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domenica 8 ottobre 2023

Il 20 novembre 1943 il col. Giuseppe Bosio, comandante del distretto d'Imperia, fa affiggere i manifesti per la chiamata alle armi delle classi 1923-24-25

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

Con l'occupazione germanica della Liguria Occidentale i fascisti che, il 25 luglio 1943, arrestato Mussolini ed abolito d'autorità il P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), erano scomparsi, rialzano la testa e ricompaiono nella società protetti dalle truppe d'occupazione. I primi loro atti sono le vendette personali e quindi iniziano la riorganizzazione delle loro forze politiche e militari.
Al vertice del potere amministrativo in provincia di Imperia, come capo della provincia, viene insediato il console generale della milizia ecc. dott. Francesco Bellini (12), nato a Cecina nel 1899, già segretario federale a Bolzano, a Pola e a Gondar (Etiopa); console generale della M.V.S.N. (13), prefetto di Belluno e Gorizia nel 1939, fascista ligio alle proprie idee, che governerà fino alla metà del 1944 (14) emanando bandi e prendendo iniziative assai impopolari da causare non pochi drammi tra gli antifascisti ed i civili.
Alla nomina del nuovo prefetto seguono quelle dei segretari politici del nuovo Partito fascista repubblicano. Ad Imperia il cittadino Archi succede al dott. Domenico Filippi, segretario della Federazione locale; a San Remo la sede del Partito fascista repubblicano, con commissario politico Nino Nuvoloni, viene costituita in via Manzoni n. 2, ove si apre la sottoscrizione «pro mitra», e a Diano Marina, sulla piazza del Municipio, il cui nuovo segretario politico è  Enrico Papone.
Il Prefetto, su indicazione dei fascisti locali, insedia i commissari nei Comuni: nel capoluogo all'avv. Ambrogio Viale subentra, il 23 di settembre, il prof. Nardo Languasco; a San Remo il vice-prefetto dott. Alfonso Chiodo sostituisce l'avv. Mario Caraccioni; a Bordighera assume la carica il commendatore Emilio Pognesi [n.d.r.: in effetti, il cognome era Pognisi, un generale a riposo con contatti con antifascisti della zona, come Giuseppe Porcheddu, Pognisi, morto di lì a breve e che, comunque, fu podestà di Bordighera solo nel periodo "badogliano"] ed il 17 a Diano Marina il col. Alessandro Angioino sostituisce il dimissionario Mario Oreggia. In Questura il dott. Benedetti lascia la carica al  nuovo capo di polizia Ermanno Durante, un personaggio che, alla liberazione, fuggito a Milano e il 26 aprile catturato in un nascondiglio e incarcerato da una squadra del distaccamento «Carlo Rosselli», in seguito verrà rimesso in libertà in circostanze poco chiare. (G. Pesce, Quando cessarono gli spari, Ed. Feltrinelli, Milano, 1977, pag. 143). Si organizzano le prime formazioni armate della Repubblica Sociale Italiana. All'inizio la maggior parte dei fascisti, già appartenenti al 33° battaglione C.C.N.N. reduce dai Balcani e sfasciatosi l'8-9-1943, che rivestono la divisa, vengono inquadrati nella 33a legione M.V.S.N. «Generale Gandolfo» del 626° Comando Provinciale G.N.R. d'Imperia (15), comandata dal colonnello Gianni De Bernardi e dal vice, primo seniore colonnello Pier Cristoforo Bussi, capo dell'U.P.I.
La 33a legione suddivisa su tre compagnie O.P. (Ordine Pubblico) dislocate a Ventimiglia, a San Remo e a Imperia, con distaccamenti nei pressi di Bevera, Mortola inferiore, Bordighera, Dolceacqua, San Michele, Ceriana, Isolalunga, Taggia, Badalucco, Triora, Santo Stefano al Mare, Dolcedo, Diano Marina, Cervo, Pieve di Teco, Pornassio, Nava (16), è completata a novembre con l'incorporazione di circa 200 giovani reclutati dal federale Cesalo in Francia, dei quali:  33 a Nizza, 31 a Mentone, altri a Roquebrune, Antibes, Cagnes, St. Laurent du Var, Carnoles, Cap Martin, ecc., già quasi tutti appartenenti all'organizzazione fascista «Azione Nizzarda» (17).
Inizialmente comanda la compagnia O.P. d'Imperia il capitano Ferrari di cui avremo da parlare (18). L'Albenganese rimane sotto la giurisdizione militare del 627° Comando Provinciale G.N.R. di Savona, già 34a legione «Premuda» (Posta da campo n. 831) comandata dal maggiore F.M. originario di Porto Maurizio, da l'U.P.I., dal maggiore Previtera, con compagnie O.P. dislocate a Varazze, Cairo Montenotte, Albenga e, per guanto ci riguarda, con distaccamenti ad Alassio, Andora (con posto di blocco sulla via Aurelia), Casanova Lerrone e Ortovero (19).
Il 20 novembre 1943 il col. Giuseppe Bosio, comandante del distretto d'Imperia, fa affiggere i manifesti per la chiamata alle armi delle classi 1923-24-25, che prevedono la pena di morte per renitenti e disertori. Ma i detti manifesti  lasciano il tempo che trovano.
Altri giovani Italiani, figli di famiglie emigrate nella vicina Francia, allettati da mille promesse, per forza o con consenso, già organizzati nelle squadre fasciste degli Italiani all'estero, dette (oltre alla già citata «Azione Nizzarda») «Fronte Popolare Francese», «Milizia Francese» ecc., inquadrati nel battaglione «Nizza», vengono trasferiti nell'Imperiese.
Al termine del 1943 molti di questi fascisti importati o locali, tendono a costituirsi in reparti autonomi, come Compagnie di Ventura, in cui sono incorporati anche condannati comuni, tratti fuori dalla galera ed arruolati con la promessa della estinzione della pena, a guerra finita. Vi affluiscono pure fascisti fanatici. Fra i militi sono anche gli uomini che il fascismo aveva ingannati ed illusi; gli arrivisti astuti ed ambiziosi ma accorti, che non si  macchieranno di delitti; dei borsari neri che si serviranno della divisa per condurre a buon termine dei traffici illeciti; dei disoccupati; dei prototipi che vivevano ai margini della società, innocui o irresponsabili.
Comanda la Piazza d'Imperia il colonnello tedesco Major che sovrintende e sorveglia, diffidente, l'attività di queste formazioni fasciste (20). Il dott. Gercano diventa commissario capo delle guardie repubblicane.
Il grosso dell'esercito della R.S.I. viene addestrato in Germania dai Feldwebel tedeschi. È composto da coloro che, tra i deportati, avevano aderito alla R.S.I., uniti alle reclute che in Italia, ubbidendo ai bandi nazifascisti, si  erano presentati ai distretti militari.
La divisione di marina «San Marco» è addestrata nel campo di Grafenwohr, la divisione alpina «Monte Rosa» a Munzingen, la «Italia» (bersaglieri) a Hemberg, e la «Littorio» (fanteria motorizzata) nel Sennelager. Sono circa 16.000 uomini in forza organica per ogni divisione, ad eccezione della «Monterosa», con 20.000.
Diversamente, la divisione camicie nere «Tagliamento», i «Cacciatori degli Appennini», reparti paracadutisti «Nembo» e «Folgore», i battaglioni autonomi di difesa costiera, le divisioni rabberciate in forma precaria «Etna» (I divisione  antiparacadutisti e antiaerea «Etna», il cui 8° battaglione si troverà nel Savonese e nell'Imperiese nei primi mesi del 1945) e «Vesuvio», la X MAS del principe Valerio Borghese, le brigate nere, i reparti P.S., le compagnie di ventura «Koc», «Carità» ecc. sono organizzate in Italia.
Nell'Imperiese i fascisti, acquisita una minima organizzazione, dànno il via alle rappresaglie dirette contro le famiglie dei renitenti alla leva: a San Remo vengono tolte le licenze di commercio a varie famiglie e si ordinano i raduni di bestiame bovino per la requisizione (21).
Nella seconda decade del gennaio 1944 i G.A.P. sanremesi compiono le prime azioni di sabotaggio tagliando i fili telefonici del Comando tedesco. Con un discorso di padre Eusebio (ex cappellano della divisione «Julia») nel teatro «Verdi» a San Remo, è istituita una squadra fascista intitolata a Ettore Muti: è il primo embrione di organizzazione militare che darà vita alla «Brigata Nera» della provincia.
A Porto Maurizio nasce il circolo rionale fascista «Silvio Borra». Ad Albenga il Podestà comunica alle autorità nazifasciste i nominativi di n. 87 renitenti alla leva delle classi 1924-25-26. Il 10 febbraio a San Remo è istituito il Tribunale Federale di cui entrano a far parte, oltre al segretario del Fascio repubblicano, Ugo Ughetto ispettore federale per la zona di Mentone, ed Elio Piccioni segretario federale di Ventimiglia. Nasce pure un centro arruolamento  volontari comandato da Francesco Lanteri (22), simile a quello già in funzione presso la federazione dei Fasci repubblicani.
A Realdo, in valle Argentina, si hanno le prime vittime dello spionaggio: il maggiore della milizia fascista F.A., notata in paese la presenza di vari prigionieri inglesi, fuggiti l'8-9-1943 dai campi di prigionia del Piemonte, dal concittadino A.L. li fa consegnare ai carabinieri di Triora che, a loro volta, li dànno in mano ai Tedeschi; i due saranno fucilati dai partigiani come spie perché, senza dubbio, uguale sorte avrebbero questi ultimi subìto se fossero  stati catturati per delazione (23).
In marzo i prefetti d'Imperia e di Savona ordinano il ripristino dei motti del Duce, scritti sui muri, già cancellati dopo il 25-7-1943 (24).
Nella primavera del 1944 l'ufficio U.P.I. d'Imperia acquista una consistente organizzazione: dipende dalla G.N.R., ha per capo il colonnello Bussi, è composto da militi come il maresciallo Mangiapan, il brigadiere Maffei, l'agente Gallerini, il centurione Montefinale, il capo ufficio magg. Gastaldi, ecc. (25).
La compagnia O.P. della 33a legione ed altre formazioni, hanno il compito di mantenere l'ordine pubblico e di dare la caccia ai fuorilegge (partigiani), al tempo stesso si lamentano presso il Duce, informandolo che i figli della borghesia locale, invece di arruolarsi nelle forze della Repubblica Sociale, si sono imboscati nella Todt; gente che non ha mai lavorato e che per opportunità ha imbracciato il badile e la pala in luogo del fucile (26); segnalano che la maggior parte dei richiamati, specie quelli dei paesi montani, hanno già fatto causa coi «banditi» (20-6-1944) e che in provincia quasi ogni giorno si verificano assenze arbitrarie dai presidi costieri (23-6-1944).
La compagnia O.P. d'Imperia, composta di circa 150 uomini, è comandata, come abbiamo già detto, dal capitano Giovanni Ferrari, (ex ufficiale del 41° reggimento fanteria), molto quotato dai Tedeschi e decorato della croce di ferro di 2^ classe, che diventerà non poco famoso (27).
Dai reparti della G.N.R. nascono, in seguito, quelli antipartigiani (R.A.P.), composti da giovani di 18-25 anni, che dànno il via ai rastrellamenti sulle montagne della provincia. Giunti in un paese allacciato alla carrozzabile, a bordo di camions, ed attraversata qualche valle a piedi, sono raccolti altrove con gli stessi mezzi. Veramente non sono rastrellamenti eseguiti in ordine sparso, ma in colonna, pertanto poco efficaci. Anche la polizia del questore in carica  rastrella e, purtroppo, in  maggio infligge duri colpi alle organizzazioni antifasciste ed ai C.L.N. nelle zone di Ventimiglia, Bordighera, San Remo e Diano Marina (28).
In luglio il questore in carica è sostituito dal dott. Sergiacomi, altro capo cui seguirà nell'Imperiese un periodo di vita difficile. Viene istituito un robusto plotone arditi antipartigiani comandato dall'ufficiale superiore Delcaro, con cani lupo e ben fornito di mitra, pistole e bombe a mano. Gruppo di militi repubblichini ben noti a coloro che hanno subito le loro «sedute» d'interrogatorio (29).
Il primo luglio 1944  Mussolini detta la deliberazione per istituire le squadre d'azione camicie nere, il 26 luglio viene impartita a tutte le formazioni fasciste già esistenti la seguente ordinanza: «Gli appartenenti al partito, dai 16 ai 60 anni, devono far parte di queste squadre che assumono il compito di assicurare l'ordine e distruggere i partigiani ed i comunisti ovunque si trovino. Chi non aderirà, può andarsene. I capi devono essere uomini politici locali... » (30). Nascono così le brigate nere con capi fondatori. In esse si raccolgono i «scelti» delle già menzionate formazioni fasciste. Il raggruppamento di tali bande costituisce la «Brigata Nera».
Nel luglio 1944 nasce ad Imperia la 32a brigata nera «Antonio Padoan» ed a Savona la 34a brigata nera «Giovanni Briatore», ambedue dipendenti dall'Ispettorato B.B.N.N. della Liguria, con sede in Genova, di cui è capo il dott. Asti prima e Luigi Sangermano dopo.
La 32a brigata nera d'Imperia prende il nome dal prete Antonio Padoan. Eccone il motivo:
Durante gli anni del fascismo il Padoan era parroco di Creppo, in valle Argentina. Si dimostrava di idee liberali benché fosse figlio di un colonnello fascista. Poi venne trasferito nella parrocchia di Castelvittorio e durante la Repubblica di Salò le sue idee si adeguarono al momento per cui, divenuto uomo fidato della G.N.R. e dei Tedeschi occupanti, incominciò a fare propaganda in chiesa per i nazifascisti. A Pigna, come capitano della milizia, non disdegnò di sostituire don Bono protestatario, per far partecipe di funzioni religiose i partigiani Repetto e Faraldi morituri, fucilati poi dai fascisti.
Forse affrontato da partigiani della V brigata [n.d.r.: invero a quella data non ancora costituita] la sera del 7 maggio 1944 per indurlo a desistere dai suoi propositi e abbandonare Castelvittorio e forse, nata una colluttazione reciproca con spari da ambo le parti (pare che il partigiano detto «Albenga» abbia avuto la cassa del fucile fracassata da una pallottola, così che l'arma gli salvò la vita), il Padoan rimase ucciso (31).
I fascisti fecero del morto un martire ed una bandiera intitolando con il suo nome la brigata nera imperiese e resero gli onori militari alla salma durante i funerali che si svolsero a Ventimiglia.
La 32a brigata nera «A. Padoan» partecipa alla lotta antipartigiana fino alla liberazione. Dopo il 25 aprile 1945, in fuga, raggiunge Alessandria ove viene catturata.
Dislocata ad Imperia con posta da campo n. 779, durante tutto il periodo della lotta è comandata, tra gli altri, da Mario Massina e dal tenente colonnello Edoardo Baralis.
Comprende la Compagnia comando, il 1° battaglione su tre compagnie e il 2° battaglione con la 4^ compagnia «Alassio» comandata dal tenente Ferdinando Rey, la 5^ compagnia «San Remo» comandata dal tenente Renato Moretti, la 6^ compagnia «Ventimiglia» comandata dal tenente Elio Piccioni.  (32) [n.d.r.: si intendeva con ogni evidenza citare Renato Morotti, in ogni caso non tenente e neppure comandante, fucilato il 26 aprile 1945 presso il cimitero della Foce a Sanremo: in ogni caso, sia in Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 che nel Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan (Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo), comandante di tale compagnia risulterebbe essere stato Mangano, così come sembrerebbero confermate, direttamente o in absentia, le scarne notizie di cui sopra, afferenti Renato Morotti].
La brigata nera viene munita di un proprio ufficio U.P.I. diretto da un certo P.G. I capi delle squadre d'azione diverranno tristemente famosi; sono gli ufficiali: R. M., E. M., A. D. R., P. G., L. B., V., A. impiccatore (33), i capitani I. D. (condannato a morte alla Liberazione ma poi assolto), F. M. giustiziato,  G. F., E. P. (giustiziato a Diano Marina il 4-10-1944), A. V. (già capitano della milizia) e A. C. (capitan Paella) giustiziati nei giorni della liberazione, ed altri (34). In concorso con le SS tedesche saranno responsabili di quanto è successo di grave a uomini, donne e bambini (35).
L'ordinanza del Duce sull'inquadramento delle brigate nere in funzione militare fa nascere non poche perplessità nei capi, tanto che ad Imperia il comandante della «A. Padoan» Mario Massina scrive in un suo rapporto del 16 luglio 1944:
«Il provvedimento della militarizzazione del partito ha provocato svariati commenti. È impressione generale che le squadre d'azione non saranno in grado di funzionare, sia per la deficienza di armi, sia per la mancanza di capi, sia, infine, perché il partito in provincia di Imperia non ha largo seguito. Ha destato ilarità il fatto che il Commissario federale prenderà il nome di Comandante di Brigata quando ai suoi ordini, in provincia d'Imperia, avrà sì e no una cinquantina di elementi».
In un altro rapporto del Massina del 28-7-1944: «Con l'ordine di costituzione delle brigate nere il fascismo d'Imperia ha chiaramente dimostrato la sua poca buona volontà di combattere. A tutt'oggi nessuna squadra d'azione è stata costituita, anzi, qualche fascista ha presentato le dimissioni e molti altri, pare, intendono fare lo stesso, non escluso qualche dirigente». (36)
L'11 luglio 1944 è costituita ad Alassio la 34a brigata nera «Giovanni Briatore» (Posta da campo n. 831), comandata da Francesco Girlaro, vicecomandante è Luca Dimora. Altri capi della brigata nera saranno: Mario D'Agostino fino al 22-10-1944, Paolo Pano fino al febbraio 1945, e quindi Quinto Aleardi. È composta da una compagnia comando e da tre battaglioni divisi in nove compagnie, a loro volta suddivise in squadre d'azione per un totale di circa 600 uomini. Le compagnie presidiano Alassio, Albenga, Varazze e Vado Ligure.
[NOTE]
(12) Il nuovo prefetto dott. Vincenzo Bellini sostituì l'8-10-1943 il collega dott. Froggio che, a sua volta, l'8-9-1943 aveva sostituito il prefetto dott. Tallarico.
(13) Dopo l'8-9-1943, la sigla M.V.S.N. non venne più usata dalle ricostituite forze armate fasciste.
(14) Vedi articolo nella cronaca d'Imperia del Corriere Mercantile dell'8-10-1943.
(15) Il 626° Comando Provinciale d'Imperia (Posta da campo n. 779), col 627° di Savona, 628° di La Spezia ed il 625° di Genova, dipendevano dall'Ispettorato Regionale Ligure della G.N.R.
(16) Da documento del Comando 33a legione «Generale Gandolfo», emesso ad Imperia il 20-ll-1943, prot. n. 29 segreto, relativo alla ricerca dei membri del Gran Consiglio del Fascismo che nel luglio votarono contro Mussolini.
(17) Tra gli altri, 14 militi della 33a legione caddero ad Imperia, 7 a San Remo, 5 a Bordighera, alcuni a Triora, a San Lorenzo al Mare, a Taggia e a Diano Marina.
(18) Una pattuglia della compagnia O.P. di Imperia il 20-11-1943 uccise nei pressi di Sant'Agata il partigiano Walter Berio, primo caduto della Resistenza Imperiese (vedi primo volume dell'opera di G. Strato).
(19) Vedi: «Storia delle forze armate della Repubblica Sociale» di G. Pisanò, fascicolo n. 81. Edit. F.P.E., Milano 1968. Tra gli altri, 7 militi del 627° Comando Provinciale caddero nella zona di Alassio; una dozzina in quella di Albenga, alcuni in val Merula, località «Cian du Belottu», nel giugno 1944. (vedi volume II dell'opera di C. Rubaudo).
(20) Con la dicitura: «la presente tessera vale come porto d'arme e come autorizzazione di libera circolazione in caso d'emergenza politica o militare per raggiungere le sedi del P.F.R.», riportata sulla tessera degli aderenti al Partito e da lui firmata, il colonnello tedesco Maior permette a questi ultimi di portare le armi.
(21) Raduni per la requisizione di bovini si tennero a Ventimiglia il 5.1-1945, a San Remo il 13-1-1945, a Borgomaro il 16-1.1945, a Pieve di Teco il 27-1-1945, a Diano Marina il 12-1-1945.
(22) Notizia tratta dal giornale «Eco della Riviera» del 10-2-1944.
(23) Da una testimonianza del comandante Nino Siccardi (Curto).
(24) Da circolare prefettizia del 25-3-1944, prot. n. 769/14/7 Gab. Savona.
(25) Da documento redatto dall'ex brigatista nero E.F.
(26) Vedi volume: Riservato a Mussolini, nota del 4-5-1944/P2/0. Edit. Feltrinelli, Milano 1974.
(27) Da testimonianza del brigadiere T. F. della G.N.R., fatta il 10-5-1945.
(28) Una squadra antipartigiana della P.S. era composta dagli agenti: Gi., Di C., An., La., Sa., Fa., Ai., Cu., Pu., An., Fa., Ba., Ge., Ca., quasi tutti meridionali, rimasti tagliati fuori dalla loro terra dopo lo sbarco alleato  in Sicilia. Vedi documento nel capitolo "Azioni nemiche controbanda", settembre 1944.
(29) Guardie di P.S. che fecero parte del plotone antipartigiani:  Gu.,  Ag., Me., Ne., Re., Te., Pu., ecc., anche questi, meridionali, rimasti in Ligurìa a causa degli eventi come a nota (28). Vedi lettera del S.I.M. di zona al servizio S.I.M. del Comando II^ divisione "F. Cascione" del 3-4-1945.
(30) Dal volume «Italia Partigiana» di G. Bocca, Edit. Laterza, Bari, 1967
(31) Da memorie orali di Bruno Luppi (Erven) e del comandante «Vittò». Per maggiori dettagli vedi l'opuscolo "Sangue a Castelvittorio" di Nino Allaria Olivieri, Edit. Sordomuti, Milano, 1997.
(32) Vedi: "Storia delle forze armate della R.S.I. di G. Pisanò", fascicolo n. 98. Edit. F.P.E., Milano, 1969.
(33) Il milite fascista A., in relazione alle dichiarazioni fatte dai suoi commilitoni, aveva impiccato nove partigiani in una volta. Vedi giornale «L'Unità» del 23-7-1946.
(34) Da relazione del responsabile S.I.M. divisionale al Comando operativo di Zona, del 4.4.1945 prot. n. 21/73
(35) S.S. = Schutzstaffel, che significa: Servizi Speciali. La formazione nacque nell'aprile 1925. Il nome fu dato ad una squadra di 8 uomini scelti, tra i più fanatici, destinata alla protezione personale di Hitler.
(36) Vedi a pag. 188 del volume "L'esercito di Salò" di G. Pansa. Edit. Oscar Mondadori, Milano, 1970.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Pigna (IM): Corso De Sonnaz

Nella tarda estate del '44 tornarono in Italia i primi reparti addestrati nel Reich, la divisione di fanteria San Marco e la divisione alpina Monterosa. Entrambe, assieme a tre divisioni tedesche, finirono per formare l'armata Liguria, la quale, raggruppata tra Imperia e La Spezia, aveva il compito di impedire uno sbarco alleato sulla costa nord-occidentale del Paese <1192: in realtà la sua funzione si orientò principalmente alla lotta partigiana, dato che i tedeschi non avevano alcuna intenzione di adoperare truppe italiane al fronte.
[...] Sempre alla prima sezione della Corte di Assise romana toccò giudicare un altro capo provincia della Rsi, dapprima stanziato a Rieti e successivamente, dal giugno del '44, ad Imperia, Ermanno Di Marsciano. Oltre alle accuse di collaborazionismo pesava sull'imputato il coinvolgimento nei rastrellamenti di Monte San Giovanni in Sabina del 7 aprile 1944 e di Leonessa (RI) del 10 marzo 1944. Con la sentenza 121/50 del 21 giugno 1950 il tribunale romano lo condanna all'ergastolo, all'interdizione dai pubblici uffici e al pagamento delle spese legali. La Cassazione, tuttavia, accolse la richiesta di conversione della pena avanzata dall'imputato, affidando l'onere del giudizio alla Corte d'Appello di Roma, la quale, il 12 maggio 1952, convertì l'ergastolo - già precedentemente condonato in 19 anni di reclusione - in 9 anni di reclusione. Di Marsciano, nel giugno del '44, aveva sostituito ad Imperia Francesco Bellini, il quale era stato trasferito a Treviso. Nominato prefetto durante la guerra per meriti politici, Bellini era come tanti suoi colleghi prefetti uno squadrista della prima che prese parte alla marcia su Roma. Fu console generale della Milizia e durante gli anni Trenta ricoprì la carica di segretario federale a Bolzano, Pola e a Gondar, in Etiopia. Fu nominato prefetto nel 1939 e destinato dapprima a Belluno e poi a Gorizia dove, nell'agosto '43, venne collocato a riposo da Badoglio <1374. Per il suo operato durante la Repubblica di Salò venne riconosciuto colpevole per i reati di collaborazionismo e omicidio dalla Corte d'Assise Straordinaria di Treviso e condannato a morte con sentenza emessa il 16 giugno 1945. La Corte di Cassazione di Milano, tuttavia, accolse il ricorso dell'imputato contro la sentenza, annullandone l'esito e rinviandola alla Corte d'Assise Straordinaria di Venezia. Non si conosce l'esito del processo.
[NOTE]
1192 F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, pp. 707-708
1374 M. Stefanori, Gli ebrei e la Repubblica sociale italiana, p. 131
Jacopo Bernardini, "Un confuso fermento di idee": politica, amministrazione e costituzione nell'ultimo fascismo (1943-1946), Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2019-2020
 
Dopo l'8 settembre Marcianò ricostituì il suo battaglione a Vercelli, da cui il 30 marzo 1944 raggiunse Grafenwöhr per aggregarsi alla divisione San Marco. Al momento di partire per la Germania inviò un vibrante messaggio a Mussolini a cui esprimeva «la volontà di combattere e di morire per le rinnovate glorie della Patria», chiedendo che il suo gruppo venisse «lanciato contro il nemico, come i vecchi reparti d'assalto della Grande Guerra». <194 Una volta rientrato in Italia, il reparto di Marcianò, insieme ad un gruppo del 3° reggimento di artiglieria, fu posto sotto il comando della 34ª Infanterie Division, diretta dal generale Theo von Lieb. Il III gruppo esplorante, che poteva disporre di circa 700 uomini, <195 venne inviato nell'area di Imperia, con il compito di ripulire la zona dalle bande partigiane che minacciavano la sicurezza delle retrovie tedesche. Pur non essendo stricto sensu una vera e propria formazione di controbanda, tuttavia gli uomini di Marcianò applicarono brillantemente i principi della controguerriglia. Attacchi notturni con squadre non troppo numerose (venti o trenta uomini al massimo). Spostamenti continui. Incursioni a sorpresa nei paesi frequentati dai partigiani. Anche se non fu risparmiato dalle diserzioni - 79 alla data del 5 settembre 1944 <196 - il III gruppo esplorante dimostrò comunque una coesione disciplinare e uno slancio combattivo nettamente superiori al resto della divisione. A partire dal settembre 1944 gli uomini di Marcianò si installarono nel territorio al confine tra le province di Asti, Cuneo, Savona ed Alessandria [...]
[NOTE]
94 P. Baldrati, San Marco, San Marco..... cit. vol. II, documento 35, p. 744.
195 Ivi, documento 104, allegati 2, 3 e 4, pp. 856-858. Alla data del 5 settembre, il reparto di Marcianò poteva contare su 732 uomini, così ripartiti: 32 ufficiali, 50 sottufficiali e 650 soldati di truppa.
196 Ivi, documento 104, allegato 6, p. 860. Dei 79 militari che risultavano disertori alla data del 5 settembre, quattro erano sottufficiali e 75 soldati di truppa
.
Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021

Pagina 13 del Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) del 19 giugno 1944. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Il 10 corrente, alle ore una, in località Barcheto del comune di Imperia, circa 15 banditi armati prelevarono dalla propria abitazione, mediante violenza, il vice commissario federale del P.F.R. Adalberto Armelio, conducendolo per ignota direzione.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) del 19 giugno 1944, pagina 13. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Cortesia Angelo: nato a Vidor il 4 settembre 1927, squadrista della Brigata Nera “Padoan”
Interrogatorio del 3.7.1945:
[...] Solo nel mese di agosto del 1944 mi arruolai come fecero tutti gli altri che mi istigavano. Rimasi in servizio presso la 32^ Brigata nera “Padoan”, operante nella provincia di Imperia. Durante tale periodo presi parte a svariati rastrellamenti, circa 20, contro i partigiani. I rastrellamenti erano sempre diretti da componenti dell’ufficio politico investigativo dell’ex GNR. Molte volte vi prendevano parte anche truppe tedesche con elementi delle loro SS. Durante tali rastrellamenti da parte della brigata nera, cioè quando vi partecipavo io, non fu mai ucciso nessun partigiano: ne avremo catturati circa una decina che furono sempre consegnati alle SS tedesche. Non so quale fine facessero. In tutto da parte delle formazioni tedesche saranno stati uccisi circa 45 partigiani. Dei predetti parte rimasero uccisi in combattimento e parte furono fucilati sul posto [...] Il comandante della mia brigata si chiama Mario Massina, che nel Regio Esercito ricopriva il grado di caporale ma nella brigata nera era commissario federale. Il Capo di Stato Maggiore si chiama Baralis Edoardo che nel Regio Esercito rivestiva il grado di colonnello. Faceva parte della brigata pure certo Rizzitelli Gino che rivestiva il grado di Maggiore, lo stesso parlava con accento meridionale.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

martedì 31 gennaio 2023

Nello stesso giorno furono uccisi dalla banda Ferraris il partigiano Silvano Belgrano, il giovanissimo Matteo Canale ed il parroco di Stellanello don Pietro Enrico

 

Dintorni di Stellanello (SV). Foto: Eleonora Maini

Silvano Belgrano fu uno dei primi partigiani che aderirono alla lotta in montagna. Amico e componente della banda del Cion (Silvio Bonfante) e di Mancen (Massimo Gismondi), fu proprio a fianco di Cion che cadde, forse colpito a freddo da un infiltrato che approfittò dell’infuriare della battaglia per eliminare una delle figure più carismatiche della Resistenza imperiese della prima ora. Sicuramente a conoscenza delle posizioni tenute dal distaccamento Volante di Silvio Bonfante (Cion) e del distaccamento Volantina di Massimo Gismondi (Mancen), il comando provinciale della GNR di Imperia pianificò un’azione tesa a separare i due distaccamenti. Il distaccamento di Cion si trovava sul Monte Ceresa, quello di Mancen in zona Fussai, sopra Evigno, <1 pronti a darsi manforte reciproca in caso di attacco nemico. La GNR, il 19 giugno 1944, mise in campo, tra le altre, la compagnia operativa del capitano Ferraris, sostenuta da un plotone tedesco di cacciatori della 42a Jäger-Division appena giunta in Liguria dalla Garfagnana. Ferraris, ricco dell’esperienza fatta nei Balcani contro i titini, pianificò l’operazione incuneandosi tra le due formazioni partigiane per evitare che potessero operare in sinergia. Una colonna, per lo più composta da tedeschi salì dalla rotabile Alassio-Testico, mentre un’altra proveniente da Cesio, superò il Passo San Giacomo. L’attacco venne diretto contro gli uomini di Cion, che in evidente inferiorità numerica riuscirono a tener testa ai nemici per parecchio ore per poi sbandarsi quando la pressione avversaria divenne insostenibile. Nonostante la notevole inferiorità numerica, il distaccamento “Volante” dovette piangere un solo compagno, Silvano Belgrano, e contare poco meno di una decina di feriti più o meno gravi. Nello stesso giorno furono uccisi dalla banda Ferraris il giovanissimo Matteo Canale (Stellanello 2/3/28) falciato sull’uscio di casa nella zona di San Lorenzo di Stellanello (SV) ed il parroco di Stellanello don Pietro Enrico che, accusato di fiancheggiare i partigiani, fu portato in località Molino del Fico [n.d.r.: oggi nel comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] e fucilato.
(1) Il Pizzo d'Évigno (988 m), detto anche Monte Torre o Torre d'Évigno, è montagna erbosa a forma di piramide, che sorge alle spalle di Imperia. È la vetta più elevata di un sottogruppo montuoso abbastanza vasto, che si estende tra la Valle Impero, la Valle Arroscia. Costituisce un importante punto nodale: verso sud dirama il contrafforte che separa la Valle Impero dalla valletta di Diano, mentre verso est dirama il costolone che delimita sul lato destro idrografico la valle del Torrente Merula, e che forma l'adiacente Monte Ceresa.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020  

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Silvano Belgrano
Nato ad Imperia il 5 agosto 1924, appartenente al Distaccamento “ Volante”.
All’alba del 19 giugno 1944 il distaccamento di Silvio Bonfante “Cion”, di stanza ad Evigno (nota 1), viene attaccato da forze nemiche, numericamente di gran lunga superiori, che ne tentano l’accerchiamento. I partigiani si portano sulle alture e combattono strenuamente a lungo: i tedeschi non passano che a sera. I garibaldini, protetti dai loro compagni, si mettono in salvo; tutti ad eccezione di Silvano Belgrano. In seguito si appurerà che a causarne la morte era stata una spia infiltratasi tra le fila dei garibaldini.
A Silvano Belgrano è intitolata la I^ Brigata della Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
(nota 1) Nella zona di Evigno avevano la loro base due distaccamenti garibaldini: quello comandato da Silvio Bonfante “Cion” è a Cian Bellotto e controlla tutto il pendio nord del Pizzo d’Evigno; quello di Massimo Gismondi “Mancen” era lungo i fianchi rivolti a sud, in località Fussai. Questa zona il 19 giugno 1944 fu teatro di una delle battaglie più accanite tra le truppe nazifasciste e i garibaldini del solo Distaccamento di “Cion”. “Mancen”, con vari uomini, si era recato a Diano Gorleri per disarmare un presidio della Guardia di Finanza e, compiuta l’azione, di ritorno all’accampamento trovò tutti i percorsi sbarrati dal rastrellamento nazifascista. “Cion” e i sui uomini dal Pizzo della Penna mitragliarono con continuità; “Fiume”, l’aiutante mitragliere che orientava la direzione dell’arma a seconda degli spostamenti nemici, si trovò le braccia ustionate dalla canna arroventata dell’arma! I Tedeschi non passarono che a sera, dopo aver pagato a caro prezzo la padronanza del campo di battaglia e tutti i partigiani, protetti dai compagni più valorosi, primo fra tutti il comandante, si misero in salvo. Unico caduto fu Silvano Belgrano.
Dal rapporto del comandante “Cion”:
"Giorno 19 giugno. Ore 6,45 il distaccamento viene messo in allarme dalle sentinelle che sentono alcuni colpi di fucile e movimenti di camion sulla strada Alassio - Testico. Ore 7, disposizione delle squadre per il combattimento. Il distaccamento viene attaccato da sinistra e di fronte da forze nazifasciste di gran lunga superiori alle nostre (numero finora accertato degli attaccanti: 1200). Noi attacchiamo senza esitare le forze nemiche che tentano l’accerchiamento di fronte al Distaccamento per poterle fare ripiegare verso sinistra dove si trovano già altre loro forze: il tentativo riesce. Portatici sulle immediate alture, cerchiamo il tutto e per tutto per far allontanare sempre di più le forze tedesche dal Distaccamento… Rientro in serata al distaccamento, ancora intatto… Da segnalare il comportamento esemplare di 4 compagni: Federico, Germano, Carlo II, Aldo, Fiume… Accertamento dei morti nemici, da fonte competente n. 62…"
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Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011
 
 
Matteo Canale. Fonte: Giorgio Caudano, op. cit.

Don Enrico e il ricordo di Lorenzo Stalla che fu catturato in Chiesa, patì la violenza dei Repubblichini e rimase prigioniero destinato ad un Lager. Riuscì a sopravvivere ed alla fine della guerra poté tornare a casa sfinito e morì dopo poco. L’altro ricordo riguarda l’uccisione di Matteo Canale, detto Malin, un ragazzo di 16 anni falciato da una raffica perché era stato visto correre verso casa sua gridando ‘I picca u prève!
Malin compagno di giochi sveglio e simpatico. In suo ricordo é stato posto un cippo davanti alla casa di famiglia, poco oltre la chiesa di San Lorenzo.
Don Enrico era austero: viveva solo nella Sua solitaria canonica, assistito da una vecchia perpetua (forse una parente), brava cuoca che ammanniva pranzi luculliani per le feste solenni a beneficio degli altri numerosi Parroci della valle e delle persone che riteneva di riguardo. A quei convivî partecipava sempre anche il vegliardo Don Laureri, di San Damiano - allora Vicario foraneo del Vescovo d’Albenga - che intratteneva i commensali improvvisando versi d’occasione.
La puntuale testimonianza sulla fucilazione di Don Enrico dev’essere di persona che si trovò ad assistervi, tanto é accurata. La vile ed inutile strage di Stellanello fu il movente del rastrellamento: chi semina vento raccoglie tempesta. Successivamente - ai primi d’agosto - vi fu il bombardamento di Andora ed allora c’è chi si trasferì a Torino (dove i bombardamenti erano ancora più frequenti e devastanti) [...]  Matteo Canale detto Malin. Nato a Stellanello il 2-3-1928. Assassinato il 19 Giugno 1944. Il comando fascista imperiese il 19 giugno 1944 coordinava un’azione di forte contrasto nelle vallate, inviando squadroni di militi con esperienza nei rastrellamento. Molti erano fuoriusciti dalla Francia, oriundi imbevuti di nazionalismo, avanzi di galera con alle spalle omicidi e violenze. Un gruppo di tedeschi seguiva le azioni repressive. Barbetta, il noto fascista Vittorio Ottavi di Stellanello, si era aggregato alle squadracce come guida pratica del posto, rimarcando così il suo odio per i resistenti. Appena giunti a Stellanello questi mercenari uccidevano un ragazzino sedicenne, Matteo Canale, uscito sulla soglia di casa al passaggio della soldataglia che aveva appena arrestato il prete don Pietro Enrico, accusato di avvisare i partigiani mediante scampanelli. Il ragazzo, impressionato dalle percosse affibbiate al povero chierico, aveva richiamato a gran voce la madre affaccendata in cucina. Ciò era bastato perché lo sventurato ragazzino si prendesse a bruciapelo una fucilata da quella ciurma di criminali. Un ulteriore colpo alla nuca ribadiva le intenzioni dei fascisti per la giornata, che si concluderà con l’assassinio del prete a Molino del Fico, vicino a dove erano già stati torturati orrendamente e poi fucilati qualche giorno prima i martiri partigiani Marco Agnese (Marco), Alessandro Carminati (Sandro), Carlo Lombardi (Giuseppe) e Celestino Rossignoli (Celestino).
Redazione, Stellanello: ricordi di don Enrico e di Malin ucciso a 16 anni. Quella vile e inutile strage. I convivi in canonica e i versi di don Laureri, Trucioli, 9 luglio 2020   
 
 
Don Pietro Enrico. Fonte: Giorgio Caudano, op. cit.

Una volta vennero sul serio da San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusavecchia e Pairola [n.d.r.: Frazione del comune di San Bartolomeo al Mare (IM)], un finimondo che ci pareva il poligono dei tiri in funzione sul mandamento; epperciò tutto intorno, da  ogni parte, non si sentivano manco più a parlare tra loro negli spari così forti.
Con le pesanti in postazione, sì che i partigiani c'erano ai passi sempre di guardia; e anche le pattuglie avanti indietro si davano il cambio; sì che attorno ai casoni le sentinelle stavano ferme anche col freddo a sentire i rumori: ma quando li senti così vicini ormai è tardi, altro che balle.
Quando arrivano così da tutte le direzioni, che non sai come, non ti serve più, niente di niente, perché sai che tanto è inutile, sicché ce la metti tutta soltanto per schivarti se ti riesce.
Tu allora spari finché spari per fermarli e va bene, ma mica puoi gridargli alto là fermi tutti, di qui non si passa; come fai a fermarli se sono una valanga, e hanno già preso anche il Pizzo d'Evigno?
Come fai, se ce n'è pieno sulle creste e il pendìo del Ceresa è pelato come in mano, che di lì proprio non ci puoi passare sempre sotto tiro?
Adesso invece porca la miseria, in più tieniti anche sti colpi di mortaio sempre più secchi, spiaccicato lì sull'erba.
Sempre lì fermo con tutta la paura addosso che hai, intanto loro aggiustano il tiro coi binocoli; e tu rimani lì ad aspettare il colpo giusto se arriva sì o no a schiantarti; ti raggricci di più, sempre di più, con la pancia a terra da volerci sprofondare come un verme nell'erba fitta, e sparire.
Eccoti dunque che li impari a conoscere sul serio sti bastardi di mortai, col tempo che ci vuole per sentirteli proprio addosso; col tempo che ci vuole voglio dire per indovinare il colpo quando parte e lo squarcio quando arriva nello schianto, sempre di più vicino a te.
Questo modo che impari, è proprio come quello di starsene all'avventura; tanto o prima o poi lo schianto arriva preciso anche per te: è inutile pensare all'altromodo, se il tuo destino è così; ma è lo stesso anche se ti raggricci ancora di più, perché ciononostante gli squarci ti si aprono da tutte le parti coi sibili e il fracasso.
Poi sti tedeschi li senti che vengono avanti con le bardature e l'armamentario, scendono dalle creste passo passo frugando in tutti i buchi, che non gli scappa niente.
Ecco che così adesso, senti veramente di essere soltanto un verme molle da schiacciare come vogliono loro o prima o poi, siccome devi stare sempre fermo ad aspettare, guai a muoverti.
Devi starci spiaccicato pancia a terra in questo inferno, con gli squarci da tutte le parti, e loro che vengono sempre avanti a scovarti senza smetterla e sparando in presa diretta, sempre così; il fatto sta che loro sanno tutto della situazione com'è, scendendo dalle creste e mettendosi a frugare.
Lo sanno che in questa valle presidiata, da non poterne più uscire, ci sono quelli del Cion già famosi dappertutto; e che perciò adesso bisogna batterla ben bene coi mortai, per farli saltar fuori proprio tutti al completo.
Eppoi sanno che bisogna andarci dentro con le pattuglie passo passo in rastrellamento metodico per non dargli scampo; epperciò, con tutte le bardature elmetti armi automatiche munizionamento a bizzeffe e i mortai che li sparano giusti con tutti i colpi che ci vogliono e anche di più, adesso vengono avanti; vengono avanti sempre sul sicuro frugando dappertutto, così ce la faranno eccome a schiacciarti proprio come un verme molle.
Successe invece che quella impresa i nazifascisti la finirono da arrabbiati senza concludere, senza minimamente riuscire a scovarli dai nascondigli.
Dopo quel traffico della malora dalle creste e quegli spari coi mortai nel rastrellamento, ben sapendo che c'erano eccome i partigiani, o di qua o di là nella valle, ma non li trovarono chissà, si incattivirono di più, bestemmiando forte.
Difatti i partigiani erano pratici e ce la fecero anche stavolta, perché bastava un rovo una crepa una fessura o un po' di fieno, sempre lì rintanati; poi sapevano strisciare adagio un poco più in là mentre loro, proprio da crucchi, andavano passo passo frugando un poco più in qua; e così gli sgusciavano di sotto.
Per la strada invece presero don Enrico, parroco di Stellanello - lui va bene porcomondo, perché è prete; non può negare - dicevano andando; se lo misero davanti legato a colpi nella schiena, sempre più secchi: perdio se dovrà parlare altroché.
- Su, svelto, facci vedere questi nascondigli; ma fa presto che tu lo sai, spicciati.
Lo portarono di qui di là, nel folto dei canneti, ai lati del torrente e sotto negli orti, avanti fin quasi sulle creste e dentro i paesi con la gente chiusi, che parevano cimiteri.
Per le strade dei campi e fuori strada, fin nelle pietraie, dappertutto lo fecero girare legato quel prete catturato nella sua valle, picchiandolo; andando tra le botte, lui diceva di curare le anime, non ste faccende degli uomini che si sparano tra loro in questi tempi da lupi.
Diceva così: che non è lecito di andarsene in mezzo alla sua gente nelle sparatorie accanite soltanto per sparare, di andarsene senza pietà voleva dire; ma che bisognava starci da prete come si deve; non come le bestie, santo cielo, a pregare per tutti.
Loro invece no, avanti botte sempre di più a sfigurarlo - tu lo sai, tu sei d'accordo prete sovversivo; e ce lo devi dire. Per la miseria se ce lo devi dire, perché noi del fascio ti faremo cantare: hai capito che ce lo devi dire?
Lo spingevano sempre di più con le botte a fracassarlo; tanto che ormai, manco volendolo, ce la faceva più a stare dritto in mezzo a quei manigoldi.
Andando, chinava il capo rassegnato come poteva; tra le case della sua gente tutte chiuse sigillate, andava a quel modo che alla gente faceva pietà; si vedeva che andando pregava, e che sapeva come finiva la sua storia.
Lui sapeva della morte inevitabile e dei nascondigli dei partigiani, perché sapeva tutto della sua gente in quella valle da una parte all'altra; ma i fascisti perdio li fece girare a vuoto per tutto quel giorno, sotto le botte, avanti indietro nella sua valle sempre uguale; sicché alla fine non si riconosceva più massacrato a quel modo com'era, dalla testa ai piedi.
Poi loro se ne accorsero che era proprio inutile, siccome lo capirono alla fine del giorno, che non ci si vedeva più.
Lo capirono che li aveva presi ben bene in giro, non volendo tradire la sua gente né di giorno né di notte, mai.
Lo finirono, sparandogli a bruciapelo quando era già scuro, e lui non ce la faceva più a reggersi in piedi.
Lo trascinavano di peso per la strada nella polvere spessa: erano arrivati in fondo alla valle, vicino al Molino del Fico, e lì si fermarono; la gente chiusa nelle case col terrore e i ribelli nei nascondigli ad aspettare da un momento all'altro, alla fine sentirono l'ultima raffica al Molino del Fico, e loro che imprecavano bestemmiando tutti sporchi di polvere sgomberando la valle.
Allora, tutti insieme, la gente e i partigiani capirono che se un prete è un prete, deve essere un prete così come questo qui ministro di Dio e dei suoi fratelli, con la sua gente fino al patibolo; e non se lo scordarono mai più.
Osvaldo
Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982,  pp. 45-47    

lunedì 9 maggio 2022

Ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania

Pagina 3 del Notiziario GNR (9 gennaio 1944) cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

dalla Liguria
Imperia
Elementi dell'U.P.I. della 33^ Legione hanno proceduto al fermo di otto elementi nazionali antifascisti...
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) in data 9 gennaio 1944, p. 3, così come da pubblicazione in Fondazione Luigi Micheletti
 
Sanremo (IM)

US NARA, RG 226, Box 8, Zimmer’s Papers, Ref. No. 37, p. 41 s. La rete Zypresse viene citata anche in numerosi altri documenti, soprattutto di fonte alleata. Il Piemonte e la Liguria fecero da base alle attività dell’"Ufficio VI" nel territorio francese liberato. Il maggiore SS Helmut Gohl, ad esempio, operava da San Remo con le organizzazioni Bertram e Tosca il cui scopo era quello di raccogliere informazioni oltre le linee del fronte, inviando in Francia agenti reclutati tra collaborazionisti e i fuoriusciti francesi.
US NARA, RG 226, Box 8, Zimmer’s Papers, Ref. No. 60, p. 61. Le informazioni venivano trasmesse al comando SD di Monaco (Kommando des Meldegebiets München) tramite un centro denominato Meldekopf Zeno, situato prima a Ortisei, poi a Merano, e guidato dal sottotenente Josef von Ach. Da Milano partiva una rete di stazioni radio dislocate in parte sulla costa ligure (due a San Remo, una ad Alassio, una mobile a Moglia, due a Genova, una mobile a Chiavari), a Reggio Emilia, Torino, Serravalle, Como e Limbiate.
Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia (1943-1945) in FERRARI, Paolo, MASSIGNANI, Alessandro (a cura di), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano, Franco Angeli, 2010 
 
Dopo l'8 settembre Marcianò ricostituì il suo battaglione a Vercelli, da cui il 30 marzo 1944 raggiunse Grafenwöhr per aggregarsi alla divisione San Marco. Al momento di partire per la Germania inviò un vibrante messaggio a Mussolini a cui esprimeva «la volontà di combattere e di morire per le rinnovate glorie della Patria», chiedendo che il suo gruppo venisse «lanciato contro il nemico, come i vecchi reparti d'assalto della Grande Guerra». <194 Una volta rientrato in Italia, il reparto di Marcianò, insieme ad un gruppo del 3° reggimento di artiglieria, fu posto sotto il comando della 34ª Infanterie Division, diretta dal generale Theo von Lieb. Il III gruppo esplorante, che poteva disporre di circa 700 uomini, <195 venne inviato nell'area di Imperia, con il compito di ripulire la zona dalle bande partigiane che minacciavano la sicurezza delle retrovie tedesche. Pur non essendo stricto sensu una vera e propria formazione di controbanda, tuttavia gli uomini di Marcianò applicarono brillantemente i principi della controguerriglia. Attacchi notturni con squadre non troppo numerose (venti o trenta uomini al massimo). Spostamenti continui. Incursioni a sorpresa nei paesi frequentati dai partigiani. Anche se non fu risparmiato dalle diserzioni - 79 alla data del 5 settembre 1944 <196 - il III gruppo esplorante dimostrò comunque una coesione disciplinare e uno slancio combattivo nettamente superiori al resto della divisione.
[NOTE]
194 P. Baldrati, San Marco, San Marco..... cit. vol. II, documento 35, p. 744.
195 Ivi, documento 104, allegati 2, 3 e 4, pp. 856-858. Alla data del 5 settembre, il reparto di Marcianò poteva contare su 732 uomini, così ripartiti: 32 ufficiali, 50 sottufficiali e 650 soldati di truppa.
196 Ivi, documento 104, allegato 6, p. 860. Dei 79 militari che risultavano disertori alla data del 5 settembre, quattro erano sottufficiali e 75 soldati di truppa.

Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021
 
Qualche tempo dopo [n.d.r.: il rastrellamento di San Romolo] mi recai a Oneglia dove feci da interprete fra Ormea e il maggiore Gohl. Quest'ultimo chiedeva all'Ormea se era disposto a recarsi in Francia per una missione per conto dei tedeschi.
Anche questa volta la risposta fu affermativa.
Se poi l'Ormea sia stato inviato io non l'ho mai saputo.
Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo) in un verbale degli interrogatori subiti per conto di una Corte d'Assise Straordinaria (Cas) italiana, confluiti in un documento del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

Imperia: il Municipio

Il provvedimento della militarizzazione del partito ha provocato svariati commenti. E’ impressione generale che le squadre d’azione non saranno in grado di funzionare sia per la deficienza delle armi, sia per la mancanza di capi, sia, infine, perché in provincia di Imperia il partito non ha largo seguito. Ha destato ilarità il fatto che il commissario federale prenderà nome di “Comandante di Brigata”, quando ai suoi ordini, in provincia di Imperia, avrà sì e no una cinquantina di elementi.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) in data 16 luglio 1944, p. 6, così come da pubblicazione in Fondazione Luigi Micheletti 

Carlo Unger di Löwenberg, trentottenne lucchese di nascita a dispetto del patronimico tutto teutonico, e il suo vice Silvio Fellner, triestino cinquantatreenne, erano stati giustiziati alle una del mattino di sabato 19 agosto 1944 con una scarica di machinen pistole nel cortile della stamperia del forte San Giorgio, sede genovese del Comando germanico della Kriegsmarine. Quivi era stata allestita in tutta fretta una corte marziale presieduta dal comandante Berlinghaus e composta da soli ufficiali tedeschi compreso il difensore d’ufficio. Prima dell’esecuzione ai due condannati era stata negata l’assistenza religiosa e, a Löwenberg, un ultimo incontro con i familiari, col pretesto che “non c’era tempo”. La motivazione della sentenza giunta sino a noi recita testualmente: “per alto tradimento in tempo di guerra e di fronte al nemico”. Formalmente venne imputato ai due alti ufficiali di aver ordinato, senza averne facoltà, il ripiegamento delle forze di mare distaccate nella Liguria di ponente traducibile, in pratica, nell’imputazione appunto di “alto tradimento”. Ma la realtà consacrata da una documentazione inoppugnabile non sembra poter accreditare tale impostazione accusatoria né riconoscere alla sentenza una corretta e convincente proporzionalità tra l’esiguità della presunta colpa e l’abnormità della pena comminata e subito eseguita. Infatti la prima si fonda esclusivamente sui telegrammi inviati dal comandante Löwenberg il 14 agosto 1944 alla stazione segnali di Bordighera, al posto radio di Arma di Taggia e agli uffici di porto di Sanremo e Imperia per disporre il ripiegamento su Genova del personale (peraltro non necessario alla difesa in quanto prevalentemente civile e difatti ritirato più tardi dalle stesse autorità germaniche), mentre la seconda è in aperto evidente contrasto con quanto disposto dall’articolo 5 del regolamento, sulla posizione del personale della Marina italiana che collabora con la Marina germanica, che imponeva dover essere i due ufficiali eventualmente giudicati da un tribunale italiano.
Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Ilsrec, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 - * Testo dell'intervento tenuto al convegno "Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata", organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)

Le formazioni fasciste avevano in provincia di Imperia una composizione eterogenea. Oltre ai soldati della G.N.R., delle Brigate Nere e dei Bersaglieri, operavano reparti delle Divisioni Monte Rosa, Muti, Cacciatori degli Appennini, San Marco, "X^ Flottiglia Mas" e qualche SS italiana.
Agirono anche diversi gruppi di SS tedesche, che avevano come principale compito quello di effettuare rastrellamenti ai danni delle formazioni partigiane.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

Ferraris Giovanni: nato ad Alessandria il 23 dicembre 1929, squadrista della Brigata Nera “Padoan” - Interrogatorio del 26.5.45: "Appartenevo alla brigata nera di Imperia dopo essere stato prima adibito come fattorino presso la locale federazione del P.F.R. Con la costituzione delle brigate nere venni inquadrato in queste formazioni sempre con il compito di fattorino per il comando della brigata. Ricordo che il comando della brigata nera di Imperia era formato dalle seguenti persone: comandante il Federale Massina Mario, capo di stato maggiore Col. Baralis, Capitano Musso Roberto, amministratore, Ten. Cocchi, addetto al magazzino, Maggiore Densa. Sottufficiali erano il Maresciallo Del Re Antonio, Maresciallo Lorenzi, Maresciallo Nardino, Sergente Berretta Ernesto...".
[...] Maselli Pietro: nato a Bussana il 16 agosto 1923, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo - Interrogatorio di Maselli Pietro del 14.7.1945: Alla data dell’8 settembre 1943 prestavo servizio a Roma nel 16° Battaglione Arditi, da dove sono scappato in seguito all’armistizio. Giunto però a Massa-Apuania, fui arrestato dai tedeschi e tradotto nel campo di concentramento di Aulla. Fuggii dal predetto campo nel novembre del 1943 e mi sono recato in famiglia a Poggio di Sanremo dove, dopo una decina di giorni, fui nuovamente arrestato dai tedeschi che mi tradussero ad Albenga costringendomi ad arruolarmi nel Servizio Avvistamento Aereo in Albenga ed in seguito trasferito all’avvistamento di Capo Berta...".
[...] Cortesia Angelo, Interrogatorio del 3.7.1945: "Il comandante della mia brigata si chiama Mario Massina, che nel Regio Esercito ricopriva il grado di caporale ma nella brigata nera era commissario federale. Il Capo di Stato Maggiore si chiama Baralis Edoardo che nel Regio Esercito rivestiva il grado di colonnello. Faceva parte della brigata pure certo Rizzitelli Gino che rivestiva il grado di Maggiore, lo stesso parlava con accento meridionale...".
[...] Bartoli Ivo: nato a Buti (Pi) il 24 agosto 1924, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo. - Interrogatorio del 26.6.1945: "Nei primi di gennaio del 1944 fui rastrellato in via Vittorio di Sanremo, nel caffè Iris, da agenti di polizia e internato nel campo di concentramento di Vallecrosia. Qui ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania. Decisi di arruolarmi nel Battaglione Italiani all’Estero di stanza a Taggia...".
[...] Lorenzi Giovanbattista: nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia. - Interrogatorio del 17.11.1945: "Sono stato iscritto al PNF fin dall’epoca precedente alla marcia su Roma. Nell’ottobre 1944 sfollato a Torri a causa degli eventi bellici mi arruolai volontario nella brigata nera in qualità di semplice legionario".
[...] Moraschi Giovanni: nato a Torrazza (Imperia) il 7 aprile 1928, squadrista della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia. - Interrogatorio dell’1.9.1945: "Nel gennaio del 1944, allorché frequentavo il I° istituto tecnico superiore, allettato dalle promesse di presunte preferenze, mi iscrissi alle organizzazioni giovanili del PFR. Nell’agosto dello stesso anno venni invitato a presentarmi in federazione e quivi il commissario federale Massina mi indusse ad arruolarmi nella brigata nera in formazione...".
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Ventimiglia (IM)

24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Ribadiva il contenuto della segnalazione sulle Brigate Nere fatta con prot. n°1/91 del 13 marzo 1945. Comunicava la consistenza delle forze nemiche nella fascia costiera: i bersaglieri con una compagnia comando a Bordighera, 3 compagnie dislocate al fronte tra Latte, Frazione di Ventimiglia, ed il Grammondo, 2 compagnie di copertura tra San Lorenzo al Mare e Riva Ligure, ed ogni compagnia disponeva di 5 mortai; la G.N.R. aveva 4 compagnie: la prima stanziata tra Ventimiglia e Sanremo, la seconda tra Sanremo ed Imperia, la terza, addetta all'ordine pubblico, ad Imperia, la quarta, con un organico di circa 105 uomini, ad Imperia come compagnia provinciale dell'esercito repubblichino. Segnalava, poi, gli stanziamenti nemici sopra la fascia costiera, nella zona di competenza della Divisione, a Pieve di Teco 250-300 tedeschi, a Muzio 30 tedeschi addetti alla riattivazione del ponte di Vessalico, a Cesio 40 tedeschi, a Pontedassio 60 tedeschi con il compito di sorvegliare i magazzini viveri; a Capo Berta una batteria da 75/27 mm con un organico di 100 soldati; a Diano Marina, lungo la via Aurelia, l'Orstkommandatur, sede del comando della VII^ compagnia; a Cervo-San Bartolomeo un plotone della V^ compagnia; a Cervo un posto di blocco con 22 soldati repubblichini e 6 tedeschi con 3 mitra, 17 moschetti e varie bombe a mano; a Capo Cervo 10 tedeschi di guardia al campo minato; ad Andora (SV) il comando della V^ compagnia; a Capo Mele 25 tedeschi con 4 mitragliere ed una stazione radio ricevente e trasmittente; a Molino Nuovo un posto di blocco formato da 5 tedeschi; a Vegliasco 35 tedeschi; a Garlenda 40 tedeschi con 40 cavalli; tra Cisano sul Neva e Bastia 300 tedeschi; ad Ortovero 60 tedeschi con carri e cavalli.
25 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM del CLN circondariale di Sanremo, prot. n° 496, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed alla Sezione SIM della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che a Baiardo, avendo messo posti di blocco e sbarramenti intorno all'accampamento, i 47 bersaglieri di guarnigione sembravano terrorizzati; che in montagna salivano spesso "Pisano" e "Rollero" [spie nemiche]; che era stata "a San Remo costituita di recente una squadra speciale composta da elementi già facenti parte delle SS tedesche in Francia: sono prevalentemente italiani e vestono con costumi da sciatori e con un fazzoletto rosso al collo. Il loro compito è quello di svolgere rastrellamenti rapidi e improvvisi: il 24 u.s. hanno arrestato ad Andagna 6 giovani e dopo averli torturati li hanno legati insieme ed uccisi con armi automatiche". 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

A Sanremo un ufficio SS si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane, dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero: ne era a capo l’Oberschführer Josef Reiter, che non mancava di inserirsi a gamba tesa anche nelle attività di altri servizi germanici. Reiter era alle dirette dipendenze del comando di Genova, retto da Friedrich Wilhelm Konrad Sigfrid Engel (Warnau am der Havel 11/2/1909 - Amburgo 4/2/2006), il quale venne condannato all’ergastolo in contumacia per le stragi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Cravasco, nelle quali nel complesso furono fucilati duecentoquarantotto tra partigiani e antifascisti. Adriano Maini

Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen Ludwigsburg (ZSL), 518 AR-Z 4/63, vol. 7, Verbale di interrogatorio di Josef Reiter, maresciallo SS, ex comandante del presidio Sicherheitspolizei e SD di Imperia e San Remo, Bremerhaven, 16 giugno 1964.
Carlo Gentile, art. cit. 

Circa l'attività di Reiter e compagni ben poco posso dire in quanto il mio compito era strettamente quello di autista e non mi era permesso di entrare nell'ufficio se non per il tempo necessario a ritirare i fogli di marcia per la macchina [...] Per quanto riguarda le sevizie e torture che i tedeschi solevano fare nei riguardi degli arrestati, in coscienza debbo affermare che non ho mai assistito a scene del genere. Sentivo dire che alle volte quando gli arrestati non parlavano venivano menati. Io però non ho mai visto dei detenuti seviziati o che portassero i segni di percosse [...]
Fioravante Martinoia (ex autista delle SS di Sanremo), dichiarazioni in un verbale di interrogatorio (per una Cas) confluito in un documento del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

lunedì 4 aprile 2022

I partigiani procedono immediatamente alla raccolta delle armi

Caramagna, Frazione di Imperia

Interessante e degna di rilievo è l'azione compiuta brillantemente dal 2° distaccamento della IX Brigata [n.d.r.: la IX Brigata "Felice Cascione", in effetti formalizzata come tale il giorno dopo l'evento qui narrato e destinata a trasformarsi a breve, il 4 luglio (o il 7, a seconda delle fonti) in II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"] comandato da Risso Rinaldo (Tito), di stanza  a Villatalla.
19 giugno 1944. Ore due: partenza da Villatalla di quasi tutti i componenti la formazione. Obiettivo: la postazione di artiglieria tedesca dotata di quattro cannoni, presidiata da circa cinquanta uomini della GNR e da una aliquota di Tedeschi. Località: Caramagna, frazione di Imperia, nell'entroterra di Porto Maurizio.
L'azione è studiata nei minimi particolari e preordinata secondo la tecnica della sorpresa con l'aiuto di qualche informatore locale che si è prestato a fornire tutte le preziose e necessarie notizie, sia sulla disposizione delle forze, che sull'entità dell'armamento e sul morale della guarnigione nemica.
Alle tre, a Molini di Prelà, le macchine requisite forniscono un celere mezzo di trasporto verso la meta. Una motocicletta in perlustrazione batte la strada. Prima dell'alba, arrivo a Cima Bastera, lungo la strada che da Caramagna svolta verso Dolcedo. Alle quattro e trenta circa, i garibaldini sono in Caramagna, quivi, secondo il piano prestabilito, gli uomini sono suddivisi in tre colonne: la prima, in posizione centrale, deve percorrere il tratto di via più breve ed appostarsi in agguato nel torrente; la seconda procede sul lato destro lungo la strada per Cantalupo; l'altra, infine, percorre la via di Caramagnetta.
Alle cinque, un fischio: il segnale dell'azione. La squadra nascosta nel torrente si muove rapidamente e aggredisce di sorpresa la sentinella, che non può dare l'allarme, mentre le due formazioni operanti sui lati invadono il campo e colgono nel sonno i soldati di guarnigione. Sono fatti prigionieri anche i due marescialli tedeschi e gli ufficiali italiani che dormivano a parte, in una casetta presso l'entrata del campo.
I partigiani procedono immediatamente alla raccolta delle armi ed al sabotaggio dei pezzi d'artiglieria non trasportabili, cui vengono tolti gli otturatori.
Mentre nuclei di mitraglieri fanno buona guardia, sorvegliando le strade provenienti da Piani e da Porto Maurizio, si procede all'ispezione del magazzino. Sono caricate su di un carro, cui sono attaccati un mulo ed un cavallo rinvenuti nelle stalle presso la postazione, tutte le cose che possono tornare di utilità alla brigata. Un altro mulo viene condotto via dagli uomini.
Intanto, i repubblichini chiedono di poter seguire i partigiani sui monti; nella confusione, qualcuno, d'idea diversa, sgattaiola e fugge via.
Sulla corriera, condotta sul posto dai partigiani, sono caricati altri oggetti in dotazione, tra cui una radio, una macchina da scrivere e vestiario. Poi, ritorno verso la base di partenza.
Un nucleo, armato di mitragliatore, si presta volontariamente per proteggere la ritirata del distaccamento ed apre il fuoco su tre camion nazifascisti sopraggiunti poco dopo.
Intimoriti dal fuoco del mitragliatore, gli autisti dei camion virano di bordo senza neppure arrivare nei pressi dell'abitato del paese.
I protagonisti, che vengono citati all'ordine del giorno, quale esempio di coraggio ed intelligente iniziativa, sono l'austriaco «Erik» e l'ex repubblichino «Umberto».
l garibaldini, trasportati da automezzi, rientrano a Villatalla verso mezzogiorno. Manca solo Giuseppe Corradi che, rimasto gravemente ferito, morirà il giorno successivo.
Bilancio dell'azione: due casse di bombe a mano tedesche fumogene, sette casse di caricatori da 6,5, sei casse di caricatori per fucile mitragliatore S. Etienne, quaranta moschetti da 6,5, due mitragliatori francesi S. Etienne, cinquantasette coperte, tre sacchi di vestiario vario, quaranta zaini e tre rivoltelle che sono consegnate a coloro che più si sono distinti nell'azione.
I repubblichini, che spontaneamente hanno seguito i partigiani, sono trentadue, tra i quali due ufficiali ed un Austriaco. Uno degli ufficiali è stato ferito per errore nel corso dell'azione: essendosi affacciato alla finestra, i partigiani, pensando che volesse reagire con lancio di bombe a mano, gli hanno sparato colpendolo alla spalla sinistra. Ma la cosa non riveste carattere di gravità non essendo stato leso alcun organo vitale.
Nella stessa giornata della brillante azione, due garibaldini partiti in missione due giorni prima, rientrano all'accampamento con ventiquattro repubblichini venuti volontariamente in banda quasi totalmente armati.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Il 19 giugno 1944 il 2° distaccamento della IX Brigata comandato da Tito (Rinaldo Risso) di stanza a Villatalla decide di scendere a valle per rifornirsi di armi e munizioni. L’obiettivo prescelto è un postazione di artiglieria costiera tedesca a Caramagna, presidiata da una cinquantina di militi della G.N.R. e alcuni tedeschi. Giunti in prossimità della postazione, i garibaldini con un’azione fulminea riescono a disarmare le guardie e fare irruzione all’interno della palazzina che funge da dormitorio. La sorpresa e la rapidità con cui si muovono gli uomini di Tito non lascia scampo ai difensori. Inizia quindi la razzia di armi e munizioni che vengono caricati su un carro trainato da due muli, requisito in loco. Oltre alle armi i partigiani portano con sé una trentina di militi della GNR che, volontariamente decidono di unirsi alla lotta in montagna. Ben presto arrivano alcuni camion nemici carichi di uomini che cercano di ostacolare la ritirata verso i monti dei partigiani. Giuseppe Corradi viene colpito mentre trasporta sulle spalle una cassetta di munizioni. Gravemente ferito morirà il giorno seguente.        Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020
 

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano:  Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016   ]

Pagina 23 del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Il 19 corrente, alle ore 16,15, in Caramagna di Imperia, numerosi banditi armati assalirono una batteria contraerea, prelevando oltre 70 militari italiani e due germanici, sostendendo soltanto con questi ultimi un breve conflitto a fuoco.
I malviventi, dopo aver arrecato danni a pezzi d'artiglieria, asportarono tre cavalli, due muli e materiali vari dell'Organizzazione TODT, allontandosi quindi in direzione di Dolcedo.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 26 giugno 1944, p. 23, Fondazione Luigi Micheletti

domenica 12 dicembre 2021

Carabinieri partigiani della I^ Zona Liguria

Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

«Lasciatelo stare, il capo sono io; questo giovane era un mio prigioniero». Corre il tristissimo mattino del 27 gennaio dell'anno 1944. Felice Cascione è ferito gravemente ad una gamba dopo aver tentato, spinto dalla sua nota generosità, un'ardita azione per stanare i nazifascisti rinchiusi in un casone. Siamo presso Madonna del Lago, sulle montagne soprastanti Alto. La zona è suggestiva, abbellita da un ridente laghetto e da un Santuario dell'epoca tardo medievale. Ad una quindicina di minuti dal luogo, sono i casoni in cui ha sede la banda di Cascione.
«U Megu» giace da molto tempo immobile, dietro un muricciolo a secco, sotto l'infuriare del combattimento. Non lontano da lui, è un altro partigiano ferito, disteso a terra, come morto. l Tedeschi avanzano, lo vedono, s'accorgono che è vivo ed iniziano a seviziarlo per fargli rivelare il nome del Comandante, ma il partigiano non risponde, accetta stoicamente la tortura, pronto all'estremo sacrificio.
Allora Cascione, appoggiando il gomito sul terreno, si leva sul busto e, rivolto ai nemici, pronuncia le sue ultime parole, quelle della definitiva rinuncia che nessun combattente della nostra Resistenza potrà mai dimenticare, riportate all'inizio di questo capitolo. I Tedeschi lo vedono, gli s'avvicinano e, inesorabilmente, lo uccidono con una raffica di mitra e si portano dietro il prigioniero per ricoverarlo all'ospedale.
Quel partigiano si chiama Giuseppe Cortelucci [n.d.r.: il cognome, nella maggior parte delle altre fonti, viene riportato come Cortellucci] e il suo nome di battaglia è «Carabiné»: traduzione ligure della parola carabiniere.
È un ex carabiniere che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, obbedisce al suo spontaneo sentimento per l'onore patrio e la libertà e s'avvia volontario verso la montagna. È tra i primi partigiani amico fedele di Cascione, generoso amico di tutti. Della sua gloriosa Arma ha portato la tradizione di lealtà e di fedeltà.
Affronta disagi e rischi; vive girovagando con i primi gruppi patriottici; osserva la dura realtà deicontadini, ne conosce meglio l'animo, la dura esistenza, la serietà di vita.
Cortelucci, nato a Teramo l'11 luglio 1924 (1), porta nelle nostre campagne la freschezza della sua razza e della sua terra. Anche in essa il popolo lavora, fatica, soffre come qui da noi, su queste aride zolle che rifiutano all'uomo l'aiuto delle macchine agricole perché le fasce sono troppo strette.
Settembre 1943 - 27 gennaio 1944: pochi mesi, tutti passati sui nostri monti, nei casoni, tra sofferenze e rischi quotidiani.
Uomini girovaganti e braccati da un nemico spietato che non perdona. Mangiano come e quando possono, soprattutto durante le marce di trasferimento perché, quando sono in qualche paesello, la popolazione, pur nella sua povertà, trova sempre un piatto di minestra, qualche patata, un tozzo di pane per sfamarli. L'animo degli uomini si irrobustisce nelle sofferenze e nei pericoli, maestri insostituibili di vita.
Il 27 gennaio 1944 Cortelucci è ormai temprato a tutte le bufere. È al fianco del Comandante che lo salva con le sue ultime parole. Entra nell'ospedale, si ristabilisce e fugge ancora. Va a riprendere il posto di combattimento a fianco dei compagni di Cascione, dei suoi compagni.
Per un anno intero combatte. È un valoroso. Sul campo di battaglia si guadagna il grado di Vice Comandante di battaglione.
Giunge il 29 dicembre 1944. Ancora meno di un mese e sarà l'anniversario di quel tragico fatto. Ma il destino non lascia più corda a Cortelucci; ancora una volta, stavolta a Pantasina, frazione di Vasia, sta per essere catturato da un nemico sempre più crudele e sempre più straripante per numero e per mezzi.
Ora è lui ad uccidersi. Non più nelle mani dei nazifascisti. Il partigiano, diventato Comandante, segue nella sorte il suo primo ed indimenticabile Capo.
La Resistenza inchina le sue bandiere; la Divisione «Cascione» è in lutto per un significativo dolore che ne rievoca un altro più lontano nel tempo.
Cortelucci, alla cui memoria verrà assegnata la Medaglia d'Argento, si eleva a simbolo del valore spirituale di tutta un'Arma: quella gloriosa e benemerita dei carabinieri che, per molta parte dei suoi uomini, ha scelto la via giusta nella tragica vicenda dell'Italia. Perché, sia chiaro: l'esempio di Cortelucci non è né isolato, né sporadico.
Non pochi lettori resteranno sorpresi nell'apprendere che nelle fila della nostra Resistenza i carabinieri sono stati sorprendentemente numerosi se dall'elenco presso l'Istituto Storico della Resistenza di Imperia possiamo contare ben sessantasei combattenti. A parte, naturalmente, qualche possibile dimenticanza. Sessantasei partigiani, venuti dalle fila dei carabinieri, rappresentano un organico pari ad un intero distaccamento e mezzo, un organico di tutto rilievo.
Un grosso nucleo che trova affiancati i nativi delle province liguri a quelli piemontesi, e i calabresi uniti ai lombardi ed ai laziali, né manca il siciliano.
Se Cortelucci porta l'onore della sua amata Teramo, Avellino e Verona e Caserta non sono assenti nella lotta per la libertà della I Zona Liguria. Da Padova a Bari, da Foggia a Parma e a Piacenza e a Lecce, dallo sperduto paesello alle grandi città, sono giunti i giovani, passati attraverso la dura milizia della loro Arma, sulle nostre montagne per combattere una lotta decisiva per i nostri destini.
Il 15 e il 20 giugno 1944, una ventina di carabinieri del presidio di Realdo, piccola frazione del Comune di Triora, sono invitati dai partigiani ad arrendersi. I carabinieri non solo s'arrendono, ma aderiscono al movimento della Resistenza e passano, con armi e bagagli, nelle formazioni partigiane distribuiti in quei vari distaccamenti che, nel luglio successivo, costituiranno la gloriosa V^ Brigata «Luigi Nuvoloni» (2).
In un breve comunicato, inviato al Comando della IX Brigata il 18 giugno 1944, il commissario «Federico» [Federico Sibilla] dà notizia dell'arrivo di un tenente dei carabinieri presso il suo Comando di Imperia Porto Maurizio. Nel breve scritto «Federico» avvisa che detto tenente è al servizio della Resistenza ed in contatto con il CLN provinciale di Imperia (3).
I Tedeschi ogni tanto azzardano puntate con dei camion, con i fari colorati in blu, nel territorio della «Libera Repubblica di Triora».
Ad Agaggio Inferiore, sulla piazza della Chiesa, al pianterreno della casa canonica, vi sosta una squadra partigiana. Un'altra squadra è dirimpetto, di là dal torrente, presso il casone del «Cuccolo». Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno Nello Bova, di guardia sulla strada, avvista un camion e dà l'allarme. Si apre il fuoco: il camion, colpito nel radiatore, si ferma. Ma, in luogo dei Tedeschi, scende un carabiniere che, abbandonata Parma ove prestava servizio, per non servire la Repubblica di Salò cerca di raggiungere Triora con tutto il suo mobilio. Impegnatosi a far parte delle formazioni, è lasciato libero.
Strano destino: la raffica dei garibaldini non lo ha colpito; il camion, per miracolo, si è fermato presso un fosso profondo scavato dall'esplosione che aveva fatto saltare la strada. L'ex carabiniere in seguito verrà catturato a Molini di Triora dai nazifascisti, durante il rastrellamento dei primi di luglio e, il giorno cinque, bruciato vivo con altri civili nella casa Campoverde (4).
Alla periferia di Pigna ha sede una quindicina di carabinieri. «Vittò» ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed «Erven» [Bruno Luppi] decidono di catturare tutti i componenti del presidio. Suddividono l'ottantina di partigiani in squadre. Destinati all'azione diretta sono «Erven», «Assalto», «Argo», «Marussia» di Ventimiglia e «Gena».
Arrivano circospetti, vedono la canna di un mitragliatore piazzata alla finestra. Rasentano il muro, arrivano alla porta e gridano ai carabinieri d'arrendersi. Dopo un po' di silenzio uno di loro apre la porta: i partigiani si impossessano del mitragliatore ed intimano la resa. Sopraggiunge il brigadiere che invita i suoi uomini ad arrendersi. I quindici carabinieri seguono i partigiani portando materiale di casermaggio, munizioni e viveri. Sono inviati a Carmo Langan e tutti, tranne il brigadiere, aderiscono alle formazioni partigiane (5).
Non tutti hanno assaporato la grande gioia del 25 aprile vittorioso, perché ci fu chi cadde col fucile in pugno o fucilato dal plotone d'esecuzione. Altri riportarono ferite, anche gravi.
Sotto le bandiere della «Cascione» e della «Bonfante» della I Zona Liguria, come sotto ogni bandiera della Resistenza Italiana, i partigiani ex carabinieri hanno portato un grande contributo di sacrificio, d'onestà e d'amor patrio.
Anche nel limitrofo Piemonte, il contributo dato dai carabinieri alla lotta partigiana è consistente.
Prendiamo qualche notizia in proposito da un volume inedito del prof. Renzo Amedeo, partigiano combattente della XIII Brigata «Val Tanaro» (6): «... Ed ecco che il 24 maggio, la famosa vigilia del Bando Graziani­ Mussolini, relativo alla consegna di tutti i renitenti e partigiani, nella tarda mattinata giunge a Piaggia il maresciallo dei carabinieri di Nava su una Topolino. Scopo principale della sua venuta era soltanto la ricerca di formaggio, ma una pattuglia partigiana che si trovava da quelle parti formata da Guido Bologna, Renzo Amedeo e dal sottoscritto (7) lo lascia entrare nell'albergo e poi, intimatagli la resa, lo cattura. Avendo dichiarato che lui e la quindicina dei suoi uomini sono disposti a scappare con i partigiani, lo si lascia tornare in caserma con la sua arma (per difendersi da chi eventualmente non la pensasse come lui, dice) e ci si accorda per un assalto alla caserma di Nava, proprio la notte tra il 1° ed il 2 di giugno, per simulare uno scontro con la conseguente fuga degli uomini e prelievo del materiale.
Così avviene. Avvertito Martinengo [Eraldo Hanau], una folta squadra scende tra Ponti di Nava e Case di Nava [nel territorio del comune di Pornassio (IM)], circonda la caserma, mentre un gruppo rimane più in alto presso il Forte Pozzenghi per proteggere il gruppo nel caso di sorprese.
Accesa una nutrita ma fitta sparatoria, maresciallo e carabinieri fuggono tutti in montagna con Martinengo, portando un'abbondante razione di armi, munizioni, viveri e materiale di caserma. Rientrati a Piaggia ed Upega, il maresciallo sceglierà poi di trasferirsi a Fontane con il gruppo partigiano dei carabinieri...».
Ancora, dal medesimo volume: «... Qui c'era già Gaglietto, che aveva riorganizzato i suoi famosi carabinieri. L'intesa sembrava raggiunta con questa ripartizione di compiti e comandi:
Comandante generale della Val Corsaglia: Gomez.
Comandante amministrativo: Gaglietto.
Comando operativo della squadra: Martinengo.
[... ] Là è Gaglietto con un gruppo di una cinquantina di uomini, quasi tutti carabinieri. A Garessio il carabiniere Angelo Battaglia (8) forma una squadra di partigiani che passa dopo pochi giorni alle dipendenze di Martinengo...».
Anche l'Arma dei carabinieli era partecipe della situazione tragica del momento. Continui rapporti pervenivano ai Comandi tedeschi e fascisti circa lo stato di demoralizzazione dei carabinieri e sulla loro resistenza a collaborare con un'Autorità non riconosciuta e, sovente, avversata.
Molte furono le deportazioni nei campi di concentramento in Germania. I Comandi nazifascisti decisero di affrettare i tempi per lo scioglimento dell'Arma stessa (9).
Dall'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia abbiamo tratto il documento del mese di giugno 1944, che di seguito riportiamo, dal quale si rileva che i carabinieri erano anche al servizio della «Libera Repubblica di Triora», quindi della Resistenza e del popolo:
Comune di Triora
al Comandante  della divisione «Garibaldi»
e p.c. al Comandante la V brigata «Garibaldi»
In base agli accordi avuti dal Vice-Comandante Musso, ho costituito il distaccamento di Polizia in Triora, affidando il Comando al Maresciallo Capo Scarpa Salvatore precettando i seguenti carabinieri:
Appuntato  Fili Domenico
"    Miraglio Carlo
"    Mazzili Valentino
"    Grespan Ernesto
"    Amaldi Emanuele
Carabiniere Sorrentino Alessio
"    Destradis Michele
"    Alberti Giusto
"    Dentoni Erminio
Come da accordi convenuti codesto Comando è pregato di provvedere all'invio dell'armamento necessario per gli uomini di cui sopra.
Il distaccamento verrà preso in forza dal Comando della V Brigata Garibaldi.    
Il Podestà (Pesce)
[NOTE]
(1) Giuseppe Cortelucci, fu Luigi e di Paolina De Laurentis, dichiarazione integrativa n. 4600.
(2) Testimonianza di Vittorio Guglielmo (Vittò).
(3) Cfr. F. Biga, Diano e Cervo nella Resistenza, Milano Stampa, Farigliano, 1975, pag. 99.
(4) Vedasi l'Unità (edizione clandestina imperiese), anno l, n. 2, l5 agosto 1944.
(5) Cfr. G. Strato, 1° volume della presente opera, pagg. 295, 298.
(6) Il volume inedito è conservato presso l'Archivio del Comune di Garessio.
(7) Il fatto riportato dall'autore è ricavato da una pubblicazione di Enrico Martini (Mauri).
(8) Angelo Battaglia, nato a Garessio il 20-8-1921, carabiniere della Legione di Genova, ora pensionato invalido, militò nella Brigata Val Tanaro dal 10/1/1944 al 416/1945. Il Battaglia risiede attualmente ad Imperia nella zona di Castelvecchio.
(9) Vedasi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, op. cit., pag. 35.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 576-581
 
Nel frattempo Avogadro, in veste di collaboratore dell’intelligence britannica, per allacciare col Piemonte un servizio informativo alle dipendenze degli inglesi si era recato in Liguria, dove l’Arma «aveva perso molto terreno in seguito alla condotta degli ufficiali di quella Legione che in massa avevano aderito alla repubblica» <14. Riconoscendo improba l’impresa di impiantare un’organizzazione clandestina, per le sue forze e per la limitatezza delle sovvenzioni, riuscì a raggruppare una cinquantina di carabinieri nella zona tra Imperia e Sanremo, affidati alle cure del pretore di Taggia, il giudice Alessandro Savio, insieme al quale incontrò un comandante di una banda in costituzione (probabilmente Michele Silvestri “Milano”, comandante del distaccamento Gap di Verezzo, confluito poi nelle Sap di Imperia), ma i contatti con gli uomini di questo territorio furono saltuari per il resto della guerra.
Prima di rientrare dalla Liguria nel Biellese, Avogadro ricevette l’informazione che era ricercato dalla Gnr, che aveva fatto irruzione al castello degli Avogadro nel Biellese: ripiegò a Rovasenda, dove proprio in quel periodo si stava formando una banda composta prevalentemente da ex carabinieri. Nella relazione Avogadro non precisa le date, ma nel territorio della Baraggia vercellese, che aveva ospitato fino ad allora solo gruppi partigiani della 50a brigata “Garibaldi”, la presenza di questa formazione partigiana autonoma, inizialmente denominata “Quo fata volunt” e poi brigata “Santorre di Santarosa”, si colloca fra i mesi di agosto e di ottobre del 1944.
Enrico Pagano, “A favore dell’Arma”. L’attività nel periodo clandestino di Rodolfo Avogadro di Vigliano, questore di Vercelli nominato dal Cln, l’impegno, a. XXXV, nuova serie, n. 2, dicembre 2015, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia 
 
Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 un gruppo di cittadini sanremesi guidati dal dottor Giovanni Cristel, coadiuvato da Antonio Canessa e Alfredo Esposito, raggiunsero un accordo con il maggiore Ferrari e il dottor Samà per poter prelevare armi e munizioni dal Presidio di via Lamarmora, che era stato abbandonato dai militari il 9 settembre, mentre altri armi furono asportate da un deposito di corso Garibaldi e consegnate a Michele Silvestri, che faceva parte di un gruppo operante a Verezzo, da dove sarebbero state riportate in città con la collaborazione del già ricordato Canessa, il quale le fece portare in un luogo più sicuro per evitare che finissero nelle mani di tedeschi o fascisti.
Nel corso del 1944 il già citato partigiano Michele Silvestri (Milano), coadiuvato anche dalla giovanissima figlia Dilanda, organizzò i primi gruppi di resistenza a Verezzo, dove costituì una propria banda, facente parte dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), che il 1° ottobre 1944 sarebbe stata inclusa nelle formazioni cittadine SAP.
Durante la guerra di Liberazione il distaccamento GAP di Verezzo operò diversi colpi di mano grazie ai quali furono recuperati denaro, indumenti e viveri poi inviati alle formazioni partigiane di Gino Napolitano e Vincenzo Orengo.
Da segnalare inoltre che il 4 dicembre 1944, nei pressi di Verezzo, un gapista uccise un soldato tedesco che voleva arrestarlo.
(fonti: testo di Andrea Gandolfo...)
Redazione, Storia di Verezzo, Sanremo. Storia e Tradizioni 


Giuseppe Cortellucci

Il 27 dicembre 1944, a Vasia (Imperia), il giovane Carabiniere Giuseppe CORTELLUCCI, appena ventenne, si immolò per la Libertà della Patria. Per la sua eroica Audacia nella guerra di liberazione, fu decorato con la Medaglia di Argento al Valor Militare - alla memoria, per la seguente motivazione: "Già bravo carabiniere, entrava all'8 settembre nella resistenza battendosi quale vice comandante di distaccamento partigiano, con capacità e audacia. Nel tentativo di trarre in salvo il proprio comandante ferito, veniva catturato. Riuscito ad evadere raggiungeva di nuovo la propria formazione. Durante un duro rastrellamento avversario, attaccato da forze preponderanti, combatteva con animo intrepido, sempre primo dove più accanita ferveva la lotta, incitando ed animando i propri dipendenti, finché, colpito a morte, immolava eroicamente la propria esistenza per la libertà della Patria".
Redazione, Audacia per la libertà, Attenti a quei due
 
Si vanno verificando numerose defezioni di carabinieri, di appartenti alla G.N.R. [Guardia Nazionale Repubblicana], ex militi e all'esercito repubblicano ed anche di agenti di polizia.
I carabinieri, interpellati, hanno, nella grande maggioranza, dichiarato di volere essere inviati in congedo.
Così la potenzialità delle forze di polizia, già non rispondente agli attuali effettivi bisogni della sicurezza pubblica, si va ancor più assottigliando.
Questa è la situazione, nella sua realtà.
Ispettorato Regionale di Polizia - Zona Savona-Imperia, Ispettore Generale di P.S. di Zona, Situazione politico-economica della Provincia di Imperia, Al Ministero dell'Interno, Direzione Generale di Polizia - Valdagno, n° di Prot. 038, li 30 giugno 1944 XII
 
Sanremo (IM): Via Escoffier

Un notevole contributo alla Resistenza Imperiese è stato dato dai carabinieri. Hanno raggiunto le formazioni partigiane oltre una sessantina di militari. Una ventina di essi, che erano di stanza a Realdo (frazione del Comune di Triora), il 18 giugno 1944 si aggregarono ai partigiani della IX Brigata Garibaldi. Anche un presidio di stanza a Pigna, passò ai partigiani il 27 agosto successivo. Altri lasciarono i loro presidi dove i Tedeschi li sorvegliavano e raggiunsero la montagna. Sulla scorta dei documenti conservati nell’Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, risultano sessantasei i carabinieri riconosciuti partigiani: un totale da costituire, se uniti in una sola formazione, un consistente Distaccamento partigiano. Nel giugno 1944, il cittadino Pesce, a capo della libera Repubblica partigiana di Triora, in accordo con il Comando della IX Brigata, costituì il Distaccamento di polizia affidando il Comando al maresciallo Salvatore Scarpa il quale precettò i seguenti appuntati: Fili Domenico, Miraglio Carlo, Mazzili Valentino, Grespan Ernesto, Arnaldo Emanuele, e i carabinieri Sorrentino Alessio, Destradis Michele, Alberti Giusto e Dentoni Erminio.
Fra i carabinieri che hanno contribuito alla lotta per la liberazione ricordiamo: Andreolo Antonio, vice brigadiere, rimasto gravemente ferito a Cima Marta l’11 agosto 1944; Agnese Camillo rimasto invalido; Balestra Giuseppe caduto il 5 marzo 1945; Bartoli Umberto brigadiere, caduto il 20 settembre 1944 nel bosco di Rezzo; Gagliolo Egidio rimasto gravemente ferito in uno scontro con i nazifascisti a Casanova Lerrone; Mancini Marino rimasto ferito in combattimento il 19 giugno 1944; Pirrol Aurelio catturato dal nemico e fucilato a Rastrello (CN) il 29 novembre 1944; Risso Ilario catturato nel Dianese e fucilato il 10 gennaio 1945; Taffaroni Giovanni rimasto ferito in combattimento a Triora il 3 aprile 1944.
In particolare ricordiamo Giuseppe Cortellucci, già nella banda di Felice Cascione, catturato il 27 gennaio dal nemico nel disperato tentativo di salvare il suo comandante, riuscito a fuggire e ricongiuntosi ai partigiani della IV Brigata, per non cadere vivo in mano al nemico, durante un momento drammatico di un rastrellamento, si uccide il 29 dicembre 1944 nella zona di Pantasina; fu proposto per la medaglia d’argento al valor militare.
Infine ricordiamo che dalla Provincia di Imperia i Tedeschi deportarono circa ottocento persone (documentate), di cui quattrocentosessantasette ex militari, compresi quattordici carabinieri.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)
 
[...] Al momento dell’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, a Sanremo come nel resto della Liguria, non si verificarono incidenti di sorta. Il 10 settembre 1943 i primi reparti di soldati tedeschi entravano nel territorio della provincia di Imperia, provenienti da Cuneo. Dal Comando della Legione di Genova era intanto pervenuto al comandante del Gruppo di Imperia l’ordine, per tutti i militari in servizio, di mantenere la calma e rimanere al proprio posto. Nei giorni successivi solo alcune stazioni della tenenza di Ventimiglia, a causa soprattutto dell’ostilità manifestata dalla milizia di confine, vennero disarmate. A parte tali sporadici episodi, le compagnie del gruppo, tra cui anche quella di Sanremo, si mantennero sostanzialmente intatte. Le prime diserzioni, anche se non numerose, sarebbero cominciate soltanto nell’ottobre 1943, dopo il passaggio da Ventimiglia del treno con a bordo i carabinieri romani diretto verso i campi di concentramento nazisti in Germania. Bisogna comunque sottolineare come sarebbe stato particolarmente alto il numero dei carabinieri sanremesi che avrebbero collaborato attivamente con la Resistenza locale, fornendo di armi e munizioni le unità partigiane combattenti in montagna e distribuendo viveri alla popolazione.
Nel frattempo, dopo che, tramite il comando di legione, era stata fatta firmare la dichiarazione di adesione al governo della Repubblica sociale italiana nel dicembre 1943, gli ufficiali del gruppo e una rappresentanza di circa una sessantina di sottufficiali e militari di truppa, il 9 febbraio 1944 furono radunati in una piazza di Imperia per prestare giuramento, insieme alle altre truppe del presidio, alla Rsi. Il mese successivo l’Arma dei Carabinieri venne sciolta e i suoi componenti assorbiti nella neoistituita Guardia nazionale repubblicana. Le legioni furono rimpiazzate dagli ispettorati regionali e in ogni provincia, tra cui anche quella di Imperia, fu istituito un comando provinciale. In conseguenza all’incorporazione dell’Arma nella Guardia nazionale repubblicana, i carabinieri sarebbero stati costretti a indossare la camicia nera e ad apporre le fiamme nere sotto gli alamari. La notte del 5 agosto 1944 tutte le caserme dell’Arma della provincia di Imperia furono circondate da soldati tedeschi e militi della Gnr, che prelevarono tutti gli ufficiali, i sottufficiali e i carabinieri che sorpresero, per condurli, il giorno dopo, a Milano ed Asti. Uguale sorte sarebbe toccata anche a tutti quei militari che si trovavano presso le loro abitazioni. Da Asti e Milano i carabinieri imperiesi sarebbero stati tutti deportati in vari campi di concentramento in Germania e adibiti a lavoro obbligatorio. Un limitato numero di sottufficiali e militari di truppa sarebbe riuscito tuttavia a sottrarsi alla cattura, mentre altri sarebbero riusciti a fuggire durante il viaggio, ma avrebbero dovuto rimanere nascosti o allontanarsi dalle rispettive residenze per far perdere le proprie tracce perché attivamente ricercati da tedeschi e repubblichini.
Nell’aprile 1945, quando la Guardia nazionale repubblicana sarebbe fuggita abbandonando le caserme, anche quella di Sanremo venne completamente saccheggiata dagli stessi militi e dalla popolazione. Il 25 aprile 1945 giunse però il tanto atteso momento della liberazione del suolo nazionale dal nazifascismo, e così, anche per l’Arma dei Carabinieri, cominciò a profilarsi una nuova epoca in un’Italia libera e democratica. Nei mesi immediatamente successivi furono riattivati tutti i comandi provinciali della Liguria: il gruppo di Imperia venne ripristinato il 15 maggio 1945. Anche a Sanremo i carabinieri tornarono a pieno regime con la ricostituzione della loro compagnia e ripresero possesso della caserma di via Privata (l’odierna via Escoffier), da dove si sarebbero poi trasferiti nell’attuale caserma di Villa Giulia, in corso Inglesi, il 6 novembre 1971.
Andrea Gandolfo, La storia dei carabinieri a Sanremo, Sanremo News.it, 20 giugno 2017