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domenica 15 maggio 2022

E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria

22 aprile 1945 - Da un partigiano dell'Intendenza a "Venko" [Angelo Balegno, amministratore presso il Comando Operativo della I^ Zona Liguria] - Comunicava che durante un rastrellamento nemico era caduto un patriota, che a Ciabaudo, Frazione di Badalucco (IM), erano stati fucilati il 20 aprile 2 civili, i fratelli Antonio e Giovanni Pastorelli, che era stato arrestato il garibaldino "Tenore" [n.d.r.: Gualtiero Zanderighi *, fucilato a Poggio, Frazione di Sanremo (IM), il 22 aprile 1945, immortalato da Italo Calvino nel suo articolo "Ricordo dei Partigiani vivi e morti"]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il 20 [aprile 1945] reparti nazifascisti compiono un'incursione nella zona del I° Battaglione [n.d.r.: "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"]. Partendo da Baiardo e da Ceriana le forze nemiche agiscono su due colonne: una sulla strada carrozzabile, l'altra sulle pendici del Monte Ceppo. All'alba una pattuglia del I° Distaccamento, mentre si reca al posto di guardia, scorge sulla strada la coda della colonna nemica, la quale spara una raffica dopo la località Zerni e ciò mette in allarme il suddetto Distaccamento. Frattanto il grosso delle truppe nemiche (circa centotrenta uomini) scende dalle pendici del Monte Ceppo e si dirige verso la località Gavanelle, dove è accampato il III° Distaccamento. Una pattuglia di questo si scontra con il nemico ed è soggetto ad un fuoco violentissimo: colpito da una raffica cade il partigiano Grossi Bianchi Andrea; l'altro uomo della pattuglia riesce a raggiungere l'accampamento già in allarme. Nonostante la vicinanza del nemico il Distaccamento prende le precauzioni necessarie per mettere in salvo tutto l'equipaggiamento.
Il partigiano Gualtiero Zanderighi *, commissario, mentre rientra al Comando del I° Battaglione, è catturato dal nemico nei pressi di Ciabaudo: sarà fucilato a Poggio di Sanremo due giorni dopo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005

* Ancora una volta i partigiani prendono la via del Piemonte, per armarsi, vestirsi, rinforzarsi questa volta: poi scenderanno e allora sarà un succedersi d'imboscate, di colpi, di sparatorie in tutte le valli e su tutte le strade contro i nazi-fascisti scoraggiati e disorientati. Ma gli eventi precipitano, siamo vicini alla meta. Fu proprio quando mancavano pochi giorni al traguardo, che ti presero e ti uccisero, ultimo dei caduti nostri, Tenore. E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria.
Italo Calvino, Ricordo dei Partigiani vivi e morti, articolo apparso sul numero 13 de "La voce della democrazia", Sanremo, martedì 1° maggio 1945 


Gualtiero Zanderighi, Tenore

Anche Augusta Molinari, studiando la memorialistica del partigianato ligure, arriva a conclusioni molto simili a quelle appena esposte a proposito della duplice funzione che la scrittura diaristica può assumere. Ella analizza il testo inedito scritto da Gualtiero Zanderighi, un partigiano semplice [n.d.r.: in effetti Zanderighi era un commissario politico] attivo in Liguria, studente universitario già avvezzo allo strumento della scrittura. A proposito del suo diario, la Molinari nota: "Il diario presenta un doppio registro di scrittura: è al contempo una cronaca dei fatti, sull’esempio dei diari di brigata, e una scrittura di tipo privato, quasi un diario intimo. L’evento e la percezione individuale dell’evento coesistono e la scrittura assume una duplice funzione. Da un lato quella di fissare nello spazio e nel tempo un percorso autobiografico, dall’altro di salvaguardare una sfera privata dall’incalzare degli eventi". <79
Secondo la Molinari, il diario è utile non solo per prendere nota degli eventi vissuti: esso aiuta lo scrivente a «fissare delle coordinate spazio-temporali» <80 salde in cui può collocare la proprio persona. In particolare, i partigiani sentono questo bisogno poiché le dinamiche della guerriglia li obbligano a vivere in un contesto sempre collettivo e provvisorio, in cui si perdono i punti di riferimento spazio-temporali e affettivi. In una situazione così precaria, la scrittura diaristica serve a prendere nota degli eventi bellici, ma dà anche la possibilità di mettere la guerra “in pausa”, e recuperare il contatto con il proprio io, in uno spazio che è solo individuale.
[NOTE]
79 Augusta Molinari, La Resistenza in Liguria tra evento e racconto. Storie e memorie inedite del partigianato ligure, cit., in “Storia e memoria”, 1997, n. 1, p. 43.
80 Ibid.

Sara Lorenzetti, Ricordare e raccontare. Memorialistica e Resistenza in Val d’Ossola, Tesi di Laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea specialistica in Lingua e Cultura Italiana, Anno accademico 2008-2009

[ n.d.r.: da considerare anche la fatica di Augusta Molinari, Una storia partigiana. Il diario di Gualtiero Zanderighi, Ventesimo Secolo, Centro Ligure di Storia Sociale, Genova, n° 13, gennaio-aprile 1994, pagg. 159-188 ]

lunedì 10 gennaio 2022

Oggi sul petto di chi passò l’inverno sui monti è appuntato un simbolico nastrino

Primo da sinistra Ivar Oddone, Kim, terzo Giuseppe Vittorio Guglielmo, Vittò/Ivano - Fonte: Annalisa Piubello, Op. cit. infra

Chi canterà le  gesta dell’armata errante, l'epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? Chi enumererà la schiera di quelli che non scesero, dei tanti morti lasciati lassù, con nello spento sguardo l’ultimo bagliore del combattimento o l'ultimo spasimo della tortura? Chi tramanderà la lunga storia di imboscate e guerriglie, di battaglie e sbandamenti, di raffiche e cespugli, di fughe e assalti? 

I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, più generoso e più valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s'arruolarono sotto la tua bandiera. E pure morì sotto il martirio nazista l'animatore di una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta. E la trista Germania inghiottì Lina Meiffret, prima partigiana. 

S'approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera. 

Chi canterà la spensierata audacia degli inizi, in cui ogni azione era una beffa, ogni arma conquistata un trofeo? Langan, nome glorioso, vedesti ingrossarsi le schiere, urlare l’entusiasmo, salire e scendere i camion gremiti ad ogni nuova azione, tra canti e sventolare di bandiere nella gloriosa primavera. Chi canterà la battaglia di Carpenosa, di come trenta uomini fermarono quattro camion carichi di tedeschi, chi canterà come Erven si coprì di ferite e di gloria a Sella Carpe e sfuggì per miracolo la morte riverso in un cespuglio? Con Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a Triora e Vittò a Langan è incerta per i tedeschi la via dei monti. 

Poi venne, giorno infausto, il tre luglio. I tedeschi ebbero il sopravvento sulle bande, i paesi furono invasi e saccheggiati. Chi canterà la gloriosa popolazione di Castelvittorio, i vecchi cacciatori di cinghiali insorti alla difesa del loro paese, che resistettero con tanto valore? Sotto i colpi di mortaio tutto sembra che si sfasci: l’impassibile Vittò si passa una mano sulla fronte: è la fine? No, gli sbandati si ritirano intorno a Vittò, su Marta, e l’agosto rivedrà la Brigata ricostruita, più organizzata, più potente.

Marco cade in un’imboscata nella trista Baiardo, ma un nuovo capo si è fatto avanti, un ragazzo dal coraggio di leone, dal corpo tarchiato, dalle prominenti ganasce: è Gino. Il suo distaccamento quasi inerme agli inizi in meno di un mese è il più amato della Divisione. I vili bersaglieri - carne venduta - cominciano a temere il suo nome.

Le armate delle nazioni unite liberano intanto tutta la Francia, avanzano verso il nostro confine. È l’ora di discendere? Non ancora, bisogna mordere il freno, comincia il lungo periodo dell’attesa mentre i cannoni alleati rombano vicini, verso ovest. Si inoltrino le colonne tedesche verso Baiardo, ogni cespuglio nasconde un mitragliatore pronto a far fuoco, i morti cadono fitti a mordere la polvere: fu questa la più grande imboscata della nostra storia partigiana.

Badalucco è contesa tra i tedeschi ed Artù - nome che suona terribile alle orecchie nazi-fasciste - e paga con la distruzione il suo patriottismo. Gino gareggia in audacia coi suoi uomini. Figaro e il francese Pierre primeggiano: una divisa tedesca basta per portarli nel campo nemico a compiere le più audaci imprese.

Poi sopraggiungono giorni tristi. Pigna cade: l'occhialuto Fragola, il cervello strategico della brigata, vive dieci giorni digiuno e nudo in una grotta. Upega vede la morte gloriosa del più leggendario di tutti i partigiani, del cavaliere senza macchia e senza paura, dell’eroe di mille imprese le più audaci: il Cion. I Partigiani laceri e scalzi prendono la via del Piemonte, passano i valichi nevosi del Mongioia.

Il partigianesimo in Liguria è dunque stroncato? No, continua negli attentati ai fascisti per le vie cittadine. Ecco allora che avvampa il tuo generoso furore, indimenticabile Aldo Baggioli, eroe bello e spietato, e ti porta sfidando ogni pericolo a scaricare il tuo revolver nel petto dei traditori. Dietro a te Riccardo socchiude l'occhio mefistofelico: i fascisti hanno paura, sanno che a uno a uno cadranno sotto il tuo piombo giustiziere. Ma purtroppo presto sospireranno di sollievo sapendoti caduto crivellato dalle raffiche sul prato di San Romolo.

Intanto la divisione è tornata sui monti di Liguria: gli orrendi bersaglieri di Ceriana e di Baiardo se ne accorgono ben presto. Ma comincia l’inverno, il duro inverno partigiano: la neve è nemica della guerriglia. Ma gli uomini di Gino e di Figaro non si concedono riposo. I fascisti e i tedeschi di Molini pagano cara ogni loro sortita.

Oggi sul petto di chi passò l’inverno sui monti è appuntato un simbolico nastrino. Striscia rossa in campo bianco: sangue sulla neve. L'attesa primavera s'avvicina a poco a poco: è il momento dell’attacco? Potremo stanare dalla trista Baiardo i vili bersaglieri? No, il momento non è ancora giunto, occorre ritornare. Ma non ritornerai tu, Cardù [n.d.r.: Riccardo Vitali, caduto a Baiardo il 10 marzo 1945, commissario del Distaccamento mortaisti della V^ Brigata], caduto serenamente con la fronte al nemico per le vie del paese.

Ancora una volta i partigiani prendono la via del Piemonte, per armarsi, vestirsi, rinforzarsi questa volta: poi scenderanno e allora sarà un succedersi d'imboscate, di colpi, di sparatorie in tutte le valli e su tutte le strade contro i nazi-fascisti scoraggiati e disorientati. Ma gli eventi precipitano, siamo vicini alla meta. Fu proprio quando mancavano pochi giorni al traguardo, che ti presero e ti uccisero, ultimo dei caduti nostri, Tenore [n.d.r.: Gualtiero Zanderighi, caduto il 22 aprile 1945 a Poggio di Sanremo, della V^ Brigata]. E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria.

Italo Calvino, Ricordo dei Partigiani vivi e morti, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, Sanremo, martedì 1° maggio 1945
 
 
 
[...] nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione il giovane sanremese [Italo Calvino] si era attivamente prodigato nell'opera celebrativa e propagandistica messa in campo dalle forze comuniste, attraverso alcuni scritti polemici e apologetici apparsi sugli organi della stampa locale, <13 e contribuendo all'allestimento di un volume collettaneo dal titolo quanto mai emblematico della volontà di testimoniare "a caldo" la drammaticità della lotta partigiana nell'imperiese: L'epopea dell'esercito scalzo. <14
Al terzo capitolo era stata affidata una lunga e dettagliata descrizione della «particolare configurazione geografica» e «fisico-demografica» del territorio, in relazione alla «peculiare posizione militare» - cruciale per la sua perifericità di frontiera - e come fattore determinante dell'«alta drammaticità» del conflitto, di cui restituiva un dato oggettivo il «numero altissimo di caduti» (una percentuale, tra partigiani e civili, tra le più alte «se non la più alta di tutta l'Italia»): un paesaggio «che è, nello stesso tempo, alpestre e marino» racchiuso in una «estensione limitata» di cui la «fascia marittima» - con la sua «caratteristica vegetazione mediterranea e sub tropicale» - occupa soltanto una «striscia di territorio» lungo la costa e cede subito il passo al paesaggio «alpino» (il 90% del territorio), con la disordinata altimetria dei rilievi coperti da fitte zone boschive nella loro progressione ulivi-pini-castagni. Una configurazione territoriale che, a causa anche della «deficenza notevolissima di ricchezza idrica», era sempre stata di ostacolo per lo sviluppo agricolo dell'interno, a fronte della particolare «agricoltura industriale» sviluppatasi a «fascie» lungo la costa, «dove la popolazione si addensa in una successione di cittadine ricche di giardini, di ville e d'alberghi», considerata anche l'assenza di un efficiente sistema di comunicazione tra la riviera e il suo entroterra (poche strade «soggette a interruzioni» e «frane», con ponti e ponticelli «facilmente ostruibili»). <15
Se da un lato il territorio, «per la sua struttura fisica», si era prestato benissimo alla «guerriglia», garantendo la possibilità di «attacchi improvvisi, di ritirate fulminee, di agguati e di resistenze su posizioni formidabili per natura», dall'altro lato aveva riservato «svantaggi altrettanto grandissimi»: la «povertà della regione» e la «mancanza di grossi centri industriali nelle immediate vicinanze» avevano reso difficili i rifornimenti in loco di viveri e armamenti, a fronte della «facilità, per un nemico ben attrezzato, di presidiare punti strategici determinati, controllanti i nodi stradali più importanti, in modo da impedire un contatto stretto e continuo fra le diverse bande di guerriglia operanti nella zona». Senza contare che la presenza di «centri minuscoli» aveva reso le attività cospirative ancora più rischiose di quanto non lo fossero già nelle grandi città, in quanto maggiormente presidiati dal nemico e, di conseguenza, sottoposti anche alla «continua offesa bellica alleata, sia navale che aerea».
E tuttavia il territorio era abitato da «gente forte e dura come le rocce delle sue montagne», gente che «conosce la gioia ed il tormento di un lavoro asperrimo, che è una lotta insonne contro la natura avara, e che dal lavoro ha tratto l'amore per la libertà». <16
Veniva dunque messa in risalto la stretta rete di condizionamenti reciproci che si erano venuti a creare tra quel particolare paesaggio (l'elemento fisico-geografico), la popolazione locale con il proprio «carattere» (l'elemento antropico-demografico), e la loro azione-reazione di fronte all'irruzione delle vicende successive all'8 settembre (il dato storico e politico-militare).
[NOTE]
13 Si tratta degli articoli Ricordo dei partigiani vivi e morti e Primo maggio vittorioso, pubblicati il 1° maggio 1945 su «La voce della democrazia», ed Epurazione, uscito lo stesso giorno sulle colonne de «La nostra lotta», organo della sezione sanremese del PCI. Di non certa attribuzione è invece l'articolo Ventimiglia apparso sull'organo della Divisione Felice Cascione «Il Garibaldino» (cfr. FERRUA, Opere giovanili di Italo Calvino, cit., pp. 56-57).
14 L'epopea dell'esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S., Sanremo, s.d., ma del 1945 (firmati dal giovane Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50 e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244).
15 Ivi, pp. 27-32.
16 Ibidem.

Alessandro Ottaviani, «Qualcosa di gelosamente mio»: paesaggi della Resistenza nella narrativa di Italo Calvino, Academia.edu
 
Tuttavia non solo attraverso Pin l’autore [Italo Calvino] “si racconta” [n.d.r.: nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno]. Rileggiamo insieme il famoso capitolo IX, il capitolo “ideologico” tanto criticato <107, cui Calvino non ha voluto rinunciare. <108
Protagonisti di questo capitolo sono Kim, comissario politico, e Ferriera, comandante di brigata.
Benché Kim compaia solo in questo capitolo, l’importanza del personaggio è chiara fin da subito per il fatto che il romanzo è dedicato in primo luogo a lui. «A Kim, e a tutti gli altri», dice la dedica. Già da questo si comprende che c’è una verità storica di Kim, la quale tuttavia va decifrata nella sua complessità.
Vedremo come in Kim Calvino operi una fusione di tre persone distinte: in primo luogo se stesso, poi Nino Siccardi, nome di battaglia “u Curtu”, comandante della “Prima Zona Operativa Liguria” dai primi mesi del 1944, ed infine il commissario politico Ivar Oddone, nome di battaglia “Kimi”.
Asor Rosa è categorico nel dichiarare: «[Kim] trasparente travestimento dello stesso Calvino» (ASOR ROSA, A., 2009: 422), mentre Andrea Dini commenta: "Un protagonista forse difficile, per Calvino, da fermare sul foglio: e anche per questo per Kim il gioco delle identificazioni si fa molteplice. Kim è in prima istanza Calvino medesimo, visto che senza dubbio la ricerca di serenità del personaggio s’identifica con quella dell’autore del Sentiero; [...] Kim, infine, è il commissario partigiano Curto, che presta parte della propria fisionomia al personaggio e rivendica in tal modo una connessione. (DINI, A., 2007: 258)
Dini fa riferimento all’articolo firmato da Calvino, Ricordo di partigiani vivi e morti, pubblicato sul numero 13 de «La voce della democrazia» il 1º maggio 1945. Era appena finita la guerra e l’autore proseguiva “con altri mezzi” la lotta partigiana. C’è molta enfasi in questo scritto celebrativo, che però ci restituisce delle immagini importanti e insieme il clima del momento storico: "Chi canterà le gesta dell’armata errante, l’epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? [...] I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, piú generoso e piú valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s’arruolarono sotto la tua bandiera. <109 [...] S’approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera". (CALVINO, I., 1945)
Trascuriamo per il momento la descrizione di Vittò che, come vedremo, nel Sentiero corrisponde al personaggio Ferriera e confrontiamo la descrizione del Curto, riportata sopra, e del Kim del Sentiero: «Kim è allampanato <110, con una lunga faccia rossiccia, e si mordicchia i baffi. [...] non è simpatico agli uomini perché li guarda sempre fissi negli occhi <111 come volesse scoprire la nascita dei loro pensieri». (CALVINO, 1991: 99)
Dunque i tratti fisiognomici di Kim sono effettivamente mutuati da quelli di Nino Siccardi <112, “u Curtu”, ma se dobbiamo invece stare a quanto scrive Ferrua, Kim è Ivar Oddone <113, “Kimi” <114, commissario politico della IV Brigata che a fine dicembre del 1944 diventa commissario della II Divisione Garibaldi «Felice Cascione» dove milita Calvino in questa fase:«S’è sovente pensato che Kim fosse l’autore camuffato, il porta bandiera dell’autore. Questi invece si cela dietro il personaggio di Pin e le idee di Kim son tanto di Calvino, quanto sono di Oddone, ovvero una somma di posizioni rispettive». (FERRUA, cit.: 169)
Ferrua dà credito a Calvino che nella Prefazione del ’64 parla del suo amico medico e ammette solo la comunanza ideale messa in evidenza anche da Ferrua, mentre rifiuta ogni identificazione con il personaggio, benché, come vedremo, con scarso successo.
Leggiamo un passo della Prefazione: "[...] nelle mie preoccupazioni di allora [c’era la] definizione di cos’era stata la guerra partigiana. Con un mio amico e coetaneo, che ora fa il medico, e allora era studente come me, passavamo le sere a discutere. Per entrambi la Resistenza era stata l’esperienza fondamentale [...] Il mio amico era un argomentatore analitico, freddo, sarcastico verso ogni cosa che non fosse un fatto; l’unico personaggio intellettuale di questo libro, il commissario Kim, voleva essere un suo ritratto; e qualcosa delle nostre discussioni d’allora, nella problematica del perché combattevano quegli uomini senza divisa né bandiera, dev’essere rimasta nelle mie pagine, nei dialoghi di Kim col comandante di brigata e nei suoi soliloqui". (CALVINO, 1991:1197)
In realtà in Kim c’è molto di Calvino stesso: «[...] la sua mente s’affolla di interrogativi irrisolti». (Ibid., 99) Tali interrogativi riguardano, sì, le ragioni della guerra, il perché si combatte da una parte o dall’altra, che senso abbia formare un distaccamento come quello del Dritto, insomma tutto quanto viene discusso con il comandante Ferriera - ciò di cui parleremo analizzando il personaggio di Ferriera stesso - ma gli interrogativi di Kim non sono solo politici, sono soprattutto esistenziali e sono gli stessi dell’autore, così come Kim finisce con assomigliare un po’ anche a Pin: "Kim cammina solo per i sentieri [...] I tronchi nel buio hanno strane forme umane. L’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. «Forse, - pensa Kim, - se non fossi commissario di brigata avrei paura. Arrivare a non aver piú paura, questa è la meta ultima dell’uomo». Kim è logico [...], ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche <115, la vita degli uomini piena di miracoli. Abbiamo ancora la testa piena di miracoli e di magie, pensa Kim. Ogni tanto gli sembra di camminare in un mondo di simboli <116, come il piccolo Kim in mezzo all’India, nel libro di Kipling tante volte riletto da ragazzo. «Kim...Kim...Chi è Kim?...». (Ibid., 108).
Ritorna il senso del magico e del misterioso, che è anche di Pin; ritorna il simbolismo allucinato di Angoscia in caserma e l’interrogativo fondamentale: «Chi è Kim?», l’interrogativo sull’identità, l’interrogativo su di sé: "Perché lui cammina quella notte per la montagna, prepara una battaglia, ha ragione di vite e di morti, dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido? [...] i suoi pensieri sono logici [...] Ma non è un uomo sereno. <117 Sereni erano i suoi padri, i grandi padri borghesi che creavano la ricchezza. Sereni sono i proletari che sanno quello che vogliono, i contadini che ora vegliano di sentinella ai loro paesi, sereni sono i sovietici che hanno deciso tutto [...] Sarà mai sereno, lui, Kim? <118 Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo piú tante cose perché capiremo tutto»". (Ibid., 108)
Anche Kim manifesta quella «rischiosa aspirazione di serenità» che per Pin consisteva nella speranza di trovare «il grande amico». La lettera a Scalfari già citata fornisce una chiave interpretativa fondamentale per intendere quel tanto di Bildungsroman che c’è nel Sentiero, in quanto ricerca e percorso individuale di guarigione da quella «ferita segreta per riscattare la quale combattiamo». (Ibid., 109)
Dovrebbe a questo punto essere chiara l’operazione di fusione tra le tre persone. Se i tratti fisiognomici di Kim sono mutuati da “u Curtu”-Siccardi e il ruolo politico-militare-ideologico da “Kimi”-Oddone, per il resto è lo stesso autore che si racconta, con le sue inquietudini, i suoi dubbi, le sue speranze, il suo passato.
Cosí come dovrebbe essere chiaro che Calvino è sia in Pin che in Kim, con una sorta di sdoppiamento che permette alle diverse parti dell’autore di raccontarsi. <119
Di piú semplice decifrazione ma non meno importante e autobiografica è l’altra figura del capitolo IX: il comandante Ferriera. È lui l’interlocutore di Kim nella discussione sulle ragioni della guerra e le valutazioni sul distaccamento del Dritto. Ferriera è una figura storica. In Ricordo di partigiani vivi e morti Calvino parlava di «un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò». Nel Sentiero «Ferriera è tarchiato [...] ha due grandi occhi chiari e freddi che alza sempre a mezzo guardando di sottecchi». (Ibid., 99)
Il personaggio del romanzo riproduce fedelmente i tratti del Comandante Vittò <120 che nel dicembre del 1944 assume il comando della II Divisione d'assalto Garibaldi «Felice Cascione», nella I zona Liguria, dove combatte anche Calvino.
Di Ferriera Calvino mette in evidenza l’origine proletaria, le certezze ideali, l’efficacia militare: "Ferriera è un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido: sta a sentire tutti con un lieve sorriso d’assenso e intanto ha già deciso per conto suo [...] La guerra partigiana è una cosa esatta, perfetta per lui come una macchina, è l’aspirazione rivoluzionaria maturatagli nelle officine, portata sullo scenario delle montagne, conosciute palmo a palmo, dove può giocare d’ardire e d’astuzia". (Ibid., 99)
Con Kim Ferriera discute sul distaccamento del Dritto e che senso abbia la decisione di Kim di mettere insieme un gruppo tanto poco affidabile di uomini. Uomini che non hanno coscienza di classe, che non sanno bene perché combattono, ma che hanno - dice Kim - in comune con gli altri, tutti gli altri, anche i fascisti- «un furore», un elementare bisogno di riscatto umano.
La discussione serve a Calvino per chiarire i presupposti ideologici che stanno alla base della sua scelta di campo.
[NOTE]
107 A cominciare da Pavese, il quale nella lettura editoriale per Einaudi scrive: "Grande stonatura il capitolo del commissario Kim che ragiona sul distaccamento di carogne dov’è il ragazzo. Si rompe l’angolo di visuale del ragazzo, e quello di Kim non è ingranato nell’avventura, è un’esigenza intellettualistica". (CALVINO, 1991: 1243)
108 Sempre nella Prefazione del ’64 Calvino spiega: "Per soddisfare la necessità dell’innesto ideologico, io ricorsi all’espediente di concentrare le riflessioni teoriche in un capitolo che si distacca dal tono degli altri, il IX, quello delle riflessioni del commissario Kim, quasi una prefazione inserita in mezzo al romanzo. Espediente che tutti i miei primissimi lettori criticarono, consigliandomi un taglio netto del capitolo; io, pur comprendendo che l’omogeneità del libro ne soffriva [...], tenni duro: il libro era nato cosí, con quel tanto di composito e di spurio". (Ibid., 1189)
109 Non si dimentichi che l’autore chiese l’iscrizione al PCI quando seppe della morte di Felice Cascione, medico e partigiano, nonché autore nel 1943 del testo di «Fischia il vento», famosa canzone partigiana sulla musica di quella popolare russa «Katjusha».
110 Il corsivo è nostro.
111 Il corsivo è nostro.
112 Nino Siccardi, nato a Porto Maurizio (Imperia) il 25 febbraio 1902, era un macchinista navale. Giovanissimo socialista, era passato al Partito Comunista e per la sua attività di antifascista aveva dovuto riparare in Francia. Tornato in Italia nel 1936, sarà tra i primi organizzatori dei GAP di Imperia. Quando si costituiscono le prime Brigate Garibaldi, è "u Curtu" (il nome di battaglia era ironicamente in contrapposizione con la sua statura) e comanda la IX Brigata d'Assalto. Diventerà il comandante della Prima Zona partigiana Liguria. Dopo la guerra continuerà il suo impegno politico nel PCI e nell’ANPI.
113 Ivar Oddone, nato a Imperia il 26 ottobre 1923, era ancora studente in medicina quando, dopo l'8 settembre 1943, era entrato nelle file della Resistenza ligure. Per le sue doti di combattente e di organizzatore divenne, come dicevamo, commissario politico della II Divisione "Felice Cascione" e, successivamente, dell'intero gruppo di divisioni che operavano nella provincia di Imperia. Dopo la Liberazione, Ivar Oddone riprese gli studi, si laureò brillantemente e si dedicò agli studi di medicina del lavoro.
114 Interessante l’annotazione di Ferrua: «[...] la verità letteraria di Calvino con Kim supera la verità storica. Infatti, il partigiano si è scelto il nomignolo di Kim leggendo le vicende del ragazzo indiano creato da Ruyard Kipling. Ma questo nome di battaglia rassomigliava troppo all’abbreviazione di chilometro e risultava ostico a tutti in montagna, venne perciò corretto, diventando Kimi in tutti i documenti ufficiali».
(FERRUA, 1991: 168)
115 Il corsivo è nostro.
116 Il corsivo è nostro.
117 Il corsivo è nostro.
118 Il corsivo è nostro.
119 Domenico Scarpa sostiene: «Pin, bambino precocemente invecchiato, e Kim, ragazzo precocemente maturo, sono le due opposte figure nelle quali l’autore del Sentiero si specchia e si sdoppia. [...] Ha notato Claudio Milanini che Pin e Kim non si incontrano mai. Forse non potevano incontrarsi: il loro incontro avviene fuori dal romanzo, nella persona che lo scrive, ed era la condizione necessaria perché fosse scritto: 'Il sentiero dei nidi di ragno è anche un’autobiografia implicita trasposta'» (SCARPA, D., 1999: 222)
120 Guglielmo Giuseppe Vittorio (comandante Vittò) nasce a Sanremo il 2 febbraio del 1916. Emigra giovanissimo in Francia per lavoro e, avendo già una radicata coscienza antifascista, si arruola nelle Brigate internazionali e combatte nella guerra di Spagna. Dopo la sconfitta della Repubblica, ripara in Francia attraverso i Pirenei. Internato in campo di concentramento, viene rimpatriato nel 1940. Condannato per renitenza alla leva, viene inviato sul fronte greco-albanese e successivamente a Creta. Rientrato in licenza nel ’43, salirà in montagna all'indomani dell'8 settembre dove, forte di un’esperienza di otto anni di guerra, organizzerà i primi partigiani. Il 25 Aprile 1945, al comando di circa 2000 uomini occupa Ventimiglia, Sanremo, Bordighera, Taggia e porto Maurizio. E' stato insignito di Medaglia d'Argento al V.M.

Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016

sabato 1 maggio 2021

Lina Meiffret, eroina partigiana di Sanremo


La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali ed artistici.
La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret [Lina Meiffret] subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia. Nei giorni piovosi di settembre ed ottobre 1943 i trasporti d’armi e munizioni, furon particolarmente gravosi: occorreva (ai due capi) far lunghissimi rigiri per evitar le pattuglie ed i curiosi, sempre pronti alle indiscrezioni e delazioni: così i nostri patrioti conobbero a fondo l’asprezza e le insidie della zona Negi, Monte Caggio, Bajardo […] L’armamento della banda, ormai numerosa di circa 40 elementi, raggiunse i 30 moschetti e le 5 mitragliatrici, più bombe a profusione e forti riserve di munizioni. Verso la metà di novembre due ufficiali inglesi, fuggiaschi del campo di ferma vennero a capitar nella zona di Bajardo, ricoverati e confortati dai nostri, sistemati poi nottetempo in un casolare di vetta  […] Purtroppo il 14 febbraio 1944 Brunati e la Maiffret, venivano definitivamente presi dai repubblicani, su denuncia di (……) Garzo partigiano traditore, ex camicia nera rientrato nella guardia repubblicana per inimicizia coi 2 eroici capi: la denuncia era tale da comportar pronta esecuzione capitale, ma l’intervento d’un agente bene intenzionato, faceva sospender le condanne e vi sarebbe riuscito del tutto se il console Bussi vigliaccamente non avesse distratto le pezze a scarico, consegnando i 2 capi alla S.S. tedesca. Sappiamo dolorosamente che Brunati e la Maiffret vennero bestialmente seviziati: il 1° fu poi fucilato il … maggio a … la seconda deportata in Germania ove languì per 10 mesi: ora essa è salva, il che ha del miracoloso.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento IsrecIm) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019 
 
... nel ‘39 si formò a Bordighera un gruppo orientato verso i partiti della classe operaia e in particolare verso il partito socialista guidato da Guido Seborga, coadiuvato da Renato Brunati, Lina Mayfrett [Meiffret] e Beppe Porcheddu. 
Gli aderenti stabilirono contatti a Torino con il gruppo di Alba Galleano, Giorgio Diena, Vincenzo  Diena. Tra gli altri Domenico Zucaro, Raf Vallone, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Mussa Pietro Secchia, Enzo Nizza, Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968

Il nominato in oggetto [Quinto Garzo], camicia nera scelta della ex G.N.R., si è reso responsabile della fucilazione della fulgida figura dello scrittore Renato Brunati, e dell'arresto e della conseguente deportazione in Germania della Signorina Lina Meiffret, nota idealista, nemica dichiarata in campo aperto del fascismo e del nazismo. Il Garzo... nell'ottobre 1941 venne presentato alla Signorina Meiffret dallo scrittore Guido Hess, noto antifascista ed antinazista... Meiffret lo presentò allo scrittore Renato Brunati, il quale si interessò subito e molto del Garzo al punto da considerarlo come un fratello... Nei mesi di marzo ed aprile il Garzo, occupato in quel tempo a Savona nella costruzione della galleria rifugio, sottraeva settimanalmente della dinamite che trasportava a Bordighera e confidandosi con i suoi benefattori diceva loro che sarebbe servita per commettere atti di sabotaggio contro i trasporti tedeschi. ... nel mese di settembre 1943, unitamente a suo fratello, coadiuvò la signorina ed il Brunati nel trasporto delle prime armi a Baiardo per armare la nascente banda dei patrioti che lo stesso Brunati stava formando in quelle zone ... Il 3 dicembre 1943, sapendosi ricercato perché renitente al richiamo alle armi, [Garzo] dimostrò pusillanimità e grettezza arruolandosi nella G.N.R. Un giorno del mese di gennaio 1944 egli ebbe anche l'ardire di presentarsi in divisa da milite in casa del Brunati, epoca nella quale il detto Brunati teneva nascosti nella sua abitazione due Ufficiali inglesi e precisamente i tenenti Bell e Ross. La signorina Meiffret presente in casa del Brunati lo redarguì acerbamente ed egli allora ebbe a pronunciare la seguente minaccia "Ho una divisa e posso farle del male". Nei primi del febbraio il Console Bussi invitò la signorina Meiffret dicendole che un milite in servizio a Vallecrosia gli aveva riferito che in casa sua aveva riunito i componenti che dovevano far parte di un Tribunale dell'Indipendenza... Il giorno seguente unitamente al Brunati la Meiffret incontrò casualmente a Bordighera il Garzo e gli fece presente quanto il Console le aveva incolpato. In un primo tempo egli fece finta di cadere dalle nuvole... La stessa sera il Garzo verso le 22 si presentò in casa del Brunati e per circa un'ora insistette per conoscere se a San Remo esisteva un comitato di Liberazione, facendogli comprendere che se lo avesse messo al corrente di tale movimento lo avrebbe aiutato ed assecondato. Di fronte ai recisi dinieghi del Brunati il Garzo allora gli palesò che l'autore della denuncia al console Bussi era lui. Denuncia che secondo lui avrebbe fatto al fine di salvare il Brunati. Il 4 febbraio [1944] però, in conseguenza della denuncia il Brunati e la Meiffret venivano tratti in arresto...
Egidio Ferrero, Maresciallo di Polizia, nella comunicazione dell'Ufficio di Polizia Politica alle dipendenze dell'A.M.G. di Bordighera, prot. 35, Bordighera, lì 8 giugno 1945, al Pubblico Ministero presso la Corte d'Assise Straordinaria di Imperia Ufficio di Sanremo, documento studiato da Giorgio Caudano

La casa di Frontone dove viveva Lina Meiffret (foto di Silveria Aroma) - Fonte: Rosanna Conte, art. cit. infra

[...] La gattara, Lina Meiffret, con la sua naturalezza, era al primo impatto la moglie del dottore Scudieri, il “medico dei papi”, e di certo le famiglie di Salvatore Mazzella e Giovanni Mazzella, con le quali ha avuto rapporti ultradecennali, non potevano immaginare che quella signora così affabile e che amava fermarsi a parlare con loro un po’ di tutto, avesse dentro di sé una storia di dolore e di tanto spessore.
A Ponza, la potevi ritrovare in diversi periodi dell’anno, in estate come in inverno, sempre in abbigliamento comodo e poco ricercato che le consentiva di camminare sicura per i sentieri di Frontone; e stiamo parlando degli anni Cinquanta.
[...] Ma chi era la signora Scudieri e perché ne voglio parlare?
 

Lina Meiffret a Ponza (per gentile concessione di Emilia Giacometti Loiacono) - Fonte: Rosanna Conte, art. cit. infra

Al di là di quanto si sapeva di questa signora che ormai pochi ricordano, ma che per anni si è un po’ identificata con Frontone, non avevo nessuna idea di chi fosse. La scorsa estate, al termine della presentazione del libro “La colonia confinaria di Ponza: 1928-1939” mi si avvicinò una signora che, dopo aver commentato la serata, si presentò dicendo che era una frequentatrice di Ponza e che abitava nella casa che era stata della gattara a Frontone.
Non era parente, ma suo marito era figlio di una cara amica della signora Scudieri e a lui, in ricordo dello stretto legame affettuoso con sua madre e sua nonna, aveva lasciato la casa in cui aveva abitato per tanti anni quando veniva sulla nostra isola. Ma la parte interessante di quel breve colloquio fra noi due, riguardò un lavoro, pubblicato l’anno precedente, in cui lei aveva ricostruito le vicende antifasciste di Lina Meiffret, il nome della signora Scudieri. Mi promise che me l’avrebbe inviato e così è stato. L’articolo Lina Meiffret: storia di una partigiana sanremese deportata nei lager nazisti e dei suoi documenti è stato pubblicato nel 2019 sulla rivista  Per leggere n. 36.
Intanto mi devo complimentare con la mia interlocutrice, Sarah Clarke, perché ha riportato alla nostra visibilità i tratti di una donna del cui passato a Ponza poco si sapeva, anche se, dalle poche testimonianze raccolte, nessuno ha avuto mai dubbi sulla sua forza, perseveranza, capacità di relazionarsi con tutti, amore per la natura e per le cose semplici.
La fonte principale di riferimento è stato un articolo di Italo Calvino del 1945 pubblicato su La nostra lotta col titolo “L’odissea di una internata”. Il suo contenuto è il racconto che Lina Meiffret fece delle sue vicissitudini, quando si erano appena concluse, al giovane scrittore, suo caro amico, col quale aveva condiviso gli anni della gioventù e della formazione politica. Ed è rimasta l’unica pubblicazione su di lei. Sarah Clarke, ha integrato le notizie lì esposte con quanto ha ritrovato nell’archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Imperia, riportando in appendice l’intera intervista così come era stata organizzata da Calvino.
[...]
Rosanna Conte, La gattara di Frontone (prima parte), Ponza Racconta, 16 marzo 2021 

[n.d.r.: Lina Meiffret e Renato Brunati furono anche protagonisti dell'attività clandestina antifascista in Sanremo, tesa alla costituzione del CLN]

Lina Meiffret - Fonte: Rosanna Conte, art. cit. infra

Lina (Emanuela Maria Angela), nata nel 1917, apparteneva ad una agiata famiglia sanremese e avrebbe potuto condurre una vita spensierata, dedita al divertimento e ai rapporti sociali gratificanti come fecero molte ragazze borghesi degli anni trenta, senza chiedersi cosa stesse succedendo intorno a lei. Invece Lina aveva uno spessore culturale, morale e politico che le chiedeva impellentemente di agire contro la barbarie nazi-fascista che stava dilagando in tutta Europa.
Parlava correntemente inglese, tedesco e francese, amava la poesia, la filosofia, la natura e aveva frequentazioni non di poco conto, come Italo Calvino, il prof. Amoretti, espulso dal liceo di Imperia per aver rifiutato la tessera fascista, ed altri antifascisti come Aurora Ughes e Dino Giacometti, i nonni del marito di Sarah Clarke. Nel giro di case che frequentava è probabile che  incontrasse anche il giovane Eugenio Scalfari che andava a lezione da Amoretti.
La sua decisione di agire è da collegare all’invasione nazista della Francia nel 1940. Lina, che era a Parigi perché studiava alla Sorbona, fu costretta a scappare e, tornata a Sanremo, entrò in contatto con i gruppi antifascisti legati alla locale sezione del PCI, a cui lei, convinta marxista, era iscritta.
Iniziò così la sua attività clandestina di partigiana durante la quale agì insieme a Renato Brunati, un giovane scrittore poeta e filosofo, che aveva svolto già in precedenza attività politica recandosi in Spagna per il “Soccorso rosso” (organizzazione internazionale a  fini umanitari che forniva  assistenza a coloro che, durante le rivolte operaie, erano imprigionati per il loro ruolo nella ribellione, organizzando anche campagne per l’amnistia ai prigionieri condannati a morte).
I due giovani, accomunati dalla passione politica, artistica e letteraria, si legarono anche affettivamente e all’indomani dell’8 settembre si attivarono per cercare basi in cui organizzare la resistenza. Lina mise a disposizione la sua villa di Baiardo, distante dieci chilometri da Sanremo, dove venivano raccolte le armi che si riuscivano a reperire e trovavano riparo i fuggiaschi. Fu con questa organizzazione che salvarono anche due ufficiali inglesi sbandati.
Quando furono arrestati, il 14 febbraio del ’44, furono condotti prima ad Imperia dove per diciassette giorni furono torturati dagli aguzzini fascisti ben noti ai partigiani. Lina non scorderà mai né riuscirà mai a far tacere nella sua mente le urla di Renato durante gli interrogatori. Portati poi al carcere di Marassi a Genova, furono separati per sempre.
Renato ne uscì a maggio per essere fucilato, nella zona del passo del Turchino, insieme ad altri 59 prigionieri politici come rappresaglia per l’uccisione di cinque militari tedeschi.
Lina, il 13 aprile, fu mandata in un campo di lavoro in Germania. L’inferno di Marassi, dopo le torture subite ad Imperia, aveva contributo a debilitarne il fisico per la fame (il rancio giornaliero era costituito da acqua calda, un cucchiaio di pasta nera  e quattro pezzi di rape) e gli estenuanti interrogatori a cui era sottoposta.
[...]
Lina fece anche l’esperienza di un campo di disciplina a Oberndorf, nella Foresta Nera. Sveglia alle tre del mattino, appello e quattro giri di campo di corsa, poi al lavoro in una  fabbrica di fucili. Rientro a mezzogiorno nel campo dove il povero rancio - acqua, poca pasta e cinque patate - diventava una tortura perché doveva essere ingerito in due minuti ed era bollentissimo. Chi non ce la faceva era accusato di sabotaggio, veniva picchiato e messo in prigione.
[...]
 

Documento falso rilasciato dal Commissario Prefettizio del Comune di Ospedaletti a Lina Meiffret, qui chiamata Emanuela Signorelli. Per gentile concessione di Emilia Giacometti Loiacono - Fonte: Rosanna Conte, art. cit. infra

Tutto questo mentre i campi venivano bombardati e nonostante i tentativi di evasione falliti di cui era riuscita, probabilmente, ad informare la famiglia vista la preparazione nel dicembre del 1944 di un documento falso con la sua foto [...]
Rosanna Conte, La gattara di Frontone (seconda parte), Ponza Racconta, 17 marzo 2021 
 
Nel campo di Stoccarda Lina incontrò, finalmente, un medico umano che le fece ottenere un foglio di trasferimento a Vienna per motivi di salute: un bombardamento aveva distrutto il locale dove erano conservati i dossier degli internati e la prigioniera politica Meiffret poté risultare, secondo il certificato medico, una lavoratrice volontaria, come i tanti che erano partiti dall’Italia per andare a lavorare nella grande Germania pensando ad una collaborazione col popolo tedesco e che invece si ritrovarono ad essere trattati alla stregua di prigionieri, anche se potevano usufruire, per motivazioni eccezionali, di qualche garanzia.
Le conoscenze che Lina aveva a Vienna le consentirono, corrompendo un ispettore dell’Organizzazione Todt che installava bunker e faceva lavori connessi ai disastri della guerra, di ottenere un libretto di lavoro per la cittadina italiana di Dobbiaco dove Lina non si fermò, ma, proseguendo, giunse  in Brianza. Qui si fermò presso amici fino alla liberazione, quando tornò a Imperia.
Di sicuro era una persona fisicamente distrutta e spiritualmente lacerata. Dovette curarsi a lungo, anche ricoverandosi in sanatorio,  e al di là dell’intervista a Calvino, per quarant’anni non volle parlare con nessuno della sua esperienza di arresto e deportazione. L’unica persona con cui si confidava era la vecchia amica Aurora Ughes, la nonna di Francesco Loiacono, il marito di Sarah Clark. A lei raccontò tutto. Ma negli anni Ottanta fu chiamata a riconoscere in un arrestato il suo seviziatore: rimase sotto shock  per diversi giorni e, per convincersi che lo straziante dolore che tornava dal passato non era inutile, diceva a se stessa e a chi le stava vicino “Perché questo non si ripeta”.
La forza morale e la ricchezza intellettuale che l’hanno sempre accompagnata le permisero di ritrovare la strada per riprendere a vivere. Una svolta importante fu l’incontro con Mario Scudieri, un medico che amava le lunghe e solitarie passeggiate in montagna, e che divenne il compagno della seconda parte della sua vita. Sposati nel 1948, insieme vennero a Ponza dove trovavano quel silenzio e quella pace di cui avevano bisogno.
[...] Le bellezze del paesaggio, la tranquillità della vita isolana e l’incontro con i ponzesi, fossero essi semplici o colti,  creavano il contesto giusto in cui Lina poteva proseguire nel recupero di se stessa. Ponza rappresentava per lei "una fuga dai tanti e terribili ricordi, una medicina per l’anima, un’ancora di salvezza alla vita" scrive Sarah Clarke che, avendola frequentata per anni, ce la ritrae schiva e riservata, semplice ed essenziale.
E, negli anni Cinquanta, essenziale era la vita dei ponzesi in sintonia con le sue esigenze. Ne frequentò diversi e tutti quelli che l’hanno frequentata la ricordano come una donna affabile, gentile, cordiale, una donna che amava parlare della quotidianità ma anche  di arte e letteratura, una donna interessante che era nelle cose che faceva perché vi partecipava con tutto il cuore.
E il cuore di Lina, dove per tutta la vita ebbero il loro posto incontrastato Renato e Mario, si è fermato nel 2004.
Al termine di questo percorso non possiamo che ringraziare Sarah Clarke per aver recuperato la storia di Lina e averla divulgata pubblicandola. La ringraziamo altresì per avercela fatta pervenire in modo da parlarne anche fra noi ponzesi: Lina, la gattara di Frontone, ci aveva scelti come giusto antidoto all’immenso dolore che si portava dentro [...]
Rosanna Conte, La gattara di Frontone (terza parte), Ponza Racconta, 21 marzo 2021  

Alipio Amalberti, nato a Soldano l'11 febbraio 1901, già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna a Baiardo (IM) insieme a Renato Brunati di Bordighera, fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino e Lina Meiffret, proprietaria di una villa poco fuori Baiardo, punto di riferimento e talora rifugio di quella piccola banda, che, catturata insieme al fidanzato Brunati, venne deportata in un campo di concentramento in Germania, da cui tornò fortemente provata, ma salva. Arrestato il 24 maggio 1944 a Vallecrosia e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, Alipio Amalberti venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un'azione del distaccamento di "Artù",  Arturo Secondo, compiuta il 31 maggio 1944.                                                                                     Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Imperia
Giunge ora notizia che il 5 corrente la G.N.R. dopo lunghe e laboriose indagini ha arrestato il maggiore Enrico ROSSI, il tenente Alfonso TESTAVERDE e il tenente Angelo BELLABARBA.
I tre ufficiali, provenienti dal servizio permanente dell'ex esercito regio, avevano tenuti contatti con la professoressa Emanuela MAIFRET e con l'amante di lei Renato BRUNATI, già arrestati dalla G.N.R. il primo marzo c.a. e consegnati alle S.S. di Genova, perché responsabili di attività sovversiva.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana [R.S.I.], 11 giugno 1944, pagina 27, Fondazione Luigi Micheletti

Rivedo Lina Meyfrett [Lina Meiffret] che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle occhio lucido, Graphot/Spoon river, Torino 2012

Per leggere | 2019 | N. 36
Anno 2019 - Annata: XIX - N. 36
A cura di Francesca Latini
[...]
Autore/i articolo: SARAH CLARKE
Titolo articolo: Lina Meiffret: storia di una partigiana sanremese deportata nei lager nazisti e dei suoi documenti
Il saggio ricostruisce, attraverso lo studio delle carte ora in possesso di Emilia Giacometti Loiacono e un lavoro di scavo condotto su documenti conservati presso l’ISRECIM, le vicende di Lina Meiffret e del suo compagno Renato Brunati, attivi militanti della lotta di liberazione dal nazifascismo. Renato Brunati morirà tragicamente fucilato al Turchino nel maggio del ’44. Lina Meiffret conoscerà invece gli orrori del campo di deportazione, rievocati nell’intervista uscita nel ’45 su “La nostra lotta” col titolo “L’odissea di una internata”. L’importante testimonianza pubblicata sull’organo del PCI sanremese diretto da Italo Calvino e Lodovico Luigi Millo è ristampata qui in “Appendice” in versione integrale. Lina Meiffret, che era stata finora solo un nome tra i tanti rammentati da Italo Calvino in “Ricordo dei partigiani vivi e morti”, viene adesso fatta conoscere per quell’impegno civile che la portò, già dal settembre del ’43, a organizzare un movimento di propaganda antifascista, a offrire la propria villa di Baiardo per la raccolta di armi e munizioni destinate ai partigiani operanti in montagna, a esporsi in azioni di sabotaggio contro l’occupazione tedesca.
[...]
Autore/i articolo: FRANCESCA LATINI
Titolo articolo: Le carte calviniane di Lina Meiffret
Il saggio analizza le carte calviniane di Lina Meiffret. Si compone di una disamina delle varianti dei dattiloscritti di “Angoscia in caserma” e “La stessa cosa del sangue”, seguita dall’esame della ‘varia lectio’ di “Andato al comando”, racconto che nel manoscritto, qui pubblicato in edizione critica, si intitolava “Radura”. Il risultato dell’investigazione filologica condotta sull’autografo conferma l’ipotesi già a suo tempo avanzata da Falaschi relativamente ad altre carte calviniane e quindi ribadita da Falcetto: alla base tanto del testo edito sul “Politecnico”, quanto di quello poi riproposto in “Ultimo viene il corvo” sta la redazione di questo importante manoscritto ritrovato. In “Appendice” si offrono informazioni su “Visita medica”, testo adespoto e incompiuto, conservato nello stesso fascicolo di carte calviniane della Meiffret, in cui piccoli dettagli narrativi possono essere interpretati come indizi di una paternità calviana.
[...]
Italinemo

venerdì 26 febbraio 2021

Nome di battaglia "Santiago"

Italo Calvino, Autoritratto, 1942 - Fonte: Internet Culturale

[...] L’Italia é divisa in due. Mentre il sud é sotto il controllo degli angloamericani, il nord é sotto il dominio dei tedeschi e dei fascisti della repubblica di Salò. Sempre nel nord, nascono i primi gruppi di partigiani, che condurranno una dura lotta contro i nazifascisti, fino alla liberazione, il 25 aprile del 1945.
 

Calvino, Un contadino ligure con il tipico pesante piccone a tre becchi (magaiu). "Richiede braccia e schiena fortissime, piedi ben piantati a terra, ostinazione feroce...": Italo Calvino - Fonte: Internet Culturale

Mussolini a cavallo, disegno di Calvino. "I primi venti anni della mia vita li ho passati con l’immagine di Mussolini sempre davanti agli occhi, perché il suo ritratto era appeso in tutte le aule scolastiche come in tutti gli uffici e nei locali pubblici" - Fonte: Internet Culturale

Gli eventi del giugno 1943 suscitano nel giovane Calvino ventenne, antifascista in virtù delle posizioni politiche della famiglia d’origine, la speranza che l’Italia si risollevi. Tuttavia, dopo gli avvenimenti del mesi di settembre, la situazione si fa drammatica anche a San Remo, occupata dai tedeschi: i giovani vengono chiamati alle armi, obbligati a militare nelle fila dell’esercito della Repubblica di Salò. Italo non si presenta alla leva ma si nasconde, aderendo al Partito Comunista italiano. Nel 1944, insieme al fratello Floriano, si unisce ad un gruppo di partigiani. Combatte su quelle stesse montagne dell’interno della Liguria che, durante gli anni dell’adolescenza, aveva tante volte percorso in compagnia del padre, appassionato cacciatore. Quarant’anni più tardi, in uno dei suoi ultimi articoli, Calvino ricorderà questa esperienza come estremamente importante nella sua gioventù.
[...] Calvino partecipa alla Resistenza in una formazione di ispirazione comunista. "Mi è stato difficile raccontare in prima persona i miei ricordi di guerra partigiana. Potrei farlo secondo varie chiavi narrative tutte egualmente veritiere: dal rievocare la commozione degli affetti in gioco, dei rischi, delle ansie, delle decisioni, delle morti, al puntare in cambio sulla narrazione eroicomica delle incertezze, degli errori, dei disguidi, delle disavventure in cui incappava un giovane borghese, impreparato politicamente, privo d’ogni esperienza di vita, vissuto in famiglia fino allora" [...]
Redazione, Incontro con Italo Calvino. La guerra a vent'anni, Internet Culturale

Fonte: Internet Culturale

Egli [Italo Calvino], in una risposta al questionario di un periodico milanese, "Il Paradosso", si definisce un anarchico. "La mia scelta del comunismo non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche. Sentivo la necessità di partire da una "tabula rasa" e perciò mi ero definito anarchico (...). Ma soprattutto sentivo che in quel momento quello che contava era l'azione; e i comunisti erano la forza più attiva e organizzata". Ma proprio grazie all'esperienza di quegli anni di clandestinità imparerà ad ammirare l'organizzazione partigiana comunista oltre alla particolare forza di spirito che animava i suoi uomini. In una lettera all'amico Scalfari dirà: "La mia vita in quest'ultimo anno è stato un susseguirsi di peripezie (...) sono passato attraverso una inenarrabile serie di pericoli e di disagi; ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato più volte sull'orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto fare di più".
Il 17 marzo 1945, quando ormai gli alleati sono in Italia, Calvino è protagonista attivo nella battaglia di Baiardo, una delle ultime battaglie partigiane. Ricorderà l'evento nel racconto Ricordo di una battaglia, scritto nel 1974. (Il suo nome da partigiano era "Santiago", dal nome del paesino cubano - Santiago de Las Vegas, vicino all'Avana - dove egli era nato 20 anni prima).
L'esperienza partigiana sarà alla base del suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno e della raccolta di racconti Ultimo viene il corvo. Dopo la Liberazione, mentre la sua inclinazione anarchica e libertaria non affievolisce, in lui va costruendosi un'ampia e complessa visione del mondo che non cede a semplificazioni politiche e sociali [...]
Partigiano Michele Mario Miscioscia, 9 Marzo 2015

Nel 1941 [Italo Calvino] si iscrisse senza convinzione alla Facoltà di Agraria <26 dell’Università di Torino, dove sostenne solo quattro esami, poi nel gennaio del ‘43 si trasferí a Firenze, dove ne sostenne altri tre, ma già nell’agosto di quell’anno a seguito degli avvenimenti bellici fece ritorno a Sanremo dove fu costretto a nascondersi, avendo rifiutato di arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana.
Nel febbraio del ’44 dopo la morte del medico comunista Felice Cascione, Calvino chiese di entrare nel PCI. Nel giugno dello stesso anno, insieme al fratello sedicenne Floriano, si unì ai partigiani del XVI distaccamento della V Brigata Garibaldi, che combatteva sulle Alpi Marittime. <27 L’esperienza della guerra partigiana si rivelò fondamentale per la maturazione dell’autore ed egli stesso la considerò sempre tale. In una lettera all’amico Scalfari scrive: "La mia vita in quest’anno è stata un susseguirsi di peripezie [...] sono passato attraverso una inenarrabile serie di pericoli e di disagi; ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato piú volte sull’orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto fare di piú". (CALVINO, 1991: LXVII)
Una delle esperienze piú dolorose, una ferita che Calvino considerò non rimarginabile, fu l’arresto dei genitori, che subirono pressioni e torture psicologiche perché rivelassero dove erano nascosti i figli. <28 Tutti questi eventi che si concentrano nell’ultimo anno di guerra forniranno all’autore materiale per alcuni racconti e per il suo primo romanzo, "Il sentiero dei nidi di ragno".
[NOTE]
26 La scelta di Agraria fu dettata dal desiderio di compiacere i genitori, ma non corrispondeva agli interessi letterari già manifesti nello scrittore:«Sono figlio di scienziati...Tra i miei familiari solo gli studi scientifici erano in onore...io sono la pecora nera della famiglia, l’unico letterato della famiglia».( CALVINO, 1995: 2709)
27 Come si vedrà più avanti, i movimenti dello scrittore durante la guerra partigiana sono stati indagati soprattutto da P. Ferrua in 'Italo Calvino a San Remo', San Remo, Famija Sanremasca, 1991, e sono in parte ancora da acclarare. D’altra parte Calvino fu sempre estremamente parco di informazioni sul suo passato di partigiano. Scrive Milanini: «Sembra quasi che l’autore, spinto dal desiderio di torcere il collo ad ogni tentazione narcisistica, si sia rifugiato programmaticamente nell’antiretorica della modestia (come quando dichiara di essere «l’ultimo dei partigiani»), se non proprio nella reticenza oltranzistica». (MILANINI, C., 1997: 173)
28 Calvino parla di questa vicenda in una lettera del 6 luglio 1945 a Scalfari: «Saluta i tuoi genitori e abbiti i saluti dei miei. Ne hanno passate parecchie anche loro: furono arrestati per un mese ciascuno come ostaggi; mio padre fu lì lì per essere fucilato sotto gli occhi di mia madre». (CALVINO, 2000: 149-50)

Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016

Sanremo (IM): ex Forte di Santa Tecla

Il 15 novembre [1944] i nazifascisti danno il via al rastrellamento di San Romolo, che parte dalle valli sottostanti e dura una decina di giorni. Alcuni partigiani (tra cui Floriano Calvino) riescono a fuggire, altri (tra cui Aldo Baggioli) vengono uccisi sul posto, parecchi vengono catturati. Italo [Calvino], risvegliato all'alba del 15 novembre dal rumore delle porte sfondate nei casolari dei dintorni, viene catturato mentre si allontana da San Giovanni [Frazione di Sanremo situata molto più in basso di San Romolo] in compagnia di Juarès Sughi: si salva dalla fucilazione immediata grazie a un foglio di licenza che porta con sé, un foglio che proveniva insieme con altri da un regolare reparto di stanza presso Ancona (questi fogli erano stati distribuiti ai partigiani grazie alla lungimiranza di un compagno che se ne era impadronito mentre era militare nelle Marche, Guido Pancotti, il futuro «ingegner Travaglia» della Speculazione edilizia). Stando alla domanda all'ANPI (che per mancanza di righe costringeva a risposte ultra-sintetiche), Italo trascorse tre giorni nella fortezza-carcere di Santa Tecla (sul Porto Vecchio di Sanremo); secondo altre testimonianze venne recluso a Santa Tecla per un giorno e poi per altri due a Villa Giulia o a Villa Auberg (ovvero Villa Ober; Grignolio [Ghepeu], con cui ho avuto l'onore di parlare di recente, propende per Villa Giulia). Fulvio Goya, in un'intervista rilasciata dopo più di quarant'anni, ha offerto un ricordo assai vivido della notte insonne trascorsa insieme con Italo e Mario Calvino a Santa Tecla tra il 15 e il 16 novembre, e dell'appello tenuto all'alba del 16: «Eravamo nell'anti-cella del carcere di Santa Tecla, c'era una finestra con le grate da dove si vedeva il cortile. Siamo stati lì senza bere e senza mangiare e ci lasciavano uscire da una porticina laterale per andare ai gabinetti pubblici. Vi fu un bombardamento. Sul tetto della prigione avevano installato una batteria contraerea. Noi eravamo lì ma non potevamo scappare, c'erano sentinelle armate. Chiesi a Italo - non appena vidi, ad altezza dei nostri occhi, gli stivali dei componenti del plotone di esecuzione - se i tedeschi ci avrebbero fatto agonizzare a lungo. Mi rispose di no: "I tedeschi ti stecchiscono e ti lasciano lì". Letto l'elenco dei nominativi ci fecero uscire e ci portarono oltre il portone di Santa Tecla dove c'era un camion che ci aspettava ... avevano invece fucilato gli altri, quelli che non avevano chiamato, poi li han buttati in mare». Attesa della morte in un albergo include la rievocazione retrospettiva di «un giorno e una notte» passati nella fortezza sul porto, entro una stretta cella che era servita in precedenza «da prigione di rigore per i soldati tedeschi» e nella quale ora erano state rinchiuse una ventina di persone, costrette a dormire per terra l'una al fianco dell'altra. Ma la scena principale del racconto coincide appunto con l'ultimo piano di «un grande albergo da poco degradato a  caserma e a prigione», dove alcuni rastrellati sono appena stati trasferiti da Santa Tecla per essere passati in rivista da un partigiano rinnegato, un ragazzo esaltato e bizzoso [...] Ecco la presenza a Santa Tecla di un vecchio padre con la barba bianca «vestito da cacciatore» (Mario Calvino aveva l'abitudine di indossare anche in città una cacciatora di fustagno); ecco il tema dei falsi documenti [...] Insomma Italo, non riconosciuto o per lo meno non denunciato come partigiano, fu considerato uno dei tanti renitenti alla leva. E mentre Juarès Sughi e Fulvio Goya e altri suoi compagni di prigionia a Santa Tecla vennero condotti nel carcere genovese di Marassi, egli fu arruolato d'ufficio nella Repubblica Sociale e relegato per qualche tempo nel Deposito Provinciale di Imperia. Nessun documento attesta per quanti giorni sia rimasto a Imperia, né quando sia riuscito a scappare. Su tutte le vicende calviniane comprese fra il 19 novembre 1944 e il 1° febbraio 1945 anche le testimonianze offerte da quanti vissero quel difficile periodo sono manchevoli o troppo vaghe o contraddittorie.
Claudio Milanini, Appunti sulla vita di Italo Calvino, 1943-1945, «Belfagor», LXI, 1, 2006

In quel frattempo, il capitano della G.N.R. mi pregò di accompagnarlo a S. TECLA, dove desiderava conferire col comandante FORSTER circa la sorte del prof. CALVINO e suo figlio arrestati e colà detenuti. In seguito al colloquio, il prof. CALVINO ed il figlio passarono a disposizione del capitano SAINA [Sainas] della G.N.R.
Ernest Schifferegger, * già SS ed interprete, in un verbale di reinterrogatorio confluito in un documento del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense, antenata della CIA *[Ernest Schifferegger era un italiano altoatesino che in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. Il rapporto dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo]

Durante la Repubblica di Salò Italo Calvino si nascose per renitenza alla leva, intensificando in questo periodo di reclusione le sue letture, che contribuirono in modo determinante alla sua sempre attiva formazione di letterato autodidatta.
Nel 1944, presentato al Pci, si unì alle forze partigiane in opposizione al nazifascismo: la sua decisione di affiancare i comunisti non fu però determinata da motivazioni ideologiche, quanto piuttosto dalla volontà di unirsi ad una forza dinamica ed operosa. L’attiva partecipazione alla guerra partigiana divenne un’esperienza di formazione umana, oltre che politica, offrendo un contributo decisivo alla sua formazione interiore e alla sua carriera di scrittore: egli raccolse lo spirito che animava gli uomini della Resistenza, cioè «una attitudine a superare i pericoli e le difficoltà di slancio, un misto di fierezza guerriera e autoironia sulla stessa propria fierezza guerriera, di senso di incarnare la vera autorità legale e di autoironia sulla situazione in cui si trovava a incarnarla, un piglio talora un po’ gradasso e truculento ma sempre animato da generosità, ansioso di far propria ogni causa generosa». <13
In risposta a questo intenso periodo Calvino partecipò alla battaglia di Baiardo (17 marzo 1945) rievocata dallo scrittore in "Ricordo di una battaglia" nel 1974.
Il pensiero politico di Calvino cominciò a definirsi in questo periodo, non come una presa di posizione univoca, ma come l’unione di tutti i percorsi possibili per costruire una realtà migliore, libera da pregiudizi, dal potere di pochi, e da istituzioni vecchie ed esauste <14.
[NOTE]
13 Italo Calvino, in La generazione degli anni difficili, a cura di Ettore A. Albertoni, Ezio Antonini, Renato Palmieri, Bari, Laterza, 1962, pp. 75-87.
14 Mario Barenghi, Cronologia, cit., pp. LVI-LVII.

Chiara Mazzullo, C’era una volta… Italo Calvino e le Fiabe italiane. Un'analisi di scopi, metodi e fonti, Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2013-2014

[...] Quando viene costituita la Repubblica Sociale Italiana, con a capo Mussolini, il suo Governo richiama alcune classi per organizzare l’esercito repubblicano. Vengono, come è noto, affissi i manifesti con la chiamata alle armi della classe 1923, Calvino non si presenta e rimane nascosto.
Poi vaga per qualche tempo sulle colline a monte della città, in terre di proprietà del padre, fino a che non è obbligato a prendere definitivamente la via dei monti per non venire arrestato dalla polizia fascista come disertore.
Entra a far parte di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, che è stanziata in località Beulla o si muove nei territori dei Comuni di Baiardo e di Ceriana.
La formazione è comandata da Candido Bertassi detto “Capitano Umberto”.
Calvino vi rimane finché non inizia il suo graduale sfaldamento.
Dopo lo scontro vittorioso con il nemico in località Carpenosa, avvenuto il 15 giugno 1944, con alcuni studenti suoi amici (Aldo Baggioli, Massimo Porre, Renzo Barbieri ed altri), Calvino entra a far parte del 16° Distaccamento della IX Brigata Garibaldi, comandato da Bruno Luppi (Erven), dislocato in Cian Colombo, nei pressi del borgo di Vignai (Comune di Badalucco). Dopo alcuni scontri col nemico e la furiosa battaglia di Sella Carpe, svoltasi il 27 di giugno,
durante la quale rimane gravemente ferito il Luppi ed alcuni garibaldini cadono eroicamente, il 16° Distaccamento si scioglie e gli uomini sono incorporati in altre formazioni.
[...] Il 5 di settembre Calvino partecipa alla difesa di Baiardo attaccata dal nemico (il quale viene sconfitto) e poi, per tutta una serie di motivi, il primo ottobre 1944, entra a far parte del Distaccamento partigiano comandato da Jaures Sughi (Leone), formazione della Brigata Cittadina GAP “Giacomo Matteotti”, che opera sulle colline intorno a Sanremo, a sua volta comandata da Aldo Baggioli (Cichito).
Il 15 di novembre i tedeschi rastrellano la zona di San Romolo, a monte di Sanremo, cade il Baggioli, alcuni partigiani sono catturati.
Calvino viene arrestato ma, per un fortuito caso, è risparmiato e, dopo tre giorni di carcere trascorsi nella fortezza Santa Tecla, è arruolato nell’esercito repubblichino ed entra a far parte del Deposito Provinciale come scritturale, al servizio del Tribunale Militare.
Quando riesce a fuggire, raggiunge la V Brigata Garibaldi “Luigi Nuvoloni” comandata da Armando Izzo (Doria-Fragola), la quale, con la IV “Elsio Guarrini” formano la II Divisione “F. Cascione”.
È incorporato nel 3° Distaccamento comandato da Giobatta Moraldo (Olmo), che fa parte del I Battaglione della V Brigata stessa.
Durante l’inverno 1944-’45 Calvino riesce a sopravvivere nonostante il freddo, la fame e il terrore instaurato dal nemico in alcuni paesi di montagna. Dal 2 febbraio, e nelle settimane successive, in compagnia del fratello Floriano (giovanissimo della classe 1927), anche lui garibaldino, Italo si trova a contatto con il nemico a Ciabaudo in Valle Oxentina, a Gerbonte, a Creppo, a Bregalla, località a nord-ovest di Triora, in Valle Argentina.
Il 10 di marzo 1945 partecipa alla battaglia di Baiardo come porta munizioni, combattuta dal I Battaglione “M. Bini” della V Brigata, comandato da Vincenzo Orengo (Figaro), con lo scopo di distruggere il presidio nemico composto dalla IX Compagnia bersaglieri, che è agli ordini del capitano Buratti.
Quei bersaglieri avevano causato molte sofferenze alla popolazione locale.
Dirige l’operazione Gino Napolitano (Gino), vicecomandante la V Brigata stessa. Calvino ricorda questa battaglia in un importante articolo pubblicato in prima pagina sul giornale Il Corriere della Sera (di Milano), del 25 aprile 1974.
Nei primi giorni di aprile, si trasferisce con la Brigata al campo di lancio rifornimenti alleati, in Pian Rosso, a monte di Viozene (Comune di Ormea, basso Cuneese).
Il 25 aprile scende a Sanremo con la sua formazione. [...]
Francesco Biga, A 20 anni dalla morte del grande scrittore. Italo Calvino, il partigiano chiamato "Santiago", Patria Indipendente, 29 gennaio 2006

In seguito alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943, Calvino fonda il Movimento universitario liberale (MUL), e dopo l'8 settembre si orienta verso i comunisti. Nel giugno del ’44 si arruola nel XVI distaccamento della IX brigata garibaldina (comunista) Felice Cascione. Il distaccamento di Calvino si scioglie a fine giugno dopo una sconfitta a Sella Carpe. Tra l’ottobre e il novembre 1944 Calvino partecipa con il fratello Floriano alla brigata garibaldina sanremese Giacomo Matteotti, viene catturato durante un rastrellamento, poi arruolato d’ufficio nella Repubblica Sociale e relegato nel Deposito Provinciale di Imperia, da cui riesce a fuggire. Inoltre nell’autunno dello stesso anno la madre viene presa in ostaggio dai tedeschi per un mese, e il padre per altri due.
Tra il febbraio e l’aprile 1945 Calvino milita con suo fratello nella II divisione d’assalto garibaldina Felice Cascione; partecipa a più battaglie, tra cui quella vittoriosa di Bregalla e quella infruttuosa di Baiardo, che nel 1974 rievocherà nel racconto Ricordo di una battaglia. Tra i suoi compagni, alcuni futuri personaggi del Sentiero dei nidi di ragno: Giuseppe Vittorio Guglielmo e Ivar Oddone (rispettivamente, nel romanzo, il comandante Ferriera e Kim).
Rossana Labernarda, Calvino nella scuola: "Il sentiero dei nidi di ragno" e altro tra Calabria e Toscana, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 

Insomma Italo, non riconosciuto o per lo meno non denunciato come partigiano, fu considerato uno dei tanti renitenti alla leva. E mentre Jaurès Sughi e Fulvio Goya e altri suoi compagni di prigionia a Santa Tecla vennero condotti nel carcere genovese di Marassi, egli fu arruolato d'ufficio nella Repubblica Sociale e relegato per qualche tempo nel Deposito Provinciale di Imperia <31.
Nessun documento attesta per quanti giorni sia rimasto a Imperia, né quando sia riuscito a scappare. Su tutte le vicende calviniane comprese fra il 19 novembre 1944 e il 1° febbraio 1945 anche le testimonianze offerte da quanti vissero quel difficile periodo sono manchevoli o troppo vaghe o contradditorie.
Dei lunghi giorni (forse due o tre settimane) trascorsi nel Deposito di Imperia, e della successiva fuga, ci parla però diffusamente Angoscia in caserma.
31 Cfr. anche Biga, Italo Calvino partigiano imperiese cit., p. 97.
Claudio Milanini, Appunti sulla vita di Italo Calvino, 1943-1945, «Belfagor», LXI, 1, 2006

[...] Il secondo, peraltro brevissimo, colloquio con Italo avvenne nell’autunno del 1943. Svolgeva alcune mansioni presso il Tribunale di Piazza Colombo (edificio che non esiste piú) e ogni tanto usciva per scambiare qualche parola col figlio del Prof. Zauli (mi pare si chiamasse Floriano anche lui, come il padre, insegnante nella Scuola di Avviamento Professionale, sita nello stesso edificio, al di sopra del Mercato dei Fiori). Un certo giorno Italo si rivolse al figlio di Zauli, il quale additò Cagnin (mi pare), che a sua volta lo diresse verso qualcun altro (forse Agostino de Gregorio, anche lui, come me, precoce antifascista) e poi si presentò da me. "Dovresti portare d’urgenza questo bigliettino nel negozio di fiori di Bottini, accanto a Barillaro, in Via Vittorio. Sai dov’è? Non farti notare e torna subito". Il messaggio era diretto a Kahneman e gli suggeriva di nascondersi perché "sarebbero venuti a cercarlo". La mia irruzione frettolosa in negozio sollevò qualche perplessità, forse perché c’era un’avventrice che avrebbe potuto sospettare qualcosa. Comunque il messaggio era giunto a destinazione (seppi poi che il Kahneman era nascosto addirittura nel palazzo in cui abitavo io, al n. 9 di Via Gioberti, in un deposito appartenente al fiorista Bottini). Non è chiaro se Italo agisse a titolo personale o facesse già parte di un’organizzazione clandestina, né se in Kahneman proteggesse l’ebreo, l’antifascista o il fratello del suo compagno di scuola Francesco. Me lo vidi davanti, improvvisamente, assieme ad altri partigiani che portavano il fazzoletto blu delle bande del Cap. Umberto, a me note perché ne faceva parte mia cugina Ada Galletti, la quale ogni tanto veniva a rifornirsi di viveri presso i parenti, accompagnata da un certo Ormea. Ero orgoglioso di lei non solo perché combatteva contro il nazifascismo, ma anche perché le donne armate scarseggiavano, anche fra i "garibaldini". Assieme ad Italo c’era qualcun altro che mi conosceva, forse Franco Giordano (ma non lo giurerei perché l’ho visto, a quei tempi, in tante circostanze), forse Ravotti (fratello di un croupier del Casino di Venezia che conoscevo sin da piccolo). Calvino sembrò riconoscermi e mi sorrise, ma disse solo: "Ah! Sei lí?" (scoprii poi che era un suo modo caratteristico e laconico di esprimersi che adoperava addirittura anche col fratello). Avevano premura di giungere verso Ceppo prima del tramonto (seppi solo piú tardi che venivano tutti da una battaglia, forse quella di Coldirodi, e temevano forse di essere inseguiti). Mio cugino Franco Moriano si incaricò di dar loro indicazioni precise sui sentieri da seguire. Non mi pare di aver piú rivisto Calvino (tranne forse accanto a Gino, nei pressi del cimitero di Bajardo la domenica che scappai dalla mamma per raggiungere i partigiani) [...]  Pietro Ferrua, Incontri e scontri con Italo Calvino, 25 aprile 2012 in Ra.forum

Nel Sentiero c’è un altro giovane eroe, un’altra figura positiva, che nasce dall’esperienza autobiografica dell’autore e di cui vorremmo parlare. Si tratta di Lupo Rosso. Nella realtà Lupo Rosso è Sergio Grignolio, nome di battaglia Ghepeú <1, che Calvino conosce durante i giorni di prigionia nella Villa Auberg, dopo che entrambi ed anche il padre di Calvino erano stati arrestati durante il rastrellamento avvenuto nella vallata di San Giovanni il 15 novembre 1944.
[...] Nel romanzo viene raccontata la fuga dal carcere di Grignolio esattamente come è avvenuta nella realtà, se si esclude l’intervento di Pin. Come già sappiamo, Calvino riuscirà ad evadere in un secondo momento, mentre il padre resterà in prigione.
Grignolio racconta a Ferrua: "Ero a Villa Auberg [...] Io sono riuscito a fuggire di lì, perché ho chiuso una sentinella in un cesto della spazzatura. Erano quei cesti alti che portavano i salumi e c’era stato il giorno prima un bombardamento navale, erano scese giù tutte le soffittature di cemento, di legno. Mentre io lo portavo fuori da un terrazzo al posto di buttarlo fuori io l’ho messo sulla testa della sentinella, mi son buttato giú e son riuscito a scappare. (FERRUA, cit.: 177)
Nel Sentiero Calvino introduce Pin come aiutante di Lupo Rosso nell’impresa della fuga: "Vieni, - dice Lupo Rosso, - Mi hai da dare una mano per portare giú il barile d’immondizie. [...] Lupo Rosso si avvicina a passi lunghi e silenziosi. Pin comincia a far scorrere una mano sull’altra, piano piano. Lupo Rosso è ormai alle spalle della sentinella [...] A un tratto una frana di spazzatura gli si abbatte sul capo; non è solo un frana, è un qualcosa che lo schiaccia sopra e tutto intorno [...] Intanto Lupo Rosso e Pin hanno già scavalcato la balaustra". (Ibid.: 42-45)
Lupo Rosso, dicevamo, è un personaggio positivo, anche se Grignolio <2 dichiara a Ferrua: «È una storia romanzata, molto romanzata» e Calvino nel romanzo, rovesciando le posizioni, lo rimprovera di spararle un po’ grosse:«Alle volte Lupo Rosso esagera un po’ le cose che racconta, ma racconta molto bene». (Ibid., 73)
Il fatto è che Sergio Grignolio è stato davvero un combattente audace; sua è un’altra fuga da Villa Giulia buttandosi a capofitto da un finestrella di cui era riuscito ad allargare le sbarre - a quanto racconta Ferrua - e sua è certa attività dinamitarda che fece saltare tre ponti per rallentare l’avanzata tedesca. Ferrua conclude: «Lo si voglia o no, il personaggio di Lupo Rosso è altrettanto «eccessivo» nel romanzo quanto il partigiano Ghepeú lo è stato nella storia». (FERRUA, cit.: 178)
[NOTE]
1 Ghepeú deriva dal nome che assume la polizia segreta russa dal 1922 al 1934: GPU.
2 Sergio Grignolio era nato nel 1926 a San Remo. «Era un uomo dai forti ideali - lo ricorda la presidente dell'Anpi di Imperia, Amelia Narciso - E' stato un partigiano dinamitardo, protagonista di alcune azioni importanti, di esplosioni, anche di ponti, per rallentare l'avanzata dei tedeschi». Quando scelse la via dei monti Sergio Grignolio aveva solamente sedici anni [...] Era l'ultimo componente del terzetto di eroi presenti nel romanzo di Italo Calvino, e anche se anziano e minato nel fisico, non aveva mai perso lo sguardo da combattente».(«La Repubblica», 11 settembre 2014)

Annalisa Piubello
, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016


Numero del 1° Maggio 1945 del periodico sanremese "La voce della democrazia". I due articoli in prima pagina sono di Calvino - Fonte: Internet Culturale

E un bel giorno Italo posò la penna e prese il fucile. Per andare in montagna con i partigiani e fare la cosa che riteneva giusta.
Lui, Calvino, ha sempre parlato poco di questa durissima esperienza perché odiava la retorica e soprattutto la retorica della Resistenza, in un periodo in cui tutti raccontavano di averla fatta e spiegavano, centellinavano dettagli e storie, spesso messe insieme subito dopo la Liberazione.
Il grande scrittore era orgoglioso di quei giorni e dei suoi compagni di lotta. Con molti era rimasto in contatto fino alla fine della vita. Con uno in particolare: Giovanni Nicosia, "Sam" originario di Caltanissetta, un severo caposquadra sui monti, che diventerà poi correttore di bozze per la Einaudi e dunque vicinissimo ad Italo nel lavoro quotidiano. Sì, appunto, Italo Calvino in qualche articolo e in qualcuno dei suoi libri, farà affiorare il periodo resistenziale, ma senza dettagli e particolari, in modo schivo e quasi sottovoce e il perché lo abbiamo detto.
Ero all’ospedale della Scala, di Siena, il giorno della morte dello scrittore. Per il giornale, ovviamente. La bara era stata sistemata in uno stanzone enorme e non c’era nessuno. Era uno stanzone carico di affreschi, stemmi e orpelli quasi gioiosi, che rendevano ancora più desolata e solitaria quella bara e quella morte. Stavo ascoltando, in una stanzetta, alcuni colleghi che chiedevano notizie alla moglie di Calvino sul periodo della montagna, ma anche lei sapeva pochissimo. Qualche passo più in là, forse un avvocato o uno dei dirigenti della Einaudi, già parlava dei diritti d’autore per i tanti libri dello scrittore di fama mondiale, ma io sentivo quelle parole come una specie d’insulto a Calvino, abbandonato, solo, nello stanzone rinascimentale senza un fiore, una corona, una rosa. Ovviamente, sciocchi sentimentalismi i miei, in quel momento. Ma non riuscivo, comunque, a metter via i pensieri, angosciosi, che mi si affollavano in testa.
Del periodo della montagna e della Resistenza, invece, volli sapere tutto e non seppi niente. Ho dovuto aspettare qualche anno e leggere e rileggere i racconti di alcuni dei compagni di Calvino pubblicati da "Patria indipendente", la rivista dei partigiani, per sapere dettagli e particolari.
Italo Calvino era nato a Santiago de Las Vegas (Cuba) il 15 ottobre 1923 da Mario Calvino e da Eva Mameli. La famiglia, ad un certo momento, era tornata in Italia e si era stabilita a Sanremo. Con la guerra, la tragedia incombeva.
Ed eccola la storia di lui. Calvino è un giovane sveglio, già entrato in contatto con alcuni antifascisti.
[...] Nasce la repubblichina di Salò e subito vengono affissi i manifesti per il richiamo alle armi della classe 1923: proprio quella di Calvino. Per i disertori, come si sa, è prevista la fucilazione.
Il giovane, per non essere arrestato, prende la via delle colline e si rifugia in boschi e boschetti, nelle terre di proprietà del padre. Poi, con un gruppo di amici, Aldo Baggioli, Massimo Porre, Renzo Barbieri e altri, decide di salire in montagna. Viene accolto nella formazione partigiana «Brigata Alpina» presso Beulla. È una brigata, la sua, che si muove tra Baiardo e Ceriana ed è comandata da Candido Bertassi, conosciuto come Capitano Umberto. È una prima esperienza molto, molto difficile. Calvino è ormai conosciuto da tutti con il nome di battaglia di «Santiago». Il primo grande scontro con i nazisti avviene in località Carpenosa il 15 giugno 1944 ed è una vittoria. Poi la formazione si scioglie. Lo scrittore entra allora a far parte della «IX Brigata Garibaldi», comandata da Bruno Luppi, «Erven» e partecipa alla battaglia di Sella Carpe. «Erven» rimane ferito gravemente e molti partigiani ci lasciano la pelle. A luglio, i nazisti incendiano i paesi di Molini di Triora e Triora e lo scontro, in tutta la zona, si fa ancora più duro. Calvino, intanto, è passato alla Divisione d’assalto Garibaldi «Felice Cascione» e partecipa alla difesa di Baiardo. Durante un rastrellamento «Santiago» viene arrestato, ma si salva.
Deve però arruolarsi, per un breve periodo, tra i repubblichini come scritturale. Poco dopo riesce a fuggire e torna in montagna con tanto di armamento individuale. A lui si unisce il fratello Floriano che ha appena sedici anni. Ora, i fratelli, sono in una formazione diversa. L’inverno del 1944-’45 è terribile: freddo, gelo, fame, rastrellamenti, arresti e torture. Italo Calvino partecipa a tantissimi scontri: a Ciabaudo, a Gerbonte, a Bregalla e ancora a Baiardo e a Triora nella Valle Argentina. Il 25 aprile arriva la Liberazione e anche lui sfila per le strade di Sanremo con la sua formazione. Durante la lotta in montagna non ha mai smesso di scrivere per Il Garibaldino, La nostra lotta e l’Unità, stampata localmente. Il 25 maggio 1945 torna a casa e si laurea. 

Un comizio di Calvino a Sanremo - Fonte: Internet Culturale

Poi, si iscrive al Pci che rimarrà il suo partito per una decina di anni. Riceve anche il diploma Alexander numero 165545 ed è riconosciuto partigiano combattente. Poco dopo, dal Distretto militare di Savona, riceverà lire 6.687: è la paga da soldato per tutto il tempo della montagna.
Wladimiro Settimelli, Nome di battaglia «Santiago». Il giovane Calvino partigiano nei racconti di alcuni compagni. Dall’archivio dell’Anpi spuntano documenti che ricostruiscono il periodo della montagna e della Resistenza, l’Unità, 11 dicembre 2013, articolo riprodotto come Nome di battaglia "Santiago" in Nord Milano Notizie, 12 dicembre 2013
 

Fonte: Marco Bresciani, Op. cit. infra

1 Sanremo, settembre 1943 - giugno 1944. In casa dei genitori; in maggio-giugno 1944, scritturale per il tribunale militare di Sanremo; ai primi di giugno 1944 si arruola nel XVI distaccamento della IX brigata garibaldina Felice Cascione.
2 Valle Oxentina. Alla macchia, nella seconda metà di giugno 1944.
3 Sella Carpe, 27 giugno 1944. Sconfitta contro i nazifascisti e scioglimento del XVI distaccamento.
4 Sanremo, luglio - prima metà agosto 1944. Probabilmente nascosto nei poderi di famiglia a San Giovanni.
5 Valle Oxentina - Valle Armea, 15 agosto - 20 settembre 1944. Arruolamento, col fratello diciassettenne Floriano, nella banda del capitano Umberto (al secolo Candido Bertassi); è una banda «azzurra», cioè badogliana.
6 Coldirodi, 3 settembre. Battaglia contro i nazifascisti.
7 Baiardo, 5 settembre. Sconfitta contro i nazifascisti; la banda «azzurra» di Umberto si scioglie il 20 settembre.
8 San Romolo, 1º ottobre - 15 novembre 1944. Si arruola, di nuovo con Floriano, nel distaccamento di Leone (al secolo Jaurès Sughi) della brigata sanremese Giacomo Matteotti, garibaldina; in ottobre i loro genitori, Mario Calvino ed Eva Mameli, sono presi in ostaggio dai tedeschi, che simulano per tre volte la fucilazione di suo padre sotto gli occhi della moglie; Eva Mameli sarà prigioniera per un mese, Mario Calvino per due. Il 15 novembre, Italo è catturato in un rastrellamento: evita la fucilazione immediata perché, grazie a un foglio di licenza militare falsificato, non viene riconosciuto come partigiano.
9 Sanremo, 15-18 novembre 1944. Preso in un rastrellamento, è rinchiuso per un giorno nel carcere di Santa Tecla e per due a Villa Giulia.
10 Imperia, 19 novembre - primi di dicembre 1944. Considerato renitente alla leva, è arruolato d’ufficio nella Repubblica Sociale ma relegato nella caserma-deposito provinciale; riesce a fuggire dopo circa tre settimane.
11 Sanremo, circa 9 dicembre 1944 - 1º febbraio 1945. Nascosto nei poderi di famiglia a San Giovanni.
12 Sanremo, 1º febbraio - 25 aprile 1945. Si arruola con Floriano nella II divisione d’assalto garibaldina "Felice Cascione", comandata da Giuseppe Vittorio Guglielmo; «Vittò» sarà il comandante Ferriera ne Il sentiero dei nidi di ragno; il commissario politico è invece Ivar Oddone «Kimi», Kim nel Sentiero. Calvino fa parte della V brigata Luigi Nuvoloni, I battaglione, II distaccamento, III squadra.
13 Ciabaudo, valle Oxentina, febbraio-marzo 1945. Con la divisione garibaldina Felice Cascione.
14 Creppo e Gerbonte, febbraio-marzo 1945. Con la divisione garibaldina Felice Cascione.
15 Bregalla, 12-13 febbraio. Battaglia vittoriosa, con la divisione garibaldina Felice Cascione, contro una compagnia di Cacciatori degli Appennini.
16 Baiardo, 10 marzo 1945. Combattimento infruttuoso per liberare Baiardo dai bersaglieri della IX Compagnia della morte.
17 Ceriana, 5 aprile 1945. Circondato dai nemici dopo un combattimento, si salva grazie a una macchia di noccioli.
18 Viozene, aprile 1945. Con la divisione garibaldina Felice Cascione
Marco Bresciani (con Domenico Scarpa), Italo Calvino combattente partigiano da Gli intellettuali nella guerra civile (1943-1945), in Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto e G. Pedullà, vol. III. Dal romanticismo a oggi, Einaudi, 2012 

C'era stato un incendio in un bosco: ricordo la lunga fila dei partigiani che scende tra i pini bruciati, la cenere calda sotto la suola delle scarpe, i ceppi ancora incandescenti nella notte. Era una marcia diversa dalle altre nella nostra vita di continui spostamenti notturni in quei boschi. Avevamo finalmente avuto l'ordine di scendere sulla nostra città, Sanremo; sapevamo che i tedeschi stavano ritirandosi dalla riviera; ma non sapevamo quali caposaldi erano ancora in mano loro [...] Ancora negli ultimi giorni i tedeschi erano venuti di sorpresa e avevamo avuto dei morti. Proprio pochi giorni prima andando di pattuglia era mancato poco che cascassi nelle loro mani. L'ultimo accampamento del nostro reparto, se ricordo bene, era tra Montalto e Badalucco: già il fatto che fossimo scesi nella zona degli uliveti era il segnale di una nuova stagione, dopo l'inverno nella zona dei castagni che voleva dire la fame.
[...] Dalle parti di Poggio cominciammo a incontrare sul margine della strada la popolazione che veniva a vedere passare i partigiani e a farci festa. Ricordo che per primi vidi due uomini anziani col cappello in testa che venivano avanti chiacchierando di fatti loro come in un giorno di festa qualsiasi; ma c'era un particolare che fino al giorno prima sarebbe stato inconcepibile: avevano dei garofani rossi all'occhiello. Nei giorni seguenti dovevo vedere migliaia di persone col garofano rosso all'occhiello ma quelli erano i primi.
Italo Calvino, Il mio 25 aprile in Italo Calvino, Saggi, 2, Mondadori, Milano, 1995