Lingueglietta, Frazione di Cipressa (IM) |
Faceva parte del distaccamento nemico, responsabile dell'informazione, il sergente Zeffiro Zara, che era anche membro della Guardia Nazionale Repubblicana di Sanremo. Le cause non si conoscono ma dopo alcuni giorni, lo stesso veniva arrestato, tradotto nel carcere di Imperia, quindi processato come traditore della Repubblica Sociale. Verrà fucilato nella Caserma "Asclepia Gandolfo" il 27 gennaio 1945 perché, "pur continuando a militare nella GNR era capo di una formazione di ribelli". Anche il garibaldino Guglielmo Bosco, catturato verrà fucilato, come vedremo, su Capo Berta il 31 gennaio 1945. Sulla morte dei garibaldini sopra menzionati veniva aperta una inchiesta per constatare se l'ex brigadiere Gastone Lunardi, comandante del Distaccamento "Folgore" della IV Brigata, avesse preso qualche iniziativa sbagliata nel campo della sicurezza. A livello politico, del triste episodio si interessava anche l'ispettore della I Zona Operativa Liguria, Carlo Farini (Simon) <6.
Quello che è accaduto nella Caserma Ettore Muti a Porto Maurizio (Piazza del Duomo), dove era di stanza una parte della Brigata Nera "Antonio Padoan", tra il 15 ed il 31 gennaio, ce lo racconta uno degli arrestati, Giovanni Piana, di Oneglia, il quale ci spiega che in quel tempo la costruzione adibita a caserma aveva tutte le caratteristiche deteriori di una spelonca:
"... Tutto vi era in disordine e brutti ceffi presidiavano e volgari sghignazzate e canzonette da lupanare giungevano alle due fetide celle del pianterreno dove rimanevano sprangati i vigilati. Il grosso dei nostri arresti avvenne tra il 15 ed il 31 gennaio del 1945. Le azioni di rastrellamento erano state compiute quasi tutte alla periferia della città, dove ci aveva sospinto lo sfollamento, con improvviso e numeroso impiego di brigatisti neri che penetravano nelle nostre case lasciandovi i segni di una educazione che le nostre famiglie, più di noi stessi, tuttora ricordano. Poi ci intruppavano, preferibilmente di notte, e ci conducevano alla caserma cantando con la sguaiatezza degli avvinazzati i "gloriosi inni del regime", e ci buttavano nelle celle come sacchi di palate. Non dico come ci dovessimo aggiustare in ognuna di esse dove lo spazio bastava appena a contenerci e la umidità che da quelle sporche mura trasudava e l'umiliazione a cui eravamo costretti per i nostri bisogni corporali, e la bestialità del trattamento di cui erano capaci gli aguzzini nelle loro truculenti visite e come la scabbia diventò un tormento della nostra cute cui finimmo per abituarci. Ricordo ancora molti dei compagni di clausura: Armando Filié che un "eroico" tenente non cessava di definire provocatore; Pietro Gazzano, il capitano, che avevo conosciuto tanti anni prima nell'organizzazione dei giovani socialisti e che si spense qualche anno dopo nella natia Coldirodi. Raffaelluccio Languasco di frequente in fase di malinconia pensando alla moglie ed al piccolo Giustino. Rinaldo Torelli arrestato in cambio del fratello Gigetto, riuscito ad allontanarsi per tempo. Ernesto Carli contro il quale si era dato peso allla sciocca accusa di un ragazzo deficiente che egli aveva sempre beneficato. Carlo Dellepiane prelevato una brutta mattina di buonora e condotto alla fucilazione sulla strada a mare verso Diano. Piero Panico sempre irrequieto e pensoso. E poi ancora Giuseppe Maccanò sospettato di tenere nascoste armi partigiane nel recinto del cimitero. Carlo Marvaldi, il più giovane di noi, dal morale alto e fermo. Dominici, il vecchio carrettiere che non sapeva nulla di nulla e temeva che gli capitasse qualche brutto imprevisto. E poi Francesco Sasso di Porto, e Novello, piombatoci addosso a suon di nerbate repubblichine poiché si trincerava in ostinati dinieghi sotto l'incalzare delle domande rivoltegli. Fernandez e Roncetti, due graduati della amministrazione carceraria, denunciati dalla famosa "Donna Velata" (Maria Zucco). In un'altra cella c'erano Faustino Zanchi, Salvatore Costa, Vincenzino Di Leo, Tomaso Dominici ed altri. Fino alla Liberazione altri entreranno ancora in queste carceri, altri ne usciranno per essere fucilati. La terribile atmosfera svanirà soltanto il giorno della Liberazione" <7.
[NOTE]
6 Isrecim, Archivi, Sezione II, cartelle, serie T; Sezione I, cartella 36. Vedasi pure Sezione III, cartella 20.
7 Dal giornale "Il Lavoro" del 12 febbraio 1955.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 86,87
Durante un rastrellamento nelle campagne di Prelà del 17 gennaio effettuato dalla compagnia operativa della GNR di Imperia comandata dal tenente Ferraris, che costò la vita a Carlo Montagna e Sebastiano Acquarone, venne catturato il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), il quale sottoposto a torture fu costretto a confessare dove si trovava acquartierato il X distaccamento Walter Berio della IV brigata "Elsio Guarrini". Gli uomini di questa formazione, già pesantemente provata dalle perdite subite nelle settimane precedenti, si erano rintanati in un rifugio ritenuto sicuro. Si trattava di un piccolo gruppo, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri”, Vittorio Aliprandi, e “Merlo”, Nello Bruno, si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla, in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro: un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana. I rastrellatori di Ferraris si avvicinarono al rifugio, sicuri che i partigiani fossero in quel punto. Dopo aver ispezionato palmo a palmo il terreno circostante iniziarono a togliere alcune pietre che celavano il rifugio e buttarono dentro alcune bombe a mano. Ormai i partigiani erano in trappola: Vittorio Aliprandi e Nello Bruno si tolsero la vita per non cadere nelle mani del nemico, gli altri nove uscirono dal rifugio con le mani alzate e vennero fucilati in momenti diversi: tra questi Luigi Guareschi (Camillo) il 9 febbraio 1945, Vincenzo Faralli (Camogli) il 9 febbraio 1945, Carletti Doriano (Misar) il 15 febbraio 1945, Giuseppe De Lauro (Venezia) il 15 febbraio 1945. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed, in pr., 2020
Dopo la prima quindicina del mese di gennaio 1945 gradatamente formazioni della Divisione nemica "Cacciatori degli Appennini" si trasferiscono verso l'estremo ponente ligure. Abbiamo già visto come durante un rastrellamento colpissero gravemente il Comando della IV Brigata "E. Guarini" nel vallone di Villa Talla. Nell'occasione del trasferimento affiggono un avviso che abbiamo ritenuto riportare integralmente poiché ci dà un quadro abbastanza preciso della situazione nella quale vennero a trovarsi i giovani che avevano disertato le chiamate nemiche, abitanti dei nostri paesi del retroterra.
Ecco il testo dell'avviso: "Gruppo Cacciatori degli Appennini. Si avverte la popolazione che il III Battaglione Cacciatori degli Appennini, desideroso di portare la tranquillità e la normalità nella zona, è disposto a venire incontro a tutti coloro che, avendo obblighi militari, hanno seguito consigli di elementi prezzolati del nemico e si sono dati alla macchia. A coloro che si costituiranno entro 48 ore dalla data del'affissione del presente avviso, si garantisce l'incolumità della vita. Contro quelli, invece, che, non avendo accolto questo appello, venissero catturati nel corso di operazioni militari, verrà applicata la legge di guerra. Z.O. 24 gennaio 1945, ore 8 del mattino. Il comandante del Battaglione maggiore Mario Rosa <1.
Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite venne inviato in Germania. Chi fu catturato dopo il termine dell'ultimatum venne passato per le armi.
Consultando ancora il memoriale del Polacchini, di cui abbiamo già parlato, risulta in modo evidente in che situazione si venissero a trovare i partigiani della IV Brigata. I giorni drammatici che ttrascorrono per il I Battaglione sono uguali a quelli del II e del III.
Scrive Polacchini nel suo memoriale: "... Alle prime luci dell'alba del 24 gennaio 1945 saliamo in vetta alla collina, al passo di Lingueglietta. La stagione è primaverile. Ci laviamo con l'acqua di un serbatoio usato per l'irrigazione. Tocca a me e a Renato Faggian (Gaston) andare in cerca di viveri. Decidiamo per Cipressa, ma partiamo imprudentemente in pieno giorno. Nei pressi di un caposaldo due Tedeschi stanno facendo legna in un boschetto. Hanno le armi a portata di mano. Quando ci vedono smettono di lavorare, ci osservano, parlano tra di loro, ma non ci fermano. Non abbiamo armi in vista, ma sotto la giacca le nostre pistole e, in un zainetto, quattro bombe a mano. Noi facciamo finta di niente e non succede nulla. Facciamo ritorno nel pomeriggio con pane, farina bianca, un fiasco d'olio d'oliva ed una vecchia pentola di alluminio. Tutta roba fornita da un tale del CLN. Dopo l'unico pasto quotidiano andiamo a dormire due a due in piccole costruzioni tra i rovi. Siamo visti da gente di Cipressa venuta a raccogliere le olive per cui decidiamo di cambiare ancora luogo di sosta. Ci portiamo sopra Torre Paponi, paese quasi completamente distrutto dai fascisti nel dicembre 1944. Passiamo la notte in una piccola costruzione tra gli ulivi. Al mattino presto io e Giuseppe Conio (Zabù) andiamo a Pietrabruna anche per avere qualche notizia fresca. Apprendiamo dell'avanzata sovietica in territorio tedesco (Prussia e Slesia), così ci rianimiamo un poco al pensiero che la guerra va verso la fine. Torniamo con pane, formaggio e sapone. Facciamo conoscenza con il nostro padrone di 'casa', è un agricoltore di Lingueglietta il quale ci offre del vino...".
Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gamba di legno), del X Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi <2. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[NOTE]
1 Isrecim, Archivio, Sezione I, cartella 96.
2 Dal giornale "La Verità" del 2 gennaio 1946.
Francesco Biga, Op. cit., pp. 88,89