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domenica 3 ottobre 2021

Noi (garibaldini) in Liguria avremmo trovato una situazione difficile

Monte Mongioie - Fonte: Mapio.net

Cessata l'incertezza estenuante, i giorni passano più rapidi, l'avvenire sembra migliore. L'equipaggiamento delle bande prosegue rapido, i debiti salgono a cifre iperboliche. Le bande rimaste in Liguria riescono, non so come, a  procurarsi  munizioni per mitraglia: Mancen [Massimo Gismondi] abbraccia la staffetta che porta la notizia: «Mi ridai la vita! - gli grida -. Potremo riprendere a batterci, potremo picchiare come prima!».
Il 6 novembre [1944] partono i primi distaccamenti, il 13 partono Mancen col «Garbagnati», il «Catter», la banda di Fra' Diavolo: vanno nella zona di Capraùna ad oriente della «28».
I giorni seguenti partono il comando della Cascione, metà del comando I Brigata, a poco a poco tutte le bande lasciano la Val Corsaglia. Gli ultimi rimasti con l'intendenza e la cucina intensificano una super alimentazione a base di  bistecche di maiale, lardo, uova, castagne, pasta asciutta e pane bianco.
Il 14 partono su un mulo ed un cavallo Carlo e Scrivano ormai rimessi in forza: faranno la via più lunga per Pra e Val Casotto perché solo per lì si può passare ormai a cavallo.
Il 15 parto anch'io con gli ultimi componenti del comando I  Brigata.
A Fontane rimane Aldo con parte dell'intendenza per pagare gli ultimi debiti o conservare la speranza che li pagheremo. Rimane anche ad organizzare il trasporto di viveri ed equipaggiamento, perché le bande rimaste e tornate in Liguria avranno ancora bisogno di rifornimenti. Rimangono anche le famiglie di Cion, Mancen perché in Liguria sono troppo conosciute, rimane il Rosso e qualche altro ammalato, qualcuno che ne approfitta per passare con i badogliani, pochi perché il grande rastrellamento pare sempre più probabile e da parecchi giorni siamo in allarme perché i badogliani di Val Ellero, dopo violenti scontri, sono stati ricacciati in Val Corsaglia.
Partiamo alle otto e trenta del 15, il freddo è intenso, un leggero strato di neve caduto durante la notte copre la strada: faremo ancora una volta la via del Mongioie, la più dura ma forse anche la più breve. Rifacciamo ancora una volta il percorso ormai noto, sarà l'ultima o dovremo ancora passare in senso inverso queste montagne nevose? Probabilmente no, questa volta tornando in Liguria il clima ci spingerà verso la costa ed una seconda ritirata verso il Piemonte ci sarà preclusa dalla molta distanza e dalle gravi difficoltà. Che faremo se saremo attaccati? Terremo duro sul posto o ci disperderemo. Una cosa è sicura: l'epoca delle grandi ritirate, degli spostamenti in massa è tramontata per sempre.
Percorriamo il primo tratto di strada in lieve pendio, poi la marcia rallenta: attacchiamo la salita del Mongioie.
Torniamo in Liguria. Forse fra poco anche a Fontane ci sarà rastrellamento, gli ultimi giorni sono stati un continuo allarme, i tedeschi hanno attaccato anche Frabosa. È evidente che anche il sistema di non disturbare il nemico a lungo  andare non serve: i concentramenti di truppe nella zona Cuneo-Mondovì indicano chiaramente che l'ora della Val Corsaglia non è lontana. A meno che la minaccia non sia diretta contro Alba e le Langhe che in ottobre Mauri ha occupato in collaborazione con i garibaldini e i G.L.
Avevo letto la «Stella Tricolore», il giornale dei garibaldini, parlava della liberazione delle Langhe: il presidio fascista di Alba, la città più importante, aveva trattato la resa ed era stato lasciato libero di andarsene.  
«È stata una eccezione ai nostri metodi, affermava la «Stella Tricolore», ma abbiamo accettato in omaggio al comando unico».
Il nemico aveva contrattaccato ma era stato respinto: «Non è una delle solite puntate», affermava il nostro giornale: «Alba sarà difesa ad oltranza».
Per Mauri e per la Barbato era l'apogeo come lo era stato per noi il periodo di Garessio e forse più, perché avevano una organizzazione che a noi allora mancava, avevano lanci alleati, una dovizia di mezzi che a noi pareva irreale. Per Mauri tenere Alba era oltre che questione di prestigio, la possibilità di rimanere forte ed organizzato per tutto l'inverno, di evitare lo sbandamento che aveva semidistrutto altre formazioni. Per i tedeschi Alba era un nodo stradale  importante, i partigiani una minaccia troppo forte, le forze si ammassavano da ogni parte, l'urto era fatale, inevitabile. Noi in Liguria avremmo trovato una situazione difficile, ma anche in Piemonte l'avvenire non era sereno. In realtà l'attacco ad Alba era già cominciato e la città era caduta il 2 novembre, ma io allora lo ignoravo.
Marciavamo lentamente, in fila, in salita. Lo zaino pesante per l'equipaggiamento invernale, le due coperte che son riuscito a trovare, grava sulle spalle, la neve è alta, i piedi sprofondano ad ogni passo, intorno, da ogni parte abeti scuri, rocce grige, neve e ghiaccio abbaglianti.
La salita è dura, il fiato groso, una lunga fila di uomini serpeggia lungo il pendio: sono i comandi della I e della V Brigata, parte del Comando Divisionale, qualche banda della V Brigata.
Le recenti nevicate ed il gelo degli ultimi giorni hanno modificato radicalmente il paesaggio; abbiamo percorso l'ultima volta la vallata con i feriti sotto la pioggia, ora il tempo è sereno ma stentiamo a riconoscere la zona.
Dove prima era il sentiero fangoso ora è neve e ghiaccio, dove era il pendio erboso o ghiaione è neve bianca, dove scrosciava il torrente è ghiaccio lucente. Più volte dobbiamo lasciare il sentiero che lo stillicidio di qualche fonte ha trasformato in pendio ghiacciato; camminiamo allora di fianco, fuori strada, sprofondando fino al ginocchio, fino alle anche perché il vento ha accumulato la neve tra i massi del torrente coprendo buche e avvallamenti.
Siamo partiti alle otto e trenta, alle dodici giungiamo dove un mese prima cominciava il nevaio, lì il torrente ha formato un piazzale di ghiaccio: sostiamo, pranziamo: due pagnotte ed un po' di neve. Ci sarebbe anche del salame, ma lo  hanno quelli che sono dall'altra parte del ghiaccio, cominciamo ad essere stanchi e piuttosto che riattraversare quel tratto sdrucciolevole preferiamo fare a meno del salame.
Quante ore ci vorranno ancora per arrivare nell'altro versante? Come sarà la neve più in su? Con uno sforzo ci rimettiamo in piedi: ripartiamo, un po' più lenti. Il cammino è aspro e duro, entriamo ormai nel massiccio del Mongioie, nella zona senz'alberi né pascoli, solo cime brulle e neve. Davanti, più in alto, turbini di nevischio acciecante passano come nubi sul cielo azzurro sollevati dal vento delle cime.
Fra quante ore saremo lassù?
Proseguiamo sempre più penosamente, con soste sempre più frequenti: la zona non è più che un vasto nevaio in ripido pendio, qua e là qualche roccia affiorante, intorno fanno cornice i massicci del Pizzo d'Ormea e del Mongioie.
Sul vasto nevaio soffia a raffiche il vento invernale. I partigiani si fermano, io e qualche altro abbiamo passamontagna che ho fatto fare con la mia vecchia coperta, ho anche guanti e copriguanti; gli altri difendono il volto col braccio dalle miriadi di cristallini ghiacciati che passano col vento. Cessata la raffica proseguiamo, ci arrestiamo ancora quando il vento riprende, poi ancora avanti. Dopo un po' ci abituiamo anche al turbine, chiudiamo solo un po'  gli occhi continuando a marciare. Le barbe ed i capelli si riempiono di ghiaccioli che il calore della marcia fonde ben presto.
La colonna sale sempre sempre più lunga e più distanziata. Avanti ancora, il sentiero, la pista passa ora ai piedi di un roccione al riparo dal vento, in ombra.
È qui che in ottobre, il 24, abbiamo dovuto incidere i gradini nel ghiaccio per far passare la barella.
Ci asciughiamo il volto col fazzoletto e poi su ché a fermarsi all'ombra fa freddo. Siamo passati un mese fa in questi luoghi col buio, con i vestiti leggeri e le scarpe rotte. Che sarebbe stato se avessimo dovuto farlo ora con tanta neve, di notte? Pensiamo con sgomento ai nostri compagni rimasti in Piemonte, se il rastrellamento li spingerà in queste zone quale sarà la loro sorte?
Alle tre e trenta giungiamo sul valico: il Bocchino d'Aseo. Gli ultimni duecento metri hanno richiesto più di mezz'ora perché ormai siamo esausti. Ora però innanzi a noi è la discesa.
Sul valico al sole ci fermiamo qualche minuto: di fronte a noi è di nuovo la Liguria, le nostre montagne, il paesaggio dai nomi noti. L'aria fredda, limpida; lo sguardo abbraccia una zona vastissima, anche lì è nevicato molto, tutte le cime sino al Saccarello sono ormai bianche sino alle falde, verso ponente tutta la catena della Val Roja è coperta di neve, lo stradone Tanarello-Limone pare un sottile filo nero in tanto bianco. Come è lontano quel giorno di agosto in cui con gli uomini di Umberto vi ero passato per attaccare Limonetto!
Scendiamo, il pendio è anche qui ripido. La neve ha coperto ogni cosa. Seguiamo le orme di quelli che sono già passati perché non c'è altra pista segnata. La discesa è ripida, unica fatica è mantenere l'equilibrio chè spesso la neve manca sotto i piedi. In molti punti costeggiamo burroni a picco, i piedi costretti in uno spazio ristretto hanno scavato una specie di canale attraverso la neve alta. È necessario allora chinarsi e strisciare sulla neve frenando continuamente con le mani e col corpo; rimanendo ritti e  perdendo  l'equilibrio si  finirebbe giù nel­l'abisso dove finì lo zaino del sarto austriaco quel giorno. Nei punti più diffici scendiamo uno alla volta, distanziati perché la caduta di uno non trascini anche gli altri o il soverchio peso non provochi una valanga ché non sappiamo quanto sia alta la neve né se sotto di noi ci sia roccia o vuoto.
È evidente che il passo del Bocchino non è più transitabile coi muli e che di notte o con la nebbia anche per gli uomini non sarebbe prudente passarvi. Continuiamo a marciare mentre il sole volge al tramonto. La strada è lunga, sembra eterna, la neve a poco a poco diminuisce, il pendio è meno ripido, in basso si comincia a vedere Viozène, Pian Rosso: in giù la neve non si è fermata; fra poco saremo all'asciutto e attenderemo i compagni che, come puntini neri, vediamo muoversi lassù dove la neve è ancora illuminata dal sole.
Quando troviamo la strada sul terreno senza neve ci sediamo per riposarci ed attendere.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 28-31

8 novembre 1944 - Il patriota ucciso ho saputo che è di Acquetico e che si chiama Luciano. I due assassini sono passati questa mattina alle 9,30 dalla Paperera ed hanno chiesto indicazioni per arrivare a Testico. L'Avv.to Bruna, giunto da Albenga stamattina, mi ha confermato che, lungo la fascia costiera, esiste effettivamente un forte movimento di tedeschi che si dirigono verso Genova. Ore 4 pomeridiane: hanno portato in Pieve uno degli autori dell'aggressione di ieri, ed è pure lui di Acquetico. Era ammanettato e l'hanno portato in Municipio, ove subì un lungo interrogatorio. Nel pomeriggio è stato pubblicato un manifesto nel quale si invita la popolazione a non fare né commenti né congetture, perché presto anche il secondo assassino sarà identificato e catturato e ambedue subiranno il castigo che meritano.
9 novembre 1944 - Questa mattina si sono svolti i funerali del patriota ucciso ieri - Oltre a molta gente del paese vi era pure un gruppo di partigiani, con il loro comandante Osvaldo Contestabile di Pornassio - Nel Cimitero hanno salutato la salma con un ricordo funebre commosso, e una salva di moschetti. L'ombrellaio di Pieve e Biga, giunti or ora da Mondovì, ove si sono recati per rifornirsi di generi alimentari, dicono che da Mondovì a Ormea si nota un movimento veramente impressionante di Alpini (Monte Rosa) e Granatieri repubblichini i quali non molestano affatto i viandanti, anzi nelle salite più di una volta li hanno aiutati a spingere il loro carretto.
10 novembre 1944 - Da ieri si verifica anche un insolito movimento di patrioti che, scendendo da Nava, s'avviano verso il mare. Anche questa notte son passate alcune bande ben armate -  Avevano pure due mortai e cinque muli.
11 novembre 1944 - È mezzogiorno e, fino a questo momento, non vi è nulla da segnalare. Il caso è assai strano, essendo giorno di sabato che, per lo più, non passa mai inosservato - I giorni di marca sono sempre stati il sabato e la domenica. Il Commissario del Comune, giunto testè da Oneglia, informa che domani o lunedì arriveranno a Pieve 200 tedeschi per la ricostruzione dei ponti Saponiera e Gadè -, lavoro che vogliono ultimare in nove giorni. Dice di rimanere tranquilli perché non molesteranno la popolazione civile - Ciò farebbe piacere se non vi fosse la paura che i partigiani non tentino qualche azione imprudente e solo apportatrice di rappresaglia verso la popolazione civile.
12 novembre 1944 - Magaglio il cementista, venuto da Ormea, racconta che i partigiani ieri hanno nuovamente fatto saltare il ponte ricostruito dai Tedeschi a Ponte di Nava, sicché tutti gli abitanti, che erano oltre il fiume (che è in piena), per potersene tornare a casa, sono stati costretti a fare il giro da Cantarana, con tutto il bestiame appresso. In Castelvecchio [di Imperia] i tedeschi hanno invaso la casa dei pompieri, asportando ogni cosa. Hanno pure preso il comandante Arnaldo Brignacca che però, giunti a Diano Marina, lasciarono andare libero. Mio figlio, passando per il colle d'Armo, è giunto ieri sera da Ormea con un carico di 26 chili di generi alimentari. I patrioti ci hanno assicurato che, durante la ricostruzione dei ponti, non avrebbero fatto veruna azione contro i tedeschi. Tale dichiarazione fu per tutti di grande sollievo.
13 novembre 1944 - Contrariamente alle assicurazioni che nessun civile sarebbe stato molestato per le riparazioni ai ponti, questa mattina all'alba, cioè alle ore 7 il «lancia grida» ci informa che: «Per ordine del comando tedesco, tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, alle otto e mezza di stamattina, debbono trovarsi al ponte Paperera per opportuni lavori». I tedeschi sono giunti ieri sera ed hanno pernottato a Muzio, invadendo la mia casa -  (Come al solito). Oggi però si sono trasferiti a Pieve
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994
 

lunedì 23 dicembre 2019

Circa i lanci alleati ai partigiani del ponente ligure

Il Monte Mongioie - Fonte: Wikipedia

Spendere una parola sui lanci alleati per rifornimento mi pare cosa utile e necessaria per la cronaca.
[...] Non mi sono preoccupato tanto delle date precise, con giorni ed ore. [...] Mi attengo a testimonianze dirette e veritiere.
Comincio con Fragola Doria [Armando Izzo, comandante della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"]: "Io ero in contatto col capitano Bentley, il capo missione inglese [sbarcato clandestinamente a Vallecrosia (IM) il 6 gennaio 1945] presso le nostre formazioni, che aveva con sè un suo caporale maggiore, che gli era di compagnia e gli faceva anche da segretario. Per quanto riguarda i lanci di rifornimento ricordo che ho studiato con lui la carta topografica della zona. Era un po' difficile trovare un luogo adatto dove ricevere, senza spreco, gli aiuti alleati. Le possibilità apparivano ridotte. In Liguria, anche se avessimo trovato il luogo, il fatto di essere troppo vicini alla costa avrebbe messo in moto i tedeschi e l'avventura presentava difficoltà anche di ordine militare per attacchi e lotte. Quando si passò in Piemonte, appariva un piano adatto, il Pian Rosso, così denominato, e si pensò perfino, per la sua vastità, ad attrezzarlo ad eventuale pista di atterraggio. Dovemmo però scartare l'idea soprattutto per la troppa vicinanza del Mongioie e del gruppo delle Alpi Liguri, con le loro vette superiori ai 2000 metri. Nella zona prossima al campo di lancio fissato senz'altro nel nominato Pian Rosso [Località di Viozene, Frazione di Ormea (CN)] eravamo molti appartenenti a molte Brigate garibaldine. Quando arrivai sul luogo, le Brigate si stavano sistemando. Ricordo che i primi giorni dopo il mio arrivo il tempo si era mantenuto buono, ma poi era scoppiata una bufera spaventosa. Al tormento che ci recava il maltempo si aggiungeva la preoccupazione di una possibilità dell'arrivo dei tedeschi, e noi, riuniti tutti in troppo grosso numero, saremmo stati facile bersaglio. Non conoscendo bene la zona non avevamo la possibilità, subito, di dividerci in gruppi di minore entità ed in luoghi riparati. Lo facemmo solo al cessare della bufera. Allora occupammo, distanziando i battaglioni, una zona più vasta con migliori possibilità di difesa e se necessario di attacco. Sprovvisti di ogni cosa si discuteva col capitano inglese. sul che cosa chiedere nei lanci. Purtroppo mi accorsi, e si accorsero anche gli altri comandanti, che il capitano tendeva a tirare in lungo, a menare il can per l'aia, come si dice, a temporeggiare. Noi facevamo e volevamo discutere la questione dell'armamento, dal momento che vestiti e scarpe erano stati provveduti dai Comandi di Zona insieme con Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"]. Volevamo armi per renderci pronti ad affrontare i tedeschi. Il capitano invece propendeva per provvedere di vestiti, scarpe, vitto e generi di conforto. Noi eravamo preoccupati per l'eventualità di un attacco tedesco, non appena quelli si fossero accorti del primo lancio.
Insistemmo, anche se vedevamo che il capitano non vedeva di buon occhio le nostre formazioni partigiane, nelle quali serpeggiava un certo colore politico a lui non tanto gradito. Alla fine si decise. e fece fare un lancio di armi. Ma erano armi leggere, sorpassate. Ci lamentammo. Sorgeva un'altra preoccupazione. Qualche giorno prima del nostro arrivo in Piemonte Radio Londra aveva annunciato o almeno sembrava avesse annunciato che gli inglesi erano giunti a Ventimiglia. Il fatto però non era avvenuto, perchè gli inglesi si erano stabiliti nelle linee fortificate francesi confinanti con l'Italia, ma non pensavano ad avanzare. Intendevano passare lì, tranquilli e ben difesi, l'inverno e rimandare alla primavera l'avanzata. Per noi, lassù in Piemonte, il temporeggiare del comandante inglese ci faceva temere di giungere in riviera quando gli altri avevano fatto tutto. Notavo che anche Vitò non era contento e che cercava ogni occasione per tornare presto in Liguria. Così era anche di altri comandanti".
Come si può notare dalle parole di Fragola Doria, la situazione dei partigiani in Piemonte non era rosea e tranquillante. Il problema delle armi, in particolare, era al centro del pensiero dei comandanti. Sono poi riusciti nel loro intento, ma rimaneva l'amarezza per il temporeggiare di Bentley [...]
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Con l'arrivo del capitano Bentley iniziò una stretta collaborazione tra Missione Alleata, i garibaldini della zona e le formazioni patriottiche cittadine, sancita dal convegno di Beusi [tra Ceriana e Taggia] del 9 febbraio 1945, in cui furono prese importanti decisioni sulla condotta da tenere in vista degli ultimi periodi di lotta. La collaborazione militare, tuttavia, fu nei territori del ponente ligure tardiva rispetto a molte altre realtà. Infatti, il primo avio-lancio a favore dei partigiani della I^ Zona Operativa Liguria avvenne soltanto il 28 febbraio 1945 e fu intercettato dai tedeschi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria "Nella notte del 23 u.s. [23 febbraio 1945] venivano segnalati reparti tedeschi a Carmo Langan, Graj, Cima Marta e colle Sanson. Sospettando che si  trattasse di un rastrellamento i Distaccamenti sono stati spostati a sud della rotabile Pigna-Rezzo. Il 24 u.s. il rastrellamento venne eseguito con molta organizzazione:  la  zona venne controllata da 4 gruppi provenienti da Graj e Colle Sanson. Verso le ore 15 del  25 u.s. 3 quadrimotori americani si aggiravano con insistenza sulla zona di Cima Marta. Alle ore 12 circa del 28 u.s. comparvero nuovamente 5-6 quadrimotori che effettuavano diversi lanci di materiale su Cima Marta. Tentando di raggiungere i paracadute, i garibaldini venivano attaccati e 6 di essi risultano dispersi. Da informazioni avute risulta che i lanci constano di 280 pacchi paracadute avente ognuno 1 quintale di materiale (Sten,  mitragliatori,  munizioni, caffè, vestiario, scarpe, medicinali...). Si presume che questi lanci siano stati intercettati dai tedeschi in quanto essi hanno carpito una emittente destinata ai partigiani con relativo cifrario. Si fa, pertanto, richiesta di sospendere questi lanci che rafforzano la possibilità di resistenza del nemico".
da documento Isrecim in Rocco Fava, Op.cit. - Tomo II
 
E Leo Anfosso (Pavia), addetto sanitario della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione, lasciò testimonianza in Micheletto, Op. cit., della delusione provata dagli stessi comandanti Vitò  e Doria,  che, temporaneamente ricoverati nell'ospedaletto di Drondo a Triora (IM), assistettero da non molto lontano ai vani tentativi dei loro uomini di recuperare il materiale di quei lanci.
Adriano Maini
 
26 febbraio 1945 - Dal comando generale delle Brigate Garibaldi, aderente al CLNAI, prot. n° 541, a tutti i comandi regionali - Segnalava la linea da seguire nei riguardi delle missioni alleate allegando altresì un documento del CLN del Piemonte (prot. n° 215): "... è necessario essere ospitali e collaborare con essi [gli alleati]; tuttavia, si deve mantenere la dignità nazionale, poiché si è verificato che qualche Comando partigiano, pur di aggraziarsi la simpatia degli alleati, abbia messo questi al corrente di beghine interne o abbia accettato, in cambio di avio-lanci, la sudditanza sul piano organizzativo-operativo, contravvenendo, in tal modo, agli ordini del Comando Generale ed elevando a comandanti coloro che sono alleati. Tutto ciò non contribuisce a dare agli alleati l'idea di un movimento partigiano solido ed unitario".
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 
I garibaldini ed i borghesi, quasi giunti alla loro meta, nelle vicinanze di Sanson, furono fermati da alcune raffiche di mitra sparate dai tedeschi, che, secondo Vitò "dovevano trovarsi sul posto per il rastrellamento avenuto tre giorni prima". L'intero contenuto dei pacchi-paracadute destinati ai partigiani venne prelevato dai tedeschi, che inoltre uccisero 4 garibaldini della V^ Brigata.  
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I   
 
... Un lancio mancato, o semplicemente in ritardo, aveva delle ripercussioni sul morale delle formazioni screditando gli ufficiali dello SOE...  
Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea della provincia di Pistoia, 2007, QF, 2007, n° 3 
 
Particolarmente complessa fu la fase di preparazione del campo di lancio e del reperimento dei carriaggi  e degli animali da soma per il trasporto del materiale ricevuto. Nella prima metà di febbraio 1945 il comando della Divisione "Silvio Bonfante" comunicò al Comando Operativo della I^ Zona Liguria le coordinate del campo prescelto, in Località Pian dell'Armetta, situata sopra le Rocche di Alto (CN) e di Caprauna (CN). A fine mese il comando della Divisione "Silvio Bonfante" [Giorgio Giorgio Olivero, comandante] specificò che la zona del Pian dell'Armetta presenta una vasta conca degradante a sud-est colma di pietre, al termine della quale, in direzione sud, si presenta rocciosa ed a strapiombo. Vennero predisposte per gli uomini della Divisione "Silvio Bonfante" tre stazioni radio utili per l'ascolto dei messaggi di Radio Londra che avrebbero segnalato i lanci. Venne dedicata, poi, meticolosa cura nell'assegnazione ai Distaccamenti della sorveglianza dei diversi passi d'accesso al campo di lancio. Il primo lancio utile avvenne il 13 marzo 1945 in Località Pian dell'Armetta, sopra le rocche di Alto (CN) e Caprauna (CN), annunciato dal messaggio di Radio Londra la pioggia bagna...  Il 24 marzo anche la Divisione Cascione ricevette il suo primo lancio utile, precisamente in località Pian Rosso, vicino a Viozene, Frazione di Ormea (IM), in Alta Val Tanaro, lancio che, come il precedente ed i successivi, portò in dote ai garibaldini poche armi automatiche. Il terzo lancio ebbe luogo nuovamente sul campo di Pian dell'Armetta il 2 aprile 1945; il quarto quattro giorni dopo a Viozene a favore della II^ Divisione e di una Brigata della VI^ Divisione "Silvio Bonfante".
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I

30 gennaio 1945
- Dalla Delegazione ligure delle Brigate d'Assalto Garibaldi al comando della I^ Zona Operativa Liguria -  Nella comunicazione si affermava che "...  gli aviolanci non sono avvenuti nella I^ Zona a causa della mancata conferma delle coordinate...".

10 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della I^ Zona Operativa LiguriaComunicava che "il comandante ed il capo di Stato Maggiore di questa Divisione si sono recati sulla costa per valutare la possibilità di ricevere materiale dal mare. Ciò si è rivelato impraticabile a causa della stretta sorveglianza dei nemici. Pertanto, l'unica via si dimostrano i lanci aerei. La zona che può dare maggiori garanzie a questo scopo è la zona di Alto: latitudine 44 ° 07 ' 53 ' '; longitudine 4 ° 28 ' 55' '  ".
26 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 138, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Chiedeva di comunicare al più presto la data dell'avio-lancio, che doveva essere effettuato nel luogo concordato...
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 161, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comando di Divisione era in attesa di conoscere la data dell'aviolancio alleato nella zona di cui aveva già inviato una cartina topografica.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 162, al capo di Stato Maggiore [Ramon, Raymond Rosso] della Divisione - Comunicava che dal giorno 10 Radio Londra avrebbe in ogni momento potuto trasmettere il messaggio "la pioggia bagna", segnale di effettuazione del [primo] lancio di materiale da parte degli alleati; che si prescriveva l'ascolto dei messaggi di Radio Londra in italiano; che i fuochi di riconoscimento per l'effettuazione degli aviolanci dovevano "essere disposti a forma di 'T' rivolta contro vento"; che non si dovevano fare segnalazioni se il vento avesse superato le 20 miglia orarie; che occorreva disporre i fuochi in buche profonde 2 metri per impedirne l'avvistamento da parte del nemico; che i paracadute per la prevista operazione sarebbero stati 5, fatti cadere alla distanza di 60 metri uno dall'altro; che bisognava comunicare se nella zona si trovavano ostacoli naturali. 18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 211, al CLN di Alassio - Segnalava che "... Il giorno 13 u.s. è stato effettuato il primo lancio. Se ne avranno altri in futuro. Dato l'arrivo delle armi..."
20 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Ramon, Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Comunicava che aveva provveduto a fare aumentare il numero delle radio, necessarie per la buona riuscita dei lanci alleati di materiale, e ad impartire altre pertinenti disposizioni.
26 marzo 1945 - Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.  
29 marzo 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a "Matteo", rappresentante del Comando Militare Unificato Regionale Ligure - Venivano comunicate, con l'auspicio di una continuazione dei lanci alleati, le coordinate di un campo lancio, longitudine 4° 42' 20", latitudine 44° 0,3' 30", lunghezza media del campo metri 2.153, altezza massima a ponente del campo Monte Saccarello metri 2.200, altezza massima a levante Monte Fronté metri 2.153, e si  sottolineava la necessità di un messaggio radio il giorno precedente un lancio per essere in grado di inviare i Distaccamenti necessari a fare segnali agli aerei ed assolvere alle altre incombenze del caso.
4 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Ramon, Raymond Rosso] della VI ^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 23, al comando della VI^ Divisione - Comunicava le modalità di un riuscito lancio alleato: "udito il messaggio radio, il giorno 2 alle ore 14.30 si era diretto ad Alto (CN), una volta avvertito Fernandel [Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]. Avevo fatto stanziare gli uomini a Passo San Giacomo. Alle 21 vennero accesi i fuochi. Dopo il transito di 5 aerei, era passato alle ore 21.45 quello giusto, dal quale, ricevuto il segnale Morse, si era proceduto al lancio. Nella nebbia una luce improvvisa faceva scattare l'allarme tra i partigiani. Avevo dato l'ordine di caricare in fretta i muli con gli Sten ed i Bren e le relative munizioni. Alle ore 24 il campo era completamente sgombero". Ramon concludeva chiedendo, data la penuria di armi e di munizioni, chiarimenti circa prossimi lanci. Allegava un elenco di materiale ricevuto, dove figuravano 13 mine, 200 bombe a mano, 4 Bren, 8 Sten, 19 bombe incendiarie, 17 detonatori e molte munizioni.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
 


Dopo il primo lancio degli aerei alleati a Pian Rosso sopra Viozene ottenemmo due bazooka e diversi Bren e un buon numero di Sten, un discreto quantitativo di plastico con relativi detonatori, miccia di diversi tipi e l'occorrente per perfezionare le «Cipolle». Le cosiddette «cipolle» erano composte da un aggeggio che svitando un tappo gli si inseriva il detonatore: avvitando il tappo serviva anche da sicura, dall'altro lato dell'aggeggio era un pezzo di stoffa confezionato a forma di cipolla che, all'ultima estremità, era ristretto da un elastico; si riempiva questo involucro di plastico (poteva contenere anche mezzo chilodi esplosivo) e, quando si lanciava, la sua esplosione era veramente terrificante. Ottenemmo anche munizioni in abbondanza, dopodichè lasciammo Viozene. Una parte del materiale la lasciammo a un contadino di Alto che, assieme ad altri della Val Pennavaire e della Val d'Arroscia, si trovava a Viozene per caricare sui muli quanto non era possibile trasportare individualmente. Con tutto ciò eravamo notevolmente carichi e, per questo, si procedeva lentamente.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, p. 188

 
[...] Armando IZZO [Fragola Doria], Le missioni alleate a Ventimiglia, in N. 1 Special Force…op. cit., p. 197, "il capitano Bentley si giustificò per l’impreciso contenuto dei lanci dicendo che «questi pacchi vengono confezionati nell’Italia meridionale" [...]
Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea della provincia di Pistoia, QF, 2007, n° 3