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venerdì 28 maggio 2021

Arriviamo alle due nella valle di Inferno

Il Pizzo d'Ormea - Fonte: Wikipedia

Sascia (Ada Pilastri) racconta:

« Ultimi di novembre [1944]. La I Brigata è tornata da poco da Fontane [Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo], dove si era spostata durante il rastrellamento di Upega. Il problema dei rifornimenti diventa sempre più difficile: saremo costretti a mandare una parte degli uomini a casa. Tentiamo un ultimo espediente: una spedizione con i muli nella zona di Fontane per poter raccogliere dei viveri. È una cosa quasi impossibile: ormai la neve è già alta in molti punti e, soprattutto, i passi più frequentati sono sotto controllo dei tedeschi, che occupano Ormea [(CN)], Nava [(IM)], Garessio [(CN)] e fanno puntate sui paesi vicini.

Infine si parte: si tenta la fortuna: un gruppo di dodici volontari e una decina di muli. Io scappo dal comando perchè non mi danno il permesso di andare e mi unisco a loro. Ho pensato che potrei essere utile e nei punti più pericolosi mettermi le gonne ed andare avanti di staffetta e poi... qualcuno ha detto che non resisterei a passare il Mongioie... e volevo provare ad ogni costo. Al “Passo della Guardia” ci dividiamo. Mulattieri e muli per lo stradone di San Bernardo di Mendatica. Io ed altri ci arrampichiamo per il “Passo di Garlenda” e scendiamo a Piaggia. C'è già parecchia neve. I muli si ricongiungono con noi a Falcone ove momentaneamente si trova il comando. Prima di entrare nell'abitato incontriamo un distaccamento di russi da Menini, un nostro eroico compagno ucciso in seguito dai nazisti. Tre russi armati vennero con noi. Andiamo avanti di pattuglia avanzata. Bisogna essere cauti e prudenti. I muli sono le nostre ultime risorse. Costeggiamo il Tanaro fino a Viozene [Frazione di Ormea (CN)]. La strada è lunga, nascosta dai noccioli, poco praticabile. Nei punti migliori ci facciamo portare sui muli. Il muletto bianco sul quale sono a cavalcioni è il più testardo di tutti; se c'è un sentiero sbagliato è il primo a prenderlo.
Ha cominciato a piovere, una pioggia sottile e gelida che batte sui nostri visi come punture di spilli. Andiamo per due ore sotto la pioggia che aumenta man mano che ci avviciniamo a Viozene. I miei sottili calzoni di tela si sono tutti appiccicati alle gambe. Sembro un pulcino uscito dal guscio; malgrado tutto, l'allegria non manca e dalla groppa dei muli ci salutiamo a gran voce con la vecchia espressione di “Bona nè!”.

A Viozene ci sono i partigiani di Martinengo [Eraldo Hanau]. Cerchiamo di mangiare qualcosa perchè in due giorni abbiamo assaggiato solo qualche mela, che è servita a provocarci un gran mal di stomaco. Sul far della notte partiremo. Ora comincia il bello: strade sconosciute, neve, freddo e buio. Bisogna assolutamente marciare di notte perchè sulla neve la nostre colonna non sfuggirà ai potenti binocoli tedeschi. Quelli di Martinengo ci sconsigliano di proseguire, ma noi tenteremo il tutto per tutto ed anche se ormai è impossibile fare il “Passo del Bocchino” cercheremo dall'altra parte, anche se sarà durissima... in fine, siamo garibaldini noi! “Pian del Fò”, “Fasce”: la gente è spaventata al nostro arrivo perchè i tre russi sono ancora vestiti alla tedesca. Ci vuole del mio meglio per rassicurarla e però nessuno vuol venire con noi a farci da guida. Infine troviamo due contadini che ci accompagneranno per un pezzo. Cominciamo ad inerpicarci per la ripida e sassosa salita che ci porterà sul Pizzo d'Ormea.

Il freddo si fa sentire e non poco, ed il buio intralcia il nostro cammino rendendolo più faticoso.

Arriviamo al Pizzo; qui ci accoglie la neve abbondante e farinosa. Non c'è pista: dobbiamo farla noi che avanziamo per primi, cercando con le nostre malconce scarpe di aprire un piccolo passaggio per i nostri piedi; il che è molto faticoso perchè avanzando su un fianco della montagna seguiamo una discesa a strapiombo. Più di un mulo ruzzola giù nella discesa. Per trattenerlo ci va tutta la forza e la volontà dei nostri tre compagni russi. Questi poveri muli partigiani sono degli eroi. Superano certi punti difficilissimi per noi, malgrado siano stremati, imbastati e senza i chiodi necessari per la neve e il ghiaccio. Infine la neve cessa un po'; saranno le tre di notte, laggiù nel basso c'è Ormea buia, silenziosa immersa nel sonno. Prendiamo una strada tortuosa, incastrata nella roccia.
Dopo molto camminare, arriviamo in un piccolo paese. In tre armati andiamo avanti perchè non si sa se troveremo degli “amici” poco desiderati . No, i tedeschi non sono stati ancora lì. Dormiamo per qualche ora perchè siamo sfiniti, ed al mattino di buon'ora ripartiamo tentando di superare il “Passo dei Termini”, uno dei tanti passi del Mongioie. Ad un certo punto ci fermiamo per chiodare i muli con gli appositi chiodi. Spira un vento diaccio che viene dalle gole più alte. Siamo tutti ghiacciati e le folate che ci investono sono così gelide da togliere il respiro. Prima di arrivare al Passo sostiamo per mangiare un pezzo di pane ed osservare degli apparecchi che passano sotto di noi. Al Passo ci sono più di tre metri di neve e la pista è appena accennata. Parte dei muli è a terra: il risollevarli è una fatica estenuante.

Penso che giungerò per prima a Fontane e potrò trovare degli aiuti da mandare quassù. Incomincio a scendere nella neve gelata. Non cammino, volo, cado, mi rialzo, faccio del mio meglio per arrivare presto. Ho un braccio che mi si sta congelando: neve, neve, neve, e così per un tempo che mi pare infinito. A tratti mi sento mancare e penso che questa discesa non finirà più. Per due volte mi fermo e scrivo il mio nome sulla neve così se altri giungeranno sapranno che sono passata da qui. La neve a poco a poco dirada ed incomincia il ghiaccio. Cado, mi alzo, ricado; così per due ore. Ho le mani tutte sanguinanti ed i calzoni a pezzi: ad ogni costo però devo arrivare; penso che se rimango qui con questo freddo, così poco coperta come sono mi congelerò certamente. Giungo finalmente a Leuta in uno stato pietoso; debbo assolutamente camminare con le mani di dietro per trattenere i brandelli dei calzoni che lasciano intravvedere qualche cosa! Attendo: dopo qualche ora uomini e muli arrivano. Quattro giorni di sosta e poi ripartiamo. Sarà un viaggio più lungo del precedente perchè dovremo prendere strade più praticabili dato che i muli sono carichi.

Da Fontane salimmo a Prà; di lì a Val Casotto. A Casotto arriviamo che è buio. Prendiamo la famosa strada 28 che porta a Garessio (CN). Bisogna essere cauti. In sette andiamo avanti marciando staccati l'uno dall'altro e ai lati della strada. Poi ancora neve e ghiaccio e luoghi selvaggi. Arriviamo alle due nella valle di Inferno. Fischia il vento, urla la bufera. È un luogo davvero infernale. Poche case sparpagliate, o meglio, capanne con tetti di paglia. Usi primitivi. Appena giorno ripartiamo. Facciamo la curva delle rocce. Vi sono punti pericolosissimi. I muli hanno preso la strada più in basso ed arriveranno molto dopo di noi. Ci fermiamo nei pressi di Ormea; di lì ispezionando lo stradone sottostante vediamo più di 600 nazisti in bicicletta che da Garessio si dirigono su Ormea. Bisogna partire il più presto possibile se non vogliamo sentir cantare la mitraglia. Sull'imbrunire andiamo avanti in quattro. Durante la notte perdiamo la strada più di una volta. Sempre marciando, notte e giorno, arriviamo sfiniti a Viozene; mezza giornata di sosta e ripartiamo. Siamo smaniosi di raggiungere i nostri. Chissà con quale gioia accoglieranno i rifornimenti!

Arriviamo a Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)] che i muli sono sfiniti.

Qualcuna delle povere bestie è caduta più di una volta per la stanchezza e fame. Al distaccamento prima di Piaggia abbiamo lasciato i nostri amici russi che tanto ci hanno aiutati. Siamo costretti a dormire a Piaggia. I muli non possono proseguire e gli uomini sono esausti.

Al mattino alle 6 siamo attaccati da più di 100 SS tedesche. Nel paese succede un inferno. Una sparatoria fitta di ta-pum e sputafuoco. Due dei nostri sono feriti e un terzo preso prigioniero.
Io mi salvo in una casa: striscio per terra e le raffiche non mi raggiungono. Faccio appena in tempo a gettare lo zaino sotto il mobile e togliermi i calzoni che nascondo sotto le fascine del focolare. La gente, avendo me in casa, trema di paura. Io sono disperata. Penso alla nostra roba perduta e ai due ragazzi feriti; degli altri non ne so più nulla.

Durante la notte i tedeschi partono per Upega portandosi il prigioniero che poi impiccheranno, lasciando i due feriti il cui stato è troppo grave. Nel frattempo cerco un carretto ed un mulo, carico i due feriti che porto a Mendatica. Appena giunti qui, ritornano i tedeschi che ci stanno cercando e noi dobbiamo rimanere due giorni nascosti in una chiesa diroccata fuori dall'abitato. I feriti soffrono molto. Ho potuto procurar loro un poco di paglia e un po' di cibo. Nessuno vuol saperne di noi, hanno tutti troppo paura escluso il Dott. Natta di Imperia che cura i feriti.
Per mezzo di barelle, con gli uomini della V^  Brigata “Ospedaletto da Campo”, si portano i feriti nella zona di Bregalla. Si riesce a trovare il gesso per l'ingessatura e i ragazzi furono salvati. Gli altri sbandati riuscirono dopo qualche tempo a fare ritorno.
E così ebbe termine la nostra avventura: marce, fatiche, sofferenze, l'insuccesso, la morte; vita da partigiano che, malgrado tutto, ho spesso rimpianto, come si rimpiangono le cose belle e magnifiche.  »

Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 181-184
 
È doveroso  ricordare le tante donne della Resistenza, protagoniste dell’interessante ricerca e raccolta di testimonianze di Gabriella Badano, affidate sia alla storiografia locale e a documenti reperiti presso l’ANPI, l’Istituto Storico della Resistenza  e i Comuni, oltre che alla narrazione di alcuni partigiani e delle donne della zona (“Ribelli per la libertà-Storie di donne della Resistenza nell’estremo Ponente ligure” e “In montagna libere come l’aria… le partigiane combattenti dell’estremo Ponente ligure”)
[...] “Sono sempre stata un tipo un po’ ribelle, mio padre è morto quando avevo sei anni, quindi non ho potuto avere un’eredità politica da lui, che pure era socialista, ma l’ho saputo dopo il 25 aprile. I miei genitori, soprattutto mia madre, erano severissimi, sono stata allevata in un ambiente ottocentesco. Ho frequentato l’Istituto Magistrale da Maria Ausiliatrice… cosa non abbiamo fatto passare alle suore! Nel mio ambiente c’erano molti tabù. Io ero abituata in una casa in cui non si poteva parlare di niente, ma certe cose mi venivano spontanee. Sentivo di dovermi ribellare.” (Sascia)
[...]
“Uscita di galera, in quei momenti in cui ognuno cercava di fare la forca all’altro per non rimetterci la pelle, trovarsi lì con loro, libera come l’aria, dopo che si è stati chiusi è una cosa bellissima.” (Sascia)
[...]
“La nostra vita era fatta di paura e di tragedia, ma avevamo anche momenti di scherzi… anche perché eravamo tutti ragazzi… Mi trattavano un po’ come la loro mascotte. Ho sempre dormito vicino ai ragazzi e non ho mai trovato nessuno che mi desse fastidio, mai sinceramente…” (Sascia)
maria, Le donne della Resistenza nel Ponente ligure, Skip Blog, 25 aprile 2017 

martedì 21 aprile 2020

Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti



Nei giorni successivi all'attacco tedesco del 4 ottobre 1944 a Pigna (IM), i nemici avanzarono in direzione di Collardente e Buggio, Frazione di Pigna.
Vitò Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", perduto il controllo dei paesi vicini alla vecchia frontiera italo-francese, individuò Triora quale centro di un nuovo schieramento.
Il 12 ed il 13 ottobre riprese l'inseguimento da parte dei nazisti, che entrarono in Triora (IM), Alta Valle Argentina, costringendo i partigiani a sganciarsi verso Piaggia [oggi Frazione di Briga Alta (CN)].
"Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza, comprendenti circa 350 garibaldini": così in Francesco Biga [Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977].
Piaggia rappresentava l'ultimo disperato tentativo, data la superiorità in termini di effettivi e di armamento, dei tedeschi, di formare una linea di difesa.
Il 14 ottobre 1944, avendo raggiunto Ormea (CN), i tedeschi si avvicinarono.
Da Piaggia partirono alcuni Distaccamenti con l'intento non riuscito di bloccare il nemico.
Il 15 i tedeschi raggiunsero Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN), Alta Val Tanaro], avvicinandosi alquanto alla sede del comando partigiano, che decise allora di portarsi a Pieve di Teco (IM) per poi raggiungere Caprauna (CN).
La notizia che i nazisti avevano già raggiunto Case di Nava [Frazione di Pornassio (IM)] costrinse i garibaldini a cambiare direzione.
Nelle parole di Francesco Biga, Op. cit., "rapidamente l'indispensabile di documenti, di armi viene caricato sui muli; il materiale ingombrante viene seppellito, nascosto, disperso".
Lo spostamento dei partigiani avvenne di notte verso Upega [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta poche ore dopo: non fu ancora questa la meta prefissata, per cui gli esausti partigiani furono obbligati ad un'altra ora e mezzo di cammino, diretti a Carnino [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta alle 9 del 16 ottobre 1944.
L'illusione di un periodo di tranquilllità fu subito vanificata il giorno successivo dall'eco dei mitragliatori tedeschi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Alla metà di ottobre un grande rastrellamento nazifascista culmina nella battaglia di Upega, al confine fra Liguria e Piemonte. Un piccolo gruppo di partigiani impegna le forze nemiche mentre il grosso delle formazioni garibaldine, diviso in piccole unità, riesce a filtrare fra le maglie delle truppe tedesche e a rifugiarsi in territorio piemontese.
1944 - Le Repubbliche Partigiane

Giorni di inferno e di terrore, senza cibo, senza asilo, sotto la pioggia, i partigiani si aggirano nei boschi cercando una via per uscire dal cerchio, evitando le mulattiere e i sentieri perché vi passa il nemico, e nel bosco si può averlo di fronte a dieci metri, all'improvviso. Triste è in modo particolare la situazione di quegli ex nemici della Divisione San Marco che erano passati alle formazioni garibaldine. Essi vedono il bosco per la prima volta e non sanno dove dirigersi e non hanno chi li guidi. Coi fuggiaschi si sparge la notizia della tragedia. I tedeschi ripetono: "Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti"... Dunque, eseguendo le disposizioni emanate da Simon [n.d.r.: Carlo Farini, in quel periodo ispettore della provincia di Imperia, inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari partigiani], mentre era gravemente malato, il Comando della II^ Divisione Cascione e le Brigate I^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvio Belgrano", formata il 20 luglio 1944] e V^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", formata il 25 luglio 1944] si mettono in marcia la sera del 17 ottobre 1944 per raggiungere il basso cuneese, attraverso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie.
Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due Brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
Francesco Biga, U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001

Drammatica fu invece la ritirata della Divisione "Felice Cascione" dalla Liguria al Piemonte, in seguito ai rastrellamenti dell'ottobre 1944. Nei primi giorni del mese i partigiani liguri si concentrarono a Upega, poi a Carnino e la sera del 17 ottobre ripiegarono su Viozene; quindi passarono il Mongioie per arrivare a Fontane in una lunga e durissima traversata, compiuta di notte, sulla neve ed in condizioni fisiche e psicologiche estreme. Nel frattempo circa 200 tra SS e Alpenjager attaccarono il comando di Upega, dove morì il vicecomandante "Cion" suicida per non farsi prendere vivo dai nemici.
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo 

Il 17 ottobre 1944 rappresenta una delle pagini più tristi della storia della resistenza imperiese.
Quel giorno persero la vita i valorosi comandanti partigiani Libero Briganti (Giulio) e Silvio Bonfante (Cion).
Il comando partigiano, trasferitosi momentaneamente ad Upega, paese scarsamente indicato per la guerriglia data la sua ubicazione nel fondo valle, venne attaccato nel primo pomeriggio del 17 ottobre 1945 dai tedeschi che si erano infiltrati nel bosco.
Briganti, commissario della II^ Divisione, cadde al fianco di "Curto", Nino Siccardi, il comandante della II^ Divisione, drammaticamente impossibilitato a fare alcunché.
I garibaldini stavano tentando di proteggere la ritirata ai feriti.
Tra questi c'era anche "Cion", che per non cadere vivo in mano ai nemici, si uccise, sotto gli occhi della madre, con un colpo di rivoltella.
Altri garibaldini caddero sotto il tiro delle armi tedesche; il bilancio fu disastroso: le perdite, tra morti e feriti, ammontavano ad oltre venti uomini.
I nazisti con l'uccisione di "Cion" si illusero di avere distrutto l'organizzazione partigiana.
Rocco Fava, Op. cit.

Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
La V^ brigata è in testa, col suo comandante Vittorio Guglielmo [Vitò o Vittò o Ivano,  Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^ Brigata, da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione], e marcia per prima nella notte oscura.
Lunga e faticosa è la salita fino al passo, di cenare non se ne parla. Rezzo, Piaggia, Upega, Carnino [Briga Alta (CN)], Viozene, Bochin d'Azeo [o Bocchino d'Aseo]: i paesi della ritirata della I^ brigata, più numerosi di quelli della ritirata della V^.
Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.

Dopo i dolorosi fatti di Upega, il grosso della I^ e della V^ Brigata si diresse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN).
"Magnesia" [Gino Glorio, poco tempo dopo amministratore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] annotò nel suo diario, riportate in Francesco Biga, Op. cit., le seguenti impressioni: "d'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni ed il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, le informazioni, il servizio logistico, gli uomini, il materiale, tutto quello che era la Divisione "Felice Cascione", tutto è disperso; 650 eravamo a Piaggia, ora appena 300 sono gli uomini che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^ Brigata. Gli altri sono là in Liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro".
Dopo qualche chilometro i partigiani incontrarono la neve, che si faceva via via sempre più profonda a costiture un vero e proprio calvario.
Per giunta non solo tutti i partigiani erano già stremati dagli scontri, ma molti di loro erano vestiti con abiti di recupero e tanti erano addirittura scalzi.
Le salmerie si rifiutavano di avanzare.
Il morale dei garibaldini era sotto zero come la temperatura circostante.
Rocco Fava, Op. cit.

La salita è aspra e faticosa, le soste sempre più frequenti, il clima sempre più rigido. Il peso dello zaino e dell'arma durante la marcia fa sudare, stanca; basta fermarsi pochi minuti perchè il vento notturno geli il sudore, intirizzisca; ciò nonostante la colonna si ferma sempre più spesso, sempre più a lungo.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione] e di Giulio [Libero Remo Briganti, commissario politico della II^ Divisione] .
Esclamazioni di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini che idolatravano i loro capi.
Testimonia un garibaldino: "La neve si fa più alta, seguiamo in silenzio la guida che si è offerta di accompagnarci fino al passo. Voltandomi mi è dato di vedere una scena che non scorderò mai più: una interminabile fila di uomini che avanzano serpeggiando sul fianco della montagna arrancando a fatica, curvi sotto il peso delle armi; non sembravano neppure uomini, ma bensì spettri perchè non si udiva alcun rumore, nessuna voce che potesse far capire che non erano anime che venissero dall'aldilà".
Francesco Biga, Op. cit.

Scrisse [documento Isrecim] il partigiano Giovanni Rebaudo [Janò/Jeannot/Monaco], al riguardo della ritirata della V^ Brigata in Piemonte: "Visto che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande. Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima di Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene. Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise, giunse Vittò, comandante la V^ Brigata Nuvoloni, e si mise a capo della nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)], un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la marcia della V^ brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada), Antonio Allavena (Cuma), Emilio Arizzi (Penna), Giovanni Bonatesta (Vencu) e Silvio Lodi (Bersagliere), armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza, in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e della I^ brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto [Nino Siccardi, in quel momento comandante della II^ Divisione, da dicembre 1944 comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e si visse un momento di commozione quando Curto, nella sua figura imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si buttò nelle braccia di Vittò singhiozzando e poi quando ci disse che erano morti Cion, Giulio, De Marchi e alcuni altri. Nel raccontarci ciò, pur pacatamente, Curto non si vergognò di farsi vedere piangere. Mi rimase impresso quest'uomo che pur con lo strazio di chi vide uccidere i compagni davanti agli occhi, mantenne la calma e non ebbe odio disperato verso i nemici. Dopo un riposo di circa trenta minuti, si riprese la marcia verso Fontane, dove giungemmo a mezzogiorno, dopo aver superato mille ostacoli. Infatti, la neve è alta, i muli affondano fino alla pancia, dei sessantaquattro che seguono la colonna, tre muoiono congelati, molti vengono trascinati a braccia dai garibaldini attraverso le scoscese pietraie sulle quali non possono procedere da soli. La stanchezza è grande e le scarpe fradice fanno male. Quando la neve scompare, la colonna procede più rapida. Oramai il giorno 18 appare chiaro. Le castagne, che si possono raccogliere durante la marcia, vengono mangiate crude". Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.



Eccoli dunque come sono, da non conoscersi più così abbrutiti di fame di freddo e di fatica, quando arrivano di là nella Val Corsaglia: fanno proprio paura, malconci come sono.
Le bande ridotte in questo modo, crollano appena finita la neve nella prima erba dove comincia il prato sopra Fontane, perché finalmente gli alpiniager, finiti i colpi, se ne ritornano indietro nelle caserme in guarnigione.
Allora gli uomini si guardano in giro ancora intontiti: non ce la fanno più a camminare e non sentono manco più il freddo che morde; non gliene importa niente di niente al chiarore dell'alba nella sonnolenza di morte bianca buttandosi a terra, ma va in malora.
Nei giorni successivi con un po' di calma, i posti se li rifanno l'un dopo l'altro intorno, in quella valle di là, spartendoseli suppergiù coi badogliani per starci meglio.
Di qui dal Mongioje invece se li mantengono soltanto quelli della quarta brigata, scambiandoseli ogni tanto coi nazifascisti in rastrellamento permanente.
Ma tutti insieme i partigiani e i patrioti, allo stesso modo e nello stesso tempo al di qua e al di là del Mongioje, la pensano tutti uguale sul come fare a continuare la guerriglia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 113
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Pietro Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013

Il 20 ottobre 1944 "Curto" con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
Rientrarono nelle fila Sandro Nuti (Scrivan), ferito in combattimento l'8 ottobre a Vessalico e salvato da un croato, poi passato nella Resistenza, "Natascia" [Ida Rossi, già infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona] e "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia].
La I^ Brigata "Silvano Belgrano" venne riorganizzata su 6  Distaccamenti.
I Distaccamenti erano i seguenti: "Giovanni Garbagnati" con commissario "Athos", "Angiolino Viani" con commissario "Gigi", "Giuseppe Maccanò" con commissario "Federico" [Federico Sibilla], "Filippo Airaldi" con commissario "Gomez" [Angelo Montaldo], "Ettore Bacigalupo" con commissario "Giuseppe" e "Giuseppe Catter" con commissario "Jacopo" [Vittorio Giordano].
Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell'VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l'incontro tra il comandante Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski) (1): "Curto" chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale "Curto" rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Francesco Biga sottolineava che "il colonnello Pompeo Colaianni (Barbato) dispose per l'invio di 200.000 lire e di numerose paia di scarpe... giungono lire 500.000 dal CLN imperiese per pagare i debiti contratti... il 31 ottobre, su ordine del comando divisionale, il vice comandante della V^ Brigata si porta a Mondovì per trattare con il cavaliere Battaglia, ricco industriale, il versamento di 5 milioni" [Caro Curto. La tua richiesta mi è giunta attraverso Antonio. I Tedeschi  non riusciranno mai a piegare la tua valorosa Divisione. Auguro che quando questa lettera ti raggiungerà, avrete già avuto notizie dei compagni feriti e della tua famiglia. Scrivo al battaglione di Boves, appoggiatevi ad esso. Cercheremo di darvi aiuto per le scarpe attraverso questa via. Non posso disporre che di L.100.000, perché i nostri bisogni sono preoccupanti e tu ben sai che gli amici <gli Inglesi> non sono generosi con noi, né di armi né di denaro. Altre 100.000 spero vi possano essere date, dietro mio ordine, dal battaglione Boves. Ricevi questo poco denaro con l'augurio dei nostri animi fraterni. Salutiamo i tuoi uomini e ti abbracciamo fraternamente. Barbato].
Rocco Fava, Op. cit.
(1) [...] l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 - Nell'agosto '44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore "Temple", missione "Flap". Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. "Temple" (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell'esercito inglese, morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali dello Soe che lo sostituirono. Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

[...] Questa la situazione che determinò i fatti del 10 ottobre ’44, ed indusse i Comandi partigiani all’occupazione di Alba. Si dà poi per certo che il magg. Mauri personalmente sia stato sempre piuttosto alieno da una occupazione del presidio (tant’è vero che le due notti successive alla entrata in Alba i suoi uomini ebbero l’ordine di ritirarsi sulle posizioni di partenza, e così fecero; mentre di occupazione vera e propria si può parlare solo quando si decise di presidiare costantemente la città di giorno e di notte, in seguito a gravi perturbamenti nell’ordine pubblico). In ogni caso, una volta verificatasi la situazione di cui più sopra, secondo la testimonianza del Vescovo venivano a militare a pro della occupazione partigiana ragioni di vera e propria azione di polizia. Particolarmente chiarificativa al riguardo è una Relazione del comandante Mauri pubblicata nel volume del Generale R. Cadorna: «La Riscossa - dal 25 luglio alla Liberazione», Milano, 1949. Il presidio partigiano di Alba durò una ventina di giorni circa.
Ma intanto: «Il fronte sulla linea gotica - riprendiamo col maggiore Mauri - minaccia di stabilizzarsi. La Repubblica di Salò riprende fiato e lo riversa nelle trombe della sua velenosa propaganda. È bandita una nuova crociata anti-ribelli, la definiva, per distruggere per sempre il mal germe dei traditori. Domodossola già liberata dai partigiani è nuovamente caduta sotto la dominazione nazi-fascista. Ora è la volta di Alba. È facile capirlo. Le variopinte legioni neofasciste si concentrano verso Bra e Torino. Poi arriva l’ultimatum: "Sgombrate Alba o vi annienteremo". Rispondo: "Alba l’abbiamo presa e la terremo. Se in fondo al vostro essere è rimasto un briciolo di italianità dovreste vergognarvi di minacciare ancora, dopo tanti delitti, saccheggi ed uccisioni. Restate con la vostra vergogna senza nome; con noi sono tutti gli italiani e tutti gli uomini d’onore e di dignità». Allo stato delle cose la risposta non poteva essere diversa.
Nè mutò nel corso dei tre storici abboccamenti del 30 e del 31 ottobre, svoltisi a Barbaresco, al Mussotto e a Cinzano fra il Comandante partigiano Magg. Mauri con alcuni suoi collaboratori e, per pa rte repubblicana, il Commissario Straordinario per il Piemonte Zerbino accompagnato da alcuni gerarchi; intermediario Mons. Grassi [...]
Filippo Barbano, I fatti militari di Alba in alcuni documenti partigiani e repubblicani (10 Ottobre 1944 - 15 Aprile 1945), INSMLI, Milano, Il movimento di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti, novembre 1949, n. 3 -  gennaio 1950, n. 4
 
Mentre gran parte degli effettivi della I^ Brigata e della V^ Brigata, compreso il comando della II^ Divisione, erano forzatamente e momentaneamente trasferiti in Piemonte, per tre settimane rimase completamente isolata in provincia di Imperia la IV^ Brigata "Elsio Guarrini", la quale constava di 10 Distaccamenti per un organico complessivo di circa 600 uomini. In quel periodo subì diversi rastrellamenti: il 17 ottobre in località Ville San Pietro furono uccisi quattro partigiani; nell'attacco a Lingueglietta, frazione di Cipressa, del 28 ottobre rimasero uccisi 2 civili; due fratelli partigiani furono trucidati a Ceriana il giorno 29.
Rocco Fava, Op. cit.
 
Dal 4 al 6 novembre 1944 i garibaldini rifugiatisi a Fontane e dintorni dopo la tragica sconfitta di Upega lasciavano incolonnati le montagne del Piemonte per riprendere possesso delle valli liguri e proseguire la lotta fino all'agognata vittoria. I primi denari consegnati a Ramon [Raymond Rosso], da distribuire agli altri Distaccamenti della I e V Brigata della "Cascione" appena reinsediatisi dalle parti di Gazzo, Casanova Lerrone e altrove nei pressi, erano recati da Siro [Domenico Amari] per conto del CLN di Albenga (SV). Con solerte tempismo Siro provvedeva così le somme necessarie ad acquistare derrate alimentari per i combattenti della futura Divisione "Bonfante", al momento in condizioni di grave indigenza.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

Il 31 ottobre 1944 i comandi partigiani procedettero ad una ulteriore riorganizzazione.
Tra i più importanti cambiamenti si ebbe la nomina di Carlo De Lucis (Mario) a commissario della II^ Divisione, che subentrò allo scomparso Libero "Giulio" Briganti, e quella di Agostino Bramé (Orsini) a commissario della V^ Brigata.
Rocco Fava, Op. cit.