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martedì 8 agosto 2023

I tedeschi si rendevano conto di aver a che fare con pochi disperati

La stazione ferroviaria di Ceva (CN) in un'immagine d'epoca. Fonte: Ferrovia del Tanaro

Luglio 44
Garessio viveva allora la vita irregolare di quella zona partigiana in cui quella parvenza di organizzazione che si era tentato di iniziare aveva poco o niente fatti sentire i suoi effetti.
Partigiani se ne vedevano pochi per le vie perché già da Ormea era stato imposto che, se non per servizio, si doveva stare fuori dall'abitato.
Lo stesso distaccamento di Cion [Silvio Bonfante] alloggiato in quei giorni dentro la città rimaneva costantemente consegnato sulla piazzetta della chiesa principale.
Viveri non ne mancavano ché la provincia piemontese era ricca di prodotti.
L'unica angustia degli uomini venuti dalla Liguria era l'assenza di occasioni per combattere.
Ricordo un giorno in cui venne una staffetta a segnalare tedeschi nella zona di Val Casotto. La notizia di un dono imprevisto non avrebbe potuto provocare una manifestazione di gioia maggiore di quella.
Scattarono tutti verso le loro armi; nell'angolo Fiume, un mitragliere, piangeva, perché un gonfiore alla gamba gli impediva di seguire la sua pesante arma.
Mancen [Massimo Gismondi] continuava a stare a Pievetta. Nella vicina Bagnasco fu un giorno fatta sepoltura di un partigiano caduto. Mancen andò con una decina di suoi uomini per le esequie. Terminata la cerimonia, invece di tornare all'accampamento, pensò bene di andare un po' anche lui a divertirsi nella stazione di Ceva.
Nell'azione precedente aveva avuto solo una parte secondaria e non era tipo da non volersi rifare.
Che dieci o dodici uomini fossero un po' pochi per una cosa del genere a lui poco importava. In effetti i tedeschi dopo lo scherzo dalla settimana prima non erano ancora tornati a Ceva, ma il passaggio di automezzi e treni non si era per nulla interrotto.
Al ritorno non esitò a confessare che era stato non molto fortunato.
Dopo poco che era entrato in stazione, arrivò il primo treno.
Non avevano fatto ancora segno per fermare i viaggiatori, che dai finestrini incominciarono a partire raffiche a tutta forza.
La frittata era fatta: era un trasporto militare. In quei tempi ancora di armi automatiche leggere ve ne erano poche. Mitragliatori, e pesanti, parecchi, ma quel giorno più che moschetti e pistole non si erano portati.
Scappare non stava bene, e poi più baccano c'era più loro si divertivano. Grillo, uno della Volantina che si era avvicinato subito ad un vagone, non trovò di meglio che coricarcisi sotto, e girare [n.d.r.: o tirare? Il dattiloscritto riporta, comunque, "girare"] con la pistola a tutto quello che vedeva spuntare o dai finestrini o dalle predelle.
Mancen dietro un pilastro aveva l'unica preoccupazione di far centro in tutti gli stivaletti che tentavano di uscir fuori dalle portiere.
Gli altri a più non posso tiravano all'impazzata.
La cosa per un po' andò così, poi incominciò a rivelarsi lo squilibrio, man mano che i tedeschi si rendevano conto di aver a che fare con pochi disperati. Fu allora che Mancen fece ripiegare i suoi, e fu grande impresa il solo atto di averli riportati indietro senza una scalfittura.
Il 12 di luglio tornò a Garessio Curto [Nino Siccardi] e comunicò a tutti la grande notizia: la IX^ Brigata Ligure passava per i suoi meriti a divisione. Nasceva la "Felice Cascione".
27 distaccamenti venivano suddivisi in tre brigate di nove distaccamenti ciascuna: la I^, la IV^, la V^.
Cion fu subito proposto come comandante della prima e Mario [Ottavio Siri] passava a fianco a lui come Commissario.
Gli uomini della Volante non esultarono a tale notizia. Per loro significava non avere più a fianco Cion compagno di tante lotte.
Dovette promettere che avrebbe tenuto sempre i vecchi compagni vicini a lui come prima e che mai sarebbe mancato fra di loro. L'affetto di quei ragazzi per il loro capo era commovente.
La notte venne nel discutere l'elezione del nuovo comandante della Volante.
La mattina seguente ci sorprese in allarme.
L'attacco tedesco su Garessio si era questa volta pronunciato senza incertezze.
Partimmo con Cion alla testa verso il Colle di San Bernardo per sostenere il distaccamento che vi era a guardia.
Giorgio Olivero (Giorgio), comandante della VI^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", Diario, 9 maggio 1945, pp. 9-10. Fonte: Archivio Ligure della Scrittura Popolare

8 luglio 1944 - Da questa data al 27 luglio successivo, si è trascorso in Ormea un periodo di autentica quiete. È vero che ogni tanto si restava un po' preoccupati per le notizie che giungevano, ora dal Piemonte ed ora dalla Liguria, di scontri o di movimenti di forze d'ogni specie, ma qui in Ormea continuava a sopravvivere un vero centro di patrioti indisturbati; e nulla degno di nota si è svolto in questo periodo.
27 luglio 1944 - Verso le cinque del pomeriggio il Capitano Bologna mi confida che, dal Colle dei Termini, sta scendendo su Ormea una forte colonna di tedeschi, per cui sarebbe prudente allontanarsi. Intesa la notizia, radunammo in famiglia tutto ciò che più ci premeva e, col carro a quattro ruote di Antonietto Sappa di Luigi, partimmo tutti per Bossi - sotto frazione di Bossieta - ove trovammo asilo presso la famiglia di Roberto Merigone. Ivi prendemmo dimora e fu provvidenziale questa nostra decisione, confrontandola con i bombardamenti e i mitragliamenti di cui fu in seguito bersagliato il piccolo centro di Ormea.
28 luglio 1944 - Ai Bossi, in questo gruppo di cinque o sei baite, costruite in mota sul nudo scoglio, ai piedi del Pizzo della Guardia in una morta gora perché incassata e chiusa fra i ripidissimi pendii del Rio Bossi, assistiamo ad un continuo movimento di patrioti che, alla spicciolata e a gruppi, passano e si eclissano nelle foreste che coprono le alture circostanti.
29 luglio 1944 - Anche questo misero raggruppamento di catapecchie ormai assume la sua importanza. Da Ormea salgono persone d'ogni età e d'ogni sesso. Giungono anche donne ansimanti e impaurite che gareggiano nel racconto della invasione tedesca.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

lunedì 19 dicembre 2022

Un comandante partigiano in urto con i suoi sottoposti

Pontedassio (IM): uno scorcio della strada statale 28

Ai primi di gennaio [1945] la Divisione Bonfante contava circa trecentocinquanta uomini compresi i comandi, i servizi, le intendenze.
La I Brigata ["Silvano Belgrano"] dislocata nelle valli di Diano e di Andora comprendeva i tre distaccamenti: A. Viani, G. Garbagnati, F. Agnese.
La II Brigata, operante in Val d'Arroscia Nord e Val Pennavaira aveva ormai solo quattro distaccamenti: F. Airaldi, G. Bortolotti, G. Catter, I. Rainis. Il distaccamento E. Bacigalupo era stato sciolto dopo la morte di Menini ed il suo  nome era stato assunto dalla III Brigata.
La III Brigata: Val d'Arroscia sud e Val Lerrone, comprendeva il G. Maccanò, il Castellari, il De Marchi e il Florenza. Il distaccamento M. Agnese, rimasto al di là della "28" nella Val di Mendatica, era in pratica poco più di una banda locale.
Il 5 gennaio, mentre il Comando divisionale si spostava sempre di banda in banda, anche in Liguria scese la neve.
Da anni non ne veniva tanta. Quando scesi dal fienile vicino a Degna dove avevo dormito, due pioli della scala ne erano coperti. Si sprofondava fino al ginocchio e camminando si lasciava un solco nella massa farinosa. Gli ulivi si piegavano sotto il peso, il cielo era di un bianco latteo. Il freddo che alla fine di dicembre era intenso, si mitigò un poco, poi cominciò a piovere.
Quella mattina il Comando della Bonfante era a Degna, di passaggio. Sostò qualche ora per la contabilità e la corrispondenza, poi si spostò a Casanova presso il S.I.M. Più tardi un gruppo: Osvaldo [Osvaldo Contestabile], Pantera [Luigi Massabò] e Nenno, responsabile S.I.M., partirono per la valle di Diano per ispezionare il Comando di Mancen [Massimo Gismondi] e ristabilire i contatti con gli informatori di Pontedassio. Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] e Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante" dalla costituzione - a dicembre 1944 - della medesima alla Liberazione]  partirono per un'altra direzione.
Il giorno 10 Pantera era di ritorno con Osvaldo dopo aver subìto al Passo del Merlo un mitragliamento da parte di una pattuglia tedesca. Da Degna Pantera si spostò a Vellego.
In quel periodo il comando era instancabile: marciando nella neve, dormendo, mangiando dove e come poteva, riunendosi e suddividendosi cercava di mantenere collegate le bande, di sondare i sentimenti degli uomini, di conoscere i loro bisogni, di controllare l'attività dei nuovi comandi brigata.
Perché l'opera di Giorgio fosse realmente efficace erano necessari dei buoni collaboratori, energici e capaci sia nei vari servizi che nei comandi inferiori. Oltre agli uomini, che forse non mancavano, era necessario lo spirito di collaborazione ed era questo che faceva difetto.
Il Comando passava, vedeva, giudicava ed ordinava. Appena si allontanava la situazione tornava come prima.
I nuovi Comandi brigata, lungi dall'alleggerire l'opera del Comando divisionale, costituivano nuovi problemi da risolvere; furono allora più un ostacolo nel far giungere gli ordini alle bande che un appoggio reale.
A poco a poco Giorgio si accorse di ciò, notò l'atmosfera di sfiducia e di non collaborazione che si formava intorno a lui, come molti, ormai sfiduciati e contrari a qualunque cambiamento, ignorassero praticamente i suoi ordini.
La situazione era delicata; sarebbe stato opportuno in parecchi casi sostituire gli elementi che non rendevano, rinnovare ad esempio i quadri del S.I.M., rifare su altre basi il recapito staffette, cambiare in parte anche i quadri dei comandi brigata. Il problema era duplice: mentre ci volevano motivi chiari e concreti per destituire un comandante, era necessario avere un elemento migliore da mettere al suo posto, un individuo che si sapesse in grado di ricoprire la carica e che godesse la fiducia degli uomini. E se questi uomini fossero anche stati trovati come si poteva esser sicuri della loro futtu-a volontà cli collaborare? Nel movimento partigiano l'energia ed il prestigio dei capi erano di importanza decisiva. Quando un capo godeva della fiducia dei subalterni riusciva difficile destituirlo, ci voleva qualcosa di grosso, di provato.
Mancen e Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi] avevano stima e prestigio presso i loro uomini, Nenno responsabile del S.I.M. aveva cento motivi per giustificarsi se il servizio funzionava poco.
A poco a poco Giorgio si convinse che, senza la collaborazione degli inferiori, la sua opera era vana, che tale collaborazione si poteva ottenere ormai solo cambiando uomini con un gesto d'autorità del comando.
Contemporaneamente i comandi di brigata si convinsero della necessità di sostituire Giorgio.
Come si giunse a questo punto? Le cause furono molte e varie.
Dallo sbandamento di Upega un certo numero di bande si era salvato in Val d'Arroscia: Ramon [Raymond Rosso], Basco e Domatore con i loro uomini erano vissuti praticamente autonomi fino a tutto novembre. Anche prima, al tempo di Piaggia, solo la volontà potente di Simon [Carlo Farini] aveva potuto trattenere concentrate in piccolo spazio molte bande e vedemmo come per tutta l'estate il rafforzamento dell'autorità del Comando della Cascione avesse trovato ostacolo nello spirito di autonomia delle bande. Vedemmo come la stessa Matteotti nella sua breve esistenza si fosse permessa più volte di ignorare, anche in circostanze assai gravi, gli ordini superiori. Da quando erano tornati tutti dal Piemonte i distaccamenti si erano dispersi su una zona vastissima, senza contatti regolari fra loro ed il comando, collegati solo attraverso le intendenze. I capibanda erano tornati così per necessità di cose all'autonomia finanziaria che avevano avuto nella primavera, operando anche requisizioni necessarie, ma che da lungo tempo erano ormai prerogativa dei comandi superiori e delle intendenze e che dovevano tornare tali.
Il Comando era diventato segreto, il S.I.M. funzionava poco, gli ordini per la campagna invernale erano parsi confusi. Lentamente i capibanda si erano convinti che al Comando non sapessero che decisioni prendere e che pertanto dovevano arrangiarsi da soli come avevano fatto già tante altre volte. Quando era nata la Divisione Bonfante, nominando Mancen e Fra' Diavolo comandanti di Brigata, si era cercato di scegliere gli uomini migliori, quelli che erano più amati ed apprezzati dai garibaldini. L'autorità dei nuovi eletti era duplice, derivava dal comando divisionale e dagli uomini. Era quindi facile che, sopravvalutando l'ascendente che avevano sugli uomini, i comandi Brigata si sentissero autonomi, pensassero in molti casi di poter ignorare le disposizioni superiori se non le ritenevano utili.
Avrebbe potuto Giorgio far nominare altri uomini invece che Mancen e Fra' Diavolo? Uomini meno noti ed apprezzati, che derivassero la loro autorità solo dal Comando divisionale e che fossero quindi meno indipendenti? Teoricamente sì, la scelta era però difficile ed egualmente pericolosa, perché comandanti di Brigata poco apprezzati dagli inferiori potevano non essere a loro volta obbediti dai capibanda ed era poi pericoloso circondarsi di elementi di secondo piano in un momento tanto grave. D'altra parte non era possibile allora prevedere quanto sarebbe accaduto. Vi fu poi il caso di Ivan [Giacomo Sibilla], comandante della II Brigata. Egli proveniva dalla Cascione e quindi derivava la sua autorità esclusivamente dal Comando superiore: ebbene la sua collaborazione non fu affatto superiore a quella degli altri due comandanti di Brigata.
L'atteggiamento dei comandanti di Brigata fu dovuto, oltre che alle circostanze che favorivano l'autonomia, alla figura morale del nuovo comandante.
Probabilmente se al Comando di Divisione ci fosse stato il Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] o Cion [Silvio Bonfante] non saremmo arrivati ad un urto. Anche Cion e Curto furono disobbediti nel passato, ma sempre con discrezione ed in circostanze un po' eccezionali. Nessuno mai pensò apertamente che dovessero venir sostituiti.
Cion e Curto avevano creato loro la Cascione e la I Brigata, avevano portato gli uomini al combattimento innumerevoli volte e di loro si raccontavano cento episodi audaci e fortunati che tanta presa avevano sul nostro spirito avventuroso. Di Curto si raccontava che una volta si fosse avvicinato ad una sentinella tedesca con una sigaretta spenta in bocca e le avesse chiesto a gesti del fuoco. Quando il tedesco aveva messo le mani in tasca per prendere i fiammiferi, Curto gli aveva tolto l'elmetto e lo aveva stordito con una martellata. Un'altra volta Curto aveva trovato un partigiano e si era fatto da lui accompagnare ad attaccare una caserma di Brigate Nere. Avvicinandosi con noncuranza alla sentinella, Curto gli aveva piazzato d'improvviso una pistola alla schiena immobilizzandola. Il compagno era entrato in caserma, aveva preso tutti i mitra e le altre armi che erano su una rastrelliera, poi si erano allontanati portando seco il bottino e la sentinella prigioniera. Naturalmente nessuno controllava se queste storie erano vere, circolavano per tali e a tutti piaceva crederle; esse si adattavano perfettamente alla figura sobria e quasi ascetica di Curto che nessuno aveva mai visto non solo spaventato, ma nemmeno emozionato.
Cion era stato diverso, meno portato all'azione isolata, era stato il capobanda per eccellenza, romantico ed impulsivo, sapeva restar freddo davanti al pericolo conducendo i suoi uomini alle imprese più rischiose. Aveva organizzato le nuove reclute di primavera, le aveva addestrate ad una scuola di ardimento indimenticabile, tre delle bande migliori e gran parte dell'armamento della I Brigata erano stati opera sua.
Se queste doti fossero necessarie e utili per esser un buon comandante di divisione o di brigata, per organizzare e manovrare in combattimento od in ritirata molti uomini non è facile dire. Si potrebbe rilevare che Cion tendeva a ritenere che tutte le bande avessero la combattività della Volante; che spesso rinunciò alla superiorità numerica quando avrebbe potuto facilmente averla, che la difesa di Garessio in luglio e l'attacco di Cesio in ottobre guidati da lui non ebbero successo forse per tali mancanze. Si potrebbe anche dire di Curto che il suo coraggio qualche volta si mutava in mancanza di percezione del pericolo, che se prima di fermare il Comando ad Upega avesse avuto un po' di paura non sarebbe stato male. Ma tutto questo a noi pareva solo imperfezione trascurabile in personalità che erano dei capi indiscussi, che consideravamo degli autentici trascinatori.
Giorgio era di un'altra pasta. Era comparso in luglio come vicecomandante della I Brigata e da allora era vissuto un po' nell'ombra del Cion occupando successivamente le cariche da lui lasciate nell'ascesa. Era andato anche lui in combattimento, aveva partecipato alla cattura dei San Marco, aveva al suo attivo lo scontro di Degna ed il combattimento di Vessalico e nessuno poteva dire di averlo visto timoroso sotto il fuoco o di fronte al nemico. Le sue gesta però non avevano fatto rumore, non avevano il carattere eroico, romantico, partigiano della battaglia del Ceresa del 19 di giugno, di Pievetta in luglio, di Monte Grande in settembre, cui era legata per sempre la fama di Cion e di Mancen.
Dal bosco di Rezzo in settembre fino a Fontane, Giorgio era stato al comando della I Brigata, ma il Comando di divisione troppo vicino aveva continuamente limitato la sua libertà di azione non permettendo di valutare quante e quali delle decisioni prese in quel periodo furono realmente opera sua; avvertivano in lui il giovane di un'altra classe sociale. Gli uomini lo rispettavano, lo stimavano, ma avevano per lui della simpatia, non la venerazione che era stata tributata ad altri capi partigiani. Il suo stesso nome: Giorgio, mancava del carattere romantico o grottesco che eccitava la nostra fantasia in quei tempi, e spesso gli stati d'animo si basavano sull'imponderabile.
Probabilmente Giorgio era l'elemento più adatto per guidare la Bonfante nel periodo invernale, per interpretare esattamente le disposizioni del Comando zona, per creare un minimo di organizzazione. Aveva le idee chiare, la disciplina, la volontà per riuscirvi. Era attivo ed instancabile. Erano tutte qualità positive che, dato l'ambiente, diventarono negative poiché fecero sentire il peso della sua autorità su chi non non era più abituato a sottostarvi. Un mediocre, che si fosse accontentato di una autorità nominale, sarebbe stato tollerato, Giorgio non lo fu: i comandanti di brigata si decisero ad agire contro di lui e chiesero al Comando zona la sua destituzione.
Tutto ciò andò maturando lentamente nella prima metà di gennaio fino al giorno 20; in questo periodo Giorgio e Boris cercarono instancabilmente di superare la resistenza interna e la minaccia esterna che si facevano sempre più gravi e vollero conquistare con ogni mezzo l'animo degli uomini e dei capibanda per poter applicare le direttive del Comando zona anche scavalcando i comandi brigata. Se fossero riusciti nel loro compito avrebbero potuto chiedere la destituzione dei comandanti di brigata sapendo di poter contare sui capibanda.
Pantera ed Osvaldo cercavano di riorganizzare i servizi mantenendosi estranei al dramma. Ambedue furono nel complesso neutrali.
Il loro contegno fu prezioso perché mantenne un ambiente sereno, evitò che la situazione precipitasse, mantenne la possibilità di una soluzione di riserva.
Chi appoggiò Giorgio fu Boris. Studente e borghese anche lui. Gli fu compagno nelle peregrinazioni e lo aiutò con la sua conoscenza degli uomini e dell'ambiente.
Mentre alla Bonfante perdurava questo stato di fatto al di là della "28" iniziava terribile il dramma della Cascione.
Ai primi di gennaio Mario, già commissario della I Brigata col Cion, era rimasto gravemente ferito alla testa e, privo di conoscenza, si disperava di salvarlo. Senza il grave incidente Mario sarebbe stato commissario della Bonfante e la sua opera ci sarebbe stata preziosa.
Poco dopo altre notizie ben più gravi: il nemico ha attaccato la Cascione.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a "Simon" [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona]: Relazione sulla visita del comandante Curto alla Divisione "Silvio Bonfante"
3 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Zona Liguria a "Simon": Si comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria: Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo”: Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
4 gennaio 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione ed comando della Divisione "Silvio Bonfante": Il massimo di spesa giornaliera per le missioni era fissato in 100 lire. Tutti gli oggetti di valore requisiti dovevano pervenire al Comando di Zona con apposita documentazione.
5 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvio Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 2 garibaldini del Distaccamento “Angelo Viani” avevano ucciso un sergente degli arditi di San Marco che, arrestato, aveva tentato la fuga.
5 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 88, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Si segnalava che "sono state occultate delle armi nei pressi di Nasino (SV). Materiale bellico frutto di un lancio inglese fatto al capitano "Cosa": pare si tratti di 130 casse. Sono stati inoltre occultati a Fontane un pezzo anticarro da 75 mm ed una "Topolino"".
5 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 92, ai comandi delle Brigate dipendenti - Si trasmetteva l'ordine ricevuto dal comando della I^ Zona Operativa Liguria circa la necessità di comunicare tempestivamente qualsiasi azione intrapresa contro il nemico.
6 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento di Pancho al comando della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" [comandata da Massimo Gismondi] della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che c'era stato un rastrellamento nemico al Passo della Verna ai danni del Distaccamento "Luigi Novella" del I° Battaglione "Carlo Montagna" della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione": erano stati, tuttavia, catturati 2 tedeschi (o austriaci).
6 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante"[comandante "Giorgio" Giorgio Olivero] a tutti i reparti - Si comunicava che il comandante "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione] era autorizzato a prelevare somme presso il C.L.N. ed i privati.
8 gennaio 1945 - Dal S.I.M. della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ed ai Distaccamenti di Fra Diavolo - Informazioni militari. Sul transito in Caramagna [Frazione di Imperia] di 2 camion con 40 tedeschi a bordo: 3 delatori (Musso, Ozenda ed un terzo di cui era solo indicata la descrizione fisica) avevano indicato la strada per Vasia (IM). Da Ceva (CN) erano giunti 60 fascisti a Porto Maurizio [Imperia]. Ad Albenga (SV) erano arrivati molti tedeschi: era probabile un rastrellamento nella zona ingauna.
8 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Il comando rispondeva negativamente alla richiesta di armi automatiche a causa della scarsità delle medesime e rimarcava che Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi] risultava irreperibile.
9 gennaio 1945 - Dalla Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 97, al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Veniva comunicata la situazione delle Brigate dipendenti dalla Divisione: nella I^ Brigata, "Silvano Belgrano", "Mancen" [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata] aveva dei problemi; nella II^, "Nino Berio", "Ivan" [Giacomo Sibilla] e "Gigi" [Giuseppe Alberti, commissario] non erano molto idonei agli incarichi; nelle altre, "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] e "Giorgio" assolvevano in modo adeguato i loro incarichi.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 11 gennaio 2020

Ho scritto al parroco di consegnare ai tedeschi il nostro ultimatum

Silvio Cion Bonfante a Pieve di Teco (IM) nell'autunno del 1944

Il fatto che quelli della Muti pochi giorni prima avessero soggiornato all'Angelo per poi ritirarsi a Cesio [IM] faceva intuire un nuovo possibile attacco.
[...]
C'erano Stalin [Franco Bianchi, comandante di Distaccamento], Giorgio [Giorgio Olivero, poi da dicembre 1944 comandante della nuova - ancora senza numero - Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] e Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi, pochi mesi dopo i fatti qui descritti comandante di un raggruppamento di garibaldini sul finire della guerra infine denominato IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], che pendevano dalle labbra del capo [Cion, Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione  "Felice Cascione"].
[...]
La discussione riprese. Al tavolo c'era anche Wan Stiller [o Van Stiller, Primo Cei, in seguito commissario di squadra della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] uno degli uomini più attivi a Montegrande [località di San Bernardo di Conio, Frazione di Borgomaro (IM), importante battaglia partigiana dei primi di settembre 1944].
[...]
Mancen [Massimo Gismondi, comandante già allora della I^ Brigata] era risoluto e sapeva quanto Cion fosse deciso a farla pagare cara a chi aveva ucciso i suoi partigiani, i suoi amici.
Quei ragazzi che avevano scelto di combattere per ridare all'Italia giustizia e libertà.
[...]
Era il 7 ottobre 1944.
[...]
"domani sarà la nostra vittoria." Cion non aggiunse altro.
[...]
"Ho scritto al parroco di consegnare ai tedeschi il nostro ultimatum. Devono arrendersi."
[...] Il primo a lasciare la stanza per scendere in strada fu Fra Diavolo. [...] Erano pronti, seduti sotto gli antichi portici della strada principale di Pieve di Teco [IM] .
Occorreva soltanto attendere l'ordine di Cion, poi sarebbe scattata la marcia verso Vessalico [IM] . [...]
Attraversarono la prima passerella.
Tante tavole di legno fissate le une alle altre e legate con corde erano il passaggio obbligato per attraversare il torrente Arroscia.
[...] L'eventualità che le spie avessero già fatto il loro lavoro non poteva essere esclusa.
[...] Wan Stiller guardò verso le mura del paese e vide qualcosa muoversi sul campanile.
Fissò meglio l'immagine ed apparve nitida la sagoma di un uomo.
[...] Fra Diavolo si sdraiò a terra, imbracciò il fucile e fece fuoco. Non una parola.
Un tedesco, quello appostato sul campanile, volò giù colpito a morte. [...]
La battaglia era iniziata. 
Il fuoco di sbarramento dei tedeschi non si fece attendere. [...]
Il comandante non smetteva neppure per un attimo di sparare. Faceva fuoco continuando ad avanzare.
Due partigiani caddero a terra feriti. Cion lanciò una bomba. [...]
Vessalico era accerchiata ma la battaglia non era finita. [...]
Era la tregua, seppur temporanea.
I due ragazzi colpiti, Saladino [Giovanni Tagliabue] e Uccello [forse Lorenzo Abbo, classe 1928], vennero portati a Pieve di Teco.[...]
A dare manforte ai tedeschi anche gruppi di fascisti giunti da Ranzo [IM] .
La sortita di Cion non aveva avuto grande successo.
Due feriti tra i partigiani e sei tra le fila tedesche. [...]
"Dobbiamo tornare a Vessalico il più presto possibile..." [...]
Era necessario aprire una strada sicura verso Albenga [SV].
Daniele La Corte, Il coraggio di Cion. La vera storia del partigiano Silvio Bonfante, Fusta Editore, 2016

Attendemmo l'arrivo del prete con la lettera che intimava ai tedeschi di arrendersi. Consegnato il messaggio, l'ufficiale tedesco aprì la busta; al primo sguardo, ordinò ai suoi uomini di mettersi al coperto, facendo lui stesso altrettanto, e iniziò il combattimento.
Nell'entrare in paese per assolvere i compiti affidatici, vidi lanciarci una bomba tedesca, di quelle a tempo; mi gettai indietro per ripararmi dietro l'angolo che avevo appena oltrepassato. Così fecero Franco e Mosca, ma Uccello, che era l'ultimo della fila, tardò a mettersi al riparo e rimase colpito dalle schegge della bomba in più parti del corpo.
Affacciatomi all'angolo, colsi di sorpresa con una raffica di mitra il tedesco che aveva lanciato la bomba. Uccello si lamentava a terra per le ferite; lo feci accompagnare da Mosca al sicuro e, con Franco, proseguimmo per assolvere il nostro compito. Ci recammo subito sotto la finestra, dove era in postazione un mascingaver che sparava contro la formazione partigiana sul lato destro del fiume.
Lanciammo alcune bombe a mano greche che centrarono il bersaglio, rendendo innocua la postazione. Nel frattempo alcuni partigiani, assottigliando le difese da me predisposte, vennero a darci una mano; erano «Saladino»,(un ragazzo di Monza, Gianni Tagliabue, che poi rimase ferito mentre intimava la resa a un gruppo di tedeschi) e Timoscenko (Francesco Semeria di Montegrazie di Imperia) il quale cooperò alla cattura di un gruppo di militari tedeschi, comandati da un ufficiale.
La nostra posizione non era delle migliori perché, anche se eravamo in quattro, io dovevo rimanere a controllare la postazione (in modo che non potessero ripristinare la mitragliatrice alla finestra).
Appostato sul tetto di un casone per controllare la casa della postazione, sentii muovere dietro laschiena; mi voltai e inquadrai Cion, Carlo delle Piane, e Stalin che venivano verso di me. Mi accorsi che Carlo delle Piane aveva un braccio ingessato. Mi avvicinai a loro e chiesi come mai erano arrivati soltanto in tre. Cion mi rispose che erano venuti solo per rendersi conto della situazione e per poter quindi ritornare con i rinforzi necessari. Feci una breve relazione di quanto accaduto, e con loro rientrai in paese. I tedeschi cercavano di riunirsi nelle case in piccoli gruppi. Ne agganciai due che si stavano spostando: ne colpii uno con una raffica, ma l'altro si mise al riparo dietro l'angolo di casa. Nel mitra avevo l'ultimo caricatore: non potevo rimanere senza nemmeno più una raffica da sparare, sarei rimasto presto senza colpi; decisi così di servirmi della pistola e, mentre si svolgeva lo scontro, pistola contro mascin pistola, arrivò Stalin che mi chiese perchè non adoperavo il mitra. «Perchè non ho più colpi!» «Tienilo tu impegnato che passo dall'altra parte» mi disse. Dall'altra parte c'era una scala esterna che saliva al primo piano di un fienile e di lassù, quando il tedesco si mostrò per far fuoco nella mia direzione, lui lo eliminò.
Raggiunsi Cion che era andato avanti verso il centro del paese e gli feci presente che, se non faceva arrivare i rinforzi che già dal mattino avrebbero dovuto trovarsi in paese, noi, senza munizioni, non potevamo più continuare. Lui mi rispose: «Vado a prenderli, tanto accompagno i prigionieri dall'altra parte e li faccio portare a Pieve di Teco. Dopo con i rinforzi, ci impossessammo dell'armeria, eliminammo quei pochi tedeschi rimasti in paese e andammo via». Ciò detto si allontanarono tutti e tre coi prigionieri e noi rimanemmo dentro il paese senza bombe a mano e con poche munizioni: ci limitavamo a controllare la situazione; se i tedeschi non si facevano vedere, certo noi non saremmo andati a cercarli. Ogni tanto qualche tedesco isolato cercava di raggiungere un luogo più sicuro; purtroppo per lui quando usciva per le vie del paese, la sua sorte era segnata. Dei rinforzi di Cion, di Stalin, di Carlo delle Piane, neanche l'ombra. Mandai allora Timoscenko dai nostri che circondavano il paese a farsi dare un po' di bombe a mano. Ritornò poco dopo con quanto richiesto e un partigiano della sua squadra, mi informò che Saladino era stato ferito ad un braccio da una raffica, per fortuna non gravemente; lo avevano accampagnato da Uccello, l'altro ferito.
La nostra situazione non era delle più prospere. Controllavamo il paese, ma se i tedeschi avessero saputo la scarsità di munizioni nella quale ci trovavamo, non avrebbero avuto alcuna difficoltà a farci ritirare.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 119,120
 
Intensificando la battaglia per la distruzione dei ponti per ostacolare il previsto grande rastrellamento nemico, la notte del 5 ottobre 1944 gli uomini del Distaccamento di Raymond (Ramon) Rosso [il quale diventerà in seguito capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della  Divisione "Silvio Bonfante"] fanno saltare il ponte di Borgo di Ranzo, nel comune di Ranzo (IM).
Doveva seguire la stessa sorte il ponte di Vessalico (IM), già distrutto il 4 luglio 1944.
I tedeschi, per riattivarlo, avevano dislocato un presidio di sessanta uomini con cinque mitragliatori. Decisi ad attaccarlo, il giorno 8 ottobre 1944 i comandanti “Cion” [Silvio Bonfante], Giorgio, [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] e Stalin [in seguito Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] radunano gli uomini: trenta garibaldini del Distaccamento d'assalto “Giovanni Garbagnati”, che sostavano a Pieve di Teco (IM) dopo l'attacco a Cesio (IM), e quindici uomini del Distaccamento “Giuseppe Maccanò” della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", comandati da Fra Diavolo [anche Garibaldi, Giuseppe Garibaldi, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM), verso la fine della guerra comandante della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] ... Rimanevano feriti gravemente Cion, Calogero Madonìa (Carlo Siciliano) e Sandro Nuti (Scrivan). Sei  tedeschi uccisi e cinque altri fatti prigionieri e in seguito scambiati con altrettanti ostaggi civili in mano al nemico...
L'avvicinamento a Vessalico è compiuto all'indomani alle 6 antimeridiane... A Perinetti, Frazione di Vessalico (IM), i garibaldini si dispongono su tre colonne, ciascuna composta da due squadre... Accortisi dell'insidia, i tedeschi danno l'allarme abbandonando il ponte in costruzione ...
Rocco Fava, La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999