Con l'aiuto di spie i tedeschi, venuti a conoscenza del rientro da San Gregorio a Poggio Bottaro (in valle Andora) [comune di Testico (SV)] del Comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", il mattino del 15 aprile 1945 tentano di sorprenderlo e catturarlo al completo. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile il commissario divisionale Carlo De Lucis (Mario) insieme ad alcuni compagni va a dormire nel rifugio sotterraneo del Comando Divisione, uno dei numerosi scavati nella terra durante l'inverno in base alle istruzioni emanate con la circolare n. 23 del 24 novembre 1944 emessa dal comandante delle Zone 1^ e 2^ Liguria, Carlo Farini (Simon). Gli altri componenti del Comando, invece, confidando nella sorveglianza delle sentinelle dei Distaccamenti dislocati nei dintorni del passo di San Damiano, decidono di dormire nel casone della sede amministrativa del Comando stesso. Solo per fortuito caso ciò non risulta loro fatale.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005
15 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano"
della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione -
Avvisava che in quella mattinata si erano sentite, provenienti da
Testico (SV), alcune raffiche di mitra; che il comandante ["Mancen",
Massimo Gismondi] era subito partito con una squadra del Distaccamento
"Angiolino Viani" per "portare aiuto in caso di necessità"; che i
garibaldini si erano disposti nel seguente modo: una squadra del
Distaccamento "Angiolino Viani" sotto il cimitero di San Gregorio per
fermare i tedeschi in caso di fuga, il Distaccamento "Franco Piacentini"
a difesa del Passo del Merlo e del Passo dei Pali, il Distaccamento
"Francesco Agnese" rimaneva a San Damiano; che l'azione dei tedeschi era
durata 2 ore.
senza data - Testimonianza sull'eccidio di
Ginestro, frazione di Testico (SV) - Relazionava che "i tedeschi, a
seguito di una delazione, tentarono di sorprendere nella notte tra il 14
ed il 15 aprile 1945 il comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante".
Il commissario 'Mario' [Carlo De Lucis] diede ordine di dormire nel
rifugio sotterraneo del comando. Al mattino del 15 i tedeschi da Cesio
attaccarono Testico e Poggio Bottaro [Frazione del comune di Testico
(SV)], ma il comando della VI^ Divisione riuscì a fuggire nei boschi. I
tedeschi per rappresaglia catturarono 10 civili a Ginestro ed altri a
Poggio Bottaro. Il medico austriaco Jakob Unkelbach (Antonio), che era
entrato nelle fila partigiane il 18-02-45, ritornando al nemico
l'11-04-45, guidò i tedeschi presso le case dei contadini che avevano
aiutato i partigiani. I nazisti, avendo fretta, presero gli ostaggi a
caso. Intervenne 'Mancen' [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata
"Silvano Belgrano" della VI^ Divisione] in aiuto del comando della VI^
Divisione. I tedeschi si fecero scudo con i 30 ostaggi. I tedeschi
dissero ai prigionieri di andare via, ma poi li uccisero con scariche di
mitra alle spalle".
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La
Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della
documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo
II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico
1998 - 1999
15 aprile
Un reparto di 200 SS tedesche opera un vasto rastrellamento nella zona di Testico-Ginestro-Poggio Bottaro. Fallito il loro obiettivo di aggiarare e annientare il Comando della Divisione Bonfante, i nazisti catturano 37 civili i quali saranno successivamente trucidati...
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970
Un reparto di 200 SS tedesche opera un vasto rastrellamento nella zona di Testico-Ginestro-Poggio Bottaro. Fallito il loro obiettivo di aggiarare e annientare il Comando della Divisione Bonfante, i nazisti catturano 37 civili i quali saranno successivamente trucidati...
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970
[...] Poco prima della Liberazione, il 15 aprile 1945, l’eccidio in assoluto più cruento, a Testico, nel quale perdono la vita 27 persone. All'alba
di domenica due colonne tedesche giungono a Ginestro, frazione
di Testico (SV), per dare inizio a un rastrellamento: i militari
catturano una ventina di civili, uomini e donne sorpresi nelle loro
case, e li legano con corde. Poi, proseguendo la marcia, uccidono senza
apparente ragione un contadino al lavoro. Alle 8.00, arrivati nei pressi
della chiesa, irrompono nell'edificio, catturano altre persone e
pongono tutti gli ostaggi lungo un muro sotto la sorveglianza di un
soldato. Il resto della truppa, in parte, prosegue con il rastrellamento
che porterà alla cattura di altri ostaggi; in parte si dirige verso
Poggio Bottaro. Intorno alle 9.00 un gruppo di partigiani, dalla vicina
frazione di Santa Maria di Stellanello, spara sui tedeschi permettendo a
3 degli ostaggi di fuggire. In risposta, i tedeschi tornano verso la
chiesa, si appostano presso l’osteria del paese e catturano altri 3
contadini di Torria. Infine, la colonna riparte con i prigionieri al
seguito. Durante la marcia, si arresta presso la frazione Zerbini per
catturare altri ostaggi. L’ultima tappa è Costa Binella ove avviene la
selezione dei progionieri. Vengono rilasciati 3 giovani di Ginestro, 4
donne e 4 ragazze. Queste ultime verranno poi condotte al carcere di
Imperia, sottoposte a interrogatori e paestaggi e rilasciate almeno una
dozzina di giorni dopo. Restano in mano ai tedeschi 27 persone: 25
uomini e 2 donne che vengono separate dagli altri prigionieri, seviziate
e uccise a colpi di baionetta. I 25 uomini, legati 2 a 2 col fil di
ferro, sono falciati a colpi di mitragliatrice. Dopo il massacro, i
corpi risultano irriconoscibili [...]
Andrea Chiovelli, Quando i tedeschi massacravano i savonesi: ecco le 49 stragi che insanguinarono la provincia, IVG.it, 11 aprile 2016
Funesta
ironia della sorte volle che il massacro dei prigionieri... fosse
favorito da un tale Jacob Unkelbach, un austriaco finto disertore,
accolto [dai partigiani] sotto il nome di Antonio e accudito per
diversi mesi proprio dalla popolazione di Testico, Poggio Bottaro,
Ginestro e dintorni. In realtà, secondo la testimonianza dell'ex sapista
Bernardo Augeri (Pio), in banda con Franco Bianchi (Stalin), l'austriaco era stato catturato e interrogato da Ramon
[Raimondo Rosso, capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione]. L'esito
dell'interrogatorio non aveva del tutto convinto il comandante svizzero
[Rosso era in effetti nato il 13/03/1913 a Naters nella Confederazione
Elvetica e più propriamente di nome faceva Raymond], che parlava
correntemente il tedesco. Purtroppo, per una somma di circostanze più o
meno casuali all'austriaco era stata risparmiata la vita soprattutto per
via della solerzia e della perizia dimostrate nella medicazione di
alcuni partigiani feriti, comportamento, forse calcolato, che aveva
destato simpatia e comprensione un po' in tutto l'ambiente della banda.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
...
il tradimento dell'ex-garibaldino austriaco Jakob Unkelbach * che fu
tra le cause dell'eccidio di Testico-Poggio Bottaro del 15 aprile
1945...
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I
* 18
febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al
comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio
Bonfante" - Comunicava che era stato inquadrato nel Distaccamento come
infermiere il sergente sanitario dell'esercito tedesco Jakob Wonkelbach
(Antonio), che aveva disertato e che era stato accolto tra i partigiani
in base alle notizie rassicuranti fornite dalla popolazione di Villa
Faraldi (IM).
da documento Isrecim in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
Anche nelle formazioni della provincia di Imperia, alle dipendenze del comando operativo I zona-Liguria, è segnalata la presenza di partigiani stranieri, tra cui anche disertori tedeschi e austriaci, nella brigate sottoposte alla 2ª divisione garibaldina “Felice Cascione” e alla 6ª, “Silvio Bonfante” (468).
Francesco Corniani, "Sarete accolti con il massimo rispetto": disertori dell'esercito tedesco in Italia (1943-1945), Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017
(468) Francesco Biga, Storia della Resistenza imperiese (I zona Liguria), edizioni Isrecim, Farigliano, 1978, vol. III, pp. 495-507. A pp. 506-507 l'autore scrive anche che a seguito dell'eccidio di Testico causato sembra dalla delazione di un disertore tedesco che si era aggregato al distaccamento partigiano G. Garbagnati, il comando I^ Zona Liguria aveva dato ordine a tutte le brigate di fucilare i soldati tedeschi presenti nelle formazioni che fossero in qualche modo sospetti.
Anche nelle formazioni della provincia di Imperia, alle dipendenze del comando operativo I zona-Liguria, è segnalata la presenza di partigiani stranieri, tra cui anche disertori tedeschi e austriaci, nella brigate sottoposte alla 2ª divisione garibaldina “Felice Cascione” e alla 6ª, “Silvio Bonfante” (468).
Francesco Corniani, "Sarete accolti con il massimo rispetto": disertori dell'esercito tedesco in Italia (1943-1945), Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017
(468) Francesco Biga, Storia della Resistenza imperiese (I zona Liguria), edizioni Isrecim, Farigliano, 1978, vol. III, pp. 495-507. A pp. 506-507 l'autore scrive anche che a seguito dell'eccidio di Testico causato sembra dalla delazione di un disertore tedesco che si era aggregato al distaccamento partigiano G. Garbagnati, il comando I^ Zona Liguria aveva dato ordine a tutte le brigate di fucilare i soldati tedeschi presenti nelle formazioni che fossero in qualche modo sospetti.
Altra tragica ironia della sorte, Luigi Pantera Massabò, vicecomandante della Divisione "Silvio Bonfante" - autore di Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” (diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, studiato anche da Rocco Fava per Op. cit.)- aveva disposto misure preventive, quali "Per le 4 <del 15 aprile 1945> il Distaccamento "Garbagnati"
si trovi a Testico in posizione favorevole con la mitragliatrice
pesante e controlli il movimento a Cesio e Casanova... Al fine di non
causare disgrazie, ogni movimento fatto di propria iniziativa e
contrario agli ordini impartiti, sarà punito severamente, ritenendone
direttamente responsabile il comandante di Distaccamento che
l’eseguirà..."
Adriano Maini
18 aprile 1945 - Dall'ispettorato [ispettore "Giulio", anche "Mario",
Carlo Paoletti] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria alla
Delegazione Regionale Ligure delle Brigate d'Assalto Garibaldi -
Comunicava che... l'ultimo atto barbarico compiuto dai tedeschi era
avvenuto a Ginestro-Testico-Poggio Bottaro con l'uccisione di 37 civili
prelevati nelle case e in chiesa...
da documento Isrecim in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
Il giorno della strage, avvenuta il 15 aprile del 1945, si annuncia come una domenica particolarmente tranquilla. Nei giorni precedenti non si è infatti dato alcun episodio allarmante, né la presenza di tedeschi o fascisti ha inquietato i paesani: segni, questi, di un lento ma inesorabile processo di esaurimento delle forze degli occupanti e del regime repubblicano.
Tuttavia, fin dalle sei del mattino, due colonne di soldati tedeschi muovono da Cesio e Vellego, località che distano rispettivamente poco più di 4 e di 7 km da Ginestro, la frazione di Testico presso cui, alle sette, si arrestano per dare inizio a un rastrellamento.
Catturano circa una ventina fra uomini e donne, i più sorpresi nel sonno, legandoli con corde.
Poi proseguono la marcia. Un giovane contadino (Costante Vairo) intravede la colonna e corre verso la
chiesa per avvertire del pericolo i compaesani riuniti per la messa. La sua azione risulta però inefficace.
Alle otto i tedeschi, dopo aver ucciso senza apparente motivo un anziano contadino che sta innestando un castagno, circondano la chiesa e alcuni vi fanno irruzione catturando diversi fedeli. Il parroco, don Mantello, seguito da qualche chierichetto, si mette in salvo salendo sul campanile e dando ordine al sacrestano, non appena i tedeschi si sono allontanati, di chiudere a chiave la porta della chiesa. Gli ostaggi sono allineati lungo il muro che circonda la piazza e posti sotto la sorveglianza di un soldato armato di mitra, mentre il resto della colonna in parte prosegue nell’azione di rastrellamento presso le abitazioni vicine, in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Poco prima delle nove un gruppo di partigiani spara alcuni colpi di fucile dalla frazione di Santa Maria di Stellanello dov’è stanziato, permettendo a tre ostaggi (fra cui il Vairo) di fuggire. I tedeschi ritornano verso la chiesa e, secondo una testimonianza, per rispondere ai colpi dei partigiani improvvisano una postazione dall’osteria del paese. Quando la sparatoria ha termine, catturano tre contadini di Torria e tornano a vigilare sugli ostaggi. Ma uno di loro entra nuovamente nel locale per farsi dare del cibo. L’oste glielo porge e poi fugge via spaventato. Il tedesco non reagisce e lo lascia scappare. Analoga sorte tocca a Giobatta Vairo.
Costui, nascostosi nella cantina, uscendo si trova di fronte al soldato tedesco e teme per la sua vita.
Questi però si limita a indicargli un sentiero e a incitarlo a correre via il più velocemente possibile. Pronuncia quindi un’espressione-chiave, specie alla luce di quanto sta per accadere: “Stasera, kaputt!” La colonna, diretta verso Ginestro (o forse Cesio), si arresta nella frazione Zerbini per imprigionare altre persone.
Si accende un’improvvisa discussione fra i tedeschi, che i testimoni presumono riguardi la sorte da riservare agli ostaggi. L’ultima tappa è Costa Binella, raggiunta tramite una mulattiera. Qui la colonna si ferma e avviene la selezione dei prigionieri. In un primo momento vengono liberati tre giovani di Ginestro, che si allontanano rapidamente; poi è la volta di quattro donne e, infine, di quattro ragazze, in
seguito condotte al carcere di Imperia e sottoposte a interrogatori e pestaggi per essere da ultimo liberate dopo una dozzina di giorni. Restano 26 persone: 24 uomini e 2 donne, che sono legati a due a due, schiena contro schiena, con del fil di ferro. Le donne, appartate sul lato sinistro della mulattiera, subiscono violenze e sevizie e vengono poi uccise con le baionette.
Gli uomini, posizionati sul lato destro, sono trucidati a colpi di mitraglia. Dopo il massacro, i corpi degli ostaggi sono così sfigurati da risultare irriconoscibili.
Nel pomeriggio della domenica e il lunedì seguente, quando i compaesani raggiungono Costa Binella, per identificare le vittime dovranno fare appello a particolari legati al loro abbigliamento. Armando Zerbone e Leonardo Arduino ricorderanno infatti di aver riconosciuto i loro padri “solo dalle scarpe”. Lunedì 16 aprile i corpi delle vittime sono caricati su carri trainati da buoi e, su suggerimento di don Mantello, portati nell’oratorio, dove vengono adagiati sulla paglia e coperti per essere poi, in parte, seppelliti in una fossa comune, in parte, posizionati entro bare improvvisate e condotti così presso le famiglie d’origine.
La strage di Testico, ricostruita tramite la memoria dei sopravvissuti, lascia a tuttora parecchi punti oscuri: fra questi, il principale è senz’altro il fine per il quale avvenne. Viene allora da chiedersi chi fosse realmente Jacob Unkelbach e se e quali informazioni su di lui siano state raccolte. Certo, la strage di Testico per anni è stata circondata da uno strano silenzio. Ma, poiché questo punto merita particolare attenzione, per chiarirlo è opportuno ricorrere alla memoria scritta, ossia alla ricostruzione che è possibile effettuare tramite il ricco materiale documentario sulle azioni dei partigiani della I zona Liguria conservato presso l’IsrecIm.
Dagli archivi sulla Resistenza risulta che nei giorni immediatamente precedenti la strage 15, e in particolare sabato 14, nell’area compresa fra Pogli, Garlenda e Albenga i Distaccamenti della zona mettono in atto numerosi attacchi alle postazioni nazifasciste causando fughe, danni ai materiali e alcuni morti. In risposta, gli occupanti effettuano rastrellamenti lungo la statale tra Imperia e Garessio per impedire che i partigiani creino difficoltà ai reparti che, prevedendo la ritirata strategica, si stanno muovendo verso nord. Luigi Massabò, detto “Pantera”, vicecomandante della Divisione d’assalto Garibaldi intitolata a “Silvio Bonfante”, nel diario militare riporta che: “Dato l’arrivo improvviso di truppe nazifasciste al ponte del Molino Nuovo di Andora, si prevede un attacco domattina all’alba, per cui i Distaccamenti devono così disporsi”. Seguono puntuali indicazioni e, nello specifico, che: “Per le 4 il Distaccamento ‘G. Garbagnati’ si trovi a Testico in posizione favorevole con la mitragliatrice pesante e controlli il movimento a Cesio e Casanova”. Conclude il comunicato sottolineando che: “Al fine di non causare disgrazie, ogni movimento fatto di propria iniziativa e contrario agli ordini impartiti, sarà punito severamente, ritenendone direttamente responsabile il comandante di Distaccamento che l’eseguirà”.
Così, come previsto, all’alba del 15 aprile duecento SS tedesche danno inizio a un impegnativo rastrellamento fra Testico, Ginestro e Poggio Bottaro. Tramite l’ausilio di spie, gli occupanti hanno infatti notizia che il Comando della Divisione “Bonfante” è rientrato da San Gregorio a Poggio Bottaro; per questo, muovendosi da Cesio prima dell’alba, puntano sui partigiani con ampio dispiego di mezzi per sorprenderli e catturarli. Ma il Comando della “Bonfante”, pur con difficoltà, si sottrae all’accerchiamento e si pone in salvo fra gli ulivi. I tedeschi allora ripiegano su Ginestro e poi Testico trattendo diversi ostaggi.
Il Distaccamento “Garbagnati” e Massimo Gismondi, detto “Mancen”, comandante della I Brigata “Silvano Belgrano”, in posizione logistica vantaggiosa, attaccano i tedeschi che, non riuscendo a rispondere ai colpi dei partigiani e non avendone catturato alcuno, si accaniscono allora contro i civili. Ne imprigionano almeno 10 a Ginestro, altri a Testico, sulla piazza della chiesa, altri ancora a Poggio Bottaro.
Il rastrellamento prosegue, casa per casa, soprattutto grazie all’intervento di un medico tedesco, Jacob Unkelbach, soprannominato “Antonio”. Costui si era rifugiato presso il Distaccamento “Garbagnati” dichiarando di aver disertato dalla Wehrmacht dove lavorava in qualità di sergente sanitario. Nella relazione del 18 febbraio del ’45 sull’incorporazione di Unkelbach al Distaccamento, il comandante Franco Bianchi (“Stalin”) riporta che Jacob aveva disertato “per non servire un padrone che lotta per una causa ingiusta” e che su di lui le informazioni fornite dagli abitanti di Tovo e di Villa Faraldi erano buone. I tedeschi in realtà cercano “Mancen” che, per mantenere la promessa fatta al comandante della “Bonfante” d’intervenire in caso di attacco nemico, entra in Testico con i compagni. I tedeschi riescono però a sfuggire proteggendosi la ritirata grazie agli ostaggi che fungono loro da scudo. Così “Mancen” e i suoi, per non colpire i civili, sospendono il fuoco. Allora i tedeschi, che hanno raggiunto il loro scopo, una volta arrivati al valico di Ginestro, non traendo più vantaggio dai prigionieri catturati, se ne liberano massacrandoli.
Dalle relazioni dei partigiani risulta che le vittime siano una quarantina e non 26 come viene riportato sulla lapide del passo del Ginestro, né 27 come si evince dall’elenco dei caduti. Confrontando i nomi delle vittime riportati sulla lapide con i nomi citati da Francesco Biga, si dà corrispondenza nel caso delle vittime di Ginestro (in tutto 10), di Testico (11), di Alassio (1), di Torria/Chiusanico (3) e di Cesio (1).
Dall’elenco di Biga risultano altri 18 nominativi su cui occorerebbe raccogliere altre informazioni.
Secondo la testimonianza di “Stalin”, in seguito a questo spaventoso massacro, il Comando operativo della I Zona emanò l’ordine di fucilare, all’interno delle formazioni che ne avessero accolto anche uno soltanto nelle lora fila, tutti i tedeschi disertori come Jacob (“Antonio”). Ciò avvenne in quasi tutti i casi: si salvò soltanto un tedesco da molti mesi in montagna come gregario nella V Brigata “L. Nuvoloni” che aveva dato prova di sincera fedeltà.
Ci troviamo dunque di fronte a due ricostruzioni della strage: l’una, quella orale, è affidata alla testimonianza dei sopravvissuti; l’altra, scritta, riguarda le vicende narrate attraverso le relazioni dei partigiani.
Dal confronto, i fatti nella sostanza si confermano; ciò che cambia è piuttosto il punto di vista che configura le due memorie. In primo luogo i sopravvissuti, che non hanno conoscenza della strategia bellica dei partigiani e degli occupanti, ricordano i giorni che hanno preceduto la strage come “particolarmente tranquilli”, senza che attacchi di ribelli o repressioni nazifasciste si siano abbattuti sulla comunità.
Esaminando i documenti dei partigiani, invece, si prende atto che proprio in quei giorni l’attività di lotta è frenetica e che gli scontri fra le parti si intensificano a misura che il “vento della Liberazione” si fa più prossimo. Evidentemente, quasi al termine del conflitto, sono in gioco due prospettive opposte: i paesani interpretano la strage più alla luce dell’imminente liberazione, quindi con la “memoria del poi”, dei giorni successivi al 25 aprile e del ritorno alla normalità, che in relazione al loro presente storico.
I partigiani, al contrario, guardano esattamente al momento in cui l’evento accade. Il loro è lo sguardo di chi combatte attivamente ed è perciò preparato a ogni evenienza. Per questo il termine che ricorre più
spesso nello scarno lessico delle realzioni è “prevedere”. In questo senso, i giorni che precedono la strage si intrecciano strettamente alle imprese già compiute e a quelle ancora da venire, in rimandi che sembrano tutt’altro che casuali. Chi combatte la guerra rispetto a chi, come i civili, è costretto a subirla, trova la sua forza tanto nell’uso delle armi quanto nell’attenzione al presente, alle concatenazioni di fatti da cui esso proviene e verso cui, nella ratio militare, tende a dirigersi. Così, da un lato le formazioni partigiane (ma questo vale anche per i tedeschi) anticipano con precisione l’accadere; dall’altro i civili fanno i conti con l’imprevedibile, con la fatalità che la strage rende assoluta e inspiegabile. In secondo luogo, nel racconto dei sopravvissuti i partigiani, benché presenti in carne e ossa nell’azione scenica, appaiono tuttavia “lontani”, quasi sfuggenti. Si muovono sulle alture, compaiono fugacemente fra gli ulivi, si fanno sentire per via dei colpi di fucile sparati ma, di fatto, risultano quasi sempre altrove, come fossero “invisibili” e “disincarnati”, e le loro operazioni non sono discernibili. Al contrario i tedeschi, sia per l’estraneità delle loro figure (la divisa, i corpi slanciati, il portamento altero, i tratti somatici segnati dall’algida durezza) sia per la brutalità che si associa alle loro azioni e sia pure anche per certi incomprensibili gesti di pietà a cui può capitare che diano luogo, sono invece visibilissimi e carnali. C’è infine un punto in cui le due versioni si incontrano: penso alla figura di Jacob/Antonio. Il disertore che ha vissuto tanto fra i tedeschi, nelle vesti del sergente sanitario Unkelbach, quanto fra i partigiani, che lo ricordano come “u megu”, forse inviso ormai a entrambe le parti, costituisce tuttavia il trait d’union fra le due memorie.
Giosiana Carrara, Stragi nazifasciste di civili nella provincia di Savona in Savona in guerra. Militari e vittime della provincia di Savona caduti durante il secondo conflitto mondiale (1940-'43/1943-'45), ISREC Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona, 21 gennaio 2013
Tuttavia, fin dalle sei del mattino, due colonne di soldati tedeschi muovono da Cesio e Vellego, località che distano rispettivamente poco più di 4 e di 7 km da Ginestro, la frazione di Testico presso cui, alle sette, si arrestano per dare inizio a un rastrellamento.
Catturano circa una ventina fra uomini e donne, i più sorpresi nel sonno, legandoli con corde.
Poi proseguono la marcia. Un giovane contadino (Costante Vairo) intravede la colonna e corre verso la
chiesa per avvertire del pericolo i compaesani riuniti per la messa. La sua azione risulta però inefficace.
Alle otto i tedeschi, dopo aver ucciso senza apparente motivo un anziano contadino che sta innestando un castagno, circondano la chiesa e alcuni vi fanno irruzione catturando diversi fedeli. Il parroco, don Mantello, seguito da qualche chierichetto, si mette in salvo salendo sul campanile e dando ordine al sacrestano, non appena i tedeschi si sono allontanati, di chiudere a chiave la porta della chiesa. Gli ostaggi sono allineati lungo il muro che circonda la piazza e posti sotto la sorveglianza di un soldato armato di mitra, mentre il resto della colonna in parte prosegue nell’azione di rastrellamento presso le abitazioni vicine, in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Poco prima delle nove un gruppo di partigiani spara alcuni colpi di fucile dalla frazione di Santa Maria di Stellanello dov’è stanziato, permettendo a tre ostaggi (fra cui il Vairo) di fuggire. I tedeschi ritornano verso la chiesa e, secondo una testimonianza, per rispondere ai colpi dei partigiani improvvisano una postazione dall’osteria del paese. Quando la sparatoria ha termine, catturano tre contadini di Torria e tornano a vigilare sugli ostaggi. Ma uno di loro entra nuovamente nel locale per farsi dare del cibo. L’oste glielo porge e poi fugge via spaventato. Il tedesco non reagisce e lo lascia scappare. Analoga sorte tocca a Giobatta Vairo.
Costui, nascostosi nella cantina, uscendo si trova di fronte al soldato tedesco e teme per la sua vita.
Questi però si limita a indicargli un sentiero e a incitarlo a correre via il più velocemente possibile. Pronuncia quindi un’espressione-chiave, specie alla luce di quanto sta per accadere: “Stasera, kaputt!” La colonna, diretta verso Ginestro (o forse Cesio), si arresta nella frazione Zerbini per imprigionare altre persone.
Si accende un’improvvisa discussione fra i tedeschi, che i testimoni presumono riguardi la sorte da riservare agli ostaggi. L’ultima tappa è Costa Binella, raggiunta tramite una mulattiera. Qui la colonna si ferma e avviene la selezione dei prigionieri. In un primo momento vengono liberati tre giovani di Ginestro, che si allontanano rapidamente; poi è la volta di quattro donne e, infine, di quattro ragazze, in
seguito condotte al carcere di Imperia e sottoposte a interrogatori e pestaggi per essere da ultimo liberate dopo una dozzina di giorni. Restano 26 persone: 24 uomini e 2 donne, che sono legati a due a due, schiena contro schiena, con del fil di ferro. Le donne, appartate sul lato sinistro della mulattiera, subiscono violenze e sevizie e vengono poi uccise con le baionette.
Gli uomini, posizionati sul lato destro, sono trucidati a colpi di mitraglia. Dopo il massacro, i corpi degli ostaggi sono così sfigurati da risultare irriconoscibili.
Nel pomeriggio della domenica e il lunedì seguente, quando i compaesani raggiungono Costa Binella, per identificare le vittime dovranno fare appello a particolari legati al loro abbigliamento. Armando Zerbone e Leonardo Arduino ricorderanno infatti di aver riconosciuto i loro padri “solo dalle scarpe”. Lunedì 16 aprile i corpi delle vittime sono caricati su carri trainati da buoi e, su suggerimento di don Mantello, portati nell’oratorio, dove vengono adagiati sulla paglia e coperti per essere poi, in parte, seppelliti in una fossa comune, in parte, posizionati entro bare improvvisate e condotti così presso le famiglie d’origine.
La strage di Testico, ricostruita tramite la memoria dei sopravvissuti, lascia a tuttora parecchi punti oscuri: fra questi, il principale è senz’altro il fine per il quale avvenne. Viene allora da chiedersi chi fosse realmente Jacob Unkelbach e se e quali informazioni su di lui siano state raccolte. Certo, la strage di Testico per anni è stata circondata da uno strano silenzio. Ma, poiché questo punto merita particolare attenzione, per chiarirlo è opportuno ricorrere alla memoria scritta, ossia alla ricostruzione che è possibile effettuare tramite il ricco materiale documentario sulle azioni dei partigiani della I zona Liguria conservato presso l’IsrecIm.
Dagli archivi sulla Resistenza risulta che nei giorni immediatamente precedenti la strage 15, e in particolare sabato 14, nell’area compresa fra Pogli, Garlenda e Albenga i Distaccamenti della zona mettono in atto numerosi attacchi alle postazioni nazifasciste causando fughe, danni ai materiali e alcuni morti. In risposta, gli occupanti effettuano rastrellamenti lungo la statale tra Imperia e Garessio per impedire che i partigiani creino difficoltà ai reparti che, prevedendo la ritirata strategica, si stanno muovendo verso nord. Luigi Massabò, detto “Pantera”, vicecomandante della Divisione d’assalto Garibaldi intitolata a “Silvio Bonfante”, nel diario militare riporta che: “Dato l’arrivo improvviso di truppe nazifasciste al ponte del Molino Nuovo di Andora, si prevede un attacco domattina all’alba, per cui i Distaccamenti devono così disporsi”. Seguono puntuali indicazioni e, nello specifico, che: “Per le 4 il Distaccamento ‘G. Garbagnati’ si trovi a Testico in posizione favorevole con la mitragliatrice pesante e controlli il movimento a Cesio e Casanova”. Conclude il comunicato sottolineando che: “Al fine di non causare disgrazie, ogni movimento fatto di propria iniziativa e contrario agli ordini impartiti, sarà punito severamente, ritenendone direttamente responsabile il comandante di Distaccamento che l’eseguirà”.
Così, come previsto, all’alba del 15 aprile duecento SS tedesche danno inizio a un impegnativo rastrellamento fra Testico, Ginestro e Poggio Bottaro. Tramite l’ausilio di spie, gli occupanti hanno infatti notizia che il Comando della Divisione “Bonfante” è rientrato da San Gregorio a Poggio Bottaro; per questo, muovendosi da Cesio prima dell’alba, puntano sui partigiani con ampio dispiego di mezzi per sorprenderli e catturarli. Ma il Comando della “Bonfante”, pur con difficoltà, si sottrae all’accerchiamento e si pone in salvo fra gli ulivi. I tedeschi allora ripiegano su Ginestro e poi Testico trattendo diversi ostaggi.
Il Distaccamento “Garbagnati” e Massimo Gismondi, detto “Mancen”, comandante della I Brigata “Silvano Belgrano”, in posizione logistica vantaggiosa, attaccano i tedeschi che, non riuscendo a rispondere ai colpi dei partigiani e non avendone catturato alcuno, si accaniscono allora contro i civili. Ne imprigionano almeno 10 a Ginestro, altri a Testico, sulla piazza della chiesa, altri ancora a Poggio Bottaro.
Il rastrellamento prosegue, casa per casa, soprattutto grazie all’intervento di un medico tedesco, Jacob Unkelbach, soprannominato “Antonio”. Costui si era rifugiato presso il Distaccamento “Garbagnati” dichiarando di aver disertato dalla Wehrmacht dove lavorava in qualità di sergente sanitario. Nella relazione del 18 febbraio del ’45 sull’incorporazione di Unkelbach al Distaccamento, il comandante Franco Bianchi (“Stalin”) riporta che Jacob aveva disertato “per non servire un padrone che lotta per una causa ingiusta” e che su di lui le informazioni fornite dagli abitanti di Tovo e di Villa Faraldi erano buone. I tedeschi in realtà cercano “Mancen” che, per mantenere la promessa fatta al comandante della “Bonfante” d’intervenire in caso di attacco nemico, entra in Testico con i compagni. I tedeschi riescono però a sfuggire proteggendosi la ritirata grazie agli ostaggi che fungono loro da scudo. Così “Mancen” e i suoi, per non colpire i civili, sospendono il fuoco. Allora i tedeschi, che hanno raggiunto il loro scopo, una volta arrivati al valico di Ginestro, non traendo più vantaggio dai prigionieri catturati, se ne liberano massacrandoli.
Dalle relazioni dei partigiani risulta che le vittime siano una quarantina e non 26 come viene riportato sulla lapide del passo del Ginestro, né 27 come si evince dall’elenco dei caduti. Confrontando i nomi delle vittime riportati sulla lapide con i nomi citati da Francesco Biga, si dà corrispondenza nel caso delle vittime di Ginestro (in tutto 10), di Testico (11), di Alassio (1), di Torria/Chiusanico (3) e di Cesio (1).
Dall’elenco di Biga risultano altri 18 nominativi su cui occorerebbe raccogliere altre informazioni.
Secondo la testimonianza di “Stalin”, in seguito a questo spaventoso massacro, il Comando operativo della I Zona emanò l’ordine di fucilare, all’interno delle formazioni che ne avessero accolto anche uno soltanto nelle lora fila, tutti i tedeschi disertori come Jacob (“Antonio”). Ciò avvenne in quasi tutti i casi: si salvò soltanto un tedesco da molti mesi in montagna come gregario nella V Brigata “L. Nuvoloni” che aveva dato prova di sincera fedeltà.
Ci troviamo dunque di fronte a due ricostruzioni della strage: l’una, quella orale, è affidata alla testimonianza dei sopravvissuti; l’altra, scritta, riguarda le vicende narrate attraverso le relazioni dei partigiani.
Dal confronto, i fatti nella sostanza si confermano; ciò che cambia è piuttosto il punto di vista che configura le due memorie. In primo luogo i sopravvissuti, che non hanno conoscenza della strategia bellica dei partigiani e degli occupanti, ricordano i giorni che hanno preceduto la strage come “particolarmente tranquilli”, senza che attacchi di ribelli o repressioni nazifasciste si siano abbattuti sulla comunità.
Esaminando i documenti dei partigiani, invece, si prende atto che proprio in quei giorni l’attività di lotta è frenetica e che gli scontri fra le parti si intensificano a misura che il “vento della Liberazione” si fa più prossimo. Evidentemente, quasi al termine del conflitto, sono in gioco due prospettive opposte: i paesani interpretano la strage più alla luce dell’imminente liberazione, quindi con la “memoria del poi”, dei giorni successivi al 25 aprile e del ritorno alla normalità, che in relazione al loro presente storico.
I partigiani, al contrario, guardano esattamente al momento in cui l’evento accade. Il loro è lo sguardo di chi combatte attivamente ed è perciò preparato a ogni evenienza. Per questo il termine che ricorre più
spesso nello scarno lessico delle realzioni è “prevedere”. In questo senso, i giorni che precedono la strage si intrecciano strettamente alle imprese già compiute e a quelle ancora da venire, in rimandi che sembrano tutt’altro che casuali. Chi combatte la guerra rispetto a chi, come i civili, è costretto a subirla, trova la sua forza tanto nell’uso delle armi quanto nell’attenzione al presente, alle concatenazioni di fatti da cui esso proviene e verso cui, nella ratio militare, tende a dirigersi. Così, da un lato le formazioni partigiane (ma questo vale anche per i tedeschi) anticipano con precisione l’accadere; dall’altro i civili fanno i conti con l’imprevedibile, con la fatalità che la strage rende assoluta e inspiegabile. In secondo luogo, nel racconto dei sopravvissuti i partigiani, benché presenti in carne e ossa nell’azione scenica, appaiono tuttavia “lontani”, quasi sfuggenti. Si muovono sulle alture, compaiono fugacemente fra gli ulivi, si fanno sentire per via dei colpi di fucile sparati ma, di fatto, risultano quasi sempre altrove, come fossero “invisibili” e “disincarnati”, e le loro operazioni non sono discernibili. Al contrario i tedeschi, sia per l’estraneità delle loro figure (la divisa, i corpi slanciati, il portamento altero, i tratti somatici segnati dall’algida durezza) sia per la brutalità che si associa alle loro azioni e sia pure anche per certi incomprensibili gesti di pietà a cui può capitare che diano luogo, sono invece visibilissimi e carnali. C’è infine un punto in cui le due versioni si incontrano: penso alla figura di Jacob/Antonio. Il disertore che ha vissuto tanto fra i tedeschi, nelle vesti del sergente sanitario Unkelbach, quanto fra i partigiani, che lo ricordano come “u megu”, forse inviso ormai a entrambe le parti, costituisce tuttavia il trait d’union fra le due memorie.
Giosiana Carrara, Stragi nazifasciste di civili nella provincia di Savona in Savona in guerra. Militari e vittime della provincia di Savona caduti durante il secondo conflitto mondiale (1940-'43/1943-'45), ISREC Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona, 21 gennaio 2013
Tornando sui loro passi i Tedeschi si fermano davanti alla chiesa di Ginestro. Qui, minacciano di fucilare tutti e probabilmente qui doveva avvenire l’esecuzione. Nasce però una discussione tra gli stessi soldati Tedeschi che degenera in una lite (non sappiamo esattamente tra chi) ma alla fine l’esecuzione viene rimandata. Questa discussione era probabilmente tra chi voleva liberarsi dei contadini e compiere subito il massacro e chi, non sentendosi ancora sicuro, voleva tenerli come scudo e garanzia contro eventuali attacchi. La colonna dunque, riprende il cammino verso Cesio, ma al poggio di Costa Binella i prigionieri vengono fermati e fatti sedere. Qualcosa succede e i Tedeschi prendono le loro decisioni. Tre giovani di Ginestro vengono liberati e fatti allontanare; con loro anche quattro donne e altre quattro ragazze vengono mandate al carcere di Imperia per essere interrogate. Gli altri vengono legati a due a due con il filo di ferro schiena contro schiena. Difficile comprendere il motivo di queste scelte, a meno che le indicazioni su chi interrogare, chi liberare e chi uccidere non venissero da quel “megu” che ormai ben conosceva uomini e cose di quel territorio. E così vengono uccisi tutti quelli rimasti a Costa Binella. Gli uomini con raffiche di mitra da distanza ravvicinata sul lato destro del sentiero (oggi poco distante dalla provinciale). Sul lato sinistro le donne vengono seviziate e poi uccise a colpi di baionetta. La strage è dunque compiuta e i Tedeschi tornano a Cesio mentre gli abitanti del paese rimangono alcune ore nell’incertezza e nella speranza finché qualcuno prende coraggio e decide di andare a cercare i compaesani. Fatta la terribile scoperta, arrivano altri dal paese. Molti dei fucilati sono talmente massacrati che i paesani hanno difficoltà a riconoscere i loro cari. E’ per alcuni una altalena di speranza e dolore. Arrivano poi i carri tirati da buoi e i corpi sono caricati e trasportati in paese. Qui vengono sistemati nell’oratorio, distesi su della paglia e sommariamente coperti. Una parte dei caduti verrà provvisoriamente interrata in una fossa comune. Sono state trucidate ventinove persone in tutto. Venticinque di Testico e delle sue frazioni, tre di Chiusanico, frazione di Torria, e una di Alassio, in un paese che conta poco più di trecento abitanti. Tutto ciò conferisce all’azione il chiaro carattere di una rappresaglia in tutto tristemente simile alle centinaia di massacri di civili compiuti dai nazifascisti negli ultimi mesi di guerra. Quasi ogni famiglia è colpita dal lutto: la follia di quelle poche ore ha distrutto e ha gettato nel dolore un intero paese per molti anni. La storia dell’eccidio è stata ricostruita facendo parlare alcuni testimoni diretti, altri che hanno partecipato all’evento e parenti e conoscenti delle vittime. Questa forma ha il pregio di essere diretta e di rendere la terribile esperienza umana di quelle persone. Per chiudere mi pare che la più chiara descrizione del senso tragico dell’evento sia riassunto nelle parole di Armando Zerbone: “Quando sono andato il giorno dopo sul posto ho potuto riconoscere mio padre solo dalle scarpe, lo avevano massacrato.”
Riccardo Aicardi, 15 aprile 1945: l'eccidio di Testico in “Storia e Memoria”, anno XVII, n. 2, 2008, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea
Riccardo Aicardi, 15 aprile 1945: l'eccidio di Testico in “Storia e Memoria”, anno XVII, n. 2, 2008, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea