Dintorni di Ubaga, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM): Foto: gabrycaparezza su Gulliver |
Lasciato il Comando mi inerpico fino alla cresta dove so di trovare un sentiero di boscaioli che, attraverso rovi e castani, scende in Val Lerrone. Tra le bande della I Brigata in Val d'Andora e quelle delle altre brigate in Val d'Arroscia c'è da tempo la terra di nessuno: i tedeschi battono in Val Lerrone e da Cesio o Garlenda possono per Casanova e Degna spingersi fino a Poggiobottaro senza che un colpo di fucile dia l'allarme. Questo mi è noto e, per quanto posso, evito carrozzabili e mulattiere seguendo dei sentieri che spero siano ignorati dal nemico. Raggiunta la cresta vedo durante la discesa davanti a me la carrozzabile Casanova-Vellego che spicca sull'altro versante tra gli ulivi. E' deserta perché anche i contadini evitano di servirsene da quando è battuta dalla pattuglia tedesca in bicicletta. Era passata la prima volta il 22 febbraio rapida ed improvvisa e da allora la minaccia si è mantenuta costante.
Raggiunto il fondovalle perdo il controllo della carrozzabile, prendo una mulattiera che sale ripida tra gli ulivi e mi conduce fino a Degna. In paese raggiungo la carrozzabile, la seguo per un tratto tenendomi al margine, pronto a gettarmi tra gli alberi, poi trovo un ripido sentiero e salgo verso la cresta. Ora devo procedere per istinto perché di solito i partigiani, ed anch'io, seguivamo la mulattiera ad oriente di Degna. Oggi invece debbo cambiare strada se voglio arrivare a Gazzo prima di notte. Il sentiero sfiora il Santuario della Madonna di Degna. E' domenica ed una campana chiama i fedeli a raccolta. Tra gli alberi sento le voci dei giovani sulla piazzetta davanti alla chiesa. E' qui che in settembre avvenne lo scontro con i San Marco che costò la vita di sette dei nostri. Do un'occhiata al famoso santuario? E' il pensiero di un istante, poi ricordo che non devo né indugiare, né farmi notare. Ancora su, più lento, col fiato più corto. Il sentiero si perde, ma gli alberi sono radi ed il resto è a prato, posso camminare egualmente. Raggiungo la nuova cresta: di là è la Val d'Arroscia, provo un senso di calore, di conforto: è zona partigiana. Decido di passare tra Ubaga ed Ubaghetta; non so se vi sia sentiero, ma è la via più breve. Devo raggiungere la strada Ubaga-Borghetto. Scendo a caso tra i castani per dieci, venti minuti, poi cominciano i rovi. Ecco un pastore, gli chiedo se vi sia il sentiero che mi aveva promesso la carta topografica: «No, il sentiero non c'è più. Una volta c'era ma è tanto che non ci passa più nessuno, ora è invaso dai rovi. Bisogna scendere fino ad Ubaghetta». L'uomo mi indica la direzione col bastone, dà ancora qualche consiglio, lo ringrazio e poi giù verso il paese.
Il sentiero invaso dai rovi... quanti sono in Liguria i sentieri, le mulattiere segnati sulle carte che abbiamo trovato ormai impraticabili? Quanti i ruderi di cascine, di frantoi, di case nei paesi crollati ormai per l'abbandono e lo spopolamento? «La strada da Ubaghetta a Degna l'avete resa praticabile voi passandoci con i muli». Ci dicevano i contadini ed infatti molti sentieri e mulattiere erano battuti solo dai partigiani.
Con qualche fatica raggiungo Ubaghetta, e avessi saputo prima che dovevo passarvi avrei fatto più presto a tenere la strada consueta. Ci dovrebbero essere tre dell'intendenza, ma rinuncio a cercarli: so che in tutto il paese nessuno li avrà visti, nessuno ne saprà niente perché i contadini non si fidano più né di partigiani né di borghesi temendo in ogni volto non conosciuto un nemico.
Ecco dov'era l'intendenza: tre muri anneriti ed un cumulo di cenere. Fortuna che i sacchi di riso e di pasta erano al sicuro presso famiglie amiche. Ecco la casa dove si erano appostati i Cacciatori degli Appennini per tendere l'agguato a Pantera che scendeva verso il paese coi fuggiaschi del Garbagnati dopo lo scontro di Ginestro. Ecco il cimitero dove è seppellito Miscioscia, caduto a poca distanza nell'ultimo rastrellamento.
«Quando la guerra sarà finita metterò su una sartoria». Mi aveva detto una sera ad Ubaga quando venivamo dal Piemonte. «Conosco il mestiere discretamente, potrò prendere dei lavoranti. Se uno ci sa fare può guadagnar bene e far conoscenze nei migliori ambienti».
Aveva avuto i piedi congelati nella guerra di Grecia, ciò nonostante era venuto con noi. Era di carattere buono e disciplinato e tutti gli volevamo bene. Di lui mi rimangono un paio di copriguanti per neve ed un passamontagna che mi aveva fatto a Fontane.
Pensai a lui, a Redeval [Germano Cardoletti, Redaval], ferito e fucilato a Borghetto, a Tom ed a Boriello trascinati chissà dove. Saranno ancora vivi?
Da Ubaghetta scendo in fondo ad un vallone, risalgo oltre un torrente e l'opposto versante. Per orti ed ulivi raggiungo Ubaga. Un sentiero da Ubaghetta mi avrebbe potuto condurre direttamente a Merlo sulla carrozzabile tra Ranzo e Borghetto, ma ho preferito allungare il percorso piuttosto che camminare per quel tratto di stradone che, con rocce a picco sui due lati, è particolarmente pericoloso.
Ubaga: qui in agosto era la banda di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione Bonfante] quando noi con la Matteotti eravamo a Montecalvo. Quanto siamo cambiati da allora.
Ubaga è libera: un gruppo di giovani sulla piazza del paese guarda il partigiano che passa. Cosa penseranno? Li guardo negli occhi ma non intuisco niente.
Ecco la carrozzabile che abbiamo fatto in novembre col Comando: fino a Borghetto è sempre discesa. Uno snello ponte di pietra mi porta al di là dell'Arroscia sullo stradone presso Borghetto. In pochi minuti sono sulla carrozzabile che mi porterà a Gazzo, la mia mèta. Ma come troverò Ramon? Sono ore che cammino in zona ribelle e non un partigiano, non un volto conosciuto. Ecco finalmente due dell'intendenza: Germano e Terribile. Una sosta di qualche minuto e poi li convinco a salire con me: la strada sarà più lieve in compagnia. I due intendenti hanno enormi pistole a tamburo: la Glisenti dei carabinieri. «Per questa è morto Tito in dicembre», mi dice Germano. Infatti, un partigiano di nome Tito era stato arrestato da noi sotto accusa di tradimento e, prima del processo, era stato ucciso da Germano mentre cercava di fuggire.
«Peccato che invece Carletto e Bol!».
«Già... di Bol non ne sappiamo più niente... Carletto invece è ad Albenga... Abbiamo incaricato quei del S.I.M. e le S.A.P. di fargli la pelle, ma sarà difficile».
Carletto verrà ucciso più tardi dal comandante della Brigata Nera di Albenga al quale aveva insidiato la fidanzata, tale almeno sarà la versione sulla sua fine che si diffonderà fra noi». (*)
«Ed ora dove dormite?». Era la domanda tradizionale che rivolgevamo ai compagni al tramonto del sole sperando di avere ospitalità od indicazione di un rifugio sicuro.
«Così... Ci si arrangia... In un fienile fin verso le tre, poi svegli. Di giorno poi pisoliano qua e là dove ci capita, in due od in tre mentre uno monta la guardia... Siculo invece sta per conto suo e dorme in un albero vuoto. Vi rimase quasi tutto il tempo del rastrellamento. Si cala da un buco tra i rami, dice che ha imparato a dormire in piedi». Poi racconti di rastrellamenti e puntate narrati così, alla buona, cercando in tutto il lato allegro.
«Sì, in dicembre eravamo rimasti a Fontane con l'Intendenza... Il rastrellamento? Ho assistito solo alla prima parte e ne ho avuto abbastanza... Come ne siamo usciti? Fortuna... Camminando e dormendo nella neve senza mangiare. E' il colmo per un intendente che maneggia quintali di viveri aver fame! Eppur mi è capitato! E che letto soffice la neve fresca! Quando hai camminato e sei caldo non senti il freddo e puoi dormire perfino mezz'ora. Poi salti per tre quarti d'ora e quando sei di nuovo ben caldo fai un altro riposino... Ramon? E' a Gazzo, ma nessuno sa di preciso dove. Quando i tedeschi hanno preso il russo dell'intendenza si sono fatti condurre in paese ed hanno rovistato tutto senza trovarlo. Pareva un buon ragazzo il russo ed invece ci ha tradito. Credo che lo abbiano costretto. Assieme a lui hanno preso Alpino, dicono che lo abbiano fucilato... Sì, è successo l'altro giorno ad Alto... Quanti erano? Nessuno è stato a contarli. Certo erano parecchie centinaia e venivano da tutte le parti».
Arriviamo a Gazzo. E' ormai buio, gli intendenti mi portano dalla maestra: « E' in contatto con Ramon... E' l'unico mezzo di avvisarlo che sei qui».
Alttendono un po' con me, poi se ne vanno. La maestra era già uscita, appena aveva saputo chi cercavo. Rimango solo nella piccola cucina accanto alla stufa a guardar la fiamma, unico punto luminoso nella penombra.
La porta si apre, mi volto di scatto: è Ramon. «Tieni, c'è una lettera del Comando».
Ramon apre la busta, legge rapidamente. Lo guardo attentamente: il suo volto non rivela nessuna emozione. Chissà cosa c'è scritto in questa lettera così importante! Non è da lui che lo saprò. Avevo sempre ammirato il Capo di Stato Maggiore della Bonfante, Rossi Raymond, alias Ramon, cittadino svizzero. Il partigiano inafferrabile, la cui vita era misteriosa, il cui rifugio era ignoto ad amici e nemici. Cercato dai tedeschi, sfuggito al tradimento di Carletto e del russo, unico capobanda apolitico della Bonfante, riusciva a vivere autonomo e libero da ogni legge, avvertito di ogni mossa del nemico da informatori personali. Troppo forte ed abile per essere umiliato, pur privato della banda che aveva creato e potenziato, come Capo di Stato Maggiore faceva sentire l'influenza delle sue idee e dei suoi metodi sulle bande della II e della III Brigata.
ln ogni paese, in ogni vallata i simboli del passato regime e le lapidi a ricordo delle sanzioni erano scomparsi sotto la furia antifascista di Ramon. I ponti in tutta la Val d'Arroscia erano stati del pari distrutti per opera sua che poi, con tenacia costante, aveva frustrato ogni tentativo nemico di riattare la strada. Ecco Ramon: un completo grigio con giacca e calzoni, un panciotto di lana bianca grezza, un cappello da città. E' difficile ricordare in lui il capo della banda dell'Alluminio che, in giacca di telo da tenda e pantaloni tedeschi, interrogava a Piaggia i prigionieri tedeschi dopo aver fatto saltare il ponte di Borghetto alle spalle del nemico impegnato a Vessalico.
Pure questo distinto signore è ancora il terrore della Val d'Arroscia e di Albenga; alla sua scuola si sono formati Cimitero, Meazza e molti dei migliori uomini della Bonfante. Dalla primavera scorsa molti partigiani di Martinengo che, dopo l'incorporazione tra i partigiani di parte del presidio fascista dei Forti di Nava, non vollero vivere a fianco di simili compagni, erano passati con Ramon che, senza avere i rossi ideali del Cion [Silvio Bonfante], attaccava i tedeschi con fortuna ed audacia.
Ramon ha letto: «Hai cenato?» mi chiede. «No». «Allora vieni». Se spero di conoscere qualcosa della vita di Ramon sono presto deluso. Vengo condotto alla trattoria, quella stessa dove sostai col Comando al ritorno dal Piemonte.
«Segnate sul mio conto il pranzo di questo partigiano». Subito dopo mi conduce in una strada, scosta lo strame di fondo, apre una botola: «Qui potrai dormire questa notte... La famiglia di fronte ti darà una coperta». Ramon mi saluta e scompare, io torno in trattoria a cenare: uova e patate fritte.
La lettera che avevo portato quella sera conteneva a grandi linee i piani dell'operazione L. 1 che veniva affidata in gran parte a Ramon. Il primo lancio alleato di rifornimenti per la Divisione Bonfante veniva denominato L. 1. Sarebbe avvenuto in Val Pennavaira, nella zona di Caprauna prescelta per la scarsità dei paesi che avrebbe aiutato la segretezza, per i roccioni e la mancanza di carrozzabile che avrebbe agevolato la difesa.
(*) Seppi poi da Ramon che Carletto si sposò nella chiesa del Sacro Cuore in Albenga. Qualche tempo dopo andò col capo delle Brigate Nere di Albenga (Luciano Luberti) a casa del suocero per ucciderlo. Sulla via del ritorno tra Coasco ed Albenga, Luberti uccise Carletto e lo gettò giù dalla strada.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 182-186
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 161, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comando di Divisione era in attesa di conoscere la data dell'aviolancio alleato nella zona di cui aveva già inviato una cartina topografica.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 162, al capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione - Comunicava che dal giorno 10 Radio Londra avrebbe in ogni momento potuto trasmettere il messaggio "la pioggia bagna", segnale di effettuazione del [primo] lancio di materiale da parte degli alleati; che si prescriveva l'ascolto dei messaggi di Radio Londra in italiano; che i fuochi di riconoscimento per l'effettuazione degli aviolanci dovevano "essere disposti a forma di 'T' rivolta contro vento"; che non si dovevano fare segnalazioni se il vento avesse superato le 20 miglia orarie; che occorreva disporre i fuochi in buche profonde 2 metri per impedirne l'avvistamento da parte del nemico; che i paracadute per la prevista operazione sarebbero stati 5, fatti cadere alla distanza di 60 metri uno dall'altro; che bisognava comunicare se nella zona si trovavano ostacoli naturali.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 170, al capo di Stato Maggiore della Divisione - Comunicava che la I^ e la III^ Brigata passavano sotto il controllo del comando di Divisione e la II^ alle dipendenze del capo di Stato Maggiore; che "Fra Diavolo" doveva continuare, anche se in disaccordo con "Martinengo", la sua opera in Val Tanaro; che la zona in cui operava la II^ Divisione era in quel periodo soggetta a molti rastrellamenti.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 171, al comando del Distaccamento "Mario Longhi" - Il comandante "Fra Diavolo" veniva invitato a continuare nelle sue azioni in Val Tanaro, ad appoggiarsi alla II^ Brigata "Nino Berio" e a "Ramon", ad inviare relazioni sul lavoro svolto e sulle difficoltà incontrate.
5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 174, al commissario "Osvaldo" [Osvaldo Contestabile] - Gli si comunicava che non era ancora giunto il momento del suo rientro dalla malattia e lo si informava dell'attesa di un aviolancio alleato "che si spera cambi la sorte dei garibaldini".
5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per St. Etienne, nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.
5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio" ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine", fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La
Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della
documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della
Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo
II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico
1998-1999