giovedì 18 febbraio 2021

Emozioni e ricordi negli scritti di un parroco già partigiano

Verdeggia, Frazione di Triora - Foto: Eraldo Bigi

Agli amici partigiani, già residenti nel comune di Triora, a Cetta, a Loreto, a Bregalla, a Creppo ed in altri centri vicinori io espongo loro un mio  pensiero. Voi foste fortunati di essere sul posto e non avete avuto difficoltà ad entrare nel primo distaccamento di Vitò [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo]. Altri invece sospirarono il vostro nido ed affaticarono, soffrirono e furono in pericolo per venirvi.
Io dovetti superare lo sbarramento di Pigna ed espormi al pericolo di essere arrestato per diserzione, e camminare un giorno ed una notte per cercarvi. E con me quanti altri. Ricordo tra gli altri i nomi di Gino [Luigi Napolitano], che più volte salì sui monti per arruolarsi e non vi riuscì se non quando conobbe un amico di Vitò che lo condusse a lui. Era Manetti, l'uomo dal piede di ferro che nella gamba metallica aveva più volte nascosto messaggi da portare a destinazione, con il  pericolo della sua vita.
E Pagasempre, che subì la stessa avventura di Gino. Cercò per giorni e giorni il luogo dove erano i partigiani. Vi arrivò stanco, sfinito. Fu accolto subito con diffidenza e con cautela. Erano i momenti tristi della guerra.
Da noi, in riviera, si faceva strada un nome: Vitò, che rappresentava rifugio, sicurezza, certezza di organizzazione partigiana. A lui andavamo come ad una fortezza invincibile e protetta.
Chi fosse non lo sapevamo. Era Vitò; ed il pronunciare anche anche solo il suo nome scioglieva ogni nostro dubbio e ci faceva decidere ad una scelta irrevocabile.
A me dissero a Camporosso, dove mi trovavo quando paventavo il  mio presentarmi ai repubblichini: «Vai da Vitò, sarai al sicuro».
Ora io non so come catalogare la mia esistenza fra le tante che man mano vengo conoscendo nella mia vita. Quelle vostre con cui vissi e che conobbi nella realtà dell'amicizia che dà la vita per la salvezza dell'amico, sono e saranno un ricordo imperituro.
Il mio passato sta ora rivelandosi in una realtà che non avevo mai compresa bene, anche se l'ho vissuta. Tutto cambia. Tutto si presenta con uno sfondo ed un contorno che non si era mai visto. E penso che anche voi, ora, a distanza, pensando al passato, a cui vi costringo con questo mio scritto, vi scoprirò immersi in espressioni ed in atteggiamenti che fanno veramente meditare. Sono passati trent'anni.
A me pare di risvegliarmi e di riordinare nella mente un lungo sogno, il mio che ha oltre sessant'anni di vita. Questo sogno si lascia pensare, cercando però di svanire, o comunque, di celare alcuni suoi aspetti.
Io aiuterò anche voi a delineare precisi i contorni del vostro sogno che si fonde col mio e con quelli di amici che, gomito a gomito, dormivate sul nudo terreno con un occhio solo. L'orizzontarsi sembra difficile, perchè non sappiamo fermare la memoria in quel preciso momento. La sua fretta a sgusciarci dalle mani ci fa vedere persone e luoghi come in una nebbia. L'ho potuto constatare durante le interviste a molti di voi.
E quando si è riusciti a costruire una parte del sogno, appare insieme, un determinato e non cercato episodio che distrugge tutto il castello e si deve riprendere da capo per organizzare meglio e più chiaramente i fatti ed interpretarli alla luce di una nuova notizia.
Erven, il prof. Bruno Luppi, ora residente a Savona, durante l'inaugurazione della scuola media di Arma di Taggia, mi si sedette vicino e mi parlava come lui sa parlare e mi trasfondeva il suo entusiasmo e la sua squisita gentilezza.
Verrò ancora a trovarti e ti svelerò tante notizie.
E Fragola-Doria, l'avvocato Armando lzzo, che partì da Afragola (Napoli) sua residenza, per registrare per me le sue impressioni. E' lui che mi ha spinto a scrivere, è lui che provvide a mettermi a contatto con l'Istituto Storico di Imperia perchè tutti ci potessimo riunire nel ricordo, durante la lettura.
E Pagasempre, insegnante Arnolfo Ravetti, mi accoglieva, in Arma, nel suo distributore di benzina, e nei momenti di pausa, mi parlava per ore ed ore del periodo della comune lotta.
E Guido di Cetta, il geometra costruito dalla scuola partigiana di Villa Clara, che ha tanto sofferto in questi ultimi tempi e fu ricoverato in ospedale, mi diceva con la sua voce pacata e suadente le prime avventure alla Goletta, a Perallo, a Creppo.
E il buon Mosconi Basilio, il sergente maggiore presente in tante battaglie e sempre fedele alla sua missione di guidare il battaglione. Mi ha fatto venir paura durante la prima intervista. Narrava, col microfono alla bocca, con foga, i suoi momenti e li viveva come fossero presenti. La sua voce si modulava fino a gridare ordini, il suo volto si sbiancava per una memoria viva.
Raccontava come se vivesse in quel momento la passata vicenda. Dovetti troncare il suo dire e dargli, in un bicchiere con acqua, alcune gocce di coramina. Soffre di cuore. Ma tornò altre volte. Fu pittoresco nel suo dire.
E Leo il mortarista, prof. Vittorio Curlo, per gli amici Totò, sempre cortese e premuroso, sempre pronto a sdrammatizzare, pacato, sereno.
Ti mando le mie memorie. Le dattilograficherò e te le mando.
Ed intanto io lo vedevo, dietro un pezzo di artiglieria. intento col suo caratteristico alzar il pollice in aria per prendere misure e sparare sicuro di colpire.
E Vitò, sempre sorridente, ma preciso. Sicuro nelle sue notizie; sincero quando accusava una amnesia o dichiarava di non ricordare bene: «È meglio che tu domandi a... per avere più precise notizie».
Non esaltava mai se stesso e rideva quando mi interrompeva: «Tu vuoi proprio immortalarmi».
Io lo ascoltai incantato quando rivisse e registrò per me le sue avventure d'infanzia e di giovinezza.
Quando narrò, con dovizia di particolari, la sua partecipazione alla guerra di Spagna, vissuta, sofferta, quando fu ferito in battaglia. Con lui passammo in rassegna tutti i vostri volti, ripetemmo i vostri nomi. Vi ricorda bene ed il  suo viso esprime marcatamente tutte le impressioni che lo movevano, mentre raccontava.
E avvicinai molti di voi, che non posso tutti elencare per ora.
Era bello, ve lo assicuro, rivivere gli avvenimenti di trent'anni fa. A distanza si può dare loro dimensioni e valori più umani, più ragionati.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pp. 17,18,19