mercoledì 24 febbraio 2021

Colpo partigiano all'ospedale di Sanremo

Un rilievo topografico delle SAP di Sanremo - Fonte: A. Miroglio, op. cit. infra

Fra gli avvenimenti di maggiore risonanza verificatisi in città, occorre ricordare l'impresa compiuta dal "GAP Zamboni" di Sanremo avente lo scopo di far fuggire dall'Ospedale Civico di quel centro le garibaldine Bianca Pasteris e Anna Borgogno, unitamente al partigiano Nino Ronco, ivi sottoposti a rigorosa sorveglianza, perché in attesa della imminente esecuzione delle sentenze già pronunciate dai nazifascisti. Gli uomini della "Zamboni", fallito un primo tentativo effettuato il 6 aprile, ne eseguirono temerariamente un secondo tre giorni dopo, riuscendo infine a portare fuori dell'ospedale i compagni in pericolo e, con loro, anche i tre fascisti di guardia, due dei quali chiesero subito, ed ottennero, di combattere nelle formazioni partigiane mentre il terzo che tentava di dare l'allarme era ucciso. (Aveva indosso la bella somma di 24.900 lire).
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970
 
Nella notte tra il 7 e l'8 aprile 1945 si concretizzò il progetto di liberare 3 partigiani ricoverati all'ospedale di Sanremo.
Tale azione era già stata richiesta alcuni giorni prima (1).
L'operazione venne effettuata con molta lungimiranza in quanto (2) "il SIM [Servizio Informazioni Militari] del CLN di San Remo veniva avvertito dai suoi informatori che i 3 partigiani degenti all'ospedale civico (n.d.a.: Nino Rosso o il Lungo, Bianca Paseris o Luciana, ferita e catturata a Beusi, Anna Borgogno, sorella di Renatino fucilato dal nemico alcune settimane prima) avrebbero dovuto essere riconsegnati ai tedeschi, probabilmente per subire la pena capitale".
Data l'elevata sorveglianza (3) al nosocomio di Sanremo, gli uomini del Distaccamento GAP cittadino "Zamboni" al comando di "Dorio" (Mario Chiodo) dovettero tramite "Jean" contattare Egisto Sgorbini (4) "che a sua volta tratta con i militari Modena e De Bigò, che sono incaricati della sorveglianza all'ospedale".
I 10 uomini della formazione SAP si misero in cammino per raggiungere l'ospedale alle ore 2 dell'8 aprile 1945. Giunti all'interno dell'edificio "due uomini irrompono nella stanza di un terzo milite che non era stato possibile avvicinare perché notoriamente infido. Lo sorprendevano a letto... Dopo una breve lotta l'uomo veniva disarmato... La banda al completo coi 3 partigiani liberati ed i 3 prigionieri si riunisce sul piazzale e si porta in direzione Monte Bignone per raggiungere la staffetta De Maria che avrebbe dovuto condurre i sei alla Divisione "Felice Cascione".
Durante il tragitto il "terzo milite" tentò la fuga e venne ucciso. Gli altri due militi furono incorporati nelle formazioni garibaldine: avevano portato 2 moschetti ed una rivoltella.
Alcuni giorni dopo il CLN di Sanremo avvertì (5) il SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" che De Bigò era attivamente ricercato dalla GNR, in quanto accusato di essere la mente del riuscito colpo all'ospedale.
(1) Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'IsrecIm, pp. 289-290
(2) cfr. doc. n° 1069
(3) Mario Mascia, Op. cit., pp. 289-290
(4) cfr. doc. n° 1069
(5) cfr. doc. n° 1122

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999  

Nell'Ospedale Civico di Sanremo erano degenti tre partigiani feriti: Nini Rosso (Il lungo), Bianca Pasteris (Luciana) e Annamaria Borgogno. Bianca Pasteris aveva partecipato al Convegno di Beusi del 9 febbraio 1945, ed era rimasta ferita in tale località durante un rastrellamento. La Borgogno aveva già avuto il fratello Renato fucilato dai tedeschi. Il 29 marzo, d'ordine del Comando SS germanico di Sanremo, la Guardia Nazionale Repubblicana doveva piantonare quest'ultima finché rimaneva nell'Ospedale, e quando sarebbe stata dimessa,  consegnarla alle SS. L'agente incaricato era Enrico Campelli. Il CLN della città decide di liberare i tre degenti perché correvano un estremo pericolo. È incaricato dell'azione il Distaccamento "Zamboni". Mario Chiodo (Dorio) riceve l'ordine di guidare l'azione. Bisogna agire subito perché i tre partigiani già dovevano essere trasferiti alla Villa Hober almeno entro il 9 aprile. Dieci uomini del Distaccamento SAP agli ordini del suo comandante Roberto Quadrio (Robinson) e guidati da "Dorio", il 7 raggiungono l'ospedale; ma a causa di inspiegabili ritardi l'operazione viene rimandata. Si tenta nuovamente la notte dell'8. Dopo momenti drammatici, si riesce a liberare i tre partigiani e tre militi di guardia cadono prigionieri. Durante la ritirata uno dei militi tenta la fuga, ma viene freddato da una raffica. In conclusione, con un'azione coraggiosissima della Resistenza Sanremese, tre partigiani che, di fatto, erano già in mano al nemico, sono messi in salvo (6).
(6) - Cfr., Mario Mascia, op. cit., pagg. 289-292. ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 33, fascicolo 29, documento delle carceri giudiziarie di Sanremo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 248, 249 

«Dorio» (Chiodo Mario) racconta:
Verso la fine di marzo il SIM del Comitato di Liberazione di Sanremo veniva avvertito dai suoi informatori che i tre partigiani degenti all'ospedale civico (Nino Rosso, «il lungo», Pasteris Bianca, «Luciana», ferita e catturata ai Beusi  e Anna Borgogno, sorella di Renatino Borgogno, fucilato alcune settimane prima) avrebbero dovuto essere riconsegnati ai tedeschi, probabilmente per subire la pena capitale. La madre della Luciana inviava continui, disperati appelli, perché si salvasse la figlia. Il Comando Divisionale chiedeva che un'azione decisiva fosse tentata a tutti i costi. L'impresa non era facile: si sapeva che l'ospedale era guardato da militi armati; inoltre le strade erano sotto continua  sorveglianza notturna da parte dei nazi-fascisti, la cui posizione militare si era fatta disperata e che temevano un colpo di mano partigiano nella città da un momento all'altro. Era necessario, perciò, agire con la massima circospezione allo scopo di risparmiare i nostri uomini e di non rendere la posizione dei detenuti più grave di quanto già non fosse con un colpo non riuscito.
Mimosa [Emilio Mascia], responsabile del SIM, ebbe l'incarico di studiare il piano nei suoi dettagli. Egli decise di valersi non degli uomini delle SAP, facilmente individuabili, ma del Distaccamento GAP Zamboni che operava sopra S. Giacomo e, nello stesso tempo, di porsi in contatto con due dei militi di guardia che sembravano, da informazioni assunte, esser disposti a collaborare seguendo poi i partigiani in montagna.
«Dorio» (Mario Chiodo) ufficiale di collegamento del Distaccamento Zunino, viene chiamato a rapporto ed incaricato di guidare la spedizione.
«Jean» (Alpinolo Rossi), l'infaticabile e coraggioso organo di collegamento del C.L.N., si pone in contatto con Egisto Sgorbin che, a sua volta, tratta con i militi Modena ed Ervedo De Bigò, che sono appunto incaricati della sorveglianza all'ospedale.
Durante tutta l'ultima settimana di marzo e i primi giorni di aprile, il piano si concreta. Il 5 aprile «Mimosa» viene informato che il 7 i tre partigiani saranno trasportati a Villa Auberg. Contemporaneamente tanto Dorio quanto Jean comunicano che tutto è pronto. Nel pomeriggio del sei aprile Mimosa impartisce l'ordine di agire.
Dorio si reca in montagna nei pressi della Cardellina, ove trasporta qualche arma automatica, giunta quel giorno stesso da Ospedaletti, e alcuni caricatori che il sappista Nino Lombardi smista in città in pieno giorno. Vengono impartite le ultime istruzioni. Alle due di notte, condotti da Dorio, dieci uomini del Distaccamento GAP agli ordini del suo Comandante «Robinson» (Roberto Quadrio), armati di tre sten, due mitra e diverse pistole automatiche, si mette in marcia. Nell'oscurità profonda, dopo due ore di faticosa discesa, su sentieri malagevoli, il gruppo raggiunge il piazzale dell'ospedale e prende posizione in attesa del milite che avrebbe dovuto guidarlo, come d'accordo, verso un cancello che immette sul retro dell'edificio. Le ore trascorrono lente. La notte è fredda. Gli uomini battono i denti e sentono, a distanza suonare le ore interminabili dai campanili delle chiese lontane. Dorio si porta al cancello, ne tenta la serratura, si prova a chiamare: nulla. Si teme un agguato, ma si resta nel posto pronti alla difesa ed all'offesa. Alle quattro e trenta ogni speranza di entrare nell'ospedale senza colpo ferire è sfumata. L'alba avanza e un'operazione di forza sarebbe pericolosa. Dorio e Robinson decidono di ritornare. Si dividono in due gruppi: uno risale verso la montagna, l'altro ritorna in direzione della città.
Il gruppo comandato da Dorio giunge a Baragallo senza incidenti quando, attraversando un beodo», sente intimare un sonoro «chi va là» seguito immediatamente da una scarica di mitra. «Moro» (Birarelli Bruno) cade con una coscia attraversata da una palla; un altro proiettile ferisce Dorio alla caviglia; mentre «Baldo» (Ubaldo Lenzi) rialza Moro. Tuono (Gavitelli Remo) con ammirevole sangue freddo, s'accoscia fra i cespugli e scarica ripetutamente il suo sten verso il lampeggiare che sorge alla sua sinistra. S'odono, in distanza, grida e bestemmie e poi il rumore di un numeroso gruppo di uomini che s'allontana.
Moro vien sorretto ed i nostri, protetti da Tuono alla retroguardia, riescono a sganciarsi e rientrare all'alba nei rifugi.
La mattina appresso Dorio, malgrado la sua ferita, si porta personalmente a fare il suo rapporto a Mimosa. Si teme che i partigiani, dopo l'allarme notturno, siano senz'altro trasferiti alle carceri, ma Jean, che riprende  immediatamente il suo lavoro per riorganizzare i contatti con i militi attraverso Sgorbin, riferisce che i nazi-fascisti hanno rimandato il trasferimento al giorno nove.
Urge provvedere senza indugio. Si stabilisce un convegno con uno dei militi la sera dell'otto a S. Pietro. Dorio e Jean si rimettono in moto e la sera dell'otto, alle ore 21, il De Bigò incontra Dorio. Ad evitare eventuali sorprese il milite viene trattenuto e la banda si porta a Verezzo dove resta, nei boschi, fino alle due. A quell'ora gli uomini lasciano la località, ed alle 3.30 sono di nuovo sul piazzale dell'ospedale. Dorio impartisce le disposizioni necessarie per la buona riuscita del colpo.
Due uomini fanno il giro dell'edificio, penetrano nell'atrio centrale, immobilizzano il portiere e bloccano il telefono. Altri due vengono messi di guardia ai cancelli laterali con l'ordine di tirare su chiunque si presenti. Gli altri scavalcano i cancelli insieme al milite che viene tenuto, ad evitare sorprese, sotto la minaccia delle rivoltelle; rare luci brillano nell'edificio ove tutti sembrano addormentati. Gli uomini penetrano a pianterreno. Due suore, sulla soglia di una corsia, si fermano esterrefatte, impietrite, senza un grido. Un'infermiera che attraversa il corridoio scorge gli uomini e tenta fuggire. Un gesto imperioso la inchioda al muro, bianca di paura.
Si lasciano due armati nel corridoio ed altri due penetrano nel guardaroba dove prelevano gli abiti del ferito.
Gli ultimi due salgono al piano superiore, silenziosi come fantasmi, e irrompono nella stanza di un terzo milite che non era stato possibile avvicinare perché notoriamente infido. Lo sorprendono a letto. Il fascista si desta di soprassalto al rumore, balza a sedere tentando d'impugnare la pistola. Una breve lotta silenziosa e l'uomo viene disarmato. Da un'altra porta esce improvvisamente un milite pallido come un cadavere. Gli s'ingiunge di tacere. Egli, senza un moto di resistenza, segue i nostri.
Intanto la Luciana, la Borgogno ed il Lungo, che erano stati nel frattempo avvertiti dagli uomini rimasti nel corridoio, della loro liberazione, si uniscono al grosso della banda e si armano. Si avvertono gli armati di stazione in portineria e si esce all'aperto in fretta e silenziosamente. Tutta l'operazione non era durata che pochi minuti, ed era stata condotta con tale sincronia che nessuno nell'ospedale, oltre al portiere, all'infermiera, ed alle due suore, ebbe ad accorgersi di alcunché di anormale.
La banda al completo, coi tre partigiani liberati ed i tre prigionieri, si riunisce sul piazzale.
I militi vengono posti nel mezzo e si parte in direzione di Monte Bignone per raggiungere un punto di convegno con la staffetta De Maria, che avrebbe dovuto condurre i liberati ed i prigionieri al Comando della Divisione.
Due militi avevano nel frattempo dichiarato di votersi unire ai nostri uomini: era stato restituito loro l'armamento. Un terzo, invece, si manteneva muto, e soltanto la minaccia delle armi lo costringeva a marciare.
S'era lasciata la strada carrozzabile e si saliva su per un impervio sentiero da capre, in fila indiana. Albeggiava, ed una luce incerta si diffondeva nel cielo terso.
I nostri uomini, dopo la notte insonne e l'eccitamento dell'azione, erano stanchi ed assonnati, e la loro vigilanza si era andata rilassando. Fu allora che il terzo milite, nel passare sull'orlo di una fitta boscaglia, con un balzo disperato, scavalcò i rovi e rovinò verso un burrone inestricabile che si disegnava in una breve valle come una macchia scura.
Gli si intimò di fermarsi; ma l'uomo continuava a correre ed a saltare. Un momento ancora e sarebbe sparito nell'intrico delle erbe alte e folte.
Una scarica risuonò nella fredda mattinata risvegliando l'eco delle colline.
L'uomo cadde sul volto e più non si mosse.
Un'ora dopo il gruppo raggiunse Monte Bignone e s'incontrò con la staffetta De Maria nella capanna di un pecoraio.
I tre liberati ed i due militi proseguirono la strada verso i monti, mentre il Distaccamento riprendeva la via del ritorno.
L'impresa - che suscitò allarme vivissimo fra le file nazi-fasciste - ebbe così termine, e per molti giorni il personale dell'ospedale parlò con spavento di uomini selvaggi che sembravano essere scaturiti dalla notte e che nella notte tornarono, terribili e paurosi come un'apparizione di tregenda.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 289-292

 

3 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 531/CL, alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" e p.c. C.O. I^ Zona Militare Delegazione Militare Imperia - Segnalava che il 4 o il 5 aprile si sarebbe tentato di liberare dall'ospedale "Luciano", "Lungo" e la sorella di "Bergonzo". "Vi terremo informati al proposito. Stiamo attuando alcune importanti operazioni... C.L.N. San Remo - il segretario, Albatros [Mario Mascia]". 

8 aprile 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo (IM), prot. n° 558/SIM, al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" e p.c. C.O. I^  Zona Militare ed al SIM della V^ Brigata - Comunicava che il Distaccamento "Zamboni" delle SAP della città di Sanremo aveva, al comando di "Dorio" [Mario Chiodo], effettuato un colpo di mano all'ospedale civile di Sanremo, liberando 3 garibaldini degenti, "Luciana", "Borgogno", "Lungo", catturando i 3 militari che erano stati di guardia ai partigiani - due militari salirono in montagna, uno, invece, fu ucciso nel suo tentativo di fuga -,  recuperando 2 moschetti ed una rivoltella. "[...] L'azione, effettuata di sorpresa, ha avuto pieno effetto. Catturati i militi di guardia, bloccato il telefono e tutte le uscite, i tre garibaldini venivano messi in salvo ed avviati alle formazioni di montagna. Due dei militi collaboravano alla fuga e si univano ai nostri uomini, raggiungendo con essi le formazioni per proseguire la lotta contro i nazi fascisti. Il terzo milite che in un secondo momento aveva tentato di fuggire rimaneva ucciso. L'azione, oltre alla liberazione di tre garibaldini, alla adesione dei due militi ed alla soppressione di un terzo, fruttava la cattura di due moschetti ed una rivoltella. Sul milite venivano sequestrate £. 24.900, versate al Comando S.A.P. e da questo destinate al fabbisogno del distaccamento Zamboni. Il distaccamento in parola è composto di uomini audaci e provati e si accinge ad operare altre azioni. Ancora non si è precisata la reazione al colpo. Sembra, peraltro, che il Comando della G.N.R. abbia ordinato l'arresto di alcuni innocenti padri di patrioti e che voglia procedere alla fucilazione di uno od alcuni di essi. SI STANNO STUDIANDO DA QUESTO COMANDO LE EVENTUALI CONTROMISURE. Vi informiamo pure che la mattina del 6 aprile, nel primo tentativo fatto dal distaccamento Zamboni, tentativo abortito per un seguito di circostanze, una squadra del distaccamento aveva uno scambio di fuoco con una pattuglia armata. Nello scontro il G.A.P. Moro veniva ferito ad una coscia ed  il G.A.P. Dorio di striscio ad un piede. Non si conoscono le perdite nemiche. Fraterni saluti. C.L.N. SANREMO -  il responsabile del SIM, Mimosa [Emilio Mascia, ufficiale della Brigata SAP "Giacomo Matteotti"]". 

9 aprile 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava la liberazione dei 3 garibaldini dall'ospedale di Sanremo...

10 aprile 1945 - Dal PCI di Sanremo alla Federazione PCI di Imperia - Comunicava che... l'8 aprile un gruppo di partigiani avevano liberato alcuni patrioti degenti, sorvegliati dal nemico, all'ospedale di Sanremo...

13 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 580, al SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che era meglio che il garibaldino "De Bigò" non scendesse sulla costa in quanto ricercato dalla G.N.R. perché accusato di essere l'ideatore del colpo partigiano all'ospedale di Sanremo...

da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

giovedì 18 febbraio 2021

Emozioni e ricordi negli scritti di un parroco già partigiano

Verdeggia, Frazione di Triora - Foto: Eraldo Bigi

Agli amici partigiani, già residenti nel comune di Triora, a Cetta, a Loreto, a Bregalla, a Creppo ed in altri centri vicinori io espongo loro un mio  pensiero. Voi foste fortunati di essere sul posto e non avete avuto difficoltà ad entrare nel primo distaccamento di Vitò [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo]. Altri invece sospirarono il vostro nido ed affaticarono, soffrirono e furono in pericolo per venirvi.
Io dovetti superare lo sbarramento di Pigna ed espormi al pericolo di essere arrestato per diserzione, e camminare un giorno ed una notte per cercarvi. E con me quanti altri. Ricordo tra gli altri i nomi di Gino [Luigi Napolitano], che più volte salì sui monti per arruolarsi e non vi riuscì se non quando conobbe un amico di Vitò che lo condusse a lui. Era Manetti, l'uomo dal piede di ferro che nella gamba metallica aveva più volte nascosto messaggi da portare a destinazione, con il  pericolo della sua vita.
E Pagasempre, che subì la stessa avventura di Gino. Cercò per giorni e giorni il luogo dove erano i partigiani. Vi arrivò stanco, sfinito. Fu accolto subito con diffidenza e con cautela. Erano i momenti tristi della guerra.
Da noi, in riviera, si faceva strada un nome: Vitò, che rappresentava rifugio, sicurezza, certezza di organizzazione partigiana. A lui andavamo come ad una fortezza invincibile e protetta.
Chi fosse non lo sapevamo. Era Vitò; ed il pronunciare anche anche solo il suo nome scioglieva ogni nostro dubbio e ci faceva decidere ad una scelta irrevocabile.
A me dissero a Camporosso, dove mi trovavo quando paventavo il  mio presentarmi ai repubblichini: «Vai da Vitò, sarai al sicuro».
Ora io non so come catalogare la mia esistenza fra le tante che man mano vengo conoscendo nella mia vita. Quelle vostre con cui vissi e che conobbi nella realtà dell'amicizia che dà la vita per la salvezza dell'amico, sono e saranno un ricordo imperituro.
Il mio passato sta ora rivelandosi in una realtà che non avevo mai compresa bene, anche se l'ho vissuta. Tutto cambia. Tutto si presenta con uno sfondo ed un contorno che non si era mai visto. E penso che anche voi, ora, a distanza, pensando al passato, a cui vi costringo con questo mio scritto, vi scoprirò immersi in espressioni ed in atteggiamenti che fanno veramente meditare. Sono passati trent'anni.
A me pare di risvegliarmi e di riordinare nella mente un lungo sogno, il mio che ha oltre sessant'anni di vita. Questo sogno si lascia pensare, cercando però di svanire, o comunque, di celare alcuni suoi aspetti.
Io aiuterò anche voi a delineare precisi i contorni del vostro sogno che si fonde col mio e con quelli di amici che, gomito a gomito, dormivate sul nudo terreno con un occhio solo. L'orizzontarsi sembra difficile, perchè non sappiamo fermare la memoria in quel preciso momento. La sua fretta a sgusciarci dalle mani ci fa vedere persone e luoghi come in una nebbia. L'ho potuto constatare durante le interviste a molti di voi.
E quando si è riusciti a costruire una parte del sogno, appare insieme, un determinato e non cercato episodio che distrugge tutto il castello e si deve riprendere da capo per organizzare meglio e più chiaramente i fatti ed interpretarli alla luce di una nuova notizia.
Erven, il prof. Bruno Luppi, ora residente a Savona, durante l'inaugurazione della scuola media di Arma di Taggia, mi si sedette vicino e mi parlava come lui sa parlare e mi trasfondeva il suo entusiasmo e la sua squisita gentilezza.
Verrò ancora a trovarti e ti svelerò tante notizie.
E Fragola-Doria, l'avvocato Armando lzzo, che partì da Afragola (Napoli) sua residenza, per registrare per me le sue impressioni. E' lui che mi ha spinto a scrivere, è lui che provvide a mettermi a contatto con l'Istituto Storico di Imperia perchè tutti ci potessimo riunire nel ricordo, durante la lettura.
E Pagasempre, insegnante Arnolfo Ravetti, mi accoglieva, in Arma, nel suo distributore di benzina, e nei momenti di pausa, mi parlava per ore ed ore del periodo della comune lotta.
E Guido di Cetta, il geometra costruito dalla scuola partigiana di Villa Clara, che ha tanto sofferto in questi ultimi tempi e fu ricoverato in ospedale, mi diceva con la sua voce pacata e suadente le prime avventure alla Goletta, a Perallo, a Creppo.
E il buon Mosconi Basilio, il sergente maggiore presente in tante battaglie e sempre fedele alla sua missione di guidare il battaglione. Mi ha fatto venir paura durante la prima intervista. Narrava, col microfono alla bocca, con foga, i suoi momenti e li viveva come fossero presenti. La sua voce si modulava fino a gridare ordini, il suo volto si sbiancava per una memoria viva.
Raccontava come se vivesse in quel momento la passata vicenda. Dovetti troncare il suo dire e dargli, in un bicchiere con acqua, alcune gocce di coramina. Soffre di cuore. Ma tornò altre volte. Fu pittoresco nel suo dire.
E Leo il mortarista, prof. Vittorio Curlo, per gli amici Totò, sempre cortese e premuroso, sempre pronto a sdrammatizzare, pacato, sereno.
Ti mando le mie memorie. Le dattilograficherò e te le mando.
Ed intanto io lo vedevo, dietro un pezzo di artiglieria. intento col suo caratteristico alzar il pollice in aria per prendere misure e sparare sicuro di colpire.
E Vitò, sempre sorridente, ma preciso. Sicuro nelle sue notizie; sincero quando accusava una amnesia o dichiarava di non ricordare bene: «È meglio che tu domandi a... per avere più precise notizie».
Non esaltava mai se stesso e rideva quando mi interrompeva: «Tu vuoi proprio immortalarmi».
Io lo ascoltai incantato quando rivisse e registrò per me le sue avventure d'infanzia e di giovinezza.
Quando narrò, con dovizia di particolari, la sua partecipazione alla guerra di Spagna, vissuta, sofferta, quando fu ferito in battaglia. Con lui passammo in rassegna tutti i vostri volti, ripetemmo i vostri nomi. Vi ricorda bene ed il  suo viso esprime marcatamente tutte le impressioni che lo movevano, mentre raccontava.
E avvicinai molti di voi, che non posso tutti elencare per ora.
Era bello, ve lo assicuro, rivivere gli avvenimenti di trent'anni fa. A distanza si può dare loro dimensioni e valori più umani, più ragionati.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pp. 17,18,19 

mercoledì 10 febbraio 2021

Riscontrai, ad ogni modo, nel Curto un uomo molto calmo

Pietrabruna (IM): Monte Follia. Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Dintorni immediati di Pietrabruna (IM)

Il Comando delle Brigate Nere ha una vasta rete di spionaggio che fornisce informazioni sui movimenti e sull'ubicazione delle formazioni partigiane.

Nel mese di giugno 1944 il predetto Comando ha a sua disposizione molte notizie sulla situazione numerica dei garibaldini e ne traccia un prospetto:

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eraldo Bigi

[...] Zona di Triora e Molini di Triora
I gruppi che agiscono nella zona sono alle dipendenze del Comando dei ribelli che trovasi a Cima di Marta, forza degli stessi circa 3.000 uomini armati con moschetti, fucili mitragliatore, mitragliatrici, mortai da 45 e da 81. Nella zona suddetta i gruppi di ribelli sono sempre in movimento; infatti sono stati notati gruppi di ribelli della forza di circa 30 e 40 uomini a Carmo Gerbontina, a monte Pellegrino, a monte Gerbonte, nella frazione di Loreto, nella regione denominata «Brighetta», nella frazione di Realdo, nella frazione di Andagna. Sembra che nei baraccamenti militari siti su Colla Belenda vi sia un posto fisso di circa 50 ribelli armati. Notati posti di avvistamento ai chilometri 13, 15, 17 della strada Castelvittorio-Triora.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Pagina 44 del Notiziario GNR del 4 giugno 1944 cit. infra. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Il 31 maggio u.s., alle ore 18, in Badalucco (Imperia), numerosi banditi armati, dotati di mitragliatrici pesanti, assalirono il locale distaccamento della G.N.R. I militi del presidio reagirono energicamente e tennero testa agli aggressori sino al sopraggiungere di una compagnia O.P. che dopo breve combattimento riuscì a volgere in fuga i malfattori. Da parte nostra tre feriti. Non ancora accertate le perdite dell'avversario. Riserva di ulteriori notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 4 giugno 1944, pagina 44. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Zona di Badalucco - Montalto Ligure
Sembra che nella cosiddetta frazione «Tana di Beltrand» esista un rifugio di ribelli. Nuclei di ribelli armati sono stati visti aggirarsi nelle località Evria e Binelli (comune di Montalto Ligure), e in località Merea-Beltran-Banzan (comune di Badalucco).

Colline a levante di Castellaro (IM)

Zona di Pietrabruna e Castellaro
Esistono gruppi di sbandati armati; il numero è esiguo, non si conosce la dislocazione.

La Val Prino

Zona di Dolcedo e di Molini di Prelà
Esiste un gruppo di circa 400 ribelli armati nel bosco di monte Faudo, e gruppi di sbandati armati della forza di 10 e 15 uomini ciascuno che si aggirano per la campagna.
Carlo Rubaudo, Op. cit.


Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 24 giugno 1944, pagina 33. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Fa seguito alla segnalazione inserita nel notiziario del 23 corrente circa l'esistenza di bande armate, della forza di circa 6000 elementi nel territorio della provincia di Imperia. Oltre alle formazioni di armati segnalati a nord di Vasia, Pianavia e Pantasina, operano 500 banditi suddivisi in reparti della forza oscillante fra i 50 e gli 80 uomini ciascuno dislocati sulle falde di quota 732 (S. Bernardo). Nella zona compresa  tra Villa Viani, Vestagno [Bestagno] e Lucinasco, e precisamente nel bosco detto "della Maddalena", sulle pendici meridionali di Monte Acquarone e sui due versanti di Monte Collabassa, trovasi un raggruppamento di oltre 300 banditi. Inoltre, sulle falde di Monte Albastino, in una casetta vicina alla villa di proprietà di Paolo AGNESI si è insediato il comando dei reparti che agiscono nella zona. Confermata la notizia che i banditi avrebbero intenzione di scendere nei prossimi giorni a Imperia per compiere atti di sabotaggio. L'azione verrebbe effettuata in concomitanza con operazioni di disturbo nelle valli di Dolcedo e in quella di Oneglia da parte di gruppi sparsi che ivi convergerebbero da diverse direzioni. Nella notte sul 16 corrente, in località Perina del comune di Imperia, alcuni banditi armati penetrarono nell'abitazione dell'aviere Felice CICCIONE, costringendo questi a seguirli. Il 17 corrente, alle ore 21,30, in Castellaro, numerosi banditi armati, dopo aver interrotta la linea telefonica e bloccate le strade di accesso dell'abitato, penetrarono negli uffici comunali, ove bruciarono le liste di leva e asportarono tutte le carte annonarie ivi esistenti. Successivamente obbligarono due agricoltori a consegnare loro, complessivamente, un vitello, due pecore e due muli e, dopo aver tagliato i capelli a certa Luisa BIACCHESI, nell'allontanarsi costrinsero il commissario del Fascio a seguirli. Nella notte sul 17 corrente, in Imperia, tre detenuti militari, narcotizzati i militi addetti al loro piantonamento, evadevano dall'ospedale civile di S. Giovanni dove erano ricoverati.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 24 giugno 1944, pagine 33,34,35. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

18 giugno 1944 - Il già menzionato Giuseppe Arduino di Prale, residente in Borgomaro, trovò in Prale un gruppo di 80 patrioti, comandati da due ufficiali genovesi. Con loro erano pure Renzo [n.d.r.: Renzo Merlino] e Cassia. Stanno tutti bene ed hanno il morale elevatissimo. Ad essi ha parlato delle mie ansie per le continue minacce del Santacroce e per la denuncia del Roba. Essi però gli hanno detto di essere già al corrente di tutto. Il Comune di Pieve [Pieve di Teco (IM)] amministrativamente è nel caos più completo. Il Commissario con la moglie sono fuggiti e il Segretario Comunale Valenzo si lascia vedere ìl meno possibile, sicché tutto è ridotto nelle mani della impiegata Sig.ra Brignacca, disgraziatamente sorda, ma ammirevole per il suo senso di abnegazione. Per quel che riguarda gli approvvigionamenti (che ormai tutto si riduce a questo), si è costituita una Commissione di volenterosi per la tutela di questo delicatissimo ramo, ma pare che il Prefetto non abbia ancora voluto riconoscerla. Come si vede qui da noi la tanto decantata repubblica ha degenerato presto in anarchia. Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994, p. 98

Zona di Vasia
Un gruppo di circa 30 ribelli armati trovasi nei casolari sparsi sul versante est di q. 732 nei pressi di Pianavia, e un gruppo di circa 20 ribelli pure armati a q. 889.
Zona di Carpasio - Borgomaro - Rezzo
Nel bosco di Rezzo trovansi oltre 400 ribelli armati. Ivi trovasi pure il loro Comando. Gruppi di ribelli della forza di circa 40 e 50 elementi (provenienti dalla zona suddetta) sono stati visti sostare a Montegrande, a Colla d'Oggia, al monte Albaspino, al passo di Carpasio, al monte Acquarone e al passo delle Ville...».
Dagli incompleti dati in possesso del nemico, seppur non tutti attendibili e molti indubbiamente inesatti, si può valutare la possibilità di lotta della nostra Resistenza in quel periodo in cui l'entusiasmo saliva alle stelle ed in ogni valle risuonavano le canzoni partigiane.
Sul finire del mese di giugno del 1944, avviene un cruento combattimento sostenuto dal 16° distaccamento, che potrebbe anche essere ricordato come «La prima e l'ultima battaglia»; la battaglia cioè di un distaccamento appena costituito che si batte con grande coraggio, infligge gravi perdite ai Tedeschi e subisce, a sua volta, un rastrellamento tanto feroce, e giorni di martirio da non poter più essere ricomposto. I bravi giovani superstiti passano, quindi, a far parte di altri reparti. Noi, invece, il combattimento lo intitoliamo al nome della località presso cui si verificò e diciamo: «La battaglia di Sella Carpe». 
Carlo Rubaudo, Op. cit.

Cesio (IM). Foto di Antonio Busso (su Flickr)

19 giugno 1944 - Il menzionato tenente Cassia è venuto a trovarmi in Muzio e, fra l'altro, mi ha fatto cenno dei vivaci contrasti fra lui, Colombo, Renzo e Martinengo, dello spirito d'indisciplina dei gregari. Mi narrò pure l'operazione da lui compiuta in Moglio, dove un gruppo di guastatori tedeschi, con armi, munizioni e cavalli, sono passati ai patrioti precisandomi che lui stesso ha condotto nella zona di Gazzo i nuovi gregari. Fra l'altro mi ha detto che sul Santacroce hanno messo un taglione di L. 10.000. È da questa mattina che divampa un'azione di guerriglia in Valle Impero. Da qui si odono le artiglierie e le raffiche di mitra. Sono le quattro pomeridiane, il frastuono è cessato e, siccome le popolazioni han già fatto l'abitudine a questi spettacoli, non si allontanarono nemmeno più dai paesi.
20 giugno 1944 - Nell'azione di ieri in Valle Impero i tedesco-fascisti hanno avuto la peggio perché i patrioti, ormai maestri in fatto di guerriglia, li hanno costretti a ripiegare verso Oneglia. L'azione si è svolta tutta sul saliente Gazzelli - Chiusanico - Torria - Cesio, da cui hanno anche sparato colpi di cannone su Caravonica con lievi danni ai fabbricati e con una sola perdita di un civile, che era fuori casa. Il liquorista Ranzini di Oneglia, ma dimorante a Villa Romana sulla Nazionale sotto Cesio, passò un brutto quarto d'ora perché i tedeschi volevano fucilarlo. In Cesio i tedeschi hanno letteralmente saccheggiato la casa del Dott. Natta sicché il dottore e la moglie, privi di ogni cosa e con miseri indumenti, son giunti in Vessalico, in stato veramente compassionevole. Stamane i patrioti hanno fatto una perquisizione in casa di Ciollu Batteria posta in via Piane, di proprietà della cognata di Giovani Fresia, titolare del Monopolio Sale e Tabacchi ed, infatti, vi trovarono un vero deposito di tabacco e sale che il titolare sottraeva ai consumatori, per vendere a borsa nera. Anche allo spaccio Demarchi fu trovato accantonato indebitamente mezzo q.le di sale, tolto naturalmente al consumatore.
21 giugno 1944 - Questa mattina in Muzio si nota un movimento inconsueto. Sono cinque giovanotti che, con schietto entusiasmo, partono per Nava, per unirsi a quei Patrioti. Partono già armati ed equipaggiati di tutto punto. È imminente una seconda partenza. L'entusiasmo di questi giovanotti è veramente confortevole. Speriamo che non sia fuoco di paglia. In Pieve tutti gli uffici son chiusi con una scritta «Chiuso fino a nuovo ordine» perciò la Pretura, l'Ufficio Registro, l'Agenzia imposte, la Posta e Telegrafi, il Municipio sono tutti sbarrati, e le autocorriere sono ferme. Pare di vivere in un completo abbandono ed isolamento.
22 giugno 1944 - I cinque muziesi, giunti a Nava, non solo furono accolti ma furono messi ben presto alla prova. Infatti, capeggiati dal Capo squadra Ferdinando Gandolfo, pure di Muzio, furono inviati per un'operazione da compiersi in giornata con l'impegno di tornare subito al Comando. Eseguirono alla perfezione la prova. Stamattina venti partigiani hanno invasa la casa canonica di Calderara, recandole qualche danno. La causa di tale fatto va ricercata nella vita avventurosa del Parroco che, da tempo, faceva contrabbando in grande stile, viaggiando carico di derrate sui treni e sulle corriere, senza che nessuno l'avesse mai molestato. I casi sono due: o tale sacerdote sfruttava l'abito indecorosamente, oppure viaggiava, come tanti, con la tessera repubblichina. Tanto nell'un caso come nell'altro, meritava castigo. Fortuna volle che in Canonica non vi si trovasse. Questo pomeriggio fu turbato dall'arrivo improvviso di un camioncino con cinque patrioti che, dal Dopolavoro, hanno portato via un vitello intero, macellato clandestinamente, e mezzo sacco di riso. Per il Delfino, proprietario del dopolavoro fu senza dubbio un danno gravissimo ma di tutto ciò è anche colpa sua perché, col suo contegno, lascia sospettare che penda un po' troppo per i Repubblichini.
Nino Barli, Op. cit., pp. 99-101

Vasia (IM). Fonte: Flickr

Alla fine di giugno del 1944 un rapporto redatto dall’U.P.I (Ufficio Politico Investigativo) di Imperia segnalava la presenza di 50 ribelli armati, che trovavano rifugio nei casolari sparsi nei pressi di Pianavia, Frazione del comune di Vasia (IM). Poco tempo prima della fine di luglio la Compagnia O.P. di Imperia programmava un rastrellamento nel comune di Vasia e a Montegrazie, Frazione del comune di Imperia. Prima di giungere a Vasia il capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre: vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris (da dichiarazione resa in data 7/5/46 da Carlo Valfrè, già appartenente alla citata Compagnia O.P. di Imperia). Altri patrioti morirono in combattimento. I partigiani deceduti (si presume tutti il 25 luglio 1944) furono: Stefano Danini (Ferroviere), Salvatore Filippone (Mariella), Carmine Saffiotti (Carmé), Vincenzo Raho (Zappa), Igino Rainis (Lupo). Non è dato sapere chi dei cinque appartenenti al distaccamento "Antonio Terragno" della I^ Brigata furono i due fucilati e chi cadde in battaglia. Testimoni dei fatti riferiscono che Igino Rainis rimase ferito ad un ginocchio e che, per non cadere prigioniero del nemico, si tolse la vita.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Igino Rainis (Lupo). Nato a Treppo Carnico (UD) il 19 giugno 1926, operaio; appartenente al Distaccamento “Antonio Terragno” della I^ Brigata. Il 25 luglio 1944 i garibaldini Stefano Danini ed Igino Rainis con i compagni Salvatore Filippone, Vincenzo Raho e Carmine Saffiotti della IV^ Brigata sono diretti ad Imperia con il difficile compito di penetrare nei locali della Questura per impossessarsi di armi automatiche. Incappano in un rastrellamento nella zona di Vasia. “Lupo” è ferito ad un ginocchio e, per non cadere prigioniero del nemico, preferisce darsi la morte.
Ad Igino Rainis è intitolato un Distaccamento della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, ANPI i resistenti, numero speciale 2011, ANPI Savona

Ormea (CN). Foto del 2012 di Paolo Brocchetti (su Flickr)

4 luglio 1944 - Entrammo finalmente nella nostra casa avita di Ormea, e qui ci trovammo bene. Da quel momento fu un continuo pellegrinaggio di patrioti in cerca di notizie e fu anche una ininterrotta attestazione di simpatia da parte di questa buona gente la quale si faceva premura di riferirmi sullo stato delle cose, e ciò per nostra normna opportuna.
5 luglio 1944 - Sopra un biroccio, e con un viaggio poco piacevole, ci raggiunsero in Ormea la mia cognata Angelina, unitamente alla persona di servizio Angela Milesi. In tal modo la famiglia si poté ricomporre al completo.
6 luglio 1944 - I patrioti non tralasciano di manifestarci le loro premure e continuano a darmi notizie su ciò che si sta svolgendo in Piemonte ed in Liguria.
7 luglio 1944 - Si presenta da me il Dott. Natta il quale è tutto pervaso da un senso di avversione ai vari sistemi che, secondo lui, contrastano con le direttive impartite ai patrioti dai Comitati di Liberazione. Mi parla di urti fra bande e bande, e diquesto suo concetto critico vuol farne relazione al Comandante Divisionale Curto [Nino Siccardi]. Infatti, verso le dieci, il Curto esce dalla Pasticceria Colombo e il Dott. Natta mi saluta e si accompagna con lui. Vedo che la discussione si fa assai animata, ma io per prudenza mi ritiro, lasciandoli alle loro reazioni assai plateali. Riscontrai, ad ogni modo, nel Curto un uomo molto calmo perché, mentre il Natta si accalorava nella sua esposizione, lui quasi impassibile pronunciava ben di rado poche parole. Ritornai sull'uscio e li vidi ancora presi dalla discussione sulla piazza dell'Olmo: ad essi però s'erano avvicinati altri patrioti.
8 luglio 1944 - Da questa data al 27 luglio successivo, si è trascorso in Ormea un periodo di autentica quiete. È vero che ogni tanto si restava un po' preoccupati per le notizie che giungevano, ora dal Piemonte ed ora dalla Liguria, di scontri o di movimenti di forze d'ogni specie, ma qui in Ormea continuava a sopravvivere un vero centro di patrioti indisturbati; e nulla degno di nota si è svolto in questo periodo.
27 luglio 1944 - Verso le cinque del pomeriggio il Capitano Bologna mi confida che, dal Colle dei Termini, sta scendendo su Ormea una forte colonna di tedeschi, per cui sarebbe prudente allontanarsi. Intesa la notizia, radunammo in famiglia tutto ciò che più ci premeva e, col carro a quattro ruote di Antonietto Sappa di Luigi, partimmo tutti per Bossi - sotto frazione di Bossieta - ove trovammo asilo presso la famiglia di Roberto Merigone. Ivi prendemmo dimora e fu provvidenziale questa nostra decisione, confrontandola con i bombardamenti e i mitragliamenti di cui fu in seguito bersagliato il piccolo centro di Ormea.
28 luglio 1944 - Ai Bossi, in questo gruppo di cinque o sei baite, costruite in mota sul nudo scoglio, ai piedi del Pizzo della Guardia in una morta gora perché incassata e chiusa fra i ripidissimi pendii del Rio Bossi, assistiamo ad un continuo movimento di patrioti che, alla spicciolata e a gruppi, passano e si eclissano nelle foreste che coprono le alture circostanti.
29 luglio 1944 - Anche questo misero raggruppamento di catapecchie ormai assume la sua importanza. Da Ormea salgono persone d'ogni età e d'ogni sesso. Giungono anche donne ansimanti e impaurite che gareggiano nel racconto della invasione tedesca.
30 luglio 1944 - In un vecchio e primitivo forno viene riacceso il fuoco, da molti anni spento, ed un fornaio di Ormea lo sfrutta cuocendo il pane a richiesta. Anche noi non tralasciamo di approfittare dell'occasione. Il fornaio di nome Pierin è un giovanotto di ottimo carattere il quale non nasconde il suo stato d'ansia, avendo anch'egli degli obblighi militari.
31 luglio 1944 - Gli sfollati aumentano di giorno in giorno e tutti i più reconditi tuguri o buchi sono sfruttati. Un po' di paglia ed una coperta per la notte è sufficiente per accontentare chi arriva e si ferma ben lieto, pur d'essere in compagnia di gente conosciuta, e lungi dal contatto tedesco.
Nino Barli, Op. cit., pp. 106,107

Valfrè Carlo: nato a Ventimiglia il 7 luglio 1921, milite della Compagnia OP di Imperia.
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946: Dopo l’8 settembre rimasi per un po’ di tempo sbandato ma in seguito tornai a casa mia. Dopo un po’ di tempo ricevetti la cartolina precetto per essere inviato in Germania e poiché mi si disse che l’unico modo per evitare di essere inviato in Germania era di arruolarsi mi presentai alla sede della milizia di Imperia. Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris. Fui avviato subito a Pieve di Teco ove prestavo servizio con i carabinieri e vi rimasi per circa un mese. Dopo detta data venni assegnato al Battaglione Italiani all’Estero, in un primo tempo a Sanremo ed in un secondo tempo ad Arma di Taggia. In questa località rimasi fino al marzo del 1944 quando ritornai alla Compagnia OP. Negli ultimi giorni di giugno [1944] o nei primi di luglio, unitamente alla compagnia, partimmo per un'azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti. Verso la fine di luglio siamo partiti per un rastrellamento nel comune di Bestagno. Ivi giunti, dopo aver circondato il paese, il Capitano Ferraris diede ordine di svaligiare e bruciare una casa [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della "controbanda", l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.   Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998 

venerdì 5 febbraio 2021

Sull'arresto e sulla scarcerazione del patriota antifascista Marcellino Molosso

Una vista del Porto Vecchio di Sanremo (IM)

Lo stesso giorno 8 [gennaio 1945], a causa dell'arresto in Sanremo di Marcellino Molosso, membro del CLN di San Martino, da parte delle SS tedesche, è in pericolo tutto il CLN della Città. Sotto la tortura il Molosso fa i nomi dell'avvocato Nino Bobba, di Alfredo Cremieux, dell'avvocato Carlo Benza e di Mario Donzella farmacista. Fatti questi nomi, come diversivo, promette ai Tedeschi che se lo avessero lasciato libero per 24 ore, avrebbe compiuto delle ricerche per conoscere i luoghi dove si nascondevano altri membri del CLN. I Tedeschi abboccano. Allora lui, tramite la moglie, si mette a contatto con Alfredo Rovelli, esponente del PCI locale.
Il Rovelli espone un piano per farlo fuggire. Messo in atto, il piano riesce. Così si salva il Molosso, dopo aver rischiato la sua eliminazione fisica che avrebbero dovuto attuare le SAP locali se non fosse riuscito a fuggire, ed è scongiurato il pericolo dell'arresto certo del CLN di Sanremo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005 

23 marzo 1945 - Da "Alfonso" alla Federazione comunista di Imperia - Comunicava che il compagno "Martì" [Marcellino Molosso] era ancora in stato di arresto presso le SS tedesche; che "le due ragazze arrestate per essere portate in Germania" erano riuscite a fuggire trovando riparo in una città del nord Italia; che negli ultimi giorni, anche a causa della delazione di un ex partigiano, erano stati effettuati nuovi arresti; che a breve sarebbero iniziate le sottoscrizioni per "l'Avanti" e per "l'Unità".

23 marzo 1945 - Da "Amerigo" [Alfredo Rovelli] del partito comunista di Sanremo alla segreteria comunista di Imperia - Comunicava che erano stati rilasciati dalle Brigate Nere, "cadute le accuse nei loro confronti", i compagni "Bricò" e figlio, oltre che "Modena" e che erano, invece, stati arrestati l'avvocato Gismondi ed il commerciante Cremieux, accusati di essere complici di "Martì".

25 marzo 1945 - Dalla Federazione comunista di Imperia, zona A San Remo, alla segreteria del PCI di Imperia - Comunicava che il 24 marzo era stato rilasciato il compagno "Martì" [Marcellino Molosso]; che si riteneva quanto meno "non chiaro il suo comportamento", perché si sospettava che avesse avuto delle responsabilità negli arresti dei signori Gismondi e Cremieux e dell'avvocato Gerbolini. Segnalava che "Jean" [Alpinolo Rossi] aveva parlato con "Martì", di cui aveva riferito le seguenti dichiarazioni: "Martì" addossava al CLN di Sanremo "tutta la colpa di ciò che è successo alla propria famiglia" ed avrebbe affermato che "i tedeschi sono perfetti socialisti, quasi comunisti, e che il CLN è formato da capitalisti". Riferiva che "Martì" era stato visto in compagnia di un ex-partigiano ormai al servizio delle SS tedesche. Affermava che di conseguenza "Martì" rappresentava "un pericolo per la sopravvivenza dei patrioti del CLN ed anche se ancora non lo è per il P. [il PCI] occorre pensare all'unitarietà della lotta, per cui una delazione fatta ai danni del CLN equivale ad una fatta contro il P. Nella riunione di zona si è deciso che, considerato il passato di 'Martì', del lavoro svolto, e del fatto che è padre di un caduto per la libertà, gli verrà concessa un'ultima possibilità: recarsi in montagna insieme alla sua famiglia con 10.000 lire per le spese incontrate, di contro, se rifiutasse andrebbe incontro a serie difficoltà; in ogni caso verrà espulso dal P. ..."

25 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] del CLN circondariale di Sanremo, prot. n° 492, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed alla Sezione SIM della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava l'avvenuto rilascio da parte dei tedeschi di "Martì" [Marcellino Molosso], come già segnalato dalla Federazione comunista di San Remo, ed invitava a stare in guardia" in caso di visite del rilasciato e dei suoi familiari.

25 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] del CLN circondariale di Sanremo, prot. n° 496, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed alla Sezione SIM della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava... "Martì" [Marcellino Molosso] sosteneva di avere un forte esaurimento nervoso.

27 marzo 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 499, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, a "R.C.B." [capitano del SOE britannico Robert Bentley, responsabile della missione alleata nella I^ Zona Operativa Liguria] ed al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che "le immani sevizie inflittegli" avevano fiaccato moralmente e fisicamente "Martì" [Marcellino Molosso]; che "è da attribuire a ciò il suo comportamento anomalo"; che "Martì" aveva chiesto di essere occultato dai patrioti perché temeva di fare nomi dei membri del CLN se si fosse recato il 28 marzo dalle SS [come gli era stato chiesto al momento del rilascio]; che "in considerazione di suoi onorevoli trascorsi" il "Martì" era stato nascosto presso degli organizzati; che "Martì" e la sua famiglia sarebbero stati inviati presso il SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata per essere protetti in luogo sicuro; che ai 3 componenti la famiglia di "Martì" erano state consegnate 10.000 lire per le spese.

28 marzo 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 503, al SIM della V^ Brigata - Comunicava che inviava 55.000 lire tramite "Dorio" [Mario Chiodo, ufficiale di collegamento del Distaccamento SAP "Giobatta Zunino"] e che "Dorio" e i suoi compagni, dopo aver accompagnato "Martì", dovevano tornare a San Remo perché facevano parte di un Distaccamento speciale dello scrivente Comitato.

28 marzo 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo , prot. n° 505, al SIM della V^ Brigata - Comunicava che per un disguido "Dorio" [Mario Chiodo, ufficiale di collegamento del Distaccamento SAP "Giobatta Zunino"] non era riuscito ad incontrarsi con "Martì" [Marcellino Molosso], che non si sapeva se "Dorio" tornava a San Remo oppure proseguiva per la montagna, che in ogni caso allegava la lettera che "Dorio" avrebbe dovuto portare al SIM.

1 aprile 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, a firma di Albatros [Mario Mascia], prot. n° 519/CL, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, a "R.C.B." [capitano Robert Bentley del SOE britannico, ufficiale di collegamento degli Alleati presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] ed alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava ... ed esprimeva ringraziamenti per avere sistemato la famiglia di "Martì" [Marcellino Molosso].

1 aprile 1945 - Da "Martì" [Marcellino Molosso] al C.L.N. di Sanremo - Resoconto delle sue vicissitudini, dal momento del suo arresto, avvenuto il 23 marzo 1945, alla corrente data: elencava le torture subite durante la detenzione; non aveva rivelato nulla durante gli interrogatori; si era dichiarato, per evitare morte certa, disposto a collaborare; per farlo era stato messo in libertà; quando sarebbe dovuto tornare in caserma con le informazioni promesse egli era già in salvo con la famiglia in luogo sicuro, procurato da CLN.

senza data - Alfredo Rovelli "Amerigo" - Testimonianza sull'arresto per delazione di Marcellino Molosso del CLN di San Martino di Sanremo, in cui si affermava che il Molosso era stato segretamente rilasciato dal nemico il 14 gennaio 1945 a condizione di indicare i capi del locale CLN, ma che il CLN di Sanremo, messo sull'avviso dal Molosso stesso, aveva provveduto verso la fine di marzo 1945 a mettere al sicuro in montagna Molosso e la famiglia.

Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

giovedì 28 gennaio 2021

I partigiani imperiesi alla battaglia di Pizzo d'Evigno

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: Gulliver

L'alba del 19 giugno 1944 sembra dare inizio ad una delle solite, meravigliose giornate, tutto splendore di prati e chiarore di cielo, che si protrarranno per tutta la successiva estate.
La primavera incantevole e varia delle nostre valli sembra, al suo morire, seminare a piene mani i suoi doni più belli perché l'uomo possa gioirne e serbarne un buon ricordo. Ma, in quel giorno, per vasto tratto, nella zona d'Evigno, non s'avverte il respiro profumato dei prati in fiore, né c'è tempo per osservare il chiarore del cielo.
Nel luogo hanno la loro base due distaccamenti garibaldini: quello comandato da Silvio Bonfante (Cion) è a Cian Bellotto <1 e controlla tutto il pendio nord del Pizzo d'Evigno; quello di Massimo Gismondi (Mancen) è lungo i fianchi rivolti a sud, in località «Fussai». Dal primo, s'abbraccia con lo sguardo la Valle dell'Arroscia, i selvosi monti a catena dell'entroterra delle province d'Imperia e di Savona, i sinuosi sentieri, la bianca strada serpeggiante Albenga  Pieve di Teco e, sparsi qua e là, abbarbicati ai degradanti dossi, i borghi, i paesi, i campanili, che offrono uno spettacolo da presepe, con quell'acqua dell'Arroscia che scorre nell'alveo ebbro di sole per gettarsi nel Centa presso Albenga, voglioso di baciare il mare. Dall'altro distaccamento s'osservano le valli dell'Impero e dello Steria, quasi parallele e divise fra loro da una cresta collinosa.
Pizzo d'Evigno ci conduce, attraverso dossi verdeggianti, a 980 metri sul livello del mare, al suo cocuzzolo dominatore di ogni altra cima all'intorno e forma con i monti Penna, Ceresa e Pizzo Aguzzo, una breve catena posta quasi trasversalmente alle vallate dell'Impero e dello Steria, come a volerle resecare. Tale catena converge poi a semicerchio verso sinistra, ed accenna a dirigersi verso il  mare. I monti e le zone nominate sono, appunto il 19 giugno, teatro di una delle battaglie più accanite avvenute fra le truppe nazifasciste e i garibaldini del solo distaccamento di «Cion», essendo impossibilitato a partecipare alla lotta quello di «Mancen», tagliato fuori dallo strano e repentino svolgersi delle operazioni. «Mancen», con vari uomini, si era recato a Diano Gorleri per disarmare un presidio della Guardia di Finanza. Compiuta felicemente l'azione, di ritorno verso l'accampamento, trova tutti i percorsi sbarrati per il rastrellamento nazifascista già iniziato.
Riportiamo, per intero, il rapporto del comandante «Cion » sullo svolgimento del combattimento <2: «Giorno 19 giugno. Ore 6,45, il distaccamento viene messo in allarme dalle sentinelle che sentono alcuni colpi di fucile e movimenti di camion sulla strada Alassio-Testico. Ore 7, disposizione delle squadre per il combattimento. Il Distaccamento viene attaccato da sinistra e di fronte da forze nazifasciste di gran lunga superiori alle nostre (numero finora accertato degli attaccanti: 1.200). Noi attacchiamo senza esitare le forze nemiche che tentano l'accerchiamento di fronte al Distaccamento, per poterle fare ripiegare verso sinistra dove si trovano già altre loro forze: il tentativo riesce. Portatici sulle immediate alture, cerchiamo il tutto per tutto per far allontanare sempre più le forze tedesche dal Distaccamento. I nazi-fascisti (per paura o per tentativo di sorprenderci alle spalle) tentano di raggiungere le vette del Pizzo e del Pizzo della Ciliegia; però non tutto gli riesce perchè il Pizzo della Ciliegia era già saldamente tenuto da una nostra squadra. Spostamento immediato della nostra mitraglia verso il Pizzo della Penna, piccoli duelli della nostra mitraglia contro due postazioni più avanzate nemiche, intervallo di 40 minuti e tentativo da parte nemica di circondare i compagni delle postazioni del Pizzo della Ciliegia. Immediato ritiro delle nostre forze dalla suddetta postazione e contemporaneo attacco della nostra mitraglia. I tedeschi (solo tedeschi) ripiegano verso il Pizzo. A questo punto vengo avvisato dalla pattuglia spostatasi verso Gazzelli che forze numerose salgono da Chiusanico e da Torria mentre altre forze provenienti da Cesio avevano già raggiunto Passo San Giacomo. Avevo già disposto la ritirata nostra per paura che nostri compagni cadessero. Visto che avevamo ancora alcuni caricatori della mitraglia decido di rimanere con due compagni mitraglieri a sparare sino all'ultimo colpo per poi rendere l'arma inutilizzabile e ritirarci in posti sicuri: ma, purtroppo, ci tocca lasciare un caricatore e mezzo perchè sottoposti al tiro dei mortai da 81. Rientro in serata al distaccamento, ancora intatto, con alcuni compagni e riprendo la nostra attività sempre più spietata contro i maledetti tedeschi e i loro schiavi fascisti. Da segnalare il comportamento esemplare di 4 compagni: Federico, Germano, Carlo II, Aldo Fiume <3. Dapprima Germano (Giuda), attualmente Commissario politico, che con una squadra di 10 uomini (nuovi) trovandosi in pessima posizione di ripiegamento, sottoposto alle raffiche nemiche, riesce a tenere in pugno i suoi uomini, rincuorandoli affinché non abbandonino il posto senza mio ordine. Federico con 4 uomini tenta di raggiungere per la seconda volta, armato di mitragliatore, il Pizzo della Ciliegia. Impossibile l'azione perché raggiunto il Pizzo per primi, i tedeschi dirigono verso di lui e i compagni un nutrito fuoco di mitraglia. Rimasto ferito, tenta ugualmente di raggiungere la posizione della nostra mitraglia. Carlo (Siciliano) [Calogero Madonia], che da solo, con mitragliatore, spara contro i nostri nemici, impedendo loro di raggiungere il Distaccamento. Aldo (Fiume) che, aiutante mitragliere, prende di mano al compagno, feritosi ad un piede, la mitraglia e sfida con esemplare eroismo ogni attacco nemico. Esemplare, inoltre, il comportamento di tutti i compagni della vecchia Volante ed alcuni dei nuovi. Con compagni di questa tempra la vecchia e la nuova Volante non perirà mai! Accertamento dei molti nemici, da fonte competente n. 62 (tra i quali un capitano tedesco e un tenente fascista). Un secondo fascista è diventato pazzo. Gloria al nostro fuoco. Il Commissario politico Giuda - Il Comandante Cion".
Ma, nel rapporto, «Cion» ha omesso la cosa più importante: il suo grande coraggio, profuso generosamente, come sempre, nell'epica battaglia. Quando, da varie ore, la lotta infuria feroce contro l'esiguo numero di garibaldini, egli, pressato da ogni parte da soverchianti forze nazifasciste armate di mitragliatrici e mortai ed attaccanti in continuità, comincia a sentirsi provato e stanco, centuplica energie e coraggio.
Con pochi altri ardimentosi, piazzato su Pizzo della Penna, impugnando stretta la sua Hotchiss, mitraglia con una continuità sconcertante, anche irritante, gli invasori esasperati. Calmo, come sempre, «Cion» risponde con precisione al fuoco dei nemici incalzanti. Oltre diecimila colpi vomita la sua prodigiosa mitragliatrice. 
«Fiume», aiutante mitragliere, che ogni tanto deve orientare la direzione dell'arma a seconda degli spostamenti dello schieramento nemico, si trova le braccia ustionate dalla canna arroventata dell'arma e deve infine sostituire «Federico», il compagno mitragliere rimasto ferito.
Enormi lingue di fuoco, ininterrotte raffiche di mitragliatrici e mitragliatori, squarci di mortai, si accaniscono contro poche, irriducibili squadre di «Cion».
I Tedeschi non passano che a sera, dopo aver pagato a caro prezzo la padronanza del campo di battaglia e tutti i partigiani protetti dai compagni più valorosi, primo fra tutti il loro Comandante, si sono ormai sganciati e messi in salvo.
Tutti meno uno: Silvano Belgrano che, col suo parabellum ancora stretto in pugno, col bel viso immobile rivolto al sole, pare osservare la sua fiorente, esuberante giovinezza allontanarsi per sempre, verso orizzonti senza confini. 
(1) «Cion» in dialetto imperiese significa chiodo. 
(2) Il manoscritto originale è stato conservato dai familiari di Silvio Bonfante. 
(3) Trattasi di Federico Sibilla (Federico), Germano Belgrano (Giuda), Calogero Madonia (Carlo Siciliano o Carlo II), Aldo Bukovic (Fiume). 
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 87-90
 
La battaglia di Pizzo d'Evigno, comune di Diano Arentino (IM), mise in luce le brillanti qualità del comandante Silvio Cion Bonfante.
Il suo Distaccamento, Volante, era dislocato in quella zona.
All'alba del 19 giugno 1944 numerosi reparti tedeschi, arrivando in parte da Cesio (IM), ed in parte da Chiusanico (IM), tentarono l'accerchiamento dei garibaldini.
Gli uomini di Cion, seppur inferiori per numero e per armamento, riuscirono a sganciarsi con astuzia.
Senonché in questo scontro cadde il partigiano Silvano Belgrano.
Nella sua relazione Bonfante scrisse che le perdite in campo tedesco ammontavano a 62 unità, tra cui un capitano tedesco ed un tenente fascista. [...]
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Silvano Belgrano "Silvano".
Nato ad Imperia il 5 agosto 1924. Appartenente al Distaccamento "Volante". All’alba del 19 giugno 1944 il distaccamento di Silvio Bonfante "Cion", di stanza ad Evigno [Diano Arentino (IM)], venne attaccato da forze nemiche, numericamente di gran lunga superiori, che ne tentarono l’accerchiamento. I partigiani si portarono sulle alture e combatterono strenuamente a lungo: i tedeschi non passarono che a sera. I garibaldini, protetti dai loro compagni, si misero in salvo. Tutti, ad eccezione di Silvano Belgrano. In seguito si appurerà che a causarne la morte era stata una spia infiltratasi tra le fila dei garibaldini. A Silvano Belgrano venne intitolata la I^ Brigata della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". da Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Silvano Belgrano fu uno dei primi partigiani che aderirono alla lotta in montagna. Amico e componente della banda del Cion (Silvio Bonfante) e di Mancen (Massimo Gismondi), proprio a fianco di Cion cadde, forse colpito a freddo da un infiltrato che aveva approfittato dell'infuriare della battaglia per eliminare una delle figure più carismatiche della Resistenza imperiese della prima ora. Sicuramente a conoscenza delle posizioni tenute dal distaccamento "Volante" di Cion e del distaccamento "Volantina" di (Mancen), il comando provinciale della GNR di Imperia aveva pianificato un'azione tesa a separare i due distaccamenti. Il distaccamento di Cion si trovava sul Monte Ceresa, quello di Mancen in zona Fussai, sopra Evigno, pronti a darsi manforte reciproca in caso di attacco nemico. La GNR mise in campo, tra le altre, la compagnia operativa del capitano Ferraris, sostenuta da un plotone tedesco di cacciatori della 42a Jäger-Division appena giunta in Liguria dalla Garfagnana. Ferraris, ricco dell'esperienza fatta nei Balcani contro i titini, aveva concepito l'operazione incuneandosi tra le due formazioni partigiane per evitare che potessero operare in sinergia. Una colonna, per lo più composta da tedeschi, salì dalla rotabile Alassio-Testico, mentre un'altra proveniente da Cesio, superò il Passo San Giacomo. L'attacco venne diretto contro gli uomini di Cion, che in evidente inferiorità numerica riuscirono a tener testa ai nemici per parecchie ore per poi sbandarsi quando la pressione avversaria divenne insostenibile.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

Nel mese di giugno, con la costituzione della «Volantina», la «Volante» che nel maggio era a Stellanello (SV) si trasferisce a Pian Bellotto (9). L'accampamento è composto da tre stanze con funzioni di dormitori, deposito armi e cambusa-viveri. Ci sono, inoltre, la tenda per il Comando, qualche altra tenda-dormitorio, ed una radio sempre tenuta ad alto volume ed udibile a lunga distanza, in segno di sicurezza e di sfida al nemico. Pian Bellotto è alle falde del ripido pendio del monte Ceresa ed è circondato, ai suoi fianchi, da boschi e rocce. Su una di queste è piazzata una mitragliatrice. La «Volante» possiede un discreto armamento; ma le sempre nuove esigenze ne rivelano l'insufficienza anche se attraverso le quotidiane azioni i garibaldini, via via, si procurano le armi sottraendole al nemico. Citiamo un fatto narrato da «Magnesia»: «Mi disse un partigiano: "Vedi quel fucile «Mauser» con cannocchiale? Il Calabrese ne desiderava uno; poi ha saputo che un Tedesco di Andora lo possedeva ed allora, l'altro giorno, è partito da solo. È ritornato con questo"».
Il vitto, per quanto i rifornimenti lo permettano, è cucinato all'aperto: poche pietre disposte a focolare protette da qualche ramo. Il cuoco non può mai conoscere in tempo il numero dei presemi essendovi sempre nella formazione un via vai di partigiani, di passaggio o in arrivo. Comunque, la quantità di cibo è sufficiente all'alimentazione degli uomini.
Il numero dei componenti la «Volante», a seguito della creazione del distaccamento affidato a «Mancen», è ridotto ad una quarantina; ma nuovi giovani continuano ad affluirvi.
Verso passo San Giacomo ha sede una banda di badogliani e sovente, la sera, s'odono degli spari d'esercitazione.
La «Volantina» di «Mancen» prende posizione alla base del monte Torre ma dalla parte opposta a quella della «Volante», cioè sul lato sud. La zona è quella già citata di «Fussai» ed è soprastante ad Evigno, nel comune di Diano Arentino. «Mancen» controlla, perciò, la zona dello Steria e dell'Impero. In caso d'attacco nemico, compito della «Volantina» è l'occupazione di Pizzo d'Evigno a protezione della postazione «Volante», sul monte Ceresa. Il piano prevede, dunque, il dominio delle alture da parte dei garibaldini.
Aggiungiamo ora qualche particolare sullo svolgimento dello scontro così ben sintetizzato, come abbiamo visto, dal bollettino di «Cion».
Alle 7 circa del mattino è dato l'allarme, con una lunga raffica di mitragliatrice, mentre parte dei partigiani, già svegli, sta facendo colazione. Tutti afferrano le armi e si raggruppano intorno al casone principale dell'accampamento per prendere ordini. A quanto è dato supporre dalle raffiche che si susseguono, i nemici si spingono verso Stellanello. Non è ancora possibile conoscere la consistenza delle forze nemiche, sia riguardo al numero, sia all'armamento, sia anche alla direzione in cui agiranno. Contrariamente al solito, però, si intuisce che stavolta la cosa si presenta seria; ma la fiducia nella loro forza e la coscienza dell'andamento favorevole degli avvenimenti fino a quel giorno, preparano i garibaldini ad una lotta da cui, come sempre, i nazifascisti usciranno sconfitti.
«Cion», con gli uomini armati, parte incontro al nemico, mentre i nuovi arrivati, in maggioranza ancora privi di armamento e, conseguentemente ancora inutili sul fronte dello scontro a fuoco, si disperdono nei boschi vicini con l'intenzione di svolgere funzioni di staffetta e di collegamento fra le varie postazioni partigiane combattenti, e di avvistamento del nemico. Un gruppo di essi raggiunge la vetta del monte Ceresa. Le notizie si fanno sempre più precise: un'imponente forza di circa milleduecento nazifascisti, disposta su varie colonne, si avvia all'assalto delle due bande partigiane partendo dalle varie direzioni di San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusanico, Pairola.
La situazione dei garibaldini diventa rapidamente molto difficile poiché è esclusa ogni possibilità d'aiuto da altre formazioni.
«Cion» stima la vetta del Ceresa la posizione più opportuna per la difesa: lassù, il nemico concentrerà i suoi attacchi che potranno essere contenuti poiché «Mancen» occuperà la vetta del Pizzo d'Evigno, come previsto nei precedenti piani, e proteggerà di lassù il fianco sinistro della «Volante».
Ma, come abbiamo già riferito, la« Volantina» è impossibilitata all'appuntamento. Sicchè quando il gruppo dei partigiani di monte Ceresa è fatto segno di raffiche di mitragliatrice dalla vetta di Pizzo d'Evigno, si comprende allora che, in quel luogo ci sono i Tedeschi.
La situazione si aggrava ulteriormente. Non resta, comunque, che l'unica soluzione: il proseguimento del combattimento, imperniato sulla strenua resistenza partigiana.
Lo scontro diventa progressivamente ancor più selvaggio con l'attacco concentrico delle varie colonne nemiche. I garibaldini rafficano e gli assalitori si buttano tutti a terra; le raffiche cessano e gli assalitori operano un balzo avanti e così via, per lungo tempo. Ogni tanto qualche Tedesco colpito non si rialza più.
Infine, le posizioni delle armi garibaldine sono localizzate con precisione ed inizia il bombardamento con i mortai.
«Federico» è ferito ad un braccio da una pallottola esplosiva; un colpo di mortaio tramortisce «Fiume». Resiste sempre «Cion » con la pesante Hotchiss. La sua terribile arma trattiene ancora gli assalitori che avanzano a sbalzi ed affannosamente e, ad ogni balzo, sono per loro feriti e morti. Non scomparirà mai quel sorriso ironico, a labbra socchiuse, del Comandante, ormai solo contro tutti. Come in seguito «Cion» confesserà, questo fu, per lui, il momento più difficile; ma la calma non l'abbandona. Infine, considerata inutile la prosecuzione della lotta, smonta l'arma automatica, la priva dell'otturatore e lanasconde. Quindi, ripiega nel bosco, tra i suoi uomini, ma a malincuore perché, purtroppo deve  abbandonare un caricatore e mezzo!
Fase finale della battaglia: i garibaldini si disperdono in piccoli nuclei, ormai isolati tra loro. Avvengono piccoli scontri in ogni luogo della zona, nei boschi e nei dirupi. I Tedeschi stanno rastrellando il campo ed i garibaldini tirano sporadicamente su di essi con moschetti, mitra, bombe a mano, finché s'ode soltanto l'eco delle lunghe raffiche degli assalitori indirizzate nei cespuglie lungo i fianchi del Ceresa, riecheggianti di monte in monte e nelle vallate circostanti.
I partigiani sono stremati: ognuno si cerca un rifugio tra i roveti, i cespugli, gli anfratti del terreno, sfruttando la conoscenza dei luoghi. Molti, nell'eventualità di essere catturati, sono determinati a suicidarsi per evitare di subire le torture e gli inevitabili strazi.
L'azione dei Tedeschi non è rapida perchè anch'essi sono prudenti anche se, ormai, sono assoluti padroni del campo. Poi, si preparano il rancio. Molti garibaldini nascosti li sentono vicini. I Tedeschi riprendono a sparare perchè, malgrado gli avvenimenti, non li abbandona il timore degli agguati partigiani. Verso le 16 è l'epilogo ed i nazifascisti s'allontanano.
L'azione e lo scontro sono durati, dunque dalle 7 alle 16!
Scende lentamente la sera con la sua pace. Con circospezione, i garibaldini, nascosti nei luoghi più vicini, escono cauti e silenziosi, nell'incertezza del momento. Alcuni sono rimasti feriti nel corso del combattimento. L'unico partigiano caduto è, come si è detto, Silvano Belgrano <10.
Durante il rastrellamento i nazifascisti catturano il parroco di Stellanello, don Pietro Enrico «votato con il suo popolo al sostegno coraggioso di chi lottava per la libertà ed un mondo migliore» <11, il quale si lascerà barbaramente uccidere a Molino del Fico
[n.d.r.: oggi nel comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] in Val Steria, rifiutando di fornire al nemico informazioni sui «ribelli».
Ognuno interroga e chiede notizie, che sono riferite varie ed incerte: «... I Tedeschi sono partiti, i Tedeschi sono nascosti in agguato, i Tedeschi attraversano la zona in gruppi compatti ...».
Tutti sono digiuni dal giorno precedente. Alcuni raggiungono Pian Bellotto sperando di vedervi «Cion», e constatano che i nazifascisti non hanno trovato il luogo dell'accampamento. Ma c'è chi dice che lo hanno individuato e che potrebbero ritornare all'improvviso. Occorre, dunque, salvare tutto da un eventuale saccheggio. Con grande rapidità sono asportate tende, coperte, gavette e viene distrutta la radio.
Numerosi garibaldini, da pochissimo venuti in banda, sono scossi dagli avvenimenti della giornata. Quella notte ed il giorno successivo rimangono nascosti e temono un'altra incursione nemica. Infine alcuni di essi ritornano alle loro case.
Ma, in soli due o tre giorni, la «Volante» si ricostituisce e, arricchita di esperienza, si accampa nello stesso luogo, a Pian Bellotto, lassù, a quattro passi dal mare. Rientrano gli sbandati, tornano ad affluire nuove reclute.
Va notato che lo scontro si è svolto secondo i canoni della strategia voluta dai Tedeschi: il campo aperto e lo scontro frontale, che la Resistenza imperiese ha dimostrato di non temere perché ha supplito col valore e la conoscenza dei luoghi alla stragrande differenza numerica e di mezzi.
Il timore iniziale di una strage di partigiani presto svanisce dall'animo della gente, soprattutto contadina, delle zone circostanti.
Per lungo tempo sono state osservate le strade percorse da teorie lunghe di camion carichi d'armi e di Tedeschi e di fascisti ed udito lo strepito ininterrotto di un grande scontro.
Poi, l'annunzio della lotta e della Resistenza partigiana, passa di borgo in borgo, percorre tutta la provincia e, come portato da creature invisibili ed inarrestabili, raggiunge le città ed i paesi. Nella popolazione nasce la coscienza di una nuova realtà: le formazioni partigiane, per il valore dei loro uomini, superato il periodo di formazione e di sviluppo, stanno passando ad una nuova fase poiché, oltre ad assolvere ai loro naturali compiti, pur già gravosi, dell'interruzione di vie di comunicazioni e di ponti, dei sabotaggi e degli agguati, hanno dimostrato a Pizzo d'Evigno di non voler rinunciare tanto facilmente alle loro posizioni resistendo agli invasori anche in campo aperto.
Ma il Comando tedesco ha compreso che le bande partigiane sopravvissute alla morte di Cascione hanno superato il periodo critico invernale e si stanno rafforzando, minacciando tutta la sua organizzazione militare nella zona. E' prevedibile, perciò, un riaccendersi furioso della lotta in ogni luogo attraverso le forme più varie, dall'imboscata fino alla battaglia campale ed al rastrellamento su vasta scala. Sicché, diventa necessario che, nelle formazioni garibaldine, ognuno sia efficiente ed efficace nell'azione.
I partigiani disarmati e quelli timorosi possono creare più difficoltà che vantaggi. Occorre il tempo per formarne il carattere e renderli validi anche per le prove più ardue.
Dopo lo scontro, «Cion» ha sentito discorsi e notato gli sguardi dei suoi uomini; comprende che una parte di essi non può non essere uscita scossa da quella prima vera battaglia. Perciò invita i garibaldini a discutere sul da farsi. Chiede se intendono spostarsi in qualche altra località ritenuta più sicura, come Testico o Degna. Ma tutti convengono nel ritenere Pian Bellotto la località migliore per la loro sede. Informa che il CLN ha fornito informazioni su un nuovo progettato rastrellamento tedesco e che occorrono decisioni rapide e dichiarazioni aperte e sincere. Ognuno è libero di restare o di partire, essendo la partecipazione alla lotta partigiana del tutto volontaria e senza costrizione  alcuna.
C'è chi propone allora di ritirare il distaccamento nel bosco di Rezzo; ma «Cion» respinge decisamente la proposta: «... Qui siamo una cinquantina e sono venuti in duemila; là saremo tanti e verranno in ventimila. Questa è la zona a noi destinata; di qui, in due ore di cammino possiamo raggiungere il mare ed attaccare là il nemico nella battaglia finale. Anche se dovessi restare solo, resterò lì; ma sono sicuro che c'è chi resterà con me. Chi ha paura lo dica e si trasferisca pure; potrà essere accompagnato da una staffetta che parte per il bosco di Rezzo. Con me deve restare chi ha del fegato!... » <12.
Nessuno proferisce parola, anche se l'indomani avrebbe potuto essere la fine per tutti. Ma nessuno, malgrado lo stato d'animo, vuole deludere il Comandante manifestandogli sentimenti di timore. Egli comprende. Di sua iniziativa fa una cernita ed invia una parte di uomini con la staffetta diretta al bosco di Rezzo. Egli resta al suo posto con gli altri.
(9) In dialetto «Cian Belotto»
(10) Si appurerà in seguito che il valoroso giovane è stato ucciso a tradimento da una spia tra le fila partigiane.
(11) Cfr.: F. Biga, «Diano e Cervo nella Resistenza», Ediz. Milano Stampa, 1975, pag. 98. Tesi di laurea della suora Franca Nurisso, Il clero nella I Zona Operativa Liguria, anno accademico 1975/1976, Istituto Universitario pareggiato di Magistero «Maria SS. Assunta», Roma, pag. 117
(12) Dal diario di Gino Glorio.

Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 95-100