaio di «camerati» tra morti, prigionieri e disertori (1).
[NOTA]
(1) I dati e i nomi riportati nel capitolo sono stati tratti da una denuncia fatta dalla popolazione di Baiardo il 29-10-1945 contro gli autori dei vari crimini menzionati (Archivio [Isrecim], Mazzo di dicembre del 1944, copia).

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Nella vicina Sanremo (IM) la notte successiva vennero fucilati presso Villa Junia cinque partigiani della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione, che erano stati arrestati a Baiardo (IM) il 17 gennaio.  Quattro di essi portavano il cognome Laura: Gio Batta Paolo, Luigi Gino, Mario Mario e Silvio Antonio. Come segnalato anche da  "Mimosa" [Emilio Mascia] alla Sezione SIM del CLN di Sanremo, il quale avvertiva che dopo l'uccisione di "Bacucco" e l'arresto della moglie le brigate nere avevano ucciso in Sanremo 4 persone tutte di cognome Laura e che altre 20 erano state arrestate e trasferite a Sanremo dove sarebbero state processate dal nemico per connivenza con i patrioti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo bersaglieri repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c'erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi Miccia riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo [riuscì a salire su di un tram per andare a rifugiarsi in un casolare in Località Tre Ponti di Sanremo]. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Ober [Oberg, Auberg...] e successivamente in un luogo poco distante, Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.                                                                   Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia  

Fioriti Italo: nato a Coldirodi il 20 aprile 1924, squadrista della Brigata Nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 27.7.1945: [...] Giunto al ponte di Badalucco fui preso da alcuni tedeschi in servizio di guardia, i quali mi condussero al comando delle SS di Sanremo. Li mi volevano uccidere perché ero fuggito dalla brigata nera e per essere andato con i partigiani. I militari delle SS tedesche mi malmenarono per costringermi a rivelare dove si trovassero i partigiani ma io mi limitai a dire che i partigiani si trovavano sparsi sopra la località Vignai. Indi fui caricato su un camion fino a Baiardo da dove con una trentina di soldati tedeschi ci portammo a Ciabaudo dove i tedeschi effettuarono un rastrellamento fermando tutti gli uomini che si trovavano in paese che fecero sfilare davanti a me chiedendomi di ognuno se fossero o meno partigiani. Io dichiarai che tutti quegli uomini erano contadini e nessuno di essi era un partigiano.
[...]
Anfossi Amedeo: nato a Sanremo il 27 novembre 1915, milite della GNR in servizio presso il Comando Provinciale della GNR, compagnia di Sanremo
Interrogatorio dell’8.6.1945: Mi sono arruolato nella GNR nel mese di febbraio del 1944 e dal Comando provinciale di Sanremo fui destinato in servizio a Sanremo, prima a Villa al Verone e poi all’ex caserma dei carabinieri.
[...] Verso il 20 febbraio 1945 ho preso parte al rastrellamento effettuato nella zona di Baiardo unitamente ad una quindicina di altri militi, un reparto di bersaglieri, brigate nere e soldati tedeschi. Noi della GNR eravamo al diretto comando del Tenente Salerno Giuseppe. Io ero adibito al servizio di conducente di una carretta per il trasporto dei rifornimenti. Il rastrellamento è durato circa 8 giorni [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Nella notte del 9 febbraio 1945 elementi, appartenenti a reparti della Brigata Nera, Tedeschi e bersaglieri - circa centosessanta uomini - e partiti da Baiardo la sera precedente verso le ore 22, effettuano un rastrellamento nella zona di Vignai-Argallo: rimane ucciso Mario Bini (Cufagna) del II° Battaglione, e quattro altri partigiani vengono catturati, Chimica, Biondo, Bà, e Martinetto del I° Battaglione, nonché la staffetta Lucia.
[...] Rastrellamento, iniziato intorno al 20 febbraio 1945, effettuato nella zona di Baiardo, Monte Ceppo e Cima Marta da una quindicina di militi della compagnia di Sanremo della GNR al comando del Tenente Salerno Giuseppe, un reparto di bersaglieri, brigate nere e soldati tedeschi. Il rastrellamento durò circa una settimana senza che i nazifascisti riuscissero ad ottenere esiti positivi, fino al giorno in cui un lancio paracadutato alleato di armi e di viveri fu effettuato nella zona di Cima Marta.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 

venerdì 4 marzo 2022

A conoscenza che il 28 i Tedeschi avevano lasciato Ceriana, il Comando della divisione decide di effettuare un attacco contro il presidio repubblichino

Ceriana (IM)

«Orsini» (Agostino Bramé) racconta:
"Da molti giorni era in istudio presso il Comando della V Brigata un'azione da condurre contro Ceriana, posta sulla strada Sanremo-Baiardo a 12 Km. dalla costa. Molte erano le difficoltà da superare. Infatti il presidio di Ceriana era composto da una trentina di tedeschi e da circa 80 bersaglieri, per la maggior parte volontari, gente esaltata e particolarmente accanita contro le nostre formazioni. Gli uomini del presidio di Ceriana, aspettando o, per lo meno, presumendo un attacco da parte nostra, avevano preso tutte le misure del caso, ponendo reticolati e cavalli di frisia attorno alle loro postazioni, fortificando e barricando le case ove essi alloggiavano. Ostacolo particolarmente difficile era offerto dalla galleria posta all'ingresso del paese per chi proviene da Baiardo: nell'interno di essa erano piazzati quattro fucili mitragliatori con due sentinelle fisse. Il 28 settembre 1944 ci giungeva notizia che i tedeschi si erano allontanati da Ceriana lasciandovi solo 5 o 6 uomini. I bersaglieri invece rimanevano al completo. Si decideva allora di studiare e condurre l'attacco.
Il Vice Comandante di Brigata Brescia [n.d.r.: Umberto Bonomini] si portava presso il II° Distaccamento e con il Comandante Gino [n.d.r.: Gino Napolitano] prendeva tutti gli accordi e le disposizioni necessarie per la buona riuscita dell'azione che veniva fissata per il giorno 30 Settembre alle ore sei. Contemporaneamente veniva inviato ordine all'VIII Distaccamento di Gori [n.d.r.: Domenico Simi] affinché inviasse una trentina di uomini sulla strada Sanremo-Ceriana allo scopo di impedire l'afflusso di rinforzi durante l'azione. Nella notte, mentre due uomini interrompevano le comunicazioni telefoniche fra Ceriana e Sanremo, quattro squadre del II° Distaccamento si portavano ai posti di battaglia, in precedenza fissati, con compiti specifici e ben definiti. Non appena dal campanile del paese scoccavano le sei, tutti si ponevano in movimento.
Le due sentinelle alla galleria venivano sorprese e disarmate, i quattro fucili mitragliatori prelevati, l'alloggio di una squadra di bersaglieri assalito e l'intera squadra catturata. Tutto procedeva secondo quanto previsto, senonché una pattuglia di bersaglieri, che stava eseguendo un giro esplorativo, gettava l'allarme in paese con lancio di bombe a mano e nutrito fuoco di fucileria. In un attimo tutti i bersaglieri uscivano dalle loro camerate e si trinceravano nelle case, dalle finestre delle quali aprivano un violento fuoco. Pertanto veniva dato ordine alle nostre squadre, che già erano nell'interno del paese, di arretrare e portarsi fuori tiro. Ciò veniva eseguito in perfetto ordine. Dopo pochi minuti si tentava un altro attacco che veniva respinto. Si decideva allora di mettere alla testa di una nostra squadra i bersaglieri già catturati e di avanzare dietro di loro. I bersaglieri rimasti in Ceriana, benché accortisi di  quanto stava succedendo, non esitarono a sparare sui loro stessi compagni. Si doveva quindi desistere da ogni ulteriore tentativo, tanto più che era entrato in azione un pezzo anticarro da 47/32 che batteva i dintorni del paese. Veniva allora inviato uno dei bersaglieri catturati dal Capitano comandante il presidio per chiedergli la resa. Il bersagliere tornava portando risposta negativa, mentre più violento si faceva il fuoco dei difensori, appoggiati anche da alcune  mitragliatrici pesanti. Tutti i Garibaldini che parteciparono all'azione facevano allora ritorno all'accampamento. Non si lamentò alcun ferito da parte nostra.
Risultato dell'azione:
1) Catturati: quattro fucili mitragliatori (due Saint-Etienne e due Breda), un Mitra Beretta, una pistola automatica e due cassette di munizioni per fucile mitragliatore.
2) Fatti prigionieri otto bersaglieri fra i quali un sergente.
3) Ferito mortalmente con tre colpi il Tenente Perrucchetti, tristemente famoso per la sua crudeltà e la sua faziosità, nonché un caporale maggiore e due altri bersaglieri.
4) Probabilmente colpiti da una nostra raffica altri sei o sette bersaglieri".
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Edizioni ALIS, Sanremo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
[...] Per mezzo degli informatori venuto a conoscenza che il 28 i Tedeschi avevano lasciato Ceriana, il Comando della divisione «F. Cascione» decide di effettuare un attacco contro il presidio repubblichino e incarica Umberto Bonomini (Brescia), vicecomandante della V brigata, di elaborare il piano d'azione e portare a compimento l'impresa.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino), dislocato in località Beulla, ritenuto il più preparato come uomini e mezzi, viene scelto per l'attacco che, tuttavia, presenta paurose incognite.
Infatti sarebbe follia cercare di affrontare e piegare i nemici con la forza; ai primi colpi il campo rimarrebbe subito a loro e, per questo, non varrebbe sacrificare inutilmente gli uomini. Quindi, pensano i garibaldini, se non si può attuare una strategia campale per l'enorme disparità numerica e, soprattutto, di armamenti, si può sempre giocare secondo il sistema tattico della guerriglia: sorpresa e audacia.
Però questi due fattori non serviranno a neutralizzare i cannoni e i troppi mortai dei bersaglieri fascisti.
Questo pensano «Gino» e «Brescia», i due capi partigiani, ma conoscono bene il coraggio dei loro volontari e sanno che al momento opportuno risponderanno all'appello col fuoco del loro entusiasmo, non meno micidiale di quello delle armi.
Studiano con meticolosa cura la zona e le opere di difesa nemiche e decidono di passare senz'altro all'attuazione del piano di attacco, basato essenzialmente su tre elementi caratteristici di ogni azione partigiana: eludere la sorveglianza del nemico, illuderlo sulla vera entità delle forze operanti e sorprenderlo con azione rapida e sconcertante. Oltre quaranta garibaldini del 2° distaccamento partecipano all'azione; oltre quaranta ribelli non bene in arnese, come si suol dire, contro 150 soldati repubblichini ben riforniti, equipaggiati di tutto punto, agguerriti e guardinghi. Il bollettino che il comando fascista emetterà all'indodomani, per mascherare un nuovo scacco subito e salvare, così, almeno a parole, l'onore assai dubbio della sua bandiera, parlerà di  «... 400 fuorilegge contro quindici valorosi guerrieri combattenti sotto le insegne del Littorio ...».
Alle sei precise del mattino, scoccate dal campanile, il 30 di settembre, mentre una trentina di uomini dell'8° distaccamento «Gori» bloccano la strada San Remo-Ceriana per ostacolare l'afflusso di rinforzi e due partigiani interrompono le comunicazioni telefoniche tagliando la linea dei fascisti, quattro squadre di dieci uomini ciascuna scattano contemporaneamente all'attacco del forte presidio nemico che è ubicato al centro del paese, investendo Ceriana da quattro lati. Le sentinelle avanzate vengono sorprese, catturate e disarmate, così quelle della galleria, mentre una squadra di sei bersaglieri è catturata in un alloggio della periferia. L'azione è facilitata dal sottonente Nino De Sanctis e  dal sergente Baldo della 7^ compagnia bersaglieri, che, accordatisi in precedenza, lasciano entrare i garibaldini nell'accampamento.
Ma nonostante ciò, con lancio di bombe a mano una pattuglia nemica riesce a dare l'allarme e la lotta ha inizio. I bersaglieri e i cinque Tedeschi rimasti, adottando una tattica mai prima usata in simili casi, si sparpagliano nelle case dei civili improvvisandosi franchi tiratori e aprono un fuoco infernale  sui  garibaldini  che  avanzano  per  i  viottoli del  paese.  Da ogni lato  il  piombo  nemico  fischia  rabbioso e  contrasta il passo ai partigiani che combattono come possono. Dopo mezz'ora d'impari lotta le quattro squadre attaccanti si ritirano sulle basi di partenza alla periferia del paese.
I comandanti si concertano, si interrogano gli uomini: la volontà unanime è di continuare, di non  mollare. Durante la pausa il bersagliere prigioniero Visconti da Desenzano viene inviato dal comandante del presidio per chiedere la resa. Viene respinta. Allora le «stelle rosse» (così il nemico chiamava i partigiani) ritornano nella mischia cruenta, avanzando in ordine sparso e mirando con calma e precisione sulle divise grigioverdi dei fascisti. Anche alcuni Cerianesi partecipano alla lotta.
Lo stesso tenente Perrucchetti comandante del presidio, un caporal maggiore e due bersaglieri rimangono mortalmente feriti; sembra che la stella giustiziera guidi le schiere di «Gino» e di «Brescia», le quali catturano altri nemici, mentre una mezza dozzina rimangono colpiti in modo grave da raffiche di mitra.
Questa seconda partita si conclude in meno di un quarto d'ora con un brillante successo: i partigiani si ritirano senza aver subito perdite. Attaccano una terza volta per far cadere gli assediati e una terza ondata di guerriglieri, che sono obbligati a portare con loro i prigionieri, investe nuovamente Ceriana. I nazifascisti non esitano a sparare sui loro uomini; riusciti a piazzare due cannoni per difendersi da un pugno di armati, sparano a zero; i boati coprono le altre voci della battaglia.
Intanto camions carichi di rinforzi nemici provenienti da San Remo si dirigono a tutto motore sul luogo degli scontri.
La situazione diventa insostenibile per i garibaldini e la ritirata si rende necessaria, tanto più che un bersagliere, inviato al Comando fascista per chiedere nuovamente la resa, era ritornato con risposta negativa.
Infatti i garibaldini del 2° distaccamento si sganciano e retrocedono in buon ordine verso il loro accampamento con la preda bellica comprendente due mitragliatrici pesanti «Saint-Etienne», due mitra «Breda», un mitra «Beretta», diverse  pistole, moschetti, munizioni e undici prigionieri.
Ventun nemici messi fuori combattimento (morti e feriti), sono il lusinghiero bilancio di questa giornata di lotta che ha dato una chiara, luminosa risposta all'invito scritto sui muri di Baiardo dagli stessi bersaglieri durante un rastrellamento: « Se avete del coraggio veniteci a trovare» (1).
Una seconda volta non lo scrissero più.
(l) I bersaglieri catturati nella lotta erano del primo plotone, i medesimi che il 25 di settembre avevano saccheggiato Baiardo con particolare ferocia. Probabilmente si trattava di un plotone scelto. Fatti sfilare per il suddetto paese  prima della punizione, vennero sottratti a stento alla popolazione desiderosa di linciarli (da una relazione del Tribunale di brigata).
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
[n.d.r.: per combinazione su questi fatti di Ceriana ci sono anche delle narrazioni di nostalgici saloini, che qui sotto si riportano in stralci...]

Lettera del capitano Pietro Borroni, dei Bersaglieri di Salò, cit. infra

Vi prego portare a conoscenza della Famiglia Gazzaniga che il Cap. Gazzaniga Attilio residente a Zinesca Via Roma II risulta disperso in zona di operazioni per azione contro bande ribelli il 30 settembre 1944. Da informazioni di testimoni oculari è certo che il disperso ha reagito coraggiosamente e combattuto meritando perciò il trattamento di "presente alle bandiere". Il Comandante di Battaglione, Cap. Pietro Borroni, Comando 2° Battaglione Bersaglieri "Maiora Viribus Audere", Al Capo della Provincia - Pavia, proto 5742 in data 22 novembre 1944, oggetto: caporale Gazzaniga Attilio [...] La situazione in Ceriana è tranquilla e apparentemente sotto controllo, nostro per l'esattezza. Sono le prime ore del pomeriggio e, da solo, mi viene voglia di fare una visitina agli amici che presidiano il posto di controllo verso Baiardo [...] Quel poveraccio, in fondo - che voleva rendersi utile ai suoi amici partigiani - è stato tratto in errore soltanto dalla varietà del nostro abbigliamento, non proprio 'uniforme' nel senso letterale della parola: nel mio caso, visto di spalle, potevano essergli fatali i miei pantaloni mimetici ed il berretto, analogo, che portavo in luogo dell'inconfondibile fez. Sicuramente quella persona non leggerà mai questa mia memoria ma, se potesse venirne a conoscenza, potrebbe per assurdo riscrivere all'anagrafe di Ceriana una nuova data di nascita, collocandola in quel giorno di ottobre del 1944 [racconto di]  Franco Leotta
[...] Una banda di ribelli travestiti da bersaglieri sorprende in piena notte gli uomini di guardia e riesce così a prelevare molti militari del primo plotone che stanno dormendo tranquillamente nei loro alloggiamenti. Per fortuna non tutto va liscio a questi gentiluomini dell'imboscata: uno dei prelevati, il bersagliere Passarella, non ci sta e tenta una disperata ribellione. Partono di conseguenza alcuni colpi di arma da fuoco che mettono in allarme l'addormentato presidio. Il coraggioso "commando" scappa velocemente, trascinando con sé gli ostaggi, al di là della ben nota galleria dove si sente più sicuro. È così che inizia il 2 ottobre 1944 in quel di Ceriana, e cioè molto male [...] E' uno dei bersaglieri appena prelevati, un certo giovanissimo Luigi Visconti che è latore di un ultimatum: i bersaglieri devono arrendersi senza condizioni, pena l'uccisione di tutti gli ostaggi e questa minaccia sarà resa operativa anche nel caso in cui Visconti medesimo non abbia fatto ritorno con la risposta. Nessuno naturalmente pensa di arrendersi e tutti sconsigliano il ragazzo dal fare ritorno presso i rapitori ché il risultato purtroppo sarà/sarebbe comunque identico, ma il Visconti non vuole sentir ragioni e ritorna là dove ci sono, prigionieri, i suoi amici, portando la risposta della settima compagnia. (In giornata, poi, dopo alcune ore, verrà assassinato con un raro ingegnoso sistema di cui parleremo in seguito, insieme a tutti gli altri bersaglieri che erano stati prelevati). Passano alcune ore, si è fatto giorno, e si decide di inviare a Taggia un volontario (la missione ha scarse probabilità di riuscita; la si potrebbe definire "disperata") con l'incarico di mettere a giorno della situazione il comando di battaglione. Chiede ed ottiene l'incarico un mio amico, il bersagliere Arrigo Dante Biasioli di Milano, studente universitario, iscritto al primo anno della facoltà di medicina. Viene messa a disposizione una vecchia scassata bicicletta con la quale, trovandosi ad essere per una volta "bersagliere ciclista", il Biasioli parte a tutta birra per quella strada che in ripida discesa va verso una località chiamata Santa Filomena. Come sanno bene tutti quelli della settima compagnia questa Santa ci era decisamente ostile e, logicamente, si dimostrò tale anche in quell'occasione. Il "bersagliere ciclista" non giunse mai a Taggia, perché i partigiani, che avevano circondato completamente Ceriana, riuscirono faticosamente a bloccarlo proprio nei pressi di una maledetta curva, nota appunto come "la curva di Santa Filomena". Si seppe in seguito che quelle brave persone, dopo di avergli fatto scavare una fossa, qualche giorno dopo lo avevano assassinato con uno sbrigativo colpo di pistola alla nuca. Nel frattempo a Ceriana ci furono un po' di fuochi d'artificio. Loro sparavano verso il paese e dal paese noi cercavamo di fare del nostro meglio [...] E' interessante il resoconto che tale Agostino Brame detto "Orsini" fa dell'attacco del 2 ottobre a Ceriana [...] Perché l'autore non ha scritto di come dove, invece, vennero torturati e uccisi i bersaglieri nel sonno a Ceriana, ché appunto di costoro si sta parlando? Certamente una certa imprecisione nel ricordare o una non voluta dimenticanza. Capita nelle migliori famiglie, figuriamoci in quell'ambiente. Io non ne faccio una questione di destra o sinistra, di sopra o di sotto, o di un determinato colore [...]
Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995, Attilio Negri srl, Rozzano, 1995

sabato 12 settembre 2020

Lo scontro del 15 aprile 1945 tra partigiani e bersaglieri repubblichini a Pietrabruna (IM)

Pietrabruna (IM) - Fonte: Wikipedia

Lo stesso giorno 15 [aprile 1945] saputa la presenza di forze repubblicane della 6^ Compagnia bersaglieri in Pietrabruna, dove avevano già colpito a morte il garibaldino Antonio Castello, squadre dei Distaccamenti I e II della IV ^ Brigata ["Elsio Guarrini", della II^ Divisione "Felice Cascione"] partono per prendere posizione sulla carrozzabile Pietrabruna - Torre Paponi.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, p. 288 
 
La nostra squadra, l'unica in possesso di un mitragliatore, attendeva ai bordi del campo le ultime disposizioni e la via libera per l'attuazione di una missione già discussa la sera precedente con Italo [Maurizio Massabò], ma l'ordine tardava a venire; poco prima era giunta una trafelata staffetta, che si sentiva ancora parlare animatamente nella stanza adibita a comando, da cui uscì qualche minuto dopo in compagnia di Italo. Nella valle era stato avvistato un reparto repubblicano. Venne quindi annullato qualsiasi programma precedentemente disposto. L'informatore assicurava la presenza avversaria [...] l'intero distaccamento si allontanò rapido [...] all'inizio si imboccarono sentieri che vennero abbandonati alla prima biforcazione, nell'intento di produrre la sensazione di un percorso poco chiaro, per confondere eventuali osservatori e questo fino a raggiungere il fondo valle, dove l'itinerario venne modificato assumendo un indirizzo preciso [...] per la prima volta dal lontano autunno il distaccamento si trovava raggruppato al completo per affrontare la verifica d'uno scontro, di armi e di coraggio. Le ore scorrevano lentamente, esasperati dalla mancanza di cognizioni precise, mancanza che faceva prevedere il vuoto di un'inutile attesa. Il battito del tempo, suonato dai campanili della valle [...] il reparto repubblicano con un percorso imprecisato era giunto a Pietrabruna, da cui sarebbe presumibilmente partito verso la fine del giorno; nessun altro reparto, inoltre, operava in congiunzione allo stesso; a completare il quadro della segnalazione seguirono notizie di violenze perpetrate a carico di civili, fra cui l'uccisione del vecchio sagrestano, il quale, fortemente debole di vista, aveva scambiato i fascisti per noi. Dopo un breve conciliabolo, la decisione raccolse l'approvazione di tutti: attaccare il reparto in un diverso luogo che, pur presentando maggiore pericolo, sapeva offrire adeguate possibilità di sorpresa [...] L'agguato prese forma quasi al termine della discesa a una curva della strada che, dal centro del paese, calava con un susseguirsi di tornanti fino al fondo della valle; il breve rettilineo scelto, postofra due curve, venne bloccato quasi interamente dal nostro dispositivo; uno sperone roccioso, simile a un torrione, ricoperto di cesspugli e situato al disopra della curva in basso, raccolse l'appostamento della quasi totalità dei garibaldini, fornendo loro una posizione frontale che permetteva un tiro d'infilata sulla colonna avversaria, riservando nel caso lo scontro avesse assunto un andamento a noi favorevole, la possibilità di un facile disimpegno; alla curva in alto, allo scopo di chiudere alle spalle il reparto, si appostò uno sparuto gruppetto, in una posizione che non offriva alcuna via di scampo. Il comandante Italo e il russo Ivan si posero agli inizi della svolta per controllare i movimenti della colonna; un poco più in basso io e Konrad, armati del mitragliatore; a completare l'operazione una squadra di Veloce [Ermanno Sebastiano Martini, comandante del III° Battaglione "Orazio 'Ugo' Secondo"] di passaggio nella nostra valle bloccò qualche chilomentro a sud la strada del mare, nell'ipotesi di eventuali riforzi. Ed ebbe inizio la nuova attesa [...]
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 135-137

Il 15 aprile una staffetta avvisava il I° Distaccamento "Angelo Perrone" del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" che "a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri i quali erano venuti allo scopo di asportare bestie da soma. Il comandante 'Italo' [Maurizio Massabò] chiedeva rinforzo al II° Distaccamento, andando a prendere immediata posizione con 12 uomini sotto Pietrabruna" sulla carrozzabile Pietrabruna-Torre Paponi. Dopo un paio d'ore, i bersaglieri, che appartenevano alla VI^ compagnia di stanza tra Riva Ligure e San Lorenzo al Mare, mentre ritornavano con un bottino di 16 muli, venivano attaccati, subendo l'uccisione di 10 soldati, la cattura di altri 2 e la perdita di materiale bellico, consistente in un mitragliatore Breda, un mitragliatore Saint Etienne, un mitra Beretta, cinque moschetti con relative munizioni, tre pistole e cinque bombe a mano. I bersaglieri, che riuscirono a fuggire, diedero l'allarme. Da un dispaccio garibaldino: "da Imperia partiva prontamente, per portare rinforzo, un automezzo con a bordo una quarantina di Brigate Nere ed un cannoncino da 75 mm. Anche questi venivano attaccati in due riprese e subirono la perdita di 6 uomini".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Appena le forze avversarie giungono a tiro sono investite con un fuoco intensissimo. Quindici repubblicani cadono e altri due, fatti prigionieri, sono giustiziati la sera stessa. Prevedendo il sopraggiungere di rinforzi, i garibaldini si appostano un'altra volta: giungono dei camion nemici che sono anch'essi attaccati a distanza ravvicinata. Armi catturate al nemico [...] Ma vediamo come raccontano l'episodio alcuni protagonisti: "... i bersaglieri pensarono allora di agire di prepotenza saccheggiando tutte le case che gli capitavano sottomano, mentre molti abitanti del paese fuggivano ed alcuni di quanto stava accadendo andarono ad avvisare i partigiani che in quei giorni erano numerosi nella zona del Monte Faudo. Correndo affannosamente raggiunsero la località Ravanin dove era accampata la banda di Maurizio Massabò (Italo) ... Il partigiano Vento è appostato dietro un tronco di quercia con il mitragliatore MG 42. Su un ponticello scorre ben visibile la carrozzabile, più in là una curva toglie la visibilità del transito. Giacomo Corradi (Pancio) e Maurizio Massabò (Italo), comandanti dei due Distaccamenti, avevano dato ordine di sparare solo quando tutta la colonna fosse stata vicina, sotto di loro. I fascisti per precauzione avevano portato con loro due civili, Giuseppe Pirero e Silvano Zucarato, come ostaggi, a cavalcioni di due muli ... Quando la colonna viene a trovarsi sotto tiro una lunga scarica violenta di armi automatiche la investe causando in essa paurosi vuoti. In quel momento un bersagliere spara con la pistola nella schiena del civile Giuseppe Pirero, che rimane ucciso, ma si inciampa nei rovi, è obbligato a fermarsi, viene falciato da una raffica ... un bersagliere, benché ferito, riesce ad arrivare a San Lorenzo al Mare per avvertire il suo comando dell'imboscata subita. In quella drammatica confusione il partigiano Vento si sente chiamare per nome da una voce proveniente da sotto il ponte già menzionato: è l'ostaggio Silvano Zucarato, che era riuscito a mettersi al riparo, e con lui sono due soldati che gli si erano arresi ... Transitando per Pietrabruna gli abitanti pretendono che vengano loro consegnati i due prigionieri per linciarli. Invece questi sono portati al coando di Brigata dove, a seguito di processo regolamentare, sono condannati a morte e fucilati ... prima del tramonto giunge al bivio di Boscomare un autocarro con militi della Brigata Nera, i quali sparano alcuni colpi di mortaio sul paese di Pietrabruna, uccidendo una suora, quindi si avviano in ordine sparso ... il partigiano Barba, piazzato il mitragliatore, dà il 'chi va là'. Il capitano nemico, che forse non pensava ad un secondo agguato, risponde dichiarandosi ... Barba, senza esitare, apre il fuoco con il mitragiatore ... dopo un'ora giunge sul posto una autoambulanza con bandiera biana issata sul cofano, con lo scopo di portare via tutti i caduti. I partigiani sospendono ogni iniziativa  e concedono la tregua al nemico..."
Francesco Biga, Op. cit., pp. 288-290
 
Il giorno seguente nella tarda mattinata riposavo ancora in un sonno profondo [...] quando uno scoppio fortissimo mi destò di soprassalto [...] al primo colpo ne erano seguiti altri, indiscutibili cannonate, i cui rimbombi legati dall'eco formavano un ininterrotto fragore che rimbalzava cupo all'interno dei crinali [...] Pietrabruna era diventata bersaglio dei cannoni tedeschi. Nell'aria limpida del mattino nitido giungeva il sibilo delle granate in arrivo, che fortunatamente esplodevano per la maggior parte nelle campagne circostanti; i colpi, sparati da una batteria installata ai confini della valle raggiunsero il solo scopo di terrorizzare gli abitanti del borgo [...]  ritenemmo prudente rimanere in stato d'allerta; preoccupazione che in serata si rivelò fortunatamente inutile, poiché nella valle quel giorno nessuna formazione avversaria si presentò. Il bombardamento, durato circa un'ora, non conseguì risultati significativi: nessun ferito e danni irrilevanti, a parte la croce del campanile [...]
Renato Faggian (Gaston), Op. cit., p. 139

16 aprile 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Carlo Montagna" [comandante "Peletta", Giovanni Alessio - commissario politico "Sferra", G.B. Pastorelli] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della IV^ Brigata - Segnalava che il giorno prima il comando del I° Distaccamento "Angelo Perrone" era stato informato che a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri che stavano requisendo animali da soma; che il comandante "Italo" [Maurizio Massabò], chiesti rinforzi al II° Distaccamento, aveva fatto aprire il fuoco contro i bersaglieri quando transitavano con 18 muli sotto il paese; che i garibaldini avevano ucciso 10 nemici e fatto 2 prigionieri; che "il bottino incamerato" corrispondeva a 2 mitragliatori, 1 mitra, 5 moschetti, 10 bombe a mano; che al termine del citato scontro erano sopraggiunti militi delle bande nere contro i quali vi era stato un altro scontro a fuoco; che questi repubblichini avevano ucciso un civile, che stava tentando la fuga, e 2 muli; che i garibaldini erano riusciti a restituire gli altri 16 muli ai proprietari. 

16 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" [responsabile, "Brunero" Francesco Bianchi], prot. n° 395, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione - Inviava le informazioni sulla situazione di Taggia ricevute dal III° Battaglione "Candido Queirolo" [comandante "Gori", Domenico Simi; vice comandante "Cipriano", Raffaele Alberti] e quelle sullo scontro di Pietrabruna del giorno prima ricevute dal I° Battaglione "Carlo Montagna" [comandante "Peletta", Giovanni Alessio - commissario politico "Sferra", G.B. Pastorelli] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione. 

17 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Peletta", Giovanni Alessio - commissario politico "Sferra", G.B. Pastorelli] del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della IV^ Brigata - Comunicava che la sera del 16 aprile una squadra del I° Distaccamento "Angelo Perrone" aveva tentato di attaccare dei soldati repubblichini a Pietrabruna, e che, non essendo riuscita l'azione, si era portato sulla via Aurelia dove aveva attaccato a tre riprese carriaggi tedeschi diretti a Genova.

da documenti dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II


giovedì 13 agosto 2020

Attacco partigiano a Baiardo con l'intervento dell'aviazione alleata

Baiardo (IM) visto da Perinaldo
 
Il 10 marzo 1945, programmata già un mese prima, avvenne l'unica azione combinata tra aerei alleati e forze garibaldine. Il luogo prescelto fu il presidio nemico di Baiardo. Il segnale di inizio, annunciato da Radio Londra, era "la neve cade sui monti".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Bajardo era un caposaldo fascista. In paese, infatti, si trovavano i bersaglieri, comandati dal tenente Franco Buratti, che costituivano un pericolo costante per le formazioni partigiane operanti nella zona [...] Vittò [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] ritenne opportuno non far partecipare i suoi uomini alla battaglia di Bajardo; troppi rischi di perdere vite in proporzione alla difficoltà di riuscire a conquistare il caposaldo nemico [...] non era convinto del piano prospettatogli dal capitano inglese della missione alleata, Robert Bentley. In base a quanto dichiarato da quest'ultimo per conquistare Bajardo sarebbe dovuta intervenire l'aviazione inglese mediante l'impiego di quattro aerei, che si sarebbero limitati a iniziare la battaglia con un mitragliamento e poi se ne sarebbero andati, lasciando ai partigiani il compito di entrare in paese e assalire la fortezza dei bersaglieri.
Romano Lupi, VITTO'. Vita del comandante partigiano Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011 

Ecco ciò che dice "Gino" (Gino Napolitano) [vice comandante della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione]: "Dopo i tremendi rastrellamenti subiti in gennaio e febbraio le nostre brigate si riformavano. [...] La stazione trasmittente sotto il controllo del capitano Robert Bentley aveva riallacciato i collegamenti con la Francia.  Venne pertanto stabilito dal comando operativo di zona un primo attacco combinato fra le nostre forze e l'aviazione nemica contro un caposaldo avversario quale esperimento. Venne fissata la segnalazione da Radio Londra per la coordinazione dell'attacco: 'la neve cade sui monti', stabilito il luogo, Baiardo, il giorno, 17 marzo [invece, l'attacco partigiano ebbe luogo il 10 marzo 1945], e l'ora, le 7 del mattino.  [...] Baiardo appollaiata sulla cima del monte a 900 metri di altezza, era difesa da oltre 150 tedeschi e bersaglieri, armati di cannoni e mortai. I nostri partirono dalla base di Ciabaudo: circa 120 uomini al comando di Gino Napolitano (Gino). Con essi erano Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria], Sumi (Lorenzo Musso) [Commissario Politico al Comando Operativo della I^ Zona Operativa Liguria]  ed il capitano Bentley, che avrebbero presenziato all'azione".
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Il comandante della II^ Divisione "Felice Cascione", "Vittò", espresse le sue perplessità circa tale azione, in quanto il mitragliamento degli aerei avrebbe portato scarsi vantaggi poiché "(1) bastava [ai nemici] essere coperti da un tetto qualunque per evitare ogni ogni danno. Di contro il comandante della II^ Divisione "Felice Cascione" aveva proposto " (2) di lanciare nei dintorni del paese quattro o cinque bombe, in modo che venisse nei bersaglieri il timore di essere attaccati dagli aerei. Si sarebbero rintanati nelle cantine e noi avremmo potuto entrare in paese senza tanti morti. Il solo mitragliamento era un avviso che noi entravamo in azione e metteva i bersaglieri nella perfetta attesa di difesa e di attacco insieme"
Rocco Fava, Op. cit.
(1) (2) don Ermando Micheletto, Op. cit. infra, pp. 263-264

Non era dello stesso parere il Curto che vedeva nell'azione una mirabile rivincita su quel distaccamento nazifascista che aveva sempre resistito agli attacchi partigiani. Gino era del parere del Curto ed anche altri comandanti di distaccamenti. Forse pensavano certa l'azione degli aerei, repressiva e sicura la paura dei bersaglieri. Continua Vitò: "Il Comandante di Zona Curto invece voleva attaccare. Prese il comando dei miei distaccamenti e partì con essi. Io non ci sono andato. Avevo il presentimento di un attacco inutile e dannoso per noi. Quella presenza degli aerei con mitragliamento impediva a noi la sorpresa dell'attacco ed avvisava i nemici di mettersi in difesa..."
don Ermando Micheletto *, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

"Alle 4 del mattino la marcia veloce e silenziosa ebbe inizio. I nostri erano discretamente armati, grazie specialmente ai rifornimenti giunti nelle ultime settimane in montagna via mare. Si marciava in fila indiana sotto il cielo che impallidiva, esilarati dalla sottile aria di montana che già odorava di primavera. Alle 6 il distaccamento giunse nei pressi del paese: i nostri si distesero a catena, si scalzarono perché il rumore delle scarpe ferrate non allarmasse il nemico e salirono lentamente, Gino in testa, fino al cimitero del paese. [...] Al di sopra dei nostri, a forse duemila metri di altezza, sei aeroplani volavano dritti sul paese. Immediatamente alcune pattuglie di arditi vengono staccate in direzione dell'abitato mentre tutti gli altri, sempre al coperto, si spostano sino a 200 metri dalle prime case. Alle 7,10 gli apparecchi sono sull'obiettivo. Si vedono ruotare, abbassarsi, risollevarsi. Il paese è in subbuglio: si ode la gente correre. Improvvisamente gli aeroplani si allontanano ed un lungo getto di vapore bianco si disegna dietro uno degli apparecchi. È il segnale? Ma i nostri non hanno udito alcun rumore di esplosioni, soltanto sembra loro di aver percepito, fra tanti suoni confusi, il ticchettio di un mitragliamento. [...] Si decise allora di tentare senza indugio un'azione subitanea sperando di cogliere il presidio di sorpresa. Alle 7,20 scattammo all'attacco da tutte le parti, in piccoli gruppi. La popolazione era asserragliata nelle case, ma il nemico, evidentemente avvertito, era pronto.  Le strade erano battute da un fuoco incessante che veniva dalle finestre e dai tetti e che le spazzava da un capo all'altro. I nostri avanzavano lungo i muri verso il cuore del paese: avevano però soltanto armi automatiche leggere perché si attendevano di essere appoggiate dal bombardamento aereo, e contro le mitragliatrici pesanti, protette dalle case trasformate in fortezze, l'attacco si mostrava impotente. Gino con una quindicina di uomini raggiunse il centro del paese e vi rimase per oltre mezzora fulminando le finestre degli edifici da cui partiva l'incessante fuoco nemico. I bersaglieri ed i tedeschi, il cui grosso era sulla piazza, escono improvvisamente al contrattacco, tentando di infiltrarsi tra i nostri gruppi. I nostri convergono su di essi da tutti i lati, li prendono d'infilata e li respingono costringendoli a ritirarsi precipitosamente nelle loro tane, lasciando sul terreno morti e feriti. Alle 9 le munizioni dei nostri uomini erano quasi esaurite, mentre il nemico sembrava ne possedesse una riserva inesauribile. I garibaldini erano stanchi e prolungare l'azione sarebbe stata una follia. Curto impartisce l'ordine di ritirata. Gli uomini escono lentamente dal paese sempre combattendo, mentre Gino protegge la retroguardia con un tiro continuo di sbarramento. Alle 9,30 il distaccamento in perfetta formazione marciava sulla strada del ritorno verso la base. L'azione, sebbene non avesse ottenuto il successo completo, era stata brillantissima e per la sua concezione e per i risultati ottenuti: i nostri avevano violato uno dei più forti baluardi nemici infliggendogli perdite gravissime. Da parte nostra due morti in combattimento, Vitale e Lazzari, e alcuni feriti. Il garibaldino Nino, ferito e catturato dal nemico, venne passato per le armi sul posto. Ma l'iniziativa passava nelle nostre mani e non doveva più sfuggirci".
Mario Mascia, Op. cit.

Dopo circa tre ore di attesa, e precisamente alle ore 7,55, si avvistava una squadriglia di sei apparecchi da caccia che, dopo aver descritto un ampio cerchio tra Monte Bignone e Monte Ceppo, subito dopo iniziavano un'azione di mitragliamento, senza però sganciare alcuna bomba. Dopo dieci o quindici minuti il mitragliamento cessava e la squadriglia si allontanava. Dopo un’iniziale esitazione, dovuta al mancato lancio di fumogeni da parte degli aerei, come era convenuto, sotto la direzione del vice comandante della V^ Brigata e del comandante del I° Battaglione Vincenzo Orengo (Figaro), ebbe inizio l'assalto al paese. I garibaldini raggiunsero la piazza del paese, a circa quindici metri dalla caserma dei Bersaglieri, i quali, asserragliati, rispondevano al fuoco dalle finestre. Il sopraggiungere di rinforzi provenienti da Ceriana e da Sanremo obbligò i partigiani a desistere e ritirarsi nei boschi. Nell'attacco cadevano il commissario Riccardo Vitale (Cardù), Gaetano Cervetto (Nino) e Vitaliano Lazzari (Lazzari).
Giorgio Caudano
 
Cardù

Si mise disteso sulla paglia trita; sì, che se la sentì pungere dappertutto come le altre volte rivoltandosi di qua e di là, ma adesso con la stanchezza addosso a quel modo, gli pareva di essere più al sicuro.
Col vento che soffiava dovunque, però, non ci riuscì per niente a dormire; si sentiva maggiormente le gambe rotte, e tutti quei ricordi se li sentiva sempre di più a premergli nella testa da fargli male.
Il partigiano anziano adesso gli era venuto vicino continuando il suo discorso e lo guardava fisso come per farsi sentire meglio nel parlare; ma lui macché, non ce la faceva più a seguire quel discorso, seguitando invece a pensare per conto suo.
Così, quando il partigiano anziano finì di parlare, e uscì per guardare fuori al di là del casone, manco se ne accorse: difatti, era già da un pezzo che gli era venuto in mente di quella volta a Baiardo, quando attaccarono i bersaglieri.
Fu quella volta della sparatoria contro i bersaglieri, quando col distaccamento al completo, ci andarono proprio sotto di sorpresa: ci andarono fin sono le finestre, dentro il paese, dove erano accampati i fascisti con le sentinelle da tutte le parti da picchiarci dentro; ed eccolì, quella volta perdio, anche lui aveva visto Cardù da morto.
Ma l'aveva visto soltanto dopo il gran fracasso della sparatoria, che l'aveva ancora forte nelle orecchie: Cardù era lì sulla strada rovesciato per terra, tutto sfracellato come quelli sulla neve al di là del forte Centrale, che aveva detto il partigiano anziano.
Fu quella volta famosa dell'attacco di Baiardo, quando ci andarono tutti spensierati, e lui non se lo scordava più come successe a quel modo così in fretta: eppure, nemmeno adesso gli pareva ancora vero che quella volta se lo fosse trovato morto, proprio lì davanti, il suo compagno Cardù; dopo tutti i discorsi insieme che avevano fatto prima.
Voglio dire a quel modo comese proprio, quasi quasi, stessero ancora per finire il discorso appena incominciato; difatti, lì per terra tutto sporco di polvere e di sangue, pareva che gli fosse rimasta ancora la bocca aperta, come per parlare. Ma poi, lui gli era andato vicino a Cardù; e chissà perché, gli era venuta subito quella paura fredda della morte, vedendolo così rigido e fracassato; ecco com'è: è la paura di quando lo capisci bene che se uno è diventato rigido nella morte, è diventato un altro; ma è diventato tanto un altro, che ti mette perfino soggezione; non puoi manco più toccarlo, siccome te lo senti distante e assolutamente estraneo; così ti succede che uno, anche se ti è stato compagno, eccome, non te lo senti più propriamente compagno come prima quando ci parlavi insieme da vivo; te lo senti soltanto come un estraneo: e dentro ci senti una gran pietà un gran dolore e una gran rabbia per lui per te e per tutti quanti; mentre è così che vorresti metterti a gridare forte forte, stringendo i pugni. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 180
 
Coloro invece, che avevano voluto l'attacco, asserivano che fu proprio l'attacco inatteso a decidere i tedeschi alla ritirata dalla zona. La conclusione la si può derivare dai fatti come si sono svolti, dalle vittime, che ci sono state, e dalla impossibilità di conquistare Baiardo. Si era in guerra e nessuna azione, secondo alcuni, si doveva tralasciare per combattere i tedeschi. Concludeva Vitò: "Il mio parere negativo sulla battaglia di Baiardo era motivato dalla mia conoscenza diretta e sperimentata dell'armamento dei bersaglieri. Era ancora vivo nella mia mente l'esperimento fatto in altra battaglia precedente".
don Ermando Micheletto, Op. cit.

12 marzo 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Inviava il resoconto del comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" sull'attacco partigiano effettuato a Baiardo (IM) nella notte tra il 9 ed il 10 marzo, resoconto in cui si riportava che, dopo aver predisposto gli uomini per l'attacco al presidio fascista in previsione dell'intervento di aerei alleati, tutte le vie d'accesso, anche con la collaborazione di reparti della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", erano state bloccate; che verso le 8 del 10 marzo erano passati 6 caccia alleati, che avevano effettuato parecchie raffiche di mitra senza colpire, tuttavia, nessuno dei 45 bersaglieri repubblichini; che, al segnale, tutti i garibaldini erano usciti dal bosco attaccando i fascisti; che questi ultimi rispondevano al fuoco; che il combattimento era durato per circa 30 minuti, in quanto, arrivati rinforzi nemici da Ceriana e terminate le munizioni, i partigiani si ritiravano, dopo aver lasciato sul terreno 2 uomini caduti in combattimento ed avere perso un altro garibaldino, catturato dal nemico e subito fucilato; che si poteva giudicare che l'azione alleata era stata inefficace, perché non era stato effettuato nessun bombardamento e che, per giunta, dagli aerei non era giunto il segnale concordato, cosicché i partigiani non erano potuti intervenire in modo simultaneo agli apparecchi.
14 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata al comando della I^ Zona Operativa Liguria, al comando della II^ Divisione, alla Sezione SIM della II^ Divisione ed al comando della V^ Brigata - Informazioni militari: "...  Il presidio di Baiardo dopo l'attacco effettuato il 10 c.m., è stato rinforzato da forze naziste. Durante detta azione rimanevano feriti 4 bersaglieri e l'ufficiale comandante il presidio. Quest'ultimo è stato ricoverato all'ospedale di S.Remo...."
da documenti  Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 
A seguito dell'attacco a Baiardo (9-10  marzo  1945) da  parte  di  Distaccamenti  della  V^  Brigata  si scatena furiosa la reazione nemica. Vittò, Curto, Armando Fragola Doria Izzo, il capitano inglese Robert Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi, Felice Miroglio, Alfredo Maiano  Lupo, ed  altri  partigiani  quali  staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata Gerbonte (Triora), si mettono in marcia verso una grotta pensandovi di trovare rifugio sicuro. Intanto nella notte  tra  il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe  tedesche  appartenenti  ai  RAP  (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la borgata senza che fosse  dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati. Infatti all'alba lasciano Gerbonte per raggiungere la grande grotta, che si  apre nei pressi di Loreto. Giunti alla grotta il capitano Bentley si accorge di aver dimenticato l'antenna della radio nella casa di Gerbonte. Viene incaricato del recupero la staffetta partigiana Lupo, che è preso in  rastrellamento dai  nazifascisti nella zona di Gerbonte e successivamente condotto nei  pressi di Molini di Triora ed ivi fucilato (11.03.1945). Il ritardo del ritorno di Lupo fa  insospettire il gruppo, per cui parte in missione il  garibaldino Felice Miroglio, che cade ucciso da un colpo di Mauser nei pressi di Gerbonte. Lo stesso giorno, 11 marzo  1945, nei pressi di Bregalla <Frazione di Triora (IM)> viene ucciso in combattimento dai tedeschi il partigiano Paolo Bruno Oddo.
Mons. Cav. Ferdinando Novella, Il martirio di Molini Triora (3.07.44 - 25.4.1945), edito dal Comune di Molini di Triora, 2004 


sabato 23 novembre 2019

Il partigiano "5 minuti"

Strada San Sebastiano a Vallebona (IM)
 
In primo piano un tratto delle colline che collegano Negi di Perinaldo a San Sebastiano di Vallebona e che nascondono alla vista Vallecrosia

Rosina
(Luciano Mannini) racconta: "Il servizio di informazioni militari, esplicato dalla missione «Leo» in Italia con i comandi alleati, ebbe inizio alla fine del settembre 1944, con l'arrivo nella zona della V^ Brigata [d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni"] di ufficiali americani ed inglesi giunti attraverso i passi montani dal Piemonte, ove erano stati paracadutati. Il capitano Leo [Stefano Carabalona], attestato allora a Pigna, comandante del distaccamento che li ospitava e che provvide in seguito a farli condurre - parte attraverso i valichi alpini e parte via mare - in Francia, stabilì col capo della missione alleata [Missione Flap] i primi accordi che dovevano condurre alla formazione di un gruppo specializzato che collegasse, per mezzo di una rete segreta, la nostra zona a quella occupata dagli alleati e fungesse da centro di raccoglimento e di smistamento di notizie militari e politiche interessanti la lotta". La missione Leo alla quale appartenevano Rosina, Lolli [Giuseppe Longo], Giulio Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [il 10] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall'infaticabile «Caronte» Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l'altro, l'uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno. 
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975   

[n.d.r.: i rapporti dei partigiani imperiesi con gli alleati si intensificarono a dicembre 1944. Comandante della Missione Militare presso il Comando Alleato, con vice comandante Lolli (Giuseppe Longo), era Stefano Leo Carabalona, già valoroso responsabile di distaccamento, operante in Alta Val Nervia, distintosi in particolare nella battaglia per Pigna (IM) e destinato a rimanere gravemente ferito l'8 febbraio 1945 a Vallecrosia (IM) in un agguato teso da agenti nazisti. In questo contesto si inquadra la presente testimonianza]

[...] L'operazione più importante alla quale partecipai fu la fuga dei 5 prigionieri alleati che trasportammo in Francia. I 5 soldati erano 2 americani, 2 inglesi e un francese. Gli inglesi erano: Michael Ross, capitano del Welch Regiment; Bell Cecil "George", tenente della Highland Light Infantry. Il francese era Fernand Guyot, pilota. Gli americani erano i piloti Erickson e Klemme: non ne so né il nome, né il reparto, né altri dettagli, solo che erano piloti [da ricerche fatte compiere presso l'Istituto Storico dell'US Air Force Giuseppe Mac Fiorucci appurò che si trattava di Lauren Erickson, tenente pilota di P38 Lightnings, 1° Gruppo 270° Squadrone, e Ardell Klemme, (1) tenente pilota di bombardieri B25, 340° gruppo, 489° Squadrone]. Dopo l'8 settembre 1943 erano fuggiti dai campi di prigionia e avevano vagato per l'Italia settentrionale alla ricerca di un passaggio per la Svizzera o per la Francia liberata. La Resistenza li nascose a Taggia (IM) per qualche tempo, sperando nell'arrivo di un sottomarino per metterli in salvo. Nel febbraio del 1945 il Comando decise di tentare da Vallecrosia. 

(1) [ Klemme era caduto in prossimità di Breme, in Lomellina. E’ interessante notare come gli aviatori finiti in quel lembo di pianura pavese chiamato Lomellina potessero andare incontro ai più diversi destini [...] Klemme, caduto al confine con il Piemonte, fu dunque indirizzato verso il Monferrato e si ritrovò con Harris. Entrambi, purtroppo, persero il volo del 19 novembre. Il giorno successivo, i tedeschi attaccarono il campo d’aviazione di Vesime, se ne impadronirono e dissestarono il terreno di volo arandolo ripetutamente. I partigiani sarebbero nuovamente riusciti a rimetterlo in funzione, ma non prima della primavera successiva. Sfumata questa possibilità, Augusto Bobbio decise di trasferire Harris e Klemme a Prea, nella zona di Cuneo. I due aviatori, marciando sempre di notte, giunsero a Prea tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1944. Furono presi in consegna dai partigiani di un’altra formazione autonoma, la Divisione Alpi di Pietro Cosa, che operava in collegamento con una Missione militare anch’essa britannica. Di quest’ultima Missione aveva fatto parte, tra agosto e ottobre, un singolare personaggio, il capitano canadese Paul Morton [...]
Alberto Magnani, I sentieri della salvezza. Aviatori americani e resistenza italiana tra Piemonte e Liguria in Gruppo Ricercatori Aerei Caduti Piacenza (Grac)

Da informazioni non controllate o da semplici supposizioni popolari sembra invece che Dell Klemme si sia salvato [...] passare e ripassare più volte  a volo radente su Pecetto un aereo il quale, raggiunta l'altezza del Castello, avrebbe effettuato alcune scivolate d'ala per trasmettere l'ultimo saluto ai suoi amici di un tempo. Il pilota di quell'aereo sarebbe stato Dell Klemme.
Osvaldo Mussio, Tra lo Scrivia e il Po. Uomini e episodi della Resistenza, Edizioni dell'Orso, 1982  ]


Fui incaricato di prelevare i 5 al solito posto vicino a Negi. [...]

 
Il solito posto, cui si fa riferimento nella testimonianza, era la grotta naturale in Località Cagadiné sul Monte Caggio, in cui sgorga anche una sorgente naturale. Un sito sovrastante un sentiero per la Frazione Borello di Sanremo (IM). Voci popolari raccontavano di disertori della Grande Guerra, nascosti in quella cavità (Fiorucci, Op. cit. infra)

Ubbidirono [quel gruppetto di ex prigionieri * alleati che i partigiani dovevano contribuire a condurre in salvo in Francia] non senza proteste. 
 
[ * Un importante precedente di esfiltrazione di ex prigionieri alleati verso le loro linee in Francia si ebbe ai primi di ottobre 1944 in occasione del passaggio da Pigna (IM), mentre infuriava la battaglia a difesa della libera Repubblica Partigiana, di una missione di ufficiali alleati, che avevano preso con loro i fuggitivi: come riportato a questo link. ]
 

Ma fu una buona idea. Procedendo attraverso gli uliveti, poco dopo Vallebona (IM), nell'attraversare il sentiero (adesso è una strada carrozzabile) che da Vallebona va a San Sebastiano, quasi finimmo in braccio a una pattuglia tedesca che da Vallecrosia Alta andava a Vallebona e si era fermata per una breve sosta proprio all’altezza della croce dei Padri Passionisti.

I cinque si convinsero che marciare raggruppati e scalzi era una buona scelta. Acquattati fra gli alberi di olivo, attendemmo che la pattuglia tedesca si allontanasse prima di riprendere la marcia verso Vallecrosia. 
Il tenente inglese Bell continuava a chiedermi quanto tempo mancasse all’arrivo, e io rispondevo sempre “5 minuti”. Seppi poi nel dopoguerra che, nelle sue memorie che annotava nel diario che custodiva gelosamente, mi aveva soprannominato proprio “5 minuti”.

Arrivammo a Vallecrosia (IM) dopo mezzanotte [diverse fonti indicano che era il 10 marzo 1945; il tragitto da Negi al mare si era svolto nella notte tra il 9 ed il 10].

Doveva giungere dalla Francia o un sommergibile o il motoscafo di “Caronte” [Giulio "Corsaro" Pedretti] per prelevare gli ex prigionieri.

Aspettammo fin quasi all’alba. Non arrivò nessuno. Questo fu un grave imprevisto: un conto è nascondere cinque soldati alleati in montagna, altro è nasconderli in un centro abitato bombardato dagli alleati e sottoposto a continui rastrellamenti. 
Li nascondemmo a sua insaputa nella casa di Fortunato Lazzati, vicina all’abitazione di Achille [“Andrea” Lamberti].

Fortunato era sfollato a Vallecrosia Alta e aveva sbarrato la porta della sua casa … ma non gli scuri della finestra. Caso volle che Fortunato proprio l’indomani scendesse da Vallecrosia Alta per prendere qualcosa in casa. Sollevato lo sportellino della finestra vide i cinque sconosciuti dormire sul pavimento. Chiuse e scappò non ritornando che a guerra conclusa. 

Prelevammo un’altra barca dal solito deposito, la predisponemmo alla meglio e la portammo al mare attraverso Via Impero.
...
Dapprima si dovette concordare la cosa con la postazione dei bersaglieri [i bersaglieri del sergente Bertelli collaboravano clandestinamente con il Gruppo Sbarchi Vallecrosia dei partigiani] e soprattutto addormentare il tedesco. Infatti con la postazione dei bersaglieri c’era un soldato tedesco di collegamento con la guarnigione tedesca accasermata in via Roma, all’altezza della centrale elettrica di trasformazione. Quando dovevamo effettuare uno sbarco, il tedesco veniva addormentato con del sonnifero nel vino; quando non c’era il sonnifero [procurato alla bisogna dal dottor Salvatore Marchesi]… solo con il vino Rossese. Incaricato dell’operazione di addormentare o ubriacare il tedesco era Achille.

Più di una volta Achille raccontò che in una delle ultime bevute il tedesco biascicò e gesticolò qualcosa che gli dette a intendere che aveva capito tutto: "Versa, versa ancora che dormire... gut… "


La barca, scelta troppo frettolosamente, non aveva i soliti pianali che si adagiano sul fondo per evitare di appoggiare direttamente sul fasciame.

[Bell e Ross avevano già alle spalle una lunga serie di eventi, qui riferiti in modo molto sintetico. Erano fuggiti, come tanti altri prigionieri di guerra, in seguito agli eventi connessi all'8 settembre 1943. Ai primi di novembre 1943 erano arrivati in provincia di Imperia, dove in seguito ad un fortuito incontro furono accolti dal martire della Resistenza (arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino) Renato Brunati, in quel momento a capo di 7 o 8 partigiani, che avevano base in una villa vicina a Baiardo (IM), di proprietà di Lina Maiffret, compagna del Brunati, la quale dalla prigionia in Germania tornò viva. Il Brunati aveva fatto in tempo ad affidare la sorte dei due piloti all'amico e sodale Giuseppe Porcheddu, che li nascose nella sua villa Llo di Mare in Località Arziglia di Bordighera (IM). Ci fu almeno un tentativo, non riuscito, di una loro fuga in motoscafo verso la Corsica... Adriano Maini]

Imbarcati i cinque prigionieri, Enzo Giribaldi e Achille presero il largo... e la barca letteralmente si sfasciò. Udimmo qualche grido di aiuto e ci buttammo a mare per cercare di soccorrerli. Accorsero in acqua anche i bersaglier, con i quali formammo una catena tenendoci per mano. Non dimenticherò mai quella scena: freddo, mare grosso e in acqua quella catena di bersaglieri con le mantelline che galleggiavano. Sembravano funghi. Soccorremmo i primi, tra i quali uno degli americani che aveva bevuto molto e stava veramente male; Enzo Giribaldi perse anche uno degli stivali che indossava. Mancavano Achille e i due inglesi. Era strano perché Achille era un nuotatore eccezionale. Dopo qualche minuto, apparve con i 2 inglesi che spingeva a turno verso la riva e trascinando il cappotto di uno dei prigionieri.

"Tùti in tu belin a mi!": disse allora Achille. Apprendemmo che l’ufficiale inglese, Bell, non voleva liberarsi del cappotto, malgrado che, quello inzuppandosi, lo trascinasse a fondo, e rendendo ad Achille ancor più faticosa l’opera di salvataggio.
Achille glielo tolse quasi con la forza e scagliando tanti accidenti. Nel cappotto l’inglese custodiva il prezioso taccuino delle memorie: non voleva assolutamente perderlo. Altri affermarono che nel cappotto tenesse delle sterline d’oro, ma mi sembra inverosimile che un prigioniero di guerra, dopo 2 o 3 anni di campo di detenzione, possedesse ancora delle sterline d’oro. 

La corrente spinse il relitto della barca fino a Latte [Frazione di Ventimiglia (IM), vicina alla Francia] e la cosa successivamente ci creò non pochi problemi. 

I bersaglieri rientrarono nella loro postazione e sicuramente anche il tedesco li vide bagnati fradici.

Credo che Achille non sbagliasse, quando affermava che il soldato tedesco aveva capito tutto. 
I cinque prigionieri furono riportati di nuovo a casa di Fortunato. Si doveva rifocillarli e provvedere loro di vestiti asciutti. 

La panetteria Bussi a Vallecrosia (IM)
Mentre Achille procurava del pane dal forno del partigiano Francesco Bussi, sua madre pensava bene di stendere a asciugare le divise dei soldati alleati sul terrazzo … in bella vista dalla strada! Fortuna volle che, prima di qualche milite fascista, passassi io, che avvisai subito Achille del pericolo [...]

Renato Dorgia, "Plancia" **, in Gruppo Sbarchi Vallecrosia  di Giuseppe Mac Fiorucci, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM), 2007>  ** insignito di Croce al Merito di guerra per attività partigiana

14 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 436, a "R.C.B." [capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] - Comunicava che ... i garibaldini partiti tra il 5 ed il 6 marzo per la Francia non erano ancora rientrati.

19 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, Sezione SIM, prot. n° 467/SIM, a "Brunero" [Francesco Bianchi], responsabile SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione “Felice Cascione“] - Comunicava che ... "Renzo" [Renzo Stienca Rossi] era ancora trattenuto in Francia...

1 aprile 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, a firma di Albatros [Mario Mascia], prot. n° 517/CL, al Comando della I^ Zona Operativa Liguria, a R.C.B. [capitano Robert Bentley] ed al SIM della V^ Brigata - Veniva comunicato che i nemici avevano scoperto a Bordighera [in effetti Vallecrosia e Camporosso Mare] il luogo in cui sbarcava Renzo [Renzo Stienca Rossi], ormai strettamente sorvegliato dalle SS tedesche. "… Vi comunichiamo urgentemente che i nazifascisti hanno scoperto il luogo di sbarco di Renzo a Bordighera. Le S.S. germaniche sono state appostate sul luogo stesso ed i bersaglieri sono sotto strettissima sorveglianza. Uno sbarco, quindi, al momento attuale sarebbe pericolosissimo, anzi fatale. È essenziale che radiotelegrafiate immediatamente in Francia perché la partenza di Renzo sia rimandata in attesa di nostre disposizioni in merito a meno che non si possa lanciarlo per paracadute. Vogliate provvedere senza indugio perché ne va della vita dei nostri uomini e della nostra organizzazione…"

4 aprile 1945 – Dal Quartiere Generale rappresentante dell’Alto Comando Alleato [capitano Robert Bentley] al commissario Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata] - Veniva conferito incarico al commissario in indirizzo di avvisare i responsabili della ricezione degli sbarchi di iniziare le segnalazioni alle ore 23.15 del giorno 4 stesso per i 5 giorni successivi, mentre dal giorno 10 al giorno 12  dovevano iniziare alle ore 24.  L’intervallo tra una segnalazione e l’altra doveva essere di 5 minuti.  Si richiedevano chiarimenti sulla lettera del 29 marzo con la quale era stato comunicato che i tedeschi erano a conoscenza del punto di sbarco.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999