Visualizzazione post con etichetta Val. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Val. Mostra tutti i post

lunedì 25 settembre 2023

Hanno detto che i tedeschi hanno i cani da guerra

La Val Lerrone. Fonte: mapio.net

Verso sera [6 marzo 1945] al comando [della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] di Poggiobottaro si venne a sapere che a Cesio c'erano quattrocento tedeschi. La notizia meritava di essere considerata attentamente. Cesio era un piccolo paese sulla «28». Difficilmente si sarebbe prestato ad alloggiare tante persone oltre al normale presidio di Brigate Nere. Perché i tedeschi non avevano proseguito per Pieve? Una puntata nemica da Cesio sarebbe stata facile: dal paese partiva una carrozzabile per la Val Lerrone ed un'altra portava a Testico e di là, in cresta, fino ad Alassio. Più difficile era che il nemico conoscesse con esattezza la sede del comando, ma dopo tanto tempo di permanenza nello stesso posto, non si poteva escluderlo. Varie proposte consigliate dal buon senso vengono esaminate. Si potrebbe montare la guardia poiché tra noi e Cesio non c'è nessuna banda. Si potrebbe partire per una, meno minacciata, subito, o verso le tre di notte, dopo sorta la luna. Le varie soluzioni non vengono accettate, soffocate da una sorta di fatalismo, poi alla cosa viene dato un tono scherzoso, la minaccia viene volutamente accentuata per impressionare chi riteniamo più degli altri impressionabile.
«Hanno detto che hanno i cani da guerra, lo ha riferito un contadino che è arrivato ora da Cesio, è una cosa seccante». Guardo Vittorio, il padrone di casa che, in cambio dell'ospitalità, vuole essere considerato partigiano anche lui. Noi avevamo acconsentito volentieri perché in verità condivideva molti dei nostri rischi, però pensavamo, forse a torto, che in lui non vi fosse la stoffa del partigiano. Ho l'impressione che la notizia sia diretta a lui, vedo che si controlla bene, ma ha gli occhi lucenti, attenti. «E come li impiegano i cani da guerra? Non sentiranno mica i partigiani dall'odore?». Chiede con voce che sembra indifferente. «No, il cane non distingue il partigiano dal contadino» - spiega Livio - «i tedeschi quando giungono in paese di notte lanciano i cani lupo per le strade e chiunque esca di casa viene azzannato. I soldati intanto perquisiscono sicuri che nessuno possa scappare». «Anche ad Alba li hanno impiegati» - aggiungo io - «a Degolla li hanno lanciati contro i partigiani che sparavano distesi per terra: è un brutto affare, se stai in piedi i tedeschi ti vedono, se ti stendi i cani ti addentano alla gola». «Sapete la storia del Monco?». Racconta Giorgio. «In quel di Triora, prima dell'ultimo rastrellamento avevano detto che era un tedesco delle SS che aveva ammaestrato i cani da guerra. I cani sentivano l'odore dei partigiani e scoprivano i rifugi. Il Monco li seguiva e con un uncino, perché era mutilato di una mano, tirava fuori i partigiani dalle tane. Quando il rastrellamento comincia due partigiani, che sapevano la storia del Monco, si nascondono in un rifugio. Dopo qualche tempo sentono un cane ansare fuori dell'apertura. Che sia la bestia del Monco? Due mani escono dal rifugio, il cane è afferrato per la gola, strozzato, tirato dentro. Tre giorni sono vissuti i due nella tana con la bestia morta: era un povero cane da pastore perché il Monco non era mai esistito».
Era abitudine dei partigiani essere spietati con coloro cbe dimostravano qualche timore. Venivano spaventati al punto che non distinguevano più il vero dal falso. Ricordavo uno della Matteotti: Lupo; dopo averlo preparato a dovere con vari racconti di torture e fucilazioni avevamo finto un imminente attacco tedesco e lo avevamo mandato solo in esplorazione. Non era più tornato.
Pure quella sera i tedeschi di Cesio non erano una fantasia. Pensavo al rapporto che ci era pervenuto dopo Upega: «E' possibile dopo un anno di vita partigiana essere ancora sorpresi?». Era ancora possibile.
La notte passò tranquilla per quanto il mio sonno leggero venisse più volte interrotto dal canto di un gallo.
Il giorno 7 torno a Segua [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e l'8 vado al recapito staffette di Ginestro per vedere se hanno preparato i conti. Al recapito trovo un francese che giorni prima era passato da Segua. «Sei ancora qui?» gli chiedo. «Si è accorto che può mangiare e non far niente ed è ormai impossibile mandarlo via» mi dice una staffetta. Il francese era un giovane biondo, robusto, pareva più un tedesco che un latino, era un tipo singolare. Era passato da Segua con un telo da tenda sulle spalle. «Ho visto un contadino che batteva l'ulivo raccogliendo i frutti nel telo. Militare, gli ho detto io, ed ho preso il telo» - così aveva raccontato - «quello mi è corso dietro dicendo che lo aveva pagato, ma io sono stato buono e non gli ho dato niente».
«Poteva averlo pagato davvero» aveva detto Bertumelin indignato.
«E poi col mangiare e con l'alloggio che vi diamo mi sembra che possiamo averceli guadagnati dei teli e delle coperte militari che a voi non servono». «Potevo anch'io pagarlo con questa» aveva replicato il francese mostrando la rivoltella; «ma non l'ho fatto perché ero di buon umore».
«Come è che sei in Italia?», gli chiesi.« Affondato nel '40 con la mia nave presso Piombino. Fino al '43 prigioniero, adesso libero».
«Sarai contento di tornare a casa fra qualche mese a guerra finita?».
«Fra qualche mese? Troppo presto... Dovrò lavorare di nuovo, è più bello fare la guerra». «E gli altri cinque che vi ho mandato giorni fa?» chiesi alla staffetta.
«Li ho portati alla Cascione, avevano fretta di tornare in Francia. Appena fusa la neve cercheranno di passare».
Anche quelli li avevo visti a Segua: erano aviatori abbattuti: «Se i tedeschi ci prendono dico che sono canadese», aveva detto uno di loro. «Un mio compagno è stato tagliato con la sega circolare perché era francese».
La pattuglia dei ciclisti tedeschi continuò a percorrere la Val Lerrone sempre più spesso. Passò il 6, l'8, il 13. Il giorno 8 giunsero anche cani con tedeschi che requisivano fieno. La ricostruzione del ponte di Garlenda proseguiva lentamente, l'inattività partigiana cominciava a pesare, i borghesi, che all'inizio erano atterriti, temendo che tendessimo qualche imboscata alla pattuglia, cominciavano ora a parlare di accordi segreti, di compromessi fra noi ed i tedeschi. Una squadra della banda di Rostida, decisa a por fine a questo stato di inferiorità, si appostò a Case Soprane in attesa della pattuglia. I borghesi ripiombarono nel terrore e prima avvertirono i nostri dell'arrivo dei tedeschi, poi, visto che i partigiani non scappavano, andarono ad avvertire i tedeschi facendo fallire l'imboscata. Il Comando divisionale fece rientrare alla base la squadra che per rappresaglia stava requisendo galline e conigli.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980,  pp. 163-167, pp. 196-199

7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 1 marzo il Distaccamento con l'ausilio di civili aveva effettuato il diroccamento del ponte di Degna e che il giorno 5 aveva fatto brillare con 3 mine il ponte di Garlenda "rendendolo inutilizzabile".
13 marzo 1945 - Dallo Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" avviso n° 1 alla popolazione costiera - "Si invita la popolazione ad allontanarsi dagli obiettivi militari. Si consiglia di annotare i luoghi abitati da tedeschi e fascisti e di tenere sotto sorveglianza la Feldgendarmerie".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 24 marzo 2023

Sull'atlantino dei partigiani la mia matita annerisce giorno per giorno le regioni della Germania che sfuggono al Terzo Reich

Andora (SV): dintorni. Foto: Eleonora Maini

Il problema degli effettivi venne risolto in pratica da ogni capobanda a suo piacimento. Le disposizioni del Comando lasciarono largo margine d'interpretazione e furono solo abbastanza precise nello sconsigliare l'arruolamento di repubblicani. Quasi tutti i comandanti ingrossarono la propria banda, poiché comandare molti uomini era ambizione diffusa.
Solo pochi come Stalin [Franco Bianchi, comandante di un Distaccamento] e qualche altro preferirono un pugno d'uomini decisi anteponendo la qualità alla quantità. Quando i distaccamenti si ingrossarono eccessivamente intervennero i comandi brigata e li scissero in due.
In Val Tanaro Fra' Diavolo operava del tutto autonomo inviando notizie saltuarie della sua attività. L'attrazione del suo nome era tale che la IV Brigata «D. Arnera», che dipendeva da lui, e che era agli inizi composta del solo distaccamento «M. Longhi», ai primi di aprile 1945 conterà ben cinque bande.
La I Brigata portò anch'essa il numero dei propri distaccamenti da tre a cinque assumendo uno schieramento a parziale difesa della valle d'Andora.
A nord la II e la III  Brigata si riprendevano più lentamente, date la crisi dei comandi e la mancanza di servizi efficienti.
Il 24 marzo 1945 l'attenzione si porta nuovamente su Alto perché pare imminente un lancio di maggiore importanza. Lo schieramento di difesa è meno imponente. Pensiamo che ciò sia dovuto alla rapidità con cui si è svolta la raccolta del primo lancio e alla lentezza della reazione nemica. Un rapido abbassarsi della temperatura e una ripresa delle piogge sui monti impone un nuovo duro sacrificio alle bande di presidio sulle cime. Il morale degli uomini, già duramente colpito dalla morte di Rostida [Costante Rustida Brando], subisce una nuova prova: l'aspetto della valle è tornato ad essere invernale, l'incubo del rastrellamento si alterna alla speranza del lancio imminente.
Torno ad Alto dal 24 al 28. Vi trovo Libero [Paolo Aicardi] con i resti del «G. Maccanò» salvatisi un mese prima dal rastrellamento di Aurigo. Gli uomini sono profondamente demoralizzati, il commissario li ha piantati. «Mi ha mandato lo Sten ed i soldi e non si è fatto più vedere», diceva Libero ai compagni. «E' stato galantuomo che ti ha mandato i soldi», lo consolava Turbine. C'era poi la faccenda del manifesto di mobilitazione di Aurigo. «Mi hanno dato gli arresti per la quarta volta», diceva Turbine. «Adesso però sono innocente. Non mi sono mai mosso da Alto da un mese ed un tipo strano che passa per Aurigo fa un manifesto e lo firma Turbine. Il Comando mi manda una lettera: Turbine agli arresti. Per fortuna che sono parole» Il tipo strano che aveva avuta la geniale idea del manifesto era Libero.
Il G. Maccanò venne sciolto, gli uomini aggregati alla brigata di Fra' Diavolo ed una nuova banda G. Maccanò, formata da nuove reclute, farà parte della IV Brigata.
La banda di Trucco o distaccamento M. Agnese che, dai tempi di Upega, ridotto a dodici uomini, vivacchiava nella Val di Mendatica, invitato più volte ad unirsi al grosso della Divisione, passò la «28» il giorno 25 fermandosi presso Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)].
I giorni passavano lenti tra la pioggia ed il fango nell'inutile attesa. Spesso il cavo a bassa tensione che collegava Alto con la dinamo in fondo al torrente aveva dispersioni e le trasmissioni radio subivano forti abbassamenti di volume. Cambiando rapidamente la spina del trasformatore riuscivamo a riprendere l'ascolto, ma ogni volta sfuggivano intere frasi ed ogni parola poteva essere quella del lancio da noi atteso. Al pomeriggio, alle 20.30, dopo cena ad ogni trasmissione gli incaricati dal comando, circondati dai compagni ascoltano parole e parole. Coi messaggi speciali giungono le notizie delle armate del Reno: l'offensiva finale è in corso, città e città, chilometri e chilometri di Germania vengono occupati dagli alleati: sull'atlantino dei partigiani la mia matita annerisce giorno per giorno le regioni della Germania che sfuggono al Terzo Reich. La fine del nazismo non è ormai più lontana, è però sempre più per noi un'incognita l'atteggiamento che terrà l'esercito tedesco in Italia. La disfatta in Germania rende sempre meno sicura la ritirata dall'Italia. Se gli alleati non sfonderanno sull'Appennino non diverrà l'Italia del nord una grande sacca come Creta, il fronte di Curlandia, i porti francesi sull'Atlantico? Assieme alla Norvegia ed alla Boemia non sarà la nostra terra l'ultimo rifugio del nazismo morente? Comunque il momento decisivo è vicino e noi siamo ancora terribilmente impreparati.
Ricordavo lo scorso autunno... I piani per l'occupazione di Imperia... Quanto siamo mutati da allora. Il passato tornava sempre alla nostra mente, parlando con i compagni si ricordavano episodi noti, si apprendevano particolari sconosciuti.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980


22 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 234, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen" Massimo Gismondi] - Disponeva il passaggio di 10 Kg. di plastico con miccia e detonatore da "Ciccio" a "Marco" e di altri 10 Kg. da consegnare a "Mario".

23 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 238, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen" Massimo Gismondi] - Chiedeva di completare i preparativi per andare a ritirare il materiale in arrivo con un aviolancio alleato; di sospendere il colpo progettato contro il posto di blocco di Cervo ed ogni altra azione; di sottrarsi al nemico in caso di attacco, ma, se obbligati, di reagire.

24 marzo 1945 - Dal comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava l'assegnazione degli encomi solenni alla memoria a "Rustida" ed a "Remo", sottolineando che "Rustida", Costante Brando, era nato a Milano il 25 ottobre 1925, mentre di "Remo" non si conoscevano i dati biografici.

25 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 20 marzo 1945 alle ore 7 forze nemiche, provenienti da Pornassio, San Bernardo di Garessio, Cerisola, Acquetico e Castel Bianco, avevano effettuato un rastrellamento in Val Pennavaira; che i garibaldini di Caprauna, avvisati da una sentinella appostata sul Passo dei Pali, si erano spostati sulle rocche sovrastanti Alto; che il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" era stato sorpreso e nella fuga aveva lasciato nel casone il mitragliatore Breda 1930 e diverso materiale di casermaggio; che i garibaldini "Rustida" [Costante Brando] e "Remo" [Francesco Pescatore] avevano aperto il fuoco, ma erano stati feriti da un colpo di mortaio; che "Rustida" dopo qualche minuto decedeva e "Remo" si suicidava per non cadere vivo in mano ai tedeschi; che i nemici avevano abbandonato la Val Pennavaira alle ore 22; che il servizio di sentinella di Alto-Caprauna aveva funzionato bene mentre quello di Nasino "pur avendo funzionato non ha preso sul serio l'allarme facendo giungere i nemici vicino ai casoni"; che stava per dare disposizione al comandante ["Gino", Giovanni Fossati] della II^ Brigata "Nino Berio" "di infliggere 12 ore di palo ai responsabili del cattivo funzionamento del servizio di guardia". Comunicava, poi, le situazioni di alcune formazioni: il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" era privo di comandante perché "Riva" [Stefano Polini] si era rifugiato nelle Langhe ed aveva bisogno anche di un commissario; la stessa situazione si presentava al Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" che aveva perso un mitragliatore; il comandante "Basco" [Giacomo Ardissone] aveva formato un altro Distaccamento che avrebbe preso probabilmente il nome di "Rustida" [Costante Brando]; una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" aveva recuperato in Piemonte 1 mitragliatore pesante americano, 1 fucile inglese ed 1 Sten; il 22 marzo 1945 "Fra Diavolo" aveva compiuto un attentato sulla strada statale 28 in cui avevano trovato la morte la morte un maggiore tedesco ed altri soldati. Informava che era stato il comandante "Libero" [Paolo Aicardi] a firmare in modo arbitario a nome di "Turbine" [Alfredo Coppola] il manifesto del reclutamento non volontario di Aurigo e che i garibaldini della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", condannati a morte dai tedeschi a Pieve di Teco, erano riusciti a fuggire e, avendolo richiesto, erano stati inquadrati nel Distaccamento "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio".

25 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] a "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a "Giorgio" [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] - Comunicava che rispetto a quando "Giorgio" era stato in visita in Val Pennavaira il morale della popolazione era mutato perché il rastrellamento del 3 marzo, nonostante la buona notizia del riuscito primo aviolancio alleato, l'aveva gettata nello sconforto; che dal citato lancio i partigiani si aspettavano almeno uno Sten; che il recente rastrellamento del 20 marzo avevano addirittura terrorizzato la popolazione per la minaccia tedesca di bruciare tutte le case. Segnalava "la non esemplare combattività" dei Distaccamenti "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio" e "Giuseppe Maccanò" e l'efficienza delle altre formazioni della II^ Brigata "Nino Berio"; la formazione del Distaccamento "Costante Brando", dedicato alla memoria di "Rustida", per il quale proponeva "Meazza" [Pietro Maggio] come comandante; che "Fra Diavolo" nonostante le difficoltà che incontrava in Val Tanaro teneva "alto l'onore dei garibaldini".

26 marzo 1945 -Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio  Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.

27 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" all'Intendenza della I^ Brigata - Comunicava la forza effettiva dei Distaccamenti della Brigata "per regolare la distribuzione dei viveri": Distaccamento "Francesco Agnese" 36 uomini, Distaccamento "Marco Agnese" 21 uomini, Distaccamento "Giovanni Garbagnati" 37 uomini, Distaccamento "Franco Piacentini" 15 uomini, Distaccamento "Angiolino Viani" 29 uomini, Comando Brigata 8 uomini.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di traferire per il momento parte della VI^ Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso [Località di Viozene, Frazione di Ormea (CN)], mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 254, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] - Comunicava che il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandato da "Stalin", Franco Bianchi] doveva trasferirsi a Testico con le sue 3 squadre; che "Zuvenotto" [Giovanni Tabbò] aveva riconsegnato lo Sten; che a partire da quel giorno le posizioni assegnate ai Distaccamenti dovevano avere postazioni coperte con feritoie per le armi ed essere anche adibite a dormitori.

28 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ed ai comandi della I^ Brigata "Silvano Belgrano", della II^ Brigata "Nino Berio", della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", tutte della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che i comandanti delle formazioni in indirizzo dovevano far sapere alla popolazione "tramite la voce dei parroci" che chiunque avesse fatto trapelare informazioni sui garibaldini sarebbe stato processato, correndo anche il rischio di essere fucilato; che chi si fosse autoproclamato capo o rappresentante di una formazione garibaldina sarebbe stato punito con un numero di ore di palo, ancora da determinare e da scontare presso un Distaccamento; che quelle dispizioni entravano in vigore il 1° aprile 1945.

28 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al vice comandante ed al vice commissario della VI^ Divisione - Comunicava che il comandante della VI^ Divisione "Giorgio" [Giorgio Olivero] aveva trovato con la sua visita molto efficiente la I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi]. Sottolineava che occorreva riunire al più presto "il Tribunale Militare per analizzare e sanzionare i fatti di Nasino". Chiedeva di sollecitare il rientro di "Trucco" [vice commissario della II^ Brigata "Nino Berio"]. Informava che "Fra Diavolo" [in Val Tanaro] chiedeva rinforzi. Proponeva di formare un nuovo Distaccamento intitolato al caduto partigiano "Rustida" [Costante Brando] con "Libero" quale comandante. Segnalava che la III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" "non funziona come dovrebbe".

28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che... il 22 marzo il Distaccamento divisionale "Mario Longhi", comandato da "Fra Diavolo" aveva ucciso sulla strada statale 28 in Val Tanaro un maggiore tedesco e 3 soldati.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione relativa alla proposta di assegnazione della medaglia d'oro al valor militare al caduto Roberto di Ferro.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 6 gennaio 2023

Disertori della Wehrmacht tra i partigiani dell'Imperiese

Dolceacqua (IM)

Almeno 170 garibaldini internazionali entrarono a far parte delle due divisioni Garibaldi «F. Cascione» e «S. Bonfante»; parecchi persero la vita sulla nostra terra, per la liberazione dell'Italia, e per contribuire alla liberazione della loro Patria vicina o lontana. Fra questi, più della metà furono sovietici, che raggiunsero le formazioni partigiane imperiesi con vero slancio, con la piena consapevolezza di un dovere da compiere verso la propria Patria, indimenticabile ed indimenticata, per condurre a migliaia di chilometri di distanza una titanica lotta contro il nemico comune.
Quelli con cui si riuscì, con grandi difficoltà, a stabilire il contatto, appena poterono fuggirono senza esitare un solo istante, con decisione e fermezza, mettendo a rischio la vita pur di raggiungere le formazioni. Già nel maggio del 1944 si era sentito parlare di prigionieri sovietici e polacchi nella I Zona Liguria che, inquadrati nella Wehrmacht, erano adibiti alla costruzione di fortificazioni lungo la costa. Mal nutriti, malmessi e bastonati o puniti con la morte, erano inavvicinabili da coloro che, con simpatia, avrebbero voluto dar loro un pezzo di pane.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977
 
Il contributo dei disertori della Wehrmacht alla Resistenza, segnatamente a quella della I^ Zona Liguria, è argomento degno di nota. Si trattava di uomini di nazionalità russa, polacca, serba ed austriaca, anche se non mancarono tedeschi che spesso si autodefinirono austriaci. I soldati di origine slava erano presenti in quasi tutti i presidi montani dell'esercito tedesco, soprattutto in Val Roia ed in Val Nervia. Furono numerosi, infatti, a Briga Marittima, San Dalmazzo di Tenda, Pigna, Isolabona, Dolceacqua, Carmo Langan, Perinaldo. I soldati non tedeschi dovevano in genere adempiere a compiti meno bellici, quali accudire i cavalli, numerosi soprattutto nei presidi germanici in Val Nervia, occuparsi della ricostruzione dei ponti distrutti affiancando i civili, condurre, spesso privi di scorta, carriaggi carichi di materiale.
Russi, serbi, polacchi, arruolati nella Wehrmacht, venivano sovente inviati in prima linea e, se accennavano a ritirarsi, divenivano oggetto di colpi di armi da fuoco degli altri soldati tedeschi.
Furono spesso, poi, questi soldati allogeni gli ultimi a lasciare l'imperiese, come nel caso di Apricale, dove di 18 soldati rimasti a presidiare il paese il solo di nazionalità tedesca era il maresciallo che li comandava.
Le diserzioni di soldati dell'Europa orientale, inquadrati nell'esercito tedesco, che si erano verificate già nel 1944, si intensificarono a gennaio e febbraio 1945, allorché diversi contingenti contattarono i garibaldini per trattare il loro passaggio nelle file della Resistenza, ma fu durante gli ultimi giorni di marzo  ed i primi giorni di aprile che si registrò un netto aumento di arrivi tra i partigiani di disertori dell'esercito tedesco.
Fatta eccezione per rari casi, come quello dei due soldati olandesi che indicarono ai tedeschi un nascondiglio di armi dei partigiani o quello dell'infermiere "Antonio", che guidò i suoi (ex) commilitoni nella strage della zona di Testico del 15 aprile 1945, i soldati di nazionalità non tedesca che entrarono nelle formazioni della I^ zona Liguria parteciparono con onore alle azioni di guerriglia. Molti di loro perirono in combattimento e spesso, per le difficoltà di comprensione della lingua, di loro rimase solo una scarsa traccia anagrafica, come per il russo "Gospar" fucilato con altri 3 garibaldini italiani il 19 gennaio 1945 in una frazione di Albenga o dell'altro russo "Androschi", il quale, catturato, fu capace di non rivelare nulla ai tedeschi.
Questi disertori della Wehrmacht erano in maggioranza di nazionalità russa o polacca. I comandi partigiani, per metterli maggiormente a loro agio, li inserirono in genere in formazioni in cui si trovavano già loro connazionali: poteva così accadere, come nel caso del V° Distaccamento "Felice Paglieri" del II° Battaglione "G.B. Rodi" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", che su 38 garibaldini 6 fossero dei russi.
Si verificarono anche episodi poco bellici, come nel caso del maturo russo "Miscia", il quale chiese al comando della I^ Brigata di essere trasferito in altro Distaccamento perché mal sopportava gli scherzi dei suoi compagni più giovani.
Al termine della guerra, giunto il momento di rientrare nei rispettivi paesi di origine, molti garibaldini dell'Europa orientale chiesero ai comandi partigiani il rilascio di certificati che attestassero la loro partecipazione alla lotta partigiana in Italia.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

La vallata di Apricale

Nel novembre 1943 una dozzina di ex-prigionieri jugoslavi, capitanati dall’ufficiale Ilija Radović, si aggregò alla Brigata Valcasotto: lavoravano con le squadre di guastatori e logistici e nell’ambiente partigiano vennero presto denominati “legione straniera”. “Sono gentiluomini e godono, come i partigiani, della simpatia della popolazione”, scrisse nelle sue memorie don Emidio Ferraris, parroco di Pamparato. Della “legione straniera” si perdono poi le tracce nella documentazione, probabilmente a seguito dello sbandamento della brigata dopo la tragica battaglia della Valcasotto del marzo 1944. Il gruppo riappare però in scena nove mesi dopo, nel corso di un rastrellamento dei nazisti nella vicina Val Corsaglia.
Ma nelle valli di basso Piemonte e ponente ligure, i nomi di partigiani provenienti da oltre Adriatico e passati per Garessio affiorano un po’ ovunque, spesso a fianco di altri nomi francesi, polacchi, tedeschi, sovietici.
Alfredo Sasso, Lo stesso destino: resistenza internazionale, civile e partigiana tra Val Tanaro e Jugoslavia, OBCT, 24 aprile 2020  

Uno scorcio di Alpi Marittime

Un episodio significativo era stata la ricerca di tre ufficiali jugoslavi prigionieri, evasi dal campo di concentramento di Garessio e rifugiatisi sul Monte Galero, saltuariamente soccorsi da Rina Bianchi di Nasino [in provincia di Savona, Val Pennavaira]. Pippo Arimondo con alcuni albenganesi... coronavano la ricerca, aggregando i tre slavi Milan R. Milutinovic (Mille), Obren L. Savic (Vincenzo) e Mihajlo Kavagenic (Michele o Dabo) al distaccamento ribelle. I tre jugoslavi combatteranno con i partigiani fino alla fine del conflitto. Arimondo (Pippo) nel gennaio 1944 scendeva ad Alassio per organizzare, come detto, il trasporto di armi e di munizioni. Nella sosta di alcuni giorni in Riviera incontrava in una casa privata di via Diaz, assieme a Virgilio Stalla, Angelo Martino e Giovanni Sibelli, il dirigente comunista Giancarlo Pajetta (Nullo o Mare), ispettore militare in viaggio lungo la costa ligure per coordinare le prime squadre partigiane comuniste, le Stelle Rosse. Avuto l'assenso per la disponibilità degli armamenti, Pippo ritornava ad Alto per riferire l'esito della missione. A quel punto Viveri (Umberto) e il comando partigiano rimandavano Pippo ad Alassio... Nel frattempo da Alto arrivava la tragica notizia della morte di Felice Cascione e la conseguente dispersione dei garibaldini verso il Piemonte.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

L'avvicinamento a Vessalico è compiuto all'indomani [8 ottobre 1944] alle 6 antimeridiane [...] Attuato da Cion (Silvio Bonfante) un lancio di manifestini invitanti alla resa gli Slavi e gli Austriaci presenti nel presidio - desiderosi di disertare - e inviata la ragazza Domenica Delfino per persuaderli a farlo veramente, viene sferrato un attacco violentissimo.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)

Il distaccamento Garbagnati con alla testa Massimo Gismondi (Mancen), comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano", lasciò Fontane di Frabosa Soprana (CN) il 13 novembre 1944 per ritornare in Liguria. Giunti a Pornassio, il trasferimento venne funestato dallo scoppio accidentale di una bomba a mano greca custodita nello zaino del vice responsabile del S.I.M. Rinaldo Delbecchi, che uccise Franz Mottl (Carlo), un disertore austriaco che aveva abbandonato nel mese di luglio il suo reparto per raggiungere il distaccamento di Silvio Bonfante (Cion), servendo fedelmente nei mesi che seguirono i suoi nuovi compagni.
[...] Il 24 novembre 1944 tre di questi vennero fucilati in località San Giacomo a Sanremo e gli altri al Poggio di Sanremo. Tra i caduti del Poggio ci fu anche una vittima rimasta ignota: potrebbe trattarsi di Jean Bertrand, disertore alsaziano giunto a Pigna nel settembre 1944 durante l’esperienza della repubblica partigiana insieme alla missione alleata composta, tra gli altri, dai capitani Long e Morton, questi un giornalista canadese, Bertrand abbandonato al proprio destino dagli altri che, attraverso strade diverse, raggiunsero la Francia ormai liberata.
[...] Domenico Arnera (Aldo), a fine ottobre è capo di Stato Maggiore della Brigata “Belgrano” della Divisione Garibaldi “Felice Cascione”, rifugiata a Fontane dopo il grande rastrellamento di ottobre. E' arrestato a Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: “Hanno preso Aldo,il capo della Stella Rossa”. In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) era in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. Condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza venne rinchiuso nelle carceri della caserma Galliano e fucilato il 27 dicembre 1944.
[...] Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre un centinaio di tedeschi proveniente da Pieve di Teco investirono la zona. Alcuni garibaldini sfuggirono al rastrellamento, altri (tra cui tre austiaci disertori) caddero prigionieri. Menini riuscì a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all'arresto. Portati al comando di Pieve di Teco vennero riconosciuti come partigiani. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessò di essere un partigiano, venne emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d'Assalto Sambolino della Divisione Garibaldi “Gin Bevilacqua” operante nella II^ Zona Liguria, G.B. Valdora, Ezio Badano e Lorenzo Cracco, la sentenza di morte.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Domenico Arnera, nato a Savona il 25 aprile 1917, aiuto disegnatore, già sottoufficiale di marina. Come molti savonesi di Villapiana, quartiere dove abita, aderisce al movimento della Resistenza. Agli inizi di luglio 1944 è tra gli organizzatori delle formazioni garibaldine liguri in Val Tanaro, comandante del Distaccamento "Bellina", dislocato a Fontane di Frabosa Soprana: è attivissimo nella raccolta di derrate alimentari, coperte ed abiti per i distaccamenti. A fine ottobre è Capo di Stato Maggiore della Brigata "Belgrano" della Divisione Garibaldi "Felice Cascione". È arrestato in Val Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: "Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa". In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) è in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. È condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano. I tentativi dei comandi partigiani per uno scambio di prigionieri non danno l'esito sperato; Aldo viene fucilato il 27 dicembre 1944.
Decorato alla memoria di medaglia di bronzo al valor militare: "Durante un forte rastrellamento da parte del nemico, incurante del pericolo, sotto l'imperversare di un'intensa azione di fuoco, provvedeva ad occultare un ingente quantitativo di viveri evitando che cadesse in mani nemiche. Sebbene ferito, rimaneva ancora per cinque giorni al suo posto di lotta, finché sfinito di forze, veniva fatto prigioniero; sottoposto a torture e sevizie le sopportava fieramente destando l'ammirazione dello stesso avversario. Affrontava serenamente la morte senza svelare alcuna notizia". Val Corsaglia-Mondovì, 10-27 dicembre '44
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011 


Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione, venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre 1944 a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante".
Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, Op. cit.

Sascia (Ada Pilastri) racconta:
«Ultimi di novembre [1944]. La I Brigata è tornata da poco da Fontane [Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo], dove si era spostata durante il rastrellamento di Upega. Il problema dei rifornimenti diventa sempre più difficile: saremo costretti a mandare una parte degli uomini a casa. Tentiamo un ultimo espediente: una spedizione con i muli nella zona di Fontane per poter raccogliere dei viveri [...] C'è già parecchia neve. I muli si ricongiungono con noi a Falcone ove momentaneamente si trova il comando. Prima di entrare nell'abitato incontriamo un distaccamento di russi da Menini, un nostro eroico compagno ucciso in seguito dai nazisti. Tre russi armati vennero con noi. Andiamo avanti di pattuglia avanzata [...]»
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia  

Un scorcio di Val Roia

31 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" all'Ufficio informazioni e spionaggio della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che "[...] il morale delle truppe tedesche è bassissimo: moltissimi quelli che si spacciano per austriaci. Molti i polacchi che piangono, pensando che avendo servito il nemico non potranno più ritornare in patria".
31 gennaio 1945 - Da "Laios" al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" - Informava che a Briga [n.d.r.: La Brigue, Alpes-Maritimes, Vallée de la Roya. In tutta la zona di confine, in particolare attraverso la Val Roia, proprio in quel periodo si intensificarono gli sforzi per fare penetrare agenti francesi] si trovavano 30-40 tedeschi, 50 russi ed alcuni militari della RSI e che "Natalin della Gamba" aveva riferito che i russi di Briga gli avevano chiesto l'ubicazione delle forze partigiane, "pregandolo di aiutarli a scappare per raggiungere la zona partigiana".
16 febbraio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata, prot. n° 45, al comando della V^ Brigata  e al comando della II^ Divisione - Comunicava...  che a Briga Marittima erano stanziati circa 100 uomini tra tedeschi e russi, oltre a 40 genieri della RSI; che sempre da Briga erano fuggiti una ventina di soldati, in prevalenza russi, ricercati dai tedeschi; che Tenda era stata bombardata da aerei alleati, che avevano causato la morte anche di 2 ufficiali; che Fontan, Saorge, Forte Tirion e San Michele  [Frazione di Olivetta San Michele (IM)] erano occupati da tedeschi, che Breil, Libri, Piena e Olivetta [il borgo principale di Olivetta San Michele] erano terra di nessuno.
17 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata, prot. n° 289, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "... a Pigna il presidio è composto da 200 uomini, in prevalenza russi, polacchi e sloveni..."
20 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM del II° Battaglione "Marco Dino Rossi", prot. n° 4, al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" - Comunicava che "a Briga si trovano 40 tedeschi, 40 soldati repubblichini, 100 militari russi e slavi, i quali ultimi sono disarmati e adibiti alla cura dei cavalli. Da Briga partono alcune pattuglie dirette a Sanson, da dove controllano la linea telefonica Pigna-Briga ora interrotta [...]"
26 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 138, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - [...] segnalava che si avevano speranze di fare passare nelle fila partigiane un contingente di polacchi sin lì al servizio dei nazisti
23 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" [comandante "Gino" Giovanni Fossati] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che alcuni soldati serbi avrebbero forse abbandonato il servizio prestato ai tedeschi e cercato di salire in montagna per unirsi ai garibaldini. Riferiva che anche soldati repubblichini di stanza nella caserma Crespi di Imperia avrebbero presto potuto raggiungere i partigiani.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 109, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ad Ortovero (SV) si trovavano un ufficiale, 5 sottufficiali e 54 militari nemici, oltre a 40 cavalli e 15 carri e che da Nava giungevano una volta a settimana a Pontedassio (IM) circa 10 carri che, dopo un pernottamento, ripartivano per il Piemonte con viveri procurati sulla costa, formando una colonna priva di scorta, mentre gli uomini addetti a quel trasporto erano quasi tutti polacchi, serbi, sloveni, russi.
2 aprile 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che [...] nella casa di capitan "Paella" [il fascista Attilio Calvo] vi erano alcuni soldati slavi con 2 cavalli e 5 muli addetti al trasporto di mortai e munizioni
6 aprile 1945 - Dalla Sezione [responsabile "Brunero" Francesco Bianchi] S.I.M. della V^ Brigata, prot. n° 373, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che [...] stavano continuando da parte di una ventina di tedeschi e di una decina di polacchi i lavori di ricostruzione dei ponti della Valle Argentina
15 aprile 1945 - Da "Biscio" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il traffico sulla strada n° 28 era limitato; che a Pieve di Teco il presidio tedesco era ridotto a 100 giovani soldati dell'aviazione e a circa 80 uomini, in gran parte russi, addetti ai carriaggi [...]
17 aprile 1945 - Dal Distaccamento di "Franco" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che negli ultimi 2 giorni erano arrivati al Distaccamento come volontari 4 russi e 3 slavi... che sembrava certo che il fronte si fosse spostato verso Fontan, Breil-sur-Roya e zone limitrofe...
18 aprile 1945 - Dall'informatore "Max" [Massimo Porre] al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che da Briga [La Brigue, Val Roia] erano arrivati dai garibaldini 7 prigionieri russi, di cui 4 armati di ta-pum, i quali, con l'aiuto come interprete di "Andrey" avevano riferito che non c'erano più SS nella zona Briga-San Dalmazzo-Tenda e che i tedeschi avevano terrore dei partigiani al punto che avrebbero voluto compiere una resa alle truppe inglesi. Segnalava, poi, [...] che alcuni tedeschi erano saliti a Cima Marta a cercare 8 soldati russi evasi il 17 aprile da Briga [La Brigue, Val Roia]... che alcuni prigionieri serbi sostenevano che sul fronte italiano i tedeschi stavano mandando in prima linea i loro prigionieri russi e slavi facendo fuoco su di loro se recalcitranti o in procinto di darsi prigionieri agli alleati; che 5 militari slavi erano appena giunti tra i partigiani.
24 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Fragola Doria" Armando Izzo] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 225, al comando [comandante "Vittò/Ivano" Giuseppe Vittorio Guglielmo] della II^ Divisione - Comunicava che [...] ad Apricale la Wermacht aveva ancora 18 uomini, tutti polacchi e russi, tranne il maresciallo, tedesco
28 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Gino", Giovanni Fossati - commissario "Athos", Pellegrino Caregnato - vice commissario "Tino", Agostino Salvo - capo di Stato Maggiore "Sirio", Antonio Di Stefano] della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che tre partigiani di origine slava, Obren L. Savic (Vincenzo), Milan R. Milutinovic (Mille), Mihail V. Kovacevic (Daba), avevano chiesto il riconoscimento di avere militato, dopo avere disertato dalle file tedesche, nelle formazioni garibaldine, precisando che "possiamo attestare che corrisponde a verità quanto risulta nella copia della dichiarazione".da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: [...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019 

Il 31 gennaio 1945 due colonne militari congiunte di tedeschi e italiani (approssimativamente 200 militari) risalirono all'alba le colline, scontrandosi con un gruppo di partigiani posizionato in località “Nicuni”, presso Tavole (frazione di Prelà). Nello scontro morirono sei partigiani: Tommaso Ricci, Manfredo Raviola, Bartolomeo Dulbecco e Ernesto Ascheri (tutti originari di Imperia), Matteo Zanoni (di Brescia), e Ivan Polesciuk (quest'ultimo russo).
Rocco Fava, Op. cit. Tomo I

Era il 5 febbraio 1945. Al sorgere dell'alba ci incamminammo verso Diano San Pietro [...] Invece l'altro rifugio che si trovava nei pressi non venne individuato e gli occupanti (tra cui Peccenen e tre soldati russi), salvatisi, ci raccontarono che i nostri compagni erano stati quasi massacrati di botte [...] che Raspen si era rifiutato di arrendersi sparando dal rifugio un colpo di rivoltella contro il brigatista nero della compagnia Ferraris (tra le bande fasciste, la più sanguinaria), probabilmente ferendolo ad una mano.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè: 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 

Alle formazioni partigiane si unirono anche disertori delle forze armate tedesche, come emergerà più dettagliatamente nel quinto capitolo.
[...] Benjamin Ziemann <51 in particolare ha offerto una sintesi puntuale circa gli aspetti di maggiore importanza relativi al tema della diserzione nella seconda guerra mondiale. L'autore, oltre ad affermare che totalmente sconosciuta, ma probabilmente notevole, è la cifra di quanti, in Francia e in Italia, passarono nelle fila degli alleati, così come le motivazioni per cui venne compiuta questa scelta, rileva la mancanza di un'analisi che prenda in considerazione e offra un'interpretazione complessiva dei diversi aspetti del fenomeno: il contributo dato dalla popolazione civile, le motivazioni politiche e personali dei disertori, i loro aspetti biografici quali l'età e la professione. Sulla scorta degli studi particolari, Ziemann afferma inoltre che le convinzioni politiche, l'opposizione cioè alla politica nazista, rappresentarono solamente nella minoranza dei casi il motivo che spinse i soldati a disertare. Più frequentemente giocavano invece in tal senso un ruolo importante motivazioni legate alla nostalgia per la famiglia, alla passione per una donna, alla “stanchezza nei confronti della guerra” (Kriegsmüdigkeit) e alle preoccupazioni circa il suo sviluppo (soprattutto a partire dall'estate 1943), al timore di essere impiegati sul fronte orientale, alla discriminazione subita da quanti, di origine non germanica, servivano nella Wehrmacht.
A loro si affiancava un'altra categoria di persone, quantificabile nel 15-20 % del totale, che era rappresentata da soldati nei confronti dei quali erano stati presi provvedimenti disciplinari per reati minori, come allontanamento non autorizzato, infrazioni al turno di guardia, ritardo nel rientro dalla licenza; per sfuggire alla giustizia militare sceglievano la via della diserzione. Allo stesso modo anche Dieter Knippschild individuava alcuni gruppi di persone maggiormente rappresentate all'interno di quanti disertarono e invitava anche a valutare quanti si sottrassero al servizio militare tramite il suicidio <52.
Ziemann concludeva anche considerando come, tutte le ipotesi di quantificazione e gli studi condotti, portassero a ritenere che il fenomeno della diserzione, i casi di quanti si rifiutarono di eseguire gli ordini e di quanti si rifiutarono di prestare il proprio servizio militare, fu decisamente minoritario se rapportato ai 20 milioni di uomini circa che prestarono servizio nella Wehrmacht.
[...] La consistenza dell'esercito tedesco andò aumentando nel corso dei mesi: se nell'estate del 1943 i soldati della Wehrmacht in Italia erano 195000, divennero 412000 nel maggio del 1944; nell'autunno del '44 fu raggiunto il massimo della presenza militare della Wehrmacht, con tre armate, otto corpi d'armata e 32 divisioni. Ad inizio aprile del 1945 nelle tre armate tedesche (10ª Armata, 14ª Armata, Gruppo d'armate Liguria) militavano complessivamente 439334 soldati della Wehrmacht e 160180 soldati italiani delle formazioni della Rsi <88. A tale crescita quantitativa non era però corrisposto un aumento delle capacità belliche. I reparti erano infatti stati indeboliti negli armamenti e negli equipaggiamenti e si era anche abbassata la qualità della truppa: molti militari erano di età avanzata e numerose unità erano di etnia straniera, composte da soldati Volksdeutsche o della Deutsche Volksliste III arruolati spesso forzatamente <89; complessivamente, alla data dell'1 settembre 1943 gli appartenenti alla Deutsche Volksliste III inseriti nell'esercito tedesco, erano circa 56.000 <90. Nel corso del 1944 i soldati che, reclutati nei territori occupati dall'esercito, prestavano servizio nella Wehrmacht erano in tutto 763000 (circa l'8 % della forza complessiva) <91. Se si aggiungono a questa cifra i 370.000 “Hiwi” (ausiliari volontari) italiani e russi e 122.000 militari appartenenti a formazioni straniere, a metà 1944 la percentuale dei soldati non tedeschi nella Wehrmacht saliva almeno al 12 % <92.
[...] Karlo Hlana, caporalmaggiore, motivò invece diversamente la sua decisione di disertare. Arruolato il 28 ottobre del 1942, aveva combattuto due anni in Francia e si trovava da circa cinque mesi in Italia. Era stato prima a Ventimiglia e poi sul fronte della Garfagnana. Fuggito da Barga (Lucca), portando con se anche il fucile Mauser e 30 colpi, era stato trovato dalle formazioni S.A.P di Sillano
[...] Anche nelle formazioni della provincia di Imperia, alle dipendenze del comando operativo I zona-Liguria, è segnalata la presenza di partigiani stranieri, tra cui anche disertori tedeschi e austriaci, nella brigate sottoposte alla 2ª divisione garibaldina “Felice Cascione” e alla 6ª, “Silvio Bonfante” <468.
[...] A margine del documento stilato in occasione del suo interrogatorio i partigiani scrivevano: “risultano le seguenti informazioni di carattere generale sull'esercito tedesco: la 34ª divisione […] é un organismo militare dislocato nella Liguria e di esse fanno parte delle più svariate nazionalità in proporzione del 20/100 di Tedeschi e tutto il resto ossia l'80/100 di polacchi, russi, francesi, cecoslovacchi ecc. Riguardo al resto nessuna informazione si è potuta sapere data la loro condizione speciale che li faceva considerare da parte dei tedeschi quasi come prigionieri di guerra senza possibilità di venire a contatto con la popolazione civile e di essere al corrente della situazione politica e militare dell'Europa” <488.
[NOTE]
51 Benjamin Ziemann, Fluchten aus dem Konsens, cit. Dello stesso autore anche Gewalt im Ersten Weltkrieg. TötenÜberleben-Verweigern, Klartext, Essen, 2013 all'interno del quale un paragrafo è dedicato alla diserzione dei soldati dell'esercito tedesco durante la prima guerra mondiale (Fahnenflucht im deutschen Heer 1914-1918, pp. 91-119.)
52 Dieter Knippschild, »Für mich ist der Krieg aus«. Deserteure in der Deutschen Wehrmacht, in Norbert Haase - Gerhard Paul (Hrsg.), Die anderen Soldaten, cit., pp. 123-138.
88 Wolfgang Schumann e Olaf Groehler, Deutschland im zweiten Weltkrig.-Band VI-Die Zerschlagung des Hitlerfaschismus und die Befreiung des deutschen Volkes (Juni 1944 bis zum 8.Mai 1945), Akademie Verlag, Berlin, 1988, p. 152.
89 Andreas S. Kunz, Wehrmacht und Niederlage. Die bewaffnete Macht in der Endphase der nationalsozialistischen Herrschaft 1944 bis 1945, Herausgegeben vom Militärgeschichtlichen Forschungsamt, R. Oldenbourg Verlag, München, 2005, pp. 151-239.
90 Bernhard R. Kroener, Menschenbewirtschaftung, Bevölkerungverteilung und personelle Rüstung in der zweiten Kriegshälfte (1942-1944), in Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, Herausgegeben vom Militärgeschichtlichen Forschungsamt, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuggart, 1999, Band 5/2, pp. 982-983.
91 Andreas Kunz, Wehrmacht und Niederlage, cit., p. 267. Riguardo la presenza di combattenti stranieri arruolatisi volontariamente nell'esercito tedesco si veda anche Rolf-Dieter Müller, An der Seite der Wehrmacht. Hitlers auslandisches Helfer beim kreuzzug gegen den Bolschewismus« 1941-1945, Ch.Links Verlag, Berlin, 2007, o ancora per un esempio di formazione Waffen-SS formata da soldati provenienti dall'Albania: Franziska A. Zaugg, Albanische Muslime in der Waffen-SS.Von Großalbanien zur Division Skanderbeg, Ferdinand Schöning, Paderborn, 2016. Inoltre sulla composizione delle formazioni anche Carlo Gentile, I crimini di guerra, cit., pp. 282-307 per quanto riguarda le Waffen-SS e pp. 390-413 per quanto riguarda invece le formazioni dell'esercito regolare. Le differenze tra soldati tedeschi e austriaci in termini di mentalità e convinzione nella guerra sono trattate anche in Hans Burtscher, Die politisch Unzuverlässigen. Dokumentarische Tagebuchaufzeichnungen 1933-1946, Voralberger Verlagsanstalt, Bludenz, 1985.
92 Bernhard R. Kroener, 'Menschenbewirtschaftung', cit., pp. 983-984.
468 Francesco Biga, Storia della Resistenza imperiese (I zona Liguria), edizioni Isrecim, Farigliano, 1978, vol. III, pp. 495-507. A pp. 506-507 l'autore scrive anche che a seguito dell'eccidio di Testico causato sembra dalla delazione di un disertore tedesco che si era aggregato al distaccamento partigiano G. Garbagnati, il comando Iª zona Liguria aveva dato ordine a tutte le brigate di fucilare i soldati tedeschi presenti nelle formazioni che fossero in qualche modo sospetti.
488 Verbale dell'interrogatorio fatto il sabato 28 ottobre 1944 a due prigionieri catturati a Beinette, ivi.

Francesco Corniani, "Sarete accolti con il massimo rispetto": disertori dell'esercito tedesco in Italia (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017

giovedì 11 agosto 2022

I comandanti partigiani Giorgio e Boris tornarono confermati nei loro incarichi

Il Castello di Alto (CN). Fonte: Riviera dei Fiori TV

Ero a Pairola [n.d.r.: Frazione di San Bartolomeo al Mare (IM)] per Natale [n.d.r.: del 1944], quando era giunta la notizia della controffensiva tedesca sul fronte belga. Le notizie come al solito erano state ingrandite, si diceva cbe i tedeschi avessero sfondato e puntassero sul mare e su Parigi che avanzassero anche sul nostro fronte ed avessero ripreso Nizza, che avessero impiegato nuove armi misteriose e decisive.
«Che farai, figlio? - mi chiese mia madre portandomi queste belle notizie - se i tedeschi vinceranno ci sarà sicuro qualche amnistia e tu potrai tornare a casa». Sentii un brivido interno. In tanti mesi non avevo mai considerato l'ipotesi di una  vittoria tedesca.
«Vedremo - risposi - non è ancora detto che vincano. Una sola cosa posso dirti fin d'ora, se dovessero vincere: a casa non ci torno, mai più. Cercheremo di sconfinare in Francia, piomberemo su Oneglia e ci impadroniremo di qualche nave per andare in Corsica, ma la resa mia e dei miei compagni non l'avranno mai». Sentivo che se non proprio tutti, la maggioranza l'avrebbe pensata come me.
Il nostro morale malgrado tutto era ancora abbastanza saldo per non considerare la possibilità di una resa. Certo, senza il bando emesso nelle vallate, molti partigiani sarebbero tornati alla vita civile, si sarebbero confusi con i giovani che lavoravano nei paesi, ma finito il pericolo, forse dopo soli pochi giorni, sarebbero riaccorsi nelle bande. Il nemico ci aveva tolto anche questa possibilità, contribuendo a mantenerci uniti, armati e vigilanti.
Il nemico fu sorpreso di non scontrarsi con uno schieramento difensivo, di non subire un contrattacco organizzato: i Cacciatori degli Appennini erano un corpo specializzato in rastrellamenti: era la prima volta, dicevano, che i  partigiani non reagivano. Un nostro contrattacco fu temuto a lungo, ciò impedì al nemico di aumentare il numero dei presidi a scapito della loro forza numerica, di operare in colonne più numerose, ma meno forti, di disperdere sentinelle e pattuglie a tutti gli incroci, sui passi, nei passaggi obbligati, occultandole e tendendoci agguati.
Il nemico comprese che i colpi che ci aveva inflitto avevano eliminato due o al massimo tre squadre e che tutte le altre nostre bande erano intatte ed inafferrabili. Non comprese la nostra tragica debolezza, la mancanza di capi, di armi e di collegamenti.
Certo che se avessimo usato di tutte le nostre forze, se tutte le bande, le squadre ed i partigiani isolati avessero sempre agito con freddezza e coraggio come i quattro di Cappella Soprana ed avessimo attaccato il nemico ad ogni occasione, avremmo potuto infliggergli duri colpi se avesse commesso l'imprudenza di lasciare nuclei esigui ed isolati. Ciò lo indusse alla prudenza e contribuì alla nostra salvezza.
Il nemico volle attaccarci contemporaneamente alla Cascione per impedire uno spostamento, un appoggio reciproco che in pratica non sarebbero stati possibili: ciò ridusse gli effettivi impiegati.
Questo il giudizio che è possibile dare del rastrellamento di gennaio, atteso da molti mesi come il colpo di grazia della Bonfante.   
In conclusione le nostre possibilità di resistenza avevano superato le previsioni.
Terminato il rastrellamento, il Comando cercò di prendere in mano la Divisione. Giorgio [Giorgio Olivero] e Boris [Gustavo Berio] tornarono dal territorio della Cascione confermati nei loro incarichi. In base a quali elementi il Comando Zona abbia operato la sua scelta non saprei dire. E' probabile che abbia tenuto conto che le difficoltà erano sorte in massima parte proprio per la decisione di Giorgio di rendere operanti le circolari e le disposizioni del Comando Zona; sostituirlo avrebbe minato per sempre l'autorità dei comandi superiori. Giorgio, Boris e Pantera [Luigi Massabò] si unirono al S.I.M. nella sede di Poggiobottaro che d'ora in avanti sarà la nuova base clandestina del Comando della Bonfante. Osvaldo [Osvaldo Contestabile], ancora malato, venne ricoverato a Meneso presso privati e sostituito da Mario [Carlo De Lucis] che, appena rimessosi dalla caduta, raggiungerà la nuova sede: l'opera dell'antico commissario del Cion [Silvio Bonfante] ci sarà preziosa.
Era necessario anzitutto formare i nuovi quadri dei comandi brigata, perché Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi] ed Ivan [n.d.r.: Giacomo Sibilla, già comandante di una delle prime bande partigiane dell'imperiese, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile] erano dimissionari da prima del rastrellamento.
Sarebbe stato però forse necessario allontanarli materialmente dalle bande dove le loro dimissioni erano considerate una pura formalità. Giorgio decise di operare direttamente e da solo per consolidare il prestigio del Comando divisionale. Andò in Val Pennavaira, ad Alto dove Fra' Diavolo ed Ivan avevano occupato il castello del conte Cepollini con una cinquantina di partigiani. Giorgio prese contatto con Turbine che lo informò degli ultimi dettagli della situazione e si incaricò di far venire in paese il [Distaccamento] Catter che da Diano era tornato alla propria base in Val Pennavaira.
Un'azione di autorità era opportuna, un'azione di forza no. Giorgio lasciò la propria pistola automatica a Turbine ed entrò nel castello solo e disarmato. Psicologicamente era superiore ai suoi avversari e lo sapeva.
Presentandosi armato avrebbe potuto provocare una reazione istintiva che avrebbe potuto avere conseguenze incalcolabili per lui e per tutto il movimento, perché un suo assassinio non sarebbe potuto restare impunito. Andando disarmato dimostrava la propria sicurezza, coraggio ed autorità ed evitava gesti inconsulti.
Trovò i partigiani, quasi tutti ex S. Marco, che seduti ascoltavano le parole di Fra' Diavolo. All'entrata di Giorgio regnò di colpo il silenzio. Giorgio ordinò: «In piedi!». Fu ubbidito. Ingiunse a Fra' Diavolo ed a Ivan di uscire e di  andare al Comando Zona a giustificarsi dal Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Non vi fu reazione alcuna. Gino [Giovanni Fossati] e Domatore [Domenico Trincheri] vennero chiamati a comandare rispettivamente la II e la III  Brigata e stenteranno a lungo ad imporsi alle bande, senza mai raggiungere l'ascendente e l'autorità necessari per operazioni in grande stile.
Ivan scomparve, Fra' Diavolo fu mandato in Val Tanaro con una nuova banda.
Le nomine di Gino alla II e di Domatore alla III erano avvenute all'insaputa di Ramon [Raymond Rosso]. Domatore dopo qualche tempo verrà sostituito da Fernandel [Mario Gennari].
Vi fu in Giorgio il timore che Fra' Diavolo passasse ai badogliani come era avvenuto in autunno con Pelassa [altrimenti detto Arturo Pelazza] e King Kong [Secondo Bottero], ma Fra' Diavolo era di altra pasta. Era comunista e la sua lealtà verso il Curto era indubbia. Non era uomo da portare rancore e quando vedrà che Giorgio dimostrerà buone doti di comandante di divisione, collaborerà lealmente anche con lui. Quanto alla capacità di Fra' Diavolo di esser qualcosa di più che un capobanda la dimostrerà in marzo ed  aprile, creando con i partigiani che accorreranno sotto di lui la IV Brigata «Arnera Domenico». La cosa era particolarmente difficile operando in Val Tanaro a contatto con un comandante come Martinengo [n.d.r.: appartenente agli autonomi comandati da Enrico Martini, Mauri] di indubbio prestigio.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp.166-169

Ancora nella mattinata del 20 gennaio 1945 una colonna tedesca, guidata dalla spia Boll, tentava nuovamente di catturare Ramon, Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", già gravato dalla cattura di tutta la famiglia.
I Distaccamenti "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio", "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata, e "Giuseppe Catter" della III^ Brigata, tutte della Divisione "Silvio Bonfante", riuscivano a sganciarsi senza perdite dalla zona di Ranzo (IM), Nasino (SV), Alto CN), Aquila.
Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò.
Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.
Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il Castello di Alto (CN). Fonte: Riviera dei Fiori TV

Ma quello che mi indisponeva veramente erano i morti di Degolla e Bosco. Ancora oggi si cerca di darmi la responsabilità per quei morti. Glorio Gino (Magnesia) nel suo secondo volume "Alpi Marittime" riferisce che io mi difesi per quanto successo adducendo l'attenuante che gli uomini erano privi di scarpe. Ciò è completamente infondato: i Distaccamenti che eseguirono gli ordini del Comando Brigata ebbero un ferito nello scontro a fuoco a Ubaga (il povero Redaval, poi catturato e fucilato a Borghetto d'Arroscia), mentre le squadre di Bosco e Degolla, che contrariamete agli ordini si erano sistemati nei paesi, furono sorpresi nel sonno.
Avevo informato il Comando Divisione che il comandante dei partigiani di stanza a Degolla e Bosco non pernottava con gli uomini, e che questi, contrariamente alle mie disposizioni, dormivano e vivevano nei paesi. Avevo chiesto l'autorizzazione a prendere provvedimenti che mi sarebbero sembrati necessari, ma mi venne risposto che il Comando Divisione avrebbe provveduto da sé a fare rispettare gli ordini del Comando Brigata.
Poco dopo incontrai Giorgio e Boris davanti al castello di Alto (e non certamente dentro il castello come dice Gino Glorio). Alla presentazione da parte del Comandante divisionale del nuovo commissario "Boris", risposi che non lo riconoscevo come tale e per questo davo le dimissioni da Comandante di Brigata. Il Commissario mi chiese di consegnargli le armi, ma io risposi come avrebbe fatto qualunque altro partigiano nella mia situazione: no. Con Lello [Raffaele Nante, che di lì a breve sarebbe diventato il Commissario della nuova Brigata "Val Tanaro", comandata da Giuseppe Garibaldi, Fra Diavolo], Firenze [Marino Mancini] e pochi altri rimasi ad Alto.
[...] Il Vice Commissario di Brigata Calzolari e il vicecomandante avevano seguito il Comando Divisione. Ma eravamo sempre troppi, così si allontanò anche Pantera (Luigi Massabò): prima di lasciare il paese venne a salutarmi e, stringendomi la mano, mi fece i migliori auguri.
[...] Il giorno seguente, alla sera, arrivò ad Alto Viveri, un rappresentante del Comitato di Liberazione di Albenga che gà conoscevo e stimavo. Si informò di ogni cosa e mi raccomandò di non prendere decisioni affrettate. Non capii cosa avesse inteso dirmi, fino a quando non giunsero altri esponenti del CLN di Albenga e a tutti raccontai quanto accaduto.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 164-166

Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
La faccenda dei nomi di battaglia è un po' lunga da spiegarsi, se uno la vuole capire bene come succedeva a quei tempi.
Un nome di battaglia o ce l'aveva di nascita o se lo guadagnava di prepotenza o se lo teneva quando glielo davano, ma non se lo poteva inventare all'atto pratico.
Così Giorgio [Giorgio Olivero], quando arrivò in banda dalla città, che nessuno lo conosceva e in montagna non l'avevano ancora visto, continuò a chiamarsi Giorgio come prima, niente da fare.
Lui parlava sempre in italiano perchè il dialetto non lo sapeva; e con quel modo di fare che aveva, si capiva bene che non era come gli altri; eppoi, avendo già fatto l'ufficiale prima dell'armistizio, con tutte quelle menate che gli avevano insegnato, di confidenza ne dava poca.
Epperò, lì dov'era capitato, non gli restituivano manco quella essendo che avevano soltanto l'istruzione elementare; ma i partigiani perdio sì che lo sapevano fare, altro che dargli il nome di battaglia.
Il fatto sta che gli uomini della Volante dove lo avevano mandato, subito non ci fecero caso; ma alla sera, quando si misero sdraiati, lo sentirono parlare mentre anche lui frugava nella paglia per dormire, e così capirono com'era. Allora il Mancen cominciò a guardargli ben bene gli scarponi, come fa uno che se li vuole misurare se gli vanno giusti per tenerseli, e non gli disse niente.
Cosicchè anche gli altri della banda, gli guardarono sul serio scarponi giubbotto nuovo braghe di panno maglia di lana, e tutto il resto che aveva e gli serviva.
Guardandogli ste cose, tenevano la lingua di fuori, quasi per provare a mettersele, e sentirsele come gli stavano.
Dalle parti di Garessio dov'erano in quei giorni, dovevano guardarsi specialmente dalle spie che ce n'era dappertutto; dovevano guardarsi bene in giro, essendo posti nuovi che non conoscevano ancora; eppertanto adesso questo qui chissà, parlando bene educato, cominciò a vedersela brutta per le occhiate che gli davano di riffa o di raffa; lo guardavano male, quando magari andavano in giro di qua o di là; e c'era sempre uno che se lo sentiva dietro le spalle.
Cosicchè e dai e dai, Giorgio cominciò a capire che prima o poi, al momento giusto si capisce fuori mano, ti vedo e non ti vedo, bona né, non se ne parla più.
Essendo a quel modo smandrappati, dopo tutti quei rastrellamenti con tutto il bisogno di vestiario che avevano, ti lascio dire com'era in quei posti, doversene andare all'avventura senza mai sapere dov'erano i nazifascisti; siccome, poi gli toccava ancora di andarsene a ramengo per chissà quanto tempo in quei posti del vaccamondo, ti lascio dire se non poteva capitare per fare più presto, che chi t'ha visto t'ha visto bona né.
Andando ancora avanti, Giorgio si accorse sempre di più delle occhiate storte che si davano, bisbigliando tra loro che lui non sentisse, sempre così.
A un certo punto, si accorse che la faccenda si metteva male; ma proprio tanto male da sembrargli impossibile seguitare a quel modo, facendo finta di niente.
Allora Giorgio con la scusa di un bisogno urgente che aveva, scantonò un poco tra il lusco e il brusco oltre la cunetta tra gli alberi; fuori tiro, si mise a camminare di corsa sempre bene al coperto, finchè arrivò al comando con l'affanno. Lì col nervoso e il mal di milza che aveva, si mise fermo sull'attenti a spiegargli com'era capitato all'improvviso con tutta quella fretta; come qualmente cioè, nonostante la diffidenza, anche sembrando troppo militare regio esercito, lui aveva tutte le carte in regola lo stesso e verificassero pure, va bene?
Ma bisognava dirglielo subito a quelli del Mancen, che anche con la diffidenza, lui non era disponibile a fare la fine a quel modo; voglio dire a quel modo sbrigativo, come aveva sentito dire in banda - uno in più uno in meno, porca la miseria non si può mica rischiare?
Dunque glielo dicessero subito al Mancen, che soltanto perchè parlava italiano con un bel paio di scarponi nuovi e un po' di panno buono addosso, non glielo doveva dire di andare al comando e chi s'è visto s'è visto, bona né.
Adesso invece lui, si sentiva sul serio un ribelle, anche parlando l'italiano; e piuttosto cercava di imparare il dialetto, mettendocela tutta per impararlo in fretta senza sbagliarsi.
- Ma brutto mondo ladro - diceva, - rimetterci la ghirba da gabibbo proprio in questo modo, assolutamente no.
Successe poi che, andando avanti col tempo e l'istruzione che aveva con un po' di pratica militare; hai voglia dire che sono tutte balle i gradi per fare i gagà, ma serve sempre, anche se uno nella naia c'è stato soltanto di complemento; e così Giorgio dopo un po', diventò il comandante dei garibaldini.
I galloni però, non se li mise subito, perchè era proibito e poi perchè bisognava fare diverso dai badogliani.
Ma venne il tempo sissignori, che gli ordini alla fine li diede lui eccome, anche al Mancen, che pure era diventato un partigiano famoso, niente da dire; li diede anche agli altri comandanti tutti in regola con i nomi di battaglia e senza, girando come un padreterno per i distaccamenti, con la sua roba buona addosso.
Girava sempre con un mascinpistole nuovo, di quelli perfezionati ultimo modello, che se l'era guadagnato proprio alla maniera giusta; e cioè se l'era andato a prendere dov'era, ed era tornato con un mucchio di sammarchini armi e bagagli munizioni muli bardature e soldi delle paghe, tutto compreso.
Dunque perdio il mascinpistole adesso gli toccava punto e basta, va bene? Gli toccava perchè lui sì che ormai il partigiano lo faceva eccome, anche senza il nome di battaglia; inutile guardarlo ancora di traverso da strafottenti, come per dire che lì c'era da fare i gagà; e poi lui in più sapeva leggere le carte militari al venticinquemila, come Pantera capo di stato maggiore. Ma gli altri, anche famosi col nome di battaglia, com'erano tutti smandrappati analfabeti o quasi, no.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 72-76

sabato 6 agosto 2022

Peletta con un gruppo di partigiani prese posizione al torrente Barbarossa

La parte occidentale del territorio comunale di Imperia, vista dalla spiaggia di San Lorenzo al Mare

Imperia: la Torre di Prarola vista da Località Barbarossa

I pozzi minati di Garbella, subito dopo Villa Ludovici fra Imperia e San Lorenzo [San Lorenzo al Mare (IM)] erano presidiati [luglio 1944] da un piccolo reparto tedesco, comandato da un sottufficiale. I tedeschi avevano preso in custodia i pozzi minati dopo che un intero reparto di fascisti era stato catturato dai partigiani. Era quasi impossibile attaccare in quelle condizioni; a monte della via Aurelia il terreno era minato con ogni tipo di ordigno, e difatti erano saltati in aria dei cani che si erano avventurati giù per la scarpata. Per prendere d'assalto la posizione nemica bisognava comunque transitare sull'Aurelia sbarrata da intrecci di filo spinato e da cavalli di frisia per obbligare le vetture e gli autocarri a transitare uno per volta. Luisa Barnato, una ragazza di Imperia, era transitata molte volte davanti al posto di blocco per vedere se c'era una qualche possibilità per un colpo di mano, ma la conclusione era sempre la stessa: senza un aiuto dall'interno, era impensabile attaccarli con qualche possibilità di riuscita. Non c'era altro da fare che cercare collaborazione all'interno del reparto di guardia. Dissi a Luisa di fare amicizia con tutti, ma di non scoprirsi con nessuno, tanto meno con i militari provenienti dai territori occupati dai tedeschi, che erano, secondo me, peggio dei tedeschi. Non c'era, però, nessuno di costoro; c'erano solo tedeschi e austriaci. Uno di questi si era innamorato di Luisa e lei, rischiando grosso, si era qualificata partigiana, invitandolo a disertare. Lui chiese di incontrarsi con un rappresentante della guerriglia, e fissò un appuntamento nei dintorni di Piani d'Imperia. Con Luisa ci recammo all'appuntamento; dissi all'austriaco che, per poterlo accettare nelle nostre file, era necessario un suo atto di collaborazione, che ci avrebbe garantito da un suo eventuale tradimento e l'austriaco si dichiarò disposto a qualsiasi prova. Gli dissi che era necessario al nostro Comando far saltare i pozzi minati, ai quali era di guardia; mi feci descrivere come si svolgeva il servizio, convenimmo che l'orario a noi propizio era quello dalla mezzanotte alle 4. In quel periodo la strada veniva totalmente chiusa al traffico e rimaneva un solo militare di guardia, protetto dagli sbarramenti che ho già descritto. Per transitare era necessario un permesso speciale, alla presentazione del quale veniva informato telefonicamente il sottufficiale nel Comando il quale con altri tre uomini, provvedeva alle previste misure di sicurezza.
Per aiutarci era necessario che il nostro amico fosse comandato di guardia da mezzanotte alle quattro. Lui ci disse che lo avrebbe saputo il mattino. Luisa, che ormai era conosciuta da tutti i militari e della quale nessuno sospettava anche per la giovane età, tutte le mattine sarebbe passata in bicicletta in attesa del giorno a noi favorevole; quindi avrebbe avvisato noi della «volantina», e noi avremmo provveduto ad avvisare il Comandante del distaccamento, Peletta [Giovanni Alessio], che sarebbe sceso con gli uomini necessari a bloccare la Via Aurelia in località Barbarossa e presso Villa Ludovici, appena oltre Garbella. Mi recai sopra Tavole, in alta Val Prino, per riferire a Peletta l'accordo concluso e per una sua approvazione del piano preparato. Tutto bene. L'unico inconveniente fu l'arrivo di Giulio Briganti, poi caduto a Upega. Conoscevo Giulio dal breve periodo di lotta in città, svolto quando ero nei Vigili del Fuoco. Appena mi vide, il suo volto espresse il piacere di rivedermi, ma riprese immediatamente il suo fare burbero e mi chiese: «Cosa fai qui?» «E tu cosa fai qua?» fu la mia risposta. «Io sono il commissario Politico delle formazioni Garibaldi che operano nella zona». «Ne sono proprio felice», risposi [...] Gli dissi poi dei colpi di mano ai pozzi di Garbella che stavamo preparando e di un altro alla Villa Salvo dove era prigioniera una Missione alleata. Avevo già parlato con un autista di Porto Maurizio, Ansaldi Aladino, che lavorava nell'autorimessa delle SS. Giulio mi disse: «Credo che non rimarrai molto da queste parti; comunque ti faremo avere istruzioni». Giulio tornò a fare il Commissario e io tornai a Dolcedo, in attesa che al nostro amico austriaco fosse assegnato il turno di guardia propizio alla nostra azione.
Il 25 luglio del 1944 giunse finalmente il momento. Peletta con un gruppo di partigiani prese posizione al torrente Barbarossa: doveva impedire il transito sull'Aurelia a chiunque avesse avuto intenzione di farlo proveniente da ponente. Si sarebbe ritirato solo all'arrivo di un partigiano proveniente dai pozzi con l'OK.
Banò comandava l'altro gruppo che prese posizione alla Villa Ludovica; doveva (come quello che aveva preso posizione a Barbarossa) impedire il transito verso i pozzi minati. Io con Luisa, mi recai all'appuntamento con l'austriaco. Andammo soli, nell'eventualità che l'uomo fosse stato sostituito per un qualsiasi magari sciocco motivo. Se così fosse stato, avremmo cercato di catturare la sentinella quando la stessa si fosse trovata vicino ai reticolati dalla nostra parte. Nel caso che avesse tentato di reagire l'avrei ucciso con una raffica di Sten, ma in tal caso l'operazione sarebbe comunque fallita. Non era neanche da pensare di poter riuscire da soli ad impadronirci del drappello tedesco, forte di una decina di uomini. Se, al contrario, si fosse arreso, era ancora possibile il buon esito dell'operazione. Per questo ci avvicinammo silenziosamente; era una notte chiara di luglio, e raggiungemmo lo sterrato a ridosso del muro; attendemmo l'arrivo della sentinella dalla nostra parte. Non eravamo sicuri che fosse il nostro uomo forse perchè, come dice il vecchio detto popolare, di notte tutti i gatti sono bigi; o forse perchè avevamo paura, tanta paura.
Quando la sentinella, raggiunti i reticolati, si voltò verso San Lorenzo, balzai in mezzo alla strada e gli ordinai di alzare le mani. Alzò le mani e disse: «Pensavo che non sareste più venuti»; era il nostro uomo. Luisa lo accompagnò da Banò ed arrivarono i rinforzi, io entrai nella baracca dove dormiva il sergente e altri andarono nel bunker dove dormivano i suoi soldati.
Il sergente si comportò da buon militare quale era stato e, dietro mio ordine, iniziò a vestirsi; avevo preso il suo mascin pistola e la P.38. In quel momento arrivò un partigiano che mi disse: «l tedeschi nel bunker non capiscono i nostri ordini e continuano a stare coricati nei loro castelli». Gli dissi: «Sorveglia questo mentre si veste; al primo movimento brusco sparagli senza parlare, ti mando subito qualcuno ad aiutarti, non portatelo via: deve insegnarci a far saltare i pozzi». Gettai il mascin pistola e la P.38 vicino alla porta d'uscita e presi alcune bombe a mano tedesche che erano su un tavolino. Andai verso il bunker e dissi agli occupanti: «In un minuto vi voglio tutti fuori, uscite con le mani sulla testa; se non avete capito peggio per voi, tiro il cordino di queste bombe e le mando a farvi compagnia». Per incanto avevano compreso al volo (sembra incredibile) e iniziarono a uscire: i primi con la divisa e gli stivaletti ammucchiati sul capo. Quando tornai dal Comandante del drappello, vidi che già era vestito di tutto punto, con le sue brave decorazioni sulla giubba. Non vidi più il mascin pistola nel posto dove lo avevo lasciato, ne chiesi notizie ai due guardiani del sottufficiale e mi dissero: «L'avrà preso qualcuno dei nostri». Replicai: «Prendete tutto quello che può essere utile e portatelo da Banò» ed iniziai a parlare col prigioniero, cercando di essere convincente: gli illustrai la situazione, gli promisi salva la vita se avesse collaborato per la riuscita della operazione: se cioè mi avesse insegnato a far brillare i pozzi.
Mi rispose con tutta tranquillità: «Vedi, io so di aver sbagliato in qualche cosa nel disporre il servizio di guardi, vi ho sottovalutato, e adesso è giusto che paghi il mio sbaglio; ma non chiedetemi di sbagliare ancora, non lo farò mai, tu al mio posto cosa faresti?». Capii che da lui non avrei ottenuto alcuna collaborazione. Lo feci portar via, e mandai a dire a Peletta che aspettasse ancora dieci minuti dall'arrivo del messaggero e dopo di ritirarsi: ci saremmo trovati ai Poggi.
Cercai nella baracca del sergente e nel bunker se trovavo il sistema per far brillare le mine, non trovai niente e, avendo gli addetti finito di prelevare le munizioni e le armi con tutto l'altro materiale trasportabile, pensai bene di abbandonare l'idea di far esplodere le mine. Il bottino era  stato ingente: fucili automatici, tapun, un mascingavert, materiale vario. L'unico rimpianto era il mascin pistola e la P.38. Una squadra di un altro Distaccamento aveva saputo del colpo e, quando oramai non c'era più nulla da rischiare, era arrivata ai pozzi e aveva approfittato dell'occasione per prenderseli, erano partigiani e avevano bisogno come noi di armi e munizioni. L'unico a essere scontento ero io, perché non ero riuscito ad interrompere il transito sulla Via Aurelia.
I tedeschi risposero rabbiosamente alla nostra azione, riempirono la zona di manifesti con la promessa di un milione di lire (di allora) a chi avesse dato notizie atte ad identificare e a catturare gli autori del colpo di mano.
Subito dopo, con un rastrellamento immediato in tutta la zona dell'alta Val Prino, vollero dare prova della loro potenza militare.
Ai primi di agosto del 1944 il nostro Servizio Informazioni Militare (SIM) avvisò mia madre e mio fratello di allontanarsi immediatamente dal paese perchè i nazifascisti avevano programmato la loro cattura. L'indomani mattina all'alba, dopo la loro partenza, un nutrito gruppo di nazifascisti già circondava la casa e, non trovando nè mia madre nè mio fratello, distruggevano quanto nella stessa era contenuto e non potevano asportare.
Mia madre, con le sue bestie, si rifugiò ad Andagna nella casa materna: mio fratello, anche per la conoscenza che aveva delle nostre montagne, si arruolò subito come staffetta presso il Comando Divisione. Io avevo ancora rimandato il trasferimento al Comando di Divisione per organizzare la liberazione della missione alleata, prigioniera delle SS nella Villa Salvo, dietro il palazzo della Provincia di Imperia, viale Matteotti.
Un mattino, sul finire della prima decade di agosto, ero con la «Volantina» a dormire in un casone nei pressi di Dolcedo, in compagnia di Mareri (del quale non ricordo il nome di battaglia, forse Max) di Corradi (Ninchi) di Bagascin (il cognome mi sembra Corradi), tutti di Piani di Imperia e di altri due partigiani (dei quali non ricordo il nome), quando venimmo svegliati dal rumore di autocarri che salivano verso Molini di Prelà: erano carichi di tedeschi e di fascisti. Ci recammo a Dolcedo e, dalla moglie del farmacista e dagli abitanti delle case sulla strada, fummo informati del numero di autocarri e delle vetture di scorta scoperte e armate di mitragliatrici che li seguivano. Era un numero consistente di mezzi: calcolando una trentina di uomini per autocarro, stabilimmo che le forze nemiche dovevano essere composte da circa duecento uomini. Decidemmo di attaccarli alla sera, quando sarebbero discesi, organizzando una bella imboscata. La nostra sorpresa fu grande quando, poco tempo dopo, l'autocolonna ritornò indietro con gli autocarri vuoti e con solo gli addetti alle mitragliatrici seduti sulle camionette di scorta. Questo poteva voler dire che il nemico aveva deciso di lasciare un presidio in Alta Val Prino, oppure che avrebbe fatto dimostrazione di forza transitando sulla mulattiera che da Tavole conduceva a Pietrabruna, con la speranza di trovare qualche piccolo gruppo di Partigiani lungo il cammino. Poco tempo dopo, calcolando il tempo necessario agli autocarri per raggiungere Pietrabruna, telefonai al centralino del paese ed ebbi la conferma; gli autocarri, con pochissimi uomini, erano appena arrivati a Pietrabruna. La cosa migliore da fare era quella di attendere i tedeschi sulla via del ritorno, sotto Civezza, e ci avviammo. Nei pressi di Costa di Dolcedo incontrammo una squadra comandata da Peletta; non ricordo quale obiettivo avesse, ma quando l'informai del nostro intento si unì a noi. Era una squadra più numerosa della nostra, dei componenti della quale ricordo solo il mitragliere Giacò e il partigiano Ramirez. Giacò lo ricordo perché eravamo paesani e avevamo fatto molte azioni insieme, Ramirez perché era un partigiano della «Libertas», della quale portava con fierezza il distintivo. Degli altri, escluso Peletta, non ricordo nessuno. In tutto saranno stati una ventina di uomini, con due fucili mitragliatori Saint'Etienne, e fucili da guerra di tutti i tipi: dal moschetto, al novantuno, al tapun. Io avevo uno Sten. Prendemmo posizione su uno spuntone sotto Civezza. La distanza dalla strada che i nazifascisti dovevano percorrere al ritorno era notevole, circa settecento metri. Con lo alzo graduato giusto si poteva colpire il bersaglio, ma con lo Sten era inutile sprecare munizioni. Decisi dunque che non potevo fare da spettatore, scesi a fondovalle e attraversai il fiume; mi riparai dietro un muretto di protezione della strada e iniziò l'interminabile attesa. Con Peletta e gli altri eravamo rimasti d'accordo che avrei iniziato io il fuoco.
Arrivarono a modesta velocità cantando. Cantavano la loro macabra canzone: «Camerati di una guerra, camerati di una sorte, chi divide pane e morte, no non muore sulla terra».
Lasciai passare la camionetta di scorta e scaricai tre caricatori da trenta sul primo autocarro. Che magnifica arma lo Sten! Non c'era proprio il rischio che si inceppasse. Mi allontanai e riuscii ad attraversare il torrente, prima di sentire fischiare le prime raffiche. Dopo fu dura, ma ce la feci lo stesso a raggiungere illeso i miei compagni che continuavano ad impegnare i nazifascisti. Non sapevo ancora che essi (i nazifascisti) avevano ucciso molti contadini inermi che erano nei prati di Dolcedo e di Pietrabruna a falciare il fieno, facendo una vera e propria strage. Le urla dei feriti che cominciai a sentire mi facevano star male, non mi rendevano orgoglioso dell'imboscata; ma era la guerra, la maledetta guerra che aveva coinvolto anche mia madre, allo sbaraglio, profuga sui monti con due mucche e un mulo, e mio fratello non ancora sedicenne al quale venivano affidate le lettere più rischiose che partivano dal Comando di Divisione. Per la sua giovane età egli non era affatto soggetto agli obblighi di leva e poteva recarsi ovunque senza destare eccessivi sospetti. Il lavoro rischioso ed importante, direi essenziale, di tanti di questi ragazzi e ragazze non viene oggi più considerato dagli storici del movimento partigiano, come a mio avviso invece dovrebbe essere fatto per la giusta considerazione che merita.
 
Dolcedo (IM): uno scorcio del centro abitato

Giuseppe Garibaldi
(Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 84-91