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sabato 3 giugno 2023

Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati

Il torrente Negrone nei pressi di Ormea (CN). Foto: Mauro Marchiani

L'evento atteso da mesi era [n.d.r.: primi di marzo 1945] ormai una realtà imminente, il lancio sarebbe avvenuto di notte, rapidamente, sul campo di lancio un distaccamento avrebbe acceso i fuochi e raccolto i paracadute, altre bande si sarebbero schierate a difesa. Il lancio non avrebbe dovuto ripetersi, tutto il materiale a noi destinato doveva cioè venire lanciato in una unica notte perché, appena avvenuta la raccolta, avremmo sgomberato la zona prima della probabile reazione nemica.
Agli alleati avevamo chiesto armi, proiettili calibro 9 per mitra e pistole, colpi per mitraglie M.G. che da mesi erano il nostro punto debole. Il Comando aveva insistito nella richiesta di armi e munizioni escludendo espressamente equipaggiamento e generi voluttuari come cioccolata e sigarette che pure a noi mancavano da mesi.
Il messaggio speciale, "La pioggia bagna", avrebbe preceduto il lancio di poche ore. Era indispensabile sentire con sicurezza il messaggio: Ramon [Raymond Rosso, Capo di Stato Maggiore della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] doveva creare ad Alto e a Borghetto dei posti di ascolto radio per esser sicuri che almeno in un posto non mancasse la corrente e la trasmissione non fosse comunque disturbata. Erano poi naturalmente necessarie staffette che portassero la notizia, tutto nella massima segretezza perché il nemico non venisse a conoscenza del significato del messaggio.
La notizia che un lancio di anni era imminente si diffuse lentamente. Il concentramento della II e III Brigata intorno alla Val Pennavaira non ci obbligò a spostamenti perché la maggior parte delle bande di tali brigate operava già a nord della Val d'Arroscia. L'occupazione dei passi e delle creste venne rimandata all'ultimo istante per non allarmare eventuali informatori nemici, scoprendo il nostro gioco con un prematuro schieramento e per non stancare inutilmente gli uomini costringendoli a bivaccare in posizioni esposte.
Le azioni di guerriglia che giù erano sporadiche, vennero sospese del tutto per non provocare reazioni nemiche. Fu ordinato alle bande di occultarsi all'eventuale passaggio di colonne: il nemico doveva dimenticare la nostra esistenza.
Della imminenza del lancio dovevano essere al corrente pochissimi ed anche i partigiani impegnati direttuamente dovevano ignorare di far parte di una manovra combinata e specialmente delle finalità dell'operazione.
Date le nostre condizioni solo il segreto poteva garantire il successo. Solo una decina di persone era a conoscenza del messaggio speciale.
Tutto questo riguardava la II e la III Brigata. A sud della Val Lerrone, dove il lancio era considerato una possibilità ancora remota, le imboscate e gli spostamenti continuavano in modo del tutto indipendente.
I giorni passavano nell'attesa, attesa dell'evento imminente per pochi, della primavera sospirata per gli altri.
Com'era considerato il lancio da quei pochi, dagli informati? E' difficile rispondere perché i pochissimi che erano addentro a tutto il meccanismo non ne parlavano mai in quei giorni. Gli altri, che qualcosa sapevano, avevano fortissimi dubbi. Chi non ricordava le fantasie sui lanci del primo inverno, le voci più assurde della scorsa primavera, il campo di lancio permanente nel bosco di Rezzo in luglio ed agosto con le cataste di legnad i partigiani di turno per accendere il fuoco? Anche Umberto a Piaggia aveva preparato il progetto per il campo di lancio. Che fondamento avessero avuto nel '44 le nostre speranze lo ignoravamo, sapevamo però dei due messaggi speciali, uno che aveva promesso lo sbarco in Liguria entro un mese e l'altro, "Cade la pioggia", che lo prometteva per la mattina del terzo giorno. Ricordavo personalmente le notizie radio che avevano annunciato l'avanzata alleata oltre Ventimiglia e poi la nostra occupazione della costa. Dopo tali esperienze era naturale una diffidenza radicata. Ci si preparava e si attendeva poiché l'evento era possibile e forse c'era chi ne sapeva più di noi, pure il dubbio di esporsi inutilmente, di essere delusi e beffati ancora una volta era forte.
Aveva avuto un lancio * la Cascione? Se ne parlava, si diceva anche che parte del materiale fosse stato sottratto dai tedeschi, che, in seguito a tradimento, parte della missione alleata fosse andata distrutta. Si collegava tutto ciò con la cattura e la fucilazione di un capo partigiano, ma erano voci confuse, come vaga era l'ipotesi ventilata allora di un invio di munizioni via mare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 188-190

* "Nella notte del 23 u.s. [23 febbraio 1945] venivano segnalati reparti tedeschi a Carmo Langan, Graj, Cima Marta e colle Sanson. Sospettando che si  trattasse di un rastrellamento i Distaccamenti sono stati spostati a sud della rotabile Pigna-Rezzo. Il 24 u.s. il rastrellamento venne eseguito con molta organizzazione:  la  zona venne controllata da 4 gruppi provenienti da Graj e Colle Sanson. Verso le ore 15 del  25 u.s. 3 quadrimotori americani si aggiravano con insistenza sulla zona di Cima Marta. Alle ore 12 circa del 28 u.s. comparvero nuovamente 5-6 quadrimotori che effettuavano diversi lanci di materiale su Cima Marta. Tentando di raggiungere i paracadute, i garibaldini venivano attaccati e 6 di essi risultano dispersi. Da informazioni avute risulta che i lanci constano di 280 pacchi paracadute avente ognuno 1 quintale di materiale (Sten, mitragliatori,  munizioni, caffè, vestiario, scarpe, medicinali...). Si presume che questi lanci siano stati intercettati dai tedeschi in quanto essi hanno carpito una emittente destinata ai partigiani con relativo cifrario. Si fa, pertanto, richiesta di sospendere questi lanci che rafforzano la possibilità di resistenza del nemico".  Dal comando [comandante Vitò/Ivano Giuseppe Vittorio Guglielmo] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria, documento IsrecIm, trascritto in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

3 marzo 1945 - Sono le 7.30 e passa [n.d.r.: da Pieve di Teco] un gran camion carico di truppa fascista diretta al mare. La truppa tedesca e repubblichina è in continuo movimento, lasciando l'impressione della incertezza, cioè che non sappiano neanche più loro dove dirigersi. Questa mattina si sono udite raffiche di mitraglia e colpi di fucile: con tutta probabilità si trattava di raffiche estemporanee, fatte ad arte, per tenere a bada i partigiani, affinché non scendano a molestare le truppe di passaggio.
4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. In Ormea, il generale con l'intero Comando occupa villa Bianchi. La gendarmeria occupa villa Pittavino. Il Comando, in un primo tempo, occupava la mia casa, ma a seguito del bombardamento che ha distrutto quasi tutti i caseggiati di Via alle Scuole, si è trasferito in villa Bianchi.
5 marzo 1945 - Un reparto di 36 pionieri mi hanno occupato la casa di Muzio. Ho potuto parlare con un sorvegliante tedesco che capiva assai bene la nostra lingua e gli feci presente che detta casa occorreva a noi per ragione di lavori agricoli e di altre necessità. Mi assicurò che avrebbe proseguito senz'altro per Vessalico, e me ne andai.
6 marzo 1945 - Il movimento della truppa è sempre in aumento; non in grandi masse, ma con molta frequenza.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [n.d.r.: per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento fu allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 3, al comando della II^ Brigata "Nino Berio", al responsabile SIM "Ottavio" ed al cappellano della Divisione "Don Celesia" [Don Giuseppe Pelle] - Comunicava che dopo il 10 marzo poteva avvenire il primo lancio alleato di materiale; che presso la radio di Alto (CN) doveva rimanere in ascolto il comandante della II^ Brigata, "Gino" [Giovanni Fossati]; che, appena udito il messaggio di Radio Londra, "Gino" doveva mandare una staffetta al Distaccamento di "Fernandel" [Mario Gennari], che avrebbe così acceso i fuochi di segnalazione per gli aerei, ed altri messaggeri agli altri Distaccamenti perché si posizionassero al meglio a difesa del campo; che in ascolto alla radio di Borghetto doveva trovarsi "Ottavio", il quale, udita la frase convenuta, avrebbe avvisato lo scrivente capo di Stato Maggiore e poi avrebbe dovuto proseguire per Alto; che "Don Celesia" doveva occuparsi del terzo punto d'ascolto.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati, di cui si riportano qui di seguito significativi stralci: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [n.d.r.: Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera - di cui si invia traduzione - circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Sottolineava l'importanza del documento ritrovato ad Ormea che meritava una corretta traduzione perché "potrebbe trattarsi di una richiesta di rimpatrio per le truppe tedesche". Chiedeva altro materiale bellico attraverso gli aviolanci alleati "per poter incalzare ancora di più il nemico", in particolare uno nel periodo compreso tra il 23 ed il 27 successivi "verso le ore 21,30 in quanto sarà un periodo favorito dalla posizione della luna". Aggiungeva che continuava l'affluenza di di volontari nelle fila partigiane, per quel periodo limitata a uomini conosciuti o già appartenenti a bande locali.
18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 211, al CLN di Alassio - Segnalava che "... Il giorno 13 u.s. è stato effettuato il primo lancio. Se ne avranno altri in futuro. Dato l'arrivo delle armi..."
20 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che aveva provveduto a fare aumentare il numero delle radio, necessarie per la buona riuscita dei lanci alleati di materiale, e ad impartire altre pertinenti disposizioni.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

venerdì 26 maggio 2023

Arrestato il 22 aprile 1944 a Pieve di Teco con un altro dalle SS tedesche

Pigna (IM)

Al posto di sbarco di Voltri arrivava nel febbraio del ’44 [il 1° febbraio] una prima missione capitanata da un certo Siro [Cavallino Italo, tenente del genio guastatori] con un istruttore di sabotaggio portante il nome di Annibale [Bellegrandi Nino, sottotenente di artiglieria] (che fu poi fucilato dalle S.S. [a Cravasco]) e dal R.T. Biagio [Balestri Secondo, sottocapo r.t.]. Siro e il R.T. furono avviati nella zona di Mondovì e messi a disposizione della organizzazioni partigiane del Basso Piemonte alle dipendenze dell’ufficiale di collegamento responsabile di zona Repetto; l’Annibale tenuto a disposizione ed utilizzato in vari settori (anche a Genova città) come istruttore di sabotaggio. La missione era denominata LLL2-CHARTERHOUSE, proveniva da Bastia con un MAS italiano e operò, fino all'arresto di “Siro” avvenuto il 13 marzo 1944, comunicando alla base informazioni per i lanci di rifornimenti alle formazioni operanti in Val Pesio, Val Ellero, Val Corsaglia e Val Casotto. “Biagio” fu arrestato il 22 aprile, fu costretto con le minacce e le torture a trasmettere alla base false notizie date dai tedeschi, ma riuscì a cambiare alcuni gruppi cifrati ed a far capire, in questo modo, di essere in mano delle SS. Riuscì a fuggire il 31 luglio e a riprendere contatto con i partigiani garibaldini operanti nella zona nord della provincia di Imperia. Verso la metà di settembre [nd.r.: in effetti, ai primi di ottobre 1944, previa consultazione con i partigiani della Divisione Cascione, che stavano difendendo la Libera Repubblica di Pigna e che aiutarono quella missione, accompagnata anche da altri partigiani del Cuneese e da piloti ed avieri alleati, sfuggiti ai tedeschi, il cui capo, Lees, preferì per arrivare alle linee amiche procedere a dividerla in tre gruppi, che seguirono tre diversi itinerari], attraversò il confine con la Francia insieme al capitano Michael Lees, comandante della missione FLAP2-BARSTON, e da Avignone, in aereo tornò a Bari il 15 settembre 1944. A Balestri è stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare…
Antonio Martino, L’attività di intelligence dell’Organizzazione OTTO nella relazione del prof. Balduzzi, pubblicato su Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea dell’
Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, n. 24, Savona, 2011
 
Giorgio, Giorgio I, poi Cis, Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri, Enrico Martini, con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto". Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". Giorgio Caudano ha rintracciato presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia due relazioni scritte a suo tempo da Giorgio Alpron, una in particolare molto dettagliata sulla Missione Otto: in quest'ultima emergono soprattutto tracce inedite sulla fine dell'organizzazione Otto: "[...] gli Alleati questi pretesero da 'Amilcare' informazioni militari e ferroviarie ma gli inibirono di interessarsi ai collegamenti Partigiani con nostro mezzo, benché li avessimo fatti avvertire della nuova situazione, dell'arresto di 'Biagio' [Secondo Balestri]". Nella testimonianza di Balestri, che era riuscito a fuggire dall'ultima sua prigionia, a raggiungere i garibaldini della I^ Zona Liguria che avevano in quel periodo liberato Pigna e ad aggregarsi all'esfiltrazione in Francia del gruppo del capitano Lees, si può, invece, leggere: "del tradimento di Pagani, Di Fiori e Cottini [...] mentre Silvia Roggero lasciò Genova con me solo in Agosto [del 1944] quando l'assoluta inutilità di ogni mio tentativo di ulteriori collegamenti con gli Alleati, ormai compiuti da solo perché anche Lodigiani era stato arrestato, mi convinsero a lasciare il lavoro clandestino per riprendere il mio posto fra i Partigiani della 1° zona operativa in Liguria [...]".
Adriano Maini
 
In arrivo - LLL 2 N. 26 - Da comando valle Pesio alt Avevamo chiesto che Biagio [Secondo Balestri] rimanesse con noi per evitare che con l'eventuale ritorno di Siro fosse trasferito in altro luogo alt Il posto più sicuro per lui et radio est qui in alta montagna inaccessibile ed ben protetto dalle nostre forze ormai ben armate et munizionate in seguito vostri preziosi lanci alt Sarebbe grave imprudenza viaggio di Biagio at Genova così pure sarebbe assai pericoloso in questo momento eseguire trasmissioni da altro luogo alt. Vi facciamo presente che pur essendo in alta montagna et per mezzo del nostro servizio informazioni potrà ancora rendervi prezioso servizio alt Dateci conferma se autorizzate sua permanenza qui alt Comando Valle Pesio alt. Ricevuto il 29 marzo 1944. NOTA del Capo-sezione: Consigliamo aderire - Preghiamo sempre che banda garantisca incolumità stazione non impegnando combattimento.
In arrivo - LLL 2 N. 28 - Da Comando Valle Pesio alt. Siamo ancora bloccati ma il nemico non osa attaccarci alt Continuiamo la preparazione difensiva alt Abbiamo avuto due scontri di pattuglie quattordici feriti al nemico alt Patrioti... un ferito alt Ricevuto lancio ringraziamo sentitamente abbiamo recuperato trentasette casse di viveri alt Vi preghiamo mandarci gallette scatolette carne duecento gavette inglesi cento zaini da montagna due mortai munizioni per mitragliatrice Bren razzi rossi et verdi cinque radio Wirelesse n. trentotto MK due et venti pile ricambio alt Banda Valle Grana chiede lancio urgente alt messaggi positivo "La terra est gelida" alt Negativo "La stufa fa fumo" alt Biagio. Ricevuto il 31 marzo 1944. NOTA del Capo-sezione: Bravo questo ragazzo ["Biagio", Secondo Balestri]
trascrizione di messaggi cifrati della missione CHARTERHOUSE (LLL 2) in Claudia Nasini, Una guerra di spie. Intelligence anglo-americana, Resistenza e badogliani nella sesta Zona operativa ligure partigiana (1943-1945), Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2012
 
Nella ritirata raggiungemmo Upega, Salse, Valcona, Piaggia e Mendatica, dove tentai inutilmente di collegarmi con la base, posta la radio in una casa del paese. Il capitano Cosa divise il resto della banda in varie squadre e le inviò verso le Langhe dove operava il maggiore Mauri.
Dopo aver nascosto la radio ed i cifrari, il capitano Cosa, un suo uomo di fidcia, certo Gabriele ed io decidemmo di raggiungere Genova per rintracciare qualcuno dell'Organizzazione Otto ed Annibale.
In corso Buenos Ayres incontranmmo un certo "Giorgio [n.d.r.: verisimilmente il già citato Giorgio Alpron], scampato alla cattura, il quale ci consigliò di ritornare a recuperare la radio e continuare la trasmissione in luogo sicuro di sua conoscenza.
Il 20 aprile 1944 partii con Gabriele per Mendatica, da dove avrei dovuto trasmettere un messaggio scritto da Giorgio stesso.
In una casa ai "Ponti" di Pornassio (Imperia) tentai il collegamento senza riuscire a captare nulla. Pazienza! Ripartimmo a piedi, sempre io e Gabriele, per Albenga, dove il martedì mattina in stazione ci doveva atttendere Giorgio per condurci nel luogo sicuro cui aveva accennato.
Arrivammo a Pieve di Teco che imbruniva e prendemmo alloggio all'albergo "La Pace". Un delatore ci tradì e, mentre ci stavano appisolando in camere diverse, sentimmo aprire la porta e l'intimazione di "mani in alto". Era il maresciallo dei carabinieri, accompagnato dalla spia e da quattro carabinieri, tutti armati.
Secondo "Biagio" Balestri, La missione in valle Pesio 

"Biagio", arrestato il 22 aprile 1944, fu costretto con minacce e torture a trasmettere alla base false notizie date dai tedeschi, ma riuscì a cambiare alcuni gruppi cifrati e far capire, così, di essere in mano alle SS. Riuscì a fuggire il 31 luglio 1944 e a riprendere contatto con patrioti garibaldini operanti nella zona nord della provincia di Imperia. Verso la metà di settembre attraversò il confine con la Francia insieme ad un ufficiale inglese e da Avignone, in aereo, tornò a Bari il 15 settembre 1944 [n.d.r.: sulla data del rientro di Balestri vedere nostra precedente nota].
Claudia Nasini, Op. cit.

Il 29 settembre [1944] partiva pure Secondo Balestri (Biagio), unico salvatosi di una missione alleata denominata Charterhouse LLL 2, destinata alla Riviera Ligure di ponente ed al basso Cuneese che, partita il 15 gennaio 1944 da Brindisi, sbarcata sulla costa con mezzi navali, composta dai militari Italo Cavallino (Siro), Nino Bellegrandi (Annibale) e dal suddetto Balestri, dopo varie peripezie venne annientata. Biagio, arrestato il 22 aprile 1944 a Pieve di Teco con un altro dalle SS tedesche per delazione di un certo Santacroce, e torturato, fu costretto a trasmettere alla sua base messaggi preparati da un ufficiale tedesco di nome Reiter. Poi il 31 luglio riuscì a fuggire e a rifugiarsi presso il comando della V^ Brigata [“Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“] a Pigna, dove rimase fino al 29 di settembre). Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III., ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, 1977

Il maresciallo Reiter apparteneva al comando SD di Sanremo (IM), dove faceva da autista, dalla metà di marzo 1944 sino al termine della guerra, un certo Fioravante Martinoia, nato il 24 febbraio 1915 a Vallecrosia, il cui verbale di interrogatorio, in italiano, come persona in custodia alla Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo, confluì in un documento, con data 2 giugno 1947, dell'OSS statunitense, antenato della CIA. Faceva da interprete in quella sede di Sanremo, più o meno dalla fine del 1944, anche un certo Ernest  Schiffereger, un italiano altoatesino, che aveva optato nel 1939 per la nazionalità tedesca ed era poi entrato nelle SS. Sia lo Schifferegger che il Martinoia, entrambi alla data del rapporto OSS ancora in custodia alla Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo, resero tragiche ammissioni su diversi misfatti nazifascisti, compiuti in provincia di Imperia.
Adriano Maini

Reiter Giuseppe. Maresciallo delle SS; Comandante dell'ufficio di Sanremo [...] Ferrari, ex ufficiale dell'esercito, informatore di Josef Reiter a Sanremo. In seguito per falsa denuncia fu arrestato dalle SS. Età anni 40, alto 1,64, corporatura snella, capelli: completamente calvo.
Considerazioni dei curatori nel documento OSS già citato

Circa l'attività di Reiter e compagni ben poco posso dire in quanto il mio compito era strettamente quello di autista e non mi era permesso di entrare nell'ufficio se non per il tempo necessario a ritirare i fogli di marcia per la macchina [...] Per quanto riguarda le sevizie e torture che i tedeschi solevano fare nei riguardi degli arrestati, in coscienza debbo affermare che non ho mai assistito a scene del genere. Sentivo dire che alle volte quando gli arrestati non parlavano venivano menati. Io però non ho mai visto dei detenuti seviziati o che portassero i segni di percosse [...]
Fioravante Martinoia (ex autista delle SS di Sanremo), dichiarazioni in un verbale di interrogatorio, ripreso dal documento OSS citato

sabato 18 febbraio 2023

Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eleonora Maini

A maggio 1944 i distaccamenti partigiani dipendenti da Nino Curto Siccardi ammontavano a sei, considerando anche il gruppo di Mirko (Angelo Setti, in seguito vice comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione").
Nel medesimo periodo i tedeschi emanarono un ultimatum diretto ai "ribelli" che agivano in montagna. Un titolo eloquente: "Si tratta dell'ultima occasione". Pervenne ai patrioti sotto forma di volantini lanciati da alcuni aerei.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Nei primi giorni del maggio 1944 esce il bando fascista contraddistinto dalla frase "È L'ULTIMA OCCASIONE", col quale ancora una volta si intima ai militari di presentarsi, e ai partigiani di deporre le armi, pena la morte, fissando il 24 maggio 1945 come termine di scadenza per la presentazione stessa.
Vittò [Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento [Francesco Tento, già sergente maggiore dei reparti repubblichini G.A.F. (Guardia Armata alla Frontiera)] e Marco [Candido Queirolo] fanno affiggere alcuni esemplari del manifesto nei pressi delle baite che servono da alloggiamento, perché tutti i partigianipossano liberamente scegliere se andare o stare.
Nessuno va; anzi, ogni giorno arrivano nuove reclute.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Nella settimana testè decorsa l'attività dei ribelli nel territorio di questa provincia è stata particolarmente intensa.
Il 9 corrente, in ora imprecisata, in località campestre prossima alla frazione S. Lazzaro del Comune di Chiusavecchia, ignoti tagliavano il filo della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni, a scopo di sabotaggio.
In ora imprecisata del 12, ignoti, in territorio del Comune di Mendatica, a scopo di sabotaggio, hanno tagliato i fili della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni.
Nel territorio sovrastante Oneglia si sono pure verificati tagli di fili della rete telefonica militare germanica.
L'autorità militare tedesca ha richiesto degli ostaggi per la vigilanza delle linee telefoniche nelle località ove si sono verificati i suddetti atti di sabotaggio.
Un buon numero di ribelli armati si è portato nel bosco "Bugliena" in frazione di Buggio di proprietà del Comune di Pigna, e nel bosco "Colletta Manaira" in territorio del Comune di Castelvittorio, entrambi in via di utilizzazione.
I ribelli hanno imposto agli operai di sospendere immediatamente i lavori, avvertendoli che qualora si fossero presentati nel bosco sarebbero stati fucilati.
Alcuni operai furono incaricati di diffidare il proprietario a continuare il taglio, minacciando di incendiare i boschi e distruggere la teleferica.
Tale episodio ha prodotto la sospensione dei lavori di taglio e quindi la diminuzione della produzione di legna e carbone per i bisogni della popolazione civile.
Se tali episodi dovessero ripetersi ci si troverebbe nella impossibilità di mantenere la produzione con il ritmo regolare adeguato ai bisogni della provincia.
Tre sconosciuti disarmati, qualificatisi "patrioti", sono entrati nella scuola elementare di Pieve di Teco e hanno asportato due cartelli dell'alfabeto con le parole "bandiera", "fascio" ed il quadretto del martire maltese Carmelo Borgo PISANI.
Pure a Pieve di Teco, cinque così detti "patrioti" asportavano, con la minaccia delle armi, l'apparecchio radio della scuola.
Nella frazione Montegrosso del Comune di Mendatica, alcuni ribelli hanno asportato con violenza la bandiera della scuola, nonostante l'opposizione dell'insegnante.
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
Il 14 corrente, verso le ore 23, in Cervo S. Bartolomeo, quattro ribelli armati di moschetto, pistola, pugale e bombe a mano, si presentavano nell'abitazione del capitano marittimo Calo Attilio di anni 62, assente, e procedevano ad una perquisizione, asportando preziosi, danaro, buoni del tesoro ed oggetti vari, arrecando un danno di lire 100.000 circa.
Il 10 corr. in regione "Colle Manaira" tra "Carmo Langan" e "Palazzo Maggiore" 15 ribelli armati fermavano alcuni boscaiuoli, strappando i documenti che portavano addosso. Di poi si presentavano nell'abitato della frazione di Buggio, prelevando 6 giovani. Tale fatto suscitava vivo allarme in quella popolazione, la quale è costretta a subire la violenza dei ribelli ed a favorirli, in quanto non si sente tutelata dalle forze legali, che o non sono presenti o arrivano sul posto troppo tardi e quando i ribelli hanno abbandonato la zona.
Il 15 corrente, in località "Chiappe" [Chiappa] del Comune di Cervo S.Bartolomeo, otto ribelli armati prelevavano, con violenza, nella propra abitazione, il contadino CASALINI Stefano, fascista, il cui cadavere veniva poi rinvenuto - ucciso con colpi d'arma da fuoco - successivamente in contrada campestre del Comune di Andora (Savona).
Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA Pietro [n.d.r.: Pietro Tento], già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
I capi delle bande di ribelli di questa Provincia, ex tenente colonnello VANNI (ora autopromossosi generale) ed il tenente colonnello di artiglieria CALORETTI, già comandante il gruppo di Molini di Triora, si sarebbero recati nel Cuneense.
E' stato segnalato che una forte banda di ribelli armati ed inquadrati, in uniforme grigio-verde dell'ex-esercito, ha sostato nel territorio di Pornassio, proveniente dal comune di Alba (Cuneo), dirigendosi poi verso la frazione di Nava del comune di Pornassio. Si apprende che tale banda sia stata rifornita di armi e munizioni la notte sul 12 corr. da aerei nemici, e che altre bande di eguale forza, provenienti pure da Alba (Cuneo) si sarebbero dirette contemporaneamente nella zona di "Monte Melogno" del comune di Calizzano (Savona).
Da qualche giorno nella zona sita tra il Colle S.Bartolomeo (comune di Borgomaro) ed il colle di S. Bernardo (comune di Rezzo) viene notata la presenza di più nuclei di ribelli, costituiti ciascuno di 20 uomini circa, i quali, per il momento, si mantengono lontani dagli abitati.
Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdi [Realdo].
Da qualche giorno gruppi di ribelli si sono portati oltre Buggio ed il bosco di "Bugliena", incitando anche i giovani ad arruolarsi tra i partigiani. Risulta che un ex tenente, certo LOLLI [Giuseppe Longo], tiene il collegamento tra le bande suddette con quelle di Nava.
Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente ovunque venga segnalata la presenza di ribelli.
Nella decorsa settimana si è portato in territorio dei comuni di Chiusavecchia e di Borgomaro, prelevando alcuni ostaggi e procedendo al fermo di renitenti.
Continua l'assunzione del personale ausiliario agenti, laddove alcuni ausiliari dimostratisi inidonei, specie per motivi disciplinari, sono stati licenziati.
L'addestramento tecnico e professionale del personale ausiliario procede con ritmo accelerato mediante lezioni giornaliere impartite da Funzionari di polizia.
Fervono tuttora le indagini per la scoperta degli assassini del parroco di Castelvittorio, già segnalato con la precedente relazione.
La situazione economica della provincia è stazionaria.
Circa la situazione del personale Funzionari di polizia si fa presente che è stato testè disposto il trasferimento del Commissario Agg. VERRUSIO Roberto da questa provincia a Vicenza, senza sostituzione.
Data la nota deficienza di personale effettivo in questa Provincia, si prega di voler provvedere, con l'urgenza che il caso richiede, alla sostituzione del Verrusio ad Imperia con altro Funzionario effettivo, facendo presente che alla Questura del Capoluogo prestano attualmente servizio soltanto tre funzionari effettivi, il cui numero è assolutamente insufficiente alle esigenze dei vari servizi di polizia, nelle attuali contingenze, specie se si considera la necessità, non infrequente, di dover inviare in altre località della Provincia funzionari per accertamenti ed inchieste di carattere politico.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1944 - XXII. Documento "MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4" dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

venerdì 18 novembre 2022

Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa

Carnino Superiore, Frazione di Briga Alta (CN). Fonte: Mapio.net

Abbiamo visto come, preceduti da tre giorni di cannoneggiamenti, reparti tedeschi provenienti da Isolabona, Saorge e Briga, l'8 ottobre 1944 avessero costretto i reparti garibalbini nella zona di Pigna a ripiegare sotto la minaccia di accerchiamento.
Riassumendo: il rastrellamento continua incalzante. Il distaccamento di «Barba» arretra dal monte Vetta. Una pattuglia del 5° distaccamento, armata di due fucili mitragliatori, è inviata in direzione di Castelvittorio per accertare lo stato delle cose, i movimenti nemici e appoggiare eventuali formazioni che già combattono.
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985

Il 9 ottobre 1944 Pigna era saldamente in mano ai tedeschi. Uno dei protagonisti della ritirata partigiana, Giovanni Rebaudo (Janò/Monaco), così racconta quei giorni:
"Visto che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande. Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene. Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise, giunse Vittò, comandante la V brigata Nuvoloni, e si mise a capo della nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il Passo del Bocchin d'Aseo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane, un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la marcia della V Brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada), Antonio Allavena (Cuma), Emilio Arizzi (Penna), Giovanni Bonatesta (Vencu) e Silvio Lodi (Bersagliere), armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza, in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e della I brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto [Nino Siccardi]. Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e si visse un momento di commozione quando Curto, nella sua figura imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si buttò nelle braccia di Vittò singhiozzando e poi quando ci disse che erano morti Cion, Giulio, De Marchi [...]."
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, Edito dall'Autore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

La zona che si stende dal confine francese a Pigna e che scende a Castelvittorio-Buggio-Carmo Langan, alle ore 22 dell'8 ottobre 1944 non è più sotto il controllo garibaldino; della situazione viene confermato con un messaggio anche il 3° battaglione della IV brigata e l'8° distaccamento di "Gori" [comandante "Gori", Domenico Simi] della V brigata, ritornato nella zona di Beusi a monte di Taggia (1).
Dopo monte Vetta è perduto il passo Muratone; il distaccamento comando della V brigata è obbligato a indietreggiare da Carmo Langan e a ritirarsi su Triora. Il Comando brigata si prefigge, nell'eventualità di una ritirata, di seguire la direttrice Triora-Piaggia per raggiungere il Comando divisione.
Il distaccamento di "Moscone" [comandante "Moscone", Basilio Mosconi] che si trovava a Cima Marta per proteggere Pigna dal lato di Briga e che, esaurito il suo compito, attendeva ordini precisi, alle 11 del giorno 9 è messo in allarme dalle vedette: una colonna tedesca sale da Briga, il distaccamento si mette in postazione e l'attacca con raffiche di mitraglia per rallentare la marcia e permettere alla colonna dei muli diretta a Bregalla di guadagnare terreno e mettersi al riparo. Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa; camminano stanchi e taciturni, quasi abbiano paura di parlare. Bregalla è raggiunta nelle prime ore della notte e gli uomini cercano riposo nei casoni presso monte Castagna insieme a un gruppo del distaccamento di "Lilli", confortati dalle castagne bollite, in attesa dell'alba.
Il distaccamento di "Doria" ["Fragola Doria", Armando Izzo], giunto a Croce di Campo Agostino al crepuscolo del giorno 8 sotto una pioggia insistente, non può fermarsi perché il nemico incalza. Il distaccamento marcia lento, disposto in fila indiana quando, oltre Croce di Campo Agostino, viene affrontato da un'intera compagnia tedesca: si accende una sparatoria, la sorpresa annulla la difesa. I garibaldini a stento si ritirano verso la Madonna del Passaggio. "Doria", colpito ad una gamba, rotola per una scarpata tra i cespugli ma riesce a salvarsi e a raggiungere la fonte Provenziale.
Il giorno dopo, all'imbrunire, è a Prearba dove sfugge miracolosamente ancora ai tedeschi. Rintracciato e aiutato da due partigiani in perlustrazione, raggiunge Ciabaudo ricevendovi premurosa assistenza dai contadini del luogo. Dispiegando nel modo più poderoso le loro forze i Tedeschi tentano il 9 di ottobre di stringere in una morsa inesorabile le forze partigiane della V brigata, manovra che, per l'abilità dei comandi garibaldini, non riesce.
Circa 400 Tedeschi si piazzano a Collardente e 300 nella zona di Pigna; altre truppe con cannoni aprono il fuoco su Buggio nel tentativo di annientare reparti del 4° distaccamento posto a difesa della zona.
Oltre 200 Tedeschi si dispongono in offensiva nella zona di Graj. Si delinea il grave pericolo dello sbarramento della via di ritirata Triora-Piaggia.
Il comandante "Vittò" [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] col suo Stato maggiore cerca di studiare un nuovo schieramento facendo perno su Triora con utilizzazione del 3° del 1°, e di metà del 5° distaccamento, in posizione nella zona sopra Bregalla; il 2°, il 6° e il distaccamento comando sono già a Triora da dove cercano di richiamare l'8° distaccamento di "Gori".
Informata dalla situazione, la I brigata pone vigilanza alla strada che da Collardente porta alla galleria del Garezzo ove sono già in perlustrazione pattuglie avanzate tedesche (2).
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino) che, trovatosi imbottigliato da sud-ovest del monte Ceppo, si era portato a Baiardo, di lì a Carmo-Langan e poi a Buggio, subìto lo sbandamento riesce a riordinarsi a Triora insieme a gli altri reparti (3).
Nei giorni 10 e 11 la calma si ristabilisce. Il nemico sembra abbia subito una battuta d'arresto; sembra stia ordinando le proprie fila, preparando nuovi piani d'attacco. Le perdite garibaldine sono gravi, molti gli sbandati e le armi perdute.
Durante questa tregua il distaccamento di "Gino" ritorna a Carmo-Langan con lo scopo di proteggere il ripiegamento della brigata da un eventuale pericolo di sorpresa. Il lavoro dei commissari, provvisoriamente interrotto, viene riattivato a Triora; si curano i migliori elementi per porli candidati ai tre battaglioni della brigata in via di ricostituzione.
In questo precario periodo di vita della V brigata i garibaldini hanno dimostrato grande compattezza e massimo affiatamento coi Comandi; ciò verrà confermato nei giorni seguenti con l'ulteriore spostamento a Piaggia, poi a Carnino e infine a Fontane in Piemonte.
[...] Intanto il distaccamento di "Franco" raggiunge Piaggia il 12 assieme ad una quindicina di garibaldini di "Leo". Da Ventimiglia giungono notizie che i Tedeschi stanno risalendo la valle Roja in forze, lasciando sulla costa solo elementi della marina, mentre a Oneglia pattuglie formate da nazisti e brigate nere partono per perlustrare le strade che danno accesso alle vallate.
La situazione diviene nuovamente critica.
I Tedeschi, distruggendo e incendiando case e fienili per la campagna, compaiano nei dintorni di Triora e la banda locale di Molini si sbanda.
Anche la IV brigata si prepara al peggio: il 7° distaccamento di "Veloce" si tiene pronto a partire per spostarsi sotto monte Ceppo sperando di venirsi a trovare alle spalle dello schieramento nemico, qualora questi operasse verso sud in valle Argentina; nella notte sotto il monte giungono garibaldini sbandati del distaccamento di "Gino" attaccato in mattinata a Langan. Molini è investita da colonne di nazifascisti che riprendono l'offensiva il mattino del 13.
Le prime raffiche prolungate si odono di fronte all'accampamento del distaccamento di "Moscone"; colonne di fumo s'innalzano dai tetti delle case di campagna in località Goletta, il nemico dà fuoco a tutto quello che scorge, compresa la casa ove era stato posto il Comando della V brigata.
Il distaccamento riesce a prendere posizione sul monte Castagna e a rimanervi per quatto ore. Al tramonto, ricevuto l'ordine da "Vittò" di spostarsi, dopo una marcia notturna sotto lo scrosciare incessante della pioggia e per sentieri invisibili ed infangati, raggiunge il paese di Piaggia sul fare dell'alba.
I Tedeschi avevano annunciato il loro arrivo a Triora con una breve sparatoria su Langan, dopo aver attraversato il bosco di Tenarda; come abbiamo accennato, incendiati i casoni della Goletta, scendono per i castagneti di Mauta e giunti in località La Besta non proseguono sulla via maestra ma deviano per una scorciatoia che porta alla Noce, indizio evidente che qualche conoscitore dei luoghi li stava guidando.
Giunti nel luogo detto Casin sparano al campanile del capoluogo, come avviso del loro arrivo.
Ondate di soldati tedeschi si susseguono per tutta la giornata. Si fermano nel paese occupando le case private Tamagni, Capponi, Bonfanti, Ausiello, Costa, Moraldo, ecc. L'artiglieria sosta sotto i portici dell'asilo e dell'ospedale; ivi sostano pure le cucine della truppa, mentre la sanità viene sistemata in casa di Lina Novaro (La Baracca) ed i cavalli nella scuderia del "Casermone".
Intanto tutta la V brigata è in ripiegamento verso Piaggia. Avviene in modo ordinato e con calma. Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza comprendenti 350 garibaldini.
Mancano ancora i distaccamenti di "Gino" che, rimasto tagliato fuori, riuscirà in seguito a raggiungere Piaggia attraverso il passo della Mezzaluna e la galleria del Garezzo, scansando le colonne nemiche, e l'8° distaccamento di "Gori" (4), in posizione avanzata a Beusi, a monte di Taggia, ove rimarrà per tutto il mese appoggiato a levante dal 3° battaglione di "Artù" della IV brigata.
(1) Da nota del vicecomandante della V brigata ad "Artù".
(2) Da rapporto del Comando V brigata inviato al Comando divisionale il 9.10.1944.
(3) Testimonianza orale di Gino Napolitano (Gino).
(4) Si aggregarono all'8° distaccamento di "Gori" composto di ottanta uomini, cinque garibaldini di "Gino", il distaccamento di Baiardo (Audace), quello di Luppi Bruno (Erven) - già rimasto ferito il 26.6.1944 a Sella Carpe -, con venti uomini bene armati, venticinque uomini della banda locale di Arma di Taggia, altri sbandati e due austriaci fuggiti dalle formazioni germaniche.

[...] Il grande rastrellamento Pigna-Triora-Upega era stato attuato dai nazifascisti, a quanto si seppe, per sgomberare dall'insidia partigiana le strade che conducevano al Saccarello, e di là in Piemonte, necessarie per la ritirata in caso di sbarco alleato che i Tedeschi e le autorità fasciste temevano, sulla costa ponentina.
Molti sintomi, oltre alle informazioni fornite dai servizi di sicurezza, erano evidenti: non passava inosservato il diuturno lavoro di otto spazzamine e di cacciatorpediniere angloamericani sulla costa ligure, mentre una buona parte della flotta alleata del Mediterraneo si era concentrata nella rada di Villafranca, e si susseguivano ininterrottamente i bombardamenti aerei sulla costa.
In luglio e in agosto i nazifascisti avevano disposto uno schieramento lineare sulla costa con le forze della Wehrmacht e con le divisioni italiane "San Marco" e "Littorio"; ma nell'autunno, appunto per timore dello sbarco, lo modificarono dislocando le forze sui passi montani in profondità, fuori dal tiro delle artiglierie navali e per bloccare con poche forze, l'infiltrazione nella pianura cuneese delle forze alleate che fossero sbarcate sul litorale ligure. Questa fu la vera causa dei grandi rastrellamenti operati e delle distruzioni provocate. Il 29 di ottobre i Tedeschi davano alle fiamme le stazioni ferroviarie di Ventimiglia e San Remo, facevano saltare il ponte sul Roja, la polveriera di Bussana e tutti i pali delle linee elettriche. Avevano già distrutto le centrali elettriche delle stazioni ferroviarie di Albenga e Diano Marina, requisito migliaia di biciclette, autoveicoli e cavalli, fatto saltare i carri cisterna sui porti onegliese e portorino, invitato la popolazione con manifesti a sgomberare la costa, minato la zona delle ex ferriere [ad Imperia], minato la statale n. 28 tra Pontedassio e Chiusavecchia con mine da 200 chilogrammi di tritolo ciascuna (le mine erano poste a quaranta metri circa di distanza una dall'altra), minato le banchine dei porti, distrutto l'impianto del gas a Porto Maurizio, asportato i motori dal pastificio Agnesi, ecc.
Anche le forze garibaldine si erano preparate per collaborare allo sbarco alleato.
A Piaggia il comandante "Simon" [Carlo Farini], dopo l'amara delusione subita i primi giorni di settembre, cercava di rendere efficiente al massimo la II Divisione Garibaldi "F. Cascione" a cui era assegnato il compito di scendere sulla costa per occupare il capoluogo e San Remo.
A tale proposito il 26 di settembre "Curto" [Nino Siccardi] aveva dato istruzioni a tutti i S.I.M. di raccogliere tutte le informazioni possibili sulla dislocazione delle forze nemiche, sul loro armamento, sull'ubicazione delle sedi dei Comandi, dei posti di blocco, delle postazioni, dei magazzini, ecc.; sulla consistenza delle forze e dei trasporti militari.
Vennero preparati due piani, uno generale e l'altro dettagliatissimo, per l'occupazione del capoluogo (1).
Il piano generale venne trasmesso il 6 ottobre da "Curto" e dal Capo di S.M. ai Comandi della I, IV e V brigata e prevedeva il concentramento dei distaccamenti nel modo seguente:
I Brigata: tra Cesio e Pieve di Teco.
IV Brigata: tra Borgomaro e Carpasio.
A disposizione, per l'occupazione di San Remo:
Battaglione "Artù" (3° battaglione della IV Brigata)
Distaccamento "Gino" (della V Brigata)
Distaccamento "Gori" (della V Brigata)
Quindi, la formazione di colonne-trasferimento con i seguenti itinerari:
I Brigata: Cesio-monte Arosio-monte Torre-Evigno-Diano Arentino-Costa d'Oneglia.
IV Brigata: Borgomaro-passo delle Ville San Pietro-Colla Bassa-Borgo Sant'Agata.
V Brigata: monte Faudo-Lecchiore-Dolcedo.
Il Comando divisione avrebbe dovuto marciare con la I brigata.
Prima di procedere all'occupazione delle due località di Porto Maurizio e di Oneglia, la divisione avrebbe dovuto attestarsi sulla seguente linea:
V Brigata: Poggi-Caramagna-Cantalupo-Artallo.
IV Brigata: Borgo Sant'Agata-Borgo d'Oneglia.
I Brigata: Costa d'Oneglia-Gorleri-capo Berta.
Comando divisione a Costa d'Oneglia.
Inoltre, nel piano facevano seguito le disposizioni per i successivi obbiettivi da raggiungere, e le disposizioni varie che si ricollegavano a quelle del piano dettagliatissimo composto da nove pagine dattiloscritte, con tredici allegati e tre piantine relative ai collegamenti, agli eventuali ripiegamenti, al servizio sanitario, ecc (2).
Intanto le S.A.P. avevano preparato venti squadre di difesa cittadina composte ognuna da circa dieci combattenti, in gran parte membri delle cellule del Partito comunista italiano.
Ma fu lunga l'attesa; lo sbarco alleato non avvenne e tutto precedette come prima: rastrellamenti, rappresaglie, incendi, a cui si  contrapponeva la Resistenza di un popolo e delle sue formazioni garibaldine in armi. Così fino alla liberazione.
(1) Progetto occupazione Imperia del 6.10.1944, prot. n° 762/R/24.
(2) Ordine di operazioni n° 1, del 28.10.1944.
 
[...]
"Relazione di Curto sui fatti di Upega
Alla Segreteria della I Zona Liguria
Dal Comando II Divisione d'Assalto Garibaldi "F. Cascione"
Zona, 2 novembre 1944, n. 34/Q/15 di prot.
Oggetto: Relazione sui fatti di Upega.
Alla Segreteria I Zona.                                                                               
Con l'occupazione di Ormea si delineava la minaccia di un attacco ai distaccamenti della I brigata e così pure a quelli della V rifugiatisi presso il Comando di divisione in Piaggia.
Si predispongono imboscate lungo la 28, da Ormea a Ponte di Nava e Forti di Nava sino a S. Bernardo di Mendatica. La sera del 15 forze tedesche attaccano S. Bernardo che viene evacuata rapidamente dalle nostre formazioni. Già nella giornata l'ospedale di Valcona era stato sgomberato ed i feriti che si trovavansi in Piaggia erano stati trasportati con barelle a Upega decidendo di lasciarli in questo paese con l'assistenza medica ed il minimo di personale indispensabile.
Delineatosi l'attacco su S. Bernardo, tutti i distaccamenti della I e V brigata ricevettero l'ordine di ritirarsi in direzione di Carnino, considerando già l'eventualità di un ulteriore spostamento su Fontane in caso di necessità.
Il giorno 16 una parte delle forze raggiungeva Carnino mentre un'aliquota minore arrivava solo a Upega. Io arrivavo a Upega nella mattinata del 16 e vi facevo fermare le forze che ancora vi si trovavano perchè potessero assolvere un conveniente servizio di guardia ed eventuale difesa. Furono predisposte due postazioni con mitragliatrici, una a Colla Bassa, l'altra sulla strada che proviene da Piaggia.
In giornata mi recavo a Carnino ove facevo fermare e dislocare i distaccamenti quivi arrivati; quindi ritornavo a Upega per avere informazioni sullo sviluppo dell'attacco a S. Bernardo.
Le notizie sembravano favorevoli, in quanto pareva che i Tedeschi non fossero arrivati neppure a Piaggia.
Stando così le cose e nella speranza di evitare, fin che fosse possibile, un ulteriore ripiegamento fino a Fontane, decido di organizzare in Upega il Comando di divisione dandone immediata disposizione. Difatti il giorno dopo, verso mezzogiorno, i componenti del Comando arrivano provenienti da Carnino. Il mattino del 17 pensiamo, d'accordo col dott. De Marchi, di trasportare i feriti da Upega a Carnino, ma poiché in Upega non ci sono gli uomini necessari, dobbiamo mandare a chiedere 50 uomini a Carnino che sarebbero dovuti arrivare il 18 mattino per provvedere al fabbisogno.
Come misura di sicurezza, alle due postazioni sopradette aggiungiamo una pattuglia avente lo scopo di sorvegliare la strada militare che attraversa il bosco delle Navette sopra Upega. Pare che i due uomini inviati di pattuglia, raggiunta la casa dei cacciatori vi si siano rifugiati, mettendovisi a dormire; furono così sorpresi da una colonna di Tedeschi proveniente da Briga Marittima e trucidati. I Tedeschi poterono così avvicinarsi ad Upega senza che venissero segnalati, e nelle prime ore del pomeriggio veniva dato l'allarme quando già si trovavano nelle immediate vicinanze del paese. Mentre la popolazione del paese ed i nostri uomini scappano per mettersi in salvo, assieme a "Giulio"
[Libero Remo Briganti] do ordine di provvedere per i feriti e quindi ci rechiamo nella direzione dei Tedeschi, colla speranza di poterli trattenere un po' per dar modo di porre in salvo i feriti nella vicina cappella del cimitero, come già convenuto in caso di bisogno. Ma purtroppo i Tedeschi sono ormai a non più di 50 metri da noi, mentre "Giulio" rimane subito mortalmente ferito da una pallottola che gli perfora il ventre.
Cerco allora di porre in salvo "Giulio" e miracolosamente possiamo raggiungere un nascondiglio, ove dopo circa due ore e mezza, e precisamente alle 17,40 "Giulio" decedeva. Lascio il cadavere e mi reco a Carnino ove decidiamo di avvicinarci al passo del Bocchin d'Aseo con tutte le forze che ancora trovansi tra Carnino e Viozene, per attraversare il giorno dopo il passo stesso e riparare a Fontane, ciò che è avvenuto regolarmente.
In Upega oltre all'eroica morte del commissario "Giulio", trovava pure gloriosa morte "Cion"
[Silvio Bonfante], che si sparava un colpo di pistola al cuore, quando vide l'impossibilità di sottrarsi alla cattura da parte dei Tedeschi e dopo che il dott. De Marchi, che assieme ad altri tre garibaldini portava la barella di "Cion", era caduto mortalmente colpito da una raffica di Mayerling. Pure a fianco di "Cion" era caduto "Vittorio il Biondo" che fino all'ultimo momento non aveva voluto abbandonare il proprio comandante. Anche "Lensen di Artallo" veniva colpito mentre tentava di porsi in salvo (1).
Infine anche il "meghetto" Franco, che già era riuscito a guadagnare il passo di Colla Bassa, cadeva fulminato da una raffica.
Furono pure fatti dai Tedeschi quattro o cinque prigionieri dei quali purtroppo si ignora ancora la sorte.
Il comandante di divisione
Curto
"
1 Dopo circa un mese si venne a sapere che "Vittorio il Biondo" era ancora vivo.      

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

domenica 17 luglio 2022

Donne partigiane che non si risparmiarono

Pigna (IM): una vista dalla zona di Lago Pigo

È doveroso  ricordare le tante donne della Resistenza, protagoniste dell’interessante ricerca e raccolta di testimonianze di Gabriella Badano, affidate sia alla storiografia locale e a documenti reperiti presso l’ANPI, l’Istituto Storico della Resistenza  di Imperia e i Comuni, oltre che alla narrazione di alcuni partigiani e delle donne della zona (“Ribelli per la libertà - Storie di donne della Resistenza nell’estremo Ponente ligure” e “In montagna libere come l’aria… le partigiane combattenti dell’estremo Ponente ligure”).
[...] “Il mio è l’unico paese [n.d.r.: Pigna (IM)] che si è ribellato al completo ai fascisti: abbiamo proprio impugnato le armi, magari abbiamo fatto poco, ma abbiamo cercato di non farli venire, nel luglio del 1944. Io, allora, assieme a mia mamma e a un’altra signora, di cui non ricordo il nome, sono andata a prendere le armi: sapevo dov’erano e le abbiamo portate fino al ponte di lago Pigo, che divide Castelvittorio da Pigna, dove c’erano quelli che avevano affrontato le camicie nere… (Ilda Peverello)
“Noi siamo cristiani, cattolici, osservanti, non potevamo essere fascisti! Lo facevo anche per l’italianità. Ho rifugiato tante persone… dall’8 settembre ho avuto sempre gente…Quando i tedeschi mi hanno portato via, avevo ancora gente in casa. La spia me l’ha fatta un irresponsabile: nove uomini e una donna, portati al tribunale Speciale a Sanremo, poi a Villa Magnolia, all’ultimo piano, unica donna…mi hanno interrogato prima i tedeschi poi gli italiani, poi mi hanno liberato, per poco. Quando ho saputo di essere di nuovo ricercata ho chiesto alle Suore dell’Istituto Marsaglia se mi prendevano e sono andata lì con mio marito” (Penelope)
[...] Nella primavera del 1944 molte donne, colpevoli di avere curato feriti o aiutato i partigiani, oppure  denunciate per antifascismo, raggiunsero i partigiani sui monti.
“Uscita di galera, in quei momenti in cui ognuno cercava di fare la forca all’altro per non rimetterci la pelle, trovarsi lì con loro, libera come l’aria, dopo che si è stati chiusi è una cosa bellissima.” (Sascia)
Dalla documentazione degli istituti storici risulta che migliaia di donne furono arrestate e torturate, centinaia furono fucilate o morirono in combattimento. In montagna furono accettate sia per i rischi corsi, sia perché respingerle significava condannarle a morte.
“Erano i primi di maggio del ’44. Appena salita in montagna ho incontrato Simon, che subito si gira a Curto (comandante prima zona della Liguria) e gli dice: ”Ma una donna in banda chissà come sarà trattata, eh… che non le facciano del male..” “Ci sono già gli avvertimenti!” gli ha risposto Curto. Se uno metteva le mani sopra una donna e questa non voleva, c’era la fucilazione. Questo fatto tutti lo sapevano, le voci corrono…” (Candacca)
Donne che non si risparmiarono.  
“Ho fatto tutto quello che hanno fatto gli altri; ho fatto l’infermiera, la staffetta, le marce come gli altri; delle volte, anche alle due di notte, montavo la guardia come tutti gli altri”. (Marì)
maria, Le donne della Resistenza nel Ponente ligure, skipblog, 25 aprile 2017 

Il 28 gennaio u.s. in Aurigo di Borgomaro di questa Provincia, circa 150 persone, in prevalenza, donne aggredirono con sassi e bastoni il comandante la stazione G.N.R. (carabinieri) di Borgomaro e tre dipendenti, mentre traducevano un renitente della classe 1925 poco prima arrestato. I militari per non essere soprafatti facevano uso delle armi, colpendo all'addome una donna, che successivamente decedeva. Un militare leggermente ferito ad una gamba da una bastonata. Il fermo del renitente veniva mantenuto. L'ordine pubblico ritornava subito normale.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 2 febbraio 1944

Non erano forse donne della Resistenza tutte le madri, le spose e le sorelle dei patrioti? Non erano esse stesse partecipi dei rischi e dei tormenti dei loro cari? Quante preghiere venivano pronunciate nelle case o nelle chiese per la salvezza dei propri congiunti!
Nei casoni e nei fienili, impropriamente chiamati ospedaletti da campo partigiani, in ogni ora del giorno e della notte le donne erano pronte ad accogliere feriti e malati per curarli, sfamarli e rincuorarli. E tra esse, le suore negli ospedali hanno offerto esempi di dedizione infinita, sopportabile da chi è retto da una fede trascendente che fornisce il duplice dono del sacrificio e del coraggio nell'affrontare la morte stessa con una serenità d'animo eccezionale e  consapevole.
Il servizio staffette nelle formazioni molte volte veniva svolto da ragazze che, attraverso sentieri mozzafiato, si recavano in zone distanti anche alcuni chilometri per portare circolari, notizie o segnalazioni.
E in banda la donna con il fucile in mano rivestiva il ruolo, tipicamente maschile, del guerriero in lotta. Sparava come l'uomo nell'impeto della battaglia, e della delicatezza della sua figura e del disagio tra quegli spari nulla doveva affiorare, perché in certe situazioni non poteva esistere debolezza o privilegio.
Quanti ruoli la donna abbia sostenuto nella Resistenza è difficile dire, perché se si possono descrivere fatti accaduti, mi pare non sia possibile penetrarne lo spirito, l'ispirazione, i moventi autentici per cui scatta l'azione. Ho cercato, comunque, di chiarire come la partecipazione della donna nella Resistenza italiana, perciò anche in quella imperiese, sia costituita da una vasta gamma di impegni ed abbia origine da svariate direzioni.
E mi rammarico per l'impossibilità di ricordare l'interminabile serie di interventi di donne nella lotta, perché una ricerca seria presenterebbe problemi pressoché insolubili ed un impegno gravoso anche per il fatto che tante protagoniste, veramente modeste ed aliene da riconoscimenti ed onori, non intendono fornire notizie sulla loro attività resistenziale, mentre altre, purtroppo, sono invecchiate, malate o scomparse. Ed ancora, come ho già accennato in altra parte, occorrerebbe per ognuno dei tanti argomenti, una singola pertinente pubblicazione.
In appendice a questo capitolo è riportato l'elenco delle donne partigiane, patriote e collaboratrici del movimento organizzato di Liberazione nella nostra provincia. Ma, prima dell'elenco finale, mi siano permesse alcune citazioni e qualche breve commento.
Pietro Roggerone, nel corso di un rastrellamento, viene arrestato e condotto a Sanremo con una decina di prigionieri in ostaggio; una ragazza, Anna Lanteri, riesce a far fuggire tutto il gruppo (1). Risulta inoltre che la coraggiosa ragazza abbia salvato addidttura una cinquantina di civili incappati in un rastrellamento. Successivamente sarà arrestata.
Le SAP non sono un'organizzazione prettamente maschile. Anche le donne sanno combattere: «... Nei primi mesi del 1945 i sapisti della III Brigata riuscivano a disarmare una quindicina di militari italiani e tedeschi. Azioni rischiose nelle quali si distinsero per il coraggio dimostrato anche le giovanissime sapiste Palma Bianca e Daolio Nanda, seguite da un folto gruppo di donne, quali Elena Caterina, Robino Carolina, Garibaldi Geromina, Trevia Elisabetta, Agnese Teresa, Bestoso Emilia, Piana Gilda, Verda Lucia, Vittoria Giobbia (Sanjacopo), ed altre della Val Steria che si adoperarono instancabilmente per la lotta di Liberazione...»  (2).
La professoressa Vittoria Giobbia (Sanjacopo), donna eccezionale il cui antifascismo è radicato ed autentico dirige le SAP femminili in Diano Marina. Organizzatrice abile e coraggiosa, lancia alla gioventù studentesca il suo appello alla lotta. Costituisce otto nuclei resistenziali: a Cervo, San Bartolomeo, Tovo Faraldi, Villa Faraldi e quattro a Diano Marina. Verso la metà dell'ottobre 1944 è ricercata dalle SS perché la sua abitazione in Diano Marina (al n° 1 di via Genova) viene riconosciuta come centro dell'attività clandestina. Fugge, ma non si rassegna. Riprende i contatti con l'organizzazione femminile di Imperia e, naturalmente, con quella di Diano Marina. Ritorna alla guida del movimento femminile ed è preziosa collaboratrice del CLN locale con i collaterali movimenti maschili della Resistenza. Donna di cultura, incaricata dei corsi di traduzione della Facoltà di lettere dell'Accademia di Digione, già dal sorgere del fascismo in Italia si era rivelata come una delle più acerrime nemiche della dittatura (3).
Alba Rizzo di Camporondo (Diano Borganzo) è la staffetta chein forma giornalmente i patrioti locali di stanza nei pressi di Diano Roncagli. Verso le 15 del 10 gennaio I945 un gruppo di Tedeschi, guidato da una spia mascherata, irrompe all'improvviso nella zona e minaccia di sorprendere l'accampamento dei garibaldini di «Stalin»; anche da altre due direzioni giungono colonne nemiche. La ragazza intuisce il pericolo, percorre la salita a perdifiato ed avvisa i partigiani che riescono a mettersi in salvo occultando il materiale. Alba è stremata: al giungere dei Tedeschi si butta a terra e si salva fingendosi morta (4).
Analogamente, il 2 agosto l944, un'altra ragazza, Lucia Ardissone, dopo un'estenuante corsa riesce ad avvisare una decina di giovani di Roncagli che dormono in una baita in località denominata «Piano della Chiesa», salvandoli perciò dalla morte (5).
Il 29 gennaio 1945 durante un rastrellamento Francesco Camiglia tenta la fuga attraverso i tetti, ma è ferito e chiede un disperato aiuto alla madre. Viene catturato e trascinato verso un albero di pero per essere impiccato. Gli passano il cappio intorno al collo. La madre, presa dalla disperazione raccoglie tutte le forze e si scaglia con un urlo straziante contro i Tedeschi che la respingono (6).
Povera madre, la Resistenza è fatta anche di te. Il popolo ti deve gratitudine, come gratitudine deve alla madre del sapista Augusto Vignola che, per tanti giorni, paziente e trepida di speranza, si avvia alle carceri di Oneglia con il pacchetto contenente il cibo per il figlio prigioniero. Patetica madre, tuo figlio è stato assassinato da alcuni giorni. Anche tua è la Resistenza [...].
[NOTE]
(1) Cfr. F. Biga, Diano e Cervo nella Resistenza, op. cit., pag. 100.
(2) Ibidem, pag. 186.
(3) Ibidem, pag. 236.
(4) Ibidem , pag. 195.
(5) Ibidem, pag. 114.
(6) Ibidem, pag. 200.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

senza data - Dalla I^ Brigata SAP "Walter Berio" -
"La Brigata è stata formata nell'agosto del 1944 con un organico di 80 uomini suddivisi in 9 Distaccamenti. Con piccoli colpi di mano ai danni del nemico si riuscirono a procurare 2 mitra, 80 moschetti e 30 pistole. Molti furono i nemici che furono convinti a disertare e che si diressero verso le formazioni di montagna. Si ebbe la collaborazione di alcuni agenti di custodia del carcere giudiziario, di alcuni infermieri dei vari nosocomi e di agenti della P.S., che fornivano importanti notizie circa i rastrellamenti. Alcuni datori di lavoro rilasciavano documenti di lavoro a garibaldini e sapisti, permettendo loro di poter circolare liberamente. Tra le azioni della Brigata si ricorda quella dell'ottobre 1944 contro la caserma dei pompieri, in cui venivano prelevate molte armi.
Furono reclutate delle donne che svolsero con molto coraggio compiti di staffetta e di collegamento.
Nonostante la stretta sorveglianza dell'U.P.I. di Imperia, venivano ospitati garibaldini della montagna.
Nel gennaio-febbraio 1945 l'attività della Brigata subiva un brusco rallentamento a causa degli arresti provocati dalla "donna velata".
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

E pure morì sotto il martirio nazista l’animatore d'una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta. E la trista Germania inghiottì Lina Meiffret, prima partigiana.
Italo Calvino, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, uscito a Sanremo martedì 1° maggio 1945

Rivedo Lina Meyfrett che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle, occhio lucido, Ceschina, Milano, 1968, ristampa Graphot Spoon-River, Torino, 2012, pag. 45

domenica 20 marzo 2022

La tragedia di Upega è costata alla Resistenza quasi una ventina di caduti

Briga Alta (CN) - Fonte: Mapio.net

Abbiamo visto come, preceduti da tre giorni di cannoneggiamenti, reparti tedeschi provenienti da Isolabona, Saorge e Briga, l'8 ottobre 1944 avessero costretto i reparti garibalbini nella zona di Pigna a ripiegare sotto la minaccia di accerchiamento.
Riassumendo: il rastrellamento continua incalzante. Il distaccamento di «Barba» arretra dal monte Vetta. Una pattuglia del 5° distaccamento, armata di due fucili mitragliatori, è inviata in direzione di Castelvittorio per accertare lo stato delle cose, i movimenti nemici e appoggiare eventuali formazioni che già combattono.
La zona che si estende dal confine francese a Pigna e che scende a Castelvittorio-Buggio-Carmo Langan, alle ore 22 non è più sotto il controllo garibaldino; della situazione viene informato con un messaggio anche il 3° battaglione della IV brigata e l'8° distaccamento di «Gori» della V brigata, ritornato nella zona di Beusi a monte di Taggia.
Dopo monte Vetta è perduto il passo Muratone; il distaccamento comando della V brigata è obbligato a indietreggiare da Carmo Langan e a ritirarsi su Triora. Il Comando brigata si prefigge, nell'eventualità di una ritirata, di seguire la direttrice Triora-Piaggia per raggiungere il Comando divisione.
Il distaccamento di «Moscone» che si trovava a Cima Marta per proteggere Pigna dal lato di Briga e che, esaurito il suo compito, attendeva ordini precisi, alle 11 del giorno 9 è messo in allarme dalle vedette; una colonna tedesca sale da Briga, il distaccamento si mette in postazione e l'attacca con raffiche di mitraglia per rallentare la marcia e permettere alla colonna dei muli diretta a Bregalla di guadagnare terreno e mettersi al riparo. Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa; camminano stanchi e taciturni
[...] la I brigata pone vigilanza alla strada che da Collardente porta alla galleria del Garezzo ove sono in perlustrazione pattuglie avanzate tedesche.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino) che, dopo essersi trovato in grave difficoltà, da sud-ovest del monte Ceppo si era già portato a Carmo-Langan e poi a Buggio, riesce a riordinarsi a Triora insieme agli altri reparti.
Nei giorni 10 e 11 la calma si ristabilisce. Il nemico sembra avere subito una battuta d'arresto; sembra stia ordinando le fila, preparando nuovi piani d'attacco.
Le perdite sono gravi, molti gli sbandati e le armi perdute.
Durante questa tregua il distaccamento di «Gino» ritorna a Langan con lo scopo di proteggere il ripiegamento della formazione partigiana da un eventuale pericolo di sorpresa.
[...] Il lavoro dei commissari, provvisoriamente interrotto viene riattivato a Triora; si curano i migliori elementi per poi darli affidati ai tre battaglioni della brigata in via di ricostruzione. In questo precario periodo di vita della V brigata i garibaldini hanno dimostrato grande compattezza e massimo coordinamento coi Comandi; ciò verrà confermato nei giorni successivi con l'ulteriore spostamento a Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)], poi a Carnino e indi a Fontane in Piemonte.
Sul ripiegamento ordinato della V brigata, il garibaldino Giulio Manasero (Lulù) racconta: « ... Con l'attacco tedesco a Pigna, non potendo resistere al nemico, i distaccamenti della V brigata riuscirono a ripiegare con ordine, ma questo avvenne anche grazie all'impianto telefonico che ero riuscito a costruire con tenacia e pazienza. Messomi al lavoro dopo l'occupazione di Pigna da parte dei partigiani, avvenuta negli ultimi giorni di agosto, mi misi a collegare con linee telefoniche tutti i distaccamenti della V brigata dislocati su un largo territorio che si prolungava fino a Langan. Con la mia esperienza, costruii un centralino, smontando e selezionando i pezzi di vari apparecchi da campo già in dotazione all'esercito, abbandonati da settembre 1943 nelle varie casematte situate in montagna, come quelle di Margheria dei Boschi, di Muratone, di Lega. Il centralino venne innestato alla ex linea pubblica già dalla "Società dei telefoni e telegrafi", così Langan, Pigna, Marta, Baiardo, Molini di Triora e Badalucco vennero collegati tramite questo ingegnoso lavoro che svolse per un mese un servizio efficiente e, come ho detto all'inizio, fu un prezioso elemento, anche per la salvezza di tutti i distaccamenti nel corso del rastrellamento. Inviati gli ultimi messaggi, con i Tedeschi nelle vicinanze, mi incaricai di distruggere tutti gli impianti...».
Intanto il distaccamento di «Franco» raggiunge Piaggia assieme ad una quindicina di garibaldini di «Leo».
Da Ventimiglia giunge notizia che i tedeschi stanno risalendo la valle del Roja in forze, lasciando sulla costa solo elementi della Marina, mentre a Oneglia pattuglie formate da nazisti e brigate nere partono per perlustrare le strade che danno accesso alle vallate.
La situazione diviene nuovamente critica.
I Tedeschi, distruggendo e incendiando case e fienili per la campagna, compaiono nei dintorni di Triora e la banda locale di Molini si sbanda.
Anche la IV brigata si prepara al peggio: il 7° distaccamento di «Veloce» si tiene pronto a partire per spostarsi sotto monte Ceppo sperando di venirsi a trovare alle spalle dello schieramento nemico, qualora questi operasse verso sud in valle Argentina; nella notte sotto il monte giungono garibaldini sbandati del distaccamento di «Gino» attaccato in mattinata a Langan. Molini è investita da colonne di nazifascisti che riprendono l'offensiva il mattino del 13.
Le prime raffiche prolungate si odono di fronte all'accampamento del distaccamento «Moscone»; colonne di fumo s'innalzano dai tetti delle case di campagna in località Goletta, il nemico dà fuoco a tutto quello che scorge, compresa la casa ove era stato il Comando della V brigata.
Il distaccamento riesce a prendere posizione sul monte Castagna e a rimanervi per quattro ore. Al tramonto, ricevuto l'ordine da «Vittò» di spostarsi, dopo una marcia notturna sotto lo scrosciare incessante della pioggia e per sentieri invisibili ed infangati, raggiunge il paese di Piaggia sul fare dell'alba. I Tedeschi avevano annunciato il loro arrivo a Triora con una breve sparatoria su Langan, dopo aver attraversato il bosco di Tenarda; come abbiamo accennato, incendiati i casoni della Goletta, scendono per i castagneti di Mauta e giunti in località La Besta non proseguono sulla via maestra ma deviano per una scorciatoia che porta alla Noce, indizio evidente che qualche conoscitore dei luoghi li stava guidando.
Giunti nel luogo detto Casin sparano al campanile del capoluogo, come avviso del loro arrivo.
Ondate di soldati tedeschi si susseguono per tutta la giornata. Si fermano nel paese occupando le case private Tamagni, Capponi, Bonfanti, Ausiello, Costa, Moraldo, ecc. L'artiglieria sosta sotto i portici dell'asilo e dell'ospedale; ivi sostano pure le cucine della truppa, mentre la sanità viene si ternata in casa di Lina Novaro (La Baracca) ed i cavalli nella scuderia del «Casermone».
Intanto tutta la V brigata è in ripiegamento verso Piaggia. Avviene in modo ordinato e con calma. Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza comprendente 350 garibaldini. Mancano ancora i distaccamenti di «Gino» che, rimasto tagliato fuori, riuscirà in seguito a raggiungere Piaggia attraverso il passo della Mezzaluna e la galleria del Garezzo, scansando le colonne nemiche, e l'8° distaccamento di «Gori», in posizione avanzata a Beusi, a monte di Taggia, ove rimarrà per tutto il mese appoggiato a levante dal 3° battaglione di «Artù» della IV brigata
«...il Comando partigiano è sempre a Piaggia; all'intorno sui passi, nei casoni, sulle cime, ancora distaccamenti e pattuglie. Pioggia, fango, umido, nevischio; lento stillicidio dei giorni, la neve è appena sulle cime, l'inverno avanza minaccioso. Il giorno 13 mattino s'ode distinto il rombo del cannone. La V brigata è ancora attaccata; riuscirà ancora a tenere? La domanda ansiosa fa tremare il cuore.
"Osvaldo" [Osvaldo Contestabile] era stato nominato commissario della V e il 5 di ottobre aveva salutato quelli della I brigata prima di lasciarli e rivoltosi al garibaldino Gino Glorio (Magnesia) aveva detto: "Vuoi venire con me? Andiamo verso il fronte, saremo i primi ad essere liberati". "Osvaldo" era partito con la sua pesante coperta sulle spalle... sarebbe stato mai più rivisto?
"Abbiamo ricevuto dal Comando tedesco una specie di ultimatum. Se ci impegnamo a non attaccare ulteriormente i collegamenti tra il fronte e le retrovie, se lasciamo libere le strade, il nemico s'impegna a non molestarci, in caso contrario comincerà il rastrellamento (vedi precedente capitolo: "La battaglia di Pigna")": così il commissario "Osvaldo" scriveva al Comando della "Cascione". La risposta dei garibaldini è netta e decisa: se i Tedeschi sono disposti a lasciare la Liguria, le azioni di disturbo cesseranno, finchè rimarranno sulla nostra terra sarà nostro diritto e dovere attaccarli ad oltranza. Le formazioni partigiane sono cosapevoli di essere più deboli, che il nemico non minaccia invano, può sgominarle, forse per sempre, ma nulla le piegherà a trattare; la sfida sanguinosa è lanciata, se ne sopporteranno le estreme conseguenze.
Il nemico attacca, ritira le truppe dal fronte e le lancia contro di noi, ritira gli alpini scelti, le artiglierie da montagna e rovescia una valanga di fuoco sulle posizioni della V. I nostri ripiegano, attendono che il bombardamento si plachi, più veloci tornano in linea e attendono a piè fermo il nemico che sale all'attacco. Più volte il tedesco è respinto; poi riesce a infiltrarsi, la prima linea cede, Pigna è perduta. La V ripiega su monte Ceppo, Langan, Cima Marta a copertura di Triora.
L'attacco nemico prosegue; ancora artiglierie, bombardamenti, assalti, ancora i nostri senza cannoni e trincee lasciano le posizioni durante il fuoco per tornarvi subito dopo; ancora tre volte il nemico è ributtato con perdite sanguinose; ora, però, il rombo del cannone è troppo vicino e frequente.
A sera giungono i primi sbandati sotto la pioggia che cade insistentemente. Chi ha una coperta, con quella si ripara dall'acqua, alcuni hanno anche lo zaino, altri hanno tutto perduto, scendono dal Frontè, camminano da ore tra la neve ed il fango. Nella notte il Comando divisionale è pieno di garibaldini della V; sono infangati, bagnati, sfiniti, il morale però è alto, forse più alto di quello dei partigiani della I; già, si è sempre sollevati quando si esce da un rastrellamento, si sfugge da un pericolo, si arriva in una zona controllata dai nostri.
"Ciao, 'Magnesia', come vedi sono tornato... però è andata male". Era 'Osvaldo', il commissario della V con la coperta a tracolla. "Petroni", un uomo di "Umberto" racconta le ultime fasi di vita di una banda: il rastrellamento di San Romolo, la scomparsa del capitano "Umberto": "Ora sono con la V, ce ne sono anche altri... No, 'Marcello' non è con noi, è andato in missione verso San Remo ed è scomparso".
Nella stanza c'è un brusio continuo, partigiani arrivano e ripartono, vengono a cercare un compagno, una banda perduta, chiedono notizie, informazioni, si fermano un po' e poi escono a cercare un fienile. Raccontano i particolari della lotta: il nemico molto superiore aveva attaccato di sorpresa approfittando della nebbia.
Cima di Marta era andata perduta e poi, dopo breve e violenta lotta, la disfatta. Certi distaccamenti sono stati tagliati fuori e si ignora la loro sorte, altri hanno perduto i capi, altri si sono sfasciati.
Alcuni, i più, hanno conservato le armi, la compattezza e ripiegano ordinati; hanno ricevuto l'ordine di fermarsi perchè Pigna si va congestionando. Sono indicati loro i luoghi dove accamparsi.
Rapidi e febbrili fervono a Piaggia i preparativi; gli sbandati vengono nutriti, riequipaggiati secondo le possibilità, inquadrati nuovamente; i distaccamenti meno provati sono nuovamente in postazione per rinforzare lo schieramento della I che protegge l'alta val Tanaro dal lato est contro minacce provenienti da Pieve e da Garessio; la V terrà il fronte sud-ovest: Tanarello-Frontè.
Pattuglie partono in tutte le direzioni per segnalare il nemico e prevenire sorprese. Triora, Langan, Molini sono di nuovo occupati dal tedesco che chiedeva con insistenza: "Dov'è Piaggia? Dov'è il Comando?".
La minaccia si aggrava, i documenti vengono nascosti, l'ospedale di Valcona è sciolto; tutti quelli in grado di camminare vengono rimandati in formazione.
Verrà tentata una resistenza ad oltranza. Ogni ora giungono staffette, notizie, comandanti per discutere; si organizza una riserva al centro, si destinano i comandi; il comandante, il commissario e il capo di Stato maggiore della brigata assumeranno la guida dei tre battaglioni, si fanno previsioni sulle direttive di attacco, tutto pare calcolato; c'è però una cosa che si saprà in seguito e che i comandanti sanno: che mancano le munizioni.
Il punto debole della guerra partigiana sono ancora e sempre le munizioni. Per la guerriglia e l'imboscata necessitano pochi colpi: una raffica e tutto è fatto. Per la resistenza, invece no, per tenere una posizione oltre alle armi occorrono i colpi e le armi della I brigata hanno già sparato a Cesio e a Vessalico ... Piaggia è l'ultimo tentativo di apporre al nemico uno schieramento, di tenere una posizione.
I garibaldini non conoscono la reale situazione, il Comando sa e medita. Le possibilità sono varie: sgombrare subito e portarsi in un'altra zona; ma quale? Nessuna presenta garanzie di sicurezza e il nemico avrebbe attaccato ugualmente dirigendo nella nuova direzione le forze ammassate.
In tal caso, la zona di Piaggia, data la scarsità di carrozzabili, sembra la migliore.
Resistere od evacuare durante il rastellamento? L'ultima ipotesi sottrarrebbe le forze partigiane all'attacco nemico, obbligherebbe quest'ultimo a ricominciare da capo tutti i preparativi concedendo così una sosta valutabile a circa un mese.
La difficoltà sta nella scelta della direzione di marcia, nella impossibilità di aver notizie recenti e precise sui movimenti nemici, nella difficoltà di mantenere rapidi collegamenti con i distaccamenti durante la marcia.
Per evitare un sicuro sbandamento che potrebbe, dato l'avvicinarsi dell'inverno e la conseguente demoralizzazione, avere conseguenze più gravi del solito, si decide per la resistenza. Sabato 14 di ottobre: una colonna tedesca di forza imprecisata raggiunge Ormea, è l'inizio; i feriti di Piaggia vengono in fretta evacuati verso Upega, il piano di resistenza contro l'attacco da due direzioni entra in azione, due distaccamenti partono per intercettare il nemico a Ponte di Nava.
L'ansia è nel cuore di tutti.
La giornata di domenica 15, dopo tanta pioggia, è finalmente serena; tutto è tranquillo, silenzioso; si stenta a credere che il rastrellamento sia già iniziato; il cuore, inconsciamente, si apre di speranza ...
Purtroppo la speranza dura poco tempo. Il nemico prosegue il grande rastrellamento iniziato a Pigna il 5 di ottobre. Il giorno 17 a Upega [Frazione di Briga Alta (CN)] sorprende il Comando della II divisione "Felice Cascione".
Cadono valorosi comandanti partigiani. La V brigata "L. Nuvoloni", con la I "S. Belgrano", attraverso il passo del Bocchin d'Aseo (Mongioje) si ritira a Fontane (CN), in Piemonte.
Rientrerà nei primi giorni di novembre in Liguria per riprendere la lotta, che condurrà dura e ininterotta fino alla Liberazione.
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985
 
Ai primi di settembre del 1944 sembrò per qualche tempo che la liberazione potesse essere vicina. Gli Alleati erano sbarcati in Provenza il 15 agosto, provocando un rapido crollo delle posizioni tedesche in tutta la Francia meridionale. Sembrava ora ragionevole attendersi un’offensiva generale degli americani attraverso i passi alpini, approfittando della stagione ancora clemente e dell’appoggio delle forti formazioni partigiane piemontesi e liguri, che certo non sarebbe mancato. Ma gli strateghi angloamericani avevano altri progetti: ritenendo prioritario l’attacco allo schieramento nemico tra i Vosgi e i Paesi Bassi, fermarono le loro truppe su una linea che lasciava il confine franco - italiano e l’intera valle del Roia saldamente in mani tedesche. Siffatta scelta, forse opportuna dal punto di vista militare, condannò tutto il Nord Italia ad un nuovo inverno di occupazione, ma, probabilmente, gli evitò le immani distruzioni causate dai combattimenti nel resto del Paese. Nel clima di fibrillazione di quei giorni, alimentato ad arte dalla trionfalistica propaganda di Radio Londra, i partigiani imperiesi della Prima Zona ligure, credendo fosse giunta l’”ora x”, abbozzarono una calata insurrezionale sui centri della costa che venne stroncata sul nascere da un vasto rastrellamento tedesco talmente tempista da risultare sospetto <1.
I savonesi, meno numerosi ed organizzati oltre che più distanti dal fronte, continuarono la loro attività di guerriglia con il consueto vigore, ma senza esporsi in arrischiate azioni su grande scala. Dopotutto, lo stesso Comando Generale delle Brigate Garibaldi avrebbe rammentato pochi giorni dopo che “L’ora x è già suonata” <2 e che pertanto l’obiettivo principale dei partigiani non doveva consistere solo nel prepararsi ad una futura insurrezione, bensì nell’attaccare giorno per giorno il nemico senza mai concedergli tregua <3. A Savona come altrove, questa direttiva giunse a conforto di una linea d’azione ormai perseguita da mesi.
[NOTE]
1 Per questa vicenda, tuttora piena di lati oscuri, vedi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia - La Stampa, 1985 (3 voll.), vol. II, pp. 10 - 22.
2 AA. VV., Le brigate Garibaldi nella Resistenza, Milano, INSMLI - Istituto Gramsci - Feltrinelli, 1979 (3 voll.), vol. II, p. 334.
3 Ibidem, vol. II, p. 334.
Stefano d’Adamo, “Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45)”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Finalmente anche il 6 di settembre [1944] finisce: il nemico riunisce i reparti rastrellatori, riforma le colonne, si concentra a fondo valle.
Il pugno di ferro si era stretto: che aveva preso?
Nulla, quasi nulla. Su più di un migliaio di partigiani, solo una decina erano caduti nella rete.
Alle ultime luci del tramonto, i tedeschi lasciano il bosco, le macerie fumanti di S. Bernardo di Conio, di Case Rosse, di Case dell’Erba, delle cascine e dei fienili distrutti, indicano che anche lì, come a Triora, a Molini, a Pornassio, a Villa Talla, erano passate le truppe di Hitler. Non note le perdite nemiche: la popolazione aveva visto scendere per la rotabile di Rezzo alcuni carri chiusi e sanguinanti.
Terminato il rastrellamento, il Comando Divisionale, su consiglio di Curto [Nino Siccardi], nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo, riuscendo a riorganizzare in brevissimo tempo tutta la Divisione, dai comandi ai distaccamenti, per prepararla alle previste battaglie autunnali.
In conformità alla critica storica, non si chiarì mai lo scopo degli annunci radio alleati della loro offensiva sulla costa ligure, poi mancata, con la conseguenza di determinare per alcuni giorni una situazione gravissima per le formazioni partigiane.
Il paese di Upega è posto a fondovalle.
Sotto il paese scorre il torrente Negrone, a monte un ripido pendio dirupato, di fronte è il Bosco Nero.
Il nemico che giunge dal bosco può piazzarsi senza essere visto, di fronte al paese, e di là battere col fuoco delle mitragliatrici, precludendo ogni via di scampo.
Il nemico era stato informato sul movimento partigiano: come prima sapeva che il Comando Partigiano era a Piaggia ed in quella direzione aveva puntato tutte le sue forze, presto venne a conoscenza che tale Comando si era trasferito a Upega, contro cui preparò un’azione condotta da un commando formato da circa duecento soldati SS e alpini austriaci.
La spia nel comando della Cascione aveva funzionato con efficacia.

L’attacco a Upega giunse dal Tanarello, da Limone o da Briga, e la sorpresa fu completa.

[17 ottobre 1944]

Il nemico si avvicina silenzioso, coperto dalla fitta boscaglia.
Al limite del paese, verso le Fascette, in una casa a destra, è il Comando divisionale.
A sinistra, in un altro locale, giacciono i feriti, tra cui Cion [Silvio Bonfante], che sonnecchia e a cui il Curto ha preso il mitragliatore per andare a compiere un giro di ispezione.
I tedeschi riescono ad eliminare i posti di guardia partigiani e giungono alla periferia del paese senza essere segnalati.
Sono udite alcune raffiche, cadono alcuni partigiani di Porto Maurizio. Con il nemico a due passi e con gli spari che rimbombano vicinissimi, molti rimangono confusi e cercano di allontanarsi.
Chi conserva la calma è Curto: impassibile come sempre, cerca di raggiungere chi si allontana, di ispirare loro fiducia, ma invano.
Fallito il tentativo di raggruppare i partigiani a scopo difensivo e strappare al nemico il tempo necessario per trasportare i feriti nella cappella del cimitero del paese o nel Bosco Nero, come era stato precedentemente convenuto, Curto raggiunge al Comando il commissario Giulio [Libero Briganti], ed i due attuano il disperato tentativo di arrestare da soli l’avanzata del drappello tedesco. Sanno che è impossibile in due fermare la valanga, ma forse guadagneranno i pochi minuti necessari per mettere in salvo i feriti, per poi morire.
Giunti fuori dal paese scorgono, in alto a sinistra, i tedeschi che avanzano su due colonne distanziate. Giulio e Curto salgono rapidamente una mulattiera e, portatisi in cima algo, all’altezza dei tedeschi, si appostano dietro una casa. Da lì possono sparare a trecento metri con il mitragliatore contro il nemico quando sarà giunto a tiro.

Mentre Curto prepara la propria arma semi inceppata, Giulio scorge i tedeschi, si sposta fuori dal muro che lo ripara e li raffica.

Poi, rivolgendosi a Curto, col viso pallido e lo sguardo stupito, mormora: “sono ferito”.
Compie qualche passo indietro, a ridosso della casa, e consegna l’arma al compagno al quale si appoggia.
Arretrano entrambi qualche centinaio di metri, non visti dai tedeschi che tardano ad avanzare.
Le forze di Giulio gradatamente cedono, non riesce più a camminare mentre Curto lo aiuta in tutti i modi ad andare avanti per raggiungere almeno una località sicura, tra le rocce, sopra il passo delle Fascette.

Dal basso giungono gli urli laceranti della mitraglia, l’eroico destino di Cion e dei suoi compagni sta compiendosi.
Giulio si trascina ancora avanti: non desidera riposare in un grande cespuglio, ma alle rocce delle Fascette, da cui più in là non si può andare.
Un luogo nascosto ripara i due uomini: il ferito, disteso sul dorso e con il respiro ansante, ogni tanto a stento alza la testa per osservare i movimenti dei nemici sottostanti.
Preparate vicino a sé le armi automatiche per un’estrema difesa, e aperta la camicia piena di sangue, Curto scruta la gravità della ferita del compagno: una pallottola, entrata a sinistra, è uscita alla destra del ventre, e anche i visceri sporgono fuori.

Capisce che per Giulio è la fine, ma non gli dice niente e decide di attendere lì, a fianco, la sua morte.
Non gli rivolge domande su cosa dire ai parenti, affinché il morente non si accorga della sua fine.
Poi, il ferito entra in coma, respira affannosamente, chiede disperatamente acqua che Curto non gli può dare: ha una gran sete, l’emorragia interna sussulto, Giulio rimane esanime.
Coperto pietosamente il corpo con la giacca, raccolte le armi e incamminatosi oltre il passo delle Fascette, alle otto di sera Curto giunge a Carnino, ove reca la dolorosa notizia.

Anche Cion (che è nipote di Curto), ai primi spari, viene portato fuori dal ricovero, adagiato sulla barella dai partigiani e dai congiunti che si trovavano con lui: per non cadere vivo in mano ai tedeschi si uccide con un colpo di pistola, sul sentiero che porta al cimitero.

La tragedia si conclude, il comandante della Volante muore da partigiano.
I tedeschi domandano chi era il ribelle suicidatosi, e viene loro riferito che si trattava di Cion.
Non avevano potuto averlo vivo, ma la radio tedesca in Italia diede la notizia della morte di Cion come un successo delle sue armi.
Questo fu certamente l’omaggio più grande alla sua memoria ed il riconoscimento di quanto egli valesse e di quanto avesse perduto la Resistenza con la sua morte.

I tedeschi, occupato il paese, bruciano armi, documenti, zaini e tutto quello che di partigiano viene trovato.
Rinchiudono gli uomini del paese nella canonica.
Fanno scavare una fossa comune dagli abitanti locali e vi gettano alla rinfusa i cadaveri dei caduti.
Battono il bosco, uccidendo altri partigiani.
La tragedia di Upega è costata alla Resistenza quasi una ventina di caduti.
Nei boschi, dispersi, sono nuclei di partigiani, sono intere bande.

C’è Simon [Carlo Farini] su una barella.
Ci troviamo a Piaggia di Briga Marittima”, scrive il cappellano partigiano Don Nino Martini nella prima metà del mese di ottobre, “Simon ha una temperatura variabile tra i 39 e i 40 gradi di febbre. Intanto le notizie che giungono sono sconcertanti. Gli Alleati, fissandosi sulla frontiera italo-francese secondo i piani prestabiliti, danno libertà e agibilità alla ferocia di qualche migliaio di nazifascisti e delle SS tedesche contro i partigiani. Noi, riuscendo a uscire fuori dal rastrellamento, troviamo rifugio e salvezza in Valle Scura, dove Simon riuscirà a guarire”.

Francesco Biga, U Curtu - Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001

 

Francesco Agnese. Nato a Diano Marina il 29 luglio 1923. Il 25 marzo 1944 di ritorno da Genova viene arrestato alla stazione di Diano Marina da un reparto di fascisti della famigerata compagnia O.P. del capitano Ferraris; prima dell’arresto riesce a consegnare al fratello Mario un rotolo di volantini “Stella Rossa”. Trascinato al comando fascista di Diano Marina, quindi alla caserma Muti di Porto Maurizio, infine intorno al 4 aprile è rinchiuso nelle carceri di Oneglia subendo numerosi interrogatori e bastonature. Avendo lui ed altri prigionieri la possibilità di evadere, grazie all’azione di un tenente fascista (in contatto con i partigiani), non approfitta dell’occasione, per timore di rappresaglie nei confronti dei parenti. Uscirà dal carcere a fine maggio. Nel luglio 1944 prende contatto con Giuseppe Saguato “Bill” e concorre a formare uno dei primi distaccamenti garibaldini nella vallata di Diano Marina che, raggiunto il numero di ottanta unità, andrà a costituire la “Volantina” di “Mancen”. “Socrate” è molto intraprendente: con Saguato disarma due carabinieri e partecipa agli assalti alle caserme per il recupero di armi; con il suo distaccamento partecipa alle battaglie di Cesio (mettendo in fuga i tedeschi); di Rezzo, combattendo per sei ore e conquistando Monte Alto. E’ in missione a Diano Marina, liberando la città dalla presenza del brigatista nero Enrico Papone. Rientrato al comando è promosso Commissario di battaglione e passa con Germano Tronville “Germano” presso Upega, in Val Tanaro. Il 17 ottobre è tra coloro che tentano di sottrarre “Cion”, (immobilizzato perché ferito a Vessalico l’8 ottobre) al fuoco tedesco, trasportandolo in barella. E’ colpito da una raffica, cade, e muore dissanguato nel bosco.
A Francesco Agnese è intitolato un Distaccamento della Brigata “Silvano Belgrano” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani - inserto - "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011  

A Upega durante la ritirata si erano radunate gran parte delle forze partigiane contro cui era iniziato il rastrellamento di oltre 5000 militari tedeschi. I patrioti avevano portato lì anche i feriti. Pensavano di essere al sicuro avendo il Mongioie alle spalle. Era il 17 ottobre del 1944. I partigiani che erano arrivati a Upega dopo giorni di cammino, col freddo e la fame, erano stremati. Non sapevano che la spia, che avevano tra loro aveva già segnalato la loro posizione, ai nazisti i quali poterono così sorprenderli, uccidendo le sentinelle che non poterono dare l’allarme. Due comandanti partigiani cercarono di contrastare il più possibile l’avanzata, soprattutto per permettere ai feriti di mettersi in salvo. Caddero in questo impari compito il comandante Silvio Cion Bonfante ed il comandante Libero Giulio Briganti. Cadde anche il medico De Marchi. I garibaldini nel complesso subirono ingenti perdite. I tedeschi devastarono le case e rastrellarono la zona. Alcuni dei patrioti allo sbando furono catturati da militari tedeschi tra il 17 ed il 18 ottobre sul territorio di Briga Marittima e furono trascinati nella vicina Saorge. Torturati per più giorni, vennero fucilati in zona Pont d'Ambo, dominante il letto del fiume Roia, al limite con il comune di Fontan. Saorge era sede del tribunale militare della 34^ Divisione di fanteria tedesca, che occupava il territorio da Imperia al Col di Tenda. Subito dopo la tragica farsa del tribunale, avvenuta il 24 ottobre 1944, lo stesso giorno i garibaldini, legati l'uno all'altro, furono trascinati attraverso il villaggio davanti agli abitanti atterriti fino al luogo dell'esecuzione, dove furono costretti a scavare le loro fosse.  I partigiani fucilati a Saorge il 24 ottobre 1944 furono Lorenzo Alberti “Renzo”, catturato sul territorio di La Brigue il 18 ottobre, Michele  Bentivoglio “Miché”, Francesco Caselli “Pancho” o “Guido”, catturato sul territorio di La Brigue il 17 ottobre, Giovanni Giribaldi “Gianni”, Domenico Moriani “Pastissu”, comandante di Squadra, Carlo Pagliari “Parma”, catturato sul territorio di La Brigue il 17 ottobre [...]  Igor Pizzirusso, Saorge..., Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana

Pagina 15 del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Da informazioni giunte risulta che nel corso delle recenti azioni di rastrellamento, eseguite dalla G.N.R. e da militari tedeschi, sono rimasti uccisi certi Francesco Castagno, padre del commissario della banda "stella rossa"; Silvio Bonfante, detto "Cion" vice comandante della 2^ divisione d'assalto, "Felice Cascione"; Simone [n.d.r.: probabile riferimento - storpiato - a "Simon", nome di copertura di Carlo Farini, a quella data responsabile sia della I^ che della II^ Zona Liguria, poi ispettore della I^, in seguito ancora assurto a responsabilità regionali in seno alla Resistenza], noto capo banda della stessa divisione e certo Lupi, capo banda nella zona di Savona.
E' rimasto gravemente ferito certo Vittorio Acquarone, comandante della divisione medesima, nonché la madre del commissario Castagna.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 8 novembre 1944, p. 15, Fondazione Luigi Micheletti