Il 6 novembre [1944] partono i primi distaccamenti, il 13 partono Mancen col «Garbagnati», il «Catter», la banda di Fra' Diavolo: vanno nella zona di Capraùna ad oriente della «28».
I giorni seguenti partono il comando della Cascione, metà del comando I Brigata, a poco a poco tutte le bande lasciano la Val Corsaglia. Gli ultimi rimasti con l'intendenza e la cucina intensificano una super alimentazione a base di bistecche di maiale, lardo, uova, castagne, pasta asciutta e pane bianco.
Il 14 partono su un mulo ed un cavallo Carlo e Scrivano ormai rimessi in forza: faranno la via più lunga per Pra e Val Casotto perché solo per lì si può passare ormai a cavallo.
Il 15 parto anch'io con gli ultimi componenti del comando I Brigata.
A Fontane rimane Aldo con parte dell'intendenza per pagare gli ultimi debiti o conservare la speranza che li pagheremo. Rimane anche ad organizzare il trasporto di viveri ed equipaggiamento, perché le bande rimaste e tornate in Liguria avranno ancora bisogno di rifornimenti. Rimangono anche le famiglie di Cion, Mancen perché in Liguria sono troppo conosciute, rimane il Rosso e qualche altro ammalato, qualcuno che ne approfitta per passare con i badogliani, pochi perché il grande rastrellamento pare sempre più probabile e da parecchi giorni siamo in allarme perché i badogliani di Val Ellero, dopo violenti scontri, sono stati ricacciati in Val Corsaglia.
Partiamo alle otto e trenta del 15, il freddo è intenso, un leggero strato di neve caduto durante la notte copre la strada: faremo ancora una volta la via del Mongioie, la più dura ma forse anche la più breve. Rifacciamo ancora una volta il percorso ormai noto, sarà l'ultima o dovremo ancora passare in senso inverso queste montagne nevose? Probabilmente no, questa volta tornando in Liguria il clima ci spingerà verso la costa ed una seconda ritirata verso il Piemonte ci sarà preclusa dalla molta distanza e dalle gravi difficoltà. Che faremo se saremo attaccati? Terremo duro sul posto o ci disperderemo. Una cosa è sicura: l'epoca delle grandi ritirate, degli spostamenti in massa è tramontata per sempre.
Percorriamo il primo tratto di strada in lieve pendio, poi la marcia rallenta: attacchiamo la salita del Mongioie.
Torniamo in Liguria. Forse fra poco anche a Fontane ci sarà rastrellamento, gli ultimi giorni sono stati un continuo allarme, i tedeschi hanno attaccato anche Frabosa. È evidente che anche il sistema di non disturbare il nemico a lungo andare non serve: i concentramenti di truppe nella zona Cuneo-Mondovì indicano chiaramente che l'ora della Val Corsaglia non è lontana. A meno che la minaccia non sia diretta contro Alba e le Langhe che in ottobre Mauri ha occupato in collaborazione con i garibaldini e i G.L.
Avevo letto la «Stella Tricolore», il giornale dei garibaldini, parlava della liberazione delle Langhe: il presidio fascista di Alba, la città più importante, aveva trattato la resa ed era stato lasciato libero di andarsene.
«È stata una eccezione ai nostri metodi, affermava la «Stella Tricolore», ma abbiamo accettato in omaggio al comando unico».
Il nemico aveva contrattaccato ma era stato respinto: «Non è una delle solite puntate», affermava il nostro giornale: «Alba sarà difesa ad oltranza».
Per Mauri e per la Barbato era l'apogeo come lo era stato per noi il periodo di Garessio e forse più, perché avevano una organizzazione che a noi allora mancava, avevano lanci alleati, una dovizia di mezzi che a noi pareva irreale. Per Mauri tenere Alba era oltre che questione di prestigio, la possibilità di rimanere forte ed organizzato per tutto l'inverno, di evitare lo sbandamento che aveva semidistrutto altre formazioni. Per i tedeschi Alba era un nodo stradale importante, i partigiani una minaccia troppo forte, le forze si ammassavano da ogni parte, l'urto era fatale, inevitabile. Noi in Liguria avremmo trovato una situazione difficile, ma anche in Piemonte l'avvenire non era sereno. In realtà l'attacco ad Alba era già cominciato e la città era caduta il 2 novembre, ma io allora lo ignoravo.
Marciavamo lentamente, in fila, in salita. Lo zaino pesante per l'equipaggiamento invernale, le due coperte che son riuscito a trovare, grava sulle spalle, la neve è alta, i piedi sprofondano ad ogni passo, intorno, da ogni parte abeti scuri, rocce grige, neve e ghiaccio abbaglianti.
La salita è dura, il fiato groso, una lunga fila di uomini serpeggia lungo il pendio: sono i comandi della I e della V Brigata, parte del Comando Divisionale, qualche banda della V Brigata.
Le recenti nevicate ed il gelo degli ultimi giorni hanno modificato radicalmente il paesaggio; abbiamo percorso l'ultima volta la vallata con i feriti sotto la pioggia, ora il tempo è sereno ma stentiamo a riconoscere la zona.
Dove prima era il sentiero fangoso ora è neve e ghiaccio, dove era il pendio erboso o ghiaione è neve bianca, dove scrosciava il torrente è ghiaccio lucente. Più volte dobbiamo lasciare il sentiero che lo stillicidio di qualche fonte ha trasformato in pendio ghiacciato; camminiamo allora di fianco, fuori strada, sprofondando fino al ginocchio, fino alle anche perché il vento ha accumulato la neve tra i massi del torrente coprendo buche e avvallamenti.
Siamo partiti alle otto e trenta, alle dodici giungiamo dove un mese prima cominciava il nevaio, lì il torrente ha formato un piazzale di ghiaccio: sostiamo, pranziamo: due pagnotte ed un po' di neve. Ci sarebbe anche del salame, ma lo hanno quelli che sono dall'altra parte del ghiaccio, cominciamo ad essere stanchi e piuttosto che riattraversare quel tratto sdrucciolevole preferiamo fare a meno del salame.
Quante ore ci vorranno ancora per arrivare nell'altro versante? Come sarà la neve più in su? Con uno sforzo ci rimettiamo in piedi: ripartiamo, un po' più lenti. Il cammino è aspro e duro, entriamo ormai nel massiccio del Mongioie, nella zona senz'alberi né pascoli, solo cime brulle e neve. Davanti, più in alto, turbini di nevischio acciecante passano come nubi sul cielo azzurro sollevati dal vento delle cime.
Fra quante ore saremo lassù?
Proseguiamo sempre più penosamente, con soste sempre più frequenti: la zona non è più che un vasto nevaio in ripido pendio, qua e là qualche roccia affiorante, intorno fanno cornice i massicci del Pizzo d'Ormea e del Mongioie.
Sul vasto nevaio soffia a raffiche il vento invernale. I partigiani si fermano, io e qualche altro abbiamo passamontagna che ho fatto fare con la mia vecchia coperta, ho anche guanti e copriguanti; gli altri difendono il volto col braccio dalle miriadi di cristallini ghiacciati che passano col vento. Cessata la raffica proseguiamo, ci arrestiamo ancora quando il vento riprende, poi ancora avanti. Dopo un po' ci abituiamo anche al turbine, chiudiamo solo un po' gli occhi continuando a marciare. Le barbe ed i capelli si riempiono di ghiaccioli che il calore della marcia fonde ben presto.
La colonna sale sempre sempre più lunga e più distanziata. Avanti ancora, il sentiero, la pista passa ora ai piedi di un roccione al riparo dal vento, in ombra.
È qui che in ottobre, il 24, abbiamo dovuto incidere i gradini nel ghiaccio per far passare la barella.
Ci asciughiamo il volto col fazzoletto e poi su ché a fermarsi all'ombra fa freddo. Siamo passati un mese fa in questi luoghi col buio, con i vestiti leggeri e le scarpe rotte. Che sarebbe stato se avessimo dovuto farlo ora con tanta neve, di notte? Pensiamo con sgomento ai nostri compagni rimasti in Piemonte, se il rastrellamento li spingerà in queste zone quale sarà la loro sorte?
Alle tre e trenta giungiamo sul valico: il Bocchino d'Aseo. Gli ultimni duecento metri hanno richiesto più di mezz'ora perché ormai siamo esausti. Ora però innanzi a noi è la discesa.
Sul valico al sole ci fermiamo qualche minuto: di fronte a noi è di nuovo la Liguria, le nostre montagne, il paesaggio dai nomi noti. L'aria fredda, limpida; lo sguardo abbraccia una zona vastissima, anche lì è nevicato molto, tutte le cime sino al Saccarello sono ormai bianche sino alle falde, verso ponente tutta la catena della Val Roja è coperta di neve, lo stradone Tanarello-Limone pare un sottile filo nero in tanto bianco. Come è lontano quel giorno di agosto in cui con gli uomini di Umberto vi ero passato per attaccare Limonetto!
Scendiamo, il pendio è anche qui ripido. La neve ha coperto ogni cosa. Seguiamo le orme di quelli che sono già passati perché non c'è altra pista segnata. La discesa è ripida, unica fatica è mantenere l'equilibrio chè spesso la neve manca sotto i piedi. In molti punti costeggiamo burroni a picco, i piedi costretti in uno spazio ristretto hanno scavato una specie di canale attraverso la neve alta. È necessario allora chinarsi e strisciare sulla neve frenando continuamente con le mani e col corpo; rimanendo ritti e perdendo l'equilibrio si finirebbe giù nell'abisso dove finì lo zaino del sarto austriaco quel giorno. Nei punti più diffici scendiamo uno alla volta, distanziati perché la caduta di uno non trascini anche gli altri o il soverchio peso non provochi una valanga ché non sappiamo quanto sia alta la neve né se sotto di noi ci sia roccia o vuoto.
È evidente che il passo del Bocchino non è più transitabile coi muli e che di notte o con la nebbia anche per gli uomini non sarebbe prudente passarvi. Continuiamo a marciare mentre il sole volge al tramonto. La strada è lunga, sembra eterna, la neve a poco a poco diminuisce, il pendio è meno ripido, in basso si comincia a vedere Viozène, Pian Rosso: in giù la neve non si è fermata; fra poco saremo all'asciutto e attenderemo i compagni che, come puntini neri, vediamo muoversi lassù dove la neve è ancora illuminata dal sole.
Quando troviamo la strada sul terreno senza neve ci sediamo per riposarci ed attendere.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 28-31
8 novembre 1944 - Il patriota ucciso ho saputo che è di Acquetico e che si chiama Luciano. I due assassini sono passati questa mattina alle 9,30 dalla Paperera ed hanno chiesto indicazioni per arrivare a Testico. L'Avv.to Bruna, giunto da Albenga stamattina, mi ha confermato che, lungo la fascia costiera, esiste effettivamente un forte movimento di tedeschi che si dirigono verso Genova. Ore 4 pomeridiane: hanno portato in Pieve uno degli autori dell'aggressione di ieri, ed è pure lui di Acquetico. Era ammanettato e l'hanno portato in Municipio, ove subì un lungo interrogatorio. Nel pomeriggio è stato pubblicato un manifesto nel quale si invita la popolazione a non fare né commenti né congetture, perché presto anche il secondo assassino sarà identificato e catturato e ambedue subiranno il castigo che meritano.
9 novembre 1944 - Questa mattina si sono svolti i funerali del patriota ucciso ieri - Oltre a molta gente del paese vi era pure un gruppo di partigiani, con il loro comandante Osvaldo Contestabile di Pornassio - Nel Cimitero hanno salutato la salma con un ricordo funebre commosso, e una salva di moschetti. L'ombrellaio di Pieve e Biga, giunti or ora da Mondovì, ove si sono recati per rifornirsi di generi alimentari, dicono che da Mondovì a Ormea si nota un movimento veramente impressionante di Alpini (Monte Rosa) e Granatieri repubblichini i quali non molestano affatto i viandanti, anzi nelle salite più di una volta li hanno aiutati a spingere il loro carretto.
10 novembre 1944 - Da ieri si verifica anche un insolito movimento di patrioti che, scendendo da Nava, s'avviano verso il mare. Anche questa notte son passate alcune bande ben armate - Avevano pure due mortai e cinque muli.
11 novembre 1944 - È mezzogiorno e, fino a questo momento, non vi è nulla da segnalare. Il caso è assai strano, essendo giorno di sabato che, per lo più, non passa mai inosservato - I giorni di marca sono sempre stati il sabato e la domenica. Il Commissario del Comune, giunto testè da Oneglia, informa che domani o lunedì arriveranno a Pieve 200 tedeschi per la ricostruzione dei ponti Saponiera e Gadè -, lavoro che vogliono ultimare in nove giorni. Dice di rimanere tranquilli perché non molesteranno la popolazione civile - Ciò farebbe piacere se non vi fosse la paura che i partigiani non tentino qualche azione imprudente e solo apportatrice di rappresaglia verso la popolazione civile.
12 novembre 1944 - Magaglio il cementista, venuto da Ormea, racconta che i partigiani ieri hanno nuovamente fatto saltare il ponte ricostruito dai Tedeschi a Ponte di Nava, sicché tutti gli abitanti, che erano oltre il fiume (che è in piena), per potersene tornare a casa, sono stati costretti a fare il giro da Cantarana, con tutto il bestiame appresso. In Castelvecchio [di Imperia] i tedeschi hanno invaso la casa dei pompieri, asportando ogni cosa. Hanno pure preso il comandante Arnaldo Brignacca che però, giunti a Diano Marina, lasciarono andare libero. Mio figlio, passando per il colle d'Armo, è giunto ieri sera da Ormea con un carico di 26 chili di generi alimentari. I patrioti ci hanno assicurato che, durante la ricostruzione dei ponti, non avrebbero fatto veruna azione contro i tedeschi. Tale dichiarazione fu per tutti di grande sollievo.
13 novembre 1944 - Contrariamente alle assicurazioni che nessun civile sarebbe stato molestato per le riparazioni ai ponti, questa mattina all'alba, cioè alle ore 7 il «lancia grida» ci informa che: «Per ordine del comando tedesco, tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, alle otto e mezza di stamattina, debbono trovarsi al ponte Paperera per opportuni lavori». I tedeschi sono giunti ieri sera ed hanno pernottato a Muzio, invadendo la mia casa - (Come al solito). Oggi però si sono trasferiti a Pieve
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994