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martedì 4 ottobre 2022

A Fontane subimmo un piccolo attacco tedesco che ci sfiorò appena

Vessalico (IM). Fonte: Mapio.net

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri, il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Per continuare l'azione punitiva, alcuni garibaldini fecero saltare il ponte di Borgo di Ranzo, interrompendo i rifornimenti al nemico dislocato nella bassa valle.
Il giorno successivo, l'8, squadre d'assalto attaccavano il presidio nemico di Vessalico.
Dopo una precedente azione, una squadra al comando di "Cion" [Silvio Bonfante] investiva i tedeschi che cercavano di riattivare il ponte di Vessalico, anch'esso andato distrutto a causa di un'azione garibaldina. Lo scontro diventò accanito perché i tedeschi resistevano. Ad un certo punto parve che si dovessero arrendere, dato che da una finestra fecero sventolare una bandiera bianca. Allora "Cion" e Sandro Nuti ("Scrivan") uscirono un poco allo scoperto. Fu in quel momento che i due garibaldini vennero colpiti da diverse raffiche nemiche provenienti da un'altra finestra. Probabilmente non tutti i tedeschi erano d'accordo di arrendersi. Il primo ebbe una gamba squarciata, il secondo un gomito spappolato. Anche il garibaldino Calogero Madonia ("Carlo Siciliano") rimase gravemente ferito. l tedeschi persero una decina di uomini tra morti e feriti. Inoltre una mezza dozzina di loro, presi prigionieri, furono condotti al Comando in Piaggia, insieme ai nostri feriti. Sistemato nell'albergo Pastorelli, "Cion" rischiò la cancrena. Da Albenga giunse il famoso chirurgo, professor Abbo, per visitarlo. Dopo qualche giorno però, il pericolo della cancrena era passato.
Il nemico intanto aveva ideato un piano per distruggere la V^ Brigata a ponente e la I^ a levante, sul territorio della provincia imperiese. L'8 ottobre con ingenti forze attaccò la V^ a Pigna. Dopo alcuni giorni di resistenza estrema, quest'ultima dovette iniziare una ritirata per le montagne verso levante, attraversando Carmo Langan e altri passi, finché giunse a Viozene. Anche la I^, lasciando Piaggia, giungeva a Viozene la sera del 16, mentre i feriti, su ordine del Comando, venivano raggruppati nel paese di Upega poiché si pensava che la località rimanesse a ridosso del rastrellamento, e quindi protetta.
Mentre le due brigate evitavano il passo delle Fascette a levante di Upega, per giungere a Viozene, attraversando il Lagaré per una via più agevole, noi del Comando, all'imbrunire del 16, ci inoltrammo, appunto, per il passo delle Fascette per giungere a Carnino.
Il passo delle Fascette era l'unico passaggio che congiungeva Upega a Viozene (nel dopoguerra fu costruita la strada carrozzabile). Era già problematico attraversarlo di giorno, ma noi lo attraversammo di notte e fu una impresa terribile. Sopra i precipizi vi erano delle corde alle quali chi attraversava il passo doveva tenersi con le mani, e bisognava mettere i piedi in nicchie scavate nella roccia per non scivolare. Questa attraversata non la dimenticherò mai più. Giunti all'altro capo del passo, ci sentimmo stanchissimi, e cercammo di dormire. Nessuno di noi conosceva la strada per Carnino: ce l'insegnò poi la partigiana Anita Boeri ("Candacca"). All'alba del 17 ottobre ci preparammo per trasferirci a Carnino a congiungerci con altri partigiani. Facevamo delle corsette per scrollarci il freddo notturno che sentivamo nelle ossa, quando sentimmo delle raffiche di mitraglia provenienti dalla vallata di Upega. Immaginammo che i tedeschi avessero attaccato il paese, e, sapendo che colà erano rimasti i feriti con qualche altro partigiano, insieme a "Curto" [n.d.r.: Nino Siccardi, in quel periodo ancora comandante della II^ Divisione "Felice Cascione", da cui dipendevano le brigate qui citate, poco tempo dopo comandante della I^ Zona Operativa Liguria], a Libero Briganti ("Giulio"), commissario della divisione "Felice Cascione", e al medico De Marchi, fummo portati a pensare il peggio.
Non ci sbagliammo: dopo un'impari lotta i garibaldini al comando di "Curto" e di "Giulio" si sbandarono, e  fu in quel momento che Giulio fu colpito da una pallottola che gli attraversò il ventre. A Curto non rimase altra scelta che portare sulle spalle fuori tiro il compagno, fin sopra il passo delle Fascette. Quando lo depose a terra era quasi morente; all'imbrunire esalò l'ultimo respiro. Allora Curto cercò di passare oltre per raggiungere le due brigate a Viozene. A Upega caddero il dottor De Marchi e altri partigiani, tra cui Lorenzo Acquarone, Francesco Agnese e Francesco Gazzelli, in totale quasi una ventina. Il Cion, già rimasto ferito a Vessalico, mentre lo stavano trasportando sopra una barella verso un rifugio, quando vide i compagni che lo attorniavano falciati da una raffica, per non cadere vivo in mano al nemico si uccise con un colpo al cuore davanti alla madre e alla sorella che lo accompagnavano. Si salvarono Vittorio Rubicone ("Vittorio il Biondo"), Lazzaro Calcagno ("Mimmo") infermiere, Sandro Nuti [Scrivan/Scrivano], "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia] e qualcun altro. Sei partigiani fatti prigionieri (Giovanni Giribaldi, Lorenzo Alberti, Domenico Moriano, Carlo Pagliari, Francesco Caselli e Michele Bentivoglio) dal nemico furono portati a Fontan Saorge e fucilati [n.d.r.: su questo ultimo tragico eccidio vedere a questo link].
Raggiunto Carnino, noi ci mettemmo nuovamente in marcia per raggiungere le due brigate che si erano spostate in Pian Rosso, a monte di Viozene.
Quando ivi giungemmo, cercammo qualche cosa da mangiare. Notammo una grande confusione. Tutti dicevano la loro: chi affermava che si doveva andare a Fontane [nd.r.: Frazione di Frabosa Soprana (CN)] in Piemonte, chi invece voleva andare nella valle di Albenga. Ma sul far della sera giunse l'ordine perentorio di mettersi in marcia verso il Mongioje, per raggiungere Fontane attraverso il passo del Bochin d'Azeo. Molti obiettavano che non si poteva attraversare il passo di notte con le armi pesanti per il fatto che vi era molta neve. Altri facevano presente che, se fossimo rimasti nei dintorni di Viozene, probabilmente il nemico ci avrebbe circondati e massacrati tutti. Informazioni in tal senso portavano a questa conclusione. Non avemmo altra scelta, piano piano, in salita, ci avviammo verso il passo a circa duemila metri di altezza, ed era già notte fonda. Cominciammo a pestare neve fresca che cresceva in altezza man mano che si saliva.
Quando giungemmo al passo trovammo la neve ghiacciata, e ancora più ghiacciata la trovammo quando incominciammo la discesa del versante opposto. Nel buio profondo bisognava stare attenti dove mettere i piedi per evitare scivoloni che  potevano rivelarsi mortali.
Fu una marcia tremenda anche per noi, inservienti del Comando, benché l'unico peso che avessimo fosse quello del fucile e di qualche caricatore. Ma fu cosa ancora più tremenda per coloro che avevano muli, armi pesanti (mortai e mitragliatrici), cassette di munizioni e simili.
Ad un certo momento per loro la situazione divenne impossibile per cui dovettero abbandonare tutto. Noi che stavamo in retroguardia per evitare qualche sorpresa, col cuore sofferente dovemmo subire il triste spettacolo, conseguenza della disastrosa ritirata delle due brigate, la I^ e la V^.
La partigiana "Candacca" fu più sfortunata di noi: finì in un laghetto, che non vide, dalla superficie ghiacciata. Tutta bagnata, tremava terribilmente per il freddo, mentre piangeva con disperazione, come una bambina. Per fortuna, però, si giunse in una baita diroccata che era nei pressi, dove potè spogliarsi e asciugarsi presso un fuoco che avevamo acceso bruciando grossi pezzi di legno.
Finalmente venne giorno e fu più facile portarsi in fondovalle, giungendo, dopo diverse ore a Fontane in val Corsaglia. Mangiammo qualche cosa che qualcuno aveva preparato e ci buttammo a dormire nei vicini fienili.
Dopo due giorni mandammo una dozzina di muli verso il Mongioje per recuperare gli armamenti e i materiali abbandonati durante la ritirata.
In quella notte (una sola per noi) compresi quanto avevano sofferto i  nostri soldati durante la ritirata di Russia.
A Fontane facemmo le solite cose, qualche attacco sulla strada Savona-Cuneo, subimmo un piccolo attacco tedesco che ci sfiorò appena. Iniziammo a mangiare in modo regolare (si trovava molta pasta, però mancava completamente il sale e, dati i tempi che correvano, non protestavamo). Dopo qualche giorno io e "Jacopo" ricevemmo l'ordine di recarci a Corsaglia, dove il nostro Comando aveva stabilito un incontro con il CLN di Mondovì.
Giungemmo puntuali all'appuntamento che era fissato per il pomeriggio presso un albergo del luogo, mentre tardarono quelli del CLN, che dovevano portarci del denaro.
Ligi al dovere, attendemmo ed intanto cenammo nell'albergo, seduti ad un tavolo pulito, serviti come signori, e di ciò ci meravigliammo molto, abituati come eravamo ad una vita randagia, carichi di fame, di sonno e di fatica.
Dovendo ancora attendere, ci accolse una camera riscaldata con lenzuola candide, coperte e cuscini; ci sentimmo dei grandi signori benché fossimo preoccupati di non avere sentinelle di guardia.
Finimmo per dormire comodamente e  profondamente.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 
 
Trucco Carlo, "Girasole", nato ad Imperia il 22.12.1925
Di famiglia antifascista, è militante del P.C.I. clandestino dal marzo 1943.
Dopo il 25 Luglio partecipa a tutte le manifestazioni antifasciste che si svolgono a Oneglia.
Continua l'attività antifascista clandestina fino al marzo 1944 quando entra nel distaccamento partigiano "Inafferrabile" comandato da Giacomo Sibilla "Ivan", che opera intorno al Monte Grande.
Fra Luglio ed Ottobre 1944 partecipa all'organizzazione dell'ospedale partigiano di Valcona (Mendatica).
Durante il rastrellamento di Upega fa parte della squadra che porta in salvo l'Ispettore "Simon" (Carlo Farini), che giace in barella malato di broncopolmonite.
Vittorio Detassis

E' stato accertato che le bande di fuori legge, già dislocate sui monti verso il confine italo-francese, in seguito all'affluenza dei reparti germanici che si schierano sulla linea di frontiera, si sono ritirate in altre zone.
Continuano le azioni di piccoli gruppi di banditi, i quali compiono aggressioni e rapine.
La popolazione in generale è sempre favorevole ai banditi.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana [GNR] del giorno 22 ottobre 1944, p. 4,  Fondazione Luigi Micheletti   

Il movimento partigiano nelle località controllate è pressoché negativo, mentre nelle altre le manifestazioni criminose tendono ad elevarsi: parecchi i prelievi di persone - alcune rilasciate - non per i loro sentimenti fascisti o simpatizzanti o sospette di non condividere i sistemi instaurati di brigantaggio, molteplici i reati contro la proprietà, qualche delitto di sangue.
Reparti della G.N.R. di questo Capoluogo in collaborazione con la Polizia germanica e con il reparto speciale antiribelli di questa Questura hanno effettuato azioni di rastrellamento in alcune località della provincia con proficui risultati, alcuni ribelli sono stati catturati e passati per le armi, altri morti in combattimento, discreto il numero delle armi sequestrate.
Un sottufficiale, una guardia scelta ed una guardia di P.S., mentre svolgevano accertamenti di polizia giudiziaria in località periferica di questo Capoluogo, da elementi armati venivano prelevati e si sconosce la loro sorte.
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia, Relazione mensile sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia (mese di ottobre 1944), Imperia, 1 novembre 1944

domenica 3 ottobre 2021

Noi (garibaldini) in Liguria avremmo trovato una situazione difficile

Monte Mongioie - Fonte: Mapio.net

Cessata l'incertezza estenuante, i giorni passano più rapidi, l'avvenire sembra migliore. L'equipaggiamento delle bande prosegue rapido, i debiti salgono a cifre iperboliche. Le bande rimaste in Liguria riescono, non so come, a  procurarsi  munizioni per mitraglia: Mancen [Massimo Gismondi] abbraccia la staffetta che porta la notizia: «Mi ridai la vita! - gli grida -. Potremo riprendere a batterci, potremo picchiare come prima!».
Il 6 novembre [1944] partono i primi distaccamenti, il 13 partono Mancen col «Garbagnati», il «Catter», la banda di Fra' Diavolo: vanno nella zona di Capraùna ad oriente della «28».
I giorni seguenti partono il comando della Cascione, metà del comando I Brigata, a poco a poco tutte le bande lasciano la Val Corsaglia. Gli ultimi rimasti con l'intendenza e la cucina intensificano una super alimentazione a base di  bistecche di maiale, lardo, uova, castagne, pasta asciutta e pane bianco.
Il 14 partono su un mulo ed un cavallo Carlo e Scrivano ormai rimessi in forza: faranno la via più lunga per Pra e Val Casotto perché solo per lì si può passare ormai a cavallo.
Il 15 parto anch'io con gli ultimi componenti del comando I  Brigata.
A Fontane rimane Aldo con parte dell'intendenza per pagare gli ultimi debiti o conservare la speranza che li pagheremo. Rimane anche ad organizzare il trasporto di viveri ed equipaggiamento, perché le bande rimaste e tornate in Liguria avranno ancora bisogno di rifornimenti. Rimangono anche le famiglie di Cion, Mancen perché in Liguria sono troppo conosciute, rimane il Rosso e qualche altro ammalato, qualcuno che ne approfitta per passare con i badogliani, pochi perché il grande rastrellamento pare sempre più probabile e da parecchi giorni siamo in allarme perché i badogliani di Val Ellero, dopo violenti scontri, sono stati ricacciati in Val Corsaglia.
Partiamo alle otto e trenta del 15, il freddo è intenso, un leggero strato di neve caduto durante la notte copre la strada: faremo ancora una volta la via del Mongioie, la più dura ma forse anche la più breve. Rifacciamo ancora una volta il percorso ormai noto, sarà l'ultima o dovremo ancora passare in senso inverso queste montagne nevose? Probabilmente no, questa volta tornando in Liguria il clima ci spingerà verso la costa ed una seconda ritirata verso il Piemonte ci sarà preclusa dalla molta distanza e dalle gravi difficoltà. Che faremo se saremo attaccati? Terremo duro sul posto o ci disperderemo. Una cosa è sicura: l'epoca delle grandi ritirate, degli spostamenti in massa è tramontata per sempre.
Percorriamo il primo tratto di strada in lieve pendio, poi la marcia rallenta: attacchiamo la salita del Mongioie.
Torniamo in Liguria. Forse fra poco anche a Fontane ci sarà rastrellamento, gli ultimi giorni sono stati un continuo allarme, i tedeschi hanno attaccato anche Frabosa. È evidente che anche il sistema di non disturbare il nemico a lungo  andare non serve: i concentramenti di truppe nella zona Cuneo-Mondovì indicano chiaramente che l'ora della Val Corsaglia non è lontana. A meno che la minaccia non sia diretta contro Alba e le Langhe che in ottobre Mauri ha occupato in collaborazione con i garibaldini e i G.L.
Avevo letto la «Stella Tricolore», il giornale dei garibaldini, parlava della liberazione delle Langhe: il presidio fascista di Alba, la città più importante, aveva trattato la resa ed era stato lasciato libero di andarsene.  
«È stata una eccezione ai nostri metodi, affermava la «Stella Tricolore», ma abbiamo accettato in omaggio al comando unico».
Il nemico aveva contrattaccato ma era stato respinto: «Non è una delle solite puntate», affermava il nostro giornale: «Alba sarà difesa ad oltranza».
Per Mauri e per la Barbato era l'apogeo come lo era stato per noi il periodo di Garessio e forse più, perché avevano una organizzazione che a noi allora mancava, avevano lanci alleati, una dovizia di mezzi che a noi pareva irreale. Per Mauri tenere Alba era oltre che questione di prestigio, la possibilità di rimanere forte ed organizzato per tutto l'inverno, di evitare lo sbandamento che aveva semidistrutto altre formazioni. Per i tedeschi Alba era un nodo stradale  importante, i partigiani una minaccia troppo forte, le forze si ammassavano da ogni parte, l'urto era fatale, inevitabile. Noi in Liguria avremmo trovato una situazione difficile, ma anche in Piemonte l'avvenire non era sereno. In realtà l'attacco ad Alba era già cominciato e la città era caduta il 2 novembre, ma io allora lo ignoravo.
Marciavamo lentamente, in fila, in salita. Lo zaino pesante per l'equipaggiamento invernale, le due coperte che son riuscito a trovare, grava sulle spalle, la neve è alta, i piedi sprofondano ad ogni passo, intorno, da ogni parte abeti scuri, rocce grige, neve e ghiaccio abbaglianti.
La salita è dura, il fiato groso, una lunga fila di uomini serpeggia lungo il pendio: sono i comandi della I e della V Brigata, parte del Comando Divisionale, qualche banda della V Brigata.
Le recenti nevicate ed il gelo degli ultimi giorni hanno modificato radicalmente il paesaggio; abbiamo percorso l'ultima volta la vallata con i feriti sotto la pioggia, ora il tempo è sereno ma stentiamo a riconoscere la zona.
Dove prima era il sentiero fangoso ora è neve e ghiaccio, dove era il pendio erboso o ghiaione è neve bianca, dove scrosciava il torrente è ghiaccio lucente. Più volte dobbiamo lasciare il sentiero che lo stillicidio di qualche fonte ha trasformato in pendio ghiacciato; camminiamo allora di fianco, fuori strada, sprofondando fino al ginocchio, fino alle anche perché il vento ha accumulato la neve tra i massi del torrente coprendo buche e avvallamenti.
Siamo partiti alle otto e trenta, alle dodici giungiamo dove un mese prima cominciava il nevaio, lì il torrente ha formato un piazzale di ghiaccio: sostiamo, pranziamo: due pagnotte ed un po' di neve. Ci sarebbe anche del salame, ma lo  hanno quelli che sono dall'altra parte del ghiaccio, cominciamo ad essere stanchi e piuttosto che riattraversare quel tratto sdrucciolevole preferiamo fare a meno del salame.
Quante ore ci vorranno ancora per arrivare nell'altro versante? Come sarà la neve più in su? Con uno sforzo ci rimettiamo in piedi: ripartiamo, un po' più lenti. Il cammino è aspro e duro, entriamo ormai nel massiccio del Mongioie, nella zona senz'alberi né pascoli, solo cime brulle e neve. Davanti, più in alto, turbini di nevischio acciecante passano come nubi sul cielo azzurro sollevati dal vento delle cime.
Fra quante ore saremo lassù?
Proseguiamo sempre più penosamente, con soste sempre più frequenti: la zona non è più che un vasto nevaio in ripido pendio, qua e là qualche roccia affiorante, intorno fanno cornice i massicci del Pizzo d'Ormea e del Mongioie.
Sul vasto nevaio soffia a raffiche il vento invernale. I partigiani si fermano, io e qualche altro abbiamo passamontagna che ho fatto fare con la mia vecchia coperta, ho anche guanti e copriguanti; gli altri difendono il volto col braccio dalle miriadi di cristallini ghiacciati che passano col vento. Cessata la raffica proseguiamo, ci arrestiamo ancora quando il vento riprende, poi ancora avanti. Dopo un po' ci abituiamo anche al turbine, chiudiamo solo un po'  gli occhi continuando a marciare. Le barbe ed i capelli si riempiono di ghiaccioli che il calore della marcia fonde ben presto.
La colonna sale sempre sempre più lunga e più distanziata. Avanti ancora, il sentiero, la pista passa ora ai piedi di un roccione al riparo dal vento, in ombra.
È qui che in ottobre, il 24, abbiamo dovuto incidere i gradini nel ghiaccio per far passare la barella.
Ci asciughiamo il volto col fazzoletto e poi su ché a fermarsi all'ombra fa freddo. Siamo passati un mese fa in questi luoghi col buio, con i vestiti leggeri e le scarpe rotte. Che sarebbe stato se avessimo dovuto farlo ora con tanta neve, di notte? Pensiamo con sgomento ai nostri compagni rimasti in Piemonte, se il rastrellamento li spingerà in queste zone quale sarà la loro sorte?
Alle tre e trenta giungiamo sul valico: il Bocchino d'Aseo. Gli ultimni duecento metri hanno richiesto più di mezz'ora perché ormai siamo esausti. Ora però innanzi a noi è la discesa.
Sul valico al sole ci fermiamo qualche minuto: di fronte a noi è di nuovo la Liguria, le nostre montagne, il paesaggio dai nomi noti. L'aria fredda, limpida; lo sguardo abbraccia una zona vastissima, anche lì è nevicato molto, tutte le cime sino al Saccarello sono ormai bianche sino alle falde, verso ponente tutta la catena della Val Roja è coperta di neve, lo stradone Tanarello-Limone pare un sottile filo nero in tanto bianco. Come è lontano quel giorno di agosto in cui con gli uomini di Umberto vi ero passato per attaccare Limonetto!
Scendiamo, il pendio è anche qui ripido. La neve ha coperto ogni cosa. Seguiamo le orme di quelli che sono già passati perché non c'è altra pista segnata. La discesa è ripida, unica fatica è mantenere l'equilibrio chè spesso la neve manca sotto i piedi. In molti punti costeggiamo burroni a picco, i piedi costretti in uno spazio ristretto hanno scavato una specie di canale attraverso la neve alta. È necessario allora chinarsi e strisciare sulla neve frenando continuamente con le mani e col corpo; rimanendo ritti e  perdendo  l'equilibrio si  finirebbe giù nel­l'abisso dove finì lo zaino del sarto austriaco quel giorno. Nei punti più diffici scendiamo uno alla volta, distanziati perché la caduta di uno non trascini anche gli altri o il soverchio peso non provochi una valanga ché non sappiamo quanto sia alta la neve né se sotto di noi ci sia roccia o vuoto.
È evidente che il passo del Bocchino non è più transitabile coi muli e che di notte o con la nebbia anche per gli uomini non sarebbe prudente passarvi. Continuiamo a marciare mentre il sole volge al tramonto. La strada è lunga, sembra eterna, la neve a poco a poco diminuisce, il pendio è meno ripido, in basso si comincia a vedere Viozène, Pian Rosso: in giù la neve non si è fermata; fra poco saremo all'asciutto e attenderemo i compagni che, come puntini neri, vediamo muoversi lassù dove la neve è ancora illuminata dal sole.
Quando troviamo la strada sul terreno senza neve ci sediamo per riposarci ed attendere.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 28-31

8 novembre 1944 - Il patriota ucciso ho saputo che è di Acquetico e che si chiama Luciano. I due assassini sono passati questa mattina alle 9,30 dalla Paperera ed hanno chiesto indicazioni per arrivare a Testico. L'Avv.to Bruna, giunto da Albenga stamattina, mi ha confermato che, lungo la fascia costiera, esiste effettivamente un forte movimento di tedeschi che si dirigono verso Genova. Ore 4 pomeridiane: hanno portato in Pieve uno degli autori dell'aggressione di ieri, ed è pure lui di Acquetico. Era ammanettato e l'hanno portato in Municipio, ove subì un lungo interrogatorio. Nel pomeriggio è stato pubblicato un manifesto nel quale si invita la popolazione a non fare né commenti né congetture, perché presto anche il secondo assassino sarà identificato e catturato e ambedue subiranno il castigo che meritano.
9 novembre 1944 - Questa mattina si sono svolti i funerali del patriota ucciso ieri - Oltre a molta gente del paese vi era pure un gruppo di partigiani, con il loro comandante Osvaldo Contestabile di Pornassio - Nel Cimitero hanno salutato la salma con un ricordo funebre commosso, e una salva di moschetti. L'ombrellaio di Pieve e Biga, giunti or ora da Mondovì, ove si sono recati per rifornirsi di generi alimentari, dicono che da Mondovì a Ormea si nota un movimento veramente impressionante di Alpini (Monte Rosa) e Granatieri repubblichini i quali non molestano affatto i viandanti, anzi nelle salite più di una volta li hanno aiutati a spingere il loro carretto.
10 novembre 1944 - Da ieri si verifica anche un insolito movimento di patrioti che, scendendo da Nava, s'avviano verso il mare. Anche questa notte son passate alcune bande ben armate -  Avevano pure due mortai e cinque muli.
11 novembre 1944 - È mezzogiorno e, fino a questo momento, non vi è nulla da segnalare. Il caso è assai strano, essendo giorno di sabato che, per lo più, non passa mai inosservato - I giorni di marca sono sempre stati il sabato e la domenica. Il Commissario del Comune, giunto testè da Oneglia, informa che domani o lunedì arriveranno a Pieve 200 tedeschi per la ricostruzione dei ponti Saponiera e Gadè -, lavoro che vogliono ultimare in nove giorni. Dice di rimanere tranquilli perché non molesteranno la popolazione civile - Ciò farebbe piacere se non vi fosse la paura che i partigiani non tentino qualche azione imprudente e solo apportatrice di rappresaglia verso la popolazione civile.
12 novembre 1944 - Magaglio il cementista, venuto da Ormea, racconta che i partigiani ieri hanno nuovamente fatto saltare il ponte ricostruito dai Tedeschi a Ponte di Nava, sicché tutti gli abitanti, che erano oltre il fiume (che è in piena), per potersene tornare a casa, sono stati costretti a fare il giro da Cantarana, con tutto il bestiame appresso. In Castelvecchio [di Imperia] i tedeschi hanno invaso la casa dei pompieri, asportando ogni cosa. Hanno pure preso il comandante Arnaldo Brignacca che però, giunti a Diano Marina, lasciarono andare libero. Mio figlio, passando per il colle d'Armo, è giunto ieri sera da Ormea con un carico di 26 chili di generi alimentari. I patrioti ci hanno assicurato che, durante la ricostruzione dei ponti, non avrebbero fatto veruna azione contro i tedeschi. Tale dichiarazione fu per tutti di grande sollievo.
13 novembre 1944 - Contrariamente alle assicurazioni che nessun civile sarebbe stato molestato per le riparazioni ai ponti, questa mattina all'alba, cioè alle ore 7 il «lancia grida» ci informa che: «Per ordine del comando tedesco, tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, alle otto e mezza di stamattina, debbono trovarsi al ponte Paperera per opportuni lavori». I tedeschi sono giunti ieri sera ed hanno pernottato a Muzio, invadendo la mia casa -  (Come al solito). Oggi però si sono trasferiti a Pieve
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994
 

venerdì 11 dicembre 2020

Il rientro dei partigiani imperiesi da Fontane

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)
 
La partenza delle due brigate è concordata il 4 novembre 1944 durante una riunione dei comandanti e dei commissari, convocati nella sede del Comando divisionale.
Decisa la dislocazione della I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] nelle valli Arroscia, Pennavaira, Lerrone, Andora, Steria e nel Dianese, a levante del torrente Impero, partono nella mattinata del 5 novembre per la Liguria l'ufficiale alle operazioni Ercole Pario (Pablo) e il commissario "Osvaldo" [Osvaldo Contestabile], onde studiare i luoghi di destinazione dei distaccamenti.
Il giorno successivo iniziano il trasferimento verso Piaggia i distaccamenti "A. Viani" (che lascia la Val Corsaglia nelle prime ore del mattino), "G. Maccanò", "F. Airaldi" e il servizio SIM con una parte del Comando I^ Brigata.
I movimenti sono facilitati dalle informazioni del SIM, il quale accerta che, oltre la statale n. 28 e la val Tanaro, i Tedeschi avevano sgomberato l'alta valle Arroscia tra San Bernardo di Mendatica e Pogli (presso Albenga).
[...] Il commissario "Osvaldo", che durante il rientro aveva avuto colloqui con le Giunte Comunali di Mendatica, Pornassio e Pieve di Teco per discutere il modo di aiutare le formazioni in arrivo, a Gazzo il comandante "Ramon" [Raymond Rosso], rimasto in Liguria, che lo mette al corrente della situazione e dei movimenti del nemico, intento a preparare un rastrellamento nella zona; inoltre incarica il comandante Firminio Ghirardo di recuperare il materiale precedentemente nascosto. Pure a Gazzo, via Pieve di Teco, giungono altri elementi del Comando I^ Brigata: cuochi, intendenti, armieri, dattiografi, ecc.
Dopo la ritirata in Piemonte erano rimasti tagliati fuori, e in gran parte dislocati nella zona C (valli di Arroscia, di Albenga, di Andora) gruppi di garibaldini che vennero sovvenzionati, nel periodo di isolamento, dal CLN di Albenga (1° Settore circondariale). Inizialmente vi erano solo i distaccamenti di "Ramon" a Gazzo e di "Domatore" a Casanola Lerrone, in totale circa settacinque uomini. Vi giunsero poi "Basco" con 45 uomini, "Firmino", "Cipriano" e "Ugo" con cinquanta uomini, "Germano" con quindici e "Marco" con molti altri sbandati. In totale circa trecento uomini.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
Il mese di novembre 1944 si apre per la IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" con nuovi attacchi ai suoi effettivi: la zona di accerchiamento è localizzata nell'alta Valle Argentina e nella zona di Pontedassio (IM).
Al Passo della Pistona uomini del VI° Distaccamento e del Battaglione "Peletta" cercarono di fermare i tedeschi, causando con più imboscate la morte di molti nemici.
Il giorno successivo, 2 novembre, le SS entrarono nella Chiesa di Ville San Pietro [Frazione di Borgomaro (IM)] per prelevare alcuni ostaggi.
Il 3 novembre i garibaldini contarono le loro perdite in vite umane in questi ultimi scontri, perdite che ammontavano a 10 unità.

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)

I partigiani dislocati [dopo la drammatica ritirata strategica del precedente mese di ottobre] a Fontane  [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] divennero pessimisti circa la loro possibilità di rientro in Liguria, a causa delle informazioni che a loro giungevano circa l'occupazione tedesca delle Valli Impero e Argentina.
La sera del 5 novembre 1944 pervenne, però, la notizia che il nemico stava evacuando Ormea, Nava, Piaggia, Pieve di Teco ed altre località di rilievo strategico. La strada statale n. 28 del Colle di Nava poteva essere presa in considerazione per gli spostamenti delle forze garibaldine.
Il comando della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" stabilì allora che reparti della I^ [I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" formata il 20 luglio 1944, che di lì a breve sarebbe stata accorpata alla nuova Divisione "Silvio Bonfante"] e della IV^ Brigata rientrassero scaglionati alle zone di provenienza.
Il 6 novembre iniziò il deflusso verso le Valli Arroscia, Pennavaira, Lerrone, Andora e Steria da parte della I^ Brigata, in particolare dei distaccamenti "A. Viani", "G. Maccanò", e "F. Airaldi", con parte del comando di Brigata. Vennero raggiunti il giorno successivo dal distaccamento mortaisti diretto a Montegrosso.
Avveniva, intanto, un gigantesco rastrellamento ai danni delle brigate "Mauri", che ebbe termine il 20 dicembre successivo, ma con la cancellazione di fatto delle forze badogliane dal Basso Piemonte. Tra le centinaia di questi partigiani, uccisi dai tedeschi, dai repubblichini della Divisione "Monterosa", dalla fame e dal freddo, figurava anche colui che aveva avuto il compito di recuperare il materiale lasciato dai garibaldini: Domenico Arnera (Aldo), di cui si dirà di più in seguito.
Il 6 novembre 1944 anche la V^ Brigata Garibaldi "Luigi Nuvoloni" iniziò un lento e cauto ritorno verso la Valle Argentina. Completato il rientro e reintegrati i dispersi degli ultimi giorni di ottobre, era adesso forte di 3 battaglioni per un totale di 10 distaccamenti.
Il comando della Divisione Garibaldi "Felice Cascione" pose la propria sede a Carpasio (IM). Data l'estrema difficoltà di collegamento tra la V^ e la I^ Brigata da una parte e con la IV^ dall'altra, il mese successivo stabilì che i due raggruppamenti, pur restando cooperanti, divenissero autonomi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 

Il 4 di novembre era giunta alle formazioni garibaldine in Piemonte, come abbiamo già scritto, la notizia che i Tedeschi avevano sgomberato la strada statale n. 28 e molti paesi del retroterra. La manovra fu chiara invece quando non procedettero anche allo sgombero della statale: Imperia, Cesio, colle San Bartolomeo, San Bernardo  di  Conio, passo della Teglia, Rezzo, Triora. Su questa rotabile potevano ancora transitare, ricostruendo con un minimo sforzo qualche ponte o tratto di strada distrutto. I Tedeschi avevano abbandonato le zone dove le strade erano più gravemente danneggiate od inservibili, ripromettendosi di ricostruire gradatamente tutti i ponti, guarnirli di stabile presidio e rioccupare così tutte le zone ove le distruzioni erano state riparate. Provvisoriamente il nemico poteva giungere a Pieve di Teco attraverso San Bernardo di Conio e Rezzo; altrove i danni provocati dalle distruzioni erano troppo  ingenti.
Intanto, uniformandosi alla circolare 53/D/4 dell'11 novembre 1944, trasmessa dal Comando divisionale alle brigate, che invitava a riprendere e ad intensificare la guerriglia contro il nemico, e autorizzava gli stessi distaccamenti a  procedere di propria iniziativa nell'azione, i Comandi e i garibaldini furono ben orgogliosi di riprendere i combattimenti, dopo venti giorni di stasi e di riorganizzazione, su tutta quella zona che i Tedeschi pensavano di aver ripulita dalle forze partigiane durante il rastrellamento di ottobre.
La Resistenza, con insistenti ed accaniti attacchi, faceva sentire ben viva la sua presenza e faceva comprendere al nemico, demoralizzato per le sconfitte subite sui fronti occidentale ed orientale, che nulla valevano i rastrellamenti contro la popolazione e i partigiani, decisi fino in fondo a difendere la libertà del loro paese.  
Francesco Biga, Op. cit.
 
... la costituzione del Centro Addestramento Reparti Speciali (CARS), voluto da Rodolfo Graziani nel marzo 1944 nel tentativo di debellare la presenza partigiana in zone strategicamente decisive per il controllo del territorio, come il Piemonte... Il centro era formato da tre reggimenti di cacciatori degli Appennini, il cui personale era fornito dalle forze armate di Graziani, dalla GNR e dalle federazioni fasciste; il CARS era connesso alla Wehrmacht da un ufficio di collegamento (Deutsche Verbindungs Kommando, DVK). Posti sotto il comando del generale Amilcare Farina fino alla fine di agosto e fissata la sede di comando a Torino, i reparti del CARS si erano distinti per la partecipazione alle maggiori operazioni antiguerriglia nell’area compresa tra Basso Piemonte e Liguria occidentale dal luglio al dicembre 1944 e nei primi due mesi dell’anno successivo. Il CARS operava alle dirette dipendenze del Co.Gu o comando controguerriglia, sorto per decisione dello Stato Maggiore Italiano nell’estate 1944 in una zona, il Piemonte, ritenuta ad alta concentrazione di «bande» con il compito specifico di combattere i «ribelli» e di organizzare i reparti presenti, quali appunto il CARS, la X Mas e diversi altri. L’azione del comando del Co.Gu era coordinata a quella di Tensfeld e del LXXV corpo d’armata della Wehrmacht. Nel luglio 1944 scendevano poi in Italia, dopo i mesi di addestramento in Germania, la divisione di marina San Marco (così ridenominata nell’aprile precedente; si trattava in realtà di una grande unità granatieri appartenente all’esercito), e la divisione da montagna Monte Rosa... Vaste azioni erano state poi condotte lungo le fondamentali direttrici di Cuneo-Imperia-Savona...  Di qui la decisione di Kesselring di indire due «settimane di lotta alle bande», sotto il comando di Willy Tensfeld e con il coinvolgimento delle truppe inquadrate nell’Armata Liguria, formalmente sotto il comando di Rodolfo Graziani, costituita dai reparti tedeschi che in precedenza avevano fatto parte prima del LXXXVII corpo d’armata e poi dell'Armeeabteilung von Zangen a cui si erano aggiunte le divisioni salodiane San Marco e Monterosa...
Fiammetta Balestracci, RASTRELLAMENTI E DEPORTAZIONE IN KL NELL'ITALIA OCCUPATA 1943-1945 in Il libro dei deportati, Vol. 4: L'Europa sotto il tallone di ferro. Dalle biografie ai quadri generali, Ugo Mursia Editore, 2015

martedì 21 aprile 2020

Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti



Nei giorni successivi all'attacco tedesco del 4 ottobre 1944 a Pigna (IM), i nemici avanzarono in direzione di Collardente e Buggio, Frazione di Pigna.
Vitò Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", perduto il controllo dei paesi vicini alla vecchia frontiera italo-francese, individuò Triora quale centro di un nuovo schieramento.
Il 12 ed il 13 ottobre riprese l'inseguimento da parte dei nazisti, che entrarono in Triora (IM), Alta Valle Argentina, costringendo i partigiani a sganciarsi verso Piaggia [oggi Frazione di Briga Alta (CN)].
"Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza, comprendenti circa 350 garibaldini": così in Francesco Biga [Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977].
Piaggia rappresentava l'ultimo disperato tentativo, data la superiorità in termini di effettivi e di armamento, dei tedeschi, di formare una linea di difesa.
Il 14 ottobre 1944, avendo raggiunto Ormea (CN), i tedeschi si avvicinarono.
Da Piaggia partirono alcuni Distaccamenti con l'intento non riuscito di bloccare il nemico.
Il 15 i tedeschi raggiunsero Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN), Alta Val Tanaro], avvicinandosi alquanto alla sede del comando partigiano, che decise allora di portarsi a Pieve di Teco (IM) per poi raggiungere Caprauna (CN).
La notizia che i nazisti avevano già raggiunto Case di Nava [Frazione di Pornassio (IM)] costrinse i garibaldini a cambiare direzione.
Nelle parole di Francesco Biga, Op. cit., "rapidamente l'indispensabile di documenti, di armi viene caricato sui muli; il materiale ingombrante viene seppellito, nascosto, disperso".
Lo spostamento dei partigiani avvenne di notte verso Upega [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta poche ore dopo: non fu ancora questa la meta prefissata, per cui gli esausti partigiani furono obbligati ad un'altra ora e mezzo di cammino, diretti a Carnino [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta alle 9 del 16 ottobre 1944.
L'illusione di un periodo di tranquilllità fu subito vanificata il giorno successivo dall'eco dei mitragliatori tedeschi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Alla metà di ottobre un grande rastrellamento nazifascista culmina nella battaglia di Upega, al confine fra Liguria e Piemonte. Un piccolo gruppo di partigiani impegna le forze nemiche mentre il grosso delle formazioni garibaldine, diviso in piccole unità, riesce a filtrare fra le maglie delle truppe tedesche e a rifugiarsi in territorio piemontese.
1944 - Le Repubbliche Partigiane

Giorni di inferno e di terrore, senza cibo, senza asilo, sotto la pioggia, i partigiani si aggirano nei boschi cercando una via per uscire dal cerchio, evitando le mulattiere e i sentieri perché vi passa il nemico, e nel bosco si può averlo di fronte a dieci metri, all'improvviso. Triste è in modo particolare la situazione di quegli ex nemici della Divisione San Marco che erano passati alle formazioni garibaldine. Essi vedono il bosco per la prima volta e non sanno dove dirigersi e non hanno chi li guidi. Coi fuggiaschi si sparge la notizia della tragedia. I tedeschi ripetono: "Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti"... Dunque, eseguendo le disposizioni emanate da Simon [n.d.r.: Carlo Farini, in quel periodo ispettore della provincia di Imperia, inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari partigiani], mentre era gravemente malato, il Comando della II^ Divisione Cascione e le Brigate I^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvio Belgrano", formata il 20 luglio 1944] e V^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", formata il 25 luglio 1944] si mettono in marcia la sera del 17 ottobre 1944 per raggiungere il basso cuneese, attraverso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie.
Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due Brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
Francesco Biga, U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001

Drammatica fu invece la ritirata della Divisione "Felice Cascione" dalla Liguria al Piemonte, in seguito ai rastrellamenti dell'ottobre 1944. Nei primi giorni del mese i partigiani liguri si concentrarono a Upega, poi a Carnino e la sera del 17 ottobre ripiegarono su Viozene; quindi passarono il Mongioie per arrivare a Fontane in una lunga e durissima traversata, compiuta di notte, sulla neve ed in condizioni fisiche e psicologiche estreme. Nel frattempo circa 200 tra SS e Alpenjager attaccarono il comando di Upega, dove morì il vicecomandante "Cion" suicida per non farsi prendere vivo dai nemici.
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo 

Il 17 ottobre 1944 rappresenta una delle pagini più tristi della storia della resistenza imperiese.
Quel giorno persero la vita i valorosi comandanti partigiani Libero Briganti (Giulio) e Silvio Bonfante (Cion).
Il comando partigiano, trasferitosi momentaneamente ad Upega, paese scarsamente indicato per la guerriglia data la sua ubicazione nel fondo valle, venne attaccato nel primo pomeriggio del 17 ottobre 1945 dai tedeschi che si erano infiltrati nel bosco.
Briganti, commissario della II^ Divisione, cadde al fianco di "Curto", Nino Siccardi, il comandante della II^ Divisione, drammaticamente impossibilitato a fare alcunché.
I garibaldini stavano tentando di proteggere la ritirata ai feriti.
Tra questi c'era anche "Cion", che per non cadere vivo in mano ai nemici, si uccise, sotto gli occhi della madre, con un colpo di rivoltella.
Altri garibaldini caddero sotto il tiro delle armi tedesche; il bilancio fu disastroso: le perdite, tra morti e feriti, ammontavano ad oltre venti uomini.
I nazisti con l'uccisione di "Cion" si illusero di avere distrutto l'organizzazione partigiana.
Rocco Fava, Op. cit.

Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
La V^ brigata è in testa, col suo comandante Vittorio Guglielmo [Vitò o Vittò o Ivano,  Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^ Brigata, da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione], e marcia per prima nella notte oscura.
Lunga e faticosa è la salita fino al passo, di cenare non se ne parla. Rezzo, Piaggia, Upega, Carnino [Briga Alta (CN)], Viozene, Bochin d'Azeo [o Bocchino d'Aseo]: i paesi della ritirata della I^ brigata, più numerosi di quelli della ritirata della V^.
Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.

Dopo i dolorosi fatti di Upega, il grosso della I^ e della V^ Brigata si diresse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN).
"Magnesia" [Gino Glorio, poco tempo dopo amministratore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] annotò nel suo diario, riportate in Francesco Biga, Op. cit., le seguenti impressioni: "d'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni ed il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, le informazioni, il servizio logistico, gli uomini, il materiale, tutto quello che era la Divisione "Felice Cascione", tutto è disperso; 650 eravamo a Piaggia, ora appena 300 sono gli uomini che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^ Brigata. Gli altri sono là in Liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro".
Dopo qualche chilometro i partigiani incontrarono la neve, che si faceva via via sempre più profonda a costiture un vero e proprio calvario.
Per giunta non solo tutti i partigiani erano già stremati dagli scontri, ma molti di loro erano vestiti con abiti di recupero e tanti erano addirittura scalzi.
Le salmerie si rifiutavano di avanzare.
Il morale dei garibaldini era sotto zero come la temperatura circostante.
Rocco Fava, Op. cit.

La salita è aspra e faticosa, le soste sempre più frequenti, il clima sempre più rigido. Il peso dello zaino e dell'arma durante la marcia fa sudare, stanca; basta fermarsi pochi minuti perchè il vento notturno geli il sudore, intirizzisca; ciò nonostante la colonna si ferma sempre più spesso, sempre più a lungo.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione] e di Giulio [Libero Remo Briganti, commissario politico della II^ Divisione] .
Esclamazioni di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini che idolatravano i loro capi.
Testimonia un garibaldino: "La neve si fa più alta, seguiamo in silenzio la guida che si è offerta di accompagnarci fino al passo. Voltandomi mi è dato di vedere una scena che non scorderò mai più: una interminabile fila di uomini che avanzano serpeggiando sul fianco della montagna arrancando a fatica, curvi sotto il peso delle armi; non sembravano neppure uomini, ma bensì spettri perchè non si udiva alcun rumore, nessuna voce che potesse far capire che non erano anime che venissero dall'aldilà".
Francesco Biga, Op. cit.

Scrisse [documento Isrecim] il partigiano Giovanni Rebaudo [Janò/Jeannot/Monaco], al riguardo della ritirata della V^ Brigata in Piemonte: "Visto che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande. Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima di Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene. Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise, giunse Vittò, comandante la V^ Brigata Nuvoloni, e si mise a capo della nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)], un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la marcia della V^ brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada), Antonio Allavena (Cuma), Emilio Arizzi (Penna), Giovanni Bonatesta (Vencu) e Silvio Lodi (Bersagliere), armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza, in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e della I^ brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto [Nino Siccardi, in quel momento comandante della II^ Divisione, da dicembre 1944 comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e si visse un momento di commozione quando Curto, nella sua figura imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si buttò nelle braccia di Vittò singhiozzando e poi quando ci disse che erano morti Cion, Giulio, De Marchi e alcuni altri. Nel raccontarci ciò, pur pacatamente, Curto non si vergognò di farsi vedere piangere. Mi rimase impresso quest'uomo che pur con lo strazio di chi vide uccidere i compagni davanti agli occhi, mantenne la calma e non ebbe odio disperato verso i nemici. Dopo un riposo di circa trenta minuti, si riprese la marcia verso Fontane, dove giungemmo a mezzogiorno, dopo aver superato mille ostacoli. Infatti, la neve è alta, i muli affondano fino alla pancia, dei sessantaquattro che seguono la colonna, tre muoiono congelati, molti vengono trascinati a braccia dai garibaldini attraverso le scoscese pietraie sulle quali non possono procedere da soli. La stanchezza è grande e le scarpe fradice fanno male. Quando la neve scompare, la colonna procede più rapida. Oramai il giorno 18 appare chiaro. Le castagne, che si possono raccogliere durante la marcia, vengono mangiate crude". Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.



Eccoli dunque come sono, da non conoscersi più così abbrutiti di fame di freddo e di fatica, quando arrivano di là nella Val Corsaglia: fanno proprio paura, malconci come sono.
Le bande ridotte in questo modo, crollano appena finita la neve nella prima erba dove comincia il prato sopra Fontane, perché finalmente gli alpiniager, finiti i colpi, se ne ritornano indietro nelle caserme in guarnigione.
Allora gli uomini si guardano in giro ancora intontiti: non ce la fanno più a camminare e non sentono manco più il freddo che morde; non gliene importa niente di niente al chiarore dell'alba nella sonnolenza di morte bianca buttandosi a terra, ma va in malora.
Nei giorni successivi con un po' di calma, i posti se li rifanno l'un dopo l'altro intorno, in quella valle di là, spartendoseli suppergiù coi badogliani per starci meglio.
Di qui dal Mongioje invece se li mantengono soltanto quelli della quarta brigata, scambiandoseli ogni tanto coi nazifascisti in rastrellamento permanente.
Ma tutti insieme i partigiani e i patrioti, allo stesso modo e nello stesso tempo al di qua e al di là del Mongioje, la pensano tutti uguale sul come fare a continuare la guerriglia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 113
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Pietro Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013

Il 20 ottobre 1944 "Curto" con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
Rientrarono nelle fila Sandro Nuti (Scrivan), ferito in combattimento l'8 ottobre a Vessalico e salvato da un croato, poi passato nella Resistenza, "Natascia" [Ida Rossi, già infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona] e "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia].
La I^ Brigata "Silvano Belgrano" venne riorganizzata su 6  Distaccamenti.
I Distaccamenti erano i seguenti: "Giovanni Garbagnati" con commissario "Athos", "Angiolino Viani" con commissario "Gigi", "Giuseppe Maccanò" con commissario "Federico" [Federico Sibilla], "Filippo Airaldi" con commissario "Gomez" [Angelo Montaldo], "Ettore Bacigalupo" con commissario "Giuseppe" e "Giuseppe Catter" con commissario "Jacopo" [Vittorio Giordano].
Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell'VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l'incontro tra il comandante Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski) (1): "Curto" chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale "Curto" rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Francesco Biga sottolineava che "il colonnello Pompeo Colaianni (Barbato) dispose per l'invio di 200.000 lire e di numerose paia di scarpe... giungono lire 500.000 dal CLN imperiese per pagare i debiti contratti... il 31 ottobre, su ordine del comando divisionale, il vice comandante della V^ Brigata si porta a Mondovì per trattare con il cavaliere Battaglia, ricco industriale, il versamento di 5 milioni" [Caro Curto. La tua richiesta mi è giunta attraverso Antonio. I Tedeschi  non riusciranno mai a piegare la tua valorosa Divisione. Auguro che quando questa lettera ti raggiungerà, avrete già avuto notizie dei compagni feriti e della tua famiglia. Scrivo al battaglione di Boves, appoggiatevi ad esso. Cercheremo di darvi aiuto per le scarpe attraverso questa via. Non posso disporre che di L.100.000, perché i nostri bisogni sono preoccupanti e tu ben sai che gli amici <gli Inglesi> non sono generosi con noi, né di armi né di denaro. Altre 100.000 spero vi possano essere date, dietro mio ordine, dal battaglione Boves. Ricevi questo poco denaro con l'augurio dei nostri animi fraterni. Salutiamo i tuoi uomini e ti abbracciamo fraternamente. Barbato].
Rocco Fava, Op. cit.
(1) [...] l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 - Nell'agosto '44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore "Temple", missione "Flap". Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. "Temple" (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell'esercito inglese, morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali dello Soe che lo sostituirono. Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

[...] Questa la situazione che determinò i fatti del 10 ottobre ’44, ed indusse i Comandi partigiani all’occupazione di Alba. Si dà poi per certo che il magg. Mauri personalmente sia stato sempre piuttosto alieno da una occupazione del presidio (tant’è vero che le due notti successive alla entrata in Alba i suoi uomini ebbero l’ordine di ritirarsi sulle posizioni di partenza, e così fecero; mentre di occupazione vera e propria si può parlare solo quando si decise di presidiare costantemente la città di giorno e di notte, in seguito a gravi perturbamenti nell’ordine pubblico). In ogni caso, una volta verificatasi la situazione di cui più sopra, secondo la testimonianza del Vescovo venivano a militare a pro della occupazione partigiana ragioni di vera e propria azione di polizia. Particolarmente chiarificativa al riguardo è una Relazione del comandante Mauri pubblicata nel volume del Generale R. Cadorna: «La Riscossa - dal 25 luglio alla Liberazione», Milano, 1949. Il presidio partigiano di Alba durò una ventina di giorni circa.
Ma intanto: «Il fronte sulla linea gotica - riprendiamo col maggiore Mauri - minaccia di stabilizzarsi. La Repubblica di Salò riprende fiato e lo riversa nelle trombe della sua velenosa propaganda. È bandita una nuova crociata anti-ribelli, la definiva, per distruggere per sempre il mal germe dei traditori. Domodossola già liberata dai partigiani è nuovamente caduta sotto la dominazione nazi-fascista. Ora è la volta di Alba. È facile capirlo. Le variopinte legioni neofasciste si concentrano verso Bra e Torino. Poi arriva l’ultimatum: "Sgombrate Alba o vi annienteremo". Rispondo: "Alba l’abbiamo presa e la terremo. Se in fondo al vostro essere è rimasto un briciolo di italianità dovreste vergognarvi di minacciare ancora, dopo tanti delitti, saccheggi ed uccisioni. Restate con la vostra vergogna senza nome; con noi sono tutti gli italiani e tutti gli uomini d’onore e di dignità». Allo stato delle cose la risposta non poteva essere diversa.
Nè mutò nel corso dei tre storici abboccamenti del 30 e del 31 ottobre, svoltisi a Barbaresco, al Mussotto e a Cinzano fra il Comandante partigiano Magg. Mauri con alcuni suoi collaboratori e, per pa rte repubblicana, il Commissario Straordinario per il Piemonte Zerbino accompagnato da alcuni gerarchi; intermediario Mons. Grassi [...]
Filippo Barbano, I fatti militari di Alba in alcuni documenti partigiani e repubblicani (10 Ottobre 1944 - 15 Aprile 1945), INSMLI, Milano, Il movimento di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti, novembre 1949, n. 3 -  gennaio 1950, n. 4
 
Mentre gran parte degli effettivi della I^ Brigata e della V^ Brigata, compreso il comando della II^ Divisione, erano forzatamente e momentaneamente trasferiti in Piemonte, per tre settimane rimase completamente isolata in provincia di Imperia la IV^ Brigata "Elsio Guarrini", la quale constava di 10 Distaccamenti per un organico complessivo di circa 600 uomini. In quel periodo subì diversi rastrellamenti: il 17 ottobre in località Ville San Pietro furono uccisi quattro partigiani; nell'attacco a Lingueglietta, frazione di Cipressa, del 28 ottobre rimasero uccisi 2 civili; due fratelli partigiani furono trucidati a Ceriana il giorno 29.
Rocco Fava, Op. cit.
 
Dal 4 al 6 novembre 1944 i garibaldini rifugiatisi a Fontane e dintorni dopo la tragica sconfitta di Upega lasciavano incolonnati le montagne del Piemonte per riprendere possesso delle valli liguri e proseguire la lotta fino all'agognata vittoria. I primi denari consegnati a Ramon [Raymond Rosso], da distribuire agli altri Distaccamenti della I e V Brigata della "Cascione" appena reinsediatisi dalle parti di Gazzo, Casanova Lerrone e altrove nei pressi, erano recati da Siro [Domenico Amari] per conto del CLN di Albenga (SV). Con solerte tempismo Siro provvedeva così le somme necessarie ad acquistare derrate alimentari per i combattenti della futura Divisione "Bonfante", al momento in condizioni di grave indigenza.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

Il 31 ottobre 1944 i comandi partigiani procedettero ad una ulteriore riorganizzazione.
Tra i più importanti cambiamenti si ebbe la nomina di Carlo De Lucis (Mario) a commissario della II^ Divisione, che subentrò allo scomparso Libero "Giulio" Briganti, e quella di Agostino Bramé (Orsini) a commissario della V^ Brigata.
Rocco Fava, Op. cit.