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mercoledì 1 maggio 2024

Massabò riferisce della situazione delle bande nella provincia di Imperia, bande che sarebbero in gran parte comuniste

Cesio (IM): uno scorcio. Foto: Davide Papalini su Wikipedia

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Per continuare l'azione punitiva, alcuni garibaldini fecero saltare il ponte di Borgo di Ranzo, interrompendo i rifornimenti al nemico dislocato nella bassa valle.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), Edizioni Amadeo, Imperia, 1998,  p. 60

4 ottobre 1944
[...] Massabò riferisce della situazione delle bande nella provincia di Imperia, bande che sarebbero in gran parte comuniste. Egli ha cercato di distogliere una parte dei comunisti e di orientarli su altre vie. Folco sarebbe colà il rappresentante liberale. Massabò spera di ottenere l’adesione al PL del sindaco designato di Imperia Gandolfo. Anche egli, come Canepa, passa al liberalismo dalle file socialiste. Egli è tendenzialmente di sinistra con pregiudiziale internazionalistica.
20 ottobre 1944
[...] Viene portato il testo inaugurale di Giuseppe, riferisce sulla situazione nella provincia di Imperia, nella quale fra la generale indifferenza, dominano i rossi.
Virginia Minoletti Quarello, Interno 10. Pagine di cospirazione genovese in Rosa (Rossella) Pace, Noi, le altre. Le donne liberali nella Resistenza, Tesi di Dottorato, "Sapienza" Università di Roma, Anno Accademico 2018-2019

Il nemico intanto aveva ideato un piano per distruggere la V^ brigata a ponente e la I^ a levante, sul territorio della provincia imperiese. L'8 ottobre con ingenti forze attaccò la V^ a Pigna. Dopo alcuni giorni di resistenza estrema, quest'ultima dovette iniziare una ritirata per le montagne verso levante, attraversando Carmo Langan e altri passi, finché giunse a Viozene. Anche la I^, lasciando Piaggia, giungeva a Viozene la sera del 16, mentre i feriti, su ordine del Comando, venivano raggruppati nel paese di Upega poiché si pensava che la località rimanesse a ridosso del rastrellamento, e quindi protetta.
12 - La tragedia di Upega - Ritirata in Piemonte
Mentre le due brigate evitavano il passo delle Fascette a levante di Upega, per giungere a Viozene, attraversando il Lagaré per una via più agevole, noi del Comando, all'imbrunire del 16, ci inoltrammo, appunto, per il passo delle Fascette per giungere a Carnino.
Il passo delle Fascette era l'unico passaggio che congiungeva Upega a Viozene (nel dopoguerra fu costruita la strada carrozzabile). Era già problematico attraversarlo di giorno, ma noi lo attraversammo di notte e fu una impresa terribile. Sopra i precipizi vi erano delle corde alle quali chi attraversava il passo doveva tenersi con le mani, e bisognava mettere i piedi in nicchie scavate nella roccia per non scivolare. Questa attraversata non la dimenticherò mai più.
Giunti all'altro capo del passo, ci sentimmo stanchissimi, e cercammo di dormire. Nessuno di noi conosceva la strada per Carnino: ce l'insegnò poi la partigiana Anita Boeri ("Candacca"). All'alba del 17 ottobre ci preparammo per trasferirci a Carnino a congiungerci con altri partigiani. Facevamo delle corsette per scrollarci il freddo notturno che sentivamo nelle ossa, quando sentimmo delle raffiche di mitraglia provenienti dalla vallata di Upega. Immaginammo che i tedeschi avessero attaccato il paese, e, sapendo che colà erano rimasti i feriti con qualche altro partigiano, insieme a "Curto", a Libero Briganti...
Sandro Badellino, Op. cit., p. 61-62 

Alle 19 del 17 di ottobre, quella che sarà per noi la data più triste, legata al ricordo di Upega, mentre gli ultimi raggi del sole sfiorano le cime, la I^ e la V^ Brigata iniziano quella marcia che rimarrà ricordo inestinguibile nel cuore di tutti i garibaldini. Il distaccamento "G. Catter", che era al Colle dei Signori, ripiega; il distaccamento "Filippo Airaldi", che bloccava le Fascette, si sposta verso Carnino. La colonna si avvia lenta per la mulattiera, sostando frequentemente per attendere qualche squadra rimasta indietro, qualche mulo col carico non ben sistemato. La notte scende; nel cielo, ora sereno, le stelle si accendono una ad una, le montagne spiccano nere sullo sfondo azzurro cupo del cielo, lo scroscio della vene di Carnino rimbomba nella valle tenebrosa.
Il pensiero della sosta a Viozene solleva un po' lo spirito, per quanto alloggiare in tanti sia cosa impossibile. Ad un tratto la colonna si arresta, non è una delle solite soste, sulla strada c'è un'altra colonna che sale da Viozene: che sarà? E' la V Brigata che passa in Piemonte; nel buio della notte non si vede, non si capisce, la voce passa di bocca in bocca, non si va a Viozene, si prosegue.
Il motivo anche questa volta non è noto: in seguito si saprà che un forte concentramento nemico a Ponte di Nava fece supporre un attacco imminente. Lunga e faticosa è la salita fino alla cima. Di cenare non se ne parla; vi sono sessanta pagnotte, gli uomini sono tanti che non vengono nemmeno distribuite. "Scacciati senza tregua i ribelli vanno via": le parole della nostra canzone sull'aria di una canzone anarchica; Rezzo, Piaggia, Upega, Carnino, Viozene... i paesi della ritirata della I Brigata; più numerosi quelli della ritirata della V^.
Ogni tappa speravamo fosse l'ultima, ogni volta il destino più forte ci ha sospinto. Addio Liguria, teatro delle nostre lotte, delle nostre imprese, terra bagnata da tanto sangue, dove riposano i nostri morti. Addio Riviera, dove invano attendono i nostri cari, dove per lunghi mesi abbiamo sognato di scendere. Addio compagni, addio bande, addio IV Brigata che continui da sola la lotta nella nostra terra.
Eccole una ad una le nostre montagne sotto l'incerto chiarore delle stelle, ecco il Lagarè, lo Scravaglion, le Fascette, ricordi di ieri. Ecco il Saccarello, il Frontè, le montagne di Piaggia che spiccano da lungi con le cime nevose, ecco il Monte Grande e incerte, confuse, cime e cime, ricordi di un passato di lotta e di sangue. D'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni, e il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, che era la Divisione Garibaldi "F. Cascione", quello che il nostro orgoglio e la nostra speranza, tutto disperso: 650 eravamo a Piaggia nella I^ Brigata, ora appena 300 sono gli uomini di essa che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^. Gli altri sono in liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di “Cion” e di “Giulio”. Esclamazioni di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini che idolatravano i loro capi.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

Giunti in Val Corsaglia in seguito a rastrellamento eravamo considerati come ospiti dai badogliani e come tali non disponevamo di completa libertà di azione. Una missione offensiva su Villanova, eseguita dal Garbagnati, aveva dovuto attraversare la zona controllata dai badogliani e questi ci avevano pregato di non insistere in azioni che potevano provocare un rastrellamento. Al comando garibaldino seccava trattenere gli uomini che desiderassero ancora combattere. Oltre alla limitata autonomia, rimaneva da decidere il destino delle varie bande della I^ Brigata, circa un terzo, rimaste in Liguria verso la costa. Era bene ritirarle in Piemonte od era meglio tornare noi di là? Il problema era arduo. Quale era intanto la esatta situazione della zona che avevamo abbandonato?
Il S.I.M. si andava riorganizzando ma, per la lunghezza dei collegamenti, non poteva fornirci notizie esatte e precise. Impressione nostra era che i tedeschi intendessero ormai presidiare tutte il terreno tra le Statali 28 e 20 allestendo fortificazioni, organizzando una linea di difesa. Tutta la zona della V^ Brigata e metà del territorio della I^ sarebbe diventata retrovia del fronte con la conseguente impossibilità per noi di operarvi, almeno secondo i metodi fino ad allora seguiti. Rimanevano liberi i territori della IV^ Brigata e quelli tra la 28 ed il mare. Abituati da mesi ad operare in territori abbastanza vasti ed impervi, eravamo quasi tutti dubbiosi sulle possibilità di quella zona. Avevamo già adottato uno schieramento ad est della 28 dal 4 al 9 agosto, ma avevamo dovuto ritirarci subito.
Sarebbe stato troppo facile al nemico attaccarci per le numerose carrozzabili che attraversavano le vallate, mentre le possibilità di difesa manovrata o sganciamento erano minime per la ristrettezza della zona. Se non fossimo tornati in Liguria che avremmo potuto fare? Potevamo spostarci più a nord, nelle Langhe ed unirci alla Divisione Garibaldina.
Chiedemmo anche alla Divisione Bevilacqua, che operava sopra Savona, se avremmo potuto mandare qualche banda nel suo territorio.
Era però evidente che, passando in altra zona, avremmo avuto un clima più duro, un terreno sconosciuto e in più l'influenza di un altro comando.
Il Comando restò indeciso, per il momento saremmo rimasti in Val Corsaglia ad equipaggiare gli uomini, poi qualche fatto nuovo avrebbe potuto risolvere il problema per noi. Attraverso Ormea, che i tedeschi non presidiavano stabilmente, riuscimmo intanto a stabilire un contatto abbastanza frequente con le bande rimaste in Liguria inviando loro viveri e vestiario.
Quale era intanto il morale degli uomini? Come avrebbero accolto l'idea di un ritorno in Liguria? Era ancor viva la volontà di lotta? Era il problema che si ponevano molti del comando. In quale misura il destino della Cascione sarebbe dipeso ormai dalla nostra volontà?
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 15-16

domenica 13 febbraio 2022

Attraverso Ormea, che i tedeschi non presidiavano stabilmente, riuscimmo intanto a stabilire un contatto abbastanza frequente con le bande rimaste in Liguria

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN): un momento della manifestazione in data 20 ottobre 2013 in ricordo dell'ospitalità data dal paese ai partigiani imperiesi nell'ottobre 1944

«Aldo» fece caricare sui muli venti quintali di grano a Pamparato; altra merce e vettovaglie erano state depositate in pianura per non subire la distruzione a causa di un previsto attacco nemico da val Casotto.
Un probabile trasporto di merci ad Ormea e Garessio con automezzi fu scartato per il transito di numerosi nemici verso Ceva.
Il mattino del 30 di novembre 1944 una colonna di muli carichi di pasta, farina e tabacco partiva per la Liguria.
Un sostanziale aiuto veniva dato anche dall'Ufficio Annonario di Imperia che forniva clandestinamente farina ai fornari Ramone, Tomatis e Semeria di Montegrazie, Guasco di Moltedo, Castino di Torrazza, Trucchi di Piani, Lupi di Caramagna, che panificavano per conto della IV brigata.
Dopo quattro giorni di trattative con l'annonaria di Savigliano e con i Comandi tedeschi di Nava, l'8 di dicembre il garibaldino «Enzo» riusciva a far giungere a Cosio due carri carichi di grano tirati da buoi, passando per Ormea-Ponti di Nava-Case di Nava. Da Cosio portato a Mendatica a dorso di mulo, il grano venne macinato e gradatamente prelevato dagli intendenti della IV e V brigata.
Diciotto quintali dello stesso carico erano già stati ritirati a Cantarana dalla I brigata insieme con un certo quantitativo di sale e di tabacco. Convinto che il grano servisse per il fabbisogno della popolazione di Mendatica, il Comando tedesco lo lasciò transitare preavvisando, però, che prima di quindici giorni non avrebbe concesso un secondo permesso, richiesto per il transito di un ulteriore carico di quaranta quintali.
Il trasporto dei viveri dal Piemonte fu un problema difficile da risolvere. Sovente situazioni impreviste e gravissime causarono il fallimento dell'impresa.
A titolo di cronaca, riportiamo la testimonianza della garibaldina Ada Pilastri (Sascia), protagonista di uno di questi viaggi [...]
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Documentazione riguardante le funzioni di intendente partigiano di Gino Glorio (Magnesia ) - Fonte: Gino Glorio, Op. cit. infra

Un altro caso che dovetti risolvere fu quello della legna. I contadini avevano fatto la provvista per l'inverno ammucchiando le cataste di legna tagliata sotto tettoie, nei pagliai, all'aperto. Per i partigiani erano una tentazione e  presto piovvero le proteste al comando. Ci offrimmo di pagare, di comprare la legna con i primi fondi che il C.L.N. ci avrebbe mandato ma i contadini non  volevano soldi, rivolevano la loro legna: «Non facciamo i boscaioli di mestiere» ci dicevano, «qui nessuno ne vende, dovremmo o tagliarla di nuovo od andare lontano a comprarla. Ridateci la legna come l'avete trovata». Potevamo dar l'ordine ai partigiani di andare a far legna nei boschi, ma sarebbe stata legna bagnata e forse non saremmo stati ubbiditi. C'era una catasta di legna enorme presso Bossea. «Di chi è?» chiesi, « Del Genio Civile» mi disse Pantera. «Allora l'affare è risolto», dissi ai contadini: «Ecco qui una autorizzazione del Comando della I Brigata per prelevare legna dalla catasta presso Bossea rilasciata al Signor. ..., e qui mettiamo il vostro nome per un totale di kg. .... e mettiamo l'equivalente del buono che vi ha rilasciato la banda».  
I contadini partivano contenti. Più tardi mi dissero che la catasta non era del Genio ma di un privato. Non si fece vivo, peccato, gli avrei rilasciato un certificato di benemerenza per aver contribuito alla lotta di liberazione.
Un giorno venne un contadino con un buono speciale. «È un buono dello scorso agosto, firmato da Turbine». Lo esaminai, era vero, era un buono della Matteotti che era passata da Fontane dopo il rastrellamento del 10 agosto.
«Vede, è un caso particolare - spiegava il contadino - i partigiani hanno preso proprio il toro della mandria. Ho perso così una ventina di vitelli che avrebbero potuto nascere». « Già, ma noi non possiamo pagare venti vitelli che non  abbiamo avuto. Discussi mezz'ora, poi  pagai il toro a lire 40 al Kg., più che se fosse stato un vitello». «Possibile, Turbine, esser così bestie da mangiarsi l'unico toro della zona?» chiesi all'ex commissario della Matteotti qualche  tempo dopo. «Cosa vuoi farci, era la bestia che pareva più grassa e ci siamo accorti di quello che era dopo che era morto».
La vita dell'amministratore non mi dispiaceva e poteva dare dei vantaggi. Solo in caso di sbandamento sarebbe stata una responsabilità dovendo rispondere al comando di somme qualche volta ingenti. Ciò avrebbe comportata la necessità di ripresentarsi al più presto. Jacopo aveva lasciata la carica per motivi di salute; io supposi che alla prima occasione avesse intenzione di lasciarci e, da galantuomo, l'avrebbe fatto senza la cassa. D'altra parte non avrei avuto altre cariche da scegliere perché l'ufficio operazioni era stato sciolto.
In complesso in quei giorni i servizi non lavoravano molto. I più occupati erano i cuochi, gli intendenti, gli infermieri ed i dottori.
Il servizio sanitario era in mano a Caduceo, Serpente, Cobra ed Aspiride: provenivano tutti dalla S. Marco come il veterinario ed il dottore della V Brigata. Gli altri uffici vivacchiavano appena, attendevano la decisione se andare o restare, se tornare in Liguria o cambiare zona in Piemonte. Era chiaro a tutti che la sosta a Fontane era una soluzione transitoria.
Giunti in Val Corsaglia in seguito a rastrellamento eravamo considerati come ospiti dai Badogliani e come tali non disponevamo di completa libertà di azione. Una missione offensiva su Villanova, eseguita dal Garbagnati, aveva dovuto attraversare la zona controllata dai badogliani e questi ci avevano pregato di non insistere in azioni che potevano provocare un rastrellamento. Al comando garibaldino seccava trattenere gli uomini che desiderassero ancora combattere. Oltre alla limitata autonomia rimaneva da decidere il destino delle varie bande della I Brigata, circa un terzo, rimaste in Liguria verso la costa. Era bene ritirarle in Piemonte od era meglio tornare noi di là? Il problema era arduo. Quale era intanto la esatta situazione della zona che avevamo abbandonato?
[...] Chiedemmo anche alla Divisione Bevilacqua, che operava sopra Savona, se avremmo potuto mandare qualche banda nel suo territorio. Era però evidente che, passando in altra zona, avremmo avuto un clima più duro, un terreno sconosciuto ed in più l'influenza di un altro comando.
Il Comando restò indeciso. Per il momento saremmo rimasti in Val Corsaglia ad equipaggiare gli uomini, poi qualche fatto nuovo avrebbe potuto risolvere il problema per noi. Attraverso Ormea, che i tedeschi non presidiavano stabilmente, riuscimmo intanto a stabilire un contatto abbastanza frequente con le bande rimaste in Liguria inviando loro viveri e vestiario.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

25 ottobre 1944 - Sono le 11,30 e, sotto una pioggia dirotta, una colonna d'un centinaio di tedeschi parte per Triora. Hanno insieme tre muli ed un gruppo di ostaggi che avevano già accompagnato gli stessi tedeschi da Triora a Pornassio. Sembravano proprio soldati di un esercito sconfitto e in ritirata.
26 ottobre 1944 - Altri Tedeschi, giunti in mattinata, sono entrati nella sede della Croce Rossa [n.d.r.: di Pieve di Teco] dove hanno preteso medicinali per disinfezione e cotone idrofilo. Si sono anche impossessati di alcune bottiglie di liquore ivi esistenti senza verun riguardo al custode, mutilato di guerra. Anche questi son partiti alla volta di Triora.
27 ottobre 1944 - Giunge da Genova il genero di Giuvanolo Ferrari, soprannominato l'Orso, il quale racconta che lungo tutto la fascia costiera vi è un intenso movimento di tedeschi e con numerose salmerie e che ovunque vi è fervore di lavoro da parte dei tedeschi e borghesi; costruiscono speciali fortilizi e muraglioni in cemento - Scavano ovunque e, nella zona di Borghetto S. Spirito, proprio nelle rocce di sostegno della proprietà del senatore Borelli, con mine assordanti praticano degli antri all'interno. Non si può conoscere a cosa serviranno questi scavi.
28 ottobre 1944 - Alcune donne di Ponte di Nava mi assicurano che in Ormea non vi è più nessuno e che solo in Ponte di Nava vi è un presidio tedesco, ivi lasciato di guardia al ponte.
29 ottobre 1944 - Stamane un gruppo di Pievesi mi si è presentato pregandomi di assumere l'amministrazione del Comune. Dato il mio stato di deperimento li ho ringraziati, disimpegnandomi da un simile peso.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994 

Fonte: Rete Parri

[ n.d.r.: anche "Il Combattente - giornale dei volontari della libertà - edizione piemontese - numero 17 del dicembre 1944 - dava notizia, nell'articolo di fondo, delle eroiche prove sostenute dalla Divisione partigiana "Cascione" in provincia di Imperia ]

sabato 31 luglio 2021

Cercammo di raggiungere la formazione partigiana garibaldina che operava in Liguria

Uno dei Forti di Nava, Pornassio (IM)
 
Dopo aver partecipato alle campagne di guerra 1940-1945 (Francia-Albania-Grecia-Jugoslavia) eccomi a raccontare la parte ben più tragica dopo l'8 settembre 1943.
Mentre mi trovavo in licenza illimitata a casa, a Briga, vengo catturato da una pattuglia di SS tedesche arrivata all'improvviso verso mezzogiorno.
Mi viene dato appena il tempo di rimettermi la divisa militare e vengo fatto salire sul gippone con altri paesani catturati come me, con destinazione Cuneo, da dove partivano le tradotte con vagoni piombati verso la Germania.
Per fortuna, giunti a Tenda, paese presidiato dai militari tedeschi della Wermacht addetti al recupero di materiale della IV Armata Italiana, il maresciallo comandante del Presidio si impegna per il nostro rilascio.
Una quindicina di noi rimane a Tenda con la consegna di lavorare alla sistemazione di materiali vari ed accudire una trentina circa di muli; questo a causa dell'esiguità e dell'anzianità degli uomini che componevano il Presidio.
Lavoriamo per questo Presidio per alcuni mesi: lavoro di giorno e liberi di uscire alla sera.
Da Tenda veniamo spostati a Cuneo nella Caserma già IV° Artiglieria Alpina dove ci impongono di mettere un bracciale giallo con la scritta in caratteri gotici in lingua tedesca "soldato tedesco".
Chi non accetta viene spedito in Germania.
Così una sera decidemmo di fuggire; camminammo tutta la notte ed al mattino giungemmo a Briga.
Cercammo di raggiungere la formazione partigiana garibaldina che operava in Liguria e qui, con altri sbandati, costituimmo un nuovo distaccamento, cioè una Brigata.
Ci mettemmo in marcia per raggiungere il posto indicato, transitando per i Forti di Nava [nel comune di Pornassio (IM)].
Qua dovemmo cambiare rotta perché in quella località si trovavano già altri uomini del Capitano Martinengo [Eraldo Hanau].
Ci trasferimmo, pertanto, in Val Corsaglia (Mondovì).
Fu una marcia massacrante, attraversando Viozene, Mongioie, passando per Piaggia, frazione di Briga Marittima, ora diventata Briga Alta.
Lì appresi che i miei genitori e mio fratello Luciano di 16 anni in conseguenza alla nostra fuga erano stati arrestati e portati nel carcere "Leutrum" di Cuneo.
Mio fratello Luciano veniva sovente interrogato affinché dicesse dove noi eravamo.
Per impaurirlo gli prendevano le misure per la cassa da morto.
Poi tutto si è risolto grazie all’interessamento dell’ingegnere capo della Centrale Elettrica dove lavorava mio padre.
Egli chiese al Comando tedesco il rilascio motivandolo con la urgente necessità di operai specializzati da inserire nella Centrale Elettrica.
Grazie a questo mio padre fu subito rilasciato.
Seguirono la liberazione di mia madre e di mio fratello.
In Val Corsaglia trovammo la valle già presidiata e comandata da un ex appuntato dei Carabinieri (Taglietto).
Intanto il capitano Martinengo decise di ritornare verso Viozene [Frazione di Ormea (CN)] dove insediò il suo Comando di Brigata.
Il nostro gruppo rimase in Val Corsaglia prendendo posizione a Costa Calda sulle alture di fronte alle Grotte di Bossea, posizione che dominava un bel tratto di strada provinciale che da San Michele di Mondovì porta a Fontane di Frabosa.
Aldo Clerico in Libertà dal Popolo, Notiziario della F.V.L., n° 2 del 2011
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del '43 e l'inizio del '44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l'eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell'ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell'area alpina. <209
Nella parte settentrionale della provincia prende corpo il nucleo costitutivo della I divisione Garibaldi “Piemonte”, formato dal comando della 4ª brigata “Cuneo”. Oltre a operare nelle valli alpine settentrionali, al comando della I^ divisione rispondono anche i gruppi presenti nelle valli Belbo e Tanaro, nucleo originario della 16ª brigata “Generale Perotti”, mentre verso la fine di novembre, venuto a conoscenza della presenza di diversi nuclei di resistenti, tra cui ex militari, “Barbato” [Pompeo Colajanni] trasferisce «un gruppo di uomini capaci» in val Varaita. <210
[...] A partire da novembre infatti, colonne tedesche e fasciste circondano la parte occidentale della provincia di Cuneo, chiudendo le vie di uscita ai partigiani. Il 18 novembre viene rastrellata l'intera val Casotto, che costringerà gli uomini al comando del sottotenente Colantuoni a spostarsi in val Corsaglia. <212
[...] Per tutto il mese di gennaio, le vallate alpine vengono colpite dai tedeschi, che adottano un nuovo tipo di rastrellamento, basato sullo scontro frontale e sull’accerchiamento. Le postazioni partigiane vengono assalite, tanto da disperdere i partigiani e metterli in fuga, come documenta “Mauri” nel suo diario dopo il rastrellamento in val Maudagna, il 14 gennaio: <217
"Siamo rimasti in trentacinque. Saliamo sull'alto, al rifugio di Prel, sopra Frabosa. Ma rimanere lassù non è possibile; è un posto ideale per villeggiare, ma non va bene per fare il partigiano. Troppo lontano dalle strade". <218
Dopo il rastrellamento, “Mauri” con i pochi uomini rimasti è costretto a spostarsi in Val Casotto, e a unirsi ai gruppi lì presenti.
[...] Come “Mauri” stesso scrive nella relazione sui fatti d'arme di val Casotto, in pochissimi giorni giungono al comando «circa un migliaio di uomini che non costituivano che un peso»: <221 l'impossibilità di armarli e la previsione di un'imminente rastrellamento tedesco nella zona aggravano in questo modo una situazione già precaria. Simile circostanza si verifica presso altri comandi partigiani, come ad esempio in quelli GL posizionati in valle Stura. <222
209 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 319
210 M. Diena, Guerriglia e autogoverno, cit., p. 17
212 Questo gruppo entrerà poi a far parte della III divisione Alpi.
217 Per i rastrellamenti di gennaio '44 vedi M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 53, in particolare nota 26; D. L. Bianco, La guerra partigiana, cit., pp. 37-41; e 25 aprile. La Resistenza in Piemonte, ANPI Torino, Orma, 1946
218 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, cit., p. 32
221 “Relazione sui fatti d'arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Dalle Langhe, 9 aprile 1944 - I° della Liberazione, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 2, p. 340
222 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, cit., p. 89

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo da questi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Verso la fine del febbraio '44 (nei giorni dal 25 al 27) vi era stata la battaglia di Garessio, con l'attacco dei partigiani al Miramonti, albergo nel quale si erano asserragliati i i tedeschi. Questi, con lo scopo di compiere una vasta opera di rastrellamento specialmente contro i partigiani di Val Casotto, avevano occupato Garessio (25 febbraio), incominciando subito a commettere uccisioni e devastazioni, e avevano posta la loro sede nell'albergo Miramonti.  Attaccati dai partigiani di Mauri, convenuti da varie parti, la battaglia aveva assunto ampie proporzioni, svolgendosi contemporaneamente in diverse località. Infine i tedeschi, dopo aver compiuto numerosi massacri con la cooperazione di militi fascisti del battaglione San Marco, avevano lasciato il paese (27 febbraio); ma vi erano stati strascichi dolorosi anche nei giorni seguenti. Durante questi fatti il 26 febbraio '44 era stato ripetutamente ferito in combattimento e dai militi fascisti catturato, torturato e ucciso Sergio Sabatini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia  

Fonte: I Partigiani d'Italia

Nella battaglia di Garessio (CN) [il 26 febbraio 1944] venne ucciso il partigiano Sergio Sabatini * di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit.
* Sergio Sabatini. Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Giovane partigiano di eccezionale coraggio, rinunciava alla licenza per partecipare con i propri compagni ad un’azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Ferito due volte durante l’epica lotta e costretto dietro ordine del comando a ritirarsi per esaurimento delle munizioni, si offriva volontario per portare ordini ad un reparto impegnato su altro tratto di fronte. Ferito una terza volta nell’attraversare una zona scoperta e battuta tentava ancora con le ultime forze di assolvere il suo compito, finché, colpito una quarta volta al petto, cadeva nelle mani del nemico, che dopo avere tentato invano di estorcergli notizie sull’organizzazione partigiana, lo seviziava barbaramente. Condotto a morte, l’affrontava con sprezzo gridando al nemico: «Mio padre mi ha insegnato a vivere, io vi insegno a morire». Fulgido esempio di valore e di fermezza". Garessio, 25-26 febbraio 1944

Nella squadra di Martinengo [Eraldo Hanau] a tenere una posizione importante sopra il paese c'era anche lo studente onegliese Sergio Sabatini. I suoi compagni sapevano che sparava bene alla mitraglia: allora gliela diedero in consegna con tutto l'occorrente per la postazione; ma più tardi i tedeschi lo catturarono ferito, perché si era fidato troppo andando allo scoperto quando partì volontario per portare un ordine urgente ai mortaisti. Anche i nazifascisti capirono che era un ragazzo in gamba molto deciso, che non dava segno di dolore manco quando provarono a picchiarlo per farlo parlare. Cosicché prima di ricominciare cercarono di convincerlo con le buone; ma lui continuava a dire di no, che lì c'era per conto suo e basta; poi lo torturarono con accanimento avendo perso la pazienza, per fargli dire del comando e dei comandanti.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 23-24

Fonte: I Partigiani d'Italia

Giorgio Carrara, nato a Garessio il marzo 1925, allievo meccanico. Partigiano del distaccamento del Colle di Casotto, il 27 febbraio 1944 scende in Garessio accompagnato da un partigiano del luogo con l’intento di recuperare armi abbandonate ed assumere notizie sulle intenzioni dei nazifascisti. Compiuto il recupero, i partigiani si avvicinano al piazzale dell’albergo Miramonti, (sede del comando tedesco), fanno fuoco sui tedeschi, quindi risalgono la "costa della battagliera" verso regione Campi. I tedeschi allertati li inseguono: Carrara è colpito all’addome da una raffica, mentre il suo compagno riesce a fuggire. Catturato da due soldati, è condotto prima al comando del Miramonti, poi verso la strada di Valsorda sino all’incrocio con quella delle Fonti. In tale località gli sparano in fronte con il mitra. Mostrando il tricolore che gli orna il risvolto della giacca, pronuncia le sue ultime parole: "Viva l’Italia!".
È insignito di Croce di guerra alla memoria: "Partigiano ardito e coraggioso, già ripetutamente distintosi in precedenti circostanze, durante un aspro combattimento per la conquista di un importante centro abitato, trovava morte gloriosa alla testa dei suoi compagni". Garessio 1° febbraio - 26 febbraio 1944
A Giorgio Carrara venne intitolato un distaccamento della Brigata "D. Arnera" - Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante".
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Cuneo
Nelle prime ore del 1° corrente elementi ribelli, per mezzo di cariche esplosive, abbatterono la linea primaria elettrica della sottostazione di Celibusca, distruggendo quattro pali di sostegno della linea stessa.
Verso le ore 12, altri ribelli, in numero imprecisato, ma che si fanno ascendere a circa 1000, irruppero nell'abitato di Garessio.
Alle 14,30 altri ribelli, montati su autocarro, assalirono la stazione ferroviaria di Ceva, devastandola completamente e asportando armi e tre militi della ferroviaria e ferendo gravemente un sottufficiale che reagì.
Nello stesso comune i ribelli disarmarono sette militari tedeschi e i carabinieri, prelevando il sottufficiale comandante. Poscia devastarono il Municipio e, al ritorno, con tre mine, fecero saltare un ponte della strada provinciale. Malmenarono il Segretario del Fascio e danneggiarono la sua abitazione.
Infine, verso le ore 18, in regione Piantei, elementi ribelli, in numero imprecisato, assalirono un autocarro con a bordo dieci fascisti, tre dei quali rimasero uccisi e tre feriti. Non si conoscono le perdite inflitte agli aggressori.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 3 marzo 1944, pp. 38-39,  Fondazione Luigi Micheletti
 
[n.d.r: l'alta Val Tanaro, la Val Casotto ed alcuni territori limitrofi furono poco dopo le date qui riportate area operativa anche delle formazioni garibaldine della I^ Zona Operativa Liguria, segnatamente da dicembre 1944 della Divisione "Silvio Bonfante"; del resto diversi partigiani, che erano stati dapprima con i badogliani, confluirono in seguito tra i garibaldini del ponente ligure: ad esempio Bruno Schivo (Cimitero), che divenne capo squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"]