Visualizzazione post con etichetta Curto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Curto. Mostra tutti i post

martedì 8 giugno 2021

Questi rastrellamenti uno dopo l'altro, che così a questo modo non ci sono mai stati


Le prime avvisaglie del poderoso rastrellamento, che durera' quattro giorni, incominciano a manifestarsi il mattino del 4 settembre 1944.
La massa d'urto nemica raggiungerà nello scontro il suo momento critico e decisivo dopo il mezzogiorno del 5, quando una squadra d'assalto garibaldina, conquistata la vetta del Monte Grande, riuscirà a bloccare l'accerchiamento che oramai stava per chiudersi su più di un migliaio di combattenti partigiani del ponente ligure. 

La sera prima, l'agente “argentino” (anziano ragioniere di Borgoratto [Lucinasco (IM)]), che riusciva ad avere notizie sul nemico quasi sempre esatte, invia una staffetta munita del piano tedesco di attacco, che prevede un impiego di circa 8000 uomini, a Giacomo Sibilla (Ivan), comandante del II° battaglione (IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione d'Assalto "Felice Cascione"), dislocato alla Cappelletta del Monte Acquarone [Lucinasco (IM)], con i Distaccamenti 5° e 6°.

Conscio dell'importanza della notizia Ivan corre a Villatalla [Frazione di Prelà (IM)] dove è gia' installato il comando della divisione e l'ispettorato di zona. Consegna a Curto [Nino Siccardi, comandante della II^ Divisione] il foglio dei piani su cui tra l'altro è scritto: “... pare che 8000 tedeschi abbiano intenzione di circondare a attaccare i partigiani imperiesi...”

Curto rimane incredulo. 
Ivan ritorna indietro per raggiungere il suo battaglione e marciare su Oneglia. In fondo alla scala dove è  installato il comando, incontra pure l'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale del Comando militare Unificato Ligure] a cui spiega quanto ha saputo.
È proprio in quel momento che giunge una donna ansante per la corsa fatta, portando la notizia che i tedeschi sono già ai Molini di Prelà. Allora Ivan risalito alla Cappelletta e raccolti i suoi uomini con una marcia forzata si trasferisce a Prati Piani, mentre il 7° Distaccamento “Romolo” si sposta da Ville San Pietro a San Bernardo di Conio [Frazione  di Borgomaro (IM)].

In giornata, la V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione è la prima a percepire quanto sta accadendo e riesce a sganciarsi in tempo senza subire perdite.

Invece la IV^ Brigata, che nelle prime ore del mattino del 4 era scattata all'attacco verso la costa, e che aveva scorto da Collabassa, tra Pontedassio (IM) e Montegrande [località di San Bernardo di Conio], lungo le strade procedenti verso il nord, colonne tedesche con mezzi motorizzati, in serata e nella notte tra il 4 e il 5 disorientata e schiacciata da più parti, è obbligata a ritirarsi dalla Val Prino.

Uniformandosi all'ordine ricevuto dal Comando a mezzogiorno, ripiega in pessime condizioni di visibilita' sulla I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] a San Bernardo di Conio. Però è necessario trattenere i tedeschi per qualche ora sotto il paese di Villatalla per dar modo alla Brigata di ritirarsi completamente, evitando di essere agganciata. 
Per questo compito non facile si prestano Curto, Giulio [Libero Remo Briganti, commissario della II^ Divisione], Simon e altri uomini del Comando, per la posizione che occupavano in quel momento, dominante le due strade di accesso al paese (mulattiera e carrozzabile) le cui conformazioni rendevano il movimento dei tedeschi lento e circospetto. 
Nel pomeriggio questi comandanti, quando non restava loro altro da fare che ritirarsi e raggiungere le formazioni, riescono a sganciarsi e ripiegare. 

Prevedendo un inseguimento immediato e con lo scopo di coprire alcune forze esaurite della IV^, la I^ Brigata si schiera su posizioni difensive nei pressi delle colline intorno a Montegrande.
Invece il Comando della Divisione, quelli delle Brigate I e IV e il Distaccamento d'Assalto "Giovanni Garbagnati", comandato da Massimo Gismondi (Mancen) prendono posizione presso San Bernardo di Conio e il Battaglione Lupi, comandato da Eraldo Pelazza, prende posizione presso il passo della Mezzaluna.
Partigiani dei distaccamenti della IV^ Brigata, ritiratisi dalla Val Prino, giungono a San Bernardo di Conio al tramonto, portando drammatiche notizie: colonne di tedeschi avanzano da tutte le direzioni, incendiando i casolari che incontrano. Si stenta a credere a tutto ciò. 

Mentre gli alleati avanzano da Ventimiglia lungo la riviera, come possono gli avversari perdere tempo in rastrellamenti? 
Curto, Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione], Giulio, Simon non riescono a rendersi conto della situazione. 
Ma vedendo quelli della IV^ Brigata affluire ininterrottamente sulle posizioni della I^, sono seriamente preoccupati. Ma la notte trascorrerà senza che si verifichino gravi episodi.

I tedeschi si spingono su Borgomaro, occupano la zona di Moltedo, raggiungono il paese di Carpasio e dilagano nella Valle di Triora. Da Pieve di Teco si spingono su Pornassio e su San Bernardo di Mendatica. 

La trappola è pronta; scatterà il mattino successivo.

Chiara, la moglie di Curto, infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona, informata della terribile minaccia che incombe sulle formazioni comandate dal marito, parte in cerca del comandante Martinengo [Eraldo Hanau, del Gruppo Divisioni Alpine del comandante Mauri] che ha nelle bande complessivamente duecento uomini rimasti fuori dall'accerchiamento.
Incontrato il comandante alle Navette, Chiara non riesce a convincerlo a portare aiuto agli accerchiati.  
Martinengo non osa rischiare l'incolumità dei suoi uomini nell'impresa disperata di tentare di aprire un varco ad una massa di uomini già sbandati, non preparati a un simile intervento e che, di conseguenza, non avrebbero appoggiato l'azione dall'interno del cerchio. Martinengo conclude il suo discorso dicendo che Curto, in qualche modo, se la sarebbe cavata ugualmente.

All'alba del 5 Settembre i nazifascisti iniziano l'attacco generale per stroncare definitivamente la resistenza imperiese.

Danno la sveglia le prime raffiche di mitra verso le 5 del mattino.
L'avamposto garibaldino al passo della Teglia, investito da forti pattuglie di avanguardia nemiche che con i bengala illuminano a giorno il teatro della battaglia, mette in allarme i Distaccamenti circostanti.
Sfondata la difesa partigiana in direzione del crinale che da nord ovest conduce alla vetta del Montegrande, i Tedeschi occupano quest'ultima piazzandovi i propri mitragliatori.

Regnano l'ansia e il fermento nei casoni dove sono dislocati i Comandi. Tutto viene disposto per il combattimento ravvicinato poichè, per quanto informano le staffette che giungono da ogni parte, i tedeschi si trovano vicinissimi. Hanno investito in pieno la zona da Colla d'Oggia, da Monte Grande, dal bosco e non c'è via d'uscita. Hanno occupato anche il passo della Mezzaluna e tutta la cresta montuosa che circonda il bosco di Rezzo a nord e a ovest, fino a Prearba.
Dalle posizioni di Montegrande il nemico è in grado di controllare e di battere il raggruppamento partigiano a San Bernardo di Conio.
Col fuoco intenso delle mitragliatrici pesanti può colpire le colonne di muli, disorganizzare ogni resistenza, ogni tentativo di sganciamento o di difesa.

Curto raduna Giulio, Simon, Cion, Giorgio [Giorgio Olivero, tre mesi dopo comandante della neo-costituita Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] e gli altri componenti il comando divisionale, viene tenuto un consiglio d'urgenza per esaminare la situazione profilatasi in tutta la sua gravità e, anche se può sembrare disperata, viene presa la decisione di attaccare Montegrande per conquistarlo e così dominare dall'alto tutta la zona e quindi spingere a destra per aprire un varco ai circondati verso nord ovest; oppure (ed è quello che si verificherà), bloccare il nemico sulle posizioni raggiunte per dar tempo ai garibaldini di disperdersi nei monti della Giara e altrove possibile, prima di rimanere agganciati in un mortale combattimento.

Mentre due mortai partigiani prendono sotto il fuoco la cima del Montegrande, Mancen con tredici volontari inizia la scalata del monte per conquistare la posizione tedesca. Non solo questi uomini sono carichi di armi, ma anche di ansia tremenda perché sanno bene a cosa vanno incontro, però al di sopra dei loro stati d'animo sta la decisione, consci della responsabilità di avere nelle proprie mani la vita di centinaia di uomini. Quasi alla cima del monte, i volontari, sviluppando un fuoco intenso, attaccano la posizione tedesca e la conquistano. Il nemico si ritira abbandonando armi, materiale ed un mulo carico con due casse di cottura. I garibaldini, catturato un tedesco, corrono oltre, inseguendo il nemico fin quasi al passo della Fenaira.
Si creano così le condizioni per guadagnare molto tempo, dato che il nemico, disorientato dall'azione partigiana, blocca i suoi movimenti. L'esercito scalzo può salvarsi perchè l'obiettivo strategico prefissato dal comando è stato raggiunto. I distaccamenti possono iniziare lo sganciamento e disperdersi nei boschi, al coperto dall'offensiva nemica, verso basi più sicure.
La dispersione delle brigate I^ e IV^ occupa tutto il pomeriggio del giorno 5 e la notte successiva. Il tempo peggiora, scrosci di pioggia e banchi di nebbia investono le cime dei monti, un uniforme grigiore avvolge ogni cosa. Nella notte i muli vengono disseminati per le stalle di Rezzo e per le località vicine.
Il Battaglione Lupi riesce a spostarsi verso nord incolume.
Curto e il comando - scrive il partigiano Gino Glorio [Magnesia] in un suo diario - vedono e comprendono che è impossibile pretendere ancora forza dal morale e dal fisico dei combattenti. Sarebbe necessario dare loro un poco di cibo, ma i magazzini di Case Rosse sono andati perduti e la pioggia impedisce di accendere il fuoco. Parecchi distaccamenti, che avevano trascorso il giorno in tre marce continue, sono senza cibo da 48 ore, nella notte del 5 i partigiani accerchiati non possono andare a dormire nei casoni che il nemico in rastrellamento può incendiare... intuiscono che bisogna aprofittare del buio per uscire dall'accerchiamento. Con questo intento le formazioni si sciolgono, con la prospettiva di riunirsi altrove, cessato l'accerchiamento. Così avviene. La mattina del 6 i tedeschi, ricevuti ulteriori rinforzi, iniziano la terza fase del rastrellamento, occupano borghi e punti strategici, cercano di chiudere il sacco, ma ad un certo momento si accorgono che il sacco è vuoto. I partigiani, dopo una drammatica ma brillante ritirata strategica basata sull'individuale, riescono a mettersi in salvo. I tedeschi, durante i loro movimenti, incendiano tutte le baite che incontrano, da ogni parte si innalzano colonne di fumo. Tre partigiani, catturati nei dintorni, vengono fucilati a San Bernardo di Conio.
Gli unici uomini ancora nella zona del rastrellamento sono Curto e gli appartenenti al comando della Divisione, rimasti fino all'ultimo per cercare di controllare l'esecuzione dello sganciamento. Vengono sorpresi all'alba. Riescono a rifugiarsi in un casone ubicato cinquecento metri sopra la chiesetta della Madonna della Neve di Rezzo.
Il loro numero ridotto (sessanta uomini, comprese tutte le staffette dei vari distaccamenti e squadre), permette loro di occultarsi, evitare la cattura e l'annientamento.
Però solo per un caso fortuito non vengono scoperti.
Come previsto, le colonne nemiche frugano i fienili, le baite, i casoni. San Bernardo di Conio è dato alle fiamme, da ogni parte del bosco si innalzano colonne di fumo. Ad un certo momento sette Tedeschi si dirigono verso il casone dove è occultato il comando divisione. Quando sono scorti è troppo tardi per fuggire. Che fare? Si può sperare non entrino? No, perché essi avanzano proprio verso il casone. E allora? Allora il garibaldino Francesco Alberti (Monte), maniscalco di Conio, si offre, andrà lui, vedrà se potrà convincerli e fermarli. E' un poco anziano, quarantacinque anni, vestito da contadino, lascerà le armi nel casone.
La partita è disperata, se i Tedeschi si accorgono dell’inganno, la sua fine sarà atroce, e come potrà lui ingannarli se conosce a stento la lingua italiana?
Ma i compagni, prima di essere presi, spareranno e i loro colpi gli eviteranno una fine penosa.
Il volontario esce, richiude la porta, scende pochi metri, si ferma presso una vigna a sfogliarla.
I compagni, con il fiato sospeso, osservano attraverso le fessure della porta.
I tedeschi scendono, si fermano, chiamano con le loro voci gutturali.
Il partigiano si alza, viene circondato, discute, dal casone non si afferrano le parole.
I tedeschi gesticolano, indicano ripetutamente la casa, poi il gruppo si avvicina: non c’è dubbio, vengono.
I partigiani si schierano a semicerchio intorno alla porta, puntano un mitragliatore.
Se quelli entrano, una raffica e si balza fuori, qualcuno forse potrà salvarsi.
Quanto impiegheranno a giungere fin qui?
Un minuto forse, ma può darsi che prima circondino la casa o che piazzino una mitraglia contro la porta o che attendano rinforzi, o che brucino il casone senza entrarci.
I minuti passano eterni, che sarà successo?
I partigiani si accostano all’uscio: i tedeschi sono sempre lì fuori, ridono, parlano, che fanno?
Si guarda tra una tavola e l’altra: sono sempre lì a pochi metri che mangiano mele selvatiche, alcuni raccolgono frutti sugli alberi di mele che crescono presso il casone, gli altri sono seduti sull’erba.
Si potrebbe far loro una sorpresa balzando fuori all’improvviso: i tedeschi non sarebbero in grado di reagire perché, è evidente, non pensano di essere osservati.
L’idea è buona, se ne potrebbero uccidere parecchi, per poi disperdersi nel bosco.
È buona, ma non si può: i tedeschi che sono un poco più in basso hanno un ostaggio prezioso, il compagno che ha rischiato per tutti, più di tutti.
Il tempo passa e il nemico è sempre lì fuori. E se qualcuno vuole provare ad entrare?
Riposatisi, i tedeschi si alzano prendendo in mezzo il partigiano che era uscito dalla casa e se ne vanno verso Rezzo.
Lui aveva detto loro di essere un contadino che era in quel momento uscito dal suo casone, quindi a Rezzo i tedeschi chiesero agli abitanti se lo conoscevano, se era un bandito o realmente un contadino del luogo.
La gente confermò le parole del prigioniero: i tedeschi lo trattennero per qualche ora, poi lo rilasciarono... 
Francesco Biga, U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2011

Montegrande - Fonte: Mapio.net

Riproduzione in un Notiziario - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti - della G.N.R. di un documento interno dei garibaldini, ma caduto in mani repubblichine

San Bernardo di Conio, Frazione di Borgomaro (IM): memoriale della battaglia partigiana di Montegrande del 5 settembre 1944 - Foto: Mauro Marchiani


Qui in Liguria invece, schiacciati su terreno poco e gramo di confine, le armi bisogna sgraffignarle ad una ad una, con dei colpi di mano; qui è un'altra guerriglia che dura più accainata, a raspare sempre nei gerbi di tutti i giorni uguali.
Ma a pensarci o no è lo stesso, perché tanto non si può sapere com'è la faccenda o come si metteranno le cose andando avanti col tempo che passa: voglio dire se si può cambiare sta faccenda sì o no; si sa soltanto che ogni giorno è peggio, e avanti così.
Bisognerebbe sapere invece, come la mettono laggiù al quartier generale angloamericano, per potersi regolare suppergiù; epperciò si rimane sempre così nell'incerto, con tutti sti bruttezzi che andando gli dicono dietro.
La radio la sentono al comando, ma quando funziona la dinamo solo di tanto in tanto: va bene lo sfondamento di Cassino l'occupazione di Roma lo sbarco in Normandia e proprio lì in Provenza a due passi, che quasi quasi manco te lo credi; ma non te lo dicono sti merdosi che adesso qui è ancora peggio, con più raffiche di prima.
Non te lo dicono perdio, di questi rastrellamenti uno dopo l'altro, che così a questo modo non ci sono mai stati.
E allora, anche se di là è finita, non te ne frega proprio un tubo di saperlo sì o no; dunque non serve a un piffero nemmeno sta menata della radio, che un po' la senti e un po' non la senti più per via della dinamo, perché è solo una grande fregatura; ed è inutile perdere il tempo a lamentarsi; eppoi chissà perché sono sempre lì a sfrugugliarti, un accidenti che se li porti via.
Fanno presto loro coi ponti caserme ferrovie impianti centrali depositi e tutto il bataclan da far saltare, mettendoci l'esplosivo al posto giusto; fanno presto a dirlo per radio, dicendoti anche forza patrioti sabotate ancora di più, che saranno lì a momenti i liberatori: ma invece non è vero, macché.
Sono a Mentone dice radio Algeri; Italia combatte dice a Ventimiglia; radio Londra addirittura che passeggiano già coi partigiani, tra Bordighera e Sanremo. Tu adesso li senti sul serio ste carogne che te lo dicono e ti tocchi se ci sei, se è prnprio vero o se sei scemo; ma loro sì, o lo fanno apposta o sono propriamente ciucchi, perché è vero che te lo dicono e te lo ripetono, proprio come se fosse vero.
Eppure, va a sapere com'è, anche il comando però dice chissà, forse sarà vero; e così anche questi qui, ci fanno la figura dei fessi proprio uguale, e tutti insieme. Eppertanto, danno subito l'ordine incredibile, tutti giù nel bosco di  Rezzo; tutti insieme senza discutere e con la roba per fare più presto.
Una trappola così precisa fatta apposta, i partigiani non l'avevano mai vista da nessuna parte; non l'avevano mai vista né sentita dire.
Quella volta, c'erano tutti concentrati sotto il tiro dei tedeschi nei cespugli carichi di brina prima dello spuntar del sole; al mattino presto, su tutte le creste intorno ben bene all'ingiro, c'erano già in agguato fascisti e tedeschi da tutto l'universo.
Colonne motorizzate, durante la notte, si erano già messe in postazione collegandosi ai valichi; poi fu rastrellamento all'ingrande, completamente circondati in cresta e in fondovalle.
Qui adesso è così mondocane, e chissà com'è successa questa porca bidonata a più di mille uomini tutti insieme concentrati in questa trappola; sì che lo diranno in parecchi modi dopo, con la radio e senza: ma adesso è così e basta, e non serve dirlo in un modo più che in un altro, com'è.
44. Adesso serve soltanto non girarti in questa trappola della malora, perché tirano incrociati sui passi.
Con le mitraglie puntate, sbarrano dal Colle d'Oggia al Montegrande, per collegarsi con la Mezzaluna e il Prearba, chiudendoti nel cerchio che così non ci scappi più; non fai manco in tempo a capire come succede, che già ti sparano addosso precisi rastrellando il bosco passo passo alla tedesca, con tutto l'occorrente.
Ecco perché dunque, anziché star lì fermo, ti devi muovere a tutti i costi; anche se ti sparano addosso e non capisci; ma se allora devi rigirarti così incastrato sotto tiro, ecco che tanto vale buttarti a casaccio la va come la va, sennò fai la fine del topo.
Se non vuoi farla, chiudi gli occhi e vattene a ramengo te con tutti i tuoi stracci, che più fottuto di così non si può assolutamente; cosa te ne fai adesso di sapere come sarà dopo andando; adesso non ti serve manco più sapere com'è sul momento, tanto ci vedi benissimo che ci sei proprio incastrato.
Te lo dico io adesso com'è: è che tu te ne vai imprecando, sotto le raffiche più che puoi, come ti viene in gola con tutta la rabbia che hai dentro, rigirandoti col pericolo che c'è; tu te ne vai con tutta questa rabbia della trappola di morte e non te la spieghi, quando invece credevi di scendertene al mare cantando, avendo finito di fare la guerra.
Così, loro sparano e anche tu spari tutto più che puoi, con tutta la scalogna che ti capita, in questo andartene balordo sotto le raffiche; alé, ten e vai dritto, tanto è lo stesso in salita o no, al Montegrande; perché loro sono già lassù e tu li devi stanare, altro che balle.
Tutte ste cose che dici adesso però, standotene seduto comodo a raccontarle dopo tanto tempo, allora non le pensavi nemmeno, mancandoti il fiato; allora te ne andavi sotto le raffiche e basta, non essendoci assolutameme il tempo, con tutti quegli spari sempre di più da tutte le parti.
Ma ecco che sempre più balordo, in mezzo al putiferio, ti accorgi finalmente dei sanmarchini che sparano da forsennati; per la miseria se te ne accorgi che ci sono anch'essi, coi mortai puntati sul Montegrande: a sparare come capita capita, e non ti sembra vero.
Tu non lo capisci come fanno a trafficare con sti mortai, anche senza i congegni di puntamento, soltanto col filo a piombo; il fatto sta però, che li sparano in riga tutti giusti, sti colpi sui tedeschi l'un dopo l'altro, sempre di più.
Così, tutti insieme, quelli del Mancen che erano già partiti, con gli altri a sparare; tutti si arrampicano in tutti i modi col fiato grosso al Montegrande, e intanto coi mortai aprono il varco.
I sanmarchini mortaisti al coperto o sul pulito, anch'essi salgono di prepotenza tra i cespugli, e  tutti  insieme  alla  fine occupano  la  cima  del  Momcgrandc, ripulendola ben bene all'ingiro.
Cosicché quella volta, di lassù, i tedeschi contro i partigiani non ci sparano più, mentre quelli del Mancen gridano - bona né.
Poi siccome gli angloamericani, quella volta glielo hanno fatto capire ai partigiani di strafottersene, prendendoli anche in giro; da soli nel bosco adagio, dopo quell'assalto, gli sbandati ritornano ai posti di prima come se niente fosse: però da quella volta, i garibaldini e i sammarchini si capiscono di più; i tedeschi invece, mollano la presa perché non ce l'hanno fatta manco stavolta; eppure gli era capitata l'occasione eccezionale.
Epperciò, i partigiani ricominciano dal principio; ma senza più stare a sentire via radio, cosa dicono dal sud quei capatazzi del cavolo; e d'ora in poi la guerra se la fanno in proprio da sbandati che tanto è lo stesso, mondocane.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 67-69

Ettore Bacigalupo. Nato a Chiavari (GE) il 13 luglio 1924; allievo meccanico; vice comandante del Distaccamento "Angiolino Viani". All’alba del 5 settembre 1944 i tedeschi e i fascisti iniziano l’attacco generale per stroncare definitivamente la Resistenza imperiese. Il pronto intervento dei garibaldini sorprende il nemico e permette al comandante Belgrano di organizzare la difesa e, valutata la situazione, ordina alle altre squadre di arretrare su posizioni migliori. Nel tentativo di recuperare un mitragliatore abbandonato cade il caposquadra Ettore Bacigalupo. Il 15 settembre 1944 il Comando divisionale propone il conferimento alla memoria della medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: "Avvertito che una postazione attaccata dai Tedeschi aveva perduto il mitragliatore, si slanciava al seguito del comandante di distaccamento al contrattacco per recuperare l’arma. Accolti nel tentativo dalla violenta reazione del nemico ormai attestato sulla posizione perduta, i garibaldini persistevano sinché, visto inutile ogni tentativo, iniziavano il ripiegamento. Ettore Bacigalupo, con le lacrime agli occhi per la perdita di quel mitragliatore tedesco da lui conquistato alcuni giorni prima, non volle desistere dall’impresa. Riportatosi sotto la postazione nemica l’attaccava nuovamente con l’audacia dei forti. Lanciatosi improvvisamente contro i Tedeschi dal riparo che aveva raggiunto, imbracciando un mitragliatore “Octis”, riusciva a far tacere la mitragliatrice nemica, ma, colpito da una raffica di machinenpistole, cadeva esamine. Il suo corpo fu poi ritrovato deturpato dalla rabbia nazista. Monte Grande (Rezzo-Imperia) - 5.9.1944"
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

lunedì 31 agosto 2020

Il partigiano Lionello Menini, protagonista della battaglia di Montegrande


La croce di vetta del Monte Grande - Fonte: Monti Liguri

Nei primi giorni di settembre 1944 nella I^ Zona Liguria i comandi partigiani avevano già predisposto tutte le loro formazioni per attaccare i principali centri della costa, come supporto ad un attacco alleato proveniente dalla Francia: questo era dato già per avvenuto da Radio Londra, che il 1 settembre trasmetteva: "truppe alleate sono già a 8 Km oltre frontiera in territorio italiano. Le prime formazioni partigiane hanno preso contatto con gli alleati..." (così in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977).
Purtroppo la notizia si dimostrò falsa e i partigiani dovettero lottare per altri 8 mesi.
Le formazioni tedesche e fasciste, appurata la non veridicità della notizia appena descritta, organizzarono una ennesima operazione di rastrellamento ai danni dell'estremo ponente ligure: l'obiettivo era quello di accerchiare i partigiani attaccando dalla Val Prino e dalla Valle Argentina.
I garibaldini, venuti a conoscenza del piano d'attacco tedesco, appurarono che la forza nemica era enorme: circa 8.000 unità.
L'azione a vasto raggio coinvolse la I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" e la IV^ Brigata "Elsio Guarrini"della II^ Divisione "Felice Cascione", che aveva la propria sede comando nel bosco di Rezzo (IM).
Il giorno 4 settembre [1944] i soldati tedeschi e fascisti, avanzando da varie direttrici, "si spingono su Borgomaro, occupano la zona di Moltedo, raggiungono il paese di Carpasio e dilagano nella vale di Triora. Da Pieve di Teco si spingono su Pornassio e su San Bernardo di Mendatica" (Francesco Biga, Op. cit.).
Alle 5 del mattino del giorno successivo iniziò l'attacco nazifascista. Il passo Teglia fu il teatro dove caddero i primi garibaldini. Conquistato anche il Monte Grande, i tedeschi obbligarono i partigiani a ripiegare.
Il comando della Divisione prese allora una decisione rischiosa ma necessaria: attaccare il Monte Grande [prossimo a San Bernardo di Conio, Frazione del comune di Borgomaro (IM)].
"Mancen" Massimo Gismondi fu prescelto per questa rischiosa azione. Accompagnato da altri 12 garibaldini, riuscì a risalire il ripido pendio e prendere alle spalle i nazisti che, colti di sorpresa, fuggirono lasciando armi e munizioni sul luogo.
L'obiettivo garibaldino era stato centrato. In questo modo si poteva procedere allo sganciamento degli uomini, all'occultamento del materiale bellico e delle salmerie, in ciò anche con l'aiuto di una situazione meteorologica favorevole.
Il giorno successivo gli 8.000 tedeschi non trovarono, pertanto, i garibaldini. Questi si erano nascosti nel territorio che conoscevano bene.
Così terminò il grande rastrellamento, che aveva tuttavia causato la perdita di dieci vite tra civili e partigiani.
Cessata la tempesta, il Comando Divisionale tornò nel bosco di Rezzo a riorganizzare le proprie fila.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Il 4 settembre  del  44,  al  mattino  presto era arrivato dalla strada di Andagna un “prete“, cioè un  uomo vestito da prete, ed era stato fermato da tre partigiani della postazione di guardia e  accompagnato al Comando di Distaccamento, a Passo Teglia di Fenaglia, dove il comandante era Germano Belgrano (Giuda) e il Commissario era Bruno Brilla (Padoan), fratello maggiore di  Francesco. Poi  il  prete  veniva  trasferito  ulteriormente  al Comando di  brigata che si trovava a S. Bernardo di Conio sul piazzale. Lì sostavano Nino Siccardi (U Curtu), Carlo Farini (Simon), Silvio Bonfante (Cion) e il “prete” subiva uno stringente interrogatorio. Non essendo emerso nulla di compromettente, era rilasciato e riaccompagnato a Passo Teglia, quindi veniva considerato un vero prete. Nel pomeriggio  costui  essendo  sostato  a  Passo  Teglia, aveva parlato nuovamente con Bruno Brilla e gli altri partigiani di sorveglianza, potendo quindi osservare bene  dove  era  situato il  posto  di guardia del Comando di distaccamento. In realtà il prete era una spia; non scoperto, aveva informato dettagliatamente i tedeschi  della collocazione del posto di blocco a Passo Teglia. Occorre precisare che due giorni prima erano arrivati circa una quarantina di ex Sanmarchini (gruppo Menini) con  i  mortai  a  rimpinguare  il  raggruppamento  ed  una  ulteriore  ventina  di  partigiani  venivano  mandati a posizionarsi in questo distaccamento di Passo Teglia. Bruno Brilla per prudenza non ambiva dormire con i nuovi arrivati nel casone, preferiva  dormire  fuori,  all’aria  aperta  nonostante le incipienti notti fresche, riparato precariamente sotto un carro. Al mattino, alle ore cinque e trenta sentiva con stupore una breve raffica di machine pistole, armi simili non erano assolutamente in  dotazione  ai  partigiani. Infatti era accaduto che una pattuglia di tedeschi, conoscendo il luogo della postazione di guardia  (rivelata  dal  finto  prete)  erano  arrivati in pieno silenzio e avevano eliminato i tre partigiani di guardia. Padoan dava immediatamente l’allarme a tutti i ribelli presenti, che si mobilitavano rapidamente; inoltre mandava subito una staffetta a Conio al Comando Brigata per comunicare che la zona era infestata dai tedeschi. Sede ANPI di Imperia Oneglia, 31 Ottobre 2017, intervista a Francesco Brilla
Marina Siccardi, figlia di Nino Siccardi “U Curtu”, Comandante della I^ Zona partigiana Liguria. in ANPI Resistenti, ANNO XII N° 1 - aprile 2019, di ANPI Savona


[...] Dice Wan Stiller [Primo Cei, già commissario di squadra della I^ Brigata "Silvano Belgrano della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]: "alla prima raffica eravamo rotolati giù, lungo il pendio, ma Cion (Silvio Bonfante) in piedi, aveva individuato sul Monte Grande i tedeschi, quindi aveva iniziato a sparare e li aveva impegnati subito con raffiche continue. Nel frattempo aveva chiamato Lionello Menini (Menini), comandante (1) dei mortaisti (erano degli ex Sanmarchini) che Cion aveva reclutato soltanto due giorni prima a Chiappa e a Molino Nuovo (Andora). Li aveva convinti a passare dalla  nostra  parte, questi ex  marò avevano due  mortai da 81 in dotazione. Cion interpellava il comandante degli ex soldati dicendo: fammi vedere cosa hai imparato durante l’addestramento in Germania! Menini aveva due  squadre, una di tre e una di  quattro militi che utilizzava per piazzare i due mortai nel declivio della collina. Sopra la collina c’era e c’è tutt’ora una chiesetta. I mortai dovevano essere piazzati in  posizione asimmetrica, uno sottostante all’altro, ma non sulla stessa verticale perché le vibrazioni del primo avrebbero disturbato la stabilità del secondo. Il terreno era scosceso, umido e scivoloso, ma Menini, da provetto esperto riusciva a creare con la zappa due  piattaforme piane, rinforzate verso valle con sassi e terra;  il bipiede del mortaio aveva una staffa con l’incastro per bloccare il mortaio quando rinculava. Venivano apprestati due gradini, uno sopra e uno sotto. Quello inferiore più avanti per non far scendere l’arma. I mortai erano privi del telemetro e si avvalevano di due bastoncini alti 1 metro, (le cosi dette paline) dipinti con anelli bianchi e rossi per traguardare l’oggetto  da  colpire. Il proiettile doveva essere sparato in linea retta tra la prima e la seconda palina. Menini per la prima prova aveva messo una carica supplementare per evitare errori e per valutare eventuali modifiche  da  apportare.  Eseguivauna  prova  supplementare  per i due mortai e iniziava a sparare sul nemico contemporaneamente al fuoco di Cion. Quattro partigiani erano dedicati ad un mortaio e quattro all’altro. Menini aveva magistralmente stabilito l’esatta in-clinazione della canna del mortaio,  poi ordinava: Spara!  Spara!  Si  avvertiva  così  uno  sparo  dopo  l’altro, sia del primo che del secondo mortaio in sequenza.  Quindi  nell’aria  potevano  esserci  contemporaneamente anche due o tre proiettili a seconda dell’aumento della carica. I tedeschi sorpresi  dagli scoppi  arretravano subito,  quindi bisognava aumentare potenza e gettata per allungare il tiro. Menini controllava sempre con i binocoli  la  lunghezza  e  le conseguenze del  tiro.  I tedeschi erano sconcertati, sbigottiti perché non immaginavano che  i  partigiani  potessero avere due mortai in dotazione e che fossero così precisi nei colpi sparati. Tutto avveniva in brevissimo tempo, e vista la situazione favorevole Cion pro-nunciava risolutamente la frase: ragazzi bisogna andare lassù... [...] Gli impavidi componenti delle squadre erano: Giobatta Acquarone (Fulmine), Attilio Alquati (Alquati),  Giuseppe Bergamelli (Gnek), Mario Longhi (Brescia), Primo Cei (Wan Stiller), Carlo Cerrina (Cigrè), Felice Ciccione (Felì), Bartolomeo Dulbecco (Cristo), Alfredo Giovagnoli (Alfredo il toscano), Calogero Madonia (Carlo siciliano) e Silvio Paloni Ruman). Non dovevano intralciarsi o rischiare di spararsi addosso pur essendo oggetto di tiro nemico dall’alto: se si saliva troppo velocemente c’era anche il rischio di essere colpiti dalla mitragliatrice e dai  mortai,  che  a  loro  volta  sparavano  sulla  cima. Quindi le due squadre di assalitori potevano in caso di sfortuna essere colpite dal basso (fuoco amico), ma Cion e Menini calcolavano bene e prudentemente il dislivello tra i partigiani in basso e il nemico in alto. Tenevano anche conto dei rapidi spostamenti partigiani che balzavano verso l’alto, inoltre le due squadre di 6 e 7 uomini si alternavano nella corsa anche di traverso. Quindi si incrociavano, anche se in tempi diversi, sulla  stessa  porzione  di monte: avevano perciò un occhio rivolto verso il nemico e contemporaneamente un occhio all’amico. I tedeschi sparavano verso il basso e solo verso i partigiani arrembanti. Conta delle armi dei partigiani nell’episodio: due mortai di Menini, Machine Gaver di Alquati, Machine Gaver di Brescia (che morirà a Ginestro vicino a Testico nel gennaio 1945). Presente alla lotta partigiana in un altro distaccamento, vi era anche il comandante Umberto Bonomini  (Brescia), che non va confuso con questo Brescia, cioè Mario Longhi. La battaglia durava più di due ore, con il risultato positivo di nessun ferito fra i partigiani. Menini con i mortai aveva fatto una sola prova, poi col binocolo vedeva i tedeschi che si allontanavano terrorizzati, allora aumentava la carica supplementare per il prolungamento del tiro. Forse aumentava anche il peso della carica. Tutto avveniva molto velocemente, come arma ulteriore Alfredo il toscano utilizzava un mitragliatore Saint Etienne. I partigiani salivano a zig-zag contro il sole. Gli ufficiali tedeschi venivano dalla scuola militare e  comandavano dei soldati ben addestrati. I partigiani si capivano con gli sguardi; Franco Bianchi (Stalin) e Massimo Gismondi (Mancen) avevano due mitra, fucili semiautomatici catturati ai tedeschi. Silvio Bonfante (Cion) era stato un seminarista ad Albenga, Stalin [Franco Bianchi] infermiere marinaio, Brescia soldato, Alquati soldato, Wan Stiller studente, Mancen camallo ad Oneglia. Anche un partigiano, forse Giuseppe Cortellucci (Carabinè), girava a Ruggiu, al passo della  Mezzaluna vestito da carabiniere; se lo prendevano lo uccidevano subito. La grande vittoria con la fuga dei tedeschi era maturata per la notevole bravura di Menini e dei suoi uomini; altresì grande era stata la fiducia, non gli  ordini  di Cion,  ma complici risolutivi solo gli sguardi. [...]
Questa è stata la testimonianza di Wan Stiller che io ho avuto l’occasione di raccogliere. Diano Marina 30 Ottobre 2017.
Marina Siccardi, figlia di Nino Siccardi “U Curtu”, Comandante della I^ Zona partigiana Liguria, in ANPI i resistenti, ANNO XII N° 1 - aprile 2019, di ANPI Savona
 
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini (1).
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte (1) per i garibaldini Lionello Menini, Ezio Badano, G.B. Valdora e Lorenzo Gracco.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II 

(1) Lionello Menini, nato a Chatillon (AO) il 25 ottobre 1922 (nella sentenza di morte del comando tedesco Lionello Menini risulterebbe essere nato a Siena il 25 ottobre 1919), figlio di un capostazione di Torino; è arruolato e mandato in Germania per l’addestramento. Terminato il periodo, è destinato con i suoi commilitoni in Liguria, a Laigueglia. In terra tedesca aveva appreso il vero volto del fascismo; appena rientra in Italia, come molte altre giovani reclute, ipotizza di unirsi alle formazioni partigiane. Ai primi di giugno è avvicinato dai fratelli Scarati, già attivi nella Resistenza, collegati alla “Volante” di Massimo Gismondi “Mancen” e di Silvio Bonfante “Cion”. Intravvista la possibilità di abbandonare le forze fasciste, abbraccia la lotta resistenziale. A luglio 1944 è nella squadra d’assalto del Distaccamento “Viani”, e, dopo aver partecipato a numerose azioni, tra cui la battaglia di Pievetta (CN), viene promosso capo distaccamento.
Il 17 agosto 1944 è protagonista di un conflitto a fuoco ad Ormea contro i blindati tedeschi; il 5 settembre è a Montegrande nel distaccamento “Bacigalupo”, laddove l’azione dei mortaisti di cui è a capo, è determinante per aprire un varco tra le file nazifasciste, da cui defluiscono i partigiani. A fine dicembre Menini, ammalato, è ad Armo, in Alta Valle Arroscia, dove è dislocato un nucleo partigiano dell’Intendenza Divisionale.
Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre un centinaio di tedeschi provenienti da Pieve di Teco investono la zona. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri (tra cui tre austriaci disertori) cadono prigionieri. Menini riesce a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all’arresto. Portato al comando di Pieve di Teco è riconosciuto come capo partigiano. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessa di essere partigiano, è emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d’assalto “Sambolino” Divisione Garibaldi “Gin Bevilacqua” operante nella II^ Zona ligure (due savonesi: G.B. Valdora “Ferroviere” e Ezio Badano “Zio”, e un veneto Lorenzo Gracco) la sentenza di morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo Commissario, Giuseppe Cognein, per informarlo che gli austriaci avevano parlato e che non era dispiaciuto di morire per una causa giusta. L’esecuzione ha luogo il 3 gennaio 1945 al Prato San Giovanni.
Lionello Menini va incontro alla fucilazione cantando la canzone “La guardia rossa”. A lui viene intitolato un Battaglione della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Proposta alla memoria di Lionello Menini  la medaglia di bronzo con la seguente motivazione: “Fatto prigioniero dai Tedeschi durante un colpo di mano contro l’Intendenza Divisionale, essendosi attardato sino all’ultimo a dare ordini, si comportava sino alla sua ultima ora con la serenità dei forti, non smentendo la sua condotta da partigiano che lo aveva elevato a stima di tutti. Oltraggiato e seviziato, non mancò mai di incoraggiare i suoi compagni di sventura. Portato al luogo dell’estremo supplizio, attraversava la via di Pieve di Teco con la testa fieramente eretta, cantando le nostre canzoni. Avvicinato nella prigionia da elementi fidati, inviava informazioni utilissime. Lo stesso nemico ne elogiò la condotta. Pieve di Teco (Imperia) 30-12-1945"
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

sabato 4 luglio 2020

Non era un ammiraglio, ma il Curto

Molini di Triora (IM). Fonte: Mapio.net

Intanto Curto [Nino Siccardi], il 28 marzo '44 ha preso definitivamente e direttamente il comando dei gruppi partigiani di montagna derivati dalla banda Cascione.
Qualche giorno dopo, informato della presenza di un gruppo di guerriglieri dalla parte di Ventimiglia, manda in quella zona due suoi partigiani (Angelo Setti o «Mirko» e «Peppù» di Carpasio), perché si informino; a questi, giunti nella zona, si dirà che si tratta del gruppo di Tento e di Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo]; ed essi torneranno indietro a riferire, affinché i contatti vengano presi dal fondovalle.
In tal senso era già stato dato incarico a Erven *.
Ancora prima del ferimento di Vittò, qualche incontro diretto vi era già stato - per la questione dei rifornimenti - fra Vittò e Mario Cichéro, collaboratore di Erven. Il Cichéro era entrato in relazione con Vittò appunto per incarico avuto dal suo Partito, il PCI, e dal Comitato di Arma di Taggia.
Vittò si era pure incontrato, qualche volta, col farmacista di Molini di Triora.
Infine, in ora notturna, fra una domenica e il lunedì, sulla strada Cetta-Molini, avvenne il predisposto incontro di Erven con Tento e Vittò, durante il quale Erven propose l'adesione all'organizzazione garibaldina, che Curto, per incarico del PCI, cercava di costituire e di potenziare, e che aveva avuto il suo primo nucleo nella banda Cascione.
Tale incontro Erven-Tento-Vittò avvenne dopo il ferimento di Vittò a Gavano; anzi, almeno parecchi giorni dopo; nell'aprile del '44, certamente non prima dell'aprile [...]
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, p. 272  
* Bruno "Erven" Luppi. Nato a Novi di Modena l'8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena.  Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell'organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L'8 settembre 1943 era ufficiale dell'esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo. Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione "Felice Cascione".  Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria.  Vittorio Detassis
 
Il C.L.N. che iniziò un'opera di coordinamento e di aiuto tra le varie formazioni partigiane della provincia di Imperia [...]
Fu il dott. Vallini, il farmacista di Molini di Triora (IM) ad essere l'anello di congiunzione [per il gruppo] di Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo].
Era impossibile circolare. Bisognava provvedere a liberare certe zone [dai nazifascisti] per poter ricongiungere i vari gruppi di patrioti.
Nelle parole di Vitò: "Il farmacista di Molini di Triora mi avvertì un giorno che mi dovevo incontrare con un ammiraglio. Non sapevo né il come né il perché di questo incontro. Il fatto mi preoccupava. Parlare con un ammiraglio mi confondeva. Sapevo che il re era passato con gli alleati contro i tedeschi e quindi era possibile che un suo alto ufficiale..."
Ci andasti con una scorta?
"Sì. Veramente no. Avevo con me qualche uomo che però rimase estraneo alla vicenda".
Temevi qualche tranello?
"In verità sì. Erano momenti difficili":
Dove [o alla fine di marzo o ai primi di aprile 1944] vi incontraste?
"A Molini di Triora. Il farmacista mi accompagnò in un suo piccolo podere fuori paese. Era già buio ed il timore di un tranello mi rendeva guardingo. Potevo trovarmi davanti ad una spia o anche a un sicario, un killer come si dice oggi. Era in una casetta. Mi avvicinai a lui e gli puntai la pistola in un fianco per avvertirlo delle mie intenzioni".
Come si comportò l'ammiraglio?
"Non era un ammiraglio, ma il Curto [Nino Siccardi], capitano di lungo corso. Mi colpì subito la sua imperturbabilità, la sua audacia, il suo sprezzo del pericolo. Non si impressionò affatto della mia iniziale aggressione e pacatamente con vero sangue freddo mi disse che facevo benissimo a tenerlo sotto tiro, perché la prudenza non è mai troppa".
Il farmacista si interpose e li presentò. Il Curto parlò delle formazioni di Imperia e Vitò espose la consistenza di quelle di Goletta. Poi il Curto ritornò e visitò la Goletta. Si parlò di aiuto reciproco.
Erven [Bruno Luppi, in quel momento comandante di un distaccamento partigiano, in seguito vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria] a nome del Comitato di Liberazione portò il primo contributo in danaro di 80.000 lire [...]
I gruppi del bosco di Rezzo (IM) e della Goletta divennero insieme la IX^ Brigata Garibaldi e poi la [II^] Divisione "Felice Cascione", che si divise a sua volta in tre Brigate, I^, IV^, V^.
Solo verso la fine della guerra si formò anche la Divisione "Silvio Bonfante" [in seguito ancora, dal 26 marzo 1945, VI^ Divisione "Silvio Bonfante"].
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Le prime informazioni relative all'esistenza della banda di Tento e Vittò [anche Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], operante in valle Argentina, U Curtu [Nino Siccardi] le ebbe all'inizio di aprile del '44 e si attivò immediatamente per allacciare i primi contatti [...] L'adesione da parte di Vittò e Tento ci fu da subito; il primo era già d'accordo, il secondo, in quanto non comunista, accettò anche in relazione ai vantaggi, in termini di aiuti concreti, che tutta la banda ne avrebbe ricavato. L'accordo venne accettato soltanto in seguito a un confronto con gli uomini del gruppo (all'epoca circa 25). I partigiani vennero radunati da Bruno Luppi (Erven) il quale fornì le delucidazioni del caso. Tutti aderirono senza riserve. Successivamente avvenne il primo incontro tra Vittò e U Curtu [...] I bandi di arruolamento tra le fila della Rsi determinarono un notevole afflusso di reclute tra le formazioni partigiane. L'ultimatum dei fascisti scadeva il 25 maggio e il 14 giugno venne diramata la circolare che stabiliva la costituzione della IX Brigata [d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"]. Fu così che Vittò divenne comandante del V Distaccamento.
Romano Lupi, VITTO'. Vita del comandante partigiano Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011

[...] in concomitanza con l'aumentata pressione nazifascista, dal 28 marzo 1944 i maggiori gruppi partigiani, originati dalla "banda Cascione", vennero posti sotto il comando di Curto, che [...] riuscì a contattare anche le bande di "Tento", Pietro Tento, e di "Vitò" [Giuseppe Vittorio Guglielmo], le quali agivano nella parte occidentale della provincia di Imperia in Alta Valle Argentina con base alla Goletta di Triora (IM) [...] A fine maggio 1944 il Comando Generale per l'Alta Italia del Corpo Volontari della Libertà mandò disposizioni per la creazione in Liguria di un Comando unificato. Sorse così il primo Comando Militare Unificato Regionale Ligure (CMURL). La Liguria venne suddivisa in 4 zone in ottemperanza alle direttive impartite dal Comando Generale Alta Italia: I^ Zona Operativa, dalla Valle del Roia, estremo ponente della provincia di Imperia, a quella dell'Arroscia [...] Attorno al 13-14 giugno 1944, in considerazione del crescente numero di combattenti che agivano nel territorio, venne riconosciuta alle forze della Resistenza imperiese una nuova unità operativa, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

martedì 21 aprile 2020

Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti



Nei giorni successivi all'attacco tedesco del 4 ottobre 1944 a Pigna (IM), i nemici avanzarono in direzione di Collardente e Buggio, Frazione di Pigna.
Vitò Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", perduto il controllo dei paesi vicini alla vecchia frontiera italo-francese, individuò Triora quale centro di un nuovo schieramento.
Il 12 ed il 13 ottobre riprese l'inseguimento da parte dei nazisti, che entrarono in Triora (IM), Alta Valle Argentina, costringendo i partigiani a sganciarsi verso Piaggia [oggi Frazione di Briga Alta (CN)].
"Al tramonto del 13 tutti i distaccamenti sono nella zona in attesa di una sistemazione provvisoria. In due giorni la formazione viene riorganizzata con gli effettivi rimasti in efficienza, comprendenti circa 350 garibaldini": così in Francesco Biga [Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977].
Piaggia rappresentava l'ultimo disperato tentativo, data la superiorità in termini di effettivi e di armamento, dei tedeschi, di formare una linea di difesa.
Il 14 ottobre 1944, avendo raggiunto Ormea (CN), i tedeschi si avvicinarono.
Da Piaggia partirono alcuni Distaccamenti con l'intento non riuscito di bloccare il nemico.
Il 15 i tedeschi raggiunsero Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN), Alta Val Tanaro], avvicinandosi alquanto alla sede del comando partigiano, che decise allora di portarsi a Pieve di Teco (IM) per poi raggiungere Caprauna (CN).
La notizia che i nazisti avevano già raggiunto Case di Nava [Frazione di Pornassio (IM)] costrinse i garibaldini a cambiare direzione.
Nelle parole di Francesco Biga, Op. cit., "rapidamente l'indispensabile di documenti, di armi viene caricato sui muli; il materiale ingombrante viene seppellito, nascosto, disperso".
Lo spostamento dei partigiani avvenne di notte verso Upega [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta poche ore dopo: non fu ancora questa la meta prefissata, per cui gli esausti partigiani furono obbligati ad un'altra ora e mezzo di cammino, diretti a Carnino [n.d.r.: oggi Frazione di Briga Alta (CN)], raggiunta alle 9 del 16 ottobre 1944.
L'illusione di un periodo di tranquilllità fu subito vanificata il giorno successivo dall'eco dei mitragliatori tedeschi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Alla metà di ottobre un grande rastrellamento nazifascista culmina nella battaglia di Upega, al confine fra Liguria e Piemonte. Un piccolo gruppo di partigiani impegna le forze nemiche mentre il grosso delle formazioni garibaldine, diviso in piccole unità, riesce a filtrare fra le maglie delle truppe tedesche e a rifugiarsi in territorio piemontese.
1944 - Le Repubbliche Partigiane

Giorni di inferno e di terrore, senza cibo, senza asilo, sotto la pioggia, i partigiani si aggirano nei boschi cercando una via per uscire dal cerchio, evitando le mulattiere e i sentieri perché vi passa il nemico, e nel bosco si può averlo di fronte a dieci metri, all'improvviso. Triste è in modo particolare la situazione di quegli ex nemici della Divisione San Marco che erano passati alle formazioni garibaldine. Essi vedono il bosco per la prima volta e non sanno dove dirigersi e non hanno chi li guidi. Coi fuggiaschi si sparge la notizia della tragedia. I tedeschi ripetono: "Stella Rossa Kaput, cattivi banditi distrutti"... Dunque, eseguendo le disposizioni emanate da Simon [n.d.r.: Carlo Farini, in quel periodo ispettore della provincia di Imperia, inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari partigiani], mentre era gravemente malato, il Comando della II^ Divisione Cascione e le Brigate I^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvio Belgrano", formata il 20 luglio 1944] e V^ [Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", formata il 25 luglio 1944] si mettono in marcia la sera del 17 ottobre 1944 per raggiungere il basso cuneese, attraverso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie.
Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due Brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
Francesco Biga, U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2001

Drammatica fu invece la ritirata della Divisione "Felice Cascione" dalla Liguria al Piemonte, in seguito ai rastrellamenti dell'ottobre 1944. Nei primi giorni del mese i partigiani liguri si concentrarono a Upega, poi a Carnino e la sera del 17 ottobre ripiegarono su Viozene; quindi passarono il Mongioie per arrivare a Fontane in una lunga e durissima traversata, compiuta di notte, sulla neve ed in condizioni fisiche e psicologiche estreme. Nel frattempo circa 200 tra SS e Alpenjager attaccarono il comando di Upega, dove morì il vicecomandante "Cion" suicida per non farsi prendere vivo dai nemici.
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo 

Il 17 ottobre 1944 rappresenta una delle pagini più tristi della storia della resistenza imperiese.
Quel giorno persero la vita i valorosi comandanti partigiani Libero Briganti (Giulio) e Silvio Bonfante (Cion).
Il comando partigiano, trasferitosi momentaneamente ad Upega, paese scarsamente indicato per la guerriglia data la sua ubicazione nel fondo valle, venne attaccato nel primo pomeriggio del 17 ottobre 1945 dai tedeschi che si erano infiltrati nel bosco.
Briganti, commissario della II^ Divisione, cadde al fianco di "Curto", Nino Siccardi, il comandante della II^ Divisione, drammaticamente impossibilitato a fare alcunché.
I garibaldini stavano tentando di proteggere la ritirata ai feriti.
Tra questi c'era anche "Cion", che per non cadere vivo in mano ai nemici, si uccise, sotto gli occhi della madre, con un colpo di rivoltella.
Altri garibaldini caddero sotto il tiro delle armi tedesche; il bilancio fu disastroso: le perdite, tra morti e feriti, ammontavano ad oltre venti uomini.
I nazisti con l'uccisione di "Cion" si illusero di avere distrutto l'organizzazione partigiana.
Rocco Fava, Op. cit.

Inizialmente si pensa di sostare a Viozene [Frazione di Ormea (CN)], ma ciò non è possibile perché, come abbiamo già ricordato, il nemico ha raggiunto Ponte di Nava [Frazione di Ormea (CN)] e può tagliare da un'ora all'altra la ritirata delle due brigate, per cui nella notte si riprende la marcia.
La V^ brigata è in testa, col suo comandante Vittorio Guglielmo [Vitò o Vittò o Ivano,  Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^ Brigata, da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione], e marcia per prima nella notte oscura.
Lunga e faticosa è la salita fino al passo, di cenare non se ne parla. Rezzo, Piaggia, Upega, Carnino [Briga Alta (CN)], Viozene, Bochin d'Azeo [o Bocchino d'Aseo]: i paesi della ritirata della I^ brigata, più numerosi di quelli della ritirata della V^.
Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.

Dopo i dolorosi fatti di Upega, il grosso della I^ e della V^ Brigata si diresse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN).
"Magnesia" [Gino Glorio, poco tempo dopo amministratore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] annotò nel suo diario, riportate in Francesco Biga, Op. cit., le seguenti impressioni: "d'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni ed il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, le informazioni, il servizio logistico, gli uomini, il materiale, tutto quello che era la Divisione "Felice Cascione", tutto è disperso; 650 eravamo a Piaggia, ora appena 300 sono gli uomini che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^ Brigata. Gli altri sono là in Liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro".
Dopo qualche chilometro i partigiani incontrarono la neve, che si faceva via via sempre più profonda a costiture un vero e proprio calvario.
Per giunta non solo tutti i partigiani erano già stremati dagli scontri, ma molti di loro erano vestiti con abiti di recupero e tanti erano addirittura scalzi.
Le salmerie si rifiutavano di avanzare.
Il morale dei garibaldini era sotto zero come la temperatura circostante.
Rocco Fava, Op. cit.

La salita è aspra e faticosa, le soste sempre più frequenti, il clima sempre più rigido. Il peso dello zaino e dell'arma durante la marcia fa sudare, stanca; basta fermarsi pochi minuti perchè il vento notturno geli il sudore, intirizzisca; ciò nonostante la colonna si ferma sempre più spesso, sempre più a lungo.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione] e di Giulio [Libero Remo Briganti, commissario politico della II^ Divisione] .
Esclamazioni di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini che idolatravano i loro capi.
Testimonia un garibaldino: "La neve si fa più alta, seguiamo in silenzio la guida che si è offerta di accompagnarci fino al passo. Voltandomi mi è dato di vedere una scena che non scorderò mai più: una interminabile fila di uomini che avanzano serpeggiando sul fianco della montagna arrancando a fatica, curvi sotto il peso delle armi; non sembravano neppure uomini, ma bensì spettri perchè non si udiva alcun rumore, nessuna voce che potesse far capire che non erano anime che venissero dall'aldilà".
Francesco Biga, Op. cit.

Scrisse [documento Isrecim] il partigiano Giovanni Rebaudo [Janò/Jeannot/Monaco], al riguardo della ritirata della V^ Brigata in Piemonte: "Visto che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande. Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima di Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene. Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise, giunse Vittò, comandante la V^ Brigata Nuvoloni, e si mise a capo della nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il passo del Bochin d'Azeo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)], un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la marcia della V^ brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada), Antonio Allavena (Cuma), Emilio Arizzi (Penna), Giovanni Bonatesta (Vencu) e Silvio Lodi (Bersagliere), armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza, in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e della I^ brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto [Nino Siccardi, in quel momento comandante della II^ Divisione, da dicembre 1944 comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e si visse un momento di commozione quando Curto, nella sua figura imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si buttò nelle braccia di Vittò singhiozzando e poi quando ci disse che erano morti Cion, Giulio, De Marchi e alcuni altri. Nel raccontarci ciò, pur pacatamente, Curto non si vergognò di farsi vedere piangere. Mi rimase impresso quest'uomo che pur con lo strazio di chi vide uccidere i compagni davanti agli occhi, mantenne la calma e non ebbe odio disperato verso i nemici. Dopo un riposo di circa trenta minuti, si riprese la marcia verso Fontane, dove giungemmo a mezzogiorno, dopo aver superato mille ostacoli. Infatti, la neve è alta, i muli affondano fino alla pancia, dei sessantaquattro che seguono la colonna, tre muoiono congelati, molti vengono trascinati a braccia dai garibaldini attraverso le scoscese pietraie sulle quali non possono procedere da soli. La stanchezza è grande e le scarpe fradice fanno male. Quando la neve scompare, la colonna procede più rapida. Oramai il giorno 18 appare chiaro. Le castagne, che si possono raccogliere durante la marcia, vengono mangiate crude". Francesco Biga, U Cürtu... , Op. cit.



Eccoli dunque come sono, da non conoscersi più così abbrutiti di fame di freddo e di fatica, quando arrivano di là nella Val Corsaglia: fanno proprio paura, malconci come sono.
Le bande ridotte in questo modo, crollano appena finita la neve nella prima erba dove comincia il prato sopra Fontane, perché finalmente gli alpiniager, finiti i colpi, se ne ritornano indietro nelle caserme in guarnigione.
Allora gli uomini si guardano in giro ancora intontiti: non ce la fanno più a camminare e non sentono manco più il freddo che morde; non gliene importa niente di niente al chiarore dell'alba nella sonnolenza di morte bianca buttandosi a terra, ma va in malora.
Nei giorni successivi con un po' di calma, i posti se li rifanno l'un dopo l'altro intorno, in quella valle di là, spartendoseli suppergiù coi badogliani per starci meglio.
Di qui dal Mongioje invece se li mantengono soltanto quelli della quarta brigata, scambiandoseli ogni tanto coi nazifascisti in rastrellamento permanente.
Ma tutti insieme i partigiani e i patrioti, allo stesso modo e nello stesso tempo al di qua e al di là del Mongioje, la pensano tutti uguale sul come fare a continuare la guerriglia.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 113
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Pietro Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013

Il 20 ottobre 1944 "Curto" con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
Rientrarono nelle fila Sandro Nuti (Scrivan), ferito in combattimento l'8 ottobre a Vessalico e salvato da un croato, poi passato nella Resistenza, "Natascia" [Ida Rossi, già infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona] e "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia].
La I^ Brigata "Silvano Belgrano" venne riorganizzata su 6  Distaccamenti.
I Distaccamenti erano i seguenti: "Giovanni Garbagnati" con commissario "Athos", "Angiolino Viani" con commissario "Gigi", "Giuseppe Maccanò" con commissario "Federico" [Federico Sibilla], "Filippo Airaldi" con commissario "Gomez" [Angelo Montaldo], "Ettore Bacigalupo" con commissario "Giuseppe" e "Giuseppe Catter" con commissario "Jacopo" [Vittorio Giordano].
Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell'VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l'incontro tra il comandante Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski) (1): "Curto" chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale "Curto" rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Francesco Biga sottolineava che "il colonnello Pompeo Colaianni (Barbato) dispose per l'invio di 200.000 lire e di numerose paia di scarpe... giungono lire 500.000 dal CLN imperiese per pagare i debiti contratti... il 31 ottobre, su ordine del comando divisionale, il vice comandante della V^ Brigata si porta a Mondovì per trattare con il cavaliere Battaglia, ricco industriale, il versamento di 5 milioni" [Caro Curto. La tua richiesta mi è giunta attraverso Antonio. I Tedeschi  non riusciranno mai a piegare la tua valorosa Divisione. Auguro che quando questa lettera ti raggiungerà, avrete già avuto notizie dei compagni feriti e della tua famiglia. Scrivo al battaglione di Boves, appoggiatevi ad esso. Cercheremo di darvi aiuto per le scarpe attraverso questa via. Non posso disporre che di L.100.000, perché i nostri bisogni sono preoccupanti e tu ben sai che gli amici <gli Inglesi> non sono generosi con noi, né di armi né di denaro. Altre 100.000 spero vi possano essere date, dietro mio ordine, dal battaglione Boves. Ricevi questo poco denaro con l'augurio dei nostri animi fraterni. Salutiamo i tuoi uomini e ti abbracciamo fraternamente. Barbato].
Rocco Fava, Op. cit.
(1) [...] l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 - Nell'agosto '44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore "Temple", missione "Flap". Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. "Temple" (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell'esercito inglese, morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali dello Soe che lo sostituirono. Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

[...] Questa la situazione che determinò i fatti del 10 ottobre ’44, ed indusse i Comandi partigiani all’occupazione di Alba. Si dà poi per certo che il magg. Mauri personalmente sia stato sempre piuttosto alieno da una occupazione del presidio (tant’è vero che le due notti successive alla entrata in Alba i suoi uomini ebbero l’ordine di ritirarsi sulle posizioni di partenza, e così fecero; mentre di occupazione vera e propria si può parlare solo quando si decise di presidiare costantemente la città di giorno e di notte, in seguito a gravi perturbamenti nell’ordine pubblico). In ogni caso, una volta verificatasi la situazione di cui più sopra, secondo la testimonianza del Vescovo venivano a militare a pro della occupazione partigiana ragioni di vera e propria azione di polizia. Particolarmente chiarificativa al riguardo è una Relazione del comandante Mauri pubblicata nel volume del Generale R. Cadorna: «La Riscossa - dal 25 luglio alla Liberazione», Milano, 1949. Il presidio partigiano di Alba durò una ventina di giorni circa.
Ma intanto: «Il fronte sulla linea gotica - riprendiamo col maggiore Mauri - minaccia di stabilizzarsi. La Repubblica di Salò riprende fiato e lo riversa nelle trombe della sua velenosa propaganda. È bandita una nuova crociata anti-ribelli, la definiva, per distruggere per sempre il mal germe dei traditori. Domodossola già liberata dai partigiani è nuovamente caduta sotto la dominazione nazi-fascista. Ora è la volta di Alba. È facile capirlo. Le variopinte legioni neofasciste si concentrano verso Bra e Torino. Poi arriva l’ultimatum: "Sgombrate Alba o vi annienteremo". Rispondo: "Alba l’abbiamo presa e la terremo. Se in fondo al vostro essere è rimasto un briciolo di italianità dovreste vergognarvi di minacciare ancora, dopo tanti delitti, saccheggi ed uccisioni. Restate con la vostra vergogna senza nome; con noi sono tutti gli italiani e tutti gli uomini d’onore e di dignità». Allo stato delle cose la risposta non poteva essere diversa.
Nè mutò nel corso dei tre storici abboccamenti del 30 e del 31 ottobre, svoltisi a Barbaresco, al Mussotto e a Cinzano fra il Comandante partigiano Magg. Mauri con alcuni suoi collaboratori e, per pa rte repubblicana, il Commissario Straordinario per il Piemonte Zerbino accompagnato da alcuni gerarchi; intermediario Mons. Grassi [...]
Filippo Barbano, I fatti militari di Alba in alcuni documenti partigiani e repubblicani (10 Ottobre 1944 - 15 Aprile 1945), INSMLI, Milano, Il movimento di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti, novembre 1949, n. 3 -  gennaio 1950, n. 4
 
Mentre gran parte degli effettivi della I^ Brigata e della V^ Brigata, compreso il comando della II^ Divisione, erano forzatamente e momentaneamente trasferiti in Piemonte, per tre settimane rimase completamente isolata in provincia di Imperia la IV^ Brigata "Elsio Guarrini", la quale constava di 10 Distaccamenti per un organico complessivo di circa 600 uomini. In quel periodo subì diversi rastrellamenti: il 17 ottobre in località Ville San Pietro furono uccisi quattro partigiani; nell'attacco a Lingueglietta, frazione di Cipressa, del 28 ottobre rimasero uccisi 2 civili; due fratelli partigiani furono trucidati a Ceriana il giorno 29.
Rocco Fava, Op. cit.
 
Dal 4 al 6 novembre 1944 i garibaldini rifugiatisi a Fontane e dintorni dopo la tragica sconfitta di Upega lasciavano incolonnati le montagne del Piemonte per riprendere possesso delle valli liguri e proseguire la lotta fino all'agognata vittoria. I primi denari consegnati a Ramon [Raymond Rosso], da distribuire agli altri Distaccamenti della I e V Brigata della "Cascione" appena reinsediatisi dalle parti di Gazzo, Casanova Lerrone e altrove nei pressi, erano recati da Siro [Domenico Amari] per conto del CLN di Albenga (SV). Con solerte tempismo Siro provvedeva così le somme necessarie ad acquistare derrate alimentari per i combattenti della futura Divisione "Bonfante", al momento in condizioni di grave indigenza.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

Il 31 ottobre 1944 i comandi partigiani procedettero ad una ulteriore riorganizzazione.
Tra i più importanti cambiamenti si ebbe la nomina di Carlo De Lucis (Mario) a commissario della II^ Divisione, che subentrò allo scomparso Libero "Giulio" Briganti, e quella di Agostino Bramé (Orsini) a commissario della V^ Brigata.
Rocco Fava, Op. cit.

venerdì 6 marzo 2020

Il comandante partigiano Fra Diavolo doveva rimanere in Val Tanaro


Ormea (CN) - Fonte: Wikipedia
Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di sole (con noi c'era anche Rustida * [Costante Brando] che coi suoi ci aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo. 
Lello ** [Raffaele Nante, in seguito vice comandante della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] con il suo solito umorismo dice: «Sento odore di C.L.N. Questo qua è uno di loro». 
Quando lo incrociamo si ferma e domanda di Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM), poi comandante della richiamata IV^ Brigata].
A mia volta gli chiedo cosa vuole. 
Replica che può dirlo solo all'interessato.
Uno dei ragazzi allora gli chiese se era del C.L.N. di Albenga [(SV)] e lui rispose di no, che era un rappresentante del C.L.N. di Ormea [(CN)]. 
Tutti scoppiammo in una grossa risata, che disorientò alquanto il nostro amico.
Allora mi presentai e gli spiegai il motivo di tanta ilarità.
Ci aveva portato alcuni pacchetti di sigarette e ce li offrì. 

Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi]. 
Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose. 
Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me.
Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.
Il Comitato Liberazione Nazionale di Garessio [(CN)] e quello di Ormea [(CN)] avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo Badogliani, come loro ci chiama­vano Stelle Rosse).
Tradotto in pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la formazione di una Brigata garibaldina.

E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare.

La zona del Bosco di Rezzo -  © 2020 - Ente Parco delle Alpi Liguri  - Foto: A. Biondo in Parks.it
 
Allora pensai a quanto mi aveva raccontato Italo Cordero [in seguito autore di Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991], uno degli artefici della difesa della Val Casotto, quando per divergenze coi Comandi Autonomi s'era allontanato con sua moglie, rifugiandosi nel bosco di Rezzo [(IM)].

Aprii la lettera di Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] che mi presentava il compagno «Etienne» del C.L.N. di Ormea [(CN)], con il quale mi sarei accordato per l'Alta Val Tanaro e dal quale avrei avuto tutto l'aiuto necessario e anche la presentazione al C.L.N. di Garessio [(CN)].
Il mio vecchio Distaccamento G. Maccanò mi avrebbe seguito in Val Tanaro, senza però il suo comandante Libero che sarebbe stato destinato invece ad altri incarichi.
Di quanto successo davanti al castello di Alto [(CN)] neanche una parola, come se niente fosse accaduto. Con Etienne prendemmo appuntamento per il giorno seguente a Barchi, frazione di Ormea, dove iniziammo i contatti con alcuni partigiani locali che chiedevano di essere arruolati nella costituenda Brigata Alpina «Domenico Arnera». Nella lettera di Curto mi si autorizzava, se lo credevo necessario per il buon andamento della nuova formazione in allestimento, a dipendere direttamente dal Comando I^  Zona.

Fra i partigiani che incontrai a Barchi [Frazione divisa tra Garessio ed Ormea (CN)] ricordo Renzo, Plastico [Tirreno Meacci, comandante di distaccamento], Arturo [Walter, Gravagno, poco dopo vicecommissario di Brigata], King Kong [Secondo Bottero, comandante di distaccamento] ed altri dei quali non rammento più il nome. Dall'incontro capii che il loro desiderio era proprio quello di combattere nella loro valle, sino alla liberazione totale di tutta la zona. Non intendevano abbandonare la loro terra come era già stato loro richiesto, quando in settembre pen­savamo di scendere sulla costa.
Li assicurai subito in proposito e compilammo una carta nella quale tutti quanti ci impegnavamo a combattere in zona fino alla liberazione dell'Alta Val Tanaro: non avremmo permesso a nessuno di giudicare i componenti della Brigata che avessero sbagliato: li avremmo giudicati noi stessi, con un rappresentante per Distaccamento. Presidente del Tribunale sarei stato io, quale Comandante di Brigata.

Rientrarono così in Alta Val Tanaro gli uomini del Distaccamento Giuseppe Maccanò, e dagli stessi venni a sapere che Commissario della sesta divisione Silvio Bonfante era stato nominato allora Mario De Lucis [Carlo De Lucis].
Lo conoscevo e lo stimavo immensamente e la sua nomina a Commissario, con il comandante Giorgio [Giorgio Olivero, comandante, appunto, della Divisione "Silvio Bonfante"], mi dava la certezza di un futuro corretto e leale rapporto. Informai Curto della mia scelta di dipendere dal Comando della Sesta Divisione inviando nel frattempo la prima relazione sul lavoro svolto. Mario Commissario di Divisione voleva dire la certezza che intromissioni come quelle di Bosco e Degolla non si sarebbero più verifi­cate.
Colgo l'occasione per rammentare che la I^ Zona Liguria ha avuto i due validissimi Commissari in Libero [Giulio] Briganti [Libero Remo Briganti, commissario politico del distaccamento garibaldino costituito il 22 febbraio 1944 alla Maddalena di Lucinasco (IM) e della IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" che, da quello, il 20 giugno 1944 si sviluppò, con sede nel bosco di Rezzo (IM), e infine commissario politico della II^ Divisione "Felice Cascione" germinata dalla IX^ Brigata il 7 luglio 1944], morto a Upega [(CN)], e Mario De Lu­cis  [Carlo De Lucis], ambedue di Savona; assurdamente nessuno parla molto di loro, io dirò soltanto che entrambi sono fra gli uomini che più ho stimato e amato nella I^ Zona Liguria.
Dopo l'incontro di Barchi ci trasferimmo definitivamente in Val Tanaro; il nostro compito non era dei più facili ma, grazie a Etienne, a Lucia, anch'essa rappresentante del Partito Comunista nel C.L.N. di Garessio (CN), ai partigiani già ricordati in precedenza e al figlio di Etienne, Aldo, per il 15 di febbraio [1945] avevamo già costituito tre Distaccamenti effettivamente operanti in Alta Val Tanaro. 

Nel dicembre-gennaio precedenti erano stati effettuati grossi rastrellamenti in tutta la provincia di Imperia e pure nel savonese. Molti giovani renitenti alla leva e numerosi partigiani arrestati furono trasferiti a Ceva [(CN)], oppure a Cuneo, e lì incarcerati. I fascisti chie­devano loro in extremis di arruolarsi e giurare fedeltà alla Repubblica Sociale: solo così avrebbero potuto evitare la deportazione nei campi di prigionia nazisti. Dopo un breve periodo di istruzione militare sarebbero stati impiegati nei rastrellamenti, oppure al fronte. 
Venivo a conoscenza di tutto ciò dai parenti che transitavano lungo le mulattiere da noi controllate quando si recavano a trovarli. Questi viandanti sceglievano la stra da meno battuta perché portavano sempre con sè un po' d'olio che servi­va ad alleviare le pene della detenzione ai loro congiunti.
Lucia, la rappresentante del C.L.N. di Garessio [(CN)], decise di intervenire sui giovani che avevano già aderito alla Repubblica di Salò per invitarli a disertare ed a unirsi a noi.
Dai parenti che transitavano nella nostra zona, si facevano dare gli indirizzi, e Lucia poteva così presentarsi ai giovani dando loro tutte le indicazioni per raggiungere le nostre formazioni.

Ricordo sempre l'arrivo del cugino di Cion, Bonfante (nome di battaglia «Automatico»), nativo di Cenova [Frazione di Rezzo (IM)]...

Coi nuovi arrivati da Cuneo e da Ceva [(CN)], e coi primi lanci degli alleati, organizzammo altri due Distaccamenti funzionanti. 
Al Comando di uno di questi fu destinato Franco Bonello, un ragazzo di Rezzo [(IM)] che era stato fatto prigioniero ai primi di gennaio del 1945 e che, quindi, era fuggito anche lui da Ceva [(CN)], il mese dopo. Per il secondo Distaccamento, non avendo accettato Rustida * [Costante Brando] il comando, lo convinsi a farne le veci fino a che gli uomini non avessero trovato un altro Comandante...

Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
Il 13 marzo 1945 truppe tedesche partono [da Ormea] verso Ceva su autoblindo. Il 14 vengono iniziati lavori di gallerie e rifugi dietro il municipio e dietro il palazzo delle scuole. Il 15 marzo alcuni apparecchi in picchiata lanciano centinaia di manifestini sulla cartiera in lingua tedesca. Intanto continuano gli spari di molestia da parte dei partigiani. Il 4 aprile Ormea è quasi deserta ed il comando tedesco ordina il coprifuoco, perchè nessuno si è presentato a lavorare nei rifugi in costruzione.
Guida di Ormea, a cura delle "Campane di San Martino", 1986

2 marzo 1945 - Dal commissario [Mario, Carlo De Lucis] della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione politica sull'attività di febbraio 1945: ... i primi giorni sono stati impiegati per riorganizzare i Distaccamenti  dopo i rastrellamenti di fine gennaio... inviato Frà Diavolo in Val Tanaro per riorganizzare gruppi garibaldini...

3 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Ramon, Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Fra Diavolo, che chiedeva se doveva tornare, aveva risposto di rimanere in Val Tanaro, e poneva il quesito se nominare di nuovo Fra Diavolo comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"...

4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 170, al capo di Stato Maggiore della Divisione - Comunicava che... "Fra Diavolo" doveva continuare, anche se in disaccordo con "Martinengo"  [Eraldo Hanau, comandante della Brigata 'autonoma' Val Tanaro della IV^ Divisione Alpi del Iº Gruppo Divisioni Alpine 'autonome' che facevano riferimento al maggiore Enrico Martini 'Mauri'], la sua opera in Val Tanaro...

10 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento divisionale "Mario Longhi" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che Frà Diavolo aveva preso contatto con un rappresentante del CLN di Garessio e che quest'ultimo aveva assunto l'impegno a rilasciare un'autorizzazione alla presenza di reparti garibaldini in Val Tanaro...

25 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava... il 22 marzo 1945 "Fra Diavolo" aveva compiuto un attentato sulla strada 28 in cui avevano trovato la morte un maggiore tedesco ed altri soldati...

26 marzo 1945 - Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio  Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.

28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che... il 22 marzo il Distaccamento divisionale "Mario Longhi", comandato da "Fra Diavolo" aveva ucciso sulla strada 28 in Val Tanaro un maggiore tedesco e 3 soldati.

15 aprile 1945 - Dal commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che: ... Frà Diavolo ha attaccato nei giorni scorsi una macchina tedesca ferendo un tenente colonnello: la formazione colà stanziata funziona bene e continua ad arruolare nuovi volontari...

17 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla "formazione in Val Tanaro" [non era ancora stata ufficializzata la IV^ Brigata "Domenico Arnera"] - Chiedeva la presenza del comandante "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] ad una riunione ad Alto per discutere un piano con "Basco" [anche "Blasco", Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata].

19 aprile 1945 - Dal Comando Operativo [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comandante Martinengo [Eraldo Hanau] -  Si rispondeva ad una comunicazione affermando che "l'offerta delle munizioni per i St. Etienne è la più bella dimostrazione dello spirito di collaborazione e amicizia che ci lega e che deve essere sempre più perfezionato. L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia, ma il campo per la lotta comune per poi ricostruire insieme la pace".

19 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comandante della IV^ Divisione  'autonoma' Alpi - Si dichiarava che il capitano Bentley [ufficiale alleato di collegamento con i partigiani della I^ Zona] aveva richiesto le armi nascoste a Viozene. Che le armi, anche se recuperate, non erano mai state consegnate al richiedente. Che non era veritiera l'affermazione del "maggiore" secondo la quale "disposizioni superiori stabiliscono che tutto il Piemonte è di giurisdizione dei gruppi 'Mauri'. Che le suddivisioni amministrative non risultavano attendibili quanto "la demarcazione fisica" rappresentata dalle Alpi. Che tutta la zona a sud delle Alpi era indispensabile alle formazioni Garibaldi per poter difendere l'Alta Val Tanaro. Che nella Val Tanaro le richiamate organizzazioni autonome non avevano organici sufficienti per procedere ad un'adeguata occupazione del territorio. Che di conseguenza lo scrivente comando della I^ Zona aveva deciso di fare agire alcune sue strutture nella zona di Garessio-Ormea-Ponti di Nava. Che si prendeva nota del desiderio di collaborare fraternamente nella lotta. Che il capitano Bentley era già addivenuto tramite incontro ad un accordo con la missione inglese presso le formazioni 'Mauri' per ottenere una proficua collaborazione più generale.

19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".

23 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Scriveva che "Frà Diavolo ha effettivamente 150 uomini... la val Tanaro è completamente nostra politicamente, lo deve essere anche militarmente".

23 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Fra Diavolo", Giuseppe Garibaldi] della IV^ Brigata "Val Tanaro" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che "poiché dell'ultimo lancio non è giunto nessun rifornimento bellico alla Brigata in indirizzo, nonostante si fosse fatto presente che i suoi 4 Distaccamenti sono disarmati, potete fare conto che la Brigata non esista più. Sospendiamo il nostro lavoro di organizzazione fino ad una vostra risposta... è inutile assegnare delle zone senza delle armi per poterle controllare". 

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Alcuni giorni dopo [a fine marzo 1945] ricevetti l'ordine di mandare un Distaccamento a Viozene, a disposizione del Comando Zona. Decisi di andare con cinque squadre, una per distaccamento e col vice Comandante di Brigata Lello **. Credevo che Osvaldo [Osvaldo Contestabile], il Commissario, ormai completamente ristabilito, prendesse contatto con i vari Distaccamenti e anche con i componenti del C.L.N. perchè, è doveroso dirlo, i contatti con i vari componenti degli stessi non erano sempre improntati alla più schietta cordialità, (anche se, nel caso del C.L.N. dell'alta Val Tanaro, avevamo sempre trovato la massima comprensione.) Per Osvaldo invece le sue esperienze antecedenti (Commissario della quinta Brigata della Cascione e Commissario della Divisione Bonfante) lo avevano lasciato assai diffidente.
Arrivammo a Viozene e ci sistemammo in una frazione del paese. Subito dopo mi recai a salutare Curto. Mi feci accompagnare da alcuni garibaldini, ma lasciai Lazzaro con Lello e gli altri, raccomandando loro di fare in modo che non rimanesse mai solo. Curto mi chiese notizie della Brigata alpina, dei Distaccamenti, dei loro Comandanti. Lo informai di Rustida *, forse era stato il primo ex Sanmarco a diventare Comandante di Distaccamento, gli raccontai della sua eroica morte e il duro Curto mi disse: «Immagino quello  che provi, perché so che eravate uniti; il tuo grande difetto è che ti affezioni troppo ai tuoi uomini migliori, e in guerra, in special modo nella guerra partigiana, questo porta indubbiamente dei vantaggi. Ma si corre anche il rischio, nel caso della perdita di uno di questi, di non essere abbastanza sereni». Capii che lui, in quel momento, pensava alla morte di Giulio e di Cion e al suo errato comportamento a Carnino; lo interruppi e gli disssi: «Tu pensi a Upega; ma io sono certo che, se non avessimo avuto la disgrazia di avere con noi il Prof., le cose sarebbero andate in altro modo. «Puoi anche avere ragione», rispose.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Op. cit., p. 187
 
* Costante Rustida Brando. Nato a Milano il 25 ottobre 1925. Ex sergente sanmarchino, fa esperienza organizzativa al comando di Massimo Gismondi “Mancen” e di Nino Siccardi “Curto”; in seguito si unisce a Giuseppe Garibaldi “Fra Diavolo”. Molto stimato dal comando partigiano e da “Fra Diavolo”, dopo i rastrellamenti del gennaio 1945, è mandato a capo del distaccamento “Gian Francesco De Marchi” a Nasino, zona ritenuta più tranquilla. Il 20 marzo i tedeschi puntano su Nasino, accompagnati da una spia borghese che li porta direttamente presso l’accampamento del distaccamento sito in località Scuveo. Gli attaccanti a causa della scarsa visibilità possono scendere indisturbati verso il casone. L’allarme non viene dato in tempo e i garibaldini sono colti di sorpresa; “Rustida”, tenendo a bada i nemici con la sua arma automatica permette ai compagni di allontanarsi; è raggiunto da un colpo di mortaio che gli squarcia il ventre e gli causerà una fine atroce: ha la gamba quasi staccata dall’anca. Esaurite le munizioni, rompe l’arma e si uccide con un colpo di rivoltella per non cadere vivo in mano dei tedeschi, i quali non permetteranno ai fascisti di togliergli le scarpe. A Costante Brando è intitolato un Distaccamento della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione.
Arrivano i Partigiani, inserto, I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

** La sorella di Lello, Angela Nante, Angioletta, fu aiutante sanitaria della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione; il fratello Libero, Meghettu, dirigente sanitario, invece, della già richiamata II^ Brigata. A Libero Nante, che dopo la guerra divenne un insigne clinico, venne dedicato, su Scuola Igiene e Sanità dell'Università di Siena, un forte profilo, che ci si ripromette di pubblicare qui schematicamente in una prossima occasione, ma dal quale si riprende ora una premessa, concernente i genitori dei fratelli Nante: ...  Ad Oneglia (Imperia)... padre, Nicola (“Coluccio”), era stato Vice-Sindaco  di  quella  città, nonché  Segretario  locale  del  Partito  Socialista,  che  in  Oneglia ebbe i natali, e aveva fondato una cooperativa di pescatori improntata agli ideali del socialismo; aveva sposato Giovanna  (“Nannina”) ...
 

Angioletta Nante, staffetta partigiana - Fonte: I Trucioli

Sabato 7 dicembre, l’Istituto Storico per la Resistenza e l’età Contemporanea della Provincia di Imperia - ISRECIM ha dedicato il suo prestigioso Archivio con una targa (allegata) alla memoria dei Fratelli Libero, Angioletta e Lello Nante, distintisi nella guerra partigiana combattuta sulle montagne della nostra I Zona Liguria (geograficamente compresa tra Ventimiglia e Ceriale).
Lo storico Ferruccio Iebole ha arricchito la cerimonia con una interessante commemorazione.
All’inizio del 1944, sfuggiti alla persecuzione nazifascita, con i genitori Coluccio e Nannina, dalla natia Oneglia a Viozene, i tre ragazzi vennero reclutati dal mitico Comandante Partigiano Nino Siccardi (Curto) ed adibiti i primi due (Libero, ventiquattrenne, studente di Medicina, Angioletta, quindicenne) all’organizzazione di un ospedaletto da campo ed il terzo (ventenne) alla prima linea.
A seguito del terribile rastrellamento di Upega, che costrinse i Partigiani, decimati, ad una epica ritirata tra le montagne ghiacciate, la famiglia, in ordine sparso, si ritrovò sul versante piemontese, a Fontane, in val Corsaglia. Qui Lello venne nominato Vice Comandante della neocostituita VI Brigata del celebre Fra Diavolo e Libero venne inviato, con compiti ufficialmente sanitari e, meno dichiarati, informativo-esplorativi, ad Alto in Val Pennavaire.
Iebole ha raccontato di quando Libero, in missione, sfuggì ad un agguato, avendo incontrato nel bosco una ambigua donna, che fungeva da guida ad una colonna nazifascista. Della donna in seguito si persero le tracce. In assoluta anteprima Iebole ha svelato, per l’occasione, l’identità della donna. Le sue ricerche, infatti, lo hanno portato ad identificarla in Oliva Fioretta Cordella, nata 1913 nel Bellunese, coniugata e residente a Vado Ligure, impiegata nella Croce Rossa savonese: essa si trovava ausiliaria della suddetta colonna nazifascista, dalla quale veniva anche utilizzata come spia per la sua fisica avvenenza e per il suo bilinguismo italiano e tedesco. Come tale venne in seguito giustiziata in segreto, tanto che nemmeno gli stessi Comandi partigiani seppero riferirne a Libero a fine guerra.
Di Lello, oltre al valore militare, Iebole ha raccontato l’equilibrio, quando Presidente del Tribunale Partigiano, emise nei confronti di un informatore fascista un giudizio di “pacatezza sconosciuta per quei tempi per la gravità delle colpe”. La sentenza di morte fu, infatti, tramutata da Lello in ammenda di 200.000 lire, molto utili al sostentamento della Brigata. “Che  differenza tra giustizia partigiana e giustizia fascista ! Semi di una pacificazione già presenti prima che fossero deposte le armi; l’impiego della ragione precedeva le vendette e i giorni  difficili dell’ira!” Libero concluse la sua militanza ribelle scendendo, il 25 aprile 1945, ad Albenga con il suo distaccamento ed organizzando, nell’ospedale cittadino, corsie per soccorrere i partigiani feriti. Poi ivi rimase come Medico Condotto dell’entroterra ed in seguito creatore delle due case di cura Villa Salus e Clinica San Michele. Angioletta (che in montagna gli era stata “staffetta” e “aiutante”) si fermò con lui ad Albenga, mentre Lello tornò, operaio, ad Imperia [...]
Redazione, Svelata targa alla memoria dei fratelli Nante: anche la città di Albenga presente alla cerimonia, La Voce di Genova.it, 9 dicembre 2019