Visualizzazione post con etichetta tedeschi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tedeschi. Mostra tutti i post

martedì 7 maggio 2024

Per tedeschi e fascisti gennaio 1945 avrebbe dovuto segnare la fine dei "banditi" partigiani nel ponente ligure

Sanremo (IM): zona sovrastante Corso Imperatrice

I rastrellamenti, che hanno investito la IV Brigata "E. Guarrini" durante tutto il mese di gennaio 1945, vengono effettuati anche sul territorio della V Brigata "L. Nuvoloni". L'intento del nemico è quello di liberare completamente la zona occupata dai partigiani. Per questo scopo truppe nazifasciste partono da Imperia, da Savona e da Ventimiglia. Partecipano alle azioni anche formazioni dei "Cacciatori degli Appennini" (3). A Triora si installa un presidio composto da una compagnia di granatieri della Repubblica Sociale, comandata dal capitano Cristin, il quale pone il Comando in casa della famiglia Daneri.
[...] A Sanremo giunge una Compagnia della "San Marco" (Divisione della Repubblica Sociale), proveniente da Albissola. I cannoni piazzati in località Burghi (tra Arma e Taggia), vengono puntati contro la Valle Argentina. Gradatamente il nemico trasferisce le munizioni depositate nella polveriera di Bussana, in località Gazzelli (Valle Impero) (8). Il partigiano "Romeo", addetto al collegamento tra il CLN di Sanremo e la Divisione "F. Cascione", si disloca in località Grattino (Molini di Triora), ove viene raggiunto da Giuseppe Noberasco (Gustavo), proveniente da Genova, ispettore delle SAP liguri: ha il compito di riorganizzare quelle di Sanremo, insieme ad Antonio Gerbolini (del PCI, addetto militare, comandante le formazioni di città) (9).
Si costituisce così il Comando di due Brigate Cittadine ai suoi ordini: la vecchia Brigata "G. Matteotti", e la nuova "G. Anselmi". Il Comando SAP, oltre al Gerbolino, è composto da Bertino Rolando, ufficiale addetto. La Brigata "G. Matteotti" ha per comandante Fortunato Carretta, per vicecomandante Eugenio Carugati, per commissario Vincenzo Rivetta; la Brigata "G. Anselmi" ha per comandante Giovanni Trucchi, per vicecomandante Nino Roverio e per commissario Luigi Luppi (10).
Il 2 gennaio in Sanremo i nazifascisti fucilano Emilio Zamboni (Emilio), partigiano della V Brigata (11). Intanto la città viene tappezzata di manifestini i quali annunciano che il mese di gennaio segnerà la fine dei "banditi" partigiani. In Sanremo sono dislocati i Comandi nemici più importanti della zona. Per dare uno sguardo d'insieme alla situazione militare nella città, abbiamo ritenuto opportuno riportare in sintesi l'ubicazione di tali comandi. Nell'albergo Nizza sono accasermati una cinquantina di uomini della Brigata Nera "A. Padoan" con il loro comandante; ivi è pure il Comando della G.N.R. e una quarantina di uomini. Un centinaio di militari della X flottiglia MAS e cinquanta bersaglieri sono accasermati nell'albergo Corso. Invece il Comando generale tedesco ha preso alloggio nell'albergo Imperiale, ed ha a disposizione circa quattrocento uomini. A Coldirodi stanziano una ventina di bersaglieri, i quali compiono servizio di pattuglia nei dintorni del paese (12).
[...] Il presidio nemico di Molini di Triora viene rinforzato fino a raggiungere una ottantina di uomini i quali si recano quasi giornalmente di pattuglia nelle zone circostanti. Nell'estremo Ponente Ligure anche il presidio nemico di Apricale viene fortemente rinforzato per timore di forti puntate alleate. Giungono nella località alcune centinaia di uomini con molti quadrupedi (13).
Continua lo stillicidio di perdite della Resistenza: a Ciabaudo il 3 gennaio durante un rastrellamento cade sotto il piombo nemico il partigiano Nicolò Sardo (Scibrò).
Come ad Apricale i nemici rinforzano le loro difese a Isolabona con duecento uomini che hanno con loro molti cavalli, a Dolceacqua con circa trecento uomini. A Perinaldo con una ventina di zappatori col il compito di riparare la strada Perinaldo - San Romolo, a Baiardo con una Compagnia di bersaglieri, a Ceriana con centocinquanta soldati, compreso un Comando di Battaglione. A Bussana venti civili (a turno) lavorano alla polveriera, sorvegliati da alcuni Tedeschi; ogni notte le armi prelevate dalla stessa sono caricate su due vagoni ferroviari, spediti altrove. Batterie tedesche sono in postazione a Passo Muratone, a Gouta, a Margheria dei Boschi, all'Alpetta e a Montecarbone. Il 5 di gennaio giungono nella zona di Sanremo circa trecento SS Tedesche, addette ai rastrellamenti, comandate dal maggiore Cramer, specialista in materia (14).
Il 4° Distaccamento partigiano comandato da Isidoro Faraldi (Serpe), (II Battaglione della V Brigata), il 5 gennaio 1945 si trova accampato in un casolare in località Carpenosa (Valle Argentina), con la neve fino ai ginocchi, e ridotto malconcio e di numero, 25 uomini, compreso il commissario "Gino" [Gino Napolitano]. Nella notte dell'Epifania, uno dei tre uomini di guardia informa che stanno arrivando il comandante della Divisione Cascione, Vittorio Guglielmo (Vitò), e il commissario Ivar Oddone (Kimi), i quali consigliano di tenersi in allarme, come avevano già fatto con gli altri Distaccamenti, purtroppo tagliati fuori da ogni collegamento, con l'ordine tassativo di non attaccare il nemico. Il Distaccamento di "Piacenza" è dislocato ad Andagna, quello di Giovanni Zaffarano (Mia) in Glori, e quelli di "Gino", di Vincenzo Orengo (Figaro) e di Giobatta Moraldo (Olmo), sono dislocati nella zona di Vignai. Iniziato il rastrellamento, il nemico fa confluire tutte le forze su Badalucco.
[NOTE]
3  ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 27. Da una relazione datata 31.12.1944 di Franco Bianchi (Brunero), responsabile SIM, alla V Brigata, che preannuncia i rastrellamenti su menzionati.
8  ISRECIM, CLN di Sanremo, cartella 104, lettera del CLN di Sanremo al Comando della "Cascione", datata 24.1.1945.
9  Come da nota 8.
10 Ibidem.
11 ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella serie T. Lo Zamboni viene fucilato perché riconosciuto come il feritore del capitano dei bersaglieri Franco Savi, della 9 ^ Compagnia, in una precedente azione. Prima di salire in montagna era già stato milite delle forze della Repubblica Sociale.
12 ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 28.
13 ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 28. lettera del SIM della V Brigata al Comando della Divisione Cascione.
14 Ibidem, cartella 28.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria). Da Gennaio 1945 alla Liberazione - Vol. IV,  ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 103-106 

Curti Walter: nato a Sanremo il 1° agosto 1929, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio di Curti Walter del 28.5.1945: Mi arruolai volontariamente nella brigata nera di Imperia nel novembre del 1944 e assegnato al distaccamento di Sanremo dove sono rimasto fino al giorno 24 aprile
[...] Mi risulta che durante la mia degenza in ospedale, l’Impedovo con il Pelucchini, Siri, Nicco [n.d.r.: nel citato brogliaccio del distaccamento di Sanremo della Brigata nera, appare come Nicò; alcune fonti riportano per lui anche il triste soprannome di Gin (o Gim) Mano Nera] e Maselli, tutti della brigata nera, e due militari della SS tedesca, vennero in ospedale dove prelevarono un partigiano ferito e condottolo in un luogo un po' disabitato lo freddarono. Il Pelucchini ed il Nicco, assieme a reparti della SS, si resero colpevoli di tre delitti avvenuti nei pressi della Villetta alla vigilia del Natale del 1944. Sempre durante il periodo della mia degenza, seppi che reparti della brigata nera, unitamente a tedeschi, recatisi [2 gennaio 1945] sulle alture di Verezzo [Frazione di Sanremo], dopo un piccolo scontro, colpivano un partigiano [n.d.r.: Mario Emilio Zamboni, nato a Crikvenika, nell'attuale Croazia, il 16 settembre 1921] che per mancanza di munizioni aveva gettato l’arma e si era arreso e lo finivano a colpi di pistola. Poiché il partigiano si manteneva ancora in vita, un tedesco avvicinatosi gli scaricò sulla testa la sua pistola. Dichiaro che il Pelucchini, l’Impedovo ed il Nicco erano in piena collaborazione con gli appartenenti alla SS Italiana, numerosi fra i quali si distinguevano elementi italiani residenti all’estero.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019    

[...] Il Fante Mario (o Mariano) Calabretti il giorno della dichiarazione dell’Armistizio con gli Anglo-Americani si trovava in servizio nel Nord Italia.
Per nulla intenzionato ad aderire alla Repubblica di Salò e combattere ancora al fianco dei tedeschi, si dette alla macchia e divenne partigiano, poiché anche per lui era molto difficile raggiungere le zone libere dell’Italia già sotto controllo alleato.
Messosi in contatto con quanti già operavano clandestinamente sulle montagne, si arruolò nelle formazioni costituite nel Comando 2a Div. d’Assalto “Garibaldi” della la Zona della Liguria “F. Cascione”.
Assunto il nominativo in codice di “Beten” combatte con il grado partigiano di “Garibaldino” tra le fila del 1° Battaglione della 5a Brigata.
Il 6 gennaio 1945 venne catturato da forze repubblichine durante un rastrellamento nella zona di Ciabaudo del Comune di Badalucco (Imperia) e portato a Villa Ober in San Remo (Imperia) dove fu tenuto prigioniero.
Immediatamente sottoposto a processo dal Tribunale Straordinario di Guerra della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) con l’imputazione di "diserzione con passaggio a bande di ribelli e di favoreggiamento agli stessi", fu condannato a morte mediante fucilazione alla schiena.
La sentenza fu immediatamente eseguita nella città di Imperia.
Nella stessa seduta il Tribunale condannava un altro militare, tale Vice Brigadiere Zara Zeffiro, accusato di tradimento perché, pur prestando servizio nella G.N.R., aiutava i partigiani dando loro munizioni e viveri.
Anche quest’ultimo fu condannato a morte e la sentenza fu eseguita a Oneglia il 27 gennaio.
E, perché tale condanna avesse la funzione di deterrente nei confronti di altri militari alla macchia, la notizia della fucilazione di entrambi fu riportata persino su un giornale locale, “Il Quotidiano - L’Eco della Riviera”.
La triste vicenda del Calabretti fu ufficialmente confermata dal Ministero della Difesa il quale dichiarò che: "[..] il Fante Calabretti Mariano è deceduto il 6 febbraio 1945 a Imperia fucilato in base ad una sentenza emessa dal Tribunale Straordinario di Guerra [..]".
(da Nuccio Carriero, San Vito in guerra. La partecipazione ed i contributo dei Sanvitesi al secondo conflitto mondiale, Ed. Arcobaleno San Vito dei Normanni, 2012)
Redazione,
Calabretti Mariano partigiano fucilato, ANPI Brindisi  

A fine gennaio si riunisce a San Remo, in Villa Clara, il Tribunale Straordinario di Guerra della Guardia Nazionale Repubblicana per giudicare Mario Calabretti e Zeffiro Zara, già ex militi, colpevoli di favoreggiamento di bande partigiane. Sono condannati a morte e fucilati alla schiena. Lo Zara cade il 27 gennaio 1945, il Calabretti a Imperia il 1 febbraio 1945
[...] Cosa di cui abbiamo già fatto cenno, il Tribunale Straordinario di Guerra della Guardia Nazionale Repubblicana si è radunato ad Imperia per giudicare il milite Mario Calabretti, imputato di diserzione con "passaggio a bande armate" di ribelli e di favoreggiamento di essi. E' condannato a morte mediante fucilazione alla schiena. La sentenza ha avuto esecuzione il primo febbraio 1945.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Op. cit.

mercoledì 1 maggio 2024

Massabò riferisce della situazione delle bande nella provincia di Imperia, bande che sarebbero in gran parte comuniste

Cesio (IM): uno scorcio. Foto: Davide Papalini su Wikipedia

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Per continuare l'azione punitiva, alcuni garibaldini fecero saltare il ponte di Borgo di Ranzo, interrompendo i rifornimenti al nemico dislocato nella bassa valle.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), Edizioni Amadeo, Imperia, 1998,  p. 60

4 ottobre 1944
[...] Massabò riferisce della situazione delle bande nella provincia di Imperia, bande che sarebbero in gran parte comuniste. Egli ha cercato di distogliere una parte dei comunisti e di orientarli su altre vie. Folco sarebbe colà il rappresentante liberale. Massabò spera di ottenere l’adesione al PL del sindaco designato di Imperia Gandolfo. Anche egli, come Canepa, passa al liberalismo dalle file socialiste. Egli è tendenzialmente di sinistra con pregiudiziale internazionalistica.
20 ottobre 1944
[...] Viene portato il testo inaugurale di Giuseppe, riferisce sulla situazione nella provincia di Imperia, nella quale fra la generale indifferenza, dominano i rossi.
Virginia Minoletti Quarello, Interno 10. Pagine di cospirazione genovese in Rosa (Rossella) Pace, Noi, le altre. Le donne liberali nella Resistenza, Tesi di Dottorato, "Sapienza" Università di Roma, Anno Accademico 2018-2019

Il nemico intanto aveva ideato un piano per distruggere la V^ brigata a ponente e la I^ a levante, sul territorio della provincia imperiese. L'8 ottobre con ingenti forze attaccò la V^ a Pigna. Dopo alcuni giorni di resistenza estrema, quest'ultima dovette iniziare una ritirata per le montagne verso levante, attraversando Carmo Langan e altri passi, finché giunse a Viozene. Anche la I^, lasciando Piaggia, giungeva a Viozene la sera del 16, mentre i feriti, su ordine del Comando, venivano raggruppati nel paese di Upega poiché si pensava che la località rimanesse a ridosso del rastrellamento, e quindi protetta.
12 - La tragedia di Upega - Ritirata in Piemonte
Mentre le due brigate evitavano il passo delle Fascette a levante di Upega, per giungere a Viozene, attraversando il Lagaré per una via più agevole, noi del Comando, all'imbrunire del 16, ci inoltrammo, appunto, per il passo delle Fascette per giungere a Carnino.
Il passo delle Fascette era l'unico passaggio che congiungeva Upega a Viozene (nel dopoguerra fu costruita la strada carrozzabile). Era già problematico attraversarlo di giorno, ma noi lo attraversammo di notte e fu una impresa terribile. Sopra i precipizi vi erano delle corde alle quali chi attraversava il passo doveva tenersi con le mani, e bisognava mettere i piedi in nicchie scavate nella roccia per non scivolare. Questa attraversata non la dimenticherò mai più.
Giunti all'altro capo del passo, ci sentimmo stanchissimi, e cercammo di dormire. Nessuno di noi conosceva la strada per Carnino: ce l'insegnò poi la partigiana Anita Boeri ("Candacca"). All'alba del 17 ottobre ci preparammo per trasferirci a Carnino a congiungerci con altri partigiani. Facevamo delle corsette per scrollarci il freddo notturno che sentivamo nelle ossa, quando sentimmo delle raffiche di mitraglia provenienti dalla vallata di Upega. Immaginammo che i tedeschi avessero attaccato il paese, e, sapendo che colà erano rimasti i feriti con qualche altro partigiano, insieme a "Curto", a Libero Briganti...
Sandro Badellino, Op. cit., p. 61-62 

Alle 19 del 17 di ottobre, quella che sarà per noi la data più triste, legata al ricordo di Upega, mentre gli ultimi raggi del sole sfiorano le cime, la I^ e la V^ Brigata iniziano quella marcia che rimarrà ricordo inestinguibile nel cuore di tutti i garibaldini. Il distaccamento "G. Catter", che era al Colle dei Signori, ripiega; il distaccamento "Filippo Airaldi", che bloccava le Fascette, si sposta verso Carnino. La colonna si avvia lenta per la mulattiera, sostando frequentemente per attendere qualche squadra rimasta indietro, qualche mulo col carico non ben sistemato. La notte scende; nel cielo, ora sereno, le stelle si accendono una ad una, le montagne spiccano nere sullo sfondo azzurro cupo del cielo, lo scroscio della vene di Carnino rimbomba nella valle tenebrosa.
Il pensiero della sosta a Viozene solleva un po' lo spirito, per quanto alloggiare in tanti sia cosa impossibile. Ad un tratto la colonna si arresta, non è una delle solite soste, sulla strada c'è un'altra colonna che sale da Viozene: che sarà? E' la V Brigata che passa in Piemonte; nel buio della notte non si vede, non si capisce, la voce passa di bocca in bocca, non si va a Viozene, si prosegue.
Il motivo anche questa volta non è noto: in seguito si saprà che un forte concentramento nemico a Ponte di Nava fece supporre un attacco imminente. Lunga e faticosa è la salita fino alla cima. Di cenare non se ne parla; vi sono sessanta pagnotte, gli uomini sono tanti che non vengono nemmeno distribuite. "Scacciati senza tregua i ribelli vanno via": le parole della nostra canzone sull'aria di una canzone anarchica; Rezzo, Piaggia, Upega, Carnino, Viozene... i paesi della ritirata della I Brigata; più numerosi quelli della ritirata della V^.
Ogni tappa speravamo fosse l'ultima, ogni volta il destino più forte ci ha sospinto. Addio Liguria, teatro delle nostre lotte, delle nostre imprese, terra bagnata da tanto sangue, dove riposano i nostri morti. Addio Riviera, dove invano attendono i nostri cari, dove per lunghi mesi abbiamo sognato di scendere. Addio compagni, addio bande, addio IV Brigata che continui da sola la lotta nella nostra terra.
Eccole una ad una le nostre montagne sotto l'incerto chiarore delle stelle, ecco il Lagarè, lo Scravaglion, le Fascette, ricordi di ieri. Ecco il Saccarello, il Frontè, le montagne di Piaggia che spiccano da lungi con le cime nevose, ecco il Monte Grande e incerte, confuse, cime e cime, ricordi di un passato di lotta e di sangue. D'un colpo il nemico si libera di noi: tre giorni, e il paziente lavoro di mesi è distrutto; l'opera tenace di gregari, di capi, i collegamenti, che era la Divisione Garibaldi "F. Cascione", quello che il nostro orgoglio e la nostra speranza, tutto disperso: 650 eravamo a Piaggia nella I^ Brigata, ora appena 300 sono gli uomini di essa che salgono le pendici del Mongioie. Così per la V^. Gli altri sono in liguria, dispersi, affidati alla sorte, senza notizie dei compagni, senza che i compagni sappiano nulla di loro.
Durante la marcia si propaga la notizia della morte di “Cion” e di “Giulio”. Esclamazioni di furore rispondono al racconto del garibaldino superstite da Upega che ha confermato la notizia tanto temuta. La triste notizia si propaga lungo la numerosa fila di armati portando lo scoramento in quegli uomini che idolatravano i loro capi.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

Giunti in Val Corsaglia in seguito a rastrellamento eravamo considerati come ospiti dai badogliani e come tali non disponevamo di completa libertà di azione. Una missione offensiva su Villanova, eseguita dal Garbagnati, aveva dovuto attraversare la zona controllata dai badogliani e questi ci avevano pregato di non insistere in azioni che potevano provocare un rastrellamento. Al comando garibaldino seccava trattenere gli uomini che desiderassero ancora combattere. Oltre alla limitata autonomia, rimaneva da decidere il destino delle varie bande della I^ Brigata, circa un terzo, rimaste in Liguria verso la costa. Era bene ritirarle in Piemonte od era meglio tornare noi di là? Il problema era arduo. Quale era intanto la esatta situazione della zona che avevamo abbandonato?
Il S.I.M. si andava riorganizzando ma, per la lunghezza dei collegamenti, non poteva fornirci notizie esatte e precise. Impressione nostra era che i tedeschi intendessero ormai presidiare tutte il terreno tra le Statali 28 e 20 allestendo fortificazioni, organizzando una linea di difesa. Tutta la zona della V^ Brigata e metà del territorio della I^ sarebbe diventata retrovia del fronte con la conseguente impossibilità per noi di operarvi, almeno secondo i metodi fino ad allora seguiti. Rimanevano liberi i territori della IV^ Brigata e quelli tra la 28 ed il mare. Abituati da mesi ad operare in territori abbastanza vasti ed impervi, eravamo quasi tutti dubbiosi sulle possibilità di quella zona. Avevamo già adottato uno schieramento ad est della 28 dal 4 al 9 agosto, ma avevamo dovuto ritirarci subito.
Sarebbe stato troppo facile al nemico attaccarci per le numerose carrozzabili che attraversavano le vallate, mentre le possibilità di difesa manovrata o sganciamento erano minime per la ristrettezza della zona. Se non fossimo tornati in Liguria che avremmo potuto fare? Potevamo spostarci più a nord, nelle Langhe ed unirci alla Divisione Garibaldina.
Chiedemmo anche alla Divisione Bevilacqua, che operava sopra Savona, se avremmo potuto mandare qualche banda nel suo territorio.
Era però evidente che, passando in altra zona, avremmo avuto un clima più duro, un terreno sconosciuto e in più l'influenza di un altro comando.
Il Comando restò indeciso, per il momento saremmo rimasti in Val Corsaglia ad equipaggiare gli uomini, poi qualche fatto nuovo avrebbe potuto risolvere il problema per noi. Attraverso Ormea, che i tedeschi non presidiavano stabilmente, riuscimmo intanto a stabilire un contatto abbastanza frequente con le bande rimaste in Liguria inviando loro viveri e vestiario.
Quale era intanto il morale degli uomini? Come avrebbero accolto l'idea di un ritorno in Liguria? Era ancor viva la volontà di lotta? Era il problema che si ponevano molti del comando. In quale misura il destino della Cascione sarebbe dipeso ormai dalla nostra volontà?
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 15-16

venerdì 12 aprile 2024

La recluta partigiana non conosceva ancora il comandante garibaldino


Ripassando con la memoria davanti all'ingresso dell'Hotel Eletto [a Sanremo], non posso fare a meno di pensare a quel giorno del dicembre 1944 quando ne uscii prigioniero, affiancato da un Brigadiere della Milizia dai corti capelli rossicci e dal viso butterato, che mi sorvegliava con due occhi freddi e duri, la mano sulla pistola. Preceduto da Pelucchini, che teneva negligentemente il mitra nella mano destra, e seguito da Gin Mano Nera (un mio lontano parente) che mi seguiva di qualche passo, con uno sten spianato. Quel lontano, grigio giorno di tanti anni fa, pensai che quella era l'ultima passeggiata che facevo in Via Vittorio [n.d.r.: oggi Via Matteotti].
Franco Giordano, Le historiae del Contahistoriae, Sicle Int. Ed., 2001, p. 250

Caro Baban Rossi... Dalla figura piuttosto corpulenta, dalla notevole forza fisica (alzava le valigie come fossero vuote) ma dal grande cuore! A TE io devo la vita.
Quando negli anni bui della Guerra fui catturato dai fascisti che mi portarono dal Maresciallo Rossi, capo dell'U.P.I. (Ufficio Politico Investigativo) per essere interrogato e torturato. Grazie a TE, io sono vivo. TU salvasti la Mia Vita. Io, purtroppo, non riuscii a salvare la TUA (come spero di poter narrare in un'altra mia Historia).
Franco Giordano, Op. cit., p. 43

In conclusione IO... fui l'unico ad andare in Montagna!
I primi di giugno del 1944, partii all'alba, mentre ancora tutti dormivano, lasciando un breve messaggio, promettendo di mandare al più presto mie notizie. Con sulle spalle uno zaino (residuato di guerra) nel quale avevo stipato un po' di biancheria personale e da toeletta; due paia di cazoni (uno lungo ed uno corto), due camicie, due maglioni, un berretto, il tutto sormontato da una coperta (militare anch'essa) saldamente allacciata allo zaino mediante speciali cinghie, previste ad hoc. Dopo aver raggiunto il nascondiglio del fucile e degli sarponi li calzai, mettendo nello zaino le leggere pantofole di gomma nera (autarchica), che usavo abitualmente per il bosco.
Col moschetto sulla spalla destra, lo zaino sulla schiena, le cartucce dentro due giberne ed  un pugnale alla cintura, avevo veramente un'aria da grande e terribile GUERRIERO!...
Non bisogna, soprattutto, dimenticare che l'insieme era trasportato dai due enormi, magnifici scarponi.
Raggiunti i "Termini di Baiardo" imboccai la mulattiera quasi pianeggiante che conduce a questo Villaggio. Giunto nelle sue vicinanze presi attraverso i boschi, per evitare un incontro e con qualche fascista o tedesco. Memore delle istruzioni dal Ten. Rico. Malgrado che, in quel periodo, tedeschi e fascisti si tenessero piuttosto bassi, facendo solo qualche rastrellamento, di tanto in tanto, con gran spiegamento di forze.
Rinfrescatomi ad una fontana di cui conoscevo l'ubicazione (fin da bambino facevamo passeggiate nella zona) mi accorsi che avevo pensato a tutto l'equipaggiamento, salvo che alle vettovaglie. Infatti camminavo ormai da qualche tempo e cominciavo a sentire i morsi della fame. Accelerai quindi l'andatura per raggiungere al più presto l'accampamento del Cap. Umberto, nella zona di Monte Ceppo. Quando, all'improvviso, sentii una voce provenire da un cespuglio, da cui faceva pure capolino la canna di un'arma: "Dove vai con tutta questa fretta"?
Io rimasi impietrito. Paralizzato dalla paura. Col fucile in spalla, impigliato nelle cinghie dello zaino,... e scarico!
Dopo qualche tempo, vedendo che il mio interlocutore non manifestava intenzioni ostili, mi avvicinai, cautamente, al cespuglio, onde vidi un uomo con in testa un basco nero, vestito con una giacca a vento ed un paio di calzoni grigi, mollemente seduto contro una roccia. Che aveva uno Sten sulle ginochia. Un uomo non molto alto, da quel che potei giudicare, figura snella e dal colorito piuttosto pallido. Con un viso secco, duro, spigoloso, illuminato da due occhi azzurri, dal bagliore e dalla freddezza dell'acciaio, che ti frugavano dentro. Denotando una personalità forte e decisa.
Dopo esserci presentati a vicenda, appresi che si chiamava Vitò e che aveva 29 anni. Al che gli dissi con la mia solita faccia tosta: "Sei vecchio! Ed hai anche un'aria piuttosto malandata! Cosa te l'ha fatto fare di venire in Montagna? Posto per i giovani!"
Lui, pazientemente, mi spiegò che era pastore di mestiere. Che era di Loreto. Che i Tedeschi avevano distrutto il suo villaggio ed ucciso le sue capre. Lui quindi, non avendo altra risorsa, aveva scelto la Montagna. Divise con me una pagnotta con un pezzo di formaggio, che io letteramente divorai. Mi spiegò che ci trovavamo nella zona della Punta della Ventosa e che il Gruppo del Cap. Umberto si trovava un po' più in basso, vicino alla Fontana delle Beulle.
Dopo avermi salutato cordialmente ed augurato "Buona Fortuna" per la mia vita da Partigiano che avevo appena iniziato, scesi verso le Beulle, seguendo le sue indicazioni. Giunsi infine all'accampamento del Cap. Umberto dove venni  accolto e festeggiato da molti amici e compagni di Liceo: i Fratelli Maiga (Pippo ed Emilio), Massimo Porre, Renzo Barbieri (Il Bigi), Lio Rubini (Fin Feretu), i Fratelli Rovere (Giuseppe e Bruno), i Fratelli Calvino (Italo e Flori), Giannetto Pigati e tanti altri che non riuscii neppure a vedere. Tanta era la fame, che mi attanagliava il ventre, offuscandomi la vista. Ricordo oggi il sapore delizioso di una gavetta piena di sugo, con dentro qualche pezzo di pecora, nella quale inzuppai una pagnotta di pane raffermo.
Messo tranquillo lo stomaco, cominciai a chiacchierare con gli amici della personalità del Cap. Umberto.
[...] Chiacchierando, raccontai lo strano incontro che avevo avuto con un certo Vitò, un pastore diventato Partigiano, e la paura che avevo avuto, oltre agli apprezzamenti che avevo fatto su di lui, la sua età e il suo aspetto piuttosto malaticcio.
Al che i miei amici si misero a ridere, pregandomi di non raccontar loro delle "pagnotte". Siccome io, offeso, insistevo, mi dissero "non cercare di farci credere che Vitò, il Comandante dei Garibaldini della Quinta Brigata, il Leggendario VITO', eroe, reduce della Rivoluzione Spagnola, è venuto a darti il benvenuto. Solo, lontano da Carmo Langan, sede del suo Comando".
Mentre stavamo parlando, segnalata dalle sentinelle, vedemmo scendere e venire verso di noi una pattuglia di Partigiani, con in testa Vitò (al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo), il quale venne verso di me e, sorridendo con quel sorriso dolce e un po' triste, mi chiese se avevo ritrovato gli amici. Accortosi che "mi vergognavo come un ladro" per gli apprezzamenti avventati e gratuiti che, stupidamente, avevo fatto su di lui, mi mise generosamente a mio agio prendendomi un po' per il sedere... Spiegandomi che la sua Pattuglia era rimasta nascosta attorno a noi per tutto il tempo della nostra chiaccherata e del mio avvicinamento... Annunciato, centinaia di metri prima, dai miei scarponi con un rumore da...
CARRO ARMATO!!!
Franco Giordano, Op. cit., pp. 97-101

venerdì 22 marzo 2024

Il Professore, traditore dei partigiani della Divisione Cascione

Upega, Frazione di Briga Alta (CN). Foto: Mauro Marchiani

Mario [Carlo De Lucis] era commissario della I Brigata, ma lo rimase ancora per poco: ai primi di novembre [1944] vennero formati i nuovi quadri. I resti del comando della Cascione stavano affluendo a Fontane [Frazione del comune di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo] cercando penosamente di ricostruire servizi, uffici, organizzazione, ma ormai dopo il colpo di Upega era impossibile tornare ad essere quelli di una volta. Oltre al materiale perduto mancavano gli uomini e la volontà. Curto [Nino Siccardi: in quel periodo comandante della Divisione "Felice Cascione"], arrivato dalla Liguria, provvide alle nuove nomine. Il posto di commissario della Cascione, dopo la morte di Giulio, passava a Mario. Vicecommissario diventa Miliani, già capo dell'Ufficio Agitazione e Propaganda della I Brigata. Cion [Silvio Bonfante], vicecomandante della Cascione, viene sostituito da Giorgio [Giorgio Olivero]. La Divisione ha quindi Curto e Giorgio, Mario e Miliani. Comandante della I Brigata diventa Mancen [Massimo Gismondi], già vicecomandante, la carica vacante passa a Pantera [Luigi Massabò], già capo di Stato Maggiore, il cui posto verrà ricoperto da Pablo, già mio superiore nell'Ufficio Operativo che viene soppresso. Commissario della I diventa Osvaldo [Osvaldo Contestabile] che lascia la V Brigata. Vicecommissario sarà Socrate [Francesco Agnese] che in ottobre, quando era commissario del distaccamento "Rainis", aveva effettuato un brillante colpo di mano sulle caserme di Diano Marina. II posto rimase vacante perché Socrate doveva essere in Val Pennavaira col suo distaccamento e purtroppo le nostre speranze erano infondate: Socrate era morto ad Upega.
[...] Notevole importanza poteva invece avere la soppressione del tribunale divisionale essendo venuto a mancare il suo capo: Prof. [Giuseppe Della Valle]. Prof. era uno strano individuo: professore di lingue orientali era stato liberato dalle carceri di Oneglia assieme ad ottanta altri detenuti politici. Perché era in carcere allora? Credo che nessuno avesse mai indagato seriamente. Si diceva per traffico di sterline o perché fosse ebreo, poi fu detto che fosse stato confidente della polizia con l'incarico di ottenere le confidenze dei detenuti. Da allora era rimasto sempre con noi ché, per la sua età avanzata, non gli avevamo affidato incarichi di combattente. Della sua opera di giudice nessuno aveva mai avuto a lamentarsi. Ricordo poco Prof.: non era figura di primo piano. Mi sono rimasti impressi solo due episodi in cui ebbi modo di rendermi conto che era intelligente ed abile. A Piaggia fui presente ad una discussione tra lui ed il maggiore Elio. Mentre quest'ultimo sosteneva che in teoria non meritassero la morte coloro che, iscritti al partito Fascista Repubblicano, non appoggiavano materialmente la Repubblica, Prof. sosteneva che l'appoggio morale, concretato nell'iscrizione, era a suo parere sufficiente, poiché l'iscritto si rendeva complice e corresponsabile, dava esplicitamente la sua approvazione a quanto si faceva contro di noi, diventava: «Un anello della catena che ci soffoca».
L'altro episodio era l'obiezione fatta a Boris [Gustavo Berio] dopo una conferenza di quest'ultimo sul Comunismo, tenuta una sera a Piaggia al Comando della Cascione. Boris aveva sostenuto che nei Paesi capitalistici non vi è vera libertà di stampa perché pubblicare un giornale costa cifre enormi che solo i capitalisti possono spendere. I giornali operai vengono sistematicamente eliminati dalla concorrenza non avendo fondi per i servizi speciali eccetera.
«Sei giovane e certe cose non le puoi ricordare, - gli disse Prof. - ma noi non possiamo dimenticare quello che hanno saputo fare con i loro pochi mezzi i giornali socialisti prima del 1922».
Ricordo un caso di giustizia partigiana che era presentato in quei giorni, ma non ricordo la parte che vi ebbe Prof.
A Fontane i borghesi avevano riconosciuto in un garibaldino un ex rastrellatore di Val Casotto. Il caso era grave. Indubbiamente molti militari repubblicani erano venuti con noi tra maggio e settembre e nessuno aveva mai indagato sul loro passato: se c'era qualche macchia la vita sui monti l'avrebbe riscattata. Il movimento partigiano era un po' come una legione straniera, ognuno era giudicato per il suo presente. Questa però non era né una consuetudine né tanto meno una legge, era solo una conseguenza della mancanza di accuse dirette, ora all'accusa si aggiungeva la confessione: il partigiano aveva ammesso che nel marzo 1944 era salito in Val Corsaglia con i repubblicani a rastrellare. Era stato costretto a farlo, ma ciò a noi importava poco, i fatti commessi comportavano la pena di morte. Vennero interrogati i suoi superiori: «E' un buon ragazzo - risposero -,  è in banda da molti mesi ed ha fatto sempre il suo dovere».
Il comando restò incerto, poi decise di trasferire l'accusato in altra banda: era bene sottrarlo all'ambiente dove ormai si era fatto degli amici e far sì che i civili, che lo conoscevano, non lo vedessero più, avessero l'impressione della sua eliminazione. Il nuovo capobanda fu avvenito del passato del suo nuovo combattente [...]
Era Prof. la famosa spia che per mesi era stata l'incubo della Cascione? Ritenemmo di sì, ma solo il futuro ci avrebbe dato conferma. Se avessimo colpito giusto, il nemico avrebbe mancato d'ora innanzi di informazioni precise ed il comando non sarebbe stato attaccato con tanta sicurezza come a Villa Talla e ad Upega. Prof. per il suo incarico aveva una grande libertà di movimento e la possibilità di avere notizie esatte e precise; rimase però un mistero come potesse avvertire tempestivamente il nemico, poiché il metodo postale scoperto dall'accusa era puerile ed inefficace perché il servizio postale era da mesi inesistente in tutti i paesi dell'entroterra. Se era realmente colpevole doveva pertanto avere dei complici volontari od inconsci cd era nostro interesse scoprirli. Deplorai pertanto che fosse stato soppresso senza un regolare interrogatorio in modo da poter andare più a fondo in tutto il problema. (*)
Soppresso Prof., formati i nuovi quadri, prendemmo contatti ed accordi con le formazioni badogliane che avevano stabilito posti di blocco su tutte le carrozzabili che portavano nella nostra zona.
Notammo subito una diversità di stile fra i nostri capi ed i loro. Forse anche i badogliani usavano pseudonimi, in tal caso però erano meno strani e coloriti dei nostri. Al nome nelle lettere e nelle presentazioni usavano premettere il grado: tenente, capitano, maggiore invece che l'incarico: commissario, comandante, vicecomandante. Immediatamente Mancen, Pantera, Giorgio fecero uso dei gradi creati a Piaggia diventando maggiori e colonnelli.
(*) Dal 3° volume della «Storia della Resistenza Imperiese» [Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977] apprendo che il sottotenente Otto Trostel delle SS, passato ai partigiani il 24 ottobre, ci informò che Prof. era in contatto con i tedeschi. La moglie, arrestata a Carpasio dalla IV Brigata, prima di essere fucilata, inviò a Prof. una staffetta con una lettera dove aveva scritto: «Stai attento, la Questura ti cerca».
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 19-22

mercoledì 13 marzo 2024

L'indimenticabile medico dei partigiani, uomo di Isolabona

Fonte: trucioli.it

Mi accingo, con commozione, a parlare di un argomento che mi sta tanto a cuore e penso commuoverà anche voi. Parlare di sanitari, ospedaletto da campo è come dire "Pavia".
Il 24 agosto 1944 nell'ospedaletto da campo veniva effettuato il cambio di guardia. Il dott. Pigatti, che aveva come collaboratore un suo figliolo, studente universitario in medicina, lasciava la direzione dell'ospedaletto della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” e gli succedeva “Pavia”.
Pavia era il nome di battaglia del nuovo medico, Leo Anfosso, nato e residente a Isolabona. Studiava nell'università di Pavia, dove avrebbe dovuto essere alunno del quinto ed ultimo anno di medicina.
Giovane entusiasta e socievole, gioviale e scherzoso, portava serenità ed entusiasmo in ogni ambiente che frequentava.
Il suo non era un agire da daddolo, ma si dava da fare veramente. Capiva che doveva diventare un distributore di dande, cinghie che sorreggono i bambini quando imparano a camminare e guidarli nelle evitabili sorti delle battaglie. Oserei perfino dagli del dandismo per la sua elegante e raffinata capacità di aiutare senza mai umiliare. Ai per forza debosciati feriti, decrepiti per momenti di scoraggiamento darà il sorriso, la fiducia, la gioia di riprendere nella vita. Nel deflagare della guerra, nel colpo debilitante di una pallottola il combattente potrà cadere in deliquio, subire uno svenimento, ma sarà lui, Pavia, a ridargli quella energia che lo riporrà sul fronte, in prima linea. Tra i partigiani la ferita non significava imboscamento, ma solo pausa in attesa di una pronta ripresa del combattimento, fino alla dedizione assoluta. Il riparatore delle ferite era Pavia, il giudice inappellabile della ripresa.
L'estate del 1944 fu un periodo di continui rastrellamenti. Per ragioni di protezione e di sicurezza l'ospedaletto fu trasferito in Piemonte a Valcona. Luogo un po' scomodo. Non appena fu possibile, nell'autunno, fu riordinato nei luoghi vicini ai reparti combattenti. Si stabilì a Drondo una frazione del Comune di Triora e successivamente a Bregalla, altra frazione dello stesso comune.
Un "casone" a due piani era l'ospedaletto. Preparato con mezzi raccimolati un po' ovunque e reso funzionale e sicuro da Pavia con rinforzi cautelativi. Forse mancava di quella igiene e pulizia di un moderno ospedale. Ma si sa che gli angeli Custodi dei militari allontanano una infinità di pericoli e soprattutto le infezioni.
Il C.L.N. di Sanremo provvedeva le medicine. Assiduo e generoso fornitore era il farmacista Marco Donzella. E vi è anche una curiosità da non lasciare in oblio. Per mirabili o misteriose vie i medicinali e materiale sanitario provenivano dalle caserme dei militari e anche dei repubblichini. Più tardi, quando gli americani inizieranno i loro lanci, i medicinali saranno abbondanti.
Trattamento degli ammalati
I malati ricoverati venivano divisi in tre reparti. Nel primo vi erano gli immobilizzati, nel secondo i feriti che potevano camminare, nel terzo gli ammalati che dovevano tenere il letto.
Tale divisione di ammalati si rese necessaria per un più veloce smistamento dei degenti nelle grotte delle montagne, qualora si presentasse il pericolo di un rastrellamento da parte dei nazi-fascisti. Farsi scoprire da loro significava essere uccisi.
Per i feriti gravi, quando occorreva un consulto, la visita di uno specialista, si ricorreva, quando lo si trovava, perchè anche lui era braccato dai nazi-fascisti, al prof. Moro di Castelvittorio, o al dott. Rinaldo Ferrero di Pigna e medico condotto a Triora, o al dott. Natta di Imperia. Qualche rara volta ci si rivolgeva al Dott. Martini che era medico capo della Divisione I^ “Felice Cascione”.
Ma il nostro Pavia faceva veramente miracoli. Certo che le distanze imponevano sacrifici e tempo. Talora era dispensabile una medicazione pronta, fatta dal vicino che più aveva coraggio di farla.
Io per esempio, ricordo di essere intervenuto a Langan per medicare un ragazzo dilaniato da una bomba a mano scoppiategli tra i piedi, per uso imprudente.
Ed Erven, che assistette, medicai ed anche intervenni quasi chirurgicamente, nei casoni sopra Cetta.
E Toscano, a cui incisi una caviglia sul piazzale di Cetta per tumefazione pericolosa e gli estrassi schegge dalla ferita. Fu drammatico il sistema di addormentarlo per non farlo urlare. E vedremo altri casi nel corso di questa narrazione.
Pronti per il nascondiglio
Nell'ospedaletto da campo tutto era predisposto per lo spostamento veloce. I rastrellamenti erano frequenti e massicci. Le scorte avanzate davano in tempo l'avviso dell'arrivo delle truppe nazi-fasciste. Nei luoghi più impensati, lontani dalle strade e dai sentieri di collegamento, vi erano grotte e buche ben nascoste. I feriti e gli ammalati venivano trasportati in gran fretta fino ad un certo punto. Poi erano lasciati alla cura esclusiva di Pavia. Egli non voleva assolutamente che nessuno sapesse dove nascondeva i suoi feriti e gli ammalati. Lui stesso se li caricava sulle spalle e li portava alla destinazione da lui voluta. Non voleva che succedessero inconvenienti ed evitare cattive sorprese. Eravamo in guerra ed ogni ombra, ogni indizio potevano essere e rappresentare un pericolo.
Pavia faceva il giro dei suoi pazienti, portando loro viveri necessari e le prestazioni mediche indispensabili. Naturalmente ci furono casi di feriti e di ammalati gravi. Nessuno però morì. Furono gli interventi del medico? Fu l'aiuto del Buon Dio? Fu la tenace speranza degli ammalati, il loro desiderio intenso di vita? Tra i feriti voglio ricordare in modo particolare Erven, il Vice Comandante onorario della Brigata. Dopo tante battaglie, in un attacco contro i tedeschi, verso Baiardo, veniva ferito gravemente alla coscia destra. Gli si era tagliato il nervo sciatico. Quanta cura ebbero i suoi compagni! Quante ne ebbe da tutti! Prima però che potesse essere portato in un luogo sicuro per vere medicazioni, passarono giorni e settimane. Eravamo nel giugno del 1944. Portato in un "casone" sopra Cetta, gli prestai, come dissi, io le prime cure. Finalmente il Prof. Moro di Castelvittorio, potè essere pronto nell'ospedale di Triora per l'intervento. Ma un'ora prima venivano a far visita alla nostra zona per un rastrellamento, i tedeschi, in gran numero.
Era il 3 luglio 1944 quando Triora fu data alle fiamme. Mi sovviene la figura di Nerone, ma un bel tacere è cosa pia. Il povero Erven veniva trasportato, di corsa sul monte Truno, sopra Triora e lasciato sotto le stelle. C'era un rudere di un "casone" ma era senza tetto. Unico sostentamento fu un po' di latte e acqua. La rifornitrice coraggiosa fu la signorina Antonietta Bracco abitante nella frazione di Triora, Bregalla. Volontaria infermiera dell'ospedaletto, a rischio continuo della sua vita, saliva sul monte due volte al giorno per dire una parola buona al ferito, solo con Dio e braccato dagli uomini.
Terminato il rastrellamento lo recuperò Pavia nel suo ospedaletto, spesso volante.
Mentre descrivo sento un brivido passarmi per la schiena ed una commozione che mi fa lacrimare, pensando agli uomini e agli avvenimenti. La vita del medico Pavia era travagliatissima, il lavoro snervante e nelle condizioni le più assurde.
Enormi distanze da percorrere tra un distaccamento ed un altro. Non c'era la possibilità di riposare. La popolazione dei paesi che si trovavano nella zona di operazione avevano in Pavia l'unico medico, ed era l'unica speranza per gli ammalati. Nelle sue continue peregrinazioni da un luogo all'altro, entrava nelle case dei borghesi a visitare ammalati, a distribuire medicine, a dare una buona parola, un sorriso ed una barzelletta che sapeva raccontare egregiamente. Poi subito via per un'altra chiamata. Il rischio che egli correva era molto maggiore di quello degli stessi partigiani e dei loro comandanti. In caso di rastrellamento tutti cercavano un luogo al riparo, mentre lui non poteva lasciare i suoi pazienti. Nell'ottobre del 1944 i tedeschi erano venuti a piantare le loro tende a circa 10 metri dove lui aveva nascosto i suoi. Nessuno ha mai parlato diffusamente del suo eroismo. Fu lui che mi raccontò che, terminato il pericolo, ricomponeva il suo ospedaletto e sereno e sorridente continuava la sua missione. Così, semplicemente così. Voi che mi leggete e che eravate alle cure di Pavia potete e dovete riconoscere il suo senso del dovere fino al sacrificio.
Quando morì, io ero al suo letto, ne composi la salma. Moltissimi di voi eravate presenti al suo funerale. Fu un trionfo, non un corteo funebre. Quando terminai di celebrare la messa nella Chiesa del cimitero, e ne era passato del tempo dall'inizio del corteo, continuavano ad arrivare le automobili del seguito. Sua moglie mi chiese come mai io non piangessi. Il dolore profondo è muto.
Mi sia consentita qui una parentesi sincera. Per una ragione, forse anche spiegabile, tra i partigiani si era formata una forte reazione contro gli ufficiali aggregati e loro stessi partigiani. Il bisogno di un nuovo mondo vedeva nei graduati dell'esercito, una forma di conservatorismo, di tradizione. Una larvata minaccia di anarchia soffiava nel fuoco del malcontento e cercava vittime. I concetti e gli avvertimenti di Vitò cacciarono la terribile dea infernale Aletto nella sua sede. Gli ufficiali si dimostrarono poi degni di essere chiamati a posti di comando. Furono i primi a prestarsi come barellieri ed infermieri alle dipendenze di Pavia.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Oltre 70 persone ieri hanno preso parte alla inaugurazione dell'Ostello Leo Anfosso di Carpasio. Un luogo che ha una storia particolare e rinasce grazie a Katiuscia Vivaldi e Jacopo Siffredi (che abbiamo intervistato), con una forma ritrovata dopo un lungo periodo di chiusura e con l'intento di ricordare una persona importante per la valle Argentina.
Parliamo di Leo Anfosso, meglio conosciuto come 'U megu Leu'. Medico condotto e anche partigiano (nome di battaglia, Pavia, dal luogo di studi). Un uomo buono, innamorato di questa terre e della sua gente, territori per i quali lottò e persone che aiutò (anche economicamente) in un periodo difficile, in cui molte famiglie si trovavano nell'indigenza. Gli episodi che videro protagonista Anfosso ne hanno fatto un protagonista della storia di questo entroterra una persona il cui ricordo è ancora oggi, caro a molti.
[...] Tra i partecipanti all'inaugurazione c'era Gipo Anfosso, il figlio del Medico Leo, che alcuni anni fa per ricordare la storia del padre scrisse "Io ricordo tutto", libro che ha fatto capolino all'Ostello portato dallo stesso autore che ha condiviso con noi alcune emozioni per questa inaugurazione. "C'era proprio una bella atmosfera. Ho visto tante persone venute per l'evento e venute anche per ricordare mio padre che è morto 57 anni fa. Mi ha fatto piacere vedere come il ricordo di lui sia ancora molto vivo" racconta con una certa emozione Gipo Anfosso.
[...] "Domenica con questa celebrazione abbiamo commemorato il passato con qualcosa di concreto che servirà per il futuro, l'Ostello. Sono molto felice e soddisfatto per l'impronta data da Katiuscia. È un posto che ricorda i valori cari a queste terre dell'antifascismo e si apre all'ospitalità e alla cultura con l'intenzione di organizzare eventi culturali e non solo. Anche nelle scelte stilistiche emerge l'amore per la natura, altra grande passione di mio padre". [...]
Stefano Michero, Carpasio: inaugurato l'Ostello Leo Anfosso. Il figlio Gipo: "Sarebbe piaciuto molto a mio padre"la voce di Imperia.it, 29 agosto 2023

giovedì 7 marzo 2024

Dopo circa 5 ore di attesa venne avvistato un camion pieno di soldati tedeschi e fascisti

Uno scorcio di Castelvecchio di Imperia

[Durante la battaglia di Carpenosa del 30 giugno 1944] iniziò una serie di attacchi [nemici] più volte respinti e rinnovati che portarono gli uomini [32 garibaldini del 4° distaccamento] di Gino [Napolitano] ad esaurire in breve tempo le munizioni.
Per loro fortuna le sorti del combattimento furono modificate proprio quando sembravano decise a favore del nemico - dalle mitragliatrici pesanti e dal mortaio da 81 tempestivamente impiegati dagli uomini del 5° distaccamento guidato da Ivano [Giuseppe Vittorio Guglielmo] e da Erven [Bruno Luppi] che - avvertiti da una staffetta inviata a Cima Marta all'inizio degli scontri - giunsero alle 18 sorprendendo i tedeschi e costringendoli a ritirarsi.
Inseguiti dal reparto di Nettu [Ernesto Corradi] -  unitosi nel frattempo alla lotta - i tedeschi riuscirono a risalire sugli automezzi dopo aver fatto saltare un tratto di strada alle loro spalle: entrati in Carpenosa verso le 21 i partigiani calcolarono le perdite nemiche in circa 80 tra morti e feriti, su 600 attaccanti.
I positivi risultati ottenuti anche in questi scontri frontali non modificarono tuttavia la linea generale dell'offensiva partigiana che giustamente continuò a considerare come elemento principale della propria condotta di guerra l'azione di sorpresa, effettuata da piccoli nuclei ben armati in grado di spingersi all'interno dello schieramento nemico e di disimpegnarsi rapidamente dopo aver colpito gli obbiettivi.
Un esempio classico di questa tattica (comune a tutte le formazioni liguri) ci viene offerto dalla imboscata tesa il 28 giugno sulla statale 28 - a 3 Km. dal mare - da una squadra di 5 uomini del 10° distaccamento, comandati da Folgore [Umberto Cremonini] e da Nando [Fernando Bergonzo].
L'obbiettivo era stato segnalato da informatori di fondovalle i quali avevano recato a1 distaccamento la notizia che ogni giorno il generale tedesco comandante delle forze di presidio nella zona percorreva in auto la 28 per ispezionare i reparti dislocati nella vallata.
L'appostamento venne fissato in prossimità di Sgureo [Sgorreto], tra Castelvecchio e Pontedassio, su una ripida parete a strapiombo sulla strada; la marcia di avvicinamento - effettuata con molta circospezione - consentì di eludere i presidi ed i blocchi nemici che si frapponevano all'obbiettivo. Sul posto, gli uomini vennero disposti in punti ben occultati da cui fosse facile attendere senza scoprirsi e dominare un lungo tratto della carrozzabile.
Dopo circa 5 ore di attesa venne avvistato un camion pieno di soldati tedeschi e fascisti, che non ubbidendo all'intimazione dei partigiani tentò di accelerare l'andatura per portarsi fuori tiro: un nutrito lancio di bombe a mano lo centrò in pieno provocandone l'arresto e colpendo numerosi soldati nemici.
Gli uomini di Nando e Folgore ebbero appena il tempo di scendere la ripida scarpata per impadronirsi delle armi automatiche nemiche e sparare su alcuni fuggiaschi, quando sopravvenne l'automezzo del generale costringendoli a risalire rapidamente il pendio.
Per vendicare la morte di 7 soldati germanici caduti in quella azione l'alto ufficiale dispose subiro la mobilitazione di una colonna con autoblinde e mortai che invano aprì il fuoco contro la squadra partigiana in ritirata.
La rappresaglia infierì allora contro il paese di cui vennero incendiate le case e prelevati 20 ostaggi tra la popolazione. <21
A fine giugno - malgrado l'intensificarsi delle puntate offensive germaniche e fasciste - la pressione partigiana era diventata notevole: la IX Brigata occupava Triora, Molini di Triora e Badalucco liberando una vasta zona della Valle Argentina da cui i nemici si erano ritirati dopo aver fatto saltare due ponti presso Taggia e distrutto la Chiesa degli Angeli in Badalucco già adibita a deposito di armi e munizioni.
21 Unico aspetto negativo di questa operazione: la scelta della località per l'imboscata; i partigiani ignorarono - o non ne tennero conto - le precise direttive del Comando Generale: «si devono evitare i combattimenti e le imboscate nei villaggi per evitare nei limiti del possibile le rappresalie» (testuale, orig. dep.).
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 255,256

venerdì 23 febbraio 2024

Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania

Lingueglietta, Frazione di Cipressa (IM)

In un mattino nebbioso del 17 gennaio 1945 un numeroso gruppo di fascisti perlustrava le campagne di Prelà. Secondo alcune fonti si sarebbe trattato di Cacciatori degli Appennini, secondo altre della compagnia operativa della G.N.R. del tenente Ferraris. Probabilmente l’azione fu condotta da entrambi i reparti. In due casoni posti ad una certa distanza avevano trovato ristoro per la notte alcuni uomini della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione". In un casone sopra Canneto, di fronte a Tavole, si stavano riposando Carlo Montagna Milan, comandante della Brigata [nato a Voghera il 16 agosto 1911, protagonista di numerose azioni, fra le quali spicca quella del 19 luglio 1944, la liberazione dei detenuti politici dal carcere di Imperia Oneglia], Gaetano Sibilla Ivan, Angelo Perrone Bancarà o Vinicio, vicecomandante della brigata, Sebastiano Acquarone Alpino e Ferrero Staffetta Gambadilegno. In un altro casone più in basso sostavano Mario Bruna Falco, commissario della Brigata, Luigi Peruzzi Luigi ed altri uomini. I fascisti intravvidero nella nebbiolina un uomo armato, che sembrava stesse facendo la sentinella. Spararono senza avvertimento e colpirono, uccidendolo, Angelo Perrone. Gli altri partigiani, intese le raffiche, fuggirono in direzione della cresta della montagna, che però era già stata occupata dai nemici. Ritornarono allora sui propri passi infilando il Vallone di Villatalla dove trovarono altri repubblichini in agguato che al loro avvicinarsi spararono. Montagna e Acquarone vennero colpiti a morte. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020

Faceva parte del distaccamento nemico, responsabile dell'informazione, il sergente Zeffiro Zara, che era anche membro della Guardia Nazionale Repubblicana di Sanremo. Le cause non si conoscono ma dopo alcuni giorni, lo stesso veniva arrestato, tradotto nel carcere di Imperia, quindi processato come traditore della Repubblica Sociale. Verrà fucilato nella Caserma "Asclepia Gandolfo" il 27 gennaio 1945 perché, "pur continuando a militare nella GNR era capo di una formazione di ribelli". Anche il garibaldino Guglielmo Bosco, catturato verrà fucilato, come vedremo, su Capo Berta il 31 gennaio 1945. Sulla morte dei garibaldini sopra menzionati veniva aperta una inchiesta per constatare se l'ex brigadiere Gastone Lunardi, comandante del Distaccamento "Folgore" della IV Brigata, avesse preso qualche iniziativa sbagliata nel campo della sicurezza. A livello politico, del triste episodio si interessava anche l'ispettore della I Zona Operativa Liguria, Carlo Farini (Simon) <6.
Quello che è accaduto nella Caserma Ettore Muti a Porto Maurizio (Piazza del Duomo), dove era di stanza una parte della Brigata Nera "Antonio Padoan", tra il 15 ed il 31 gennaio, ce lo racconta uno degli arrestati, Giovanni Piana, di Oneglia, il quale ci spiega che in quel tempo la costruzione adibita a caserma aveva tutte le caratteristiche deteriori di una spelonca:
"... Tutto vi era in disordine e brutti ceffi presidiavano e volgari sghignazzate e canzonette da lupanare giungevano alle due fetide celle del pianterreno dove rimanevano sprangati i vigilati. Il grosso dei nostri arresti avvenne tra il 15 ed il 31 gennaio del 1945. Le azioni di rastrellamento erano state compiute quasi tutte alla periferia della città, dove ci aveva sospinto lo sfollamento, con improvviso e numeroso impiego di brigatisti neri che penetravano nelle nostre case lasciandovi i segni di una educazione che le nostre famiglie, più di noi stessi, tuttora ricordano. Poi ci intruppavano, preferibilmente di notte, e ci conducevano alla caserma cantando con la sguaiatezza degli avvinazzati i "gloriosi inni del regime", e ci buttavano nelle celle come sacchi di palate. Non dico come ci dovessimo aggiustare in ognuna di esse dove lo spazio bastava appena a contenerci e la umidità che da quelle sporche mura trasudava e l'umiliazione a cui eravamo costretti per i nostri bisogni corporali, e la bestialità del trattamento di cui erano capaci gli aguzzini nelle loro truculenti visite e come la scabbia diventò un tormento della nostra cute cui finimmo per abituarci. Ricordo ancora molti dei compagni di clausura: Armando Filié che un "eroico" tenente non cessava di definire provocatore; Pietro Gazzano, il capitano, che avevo conosciuto tanti anni prima nell'organizzazione dei giovani socialisti e che si spense qualche anno dopo nella natia Coldirodi. Raffaelluccio Languasco di frequente in fase di malinconia pensando alla moglie ed al piccolo Giustino. Rinaldo Torelli arrestato in cambio del fratello Gigetto, riuscito ad allontanarsi per tempo. Ernesto Carli contro il quale si era dato peso allla sciocca accusa di un ragazzo deficiente che egli aveva sempre beneficato. Carlo Dellepiane prelevato una brutta mattina di buonora e condotto alla fucilazione sulla strada a mare verso Diano. Piero Panico sempre irrequieto e pensoso. E poi ancora Giuseppe Maccanò sospettato di tenere nascoste armi partigiane nel recinto del cimitero. Carlo Marvaldi, il più giovane di noi, dal morale alto e fermo. Dominici, il vecchio carrettiere che non sapeva nulla di nulla e temeva che gli capitasse qualche brutto imprevisto. E poi Francesco Sasso di Porto, e Novello, piombatoci addosso a suon di nerbate repubblichine poiché si trincerava in ostinati dinieghi sotto l'incalzare delle domande rivoltegli. Fernandez e Roncetti, due graduati della amministrazione carceraria, denunciati dalla famosa "Donna Velata" (Maria Zucco). In un'altra cella c'erano Faustino Zanchi, Salvatore Costa, Vincenzino Di Leo, Tomaso Dominici ed altri. Fino alla Liberazione altri entreranno ancora in queste carceri, altri ne usciranno per essere fucilati. La terribile atmosfera svanirà soltanto il giorno della Liberazione" <7.
[NOTE]
6 Isrecim, Archivi, Sezione II, cartelle, serie T; Sezione I, cartella 36. Vedasi pure Sezione III, cartella 20.
7 Dal giornale "Il Lavoro" del 12 febbraio 1955.

Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 86,87

Durante un rastrellamento nelle campagne di Prelà del 17 gennaio effettuato dalla compagnia operativa della GNR di Imperia comandata dal tenente Ferraris, che costò la vita a Carlo Montagna e Sebastiano Acquarone, venne catturato il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), il quale sottoposto a torture fu costretto a confessare dove si trovava acquartierato il X distaccamento Walter Berio della IV brigata "Elsio Guarrini". Gli uomini di questa formazione, già pesantemente provata dalle perdite subite nelle settimane precedenti, si erano rintanati in un rifugio ritenuto sicuro. Si trattava di un piccolo gruppo, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri”, Vittorio Aliprandi, e “Merlo”, Nello Bruno, si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla, in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro: un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana. I rastrellatori di Ferraris si avvicinarono al rifugio, sicuri che i partigiani fossero in quel punto. Dopo aver ispezionato palmo a palmo il terreno circostante iniziarono a togliere alcune pietre che celavano il rifugio e buttarono dentro alcune bombe a mano. Ormai i partigiani erano in trappola: Vittorio Aliprandi e Nello Bruno si tolsero la vita per non cadere nelle mani del nemico, gli altri nove uscirono dal rifugio con le mani alzate e vennero fucilati in momenti diversi: tra questi Luigi Guareschi (Camillo) il 9 febbraio 1945, Vincenzo Faralli (Camogli) il 9 febbraio 1945, Carletti Doriano (Misar) il 15 febbraio 1945, Giuseppe De Lauro (Venezia) il 15 febbraio 1945. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020

Dopo la prima quindicina del mese di gennaio 1945 gradatamente formazioni della Divisione nemica "Cacciatori degli Appennini" si trasferiscono verso l'estremo ponente ligure. Abbiamo già visto come durante un rastrellamento colpissero gravemente il Comando della IV Brigata "E. Guarini" nel vallone di Villa Talla. Nell'occasione del trasferimento affiggono un avviso che abbiamo ritenuto riportare integralmente poiché ci dà un quadro abbastanza preciso della situazione nella quale vennero a trovarsi i giovani che avevano disertato le chiamate nemiche, abitanti dei nostri paesi del retroterra.
Ecco il testo dell'avviso: "Gruppo Cacciatori degli Appennini. Si avverte la popolazione che il III Battaglione Cacciatori degli Appennini, desideroso di portare la tranquillità e la normalità nella zona, è disposto a venire incontro a tutti coloro che, avendo obblighi militari, hanno seguito consigli di elementi prezzolati del nemico e si sono dati alla macchia. A coloro che si costituiranno entro 48 ore dalla data del'affissione del presente avviso, si garantisce l'incolumità della vita. Contro quelli, invece, che, non avendo accolto questo appello, venissero catturati nel corso di operazioni militari, verrà applicata la legge di guerra. Z.O. 24 gennaio 1945, ore 8 del mattino. Il comandante del Battaglione maggiore Mario Rosa <1.
Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania. Chi fu catturato dopo il termine dell'ultimatum venne passato per le armi.
Consultando ancora il memoriale del Polacchini, di cui abbiamo già parlato, risulta in modo evidente in che situazione si venissero a trovare i partigiani della IV Brigata. I giorni drammatici che ttrascorrono per il I Battaglione sono uguali a quelli del II e del III.
Scrive Polacchini nel suo memoriale: "... Alle prime luci dell'alba del 24 gennaio 1945 saliamo in vetta alla collina, al passo di Lingueglietta. La stagione è primaverile. Ci laviamo con l'acqua di un serbatoio usato per l'irrigazione. Tocca a me e a Renato Faggian (Gaston) andare in cerca di viveri. Decidiamo per Cipressa, ma partiamo imprudentemente in pieno giorno. Nei pressi di un caposaldo due Tedeschi stanno facendo legna in un boschetto. Hanno le armi a portata di mano. Quando ci vedono smettono di lavorare, ci osservano, parlano tra di loro, ma non ci fermano. Non abbiamo armi in vista, ma sotto la giacca le nostre pistole e, in un zainetto, quattro bombe a mano. Noi facciamo finta di niente e non succede nulla. Facciamo ritorno nel pomeriggio con pane, farina bianca, un fiasco d'olio d'oliva ed una vecchia pentola di alluminio. Tutta roba fornita da un tale del CLN. Dopo l'unico pasto quotidiano andiamo a dormire due a due in piccole costruzioni tra i rovi. Siamo visti da gente di Cipressa venuta a raccogliere le olive per cui decidiamo di cambiare ancora luogo di sosta. Ci portiamo sopra Torre Paponi, paese quasi completamente distrutto dai fascisti nel dicembre 1944. Passiamo la notte in una piccola costruzione tra gli ulivi. Al mattino presto io e Giuseppe Conio (Zabù) andiamo a Pietrabruna anche per avere qualche notizia fresca. Apprendiamo dell'avanzata sovietica in territorio tedesco (Prussia e Slesia), così ci rianimiamo un poco al pensiero che la guerra va verso la fine. Torniamo con pane, formaggio e sapone. Facciamo conoscenza con il nostro padrone di 'casa', è un agricoltore di Lingueglietta il quale ci offre del vino...".
Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gamba di legno), del X Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi <2. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[NOTE]
1 Isrecim, Archivio, Sezione I, cartella 96.
2 Dal giornale "La Verità" del 2 gennaio 1946.

Francesco Biga, Op. cit., pp. 88,89

venerdì 16 febbraio 2024

La Resistenza narrata dall'imperiese Osvaldo Contestabile

Illustrazione di Marisa Contestabile. Fonte: Osvaldo Contestabile, Scarpe Rotte Libertà, op. cit. infra

Altro più interessante esempio dei nuovi modi per narrare la Resistenza è lo scritto di Osvaldo Contestabile. Questa volta, si resta nell’ambito della memorialistica. Contestabile ha partecipato alla guerra di Liberazione sulle montagne liguri piemontesi: è stato commissario politico della IV Brigata Garibaldi “D. Arnera”. Laureato in lettere, dopo la Liberazione è stato professore di istituto tecnico, preside di un liceo linguistico, segretario dell’Istituto storico della Resistenza di Imperia e assessore al comune; ha poi collaborato con numerosi quotidiani locali. La realizzazione narrativa della Resistenza fatta da Contestabile diventa interessante se messa in relazione con il suo status di laureato, professore di italiano e giornalista. Tutte queste qualifiche indicano nell’autore una cultura medio-alta, e quindi la padronanza dell’italiano e della scrittura narrativa. Il testo, al contrario, cozza con questa preparazione letteraria di partenza, sin dalle prime pagine.
Si veda come Contestabile descrive il 25 luglio, e l’arrivo del fascismo nelle sue zone: "Il crollo del regime sopraggiunse implacabile quando la cagnara del 25 luglio colse la gente all’improvviso, con coprifuoco di Badoglio che soffocò sul nascere gli entusiasmi. Ma tutto precipitò ancora più presto nella baraonda quarantacinque giorni dopo, coi generali latitanti i fascisti impauriti i tedeschi occupanti e i treni piombati per i lager. Anche inizialmente però l’origine del fascismo qui da noi era stata così, una ventata grigia senza vicende straordinarie, proprio all’usanza locale. Poco prima della marcia qualche giardiniere pigro nella siesta, aveva visto De Bono e De Vecchi quadrumviri tutti pieni di patacche, che in privato rendevano omaggio alla regina madre ormai vecchiotta e un po’ svanita. Era un pomeriggio mite tra le palme e le strelizie di Bordighera dalle parti di Sant’Ampelio dove frange la risacca. Poi, col solito fracasso come dappertutto, eccoti prepotenze voci grosse olio di ricino e manganellate […]. Ma propriamente alla Marcia su Roma - giovinezza giovinezza - i fascisti nostrani col fez e le giberne non c’erano tutti per bene allineati in colonna come quelli della valpadana. Loro se ne rimasero in emergenza in retrovia prendendosela col prefetto poveraccio confinato nel suo appartamento: se ne stesse lì buono buono agli ordini del fascio, guai a reagire". <289
Si nota qui uno stile che salta continuamente dalla retorica spicciola, rubata al bagaglio espressivo della poesia («dove frange la risacca»), all’espressione popolare («la cagnara», «se ne stesse lì buono buono»).
Contestabile usa un linguaggio espressamente basso. Quando vuole essere magniloquente - per esempio, nelle descrizioni di paesaggi e ambienti - sceglie espressioni appositamente stonate. Egli adotta questa tecnica poiché vuole mostrare come parlerebbe un uomo del popolo degli anni ’40, digiuno di cultura.
Se si volesse esprimere in un italiano “corretto” egli ricalcherebbe la vetusta retorica risorgimentale, riproposta come lingua di cultura dal regime fascista, che cozza con l’italiano basso della quotidianità, predominante nel resto del racconto.
Contestabile mantiene uno stile popolare anche al di fuori di queste parti volutamente pesanti poiché il punto di vista e il linguaggio con cui racconta la Resistenza è quello delle persone comuni. Egli interpreta i pensieri della gente di fronte ai primi partigiani: "Eccola lì dunque sta buriana maledetta che adesso è arrivata tutta intera fin nei paesi delle montagne, e ancora più in su. È arrivata fin nelle gole con pietrame pulito dal vento, dove prima si sentivano soltanto i versi dei corvi i tocchi dei campanacci e il belare degli armenti. Adesso in queste vallate lo sanno tutti grandi e piccini che una buriana così non se la schiva più nessuno, perché è una fatalità: nemmeno più i furbastri facendo i ruffiani come al solito coi loro giochi di prestigio riescono a scansarla, perché anch’essi ci sono per la pelle e devono scegliere per forza. O sei di qua o sei di là, non ci puoi stare più in nessun modo in mezzo facendo finta da imboscato; ma in genere, con tutto che c’è sta maledizione in tutti i posti dove vai, la gente si mette subito di qua al posto giusto, e ci resta. Di là si mettono soltanto gli altri che sono diversi, ma non contano niente perché gli altri non sono la gente. Loro sono diversi perché sono contro la gente e tutti lo sanno come sono, punto e basta". <290
Il protagonista predominante in questa parte iniziale del testo è il popolo, che affronta gli eventi del 25 luglio. L’autore ha scelto espressamente questo stile perché è la veste narrativa che permette alla componente popolare della Resistenza di emergere. Contestabile descrive una Resistenza che è stata soprattutto grande movimento di popolo, a cui tutti hanno partecipato, anche se con modi e tempi diversi. Lo afferma proprio in questa pagina: prima o poi tutta la «gente» ha saputo attivarsi e scegliere la parte giusta, cioè lo schieramento partigiano. Chi ha preferito la Rsi è un diverso, uno «contro la gente», «punto e basta». È questa grande coesione popolare che deve colpire il lettore.
Nella prima parte del racconto, la figura di Contestabile non emerge. Solo in alcune parti si coglie tra le righe la presenza del narratore quale protagonista attivo del racconto. Questo avviene quando l’autore si rivolge ad un destinatario imprecisato con un «tu» diretto. In quei passaggi egli non sta interpellando il lettore, come può sembrare: con quel pronome Contestabile parla al se stesso di quegli anni. Nello stralcio precedente si ha un esempio di questa tecnica narrativa: quel «non puoi più stare in nessun modo in mezzo facendo finta da imboscato» non è riferito ad un qualsiasi giovane degli anni ’40. Nonostante il protagonista del suo scritto sia principalmente il popolo, egli racconta la propria esperienza personale adottando una tecnica che gli permette di parlare di sé evitando l’intromissione diretta nella narrazione. Ecco un altro esempio: "Piantala di spiare dalle fessure come un vagabondo la brace nella cenere dei focolari; vattene finché puoi per la campagna pestando la neve; lo sai che tanto non hai più tempo per fermarti da nessuna parte, neve o non neve; ma sta tranquillo che quando non ne puoi proprio più, te lo trovi ancora un posto da buttartici dentro, e ti ci slargherai tra l’erica e i rovi con la coperta; forse di lì non ci passeranno. Adesso la notte è calma e va bene; ma è inutile che te la prendi se verso Ginestro si fatica a camminare con la ramaglia spessa fino al ginocchio; tu devi guardarti davanti se finalmente trovi del pulito per fermarti e fartici un posto da accucciarti con la coperta, ma fermo, sennò guai; devi vedere se tra gli sterpi puoi fartici un posto per riposarti un po’, il resto non conta". <291
Ovviamente, le parti riconducibili alla figura e alle riflessioni del narratore aumentano sempre più man mano che ci si addentra nella dimensione della guerriglia, e si fanno più radi i contatti con la realtà quotidiana e popolare del paese. Anche le riflessioni più personali e profonde - riguardanti la maturazione del protagonista attraverso gli eventi - mantengono la finzione del dialogomonologo tra l’Osvaldo giovane e quello maturo: "Adesso succede che ti guardi intorno e non sai più cosa dire, nemmeno se ti sforzi […]; ma poi ti accorgi chissà perché, come se fosse la prima volta in questa stagione così diversa con le sparatorie ormai inutili, che tu sei cambiato da quello che eri prima di cominciare. Però, adesso non metterti lì a pensare mentre ste cose succedono una sull’altra, tanto è lo stesso: se proprio lo vuoi sapere, te lo dico io cosa t’è successo col passare dei giorni, e tu non te ne sei accorto. È il crescere che ti è capitato tutt’assieme diventando grande da un giorno all’altro, quando subito ti parve un gioco o invece fu incoscienza; o ti ci trovasti impegolato: va a sapere com’è stato in questo modo veloce, con le sparatorie che non finivano mai. Crescendo in tutta la confusione che ti sei trovato, in questo scapolartela che ti pareva impossibile, tu sei diventato grande tutt’assieme, passando dai giorni spensierati ai giorni della guerra; tu sei cresciuto alla svelta andandotene da una parte all’altra, sbattuto di qua e di là, nei boschi o fuori dei boschi, dentro i paesi o fuori dei paesi; peggio delle bestie". <292
Lo scarto tra il protagonista, giovane e incosciente, e l’Osvaldo maturo, che ha avuto la possibilità di riflettere sulle vicende resistenziali alla luce dei risvolti contemporanei, si coglie soprattutto nel finale del testo. Il narratore invita, ironicamente, il giovane ribelle a smettere i panni del partigiano per lasciare la gestione della situazione ad altri. Con questo suggerimento fittizio, Contestabile tocca tutti i temi caldi del dibattito sulla Resistenza, sempre con l’ironia e il taglio colloquiale che contraddistinguono tutto il testo: "Devi sapere, partigiano, che questa è la liberazione nazionale di tutta quanta la gente oppressa, che costa fatica; bisogna farla precisa, senza distrazioni, con la sacrosanta cèrnita e punizione dei responsabili, altro che balle; eppoi, ci sono tutte le altre cose che ci vogliono subito per la gente sinistrata: amlire amnistie booge wooge off limits, e scatolette in distribuzione gratuita. Adesso, partigiano, non complicare le cose con le tue faccende personali, e vattene a casa; quando in seguito avremo più tempo, faremo qualcosa anche per te […]. D’ora in poi, però, tu personalmente tieniti per te nella memoria, soltanto questa parola resistenza, che ti hanno regalato; epperciò adoperala come vuoi, dove ti capita, anche parlando. Non vedi che ogni tanto la usano in commozione anche quelli che non dovrebbero, nei loro discorsi […]? Ma tu, ci mancherebbe altro, non offenderti: ormai sei cresciuto. Questa parola resistenza devi sapere che adesso la mettono anche nei libri di storia; ma non ci riescono a spiegarla bene, come sarebbe giusto, per raccontarla precisa, com’è successa in pratica […]. Ma cosa vuoi ancora di più, o partigiano, dopo tutte ste celebrazioni e le parole e le baldorie del 25 aprile? Tanto è assolutamente inutile, perché tu lo sai che quando rimani da solo, è diverso, e ti succede sempre così; ti succede di ripensarci sempre con la tristezza, altro che i festeggiamenti le fanfare e il fracasso del porco mondo, che se lo porti via". <293
Per concludere l’analisi, questo testo è l’esempio di come a distanza di anni e in un momento di relativa tranquillità riguardo al dibattito sulle tematiche resistenziali i memorialisti cerchino nuovi modi per raccontare la guerra partigiana vissuta e metterne in luce caratteristiche ancora non affrontate. Il taglio semplice, colloquiale che Contestabile dà al suo stile gli permette di mostrare che della Resistenza tanto si è detto e scritto che si è perso il contatto diretto con essa, e con la sua matrice popolare. Si è trattato fondamentalmente di una lotta di popolo, improvvisata con i mezzi a disposizione. I partigiani stessi non erano eroi, ma semplicemente i figli di quelle masse popolari obbligate dagli eventi ad entrare nel gioco, a scrivere un pezzo di storia. Forse, ne avrebbero fatto volentieri a meno, sembra dire Contestabile.
[NOTE]
289 OSVALDO CONTESTABILE, Scarpe rotte libertà: storia partigiana, presentazione di Sandro Pertini, Bologna, Cappelli, 1982, p. 9.
290 Ivi, pp. 22-23.
291 Ivi, p. 152.
292 Ivi, pp. 235-236.
Sara Lorenzetti, Ricordare e raccontare. Memorialistica e Resistenza in Val d’Ossola, Tesi di Laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro" - Vercelli, Anno accademico 2008-2009

venerdì 9 febbraio 2024

Solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento

Cervo (IM)

Il 17 aprile 1945 il «Garbagnati» [n.d.r.: Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] distrugge il ponte di Degna [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e la sera stessa il nemico sgombra Vellego e Garlenda: con un colpo solo la Val Lerrone è liberata dalle pattuglie e dalle minacce nemiche: non più l'incubo dei ciclisti tedeschi, non più lo stradone superato d'un balzo. Il 18 giunge con una staffetta Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] a visitare Tèstico: «Verrò con i miei a difendere il paese» dice ai contadini che gli chiedono armi, poi va a S. Damiano alla ricerca del Comando divisionale che da qualche giorno ha lasciato Poggiobottaro. A S. Damiano ci sono le bande di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati"] e Marco: le mitraglie sono puntate verso Alassio, i partigiani si lavano al sole. Sullo stradone, altri preparano il rancio, ovunque un'aria di festa, di sicurezza. «Vai ad occupare Tèstico? Auguri ... noi non siamo stati così scemi», dicono a Fernandel quelli di Stalin. Fernandel è meravigliato, ma non si impressiona: «Ho visto la zona ed ho fatto i miei piani: il Catter [n.d.r.: Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata] può tenere il paese».
Con Fernandel tutta la III^ Brigata si sposterà a sud a presidiare la Val Lerrone. In Val d'Arroscia e ad Alto resterà la II [n.d.r.: II^ Brigata "Nino Berio", comandante "Gino", Giovanni Fossati], in Val Tanaro la IV [comandante "Fra Diavolo", Giuseppe Garibaldi]. Così all'ingrosso lo schieramento da elaborare nei particolari.
Non possiamo contare egualmente su tutte le bande e ci vorrà ancora un po' di tempo perché i nuovi Comandi della II e della III non hanno ancora in mano la situazione e parecchi capibanda sono restii ad obbedire. Comunque l'atmosfera si fa febbrile, una colonna tedesca che punta su Garlenda provoca la reazione di parecchie bande, ma solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento.
Il presidio fascista di Molino Nuovo viene attaccato dalla I Brigata e riporta perdite sanguinose, due disertori del presidio di S. Bernardo di Conio vengono catturati presso Ginestro [Frazione di Testico (SV)], percossi selvaggiamente dalle donne dei paesi che attraversano e finiti da quelli di Stalin.
Al Comando divisionale, che ha ormai sede ufficiale a S. Gregorio, l'attività si fa intensa. Arriva il Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] del Comando zona, arrivano la missione alleata con le radio trasmittenti, staffette, capibanda, ordini, notizie. Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] parte in missione per la IV Brigata in Val Tanaro con notizie e disposizioni urgentissime, Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] va ad Alto dove si dice ci sia stato un piccolo lancio, ad organizzare la II Brigata.
Ha inizio così la terza decade di aprile: il Comando è di fronte ad eventi e problemi di enorme importanza perché la situazione militare precipita. Le azioni di sabotaggio e di imboscata si fanno sempre più audaci e fortunate, il nemico comincia anche lui a sentire la morsa del terrore: ormai la fine è imminente, chi viene catturato o diserta è soppresso senza pietà: i trenta morti di Ginestro e gli otto di Cervo hanno ridato alla guerriglia il suo carattere di durezza spietata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 241-242

18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 302, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che il giorno prima una squadra comandata dal capo squadra "Mancinotto" [Giuseppe Gismondi] e da "Cis" [Giorgio Alpron, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] aveva fatto nuovamente brillare il ponte tra Degna e Vellego [Frazioni di Casanova Lerrone (SV)].
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che lo scontro di Vellego aveva portato alla fucilazione di alcuni civili da parte del nemico, che i tedeschi in zona detenevano molti ostaggi e che era necessaria un'azione di forza su Nava ed altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 300, al comando del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" - Comunicava come punizioni che il capo squadra "Cimitero" [Bruno Schivo] doveva rimanere disarmato per 15 giorni presso il comando di Brigata e che il garibaldino "Riva" doveva eseguire 19 giorni di corvèe presso il Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" e che erano invece mandati assolti i partigiani "Berto", "Grosseto" [Italo Chegia], "Prem-Prem", "Ercole" [Demo Trillocco], "Vessalico" [Vittorio Doglio].
18 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] al comando del Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] ed al comando del Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] - Disponeva che i garibaldini "Osanna" e "Bascherini" venissero assunti in forza al Distaccamento "Francesco Agnese" e che i garibaldini "Cimitero" [Bruno Schivo] e "Riva" dovevano passare, armati solo in caso di allarme, al Distaccamento "Angiolino Viani".
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione ["Livio", Ugo Vitali responsabile, "Citrato", Angelo Ghiron, vice responsabile] S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che ad Acquetico [Frazione di Pieve di Teco (IM)] alcuni partigiani avevano "avvisato la popolazione di un imminente attacco di patrioti al paese"; che lo scontro di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] aveva portato alla fucilazione di alcuni civili; che risultava "pericoloso attaccare frontalmente" i tedeschi perché dimoravano nelle case private trattenendo presso di loro non solo le loro squadre di lavoratori [coatti] ma anche "il consueto numero di ostaggi"; che sarebbe sata necessaria un'azione di forza partigiana su Nava e su tutti gli altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il lancio alleato su Caprauna nel quale, tra l'altro, risultavano 9 cariche di plastico, 6 bombe incendiarie, 15 granate, 11 matite esplosive.
18 aprile 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Invito a mandare sollecitamente il materiale del lancio in pari data al "capitano Roberta" [Robert Bentley] e ordine di mettere a disposizione di "R.C.B." [sempre il capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] i paracadute in seta.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto, Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire nel precedente incarico con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
19 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che una pattuglia del Distaccamento "Francesco Agnese" aveva sorpreso nei pressi di Oneglia un tedesco armato di pistola, ucciso mentre tentava la fuga.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che due ufficiali tedeschi di stanza a Garessio desideravano parlare con una competente persona per fornire i piani militari di cui erano a disposizione e, pertanto, si rimaneva in attesa di istruzioni.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" aveva attaccato il 17 aprile sulla Statale 28 un carro di tedeschi per cui si supponeva l'esito di 18 morti e 3 feriti e che il 18 una squadra dello stesso Distaccamento aveva catturato a Vendone 4 tedeschi tra cui un sergente.
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Igino Rainis" al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Riferiva che sulla Statale 28 nei pressi di Calderara [Frazione di Pieve di Teco (IM)] una squadra di 4 uomini aveva attaccato un carro tedesco uccidendo 2 soldati e ferendone un altro e che, mentre tentavano di recuperare il materiale, quei partigiani erano stati "disturbati da altri 30 tedeschi, riuscendo, tuttavia a sganciarsi".
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Segnalava che il 16 aprile, verso le ore 18, un gruppo di garibaldini aveva attaccato 4 carri tedeschi provenienti, carichi di materiale, da Garlenda (SV): risultavano 4 feriti gravi tra le fila nemiche.
19 aprile 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Val Tanaro" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che in Val Tanaro si erano formati altri 2 Distaccamenti, il primo con elementi di Garessio per un totale di 25 uomini solo in parte armati, il secondo formato da 30 uomini di Ormea; che sarebbero stati necessari 2 mitragliatori, 2 o 3 Sten, plastico e bombe a mano. Chiedeva, poi, di dare il nome definitivo alla Brigata.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999