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giovedì 28 dicembre 2023

I partigiani proseguono la battaglia dei ponti

Ormea (CN). Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato. Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchi di Biga Albino della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò". Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero; il SIM li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamenti.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati Tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrice. I soldati Tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borgoranzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo lasciando lunghe strisce bianche, il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio.
Il piano del Comando tedesco prevede le azioni su un territorio molto ampio, infatti i contingenti militari partono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obbiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I Zona Liguria.
Perciò, il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione. I Tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio  da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco. Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti. La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze ferroviarie non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco. La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco. La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procedelentamente e molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il Comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai Tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, mettendo in salvo i partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto “Cion” [Silvio Bonfante] attacca i Tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza sulla carrozzabile Pieve di Teco-Moano. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. Oltre al Comando della I Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo”, “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore”.
All'alba del 10 di agosto i Tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio. La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi è tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica. I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunge a Case di Nava con altri distaccamenti, attacca decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperde e riesce in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento. La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò. Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone, mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaire. Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano). I Tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11 anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna. Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i Tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico; i distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia. Il partigiano, ora, sa occultare il materiale salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei Tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

martedì 28 febbraio 2023

Quel giorno il Comando della Divisione Garibaldi Bonfante era quasi al completo

Casanova Lerrone (SV): Fonte: Mapio.net

Il 6 marzo 1945 vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare. C'è sempre il pericolo della pattuglia tedesca sulla carrozzabile ma per evitarla dovrei fare un giro lunghissimo. Poi evitarla del tutto non potrei perché una tappa è un negozio proprio sulla carrozzabile... La pattuglia: spara su ogni giovane, sia civile che partigiano.
I tedeschi che la compongono sono una decina, passano in bicicletta, distanziati uno dall'altro ed hanno il terrore delle imboscate. Sanno che una bomba, un'arma, è facile da nascondersi ed ogni uomo può esser nemico per loro. Mi è noto che giorni fa hanno sparato sulla piazza di Casanova ad un partigiano ed a quattro borghesi che sono fuggiti appena in tempo. Mi è noto che hanno catturato un giovane idiota portandolo al Comando di Cesio. Venne liberato in seguito appena accertata la sua assoluta innocuità. Possibile che arrivino proprio nei pochi minuti che a me sono necessari per entrare ed uscire dal negozio?!...
Entro, mi faccio vedere i buoni rilasciati in cambio della merce, li controllo, pago, mi faccio firmare i buoni per ricevuta, li intasco, esco. Vedo che una ragazzina che è seduta di fronte a me dall'altro lato della carrozzabile mi fissa con uno sguardo strano: poi mi dice a bassa voce senza muoversi: «Magnesia i tedeschi!».
Quindici metri mi separano dall'angolo della casa, potrò girarlo prima che arrivino? E' possibile. E dopo l'angolo? Non ricordo cosa ci sia. Se c'è un muro sono perduto, se invece c'è aperto potrò saltare negli orti di sotto. Se mi metto a correre e poi trovo chiuso sono finito senza scampo, se invece cammino può darsi che non si allarmino e tirino dritto. E' questione di secondi: pure una ridda di pensieri si affollano nella mia mente. Affretto il passo. Sento dietro di me il rumore del primo tedesco che arriva: deve avere il mitragliatore appoggiato al tubo della bicicletta perché ne sento il rumore metallico degli urti ripetuti e non può farlo il moschetto che viene tenuto a tracolla. Per ora è uno solo, l'altro seguirà a trenta metri ma in bicicletta e in discesa si fa presto a percorrerli. Però fin che sono in sella non possono sparare. Cosa troverò dietro l'angolo? Sono pochi secondi, sento dietro di me una brusca frenata, non mi volto, non mi occorre, capisco che mi hanno visto e che scenderanno dalle biciclette. Svolto l'angolo: in fondo c'è una rete metallica con un cancelletto chiuso. Mi lancio di corsa, dopo cinque metri piombo sul cancello, lo sfondo, sento il rumore degli altri tedeschi che frenano, faccio di corsa tre metri oltre il cancello e salto in un orto due metri più sotto. Avranno i tedeschi voltato anche loro l'angolo prima del mio salto? Quanto tempo impiegheranno per piazzare le mitraglie? Qualcuno avrà una pistoia automatica? Dalla risposta a queste domande dipende la mia vita. Davanti a me il pendio è tutto a terrazze e farei presto a saltare ancora di sotto, ma sarebbe un errore aver fretta perché so di compagni che sono stati colpiti al volo durante tali salti. Mi sposto allora di lato di dieci metri e poi salto, mi sposto ancora sempre al coperto del muro e poi salto ancora in modo che il nemico non possa mai indovinare prima in che punto apparirò. Non sento sparare dietro di me e penso che abbiano rinunciato alla caccia; dopo parecchi minuti la speranza diventa certezza: anche questa volta sono salvo.
In aprile tornai in quella bottega e vidi che la padrona non c'era. Chiesi notizie al marito che mi rispose: «Come, non lo sa? Quel giorno che lei venne qui le prese un attacco di cuore e dovemmo portarla ad Albenga. Non si è ancora ripresa».
«Perché si è spaventata tanto? In caso i tedeschi avrebbero preso me».
«Già, ma lei aveva i buoni con la nostra firma in chiaro e neanche noi l'avremmo passata liscia». Avevano ragione.
Un'ora dopo la fuga da Casanova sono a Poggiobottaro, al Comando.
«A Casanova ci sono i tedeschi». «Davvero!...».
Quel giorno il Comando era quasi al completo:  Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione], Livio [n.d.r.: Ugo Vitali, responsabile del SIM, Servizio Informazioni Militari], Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile del SIM]... Decisi di fermarmi anche la sera perché ci sarebbero stati gnocchi.
Era mia abitudine in quel tempo, e credo fosse una tendenza diffusa, il cercare al tramonto di raggiungere il rifugio dove da mesi avevo il giaciglio. Era il ricordo del 20 gennaio quando, se mi fossi indugiato a dormire a Bosco il nemico mi avrebbe colto in un luogo a me poco noto e forse non mi sarei salvato. O era forse l'istinto dell'animale selvaggio che ogni sera torna alla sua tana? Quando alla sera mi avviavo nel bosco di castagni dove una tana scavata nella terra con un po' di paglia e due coperte mi attendeva, provavo un senso di riposo e di sicurezza difficile a spiegare. I rami scheletrici degli alberi proiettavano ombre paurose al fioco lume della lanterna ed un barbagianni lanciava il suo lugubre grido nelle notti di luna, pure la natura mi pareva amica e quando toglievo le pietre che occultavano il mio rifugio mi pareva quasi di tornare a casa, di rivedere un luogo caro.
Ma quella sera c'erano gnocchi ed erano mesi che non ne mangiavo. Il pomeriggio era passato calmo, avevo dato un'occhiata alle circolari, avevo ascoltato i racconti, i commenti della situazione fatti dai compagni. Del lancio nessuno ne parlava, l'argomento era delicato. Giorgio accennò ad una sua impresa recente: il minamento della ferrovia. Erano scesi tra Diano e Cervo nel tratto dove i binari passavano in pianura. Il luogo non era ideale perché era molto abitato e le conseguenze di un deragliamento sarebbero state minori che se fosse avvenuto in galleria o con sotto uno strapiombo.
Giorgio era sceso con gli uomini della I^ Brigata, avevano attraversato la Via Aurelia, avevano cercato le mine dove i cartelli tedeschi indicavano pericolo: niente! Il primo campo minato non esisteva. Nel successivo invece l'insidia c'era. Vennero prese mine in quantità sufficiente, poi si portò turto sulla ferrovia. Mentre i partigiani disponevano gli ordigni passò un borghese. Venne fermato, interrogato, disse che abitava lì vicino. Venne diffidato a non uscire di casa fino a giorno inoltrato. Poi i partigiani se ne andarono.
Verso l'alba il borghese ripassò nella zona. Probabilmente aveva capito che era stato preparato un attentato e temeva di esser coinvolto in rappresaglie. Inciampò in una mina e ci rimise una gamba. I tedeschi accorsi all'esplosione arrestarono il traffico e tolsero le mine. «Se avessi saputo che era scemo al punto da lasciarci una gamba lo avrei fatto portare via con noi» disse Giorgio pensando a come era fallita l'impresa.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento era allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
7 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Comunicava che ad Albenga era imminente l'arrivo di nuove truppe, probabilmente un reggimento della Divisione San Marco; che a Pieve di Teco dovevano giungere circa 400 soldati dalla Germania, "elementi giovani già appartenenti all'aereonautica"; che a Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] ed a Vessalico sarebbero stati inviati soldati tedeschi a presidiare i ponti; che i tedeschi a Cervo continuavano le esercitazioni con un'arma anticarro "che con l'esplosivo è in grado di fondere la parte del carro che viene colpita"; che i tedeschi a Capo Cervo controllavano le mine lungo la strada che portava ad Andora.
7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.
9 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. 81, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che era imminente un rastrellamento nemico nella zona di Albenga (SV); che di conseguenza la Brigata doveva assumere misure di sicurezza...
10 marzo 1945 - Da "K. 20", prot. n° 2, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Diano Marina in regione Chiapazzo si stava installando una radio rice-trasmittente presso la compagnia mortai.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 23 febbraio 2023

Mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, mia madre aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti Adolfo Stenca, insieme ad una decina di altri nostri combattenti

La zona del Dianese. Foto: Giulio Meinardi su Wikiloc

Negli ultimi giorni di gennaio del 1945 dal CLN di Diano Marina ci venne segnalato un nuovo, probabile, rastrellamento nell'alta valle dianese. Discutemmo sul da farsi. Si decise di sistemare la ventina di uomini addetti al Comando della I^ brigata ["Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] in alcuni rifugi predisposti a monte di Diano San Pietro, in località Besta. Appunto, siccome in inverno la vegetazione era quasi nulla, gli alberi erano spogli e sovente il suolo era coperto dalla neve, per i nazifascisti, con le attrezzature efficienti di cui disponevano, era facile localizzare gruppi di partigiani. Quindi l'unico modo per difenderci era quello di scavare dei rifugi sotterranei ove nasconderci. Poiché gran parte del territorio, coltivato a oliveti, era a gradoni, si trattava di penetrare in un antro dal quale era stata asportata la terra, attraverso un buco attuato nel muro a secco di sostegno. L'antro poteva contenere non più di cinque persone. Dopo che i partigiani vi erano entrati, da fuori un compagno chiudeva il buco rifacendo per bene il muro a secco con alcune pietre; compiuta l'operazione, doveva dileguarsi come poteva.
Ritornando al discorso di Besta (nei pressi della località era ubicata una baita dove si era rifugiato il Comando della brigata), mentre la maggior parte dei partigiani si era rintanata, rimanemmo una mezza dozzina fuori. Non c'era più posto per noi. In questi frangenti venne in nostro soccorso un vecchio antifascista, trentasettenne, il sapista Gaetano Sgarbi, il quale in barba ai tedeschi ci propose di scendere a Diano, presso una casetta, in località Sant'Anna, di proprietà di Anna Tassi, madre di Vladimiro, un altro sapista di cui diremo dopo.
Ma Federico [Federico Sibilla], che intanto era diventato commissario di brigata, ci fece notare che eravamo in troppi per rifugiarci nella casa della Tassi, e mi invitò a ritornare in uno dei rifugi di Besta. Pensai di ritornare sui miei passi insieme al garibaldino Franco Piacentini ("Raspen"), che era sceso dalla montagna per procurare a lui ed agli altri dei viveri.
Questo invito di Federico non mi sembrava giusto poiché io facevo parte, a tutti gli effetti, del Comando della brigata e avrei preferito rimanere insieme ai miei abituali compagni. Comunque non feci discussioni e, insieme a "Raspen", racimolato un poco di pane, un poco di tabacco e qualche altra cosa da mangiare, incominciai ad avviarmi verso i rifugi. Sennonché, mentre scendevamo la scaletta della baita, incontrammo Giuseppe Saguato ("Pippo"), comandante del distaccamento "Francesco Agnese", il quale mi chiese dove stavo andando. Ascoltate le mie ragioni, mi invitò ad andare con lui, anche se Federico mi aveva suggerito di raggiungere i rifugi di Besta. Mi fece presente che nella casetta a Sant'Anna c'era posto anche per me.
Fu in quel momento che mi separai da "Raspen" e seguii Pippo. Ci accompagnava il sapista Gaetano.
Su suggerimento di "Moschin", altro compagno di lotta, per abbreviare la strada ci azzardammo a passare nei pressi della batteria tedesca dislocata in località Ciapasso.
Probabilmente i soldati udirono il nostro scarpinare nella notte perché spararono alcune raffiche col mayerling, ma tutto finì bene.
Ci fermammo nella casa della Tassi tre giorni e due notti; fummo trattati da quella signora con ogni gentilezza; riuscii a fare conoscere a mia madre dove mi trovavo per cui essa mi raggiunse con molti viveri, ma insieme ai viveri ci recò una grave notizia.
Rimasi stupito di vederla pallidissima in volto mentre parlava; ci informò che, mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti il caro compagno Adolfo Stenca, capo dell'ufficio informazioni, partigiano, insieme ad una decina di altri nostri combattenti, prelevati dalle carceri di Oneglia.
Nella sua disperazione ci fece presente quanta paura aveva per la nostra vita.
Non ci rimaneva che farle coraggio dicendole che presto la guerra sarebbe finita e noi saremmo ritornati, tutti, alle nostre case.
Era il 31 gennaio 1945: andò via un poco più sollevata di animo, ma non del tutto convinta.
Nella notte fummo svegliati dal solito aereo solitario, soprannominavamo "Pippetto", il quale sganciò una bomba (forse per colpire i tedeschi del "Ciapasso") molto vicino a noi. Ci venne da pensare che non solo avevamo contro i nazifascisti, ma anche gli alleati angloamericani.
Il giorno successivo sentimmo dei colpi di mortaio che i tedeschi sparavano dal "Ciapasso"; un colpo finì davanti alla Chiesa di Diano Marina uccidendo tre bambini e ferendo alcune persone.
La terza sera - dopo che Massimo Gismondi ("Mancen"), comandante della brigata, aveva preso contatto con Giancamillo Negro, ufficiale della brigata nera il quale si dichiarava amico della Resistenza e diceva che per noi non ci sarebbero stati rastrellamenti e dopo aver consegnato a "Mancen" stesso il suo armamento - partimmo per rientrare nella nostra zona.
Dormimmo in un'altra casetta, in località "Biascine", di proprietà dello Sgarbi, perché non ci fidavamo per niente dell'ufficiale fascista.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

venerdì 10 febbraio 2023

Il 28 marzo 1945 i partigiani della Divisione Bonfante dovettero subire un colpo durissimo

Pieve di Teco (IM). Fonte: Mapio.net

L'imboscata di Ortovero fu una delle tante. Alla fine di marzo [1945] l'attività partigiana si faceva sempre più intensa, l'opposizione nemica sempre più scarsa, il morale dei tedeschi e dei fascisti si abbassava sensibilmente.
Cominciavano i tentativi di diserzione ed i cauti sondaggi da parte delle forze repubblicane della Riviera. Qualche elemento della stessa Wermacht cercava di unirsi a noi.
Ramon [n.d.r.: Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] faceva sapere ai repubblicani di Albenga che avrebbe accettato disertori solo se avessero portato armi pesanti ed avessero eliminato gli elementi più fascisti del reparto indicati dal nostro Comando, dando così prova di voler riscattare il passato. Ramon si riservava di impiegare questi disertori in imprese arrischiate riesaminando il loro comrortamento a liberazione avvenuta, se fossero riusciti a sopravvivere. La I Brigata accettava disertori della polizia di Imperia, indi, ottenute informazioni, decideva di fucilarli: erano passati i tempi in cui i San Marco erano accolti fraternamente.
Un tedesco si presentava alla banda di Stalin [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata"Silvano Belgrano"] e veniva trattenuto essendo utile come medico. Il distaccamento I. Rainis [n.d.r.: della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], in Val dei Fanghi, catturava due altri disertori tedeschi e li tratteneva malgrado l'ordine di fucilarli del Comando.
Il comandante delle Brigate Nere di Alassio mantiene il contatto col nostro S.I.M., fornisce la lista degli informatori fascisti che operano per suo conto nelle nostre zone provocandone la cattura e la morte; si dichiara disposto ad inviare gli uomini ai suoi ordini, circa sessanta, dove noi avessimo voluto ed al momento da noi scelto. «Siamo combattenti e non macellai», gli fa rispondere Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"]. «Paghiamo le sue informazioni perché ci sono necessarie, ma poi gli faremo sputare i soldi fino all'ultima lira. Gli abbiamo garantita salva la vita, ma non la libertà. Finirà in galera e se ne uscirà non vorremo che entri nei nostri caffè o cammini sui nostri marciapiedi».
«Dopo la liberazione dovremo fare i processi pubblicamente nei cinema e nei teatri e la gente dovrebbe dare direttamente il suo giudizio su certi individui. Son sicuro che ne farebbe uccidere più di noi» diceva Giorgio.
«Son tanti i fascisti che ad ucciderli tutti ci sarebbe da riempire i cimiteri» gli dissi. «Sarebbe bello marcarli sulla fronte con P.R.F. come si usava una volta con i ladri. Vedresti quanti, che ora sono fascisti, oserebbero dopo mostrarsi in giro col marchio».
Tentammo di entrare in contatto anche con Giancamillo, comandante della Brigata Nera di Diano. Se ne incaricò Citrato [Angelo Ghiron], il nostro viceresponsabile S.I.M. Gli chiedemmo se era disposto a fare per noi quello che faceva il capo di Alassio, ma rifiutò. Gli chiedemmo cosa era disposto a fare per salvare la sua vita. Ci disse che poteva impegnarsi a non far fucilare più i partigiani che avrebbe catturato. Gli chiedemmo di non far più rastrellamenti o di avvertirci se altri ne avessero fatto, ma rifiutò. Gli chiedemmo se non si rendevano conto che la guerra per loro era persa, disse di sì, ma che cercavano di non pensarci. Citrato lo avvertì: «Quando scenderemo, Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione Bonfante] ha promesso di ammazzarti».
«Se io volessi», gli rispose Giancamillo, «non usciresti vivo da questa stanza dopo quanto mi hai detto». Citrato si sentì agghiacciare.
«Se tu mi ammazzi, dopo pagherai non solo tu, ma anche la tua famiglia». Citrato sapeva che minacciava a vuoto, pure ne uscì vivo. A fine guerra Giancamillo morrà.
Il nemico non era ancora fiaccato: il 28 marzo dobbiamo subire un colpo durissimo: guidata da una spia una colonna nemica cattura al completo il distaccamento M. Agnese, Trucco ["Franco", Giovanni Trucco, vice commissario della II^ Brigata "Nino Berio"] e dodici compagni con una mitraglia pesante sono perduti dopo tanti mesi di guerriglia.
I prigionieri vengono portati a Pieve di Teco; Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] fa un estremo tentativo per salvarli, propone lo scambio dei due tedeschi catturati dal I. Rainis con i dodici partigiani od almeno con Trucco: i tedeschi sono due sottoufficiali, può darsi che il nemico accetti.
Ho io l'incarico di prendere i contatti col Comando tedesco tramite Ramon e l'interprete del comando tedesco di Pieve, la belga che lavora per noi.
Lascio in fretta la Val Pennavaira e mi porto a Gazzo, trovo Ramon e gli espongo il progetto. La risposta non si fa attendere: è negativa. «Il comando di Pieve ha deciso di fucilare i vostri dodici compagni, dice l'interprete. Se io dovessi comunicare che due sottufficiali tedeschi sono vostri prigionieri minaccerebbero di fucilare ogni giorno venti ostaggi borghesi fino a quando non li aveste resi».
Purtroppo ciò era nello stile dei tedeschi: il 25 l'intendente Firminio [n.d.r.: Firmino, Firminio Ghirardo, intendente della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] con Cecco aveva catturato a Vessalico un tedesco, si era limitato a disarmarlo e lo aveva lasciato libero per evitare rappresaglie. Già in qualche altro caso Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" della II^ Brigata] aveva evitato di uccidere soldati tedeschi per le preghiere dei borghesi. Nel disarmo del tedesco di Vessalico Firminio era rimasto ferito, Cecco era giunto ad Alto raggiante col mitra catturato.
I tedeschi mandarono da Ramon il parroco di Vessalico: avrebbero bruciato cinque case e fucilato cinque civili ogni giorno se l'arma non fosse stata restituita. Dovemmo piegarci. Quando Trucco ed i suoi uomini caddero sotto il piombo nemico anche i due tedeschi prigionieri del I Rainis vennero fucilati. Il nome di Marco Agnese venne assunto da una nuova banda della I Brigata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

30 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM [responsabile "Livio", Ugo Vitali] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Avvertiva che "in Diano Marina presso l'Albergo Edoardo si trovano 16 soldati, tra cui un ufficiale, con 12 moschetti e 4 mitra. Alla Prefettura di Imperia si trova una donna che funge da interprete: risulta facilmente corruttibile dal punto di vista sentimentale. Da Imperia il fratello di 'Pantera' [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] comunica 5 nomi di spie che lavorano per le bande nere".
1 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituito dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idoeni al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file.
1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.
1 aprile 1945 - Da "Livio" [Ugo Vitali] responsabile S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Riferiva che ad Andora (SV) erano giunti 5 uomini, di cui forniva descrizioni fisiche e nomi, con il compito di indagare sui patrioti; trasmetteva le parole d'ordine del nemico valide per tutta la Liguria dal 1° al 16 aprile; comunicava i nomi di 3 soldati ricercati dai repubblichini in quanto disertori; avvertiva che due individui, appartenenti alle Brigate Nere e che parlavano bene francese, inglese e tedesco, erano partiti per la montagna con lo scopo di infiltrarsi tra i partigiani.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998-1999

lunedì 6 febbraio 2023

Il Segretario della Casa del Fascio di Diano Marina cadde in un agguato tesogli da tre partigiani

Diano Marina (IM). Fonte: Mapio.net

La mattina del 4 ottobre 1944 i partigiani eliminano in via Ca’ Rossa (località Giaiette) di Diano Marina il maggiore Enrico Papone, segretario politico del fascio della cittadina, e il maresciallo Jarranca dell’UPI nei pressi della vecchia fornace di Diano Calderina [Frazione di Diano Marina]. Quello stesso pomeriggio i militi della B.N. prelevano dalle carceri di Oneglia Natale Rainisio, Giovanni Bonsignorio e Giuseppe Marro e li fucilano.
È una rappresaglia contro un’azione di veri partigiani, ma ci sono anche formazioni false di ribelli composte in maggioranza da ufficiali e sottufficiali fascisti che portano al collo fazzoletti rossi e la scritta CION, i quali entrano nelle botteghe e nelle trattorie, asportano merce e mangiano e bevono senza pagare.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983
 
Dal 20 al 25 agosto 1944 Enrico Papone del distaccamento di Diano Marina della XXXII^ Brigata Nera “Antonio Padoan”, nonché segretario della “Casa del Fascio” di Diano Marina, in accordo con il locale comando della compagnia “San Marco” e tramite il Commissario Prefettizio, ordinava la requisizione di oltre 150 radio nei Comuni di Diano Marina, Diano Castello e Diano San Pietro, perché non si potessero ascoltare le trasmissioni alleate in lingua italiana sulle sconfitte dei nazifascisti. In particolare “Radio Londra”, dalla quale parlava il colonnello Stevens, inglese di nascita ma che da giovane aveva abitato a Diano Marina.
In relazione a ciò ed a molte altre tristi iniziative, il 4 ottobre 1944, alle ore 12, Papone cadeva in un agguato tesogli da tre partigiani di un distaccamento della I^ Brigata e veniva ucciso in Via Casa Rossa, regione “Giaiette” (Diano Marina).
Nel tardo pomeriggio, il Comando delle Brigate Nere di Oneglia (Imperia), venuto a conoscenza del fatto, ordinava la rappresaglia. Una decina di emergenti fascisti con tre ostaggi prelevati dalle carceri di Oneglia giungevano su un camion a Diano Marina. Facevano un giro per la cittadina, emettendo urla bestiali e sparando raffiche di mitra; poi sulla piazza del Municipio i tre ostaggi venivano fatti scendere dal camion, addossati al muro del palazzo a levante della piazza, e massacrati.
I cadaveri dei tre giovani, Natale Rainisio, Giovanni Bonsignorio e Giuseppe Marro, rimasero tre giorni consecutivi bocconi sul marciapiede, per ordine dei fascisti, sotto la pioggia autunnale, mentre l'acqua arrossata dal sangue scorreva lenta nel canale di scolo.
Il terzo giorno il parroco Don Vento, disubbidendo alle disposizioni, facava ritirare i tre corpi nell'androne del Palazzo comunale e dare poi sepoltura nel cimitero di Diano Marina.
Notizie tratte da “Dalle valli al mare Diano e Cervo nella Resistenza” di Francesco Biga - pag. 138 - e da “Antologia della Resistenza Dianese” di Francesco Biga - pagg. 46 e 47 -.
Sabina Giribaldi, Episodio di Diano Marina, 04.10.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Il 4 ottobre 1944, alle ore 12, Enrico Papone, Segretario della Casa del Fascio di Diano Marina, cadde in un agguato tesogli da tre partigiani di un distaccamento della I^ Brigata e venne ucciso in Via Casa Rossa, regione Giaiette, a Diano Marina. Il Comando delle Brigate Nere di Oneglia, venuto a conoscenza del fatto, ordinò la rappresaglia. Tre ostaggi, in carcere a Imperia per motivi non precisati, forse semplici renitenti la leva, vennero prelevati e portati a Diano Marina dove furono fucilati. Erano Natale Rainisio, Giovanni Bonsignorio e Giuseppe Marro. Nel corso di un interrogatorio del 1° settembre 1945 il milite delle Brigate Nere di Imperia Giovanni Moraschi indicava quali componenti il plotone di esecuzione i due legionari Lorenzi, padre (maresciallo B.N. Lorenzi Giovanni Battista, nato a Torri di Ventimiglia il 17/7/1890) e figlio, ed il legionario Dean, il quale, dopo il fatto, ritornò al suo corpo di provenienza (Arditi). Nel corso dell’interrogatorio del 17/1/45, G.B. Lorenzi negava di aver preso parte all’esecuzione.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 
 
[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

dalla Liguria
Imperia
Il 3 corrente in località "Le Giaiette" nel comune di Diano Marina veniva assassinato dai banditi a colpi di arma da fuoco il segretario del P.F.R. Enrico Papone.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 21 ottobre 1944, p. 14. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti      

Moraschi Giovanni, nato a Torrazza (IM) il 7 aprile 1928, squadrista della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio dell’1.9.1945: Nel gennaio del 1944, allorché frequentavo il I° Istituto Tecnico Superiore, allettato dalle promesse di presunte preferenze, mi iscrissi alle organizzazioni giovanili del PFR. Nell’agosto dello stesso anno venni invitato a presentarmi in federazione e quivi il commissario federale Massina mi indusse ad arruolarmi nella brigata nera in formazione.
[...] Nego di aver partecipato al plotone di esecuzione allorché vennero fucilati tre partigiani in Diano Marina, ma so che a tale plotone parteciparono i due legionari Lorenzi, padre e figlio, ed il legionario Dean che dopo ritornò al suo corpo di provenienza (Arditi).
[...]
Lorenzi Giovanni Battista, nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 17.11.1945: Sono stato iscritto al PNF fin dall’epoca precedente alla marcia su Roma. Nell’ottobre 1944 sfollato a Torri a causa degli eventi bellici mi arruolai volontario nella brigata nera in qualità di semplice legionario.
[...] Ho prestato servizio nella guerra 15/18 con il grado di soldato semplice. Nella brigata nera venni arruolato come soldato semplice ma quando mi trovavo in servizio al posto di blocco di Cervo San Bartolomeo venni promosso a maresciallo per meriti di anzianità fascista.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Francesco Agnese (Socrate).
Nato a Diano Marina il 29 luglio 1923. Il 25 marzo 1944 di ritorno da Genova viene arrestato alla stazione di Diano Marina da un reparto di fascisti della famigerata compagnia O.P. del capitano Ferraris; prima dell’arresto riesce a consegnare al fratello Mario un rotolo di volantini “Stella Rossa”. Trascinato al comando fascista di Diano Marina, quindi alla caserma Muti di Porto Maurizio, infine intorno al 4 aprile è rinchiuso nelle carceri di Oneglia subendo numerosi interrogatori e bastonature. Avendo lui ed altri prigionieri la possibilità di evadere, grazie all’azione di un tenente fascista (in contatto con i partigiani), non approfitta dell’occasione, per timore di rappresaglie nei confronti dei parenti. Uscirà dal carcere a fine maggio. Nel luglio 1944 prende contatto con Giuseppe Saguato “Bill” e concorre a formare uno dei primi distaccamenti garibaldini nella vallata di Diano Marina che, raggiunto il numero di ottanta unità, andrà a costituire la “Volantina” di “Mancen”. “Socrate” è molto intraprendente: con Saguato disarma due carabinieri e partecipa agli assalti alle caserme per il recupero di armi; con il suo distaccamento partecipa alle battaglie di Cesio (mettendo in fuga i tedeschi); di Rezzo, combattendo per sei ore e conquistando Monte Alto. E’ in missione a Diano Marina, liberando la città dalla presenza del brigatista nero Enrico Papone. Rientrato al comando è promosso Commissario di battaglione e passa con Germano Tronville “Germano” presso Upega, in Val Tanaro. Il 17 ottobre è tra coloro che tentano di sottrarre “Cion” (immobilizzato perché ferito a Vessalico l’8 ottobre) al fuoco tedesco, trasportandolo in barella. E’ colpito da una raffica, cade, e muore dissanguato nel bosco.
A Francesco Agnese è intitolato un Distaccamento della Brigata “Silvano Belgrano” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

giovedì 11 agosto 2022

I comandanti partigiani Giorgio e Boris tornarono confermati nei loro incarichi

Il Castello di Alto (CN). Fonte: Riviera dei Fiori TV

Ero a Pairola [n.d.r.: Frazione di San Bartolomeo al Mare (IM)] per Natale [n.d.r.: del 1944], quando era giunta la notizia della controffensiva tedesca sul fronte belga. Le notizie come al solito erano state ingrandite, si diceva cbe i tedeschi avessero sfondato e puntassero sul mare e su Parigi che avanzassero anche sul nostro fronte ed avessero ripreso Nizza, che avessero impiegato nuove armi misteriose e decisive.
«Che farai, figlio? - mi chiese mia madre portandomi queste belle notizie - se i tedeschi vinceranno ci sarà sicuro qualche amnistia e tu potrai tornare a casa». Sentii un brivido interno. In tanti mesi non avevo mai considerato l'ipotesi di una  vittoria tedesca.
«Vedremo - risposi - non è ancora detto che vincano. Una sola cosa posso dirti fin d'ora, se dovessero vincere: a casa non ci torno, mai più. Cercheremo di sconfinare in Francia, piomberemo su Oneglia e ci impadroniremo di qualche nave per andare in Corsica, ma la resa mia e dei miei compagni non l'avranno mai». Sentivo che se non proprio tutti, la maggioranza l'avrebbe pensata come me.
Il nostro morale malgrado tutto era ancora abbastanza saldo per non considerare la possibilità di una resa. Certo, senza il bando emesso nelle vallate, molti partigiani sarebbero tornati alla vita civile, si sarebbero confusi con i giovani che lavoravano nei paesi, ma finito il pericolo, forse dopo soli pochi giorni, sarebbero riaccorsi nelle bande. Il nemico ci aveva tolto anche questa possibilità, contribuendo a mantenerci uniti, armati e vigilanti.
Il nemico fu sorpreso di non scontrarsi con uno schieramento difensivo, di non subire un contrattacco organizzato: i Cacciatori degli Appennini erano un corpo specializzato in rastrellamenti: era la prima volta, dicevano, che i  partigiani non reagivano. Un nostro contrattacco fu temuto a lungo, ciò impedì al nemico di aumentare il numero dei presidi a scapito della loro forza numerica, di operare in colonne più numerose, ma meno forti, di disperdere sentinelle e pattuglie a tutti gli incroci, sui passi, nei passaggi obbligati, occultandole e tendendoci agguati.
Il nemico comprese che i colpi che ci aveva inflitto avevano eliminato due o al massimo tre squadre e che tutte le altre nostre bande erano intatte ed inafferrabili. Non comprese la nostra tragica debolezza, la mancanza di capi, di armi e di collegamenti.
Certo che se avessimo usato di tutte le nostre forze, se tutte le bande, le squadre ed i partigiani isolati avessero sempre agito con freddezza e coraggio come i quattro di Cappella Soprana ed avessimo attaccato il nemico ad ogni occasione, avremmo potuto infliggergli duri colpi se avesse commesso l'imprudenza di lasciare nuclei esigui ed isolati. Ciò lo indusse alla prudenza e contribuì alla nostra salvezza.
Il nemico volle attaccarci contemporaneamente alla Cascione per impedire uno spostamento, un appoggio reciproco che in pratica non sarebbero stati possibili: ciò ridusse gli effettivi impiegati.
Questo il giudizio che è possibile dare del rastrellamento di gennaio, atteso da molti mesi come il colpo di grazia della Bonfante.   
In conclusione le nostre possibilità di resistenza avevano superato le previsioni.
Terminato il rastrellamento, il Comando cercò di prendere in mano la Divisione. Giorgio [Giorgio Olivero] e Boris [Gustavo Berio] tornarono dal territorio della Cascione confermati nei loro incarichi. In base a quali elementi il Comando Zona abbia operato la sua scelta non saprei dire. E' probabile che abbia tenuto conto che le difficoltà erano sorte in massima parte proprio per la decisione di Giorgio di rendere operanti le circolari e le disposizioni del Comando Zona; sostituirlo avrebbe minato per sempre l'autorità dei comandi superiori. Giorgio, Boris e Pantera [Luigi Massabò] si unirono al S.I.M. nella sede di Poggiobottaro che d'ora in avanti sarà la nuova base clandestina del Comando della Bonfante. Osvaldo [Osvaldo Contestabile], ancora malato, venne ricoverato a Meneso presso privati e sostituito da Mario [Carlo De Lucis] che, appena rimessosi dalla caduta, raggiungerà la nuova sede: l'opera dell'antico commissario del Cion [Silvio Bonfante] ci sarà preziosa.
Era necessario anzitutto formare i nuovi quadri dei comandi brigata, perché Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi] ed Ivan [n.d.r.: Giacomo Sibilla, già comandante di una delle prime bande partigiane dell'imperiese, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile] erano dimissionari da prima del rastrellamento.
Sarebbe stato però forse necessario allontanarli materialmente dalle bande dove le loro dimissioni erano considerate una pura formalità. Giorgio decise di operare direttamente e da solo per consolidare il prestigio del Comando divisionale. Andò in Val Pennavaira, ad Alto dove Fra' Diavolo ed Ivan avevano occupato il castello del conte Cepollini con una cinquantina di partigiani. Giorgio prese contatto con Turbine che lo informò degli ultimi dettagli della situazione e si incaricò di far venire in paese il [Distaccamento] Catter che da Diano era tornato alla propria base in Val Pennavaira.
Un'azione di autorità era opportuna, un'azione di forza no. Giorgio lasciò la propria pistola automatica a Turbine ed entrò nel castello solo e disarmato. Psicologicamente era superiore ai suoi avversari e lo sapeva.
Presentandosi armato avrebbe potuto provocare una reazione istintiva che avrebbe potuto avere conseguenze incalcolabili per lui e per tutto il movimento, perché un suo assassinio non sarebbe potuto restare impunito. Andando disarmato dimostrava la propria sicurezza, coraggio ed autorità ed evitava gesti inconsulti.
Trovò i partigiani, quasi tutti ex S. Marco, che seduti ascoltavano le parole di Fra' Diavolo. All'entrata di Giorgio regnò di colpo il silenzio. Giorgio ordinò: «In piedi!». Fu ubbidito. Ingiunse a Fra' Diavolo ed a Ivan di uscire e di  andare al Comando Zona a giustificarsi dal Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Non vi fu reazione alcuna. Gino [Giovanni Fossati] e Domatore [Domenico Trincheri] vennero chiamati a comandare rispettivamente la II e la III  Brigata e stenteranno a lungo ad imporsi alle bande, senza mai raggiungere l'ascendente e l'autorità necessari per operazioni in grande stile.
Ivan scomparve, Fra' Diavolo fu mandato in Val Tanaro con una nuova banda.
Le nomine di Gino alla II e di Domatore alla III erano avvenute all'insaputa di Ramon [Raymond Rosso]. Domatore dopo qualche tempo verrà sostituito da Fernandel [Mario Gennari].
Vi fu in Giorgio il timore che Fra' Diavolo passasse ai badogliani come era avvenuto in autunno con Pelassa [altrimenti detto Arturo Pelazza] e King Kong [Secondo Bottero], ma Fra' Diavolo era di altra pasta. Era comunista e la sua lealtà verso il Curto era indubbia. Non era uomo da portare rancore e quando vedrà che Giorgio dimostrerà buone doti di comandante di divisione, collaborerà lealmente anche con lui. Quanto alla capacità di Fra' Diavolo di esser qualcosa di più che un capobanda la dimostrerà in marzo ed  aprile, creando con i partigiani che accorreranno sotto di lui la IV Brigata «Arnera Domenico». La cosa era particolarmente difficile operando in Val Tanaro a contatto con un comandante come Martinengo [n.d.r.: appartenente agli autonomi comandati da Enrico Martini, Mauri] di indubbio prestigio.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp.166-169

Ancora nella mattinata del 20 gennaio 1945 una colonna tedesca, guidata dalla spia Boll, tentava nuovamente di catturare Ramon, Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", già gravato dalla cattura di tutta la famiglia.
I Distaccamenti "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio", "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata, e "Giuseppe Catter" della III^ Brigata, tutte della Divisione "Silvio Bonfante", riuscivano a sganciarsi senza perdite dalla zona di Ranzo (IM), Nasino (SV), Alto CN), Aquila.
Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò.
Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.
Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il Castello di Alto (CN). Fonte: Riviera dei Fiori TV

Ma quello che mi indisponeva veramente erano i morti di Degolla e Bosco. Ancora oggi si cerca di darmi la responsabilità per quei morti. Glorio Gino (Magnesia) nel suo secondo volume "Alpi Marittime" riferisce che io mi difesi per quanto successo adducendo l'attenuante che gli uomini erano privi di scarpe. Ciò è completamente infondato: i Distaccamenti che eseguirono gli ordini del Comando Brigata ebbero un ferito nello scontro a fuoco a Ubaga (il povero Redaval, poi catturato e fucilato a Borghetto d'Arroscia), mentre le squadre di Bosco e Degolla, che contrariamete agli ordini si erano sistemati nei paesi, furono sorpresi nel sonno.
Avevo informato il Comando Divisione che il comandante dei partigiani di stanza a Degolla e Bosco non pernottava con gli uomini, e che questi, contrariamente alle mie disposizioni, dormivano e vivevano nei paesi. Avevo chiesto l'autorizzazione a prendere provvedimenti che mi sarebbero sembrati necessari, ma mi venne risposto che il Comando Divisione avrebbe provveduto da sé a fare rispettare gli ordini del Comando Brigata.
Poco dopo incontrai Giorgio e Boris davanti al castello di Alto (e non certamente dentro il castello come dice Gino Glorio). Alla presentazione da parte del Comandante divisionale del nuovo commissario "Boris", risposi che non lo riconoscevo come tale e per questo davo le dimissioni da Comandante di Brigata. Il Commissario mi chiese di consegnargli le armi, ma io risposi come avrebbe fatto qualunque altro partigiano nella mia situazione: no. Con Lello [Raffaele Nante, che di lì a breve sarebbe diventato il Commissario della nuova Brigata "Val Tanaro", comandata da Giuseppe Garibaldi, Fra Diavolo], Firenze [Marino Mancini] e pochi altri rimasi ad Alto.
[...] Il Vice Commissario di Brigata Calzolari e il vicecomandante avevano seguito il Comando Divisione. Ma eravamo sempre troppi, così si allontanò anche Pantera (Luigi Massabò): prima di lasciare il paese venne a salutarmi e, stringendomi la mano, mi fece i migliori auguri.
[...] Il giorno seguente, alla sera, arrivò ad Alto Viveri, un rappresentante del Comitato di Liberazione di Albenga che gà conoscevo e stimavo. Si informò di ogni cosa e mi raccomandò di non prendere decisioni affrettate. Non capii cosa avesse inteso dirmi, fino a quando non giunsero altri esponenti del CLN di Albenga e a tutti raccontai quanto accaduto.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 164-166

Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
La faccenda dei nomi di battaglia è un po' lunga da spiegarsi, se uno la vuole capire bene come succedeva a quei tempi.
Un nome di battaglia o ce l'aveva di nascita o se lo guadagnava di prepotenza o se lo teneva quando glielo davano, ma non se lo poteva inventare all'atto pratico.
Così Giorgio [Giorgio Olivero], quando arrivò in banda dalla città, che nessuno lo conosceva e in montagna non l'avevano ancora visto, continuò a chiamarsi Giorgio come prima, niente da fare.
Lui parlava sempre in italiano perchè il dialetto non lo sapeva; e con quel modo di fare che aveva, si capiva bene che non era come gli altri; eppoi, avendo già fatto l'ufficiale prima dell'armistizio, con tutte quelle menate che gli avevano insegnato, di confidenza ne dava poca.
Epperò, lì dov'era capitato, non gli restituivano manco quella essendo che avevano soltanto l'istruzione elementare; ma i partigiani perdio sì che lo sapevano fare, altro che dargli il nome di battaglia.
Il fatto sta che gli uomini della Volante dove lo avevano mandato, subito non ci fecero caso; ma alla sera, quando si misero sdraiati, lo sentirono parlare mentre anche lui frugava nella paglia per dormire, e così capirono com'era. Allora il Mancen cominciò a guardargli ben bene gli scarponi, come fa uno che se li vuole misurare se gli vanno giusti per tenerseli, e non gli disse niente.
Cosicchè anche gli altri della banda, gli guardarono sul serio scarponi giubbotto nuovo braghe di panno maglia di lana, e tutto il resto che aveva e gli serviva.
Guardandogli ste cose, tenevano la lingua di fuori, quasi per provare a mettersele, e sentirsele come gli stavano.
Dalle parti di Garessio dov'erano in quei giorni, dovevano guardarsi specialmente dalle spie che ce n'era dappertutto; dovevano guardarsi bene in giro, essendo posti nuovi che non conoscevano ancora; eppertanto adesso questo qui chissà, parlando bene educato, cominciò a vedersela brutta per le occhiate che gli davano di riffa o di raffa; lo guardavano male, quando magari andavano in giro di qua o di là; e c'era sempre uno che se lo sentiva dietro le spalle.
Cosicchè e dai e dai, Giorgio cominciò a capire che prima o poi, al momento giusto si capisce fuori mano, ti vedo e non ti vedo, bona né, non se ne parla più.
Essendo a quel modo smandrappati, dopo tutti quei rastrellamenti con tutto il bisogno di vestiario che avevano, ti lascio dire com'era in quei posti, doversene andare all'avventura senza mai sapere dov'erano i nazifascisti; siccome, poi gli toccava ancora di andarsene a ramengo per chissà quanto tempo in quei posti del vaccamondo, ti lascio dire se non poteva capitare per fare più presto, che chi t'ha visto t'ha visto bona né.
Andando ancora avanti, Giorgio si accorse sempre di più delle occhiate storte che si davano, bisbigliando tra loro che lui non sentisse, sempre così.
A un certo punto, si accorse che la faccenda si metteva male; ma proprio tanto male da sembrargli impossibile seguitare a quel modo, facendo finta di niente.
Allora Giorgio con la scusa di un bisogno urgente che aveva, scantonò un poco tra il lusco e il brusco oltre la cunetta tra gli alberi; fuori tiro, si mise a camminare di corsa sempre bene al coperto, finchè arrivò al comando con l'affanno. Lì col nervoso e il mal di milza che aveva, si mise fermo sull'attenti a spiegargli com'era capitato all'improvviso con tutta quella fretta; come qualmente cioè, nonostante la diffidenza, anche sembrando troppo militare regio esercito, lui aveva tutte le carte in regola lo stesso e verificassero pure, va bene?
Ma bisognava dirglielo subito a quelli del Mancen, che anche con la diffidenza, lui non era disponibile a fare la fine a quel modo; voglio dire a quel modo sbrigativo, come aveva sentito dire in banda - uno in più uno in meno, porca la miseria non si può mica rischiare?
Dunque glielo dicessero subito al Mancen, che soltanto perchè parlava italiano con un bel paio di scarponi nuovi e un po' di panno buono addosso, non glielo doveva dire di andare al comando e chi s'è visto s'è visto, bona né.
Adesso invece lui, si sentiva sul serio un ribelle, anche parlando l'italiano; e piuttosto cercava di imparare il dialetto, mettendocela tutta per impararlo in fretta senza sbagliarsi.
- Ma brutto mondo ladro - diceva, - rimetterci la ghirba da gabibbo proprio in questo modo, assolutamente no.
Successe poi che, andando avanti col tempo e l'istruzione che aveva con un po' di pratica militare; hai voglia dire che sono tutte balle i gradi per fare i gagà, ma serve sempre, anche se uno nella naia c'è stato soltanto di complemento; e così Giorgio dopo un po', diventò il comandante dei garibaldini.
I galloni però, non se li mise subito, perchè era proibito e poi perchè bisognava fare diverso dai badogliani.
Ma venne il tempo sissignori, che gli ordini alla fine li diede lui eccome, anche al Mancen, che pure era diventato un partigiano famoso, niente da dire; li diede anche agli altri comandanti tutti in regola con i nomi di battaglia e senza, girando come un padreterno per i distaccamenti, con la sua roba buona addosso.
Girava sempre con un mascinpistole nuovo, di quelli perfezionati ultimo modello, che se l'era guadagnato proprio alla maniera giusta; e cioè se l'era andato a prendere dov'era, ed era tornato con un mucchio di sammarchini armi e bagagli munizioni muli bardature e soldi delle paghe, tutto compreso.
Dunque perdio il mascinpistole adesso gli toccava punto e basta, va bene? Gli toccava perchè lui sì che ormai il partigiano lo faceva eccome, anche senza il nome di battaglia; inutile guardarlo ancora di traverso da strafottenti, come per dire che lì c'era da fare i gagà; e poi lui in più sapeva leggere le carte militari al venticinquemila, come Pantera capo di stato maggiore. Ma gli altri, anche famosi col nome di battaglia, com'erano tutti smandrappati analfabeti o quasi, no.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 72-76

domenica 5 dicembre 2021

Una tragica partita di calcio tra operai della ditta Paladino e soldati tedeschi

Diano Marina (IM) - Fonte: Mapio.net

L'11 febbraio 1945 6 giovani provenienti dal fronte vennero condotti a Sanremo nella caserma di Via La Marmora in zona San Martino: 5 degli arrestati forse erano francesi.
Sempre il giorno 11 febbraio un membro delle SAP di Diano Marina, Vladimiro Marengo (Casi), impiegato presso la ditta Paladino che effettuava lavori per i tedeschi, venne ucciso durante un incontro di calcio tra operai dell'azienda di cui sopra ed una rappresentativa di soldati tedeschi. "Casi", che ricopriva il ruolo di portiere, fu assalito da un poliziotto fascista, che irruppe nel campo e lo uccise con un colpo di rivoltella.
Ancora nel corso dell'11 febbraio il CLN di Sanremo dava ragguagli a 'Simon' Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, circa la copertura di identità (falso nome di Giovanni Arrigo), la motivazione (acquisto di derrate alimentari) ed altre modalità di copertura per il viaggio a Genova, dove il comandante doveva incontrare il CLN ligure, che gli avrebbe conferito il nuovo incarico a livello regionale. Senonché, il "foglio di viaggio" risultava valido solo per il tratto Taggia-Savona: il resto del tragitto 'Simon' lo avrebbe dovuto compiere clandestinamente in autovettura.
Durante le prime ore dell'11 febbraio 1945 una colonna di soldati tedeschi operò un rastrellamento nella zona di Aurigo nella Valle del Maro, parte orientale della provincia di Imperia.
Il nemico riuscì ad accerchiare il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Silvio Bonfante", il quale si sottrasse all'attacco ma riportando un morto ed un ferito grave. I nazisti subirono "dure perdite di cui non è possibile accertare l'entità".
Il 12 febbraio un altro Distaccamento della Divisione "Silvio Bonfante", il Distaccamento "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio", continuò nell'opera di recupero delle armi nascoste durante l'inverno a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo. Rientrò in possesso di 1 mitragliatore pesante Breda 1937, privo di otturatore, con 1600 colpi, 2 Breda leggeri 1930 con 500 colpi, 1 machine-pistole, 1 fucile mitragliatore Brent, 4 moschetti americani e 2 fucili tedeschi.
Sempre il 12 febbraio, dall'altra parte della provincia a Bregalla nel comune di Triora il Distaccamento "Mortaisti", insieme ad un altro nucleo, anch'esso appartenente al I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", salendo sulla vetta del Monte Pellegrino costrinse una colonna di tedeschi e di fascisti, proveniente da Molini di Triora, ad indietreggiare sino alla "Goletta": qui vennero bersagliati con un mortaio da 81 mm e, secondo un rapporto del comando della V^ Brigata, "le perdite avversarie ammontano a 7 uomini".
Ancora il 12 febbraio 1945 a Sanremo presso Villa Junia vennero uccisi mediante fucilazione i garibaldini Renato Borgogno (Caminito), Francesco Donchio (Franz) [n.d.r.: da nuove fonti si potrebbe dedurre che si trattava di D'Onghia Francesco; altri documenti partigiani sostengono che fosse stato fucilato sempre a Sanremo ma il 2 marzo 1945], mutilato ad un braccio, e il civile Silvestro Polizzi.
I loro corpi finirono in una fossa comune. Sulla tragica fine di 'Franz' dalla Memoria del partigiano Gian Cristiano 'Gianburrasca' Pesavento (conservata nell'archivio ISRECIm sez. III cartella 24 bis) si apprende che "era privo di una mano. Così gli aguzzini gli strapparono i vestiti, finchè il moncherino non fosse scoperto e su quel moncherino infierirono con una frusta".
Nello stesso giorno Sanremo fu oggetto di un bombardamento aereo.
La sera del 12 febbraio, inoltre, un altro contingente di soldati tedeschi abbandonò la provincia dirigendosi in Piemonte.
Si trattava degli uomini del presidio di Borgo di Ranzo, che era l'unico rimasto in Valle Arroscia dopo i rastrellamenti di fine gennaio 1945.
Con la partenza di questi militari la zona Ortovero (SV)-Vessalico (IM) risultava sgombera, tanto che 'Pantera' [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] potè scrivere: "la situazione nemica nella zona della Divisione è molto precaria. I tedeschi si schierano lungo le vie di comunicazione principali allo scopo di proteggere il transito delle colonne ripieganti".
Infatti, i nazisti rinforzarono i presidi di Pieve di Teco e di Garessio (CN), paesi posti rispettivamente a sud e a nord del Colle di Nava lungo la statale n° 28.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Poco tempo dopo, al medico, presso il quale ero in cura, raccontai che i postumi mi erano stati causati da una folle paura che mi aveva percosso per i terribili episodi vissuti, ma questi non credette che quella fosse la causa.
Ad ogni modo per essere ristorato in qualche modo (e ne avevo estremamente bisogno), fui inviato presso una famiglia amica che collaborava con grande dedizione con noi. Il capo famiglia era detto "Carlin de Deiu", direi il nostro perno centrale nella valle Steria. Sì che di aiuti ne ricevevamo anche da altre famiglie, ma se ci fosse stato qualche "Carlin de Deiu" in più, probabilmente le nostre sofferenze sarebbero state certamente minori. Ora di quella famiglia vive ancora Ivonne, figlia del "Carlin". Ricordo con piacere quei giorni, sia per l'affetto, sia per le cure ricevute. Pensai che, forse, a casa mia, non sarei stato così bene.
Ora, prima di inoltrarmi ancora nei miei ricordi, desidero riportare il triste episodio di cui rimasero vittime i sapisti Vladimiro Marengo, figlio della Tassi e Gaetano Sgarbi già menzionato.
A Diano Marina si era formata una squadra di calcio composta da operai della ditta Paladino, che lavorava alle fortificazioni tedesche, e nella quale si erano infiltrati sapisti dianesi tra i quali i due compagni summenzionati.
Nel pomeriggio di domenica 11 febbraio 1945, si disputò una partita amichevole tra la squadra della Paladino di cui Vladimiro era il portiere, ed una squadra di soldati tedeschi.
Quasi a metà gioco spuntarono dei fascisti in borghese i quali rincorsero Vladimiro e lo uccisero seduta stante con colpi di rivoltella. Rincorsero anche Sgarbi che fu colpito gravemente ad una gamba. Questi riuscirà drammaticamente a salvare la vita, ma la gamba gli verrà amputata.
I tedeschi, ignari di quanto stavano tramando i fascisti, supponendo che si stesse sviluppando un attacco partigiano, si misero in difesa, raggruppandosi a circoli sparsi. Ma poi, informati di quanto stava succedendo, si ritirarono nei loro accantonamenti.
La partita fu sospesa e tutto finì. Solo Vladimiro ci rimise la vita a causa di spie che avevano informato il nemico sull'attività cospirativa dei due compagni.
18 - Piccole avventure
Ritornando sulla mia degenza a Deglio Faraldi, dopo una ventina di giorni, sentendomi meglio, anche se a malincuore, mi incamminai verso il Comando della I brigata che si trovava in quei giorni a Bassanego, nella zona di Casanova, per riprenderela mia vita grama in continuo pericolo.
Infatti ricordo che ci fu un pesante rastrellamento nemico e i tedeschi si attestarono in una zona vicinissima alla nostra ed effettuavano puntate nelle frazioni vicine. Sapevano che il Comando era in quella zona, per cui pensavano prima o poi di catturarci, anche con l'aiuto di qualche spia.
Non ci rimaneva altra alternativa che quella di disperderci per i boschi di giorno e riunirci alla notte in una baita per mangiare qualche cosa e riposarci al coperto. Ma non sempre i collaboratori potevano fornirci dei viveri di cui indubbiamente non avevano in abbondanza. Ricordo che una volta, quando la fame era diventata acuta, cercammo di frugare nelle case disabitate per vedere se potevamo trovare qualche cosa da mettere sotto i denti. Quando entrammo in una casa, da una fessura di una porta scorgemmo dei kaki e delle mele, ma ci accorgemmo che la frutta era ancora acerba. La fame era tanta che mangiammo ugualmente la frutta; al mattino ci svegliammo con la pancia in convulsione e i denti legati in tale modo che non potevamo neanche masticare. Per anni non mangiai più un kako.
In quel periodo, saputa la mia dislocazione a Bassanego, mia madre venne a trovarmi, portandomi qualche indumento e pochi soldi. Stemmo insieme una mattinata intera, con noi sostavano anche la futura moglie di "Mancen", la sorella Rina, il fratello "Moschen" e la loro madre detta "Maria a Bumba". Eravamo pieni di pidocchi, in conseguenza di ciò (come si faceva ogni venti giorni circa) procedemmo alla bollitura dei panni al fine di eliminarli, con le loro uova; la Rina provvide alla disinfestazione, stendendo poi i panni ad asciugare, mentre mia madre assisteva all'operazione. Quando la Rina ebbe finito, pensò di mettere sul fuoco il cibo per preparare da mangiare. Si prevedeva un bel minestrone quando giunse "Mancen" con una bella testa scuoiata di agnello, la quale, dopo essere stata lavata sotto l'acqua di una fontana, fu messa a bollire insieme al minestrone stesso.
Notai che mia madre torceva il naso vedendo quello che stava accadendo. Quando giunse il momento di mangiare (eravamo quasi una decina di persone), mia madre, che mi era vicina, mi chiese se il pentolone nel quale era stato cotto il minestrone era lo stesso nel quale erano stati bolliti i panni. Le risposi che era lo stesso perché non ne avevano altri; al tempo stesso le domandai il perché della domanda ed essa mi rispose che voleva soddisfare una sua curiosità.
Il fatto è che, dicendomi che non aveva fame, quel giorno non mangiò niente. Povera donna, era già di poco cibo e quando aveva visto la testa sanguinante bollire nel pentolone insieme al minestrone dove erano già stati bolliti i pidocchi, le si serrò la gola. Invece noi mangiammo con gusto poiché, con i nostri vent'anni, tutto era normale.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 85-87

12 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Trasmetteva informazioni sui bombardamenti avvenuti il 5 febbraio nella zona di Sanremo, sulla base del documento 276/SIM del CLN di Sanremo.
12 febbraio 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Gianni Ro, Giuseppe Viani] della I^ Zona Operativa Liguria ai comandi delle formazioni dipendenti - Comunicava che l'11 febbraio vi erano stati alcuni rastrellamenti, probabilmente per convincere molti partigiani a disertare per approfittare dell'amnistia repubblichina decretata in quei giorni e che il 9 febbraio cinque patrioti erano stati fucilati presso il cimitero di Oneglia, un altro a Capo Berta, un altro ancora nella caserma della Milizia, quest'ultimo un sergente della stessa Milizia, accusato dai fascisti di tradimento, la terza vittima in quindici giorni tra uomini della Milizia trucidati con una tale accusa.
12 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Angiolino Viani" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava il ritiro e la successiva distribuzione di 2 apparecchi radio.
12 febbraio 1945 - Dal comando del II° Battaglione [tedesco], Einheit 23539, al commissario prefettizio di Albenga (documento scritto in tedesco) - Richiedeva 20 operai muniti di picconi e pale.
12 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga, marchese Andrea Rolandi Ricci, al comando del II° Battaglione [tedesco], Einheit 23539 - Comunicava, in risposta alla richiesta pervenuta nella stessa giornata, che il comune di Albenga non era in grado di fornire picconi e pale e che l'unica ditta che poteva soddisfare quanto sollecitato era la Spallanzani, già al servizo della Wehrmacht.
12 febbraio 1945 - Da "Citrato" [Angelo Ghiron] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava diversi movimenti e situazioni nemici, tra cui un posto di blocco a Cervo formato da 20 militi della brigate nere insieme a 6-7 tedeschi, ma soprattutto confermava la fucilazione ad Oneglia del partigiano Carlo Delle Piane.
12 febbraio 1945 - Da "Bruno" alla Sezione SIM del CLN di Sanremo - Riferiva che da alcune informazioni avute da soldati tedeschi risultava che i 6 giovani condotti il giorno 11 alla caserma di Via Lamarmora a Sanremo erano stati catturati al fronte e che 5 di loro parlavano francese.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
 
Particolare cura viene posta nell'attività preventiva di osservazione di tutto quanto interessa l'opera sobillatrice di eventuali emissari in seno all'Organizzazione Paladino che, per raccogliere in prevalenza elementi sbandati od ex partigiani, è divenuto l'organismo da tenere in maggiore conto con l'avvicinarsi della primavera per le prevedibili defezioni.
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna -, Imperia, 5 marzo 1945 [timbro di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 27 marzo 1945]

domenica 13 giugno 2021

Era il 31 gennaio 1945

Capo Berta, Diano Marina (e San Bartolomeo al Mare) visti da Cervo (IM)

Federico [Federico Sibilla], che intanto era diventato commissario di brigata [n.d.r.: la I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"], ci fece notare che eravamo in troppi per rifugiarci nella casa della Tassi, e mi invitò a ritornare in uno dei rifugi di Besta [n.d.r.: località nel territorio del comune di Diano San Pietro (IM)]. Pensai di ritornare sui miei passi insieme al garibaldino Franco Piacentini ("Raspen"), che era sceso dalla montagna per procurare a lui ed agli altri dei viveri.
Questo invito di Federico non mi sembrava giusto poiché io facevo parte, a tutti gli effetti, del Comando della brigata e avrei preferito rimanere insieme ai miei abituali compagni. Comunque non feci discussioni e, insieme a "Raspen", racimolato un poco di pane, un poco di tabacco e qualche altra cosa da mangiare, incominciai ad avviarmi verso i rifugi. Sennonché, mentre scendevamo la scaletta della baita, incontrammo Giuseppe Saguato ("Pippo"), comandante del distaccamento "Francesco Agnese", il quale mi chiese dove stavo andando. Ascoltate le mie ragioni, mi invitò ad andare con lui, anche se Federico mi aveva suggerito di raggiungere i rifugi di Besta. Mi fece presente che nella casetta a Sant'Anna c'era posto anche per me.
Fu in quel momento che mi separai da Raspen e seguii Pippo. Ci accompagnava il sapista Gaetano.
Su suggerimento di "Moschin", altro compagno di lotta, per abbreviare la strada ci azzardammo a passare nei pressi della batteria tedesca dislocata in località "Ciapasso".
Probabilmente i soldati udirono il nostro scarpinare nella notte perché spararono alcune raffiche col mayerling, ma tutto finì bene.
Ci fermammo nella casa della Tassi tre giorni e due notti; fummo trattati da quella signora con ogni gentilezza; riuscii a fare conoscere a mia madre dove mi trovavo, per cui essa mi raggiunse con molti viveri, ma insieme ai viveri ci recò una grave notizia.
Rimasi stupito di vederla pallidissima in volto mentre parlava; ci informò che, mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti il caro compagno Adolfo Stenca, capo dell'ufficio informazioni, partigiano, insieme ad una decina di altri nostri combattenti, prelevati dalle carceri di Oneglia.
Nella sua disperazione ci fece presente quanta paura aveva per la nostra vita.
Non ci rimaneva che farle coraggio dicendole che presto la guerra sarebbe finita e noi saremmo ritornati, tutti, alle nostre case.
Era il 31 gennaio 1945.
Andò via un poco più sollevata di animo, ma non del tutto convinta.
Nella notte fummo svegliati dal solito aereo solitario, soprannominavamo "Pippetto", il quale sganciò una bomba (forse per colpire i tedeschi del "Ciapasso") molto vicino a noi. Ci venne da pensare che non solo avevamo contro i nazifascisti, ma anche gli alleati angloamericani.
Il giorno successivo sentimmo dei colpi di mortaio che i tedeschi sparavano dal "Ciapasso"; un colpo finì davanti alla Chiesa di Diano Marina uccidendo tre bambini e ferendo alcune persone.
La terza sera - dopo che Massimo Gismondi ("Mancen"), comandante della brigata, aveva preso contatto con Giancamillo Negro, ufficiale della brigata nera, il quale si dichiarava amico della Resistenza e diceva che per noi non ci sarebbero stati rastrellamenti e dopo aver consegnato a "Mancen" stesso il suo armamento - partimmo per rientrare nella nostra zona.
Dormimmo in un'altra casetta, in località "Biascine", di proprietà dello Sgarbi, perché non ci fidavamo per niente dell'ufficiale fascista.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 
 
Anche il garibaldino Guglielmo Bosco, catturato, verrà fucilato su Capo Berta di Imperia il 31 gennaio 1945... Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia  

31 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "a Villatalla sono stati uccisi 30 partigiani dalle SS tedesche; a Capo Berta sono stati uccisi 11 partigiani prigionieri, Stenca, De Marchi, Manodi, Ansaldo, Garelli, Bosco, Bertelli, Agliata, Ardigò, Noschese, Delle Piane, arrestati il 9 gennaio su indicazione della donna velata, che era stata con loro in montagna...".
31 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" all'Ufficio informazioni e spionaggio della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che "da una relazione fornita al commissario federale [fascista] di Imperia si desume che nella mattinata in corso un camion tedesco e 5 militari delle bande nere hanno circondato un casone in cui si trovavano diversi garibaldini e ne uccidevano 30. Sempre nella giornata in corso sono stati fucilati 10 garibaldini prigionieri lungo la salita di Capo Berta come rappresaglia all'uccisione di 2 tedeschi. Il mio cuore sanguina troppo per commentare. La causa di tutto è la famosa donna che ben conoscete... il morale delle truppe tedesche è bassissimo: moltissimi quelli che si spacciano per austriaci. Molti i polacchi che piangono, pensando che avendo servito il nemico non potranno più ritornare in patria".
31 gennaio 1945 - Relazione sul rastrellamento di Tavole - Villatalla - Nicuni, avvenuto il 31 gennaio 1945: tra i partigiani ci furono 6 morti e 3 prigionieri, "Insalata", "Oscar" e "Testa Bianca".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "il giorno 1 perirono Badano Ezio, Menini Lionello e Valduna Giovanni ad Armo; il 2 Emilio Zamboni, nativo di Dernis (Jugoslavia); il 3 Lorenzo Gracco; il 15 Italo Menicucci; il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti; il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano). * Proposte assegnazione medaglia d'argento alla memoria a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano morti il 20 gennaio 1945.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole. Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon', non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi. Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano.
31 gennaio 1945 - Da "Elio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che "la Divisione [fascista] Monterosa prenderà il posto della San Marco" e che si stava provvedendo ad inviare ai partigiani in montagna viveri e medicinali mandati dal CLN.
31 gennaio 1945 - Dal commissario prefettizio e dal comando militare tedesco di Albenga (SV) alla popolazione - Il manifesto avvertiva che i permessi in scadenza il 31 gennaio sarebbero stati rinnovati solo in pochi casi e che l'oscuramento era obbligatorio dalle ore 18 alle ore 7.15 del giorno successivo; infine, compariva il monito a segnalare alle autorità i nominativi e ubicazioni dei "banditi".
1 febbraio 1945 - Dal Triumvirato insurrezionale del P.C.I. per la Liguria ai Comitati Federali del P.C.I. ed alle formazioni partigiane - Nel documento, si rendeva, tra l'altro, nota l'avanzata dell'Armata Rossa in Polonia, nella Prussia Orientale, nella Slesia e nel Brandeburgo; si sottolineava la necessità di preparare la liberazione di località e territori, nonché di approntare l'insurrezione dei grandi centri industriali; si rimarcava l'esigenza di discutere nei CLN il problema dello scatenamento al momento opportuno dell'insurrezione nazionale inglobando i lavoratori desiderosi di farne parte; si faceva un appello affinché ogni compagno fosse pronto a dare prova di spirito di unità ed a collaborare con i patrioti di ogni tendenza politica; si dava l'indicazione di costituire in ogni villaggio occupato dai partigiani una sezione di partito che fosse di ausilio a tutti i patrioti e della promozione da parte delle SAP di scioperi generali per il pane, per i viveri, per gli indumenti e per la fine dell'oppressione nazifascista.
1 febbraio 1945 - Da "Citrato" [Angelo Ghiron] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la cifra da chiedere "per l'affare Faravelli"; gli arresti di alcuni esponenti della Resistenza e del PCI di Imperia, avvenuti dietro intervento di una spia detta "La Francese" o "Primula Rossa", una donna italiana, che era stata tra i partigiani e che parlava bene il francese; la prossima diminuzione della consistenza dei presidi tedeschi nella valle di Cervo.
3 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga ai podestà di Ortovero, Villanova d'Albenga, Casanova Lerrone, Vendone, Nasino, Castelbianco, Castelvecchio, Zuccarello, Cisano sul Neva e Garlenda - Trasmetteva l'ordine della Feldgendarmerie di fare rientrare nella Brigata Nera di Albenga le giovani reclute che, appena arrivate all'arruolamento, si erano allontanate dalla caserma, perché passibili di fucilazione come "banditi".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999