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mercoledì 13 marzo 2024

L'indimenticabile medico dei partigiani, uomo di Isolabona

Fonte: trucioli.it

Mi accingo, con commozione, a parlare di un argomento che mi sta tanto a cuore e penso commuoverà anche voi. Parlare di sanitari, ospedaletto da campo è come dire "Pavia".
Il 24 agosto 1944 nell'ospedaletto da campo veniva effettuato il cambio di guardia. Il dott. Pigatti, che aveva come collaboratore un suo figliolo, studente universitario in medicina, lasciava la direzione dell'ospedaletto della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” e gli succedeva “Pavia”.
Pavia era il nome di battaglia del nuovo medico, Leo Anfosso, nato e residente a Isolabona. Studiava nell'università di Pavia, dove avrebbe dovuto essere alunno del quinto ed ultimo anno di medicina.
Giovane entusiasta e socievole, gioviale e scherzoso, portava serenità ed entusiasmo in ogni ambiente che frequentava.
Il suo non era un agire da daddolo, ma si dava da fare veramente. Capiva che doveva diventare un distributore di dande, cinghie che sorreggono i bambini quando imparano a camminare e guidarli nelle evitabili sorti delle battaglie. Oserei perfino dagli del dandismo per la sua elegante e raffinata capacità di aiutare senza mai umiliare. Ai per forza debosciati feriti, decrepiti per momenti di scoraggiamento darà il sorriso, la fiducia, la gioia di riprendere nella vita. Nel deflagare della guerra, nel colpo debilitante di una pallottola il combattente potrà cadere in deliquio, subire uno svenimento, ma sarà lui, Pavia, a ridargli quella energia che lo riporrà sul fronte, in prima linea. Tra i partigiani la ferita non significava imboscamento, ma solo pausa in attesa di una pronta ripresa del combattimento, fino alla dedizione assoluta. Il riparatore delle ferite era Pavia, il giudice inappellabile della ripresa.
L'estate del 1944 fu un periodo di continui rastrellamenti. Per ragioni di protezione e di sicurezza l'ospedaletto fu trasferito in Piemonte a Valcona. Luogo un po' scomodo. Non appena fu possibile, nell'autunno, fu riordinato nei luoghi vicini ai reparti combattenti. Si stabilì a Drondo una frazione del Comune di Triora e successivamente a Bregalla, altra frazione dello stesso comune.
Un "casone" a due piani era l'ospedaletto. Preparato con mezzi raccimolati un po' ovunque e reso funzionale e sicuro da Pavia con rinforzi cautelativi. Forse mancava di quella igiene e pulizia di un moderno ospedale. Ma si sa che gli angeli Custodi dei militari allontanano una infinità di pericoli e soprattutto le infezioni.
Il C.L.N. di Sanremo provvedeva le medicine. Assiduo e generoso fornitore era il farmacista Marco Donzella. E vi è anche una curiosità da non lasciare in oblio. Per mirabili o misteriose vie i medicinali e materiale sanitario provenivano dalle caserme dei militari e anche dei repubblichini. Più tardi, quando gli americani inizieranno i loro lanci, i medicinali saranno abbondanti.
Trattamento degli ammalati
I malati ricoverati venivano divisi in tre reparti. Nel primo vi erano gli immobilizzati, nel secondo i feriti che potevano camminare, nel terzo gli ammalati che dovevano tenere il letto.
Tale divisione di ammalati si rese necessaria per un più veloce smistamento dei degenti nelle grotte delle montagne, qualora si presentasse il pericolo di un rastrellamento da parte dei nazi-fascisti. Farsi scoprire da loro significava essere uccisi.
Per i feriti gravi, quando occorreva un consulto, la visita di uno specialista, si ricorreva, quando lo si trovava, perchè anche lui era braccato dai nazi-fascisti, al prof. Moro di Castelvittorio, o al dott. Rinaldo Ferrero di Pigna e medico condotto a Triora, o al dott. Natta di Imperia. Qualche rara volta ci si rivolgeva al Dott. Martini che era medico capo della Divisione I^ “Felice Cascione”.
Ma il nostro Pavia faceva veramente miracoli. Certo che le distanze imponevano sacrifici e tempo. Talora era dispensabile una medicazione pronta, fatta dal vicino che più aveva coraggio di farla.
Io per esempio, ricordo di essere intervenuto a Langan per medicare un ragazzo dilaniato da una bomba a mano scoppiategli tra i piedi, per uso imprudente.
Ed Erven, che assistette, medicai ed anche intervenni quasi chirurgicamente, nei casoni sopra Cetta.
E Toscano, a cui incisi una caviglia sul piazzale di Cetta per tumefazione pericolosa e gli estrassi schegge dalla ferita. Fu drammatico il sistema di addormentarlo per non farlo urlare. E vedremo altri casi nel corso di questa narrazione.
Pronti per il nascondiglio
Nell'ospedaletto da campo tutto era predisposto per lo spostamento veloce. I rastrellamenti erano frequenti e massicci. Le scorte avanzate davano in tempo l'avviso dell'arrivo delle truppe nazi-fasciste. Nei luoghi più impensati, lontani dalle strade e dai sentieri di collegamento, vi erano grotte e buche ben nascoste. I feriti e gli ammalati venivano trasportati in gran fretta fino ad un certo punto. Poi erano lasciati alla cura esclusiva di Pavia. Egli non voleva assolutamente che nessuno sapesse dove nascondeva i suoi feriti e gli ammalati. Lui stesso se li caricava sulle spalle e li portava alla destinazione da lui voluta. Non voleva che succedessero inconvenienti ed evitare cattive sorprese. Eravamo in guerra ed ogni ombra, ogni indizio potevano essere e rappresentare un pericolo.
Pavia faceva il giro dei suoi pazienti, portando loro viveri necessari e le prestazioni mediche indispensabili. Naturalmente ci furono casi di feriti e di ammalati gravi. Nessuno però morì. Furono gli interventi del medico? Fu l'aiuto del Buon Dio? Fu la tenace speranza degli ammalati, il loro desiderio intenso di vita? Tra i feriti voglio ricordare in modo particolare Erven, il Vice Comandante onorario della Brigata. Dopo tante battaglie, in un attacco contro i tedeschi, verso Baiardo, veniva ferito gravemente alla coscia destra. Gli si era tagliato il nervo sciatico. Quanta cura ebbero i suoi compagni! Quante ne ebbe da tutti! Prima però che potesse essere portato in un luogo sicuro per vere medicazioni, passarono giorni e settimane. Eravamo nel giugno del 1944. Portato in un "casone" sopra Cetta, gli prestai, come dissi, io le prime cure. Finalmente il Prof. Moro di Castelvittorio, potè essere pronto nell'ospedale di Triora per l'intervento. Ma un'ora prima venivano a far visita alla nostra zona per un rastrellamento, i tedeschi, in gran numero.
Era il 3 luglio 1944 quando Triora fu data alle fiamme. Mi sovviene la figura di Nerone, ma un bel tacere è cosa pia. Il povero Erven veniva trasportato, di corsa sul monte Truno, sopra Triora e lasciato sotto le stelle. C'era un rudere di un "casone" ma era senza tetto. Unico sostentamento fu un po' di latte e acqua. La rifornitrice coraggiosa fu la signorina Antonietta Bracco abitante nella frazione di Triora, Bregalla. Volontaria infermiera dell'ospedaletto, a rischio continuo della sua vita, saliva sul monte due volte al giorno per dire una parola buona al ferito, solo con Dio e braccato dagli uomini.
Terminato il rastrellamento lo recuperò Pavia nel suo ospedaletto, spesso volante.
Mentre descrivo sento un brivido passarmi per la schiena ed una commozione che mi fa lacrimare, pensando agli uomini e agli avvenimenti. La vita del medico Pavia era travagliatissima, il lavoro snervante e nelle condizioni le più assurde.
Enormi distanze da percorrere tra un distaccamento ed un altro. Non c'era la possibilità di riposare. La popolazione dei paesi che si trovavano nella zona di operazione avevano in Pavia l'unico medico, ed era l'unica speranza per gli ammalati. Nelle sue continue peregrinazioni da un luogo all'altro, entrava nelle case dei borghesi a visitare ammalati, a distribuire medicine, a dare una buona parola, un sorriso ed una barzelletta che sapeva raccontare egregiamente. Poi subito via per un'altra chiamata. Il rischio che egli correva era molto maggiore di quello degli stessi partigiani e dei loro comandanti. In caso di rastrellamento tutti cercavano un luogo al riparo, mentre lui non poteva lasciare i suoi pazienti. Nell'ottobre del 1944 i tedeschi erano venuti a piantare le loro tende a circa 10 metri dove lui aveva nascosto i suoi. Nessuno ha mai parlato diffusamente del suo eroismo. Fu lui che mi raccontò che, terminato il pericolo, ricomponeva il suo ospedaletto e sereno e sorridente continuava la sua missione. Così, semplicemente così. Voi che mi leggete e che eravate alle cure di Pavia potete e dovete riconoscere il suo senso del dovere fino al sacrificio.
Quando morì, io ero al suo letto, ne composi la salma. Moltissimi di voi eravate presenti al suo funerale. Fu un trionfo, non un corteo funebre. Quando terminai di celebrare la messa nella Chiesa del cimitero, e ne era passato del tempo dall'inizio del corteo, continuavano ad arrivare le automobili del seguito. Sua moglie mi chiese come mai io non piangessi. Il dolore profondo è muto.
Mi sia consentita qui una parentesi sincera. Per una ragione, forse anche spiegabile, tra i partigiani si era formata una forte reazione contro gli ufficiali aggregati e loro stessi partigiani. Il bisogno di un nuovo mondo vedeva nei graduati dell'esercito, una forma di conservatorismo, di tradizione. Una larvata minaccia di anarchia soffiava nel fuoco del malcontento e cercava vittime. I concetti e gli avvertimenti di Vitò cacciarono la terribile dea infernale Aletto nella sua sede. Gli ufficiali si dimostrarono poi degni di essere chiamati a posti di comando. Furono i primi a prestarsi come barellieri ed infermieri alle dipendenze di Pavia.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Oltre 70 persone ieri hanno preso parte alla inaugurazione dell'Ostello Leo Anfosso di Carpasio. Un luogo che ha una storia particolare e rinasce grazie a Katiuscia Vivaldi e Jacopo Siffredi (che abbiamo intervistato), con una forma ritrovata dopo un lungo periodo di chiusura e con l'intento di ricordare una persona importante per la valle Argentina.
Parliamo di Leo Anfosso, meglio conosciuto come 'U megu Leu'. Medico condotto e anche partigiano (nome di battaglia, Pavia, dal luogo di studi). Un uomo buono, innamorato di questa terre e della sua gente, territori per i quali lottò e persone che aiutò (anche economicamente) in un periodo difficile, in cui molte famiglie si trovavano nell'indigenza. Gli episodi che videro protagonista Anfosso ne hanno fatto un protagonista della storia di questo entroterra una persona il cui ricordo è ancora oggi, caro a molti.
[...] Tra i partecipanti all'inaugurazione c'era Gipo Anfosso, il figlio del Medico Leo, che alcuni anni fa per ricordare la storia del padre scrisse "Io ricordo tutto", libro che ha fatto capolino all'Ostello portato dallo stesso autore che ha condiviso con noi alcune emozioni per questa inaugurazione. "C'era proprio una bella atmosfera. Ho visto tante persone venute per l'evento e venute anche per ricordare mio padre che è morto 57 anni fa. Mi ha fatto piacere vedere come il ricordo di lui sia ancora molto vivo" racconta con una certa emozione Gipo Anfosso.
[...] "Domenica con questa celebrazione abbiamo commemorato il passato con qualcosa di concreto che servirà per il futuro, l'Ostello. Sono molto felice e soddisfatto per l'impronta data da Katiuscia. È un posto che ricorda i valori cari a queste terre dell'antifascismo e si apre all'ospitalità e alla cultura con l'intenzione di organizzare eventi culturali e non solo. Anche nelle scelte stilistiche emerge l'amore per la natura, altra grande passione di mio padre". [...]
Stefano Michero, Carpasio: inaugurato l'Ostello Leo Anfosso. Il figlio Gipo: "Sarebbe piaciuto molto a mio padre"la voce di Imperia.it, 29 agosto 2023

mercoledì 19 ottobre 2022

Sono giovani e meno giovani, che chiedono di esser inseriti nelle bande partigiane

Un casone nel territorio del comune di Montalto Carpasio (IM). Foto: Eraldo Bigi

13/6/44
All'alba mi sveglio col rumore dei compagni che prima di me erano già fuori indaffarati.
Mi muovo su quel giaciglio dove ho trascorso la notte, sono duro dalla testa ai piedi; esco fuori, vicino vedo una fontana, mi sciacquo bene la faccia e drizzandomi su me stesso guardo attorno: l'accampamento è invaso da una marea di uomini che giungono da ogni parte; sono giovani e meno giovani, che chiedono di esser inseriti nelle bande partigiane.
Rivedo molti amici e molta gente che conoscevo in città, vedo "Curto" [Nino Siccardi] che già conoscevo e che non sapevo fosse il comandante della Brigata.
C'è una riunione di capi partigiani.
Ernesto Corradi è nominato capo banda e inviato al confine francese sul monte Grammondo.
Io e il compagno Leonardo Roncallo raggiungiamo l'ultimo tornante della strada che domina la vallata di Carpasio dove montiamo di guardia.
A causa della confusione che regna al campo, fino a tarda sera rimaniamo sul posto dimenticati, costretti a cibarci con germogli di rovi.
La banda "Macallè"
Il nostro gruppo con altri compagni entra a far parte della banda "Macallè" (Scarella Giovanni caduto il 17 marzo 1945 a Costa di Carpasio); Luciano Sciorato è nominato commissario.
14/6/44
Prima del tramonto con pochi fucili e qualche attrezzo da cucina, partiamo per Monte Faudo, durante la notte sostiamo lungo la strada sotto i castagni. All'alba riprendiamo il cammino e poche ore dopo giungiamo a destinazione.
15/6/44
Da quel pendio guardavo la mia valle, il mio paese e, pensando alla mia gente, non sapevo darmi pace.
Erano trascorsi appena tre giorni dalla partenza e il peso di quella ingiustizia mi stroncava già i nervi.
Costretto su quelle montagne a dormire sotto gli alberi e senza mangiare, con la vita in pericolo, dopo poco tempo avevo cominciato a sentirmi alla stregua degli animali.
Osservavo i miei compagni soprattutto i più giovani, meno esperti a quel vivere, in preda allo sgomento.
Le notti erano fredde. Ero stanco e male equipaggiato, avevo quasi niente per coprirmi; ogni giorno che passava la situazione si faceva sempre più insostenibile;
dovevo procurarmi altri indumenti per affrontare la situazione con minor disagio.
Qualcuno come me possedeva una vecchia coperta, altri nemmeno quella.
Dovevamo costruirci senza attrezzi un riparo per la notte, ma non sapevamo nemmeno da che parte incominciare; guardavamo i più vecchi cosa facevano.
Ci mettiamo al lavoro strappando dei rami, improvvisiamo delle baracche coprendole col fieno, sperando che non piova.
Arriva l'ora del pranzo, ci viene distribuito un pezzo di carne nel brodo, dentro al quale galleggiano molti insetti che in quella stagione vivono nell'erba dei prati.
Iniziava così il primo giorno di vita partigiana; seguiranno giorni tristi fra turni di guardia e corvée.
Dentro di me stava maturando il desiderio di ritornare a casa anche solo per poche ore. Chiedo il permesso al capobanda, ne ricevo un netto rifiuto, mi fa capire che lasciare il campo da soli è un pericolo per tutti; insisto dicendo che mi sarei trattenuto solo il tempo utile per procurarmi altri indumenti; cede alle mie insistenze, ma per punizione non mi accetterà più nella sua banda.
19/6/44
Prima del tramonto parto quasi correndo, sperando di fare cattivi incontri lungo la strada; in meno di un'ora sono a casa lo stupore dei miei genitori che preoccupati mi consigliano di nascondermi.
Rimango un'intera giornata in casa a prepararmi il necessario per ripartire.    
Per una notte ancora godo profondamente di quelle piccole gioie che la vita domestica mi può offrire e che per molto tempo dovrò dimenticare.
21/6/44
È l'alba, sono già fuori dalla porta, mio padre vuole accompagnarmi; mia mamma, guardando  verso l'alto attraverso le foglie del pergolato, mi fa osservare che pioviggina.
Con gesto di rassegnazione mi muovo seguito dal mio genitore.
Salutiamo la mamma mentre mi fa le ultime inutili raccomandazioni, ci inoltriamo su quella vecchia mulattiera, fiancheggiata da arbusti, che pochi giorni prima avevo percorso con i miei compagni.
Strada facendo mio padre mi incalzava di domande sulla vita partigiana, ma rispondevo evasivamente per non amareggiarlo.
Presso la chiesetta di Santa Brigida ci fermiamo; nel frattempo giungono altri compagni di Garbella, anche loro cercano riparo nella vita partigiana.
Lascio mio padre immobile davanti alla chiesetta e con i miei amici mi allontano verso Monte Faudo dal quale, come prevedevo, sono costretto a proseguire verso il bosco di Rezzo.
Alle tredici giungiamo a destinazione ospitati dalla banda "Vittorio" (Acquarone) accampata sotto il bivio della strada che, dividendosi, prosegue verso Rezzo da un lato e il passo di Teglia dall'altro.
Siamo alloggiati in una stalla umida e buia con il pavimento ancora bagnato dallo sterco delle pecore.
Trascorriamo la giornata in cerca di erba secca per costruirci un giaciglio per la notte.
Sopra di noi altri compagni sono alloggiati nel fienile, dal quale cade giù polvere di fieno e foglie secche miste a vecchie ragnatele, e perciò in poco tempo ci confondiamo col fondo della stalla.
Sono seduto appoggiato con la schiena allo zaino, verso il muro; vicino a me, sdraiato a terra, c'è Giulio Borelli che, amareggiato, annoda un fazzoletto per ripararsi la testa dalla polvere che sta cadendo; mi guarda e con gesto disperato dice "Domani torno a casa, a questa vita non ci resisto".
Quindi, raggomitolandosi sotto una coperta, grida ai compagni di sopra di muoversi il meno possibile.
In quei giorni di esasperata sopportazione della vita, mentre giovani di ogni ceto cercavano rifugio dove forse c'era maggior pericolo, un piccolo episodio è rimasto vivo nella mia mente.
Ognuno di noi sembra rassegnato ad ogni evenienza di pericolo, quando nell'angolo più buio di quella stalla due compagni di Garbella, Giuseppe Daprelà e Pierino Michelis, con una candela e un foglietto scritto fra le mani, per dimenticare, si mettono a cantare la Paloma; benché stanco e distratto, sollevato da quella canzone mi addormento.
Appena è l'alba esco da quell'ovile più stanco del giorno prima, mi avvicino a un gruppo di partigiani, uno dei quali sta distribuendo del latte caldo.
Lo sguardo di quegli uomini già provati dalla lotta partigiana mi mette soggezione e, appena ricevo la mia razione, mi allontano.
A pochi passi da me tre partigiani interrogano alcuni prigionieri i quali saranno fucilati in giornata.
Sento le colpe di cui sono accusati mentre penso alle loro famiglie che non li vedranno più tornare, dimenticando in quel momento quali nemici pericolosi fossero per noi.
Mi aggiro per l'accampamento tormentato dalla situazione che mi circonda.
Più tardi sono chiamato per rifornire d'acqua la cucina; con un secchio mi allontano nel bosco verso il ruscello, attorno a me sento quello strano ma meraviglioso silenzio interrotto dal cinguettio degli uccelli; mi sarei fermato per dimenticare ogni cosa. Ricordavo le scampagnate fatte con gli amici in tempo di pace. Invece d'ora in poi, la banda che è poco distante da me, ogni momento dovrà guardarsi da un nemico spietato.
Riempio il secchio e faccio ritorno. Sono ancora distratto dai miei ricordi quando un rumore di passi mi distoglie.
Sul mio sentiero un partigiano armato accompagna verso di me un uomo con le mani legate e la faccia stravolta, cui mi viene ordinato di dare da bere. Sorpreso e preoccupato, quasi tremante avvicino il secchio alla bocca di quel giovane dallo sguardo implorante, che non dimenticherò mai. Immaginando quello che sta per accadere mi allontano in fretta, ma non in tempo per non sentire il colpo di pistola e la caduta di quel corpo sui rovi.
Colpito da quel fatto di sangue, torno alla cucina sconvolto e intimidito, nascondendo ai miei compagni il mio stupore.
Da tre giorni sono ospite della banda "Vittorio", in mezzo a un viavai di partigiani che partono e arrivano per le varie missioni.
Ero confuso e disorientato da quella vita disordinata alla quale non avevo ancora fatto l'abitudine.
Assisto al breve processo di altri due prigionieri che più tardi saranno fucilati.    
Privo di esperienza, non capivo ancora quegli uomini che uccidevano per non essere uccisi.
24/6/44
Sono le 14.30. Ho appena digerito un po' di brodaglia con pane e formaggio, sul bosco è scesa una fitta nebbia e l'aria umida penetra sotto i vestiti.
L'apparenza di un pomeriggio tranquillo ci concede solo una tregua sulla paura che ognuno di noi conserva.
Quel bosco che appariva un rifugio sicuro per la nostra guerriglia, in quegli istanti di apparente calma è sconvolto dal crepitio di un mitragliatore che ci mette in allarme.
Da San Bernardo di Conio un'autoblinda seguita da alcune centinaia di tedeschi sta venendo verso di noi, alle raffiche dei mitragliatori seguono i colpi di mortaio che esplodono in varie zone provocando piccoli incendi.
Rimango immobile per pochi istanti, cerco di capire cosa succede.
La nebbia impedisce di vedere ogni cosa. Siamo presi dal panico e disarmati cominciamo a fuggire in tutte le direzioni, mentre la banda armata si allontana dal campo appostandosi.
Mi muovo seguendo di corsa alcuni compagni.
In pochi minuti attraversiamo la strada che dal bosco scende verso il paese di Rezzo e, favoriti dalla nebbia, raggiungiamo la vecchia casa adibita ad ospedale.
Da essa alcuni partigiani e la giovane "Candacca" (Pierina Boeri) stanno uscendo in fretta trasportando un ferito e tutta quella attrezzatura che avrebbe potuto servirci in seguito.
Con loro ci sono quattro prigionieri tedeschi. Ci aggreghiamo al gruppo, aiutando gli uomini a portare il necessario.
Prima di notte raggiungiamo la parte più sicura del bosco.
In mezzo a noi c'è "Curto". Non conoscendolo, nessuno avrebbe pensato quale persona di grande responsabilità egli era. Solo l'averlo vicino infondeva coraggio.
Molto pratica del posto, "Candacca" va in perlustrazione e, prima del tramonto, ritorna dandoci via libera.
Partiamo al buio seguendo un sentiero, portando a turno la barella con il ferito; in piena notte arriviamo al passo della Mezzaluna e sostiamo dentro due casoni; fa molto freddo, a me capita il primo turno di guardia.
Appena rientro mi trovo ancora vicino a Borelli che si lamenta perchè deve dormire nell'umido.
Intirizzito dal freddo ho solo voglia di riposare e rassegnato mi sdraio vicino a lui.
25/6/44
Prima dell'alba siamo tutti svegli, la giornata limpida ci permette una buona visibilità. Siamo stanchi, affamati e visibilmente scossi dal rastrellamento.
Sostiamo vicino al muro dei casoni, al riparo dell'aria pungente, con il bavero della giacca alzato.
Incerti pensiamo verso quale località andare, se non ci sono già i tedeschi l'unico rifugio è Triora.
Dobbiamo pensare al ferito e trovare riparo anche per noi.
Ci dividiamo in due gruppi per essere meno notati; dopo aver caricato il ferito su di un mulo, alcuni compagni prendono in consegna i quattro tedeschi e si avviano sulla strada più agibile verso il suddetto paese.
Per pochi minuti osserviamo il piccolo gruppo allontanarsi, poi ci inoltriamo su di un sentiero appena tracciato, sperando di raggiungere prima di loro la stessa meta.
Fra noi ci sono Don Martini e suo fratello, il dottore.
Dopo una mezz'ora di strada ci coglie un violento temporale. Ci troviamo così sotto un'acqua torrenziale, senza un riparo, con visibilità di pochi metri.
Davanti a noi è completamente scomparsa la traccia del sentiero.
Disorientati, in mezzo alla campagna, ancora lontani dalle abitazioni, bagnati, come si dice, dalla testa ai piedi, proseguiamo con fatica facendoci strada fra gli arbusti.
Graffiandoci la pelle, lacerandoci i vestiti e con le scarpe infangate, raggiungiamo nel porneriggio la borgata di Guina: un gruppo di quattro case sparse per la campagna.
Bussiamo alla porta di quelle abitazioni in condizioni disperate: fradici, sporchi, affamati, sfiniti dalla stanchezza, irriconoscibili.
Siamo ricevuti da contadini con affettuosa cortesia. Ci dividiamo fra le famiglie per recare meno disturbo. In quelle povere case ci viene cotto un minestrone in un paiuolo appeso al centro della stanza, vicino al fuoco possiamo asciugarci i vestiti.
26/6/44
Trascorsa la notte nei fienili di quelle abitazioni, dopo una breve colazione partiamo per Triora dove giungiamo prima delle dodici.
Il paese è pieno di partigiani, postazioni con mitragliatori pesanti e pezzi di artiglieria sono disseminate dappertutto, arroccato su quella altura, lo stesso sembra inespugnabile.
Diverse bande sono accampate sulle colline circostanti collegate col centro abitato, dove mi sembra ci fosse il Comando di Brigata.
Tutto sembra tranquillo e il paese vive isolato come una piccola repubblica.
27/6/44
Dopo quella drammatica avventura, riposati ritorniamo verso l'Alpa Grande.
Molti partigiani ancora sbandati vagano su quelle montagne, intravvedo fra loro Aurelio Lavagna (Venerdì), che mi restituisce lo zaino smarrito durante il rastrellamento.
28/6/44
Rientriamo nel bosco dove eravamo già accampati; come gruppo di sbandati provenienti da ogni parte, siamo tutti disarmati, però abbiamo raggiunto un numero sufficiente per formare una nuova banda.  
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982
 

domenica 20 dicembre 2020

A Baiardo (IM) i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania


Baiardo (IM)
 
7 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] di Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Avvertiva di un imminente rastrellamento ad opera della compagnia O.P. del capitano Ferraris di concerto con tedeschi di stanza a Taggia (IM) o nella Val Tanaro; comunicava che i 100 uomini della O.P. avevano morale alto ed erano forniti di armamento automatico; segnalava che la risposta di un milite, cui era stato chiesto il motivo per cui osavano avventurarsi in così pochi in zone infide, era stata che essi potevano per l'appunto contare sul supporto di forze tedesche.

7 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Divisione al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Sulla risposta di giovani alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale si opinava che "coloro che si sono presentati sono i giovani imboscati di sempre; gli ex garibaldini si contano sulla punta delle dita e sono quasi tutti presi [si contava sulla possibilità che questi ultimi facessero da infiltrati] e rimarcava di rammentare ai giovani quanto accaduto a Baiardo (IM) "dove i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania".

8 gennaio 1945 - Dal S.I.M. della I^ Zona al comando della Divisione "Silvio  Bonfante" - Informazioni militari: sul transito in Caramagna [Frazione di Imperia] di 2 camion con 40 tedeschi a bordo; che 3 delatori (Musso, Ozenda ed un terzo di cui veniva data solo la descrizione fisica) avevano indicato al nemico la strada per Vasia (IM); che da Ceva (CN) erano giunti 60 fascisti a Porto Maurizio [Imperia]; che ad Albenga (SV) erano arrivati molti tedeschi per un possibile rastrellamento nella zona ingauna.

8 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione, prot. n° 140 segreteria, ai comandi I° Battaglione "Mario Bini", II° battaglione "Marco Dino Rossi", III° Battaglione "Orazio 'Ugo' Secondo" - Comunicava che alcuni giovani si erano presentati ai competenti uffici della RSI (Repubblica Sociale) perché i loro genitori temevano rappresaglie per cui era necessario assumere severi provvedimenti contro chiunque svolgesse propaganda contro il movimento partigiano.

8 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 141 segreteria, ai comandi I° Battaglione, II° Battaglione, III° Battaglione - Veniva criticata l'azione svolta il giorno precedente contro i tedeschi a Montalto [Montalto Ligure, oggi parte del comune di Montalto Carpasio (IM)] ed a Molini di Triora in quanto i Distaccamenti avevano sparato da una distanza eccessiva.

8 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo” - Il comando rispondeva negativamente alla richiesta di armi automatiche a causa della scarsità delle medesime e segnalava che il comandante Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi] risultava irreperibile.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998 - 1999 

domenica 29 novembre 2020

È nostra intenzione costituire una Brigata d'Assalto per la guerriglia

Carpasio - Foto: Eraldo Bigi

Tale incontro Erven-Tento-Vittò avvenne dopo il ferimento [26 marzo 1944] di Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] a Gavano; anzi, almeno parecchi giorni dopo; nell'aprile del '44, certamente non prima dell'aprile.
Il giorno immediatamente dopo l'incontro, lunedì, Erven avrebbe dovuto riferire a Curto [Nino Siccardi], in un colloquio da tenersi in Carpasio [oggi nel comune di Montalto Carpasio (IM)], circa quanto concluso con Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] e con [Pietro] Tento. Curto [Nino Siccardi] ed Erven si sarebbero incontrati all'arrivo della corriera, sulla quale Erven avrebbe viaggiato per andare a Carpasio. Ma quel giorno la corriera non partì. Erven si recò a Carpasio in bicicletta; anche Curto vi era giunto da un'altra parte, con eguale mezzo; ma Erven arrivò quando Curto era già andato via.
Alcune sere dopo viene fissato pertanto un nuovo appuntamento Erven­-Curto.
L'incontro ha luogo in Costa di Carpasio, in una casa di montagna della famiglia Pastorelli. Erven è insieme con Marco (Candido Queirolo), salito con lui in montagna in quell'occasione; prima trovano Giulio (Libero Briganti); poi viene Curto. Erven [Bruno Luppi] e Marco, scesi dalla corriera in Carpasio, per un poco avevano seguita a distanza una donna, che faceva da guida; poi la avevano raggiunta, e insieme con essa erano arrivati alla casa di Pastorelli, una specie di «casone», in Costa di Carpasio. Come si è detto, appena entrati vedono Giulio; e poi viene Curto.
Curto, in quel periodo, agisce ancora come esponente del suo Partito (PCI).
Si riassumono, qui appresso, le parole pronunciate da Curto, il quale parla a nome del PCI, da cui ha avuto l'incarico del comando in montagna.
Curto dice: «Nell'alta valle dell'Impero, sotto il nostro controllo esistono già tre bande organizzate, che sono quelle derivate dalla banda Cascione».
Fa presente che in quel momento le bande sono presso Borgo d'Oneglia, presso Sant'Agata e al Passo della Pistona; ma ad arte, per i soliti motivi precauzionali, possono essere state date indicazioni non precise circa l'ubicazione dei gruppi. Aggiunge: «La banda, che è nella Valle Argentina, è ancora autonoma; ma può essere assorbita, essendo, a contatto col PCI». Aggiunge ancora: «È nostra intenzione costituire una Brigata d'Assalto per la guerriglia organizzata in tutta la provincia di Imperia; essa comprenderà le tre bande citate e quella dell'alta Valle Argentina, e assorbirà tutte le altre che immancabilmente verranno a costituirsi intorno a quelle esistenti». Curto espone il programma dell'azione che le bande condurranno per la lotta di liberazione [...]
Terminato il colloquio, viene consumata una magra cena a base di latte e castagne; e poco dopo, intorno alla mezzanotte, giunge una pattuglia, segnalata dal «Chi va là» della sentinella. Anche la pattuglia consuma un pasto frugale; ed Erven entra in colloquio col capo di essa, che, come viene a sapere, è Vittorio Acquarone.
Fu in questa circostanza che Erven e Marco si trasferirono dalla città alla montagna.
Il giorno successivo a quello del suddetto incontro, Erven e Marco partono da Costa di Carpasio; prendono la corriera per Badalucco un po' a valle di Carpasio; da Badalucco, Marco prende la corriera per Triora, e va subito a «La Goletta», a raggiungere il gruppo di Vittò e di Tento; Erven prosegue, dopo avere dato a Marco, per prudenza, le L. 80.000, e scende a Taggia. II giorno dopo va anch'egli a «La Goletta», per la definitiva adesione del gruppo di Vittò e Tento alla costituenda Brigata; e consegna le L. 80.000.
Vittò e Tento aderiscono subito. Vittò era già d'accordo, in via di massima; ancora non si era deciso Tento, non comunista; però, considerate le difficoltà del gruppo, anch'egli accetta, quando sa che vi saranno concreti aiuti alla banda.
Restano da interpellare gli uomini del gruppo, che allora erano venticinque. Erven li riunisce alla sera del medesimo giorno: fornisce le necessarie delucidazioni; e tutti aderiscono.
Quando avvengono i fatti sopra esposti, Vittò era già rientrato in banda, dopo la ferita riportata nello scontro di Gavano; e, sebbene non ancora uscito del tutto dalla convalescenza, già si disponeva a prendere di nuovo parte alle azioni.
In un primo tempo, come già accennato, Erven e Marco restano con Vittò e Tento, tutti in un medesimo gruppo.
Nel periodo testé trattato vi era stato qualche altro fatto, di cui non è possibile non fare menzione.
Verso la fine del febbraio '44, o nei primi giorni del marzo, era stato fatto saltare un deposito di mine tedesco, situato in Arma di Taggia, nel cosiddetto «Giro del Don», fra il ponte sul torrente Argentina e la ferrovia.
Le persone, alle quali il fatto deve attribuirsi, restarono ignote.
Ancora in marzo [in effetti ad aprile: vedere infra] tre partigiani del gruppo di Vittò sono catturati in Baiardo dai militi fascisti: un polacco e due italiani (di cognome Repetto e Faraldi). Un ex segretario del fascio, mediante una sua camionetta, porta i tre prigionieri da Baiardo a Pigna, dove vengono rinchiusi nella prigione della caserma.
Mario Cichéro si presenta a Erven con la dolorosa e preoccupante notizia.
In Pigna, per ischerno, agli arrestati, ancora vivi, i nazifascisti celebrano il funerale, con rito religioso; poi li portano nel cimitero, e li uccidono. Gli italiani vengono fucilati dai fascisti; il giorno dopo, i tedeschi fucileranno il polacco.

Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 272-275

Tommaso Faraldi

Il 30 aprile del 1944 Pigna entrò nell'incubo, che durerà poco meno di un anno. Appena conclusa la tradizionale messa domenicale delle 10 e 30, due giovani partigiani vennero portati in chiesa, scortati da un drappello di brigate nere. Il parroco don Bono fu costretto a impartire ai due sfortunati l'estrema unzione. Il drappello si diresse attraverso la via Fossarello seguito da pochi curiosi per raggiungere il cimitero. Verso l'una del pomeriggio il paese venne scosso da una salma di fucileria: il plotone di esecuzione, comandato dal capitano della M.V.S.N. Maggi, fece fuoco su Carmelo Repetto di Rezzoaglio e Tommaso Faraldi di Triora, due partigiani arrestati il 26 aprile a Bajardo e condannati dal tribunale militare, istruito a Pigna per l'occasione, alla pena di morte mediante fucilazione al petto, come previsto dal decr. Legislativo del Duce n° 30/1944. I due partigiani, insieme a un polacco chiamato Giuseppe, erano stati catturati dagli agenti della GNR Tommaso Cataldi e Antonio Di Giovanni in servizio investigativo in borghese. La rappresaglia partigiana non si fece attendere: nella notte tra il 7 e l'8 maggio alcuni partigiani, rimasti ignoti, irruppero nella canonica di Castelvittorio e uccisero con due colpi di pistola il parroco del paese don Antonio Padoan. L'azione è, ancora oggi, avvolta nel mistero; non è ben chiaro il motivo dell'esecuzione (1).  

(1) Per maggiori dettagli si veda l'opuscolo di don Nino Allaria Olivieri, Sangue a Castelvittorio, Editrice Sordomuti, 1977

Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[   n.d.r.: altre pubblicazioni di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019;  La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016    ]

Quasi all’inizio di questo nostro saggio abbiamo scritto che avremo preso in considerazione la biografia dell’ufficiale Bruno Luppi, Erven, poiché noi Imperiesi lo consideriamo un eroe ed uno dei più importanti artefici della nostra Resistenza. Cittadino di Savona e insegnante di storia all’Istituto Tecnico Commerciale “Paolo Boselli” della Città, per molti anni, ora riposa nel cimitero del Comune di Carpasio (IM), nelle cui vallate ha combattuto per la libertà e dove, durante la giovinezza, ha conosciuto la compagna della sua vita.
Ecco l’avventurosa ma affascinante biografia di Bruno Luppi, la quale recita: Bruno Luppi fu Paolo e fu Ponzoni Iside, nasce a Novi di Modena l’8 maggio 1916. Da giovane, organizzato in un gruppo giovanile comunista nell’aprile del 1935 a Modena, è arrestato ed imprigionato con altri antifascisti nelle carceri di Sant’Eufemia. Resistendo ai maltrattamenti e nulla confessando, dopo una ventina di giorni riesce a farsi scarcerare.
Negli anni 1935-1936, sempre a Modena, entrato nuovamente a far parte del gruppo giovanile comunista, continua l’attività cospirativa diffondendo manifestini antifascisti e scritti vari tra i giovani dei corsi premilitari, raccogliendo fondi per soccorsi alle famiglie degli antifascisti in carcere.
Dopo l’occupazione di Roma da parte dei Tedeschi, dal giorno 12 al 20, insieme al sottotenente di Fanteria Enrico Contardi, ad alcuni soldati sbandati e ad alcuni popolani di Trastevere, prende parte alla raccolta di armi, abbandonate negli ex accantonamenti militari (fucili, armi automatiche, munizioni), che vengono consegnate agli antifascisti di Trastevere. Negli stessi giorni col Contardi e quattro soldati riesce a sottrarre ai Tedeschi due automobili nuove di cui una era in uso a un console della milizia. Grazie ad un permesso di circolazione, inoltratosi nel Ministero della Difesa riesce ad asportare una grossa radioricetrasmittente che, con una delle macchine riesce a trasferire ai Colli Albani ove la consegna ad un gruppo di antifascisti che si stanno organizzando per combattere i nazifascisti. Nei giorni successivi spara a gruppi di soldati tedeschi ma, rimasto intrappolato, per fortuito caso riesce a sfuggire alla cattura e a raggiungere la stazione ferroviaria dove è tenuto nascosto da due ferrovieri.
Nei primi di ottobre, dopo varie peripezie, raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della Città, in località Beusi, una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo.
In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri. Con i Sanremesi dà vita ad un giornale clandestino quindicinale dal titolo “Il Comunista Ligure”, ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso. Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.
Dopo la morte del dottore Felice Cascione, capobanda ucciso in combattimento dai Tedeschi il 27 gennaio 1944, la Federazione Comunista di Imperia costituisce il Triangolo Insurrezionale e il Luppi è designato a farne parte per la zona della Valle Argentina - Sanremo.
Con queste mansioni prende contatto con il comandante partigiano Nino Siccardi (Curto), in previsione dell’organizzazione di bande partigiane in altre zone della Provincia di Imperia. Contemporaneamente organizza a Molini di Triora un presunto Comitato con a capo il farmacista Alfonso Vallini (Teia), tramite il quale fa giungere ai partigiani riuniti intorno al comandante Guglielmo Vittorio (Vitò), viveri, armi, e munizioni.
Nei primi giorni di aprile 1944 il Luppi si incontra nuovamente con il Siccardi a Costa di Carpasio, presenti il savonese Libero Briganti (Giulio), Giacomo Sibilla (Ivan), Vittorio Acquarone (Marino) e Candido Queirolo (Marco); si decide di raccogliere tutte assieme una ventina di bande sparse sul territorio per costituire la IX Brigata d’assalto Garibaldi “F. Cascione”.
Il che avviene. Anche “Vitò” si aggrega alla Brigata con i suoi uomini accampati in località “Goletta” (Valle Argentina). Questi vengono suddivisi in due Distaccamenti denominati IV e V, quest’ultimo ha per comandante “Vitò” e per commissario il Luppi, con nome di battaglia “Erven”. Il Luppi, come commissario, nei mesi di maggio e giugno prende parte a tutte le azioni che hanno consentito di ripulire i territori delle alte valli Argentina, Nervia e Roja da presidi e postazioni tedesche e fasciste, che sarebbe troppo cosa lunga a enumerare.
Ma veniamo all’azione nella quale “Erven” dimostrò tutto il suo coraggio e il suo eroismo: La battaglia di Sella Carpe: 27 giugno 1944, Sella Carpe, località a 1300 metri di altezza, nel territorio del Comune di Baiardo.
[...] Dopo il ferimento, il Luppi rimane tra i boschi e sui monti per undici mesi, senza cure, spesso braccato per la caccia che gli danno i nazifascisti, ma sempre a contatto con il Comando I Zona, assumendo, nei momenti di calma, incarichi per produrre stampa partigiana.
Dopo la Liberazione veniva portato, finalmente, in ospedale per essere curato, ma undici mesi di disagi e di non adeguate cure avevano causato un tale peggioramento dell’arto colpito che non poté più essere riassestato nonostante una delicata operazione.
[...] Gli fu conferita la medaglia d’argento al valor militare il 13 dicembre 1952, n. d’ordine 1571 con la seguente motivazione: “Bruno Luppi fu Paolo, animatore tra i primi della Lotta di Liberazione nella Valle Argentina, rganizzatore di valore e comandante capace e deciso, si distinse particolarmente nel contrattaccare con ardita iniziativa superiori forze tedesche risalenti la rotabile militare Baiardo Badalucco. Gravemente ferito alla gamba destra, rifiutava ogni soccorso e teneva imperterrito il suo posto di comando, respingendo il nemico ed infliggendogli gravi perdite”. Sella Carpe - Baiardo (Imperia), 27 giugno 1944.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico "Le Forze Armate nella Resistenza" (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora), venerdì 14 maggio 2004, Savona, Sala Consiliare della Provincia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona

giovedì 16 aprile 2020

... i fascisti scappando abbandonarono 2 muli

Badalucco (IM)
 
Il 6 gennaio 1945 ebbe luogo un vasto rastrellamento a danno dei garibaldini della II^ Divisione  "Felice Cascione" nei pressi del Passo della Verna.
La "befana" di quell'anno fece trovare nella calza degli imperiesi un'abbondante nevicata, che non impedì agli uomini del II° Distaccamento "Novella" del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" di riuscire a sganciarsi dal nemico in Località Binelle del comune di Montalto Ligure [oggi Comune di Montalto Carpasio (IM)].
I patrioti trovarono difficoltà a mimetizzarsi tra gli spogli tronchi dei castagneti, ma avevano dalla loro la cancellazione delle impronte in cagione della bufera che imperversava.
I due austriaci che avevano disertato dal Distaccamento probabilmente avevano indicato la via ai nazisti, ma di loro non si seppe più nulla.
Sempre il 6 gennaio ebbe luogo un altro rastrellamento, in Valle Argentina.
Tre colonne nemiche provenienti da Molini di Triora, Diano Marina ed Imperia si concentrarono intorno a Badalucco.
Erano composte in massima parte da fascisti e repubblichini, quasi tutti liguri, molti dei paesi vicini alla zona di queste azioni. Pochi i tedeschi. Prima di arrivare bruciarono quasi tutte le case incontrate sui tragitti percorsi.
I nazifascisti cercavano di individuare nei pressi di Montalto l'abitazione di Fedè, che fungeva  da recapito della II^ Divisione. E trucidarono a Badalucco tre civili sorpresi per strada.
Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999   
 
... ultimo rastrellamento tedesco-fascista in Valle Argentina. Esso fu stroncato dalla nostra artiglieria al mattino dell'Epifania: per la prima volta usammo cannoni provvisti di congegno di puntamento.
Andrea (partigiano, al momento ancora ignoto, con ruolo di rilievo in seno alla V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione), Lettera dei primi del 1945 indirizzata ad un dirigente del Partito d'Azione a Milano, documento oggi in Fondazione Gramsci
 
6 gennaio 1945 - Da CORPO VOLONTARIO DELLA LIBERTA' ADERENTE AL C.L.N.,  Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", prot. n° 253, al comando della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" e p.c. al comando della V^ Brigata - Informazioni militari: "Oggi forze nazifasciste hanno effettuato un rastrellamento a Badalucco. Si calcola siano stati impiegati per detto rastrellamento più di Cinquecento uomini, i quali hanno occupato il paese con manovra avvolgente, provenienti da Molini di Triora, Diano Marina ed Imperia valicando Passo Veina, S. Remo, Ceriana seguendo la via del Passo S. Bernardo.
I nazifascisti hanno bruciato quasi tutte le case di campagna che hanno incontrato sul loro cammino.  Le forze provenienti da Molini, arrivate al ponte rotto di Montalto che era ancora notte, cercarono della casa di Fedè (Recapito della Divisione).
Verso le ore 9.30 i nazifascisti sono entrati in Badalucco dove sono andati di casa in casa cercando munizioni. È stata bruciata una casa dove è stato trovato un moschetto, un'altra  dove è stata trovata della munizione ed è stata fatta saltare... Tre individui borghesi sorpresi per la via sono stati vilmente trucidati. Alle ore 15 pomeridiane i primi reparti di nazifascisti hanno lasciato Badalucco diretti verso Taggia. In questo primo gruppo ho contato 160 uomini. 4 gruppi di 25 o 30 uomini, i rimasti, lasciavano il paese, diretti, parte verso Taggia, parte verso Carpasio e parte verso Molini di Triora. Questi ultimi sono stati attaccati da squadre di Garibaldini della V Brigata. Durante tale attacco i repubblichini perdevano un mortaio da 81 mm.
Alle ore 16.30 una pattuglia composta di 7 uomini, gli ultimi rimasti, lasciava Badalucco e si congiungeva con un gruppo di 50 uomini che attendevano subito fuori il paese.
Al detto dei fascisti che hanno preso parte all'azione, dovevano circondare Badalucco sino dalle 5 del mattino. Tutto ciò è fallito perché al passo di Veina hanno smarrito la strada.
Si è notato che la forza adoperata per questo rastrellamento era composta in massima parte da fascisti e repubblichini, quasi tutti liguri e dei paesi a noi vicini. Pochi erano i tedeschi. il responsabile S.I.M. di BRIGATA (Brunero) [Franco Bianchi]"
da un documento Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), Op. cit. - Tomo II

[ n.d.r.: quasi tutti i documenti partigiani, anche se scritti nelle condizioni difficili che ben si possono immaginare, anche quelli vergati a mano, riportavano la dicitura Corpo Volontari della Libertà (costituitosi il 19 giugno '44)  ]
 
Taggia (IM): uno scorcio

Gli attaccanti si diressero subito dopo a Taggia, a Carpasio e a Molini di Triora.
La colonna nemica, forte di 40 unità, che tornava a Molini di Triora, fu avvistata dai Distaccamenti Mia e Serpe.
I garibaldini si attestarono allora sotto Glori, Frazione di Molini di Triora (IM), facendo un fuoco incrociato, che obbligò i repubblichini prima a disperdersi, cercando rifugio anche nei tombini, e quindi a scappare.
I patrioti recuperarono due muli, uno carico di un mortaio da 81 mm e relative munizioni, l'altro di... dolci già pronti per la befana fascista.
"... i fascisti scappando abbandonarono 2 muli, uno carico di un mortaio da 81 mm e rispettive munizioni, l'altro di dolci per festeggiare la befana fascista" così, in effetti, lasciò scritto in una sua relazione al comando partigiano Giovanni Jeannot/Monaco Rebaudo *, partecipe anch'egli di quello scontro del 6 gennaio 1945 contro i militi fascisti del Battaglione Monterosa di stanza a Molini di Triora.
Dalla testimonianza di Pippo Rebaudo, conservata presso l'Archivio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, si ottiene la conferma dell'episodio dei muli abbandonati e si apprende che il giorno dopo lo scontro testé rammentato il comandante del presidio fascista di Molini di Triora avrebbe detto alla popolazione: "Ho compiuto molti rastrellamenti  in Croazia, ma non ho mai avuto paura come ieri".
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I

* Giovanni Rebaudo [famiglia di Pigna (IM), poi residente a Ventimiglia dalla Liberazione sino alla morte], nato a Monaco Principato il 29 novembre 1921. Militò nella Resistenza in seguito ai bandi di arruolamento della R.S.I. del 24 giugno 1944. Come molti altri giovani preferì combattere per la libertà, anziché al servizio dell'occupante tedesco. Entrò a far parte del Distaccamento di Buggio [Frazione di Pigna (IM)] comandato da Carlo Cattaneo "Carletto", di Ventimiglia, Distaccamento che operava nella zona di Carmo Langan [Comune di Castelvittorio (IM)]. Dopo una settimana, il 2 luglio 1944 ebbe il suo battesimo del fuoco con la battaglia di Castelvittorio. Dopo il relativo sbandamento si ricompose a Cima Marta un distaccamento comandato da Basilio Mosconi [Moscone, in seguito comandante del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni"]. Con questo partecipò a numerose ed importanti azioni: a fine luglio 1944 distruzione del ponte della "Bunda" di Pigna [n.d.r.: si trattava in effetti di un altro ponte, sito più a valle, prossimo ad Isolabona] per tagliare i rinforzi ai tedeschi; a Passo Muratone e Monte Lega con la cattura di un cannone nemico, che venne poi usato contro la caserma di Dolceacqua (IM); presa di Pigna e difesa della sua Repubblica Partigiana. Tra l'8 e il 18 Ottobre 1944 partecipò con tutta la II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" alla ritirata su Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] passando da Viozene [Frazione di Ormea (CN)]. In novembre ci fu il rientro in Liguria a riprendere i territori abbandonati, ricostituendo le Brigate. A marzo andò in missione a Pigna per ricostituire una formazione: qui subì il rastrellamento del 10 marzo 1945 che portò alla cattura di numerosi ostaggi ed alla fucilazione di 14 suoi compagni partigiani a Latte [Frazione di Ventimiglia (IM)]. Il 24 aprile 1945 era con tutta la  II^ Divisione "Felice Cascione" a Baiardo (IM) quando il Comandante Vitò [Vittorio Giuseppe Guglielmo] dispose il piano di occupazione della costa...   
Vittorio Detassis 

lunedì 6 gennaio 2020

Nello scontro di Fontanili vengono uccisi Pof, Mondre e Leone


Fontanili, Località di Carpasio, oggi unico comune di Montalto Carpasio (IM) - Foto: Gina De Guido

10 gennaio 1945 - P.C.I.: problemi di oggi: dieci pagine ciclostilate in cui erano riportate le discussioni avvenute nell'ultima conferenza del Triumvirato Insurrezionale [Triumvirato insurrezionale ligure, organo interno del PCI, il quale aveva sede in Genova ed era appunto l'organo supremo per la direzione politica e militare del Partito Comunista in Liguria... Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia].

10 gennaio 1945 - Dalla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" [sezione comandata da Livio, Ugo Vitali] al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Veniva fatto un elenco di 11 nominativi di spie, di cui 2 appartenenti alle Brigate Nere, 6 alla G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana], 2 alle SS italiane ed 1 definito "squadrista della prima ora".

10 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco nemico dello stesso giorno a Gavenola [Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]: "il nemico era già vicino quando alcuni contadini avvertirono del suo arrivo; solo un partigiano è stato arrestato e pare abbia "cantato"; il nemico, rientrando alla base, svaligiava una casa".

11 gennaio 1945 - Dalla sezione S.I.M. della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" [sezione comandata da Brunero, Francesco Bianchi] della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 260 S.I.M., al comando della II^ Divisione - Comunicava che a Sanremo (IM), Arma di Taggia e Taggia la forza nemica risultava invariata e che gli uomini di truppa nemica spostati da Carpasio a Montalto [oggi unico comune di Montalto Carpasio (IM)] erano 150.

11 gennaio 1945 - Dal comando del VI° Distaccamento al comando del II° Battaglione della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che in quel giorno nello scontro di Fontanili [località di Montalto Carpasio (IM)] erano stati uccisi "Pof" [o "Fol", Lucio Ferlisi], "Mondre" [Pasquale Nisco, nato a Partinico il 23 settembre 1923] e "Leone", che "Sicilia" [Salvatore Carubia, intendente di Battaglione] era riuscito a fuggire, che "Perto" era passato al nemico. [Un successivo documento del comando del II° Battaglione indirizzato al comando della IV^ Brigata informava che "Sicilia", preso dal nemico, cui si era offerto come ostaggio, aveva resistito senza tradire i compagni a 8 giorni di torture].

11 gennaio 1945 - Dal comando del II° Battaglione al comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione - Relazione... Per quanto concerneva l'episodio di Fontanili veniva precisato che una squadra comandata dal commissario Giulio [Luigi Fittipaldi, commissario di Distaccamento del II° Battaglione] era stata, mentre era in cerca di viveri, sorpresa da pattuglie fasciste, informate da delatori,  e che i garibaldini caduti, prima di essere uccisi, vennero torturati.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

... val la pena di segnalare l’operazione antipartigiana, avvenuta tra il 6 e il 29 gennaio 1945 in provincia di Imperia, sotto il comando della 34ª divisione di fanteria; sul terreno furono impegnati l’80° reggimento granatieri e il gruppo di combattimento Klingelmann per i tedeschi; per i salodiani il raggruppamento Cacciatori degli Appennini. Il risultato sarebbe stato di 17 morti, 1 ferito, 14 prigionieri tra i partigiani, unitamente alla cattura di 200 renitenti alla leva.
Fiammetta Balestracci, Rastrellamenti e deportazione in KL nell’Italia occupata 1943-1945 in Il libro dei deportati, Vol. 4: L'Europa sotto il tallone di ferro. Dalle biografie ai quadri generali, Ugo Mursia Editore, 2015