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mercoledì 24 febbraio 2021

Colpo partigiano all'ospedale di Sanremo

Un rilievo topografico delle SAP di Sanremo - Fonte: A. Miroglio, op. cit. infra

Fra gli avvenimenti di maggiore risonanza verificatisi in città, occorre ricordare l'impresa compiuta dal "GAP Zamboni" di Sanremo avente lo scopo di far fuggire dall'Ospedale Civico di quel centro le garibaldine Bianca Pasteris e Anna Borgogno, unitamente al partigiano Nino Ronco, ivi sottoposti a rigorosa sorveglianza, perché in attesa della imminente esecuzione delle sentenze già pronunciate dai nazifascisti. Gli uomini della "Zamboni", fallito un primo tentativo effettuato il 6 aprile, ne eseguirono temerariamente un secondo tre giorni dopo, riuscendo infine a portare fuori dell'ospedale i compagni in pericolo e, con loro, anche i tre fascisti di guardia, due dei quali chiesero subito, ed ottennero, di combattere nelle formazioni partigiane mentre il terzo che tentava di dare l'allarme era ucciso. (Aveva indosso la bella somma di 24.900 lire).
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970
 
Nella notte tra il 7 e l'8 aprile 1945 si concretizzò il progetto di liberare 3 partigiani ricoverati all'ospedale di Sanremo.
Tale azione era già stata richiesta alcuni giorni prima (1).
L'operazione venne effettuata con molta lungimiranza in quanto (2) "il SIM [Servizio Informazioni Militari] del CLN di San Remo veniva avvertito dai suoi informatori che i 3 partigiani degenti all'ospedale civico (n.d.a.: Nino Rosso o il Lungo, Bianca Paseris o Luciana, ferita e catturata a Beusi, Anna Borgogno, sorella di Renatino fucilato dal nemico alcune settimane prima) avrebbero dovuto essere riconsegnati ai tedeschi, probabilmente per subire la pena capitale".
Data l'elevata sorveglianza (3) al nosocomio di Sanremo, gli uomini del Distaccamento GAP cittadino "Zamboni" al comando di "Dorio" (Mario Chiodo) dovettero tramite "Jean" contattare Egisto Sgorbini (4) "che a sua volta tratta con i militari Modena e De Bigò, che sono incaricati della sorveglianza all'ospedale".
I 10 uomini della formazione SAP si misero in cammino per raggiungere l'ospedale alle ore 2 dell'8 aprile 1945. Giunti all'interno dell'edificio "due uomini irrompono nella stanza di un terzo milite che non era stato possibile avvicinare perché notoriamente infido. Lo sorprendevano a letto... Dopo una breve lotta l'uomo veniva disarmato... La banda al completo coi 3 partigiani liberati ed i 3 prigionieri si riunisce sul piazzale e si porta in direzione Monte Bignone per raggiungere la staffetta De Maria che avrebbe dovuto condurre i sei alla Divisione "Felice Cascione".
Durante il tragitto il "terzo milite" tentò la fuga e venne ucciso. Gli altri due militi furono incorporati nelle formazioni garibaldine: avevano portato 2 moschetti ed una rivoltella.
Alcuni giorni dopo il CLN di Sanremo avvertì (5) il SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" che De Bigò era attivamente ricercato dalla GNR, in quanto accusato di essere la mente del riuscito colpo all'ospedale.
(1) Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'IsrecIm, pp. 289-290
(2) cfr. doc. n° 1069
(3) Mario Mascia, Op. cit., pp. 289-290
(4) cfr. doc. n° 1069
(5) cfr. doc. n° 1122

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999  

Nell'Ospedale Civico di Sanremo erano degenti tre partigiani feriti: Nini Rosso (Il lungo), Bianca Pasteris (Luciana) e Annamaria Borgogno. Bianca Pasteris aveva partecipato al Convegno di Beusi del 9 febbraio 1945, ed era rimasta ferita in tale località durante un rastrellamento. La Borgogno aveva già avuto il fratello Renato fucilato dai tedeschi. Il 29 marzo, d'ordine del Comando SS germanico di Sanremo, la Guardia Nazionale Repubblicana doveva piantonare quest'ultima finché rimaneva nell'Ospedale, e quando sarebbe stata dimessa,  consegnarla alle SS. L'agente incaricato era Enrico Campelli. Il CLN della città decide di liberare i tre degenti perché correvano un estremo pericolo. È incaricato dell'azione il Distaccamento "Zamboni". Mario Chiodo (Dorio) riceve l'ordine di guidare l'azione. Bisogna agire subito perché i tre partigiani già dovevano essere trasferiti alla Villa Hober almeno entro il 9 aprile. Dieci uomini del Distaccamento SAP agli ordini del suo comandante Roberto Quadrio (Robinson) e guidati da "Dorio", il 7 raggiungono l'ospedale; ma a causa di inspiegabili ritardi l'operazione viene rimandata. Si tenta nuovamente la notte dell'8. Dopo momenti drammatici, si riesce a liberare i tre partigiani e tre militi di guardia cadono prigionieri. Durante la ritirata uno dei militi tenta la fuga, ma viene freddato da una raffica. In conclusione, con un'azione coraggiosissima della Resistenza Sanremese, tre partigiani che, di fatto, erano già in mano al nemico, sono messi in salvo (6).
(6) - Cfr., Mario Mascia, op. cit., pagg. 289-292. ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 33, fascicolo 29, documento delle carceri giudiziarie di Sanremo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 248, 249 

«Dorio» (Chiodo Mario) racconta:
Verso la fine di marzo il SIM del Comitato di Liberazione di Sanremo veniva avvertito dai suoi informatori che i tre partigiani degenti all'ospedale civico (Nino Rosso, «il lungo», Pasteris Bianca, «Luciana», ferita e catturata ai Beusi  e Anna Borgogno, sorella di Renatino Borgogno, fucilato alcune settimane prima) avrebbero dovuto essere riconsegnati ai tedeschi, probabilmente per subire la pena capitale. La madre della Luciana inviava continui, disperati appelli, perché si salvasse la figlia. Il Comando Divisionale chiedeva che un'azione decisiva fosse tentata a tutti i costi. L'impresa non era facile: si sapeva che l'ospedale era guardato da militi armati; inoltre le strade erano sotto continua  sorveglianza notturna da parte dei nazi-fascisti, la cui posizione militare si era fatta disperata e che temevano un colpo di mano partigiano nella città da un momento all'altro. Era necessario, perciò, agire con la massima circospezione allo scopo di risparmiare i nostri uomini e di non rendere la posizione dei detenuti più grave di quanto già non fosse con un colpo non riuscito.
Mimosa [Emilio Mascia], responsabile del SIM, ebbe l'incarico di studiare il piano nei suoi dettagli. Egli decise di valersi non degli uomini delle SAP, facilmente individuabili, ma del Distaccamento GAP Zamboni che operava sopra S. Giacomo e, nello stesso tempo, di porsi in contatto con due dei militi di guardia che sembravano, da informazioni assunte, esser disposti a collaborare seguendo poi i partigiani in montagna.
«Dorio» (Mario Chiodo) ufficiale di collegamento del Distaccamento Zunino, viene chiamato a rapporto ed incaricato di guidare la spedizione.
«Jean» (Alpinolo Rossi), l'infaticabile e coraggioso organo di collegamento del C.L.N., si pone in contatto con Egisto Sgorbin che, a sua volta, tratta con i militi Modena ed Ervedo De Bigò, che sono appunto incaricati della sorveglianza all'ospedale.
Durante tutta l'ultima settimana di marzo e i primi giorni di aprile, il piano si concreta. Il 5 aprile «Mimosa» viene informato che il 7 i tre partigiani saranno trasportati a Villa Auberg. Contemporaneamente tanto Dorio quanto Jean comunicano che tutto è pronto. Nel pomeriggio del sei aprile Mimosa impartisce l'ordine di agire.
Dorio si reca in montagna nei pressi della Cardellina, ove trasporta qualche arma automatica, giunta quel giorno stesso da Ospedaletti, e alcuni caricatori che il sappista Nino Lombardi smista in città in pieno giorno. Vengono impartite le ultime istruzioni. Alle due di notte, condotti da Dorio, dieci uomini del Distaccamento GAP agli ordini del suo Comandante «Robinson» (Roberto Quadrio), armati di tre sten, due mitra e diverse pistole automatiche, si mette in marcia. Nell'oscurità profonda, dopo due ore di faticosa discesa, su sentieri malagevoli, il gruppo raggiunge il piazzale dell'ospedale e prende posizione in attesa del milite che avrebbe dovuto guidarlo, come d'accordo, verso un cancello che immette sul retro dell'edificio. Le ore trascorrono lente. La notte è fredda. Gli uomini battono i denti e sentono, a distanza suonare le ore interminabili dai campanili delle chiese lontane. Dorio si porta al cancello, ne tenta la serratura, si prova a chiamare: nulla. Si teme un agguato, ma si resta nel posto pronti alla difesa ed all'offesa. Alle quattro e trenta ogni speranza di entrare nell'ospedale senza colpo ferire è sfumata. L'alba avanza e un'operazione di forza sarebbe pericolosa. Dorio e Robinson decidono di ritornare. Si dividono in due gruppi: uno risale verso la montagna, l'altro ritorna in direzione della città.
Il gruppo comandato da Dorio giunge a Baragallo senza incidenti quando, attraversando un beodo», sente intimare un sonoro «chi va là» seguito immediatamente da una scarica di mitra. «Moro» (Birarelli Bruno) cade con una coscia attraversata da una palla; un altro proiettile ferisce Dorio alla caviglia; mentre «Baldo» (Ubaldo Lenzi) rialza Moro. Tuono (Gavitelli Remo) con ammirevole sangue freddo, s'accoscia fra i cespugli e scarica ripetutamente il suo sten verso il lampeggiare che sorge alla sua sinistra. S'odono, in distanza, grida e bestemmie e poi il rumore di un numeroso gruppo di uomini che s'allontana.
Moro vien sorretto ed i nostri, protetti da Tuono alla retroguardia, riescono a sganciarsi e rientrare all'alba nei rifugi.
La mattina appresso Dorio, malgrado la sua ferita, si porta personalmente a fare il suo rapporto a Mimosa. Si teme che i partigiani, dopo l'allarme notturno, siano senz'altro trasferiti alle carceri, ma Jean, che riprende  immediatamente il suo lavoro per riorganizzare i contatti con i militi attraverso Sgorbin, riferisce che i nazi-fascisti hanno rimandato il trasferimento al giorno nove.
Urge provvedere senza indugio. Si stabilisce un convegno con uno dei militi la sera dell'otto a S. Pietro. Dorio e Jean si rimettono in moto e la sera dell'otto, alle ore 21, il De Bigò incontra Dorio. Ad evitare eventuali sorprese il milite viene trattenuto e la banda si porta a Verezzo dove resta, nei boschi, fino alle due. A quell'ora gli uomini lasciano la località, ed alle 3.30 sono di nuovo sul piazzale dell'ospedale. Dorio impartisce le disposizioni necessarie per la buona riuscita del colpo.
Due uomini fanno il giro dell'edificio, penetrano nell'atrio centrale, immobilizzano il portiere e bloccano il telefono. Altri due vengono messi di guardia ai cancelli laterali con l'ordine di tirare su chiunque si presenti. Gli altri scavalcano i cancelli insieme al milite che viene tenuto, ad evitare sorprese, sotto la minaccia delle rivoltelle; rare luci brillano nell'edificio ove tutti sembrano addormentati. Gli uomini penetrano a pianterreno. Due suore, sulla soglia di una corsia, si fermano esterrefatte, impietrite, senza un grido. Un'infermiera che attraversa il corridoio scorge gli uomini e tenta fuggire. Un gesto imperioso la inchioda al muro, bianca di paura.
Si lasciano due armati nel corridoio ed altri due penetrano nel guardaroba dove prelevano gli abiti del ferito.
Gli ultimi due salgono al piano superiore, silenziosi come fantasmi, e irrompono nella stanza di un terzo milite che non era stato possibile avvicinare perché notoriamente infido. Lo sorprendono a letto. Il fascista si desta di soprassalto al rumore, balza a sedere tentando d'impugnare la pistola. Una breve lotta silenziosa e l'uomo viene disarmato. Da un'altra porta esce improvvisamente un milite pallido come un cadavere. Gli s'ingiunge di tacere. Egli, senza un moto di resistenza, segue i nostri.
Intanto la Luciana, la Borgogno ed il Lungo, che erano stati nel frattempo avvertiti dagli uomini rimasti nel corridoio, della loro liberazione, si uniscono al grosso della banda e si armano. Si avvertono gli armati di stazione in portineria e si esce all'aperto in fretta e silenziosamente. Tutta l'operazione non era durata che pochi minuti, ed era stata condotta con tale sincronia che nessuno nell'ospedale, oltre al portiere, all'infermiera, ed alle due suore, ebbe ad accorgersi di alcunché di anormale.
La banda al completo, coi tre partigiani liberati ed i tre prigionieri, si riunisce sul piazzale.
I militi vengono posti nel mezzo e si parte in direzione di Monte Bignone per raggiungere un punto di convegno con la staffetta De Maria, che avrebbe dovuto condurre i liberati ed i prigionieri al Comando della Divisione.
Due militi avevano nel frattempo dichiarato di votersi unire ai nostri uomini: era stato restituito loro l'armamento. Un terzo, invece, si manteneva muto, e soltanto la minaccia delle armi lo costringeva a marciare.
S'era lasciata la strada carrozzabile e si saliva su per un impervio sentiero da capre, in fila indiana. Albeggiava, ed una luce incerta si diffondeva nel cielo terso.
I nostri uomini, dopo la notte insonne e l'eccitamento dell'azione, erano stanchi ed assonnati, e la loro vigilanza si era andata rilassando. Fu allora che il terzo milite, nel passare sull'orlo di una fitta boscaglia, con un balzo disperato, scavalcò i rovi e rovinò verso un burrone inestricabile che si disegnava in una breve valle come una macchia scura.
Gli si intimò di fermarsi; ma l'uomo continuava a correre ed a saltare. Un momento ancora e sarebbe sparito nell'intrico delle erbe alte e folte.
Una scarica risuonò nella fredda mattinata risvegliando l'eco delle colline.
L'uomo cadde sul volto e più non si mosse.
Un'ora dopo il gruppo raggiunse Monte Bignone e s'incontrò con la staffetta De Maria nella capanna di un pecoraio.
I tre liberati ed i due militi proseguirono la strada verso i monti, mentre il Distaccamento riprendeva la via del ritorno.
L'impresa - che suscitò allarme vivissimo fra le file nazi-fasciste - ebbe così termine, e per molti giorni il personale dell'ospedale parlò con spavento di uomini selvaggi che sembravano essere scaturiti dalla notte e che nella notte tornarono, terribili e paurosi come un'apparizione di tregenda.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 289-292

 

3 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 531/CL, alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" e p.c. C.O. I^ Zona Militare Delegazione Militare Imperia - Segnalava che il 4 o il 5 aprile si sarebbe tentato di liberare dall'ospedale "Luciano", "Lungo" e la sorella di "Bergonzo". "Vi terremo informati al proposito. Stiamo attuando alcune importanti operazioni... C.L.N. San Remo - il segretario, Albatros [Mario Mascia]". 

8 aprile 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo (IM), prot. n° 558/SIM, al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" e p.c. C.O. I^  Zona Militare ed al SIM della V^ Brigata - Comunicava che il Distaccamento "Zamboni" delle SAP della città di Sanremo aveva, al comando di "Dorio" [Mario Chiodo], effettuato un colpo di mano all'ospedale civile di Sanremo, liberando 3 garibaldini degenti, "Luciana", "Borgogno", "Lungo", catturando i 3 militari che erano stati di guardia ai partigiani - due militari salirono in montagna, uno, invece, fu ucciso nel suo tentativo di fuga -,  recuperando 2 moschetti ed una rivoltella. "[...] L'azione, effettuata di sorpresa, ha avuto pieno effetto. Catturati i militi di guardia, bloccato il telefono e tutte le uscite, i tre garibaldini venivano messi in salvo ed avviati alle formazioni di montagna. Due dei militi collaboravano alla fuga e si univano ai nostri uomini, raggiungendo con essi le formazioni per proseguire la lotta contro i nazi fascisti. Il terzo milite che in un secondo momento aveva tentato di fuggire rimaneva ucciso. L'azione, oltre alla liberazione di tre garibaldini, alla adesione dei due militi ed alla soppressione di un terzo, fruttava la cattura di due moschetti ed una rivoltella. Sul milite venivano sequestrate £. 24.900, versate al Comando S.A.P. e da questo destinate al fabbisogno del distaccamento Zamboni. Il distaccamento in parola è composto di uomini audaci e provati e si accinge ad operare altre azioni. Ancora non si è precisata la reazione al colpo. Sembra, peraltro, che il Comando della G.N.R. abbia ordinato l'arresto di alcuni innocenti padri di patrioti e che voglia procedere alla fucilazione di uno od alcuni di essi. SI STANNO STUDIANDO DA QUESTO COMANDO LE EVENTUALI CONTROMISURE. Vi informiamo pure che la mattina del 6 aprile, nel primo tentativo fatto dal distaccamento Zamboni, tentativo abortito per un seguito di circostanze, una squadra del distaccamento aveva uno scambio di fuoco con una pattuglia armata. Nello scontro il G.A.P. Moro veniva ferito ad una coscia ed  il G.A.P. Dorio di striscio ad un piede. Non si conoscono le perdite nemiche. Fraterni saluti. C.L.N. SANREMO -  il responsabile del SIM, Mimosa [Emilio Mascia, ufficiale della Brigata SAP "Giacomo Matteotti"]". 

9 aprile 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava la liberazione dei 3 garibaldini dall'ospedale di Sanremo...

10 aprile 1945 - Dal PCI di Sanremo alla Federazione PCI di Imperia - Comunicava che... l'8 aprile un gruppo di partigiani avevano liberato alcuni patrioti degenti, sorvegliati dal nemico, all'ospedale di Sanremo...

13 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 580, al SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che era meglio che il garibaldino "De Bigò" non scendesse sulla costa in quanto ricercato dalla G.N.R. perché accusato di essere l'ideatore del colpo partigiano all'ospedale di Sanremo...

da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II