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martedì 9 maggio 2023

Sono ore che cammino in zona ribelle e non un partigiano, non un volto conosciuto

Dintorni di Ubaga, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM): Foto: gabrycaparezza su Gulliver

Nel pomeriggio del 4 marzo [1945] il Comando divisione [Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] da Poggiobottaro invia a Gazzo una lettera a Ramon [Raymond Rosso], il Capo di Stato Maggiore. La via normale delle staffette di Ginestro non è seguita: il messaggio è urgente e segreto. La lettera la porto io che, venendo dalla valle di Cervo, mi ero fermato a pranzare a Poggiobottaro.
Lasciato il Comando mi inerpico fino alla cresta dove so di trovare un sentiero di boscaioli che, attraverso rovi e castani, scende in Val Lerrone. Tra le bande della I Brigata in Val d'Andora e quelle delle altre brigate in Val d'Arroscia c'è da tempo la terra di nessuno: i tedeschi battono in Val Lerrone e da Cesio o Garlenda possono per Casanova e Degna spingersi fino a Poggiobottaro senza che un colpo di fucile dia l'allarme. Questo mi è noto e, per quanto posso, evito carrozzabili e mulattiere seguendo dei sentieri che spero siano ignorati dal nemico. Raggiunta la cresta vedo durante la discesa davanti a me la carrozzabile Casanova-Vellego che spicca sull'altro versante tra gli ulivi. E' deserta perché anche i contadini evitano di servirsene da quando è battuta dalla pattuglia tedesca in bicicletta. Era passata la prima volta il 22 febbraio rapida ed improvvisa e da allora la minaccia si è mantenuta costante.
Raggiunto il fondovalle perdo il controllo della carrozzabile, prendo una mulattiera che sale ripida tra gli ulivi e mi conduce fino a Degna. In paese raggiungo la carrozzabile, la seguo per un tratto tenendomi al margine, pronto a gettarmi tra gli alberi, poi trovo un ripido sentiero e salgo verso la cresta. Ora devo procedere per istinto perché di solito i partigiani, ed anch'io, seguivamo la mulattiera ad oriente di Degna. Oggi invece debbo cambiare strada se voglio arrivare a Gazzo prima di notte. Il sentiero sfiora il Santuario della Madonna di Degna. E' domenica ed una campana chiama i fedeli a raccolta. Tra gli alberi sento le voci dei giovani sulla piazzetta davanti alla chiesa. E' qui che in settembre avvenne lo scontro con i San Marco che costò la vita di sette dei nostri. Do un'occhiata al famoso santuario? E' il pensiero di un istante, poi ricordo che non devo né indugiare, né farmi notare. Ancora su, più lento, col fiato più corto. Il sentiero si perde, ma gli alberi sono radi ed il resto è a prato, posso camminare egualmente. Raggiungo la nuova cresta: di là è la Val d'Arroscia, provo un senso di calore, di conforto: è zona partigiana. Decido di passare tra Ubaga ed Ubaghetta; non so se vi sia sentiero, ma è la via più breve. Devo raggiungere la strada Ubaga-Borghetto. Scendo a caso tra i castani per dieci, venti minuti, poi cominciano i rovi. Ecco un pastore, gli chiedo se vi sia il sentiero che mi aveva promesso la carta topografica: «No, il sentiero non c'è più. Una volta c'era ma è tanto che non ci passa più nessuno, ora è invaso dai rovi. Bisogna scendere fino ad Ubaghetta». L'uomo mi indica la direzione col bastone, dà ancora qualche consiglio, lo ringrazio e poi giù verso il paese.
Il sentiero invaso dai rovi... quanti sono in Liguria i sentieri, le mulattiere segnati sulle carte che abbiamo trovato ormai impraticabili? Quanti i ruderi di cascine, di frantoi, di case nei paesi crollati ormai per l'abbandono e lo spopolamento? «La strada da Ubaghetta a Degna l'avete resa praticabile voi passandoci con i muli». Ci dicevano i contadini ed infatti molti sentieri e mulattiere erano battuti solo dai partigiani.
Con qualche fatica raggiungo Ubaghetta, e avessi saputo prima che dovevo passarvi avrei fatto più presto a tenere la strada consueta. Ci dovrebbero essere tre dell'intendenza, ma rinuncio a cercarli: so che in tutto il paese nessuno li avrà visti, nessuno ne saprà niente perché i contadini non si fidano più né di partigiani né di borghesi temendo in ogni volto non conosciuto un nemico.
Ecco dov'era l'intendenza: tre muri anneriti ed un cumulo di cenere. Fortuna che i sacchi di riso e di pasta erano al sicuro presso famiglie amiche. Ecco la casa dove si erano appostati i Cacciatori degli Appennini per tendere l'agguato a Pantera che scendeva verso il paese coi fuggiaschi del Garbagnati dopo lo scontro di Ginestro. Ecco il cimitero dove è seppellito Miscioscia, caduto a poca distanza nell'ultimo rastrellamento.
«Quando la guerra sarà finita metterò su una sartoria». Mi aveva detto una sera ad Ubaga quando venivamo dal Piemonte. «Conosco il mestiere discretamente, potrò prendere dei lavoranti. Se uno ci sa fare può guadagnar bene e far conoscenze nei migliori ambienti».
Aveva avuto i piedi congelati nella guerra di Grecia, ciò nonostante era venuto con noi. Era di carattere buono e disciplinato e tutti gli volevamo bene. Di lui mi rimangono un paio di copriguanti per neve ed un passamontagna che mi aveva fatto a Fontane.
Pensai a lui, a Redeval [Germano Cardoletti, Redaval], ferito e fucilato a Borghetto, a Tom ed a Boriello trascinati chissà dove. Saranno ancora vivi?
Da Ubaghetta scendo in fondo ad un vallone, risalgo oltre un torrente e l'opposto versante. Per orti ed ulivi raggiungo Ubaga. Un sentiero da Ubaghetta mi avrebbe potuto condurre direttamente a Merlo sulla carrozzabile tra Ranzo e Borghetto, ma ho preferito allungare il percorso piuttosto che camminare per quel tratto di stradone che, con rocce a picco sui due lati, è particolarmente pericoloso.
Ubaga: qui in agosto era la banda di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione Bonfante] quando noi con la Matteotti eravamo a Montecalvo. Quanto siamo cambiati da allora.
Ubaga è libera: un gruppo di giovani sulla piazza del paese guarda il partigiano che passa. Cosa penseranno? Li guardo negli occhi ma non intuisco niente.
Ecco la carrozzabile che abbiamo fatto in novembre col Comando: fino a Borghetto è sempre discesa. Uno snello ponte di pietra mi porta al di là dell'Arroscia sullo stradone presso Borghetto. In pochi minuti sono sulla carrozzabile che mi porterà a Gazzo, la mia mèta. Ma come troverò Ramon? Sono ore che cammino in zona ribelle e non un partigiano, non un volto conosciuto. Ecco finalmente due dell'intendenza: Germano e Terribile. Una sosta di qualche minuto e poi li convinco a salire con me: la strada sarà più lieve in compagnia. I due intendenti hanno enormi pistole a tamburo: la Glisenti dei carabinieri. «Per questa è morto Tito in dicembre», mi dice Germano. Infatti, un partigiano di nome Tito era stato arrestato da noi sotto accusa di tradimento e, prima del processo, era stato ucciso da Germano mentre cercava di fuggire.
«Peccato che invece Carletto e Bol!».
«Già... di Bol non ne sappiamo più niente... Carletto invece è ad Albenga... Abbiamo incaricato quei del S.I.M. e le S.A.P. di fargli la pelle, ma sarà difficile».
Carletto verrà ucciso più tardi dal comandante della Brigata Nera di Albenga al quale aveva insidiato la fidanzata, tale almeno sarà la versione sulla sua fine che si diffonderà fra noi». (*)
«Ed ora dove dormite?». Era la domanda tradizionale che rivolgevamo ai compagni al tramonto del sole sperando di avere ospitalità od indicazione di un rifugio sicuro.
«Così... Ci si arrangia... In un fienile fin verso le tre, poi svegli. Di giorno poi pisoliano qua e là dove ci capita, in due od in tre mentre uno monta la guardia... Siculo invece sta per conto suo e dorme in un albero vuoto. Vi rimase quasi tutto il tempo del rastrellamento. Si cala da un buco tra i rami, dice che ha imparato a dormire in piedi». Poi racconti di rastrellamenti e puntate narrati così, alla buona, cercando in tutto il lato allegro.
«Sì, in dicembre eravamo rimasti a Fontane con l'Intendenza... Il rastrellamento? Ho assistito solo alla prima parte e ne ho avuto abbastanza... Come ne siamo usciti? Fortuna... Camminando e dormendo nella neve senza mangiare. E' il colmo per un intendente che maneggia quintali di viveri aver fame! Eppur mi è capitato! E che letto soffice la neve fresca! Quando hai camminato e sei caldo non senti il freddo e puoi dormire perfino mezz'ora. Poi salti per tre quarti d'ora e quando sei di nuovo ben caldo fai un altro riposino... Ramon? E' a Gazzo, ma nessuno sa di preciso dove. Quando i tedeschi hanno preso il russo dell'intendenza si sono fatti condurre in paese ed hanno rovistato tutto senza trovarlo. Pareva un buon ragazzo il russo ed invece ci ha tradito. Credo che lo abbiano costretto. Assieme a lui hanno preso Alpino, dicono che lo abbiano fucilato... Sì, è successo l'altro giorno ad Alto... Quanti erano? Nessuno è stato a contarli. Certo erano parecchie centinaia e venivano da tutte le parti».
Arriviamo a Gazzo. E' ormai buio, gli intendenti mi portano dalla maestra: « E' in contatto con Ramon... E' l'unico mezzo di avvisarlo che sei qui».
Alttendono un po' con me, poi se ne vanno. La maestra era già uscita, appena aveva saputo chi cercavo. Rimango solo nella piccola cucina accanto alla stufa a guardar la fiamma, unico punto luminoso nella penombra.
La porta si apre, mi volto di scatto: è Ramon. «Tieni, c'è una lettera del Comando».
Ramon apre la busta, legge rapidamente. Lo guardo attentamente: il suo volto non rivela nessuna emozione. Chissà cosa c'è scritto in questa lettera così importante! Non è da lui che lo saprò. Avevo sempre ammirato il Capo di Stato Maggiore della Bonfante, Rossi Raymond, alias Ramon, cittadino svizzero. Il partigiano inafferrabile, la cui vita era misteriosa, il cui rifugio era ignoto ad amici e nemici. Cercato dai tedeschi, sfuggito al tradimento di Carletto e del russo, unico capobanda apolitico della Bonfante, riusciva a vivere autonomo e libero da ogni legge, avvertito di ogni mossa del nemico da informatori personali. Troppo forte ed abile per essere umiliato, pur privato della banda che aveva creato e potenziato, come Capo di Stato Maggiore faceva sentire l'influenza delle sue idee e dei suoi metodi sulle bande della II e della III Brigata.
ln ogni paese, in ogni vallata i simboli del passato regime e le lapidi a ricordo delle sanzioni erano scomparsi sotto la furia antifascista di Ramon. I ponti in tutta la Val d'Arroscia erano stati del pari distrutti per opera sua che poi, con tenacia costante, aveva frustrato ogni tentativo nemico di riattare la strada. Ecco Ramon: un completo grigio con giacca e calzoni, un panciotto di lana bianca grezza, un cappello da città. E' difficile ricordare in lui il capo della banda dell'Alluminio che, in giacca di telo da tenda e pantaloni tedeschi, interrogava a Piaggia i prigionieri tedeschi dopo aver fatto saltare il ponte di Borghetto alle spalle del nemico impegnato a Vessalico.
Pure questo distinto signore è ancora il terrore della Val d'Arroscia e di Albenga; alla sua scuola si sono formati Cimitero, Meazza e molti dei migliori uomini della Bonfante. Dalla primavera scorsa molti partigiani di Martinengo che, dopo l'incorporazione tra i partigiani di parte del presidio fascista dei Forti di Nava, non vollero vivere a fianco di simili compagni, erano passati con Ramon che, senza avere i rossi ideali del Cion [Silvio Bonfante], attaccava i tedeschi con fortuna ed audacia.
Ramon ha letto: «Hai cenato?» mi chiede. «No». «Allora vieni». Se spero di conoscere qualcosa della vita di Ramon sono presto deluso. Vengo condotto alla trattoria, quella stessa dove sostai col Comando al ritorno dal Piemonte.
«Segnate sul mio conto il pranzo di questo partigiano». Subito dopo mi conduce in una strada, scosta lo strame di fondo, apre una botola: «Qui potrai dormire questa notte... La famiglia di fronte ti darà una coperta». Ramon mi saluta e scompare, io torno in trattoria a cenare: uova e patate fritte.
La lettera che avevo portato quella sera conteneva a grandi linee i piani dell'operazione L. 1 che veniva affidata in gran parte a Ramon. Il primo lancio alleato di rifornimenti per la Divisione Bonfante veniva denominato L. 1. Sarebbe avvenuto in Val Pennavaira, nella zona di Caprauna prescelta per la scarsità dei paesi che avrebbe aiutato la segretezza, per i roccioni e la mancanza di carrozzabile che avrebbe agevolato la difesa.
(*) Seppi poi da Ramon che Carletto si sposò nella chiesa del Sacro Cuore in Albenga. Qualche tempo dopo andò col capo delle Brigate Nere di Albenga (Luciano Luberti) a casa del suocero per ucciderlo. Sulla via del ritorno tra Coasco ed Albenga, Luberti uccise Carletto e lo gettò giù dalla strada.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 182-186

 

4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 161, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comando di Divisione era in attesa di conoscere la data dell'aviolancio alleato nella zona di cui aveva già inviato una cartina topografica.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 162, al capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione - Comunicava che dal giorno 10 Radio Londra avrebbe in ogni momento potuto trasmettere il messaggio "la pioggia bagna", segnale di effettuazione del [primo] lancio di materiale da parte degli alleati; che si prescriveva l'ascolto dei messaggi di Radio Londra in italiano; che i fuochi di riconoscimento per l'effettuazione degli aviolanci dovevano "essere disposti a forma di 'T' rivolta contro vento"; che non si dovevano fare segnalazioni se il vento avesse superato le 20 miglia orarie; che occorreva disporre i fuochi in buche profonde 2 metri per impedirne l'avvistamento da parte del nemico; che i paracadute per la prevista operazione sarebbero stati 5, fatti cadere alla distanza di 60 metri uno dall'altro; che bisognava comunicare se nella zona si trovavano ostacoli naturali.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 170, al capo di Stato Maggiore della Divisione - Comunicava che la I^ e la III^ Brigata passavano sotto il controllo del comando di Divisione e la II^ alle dipendenze del capo di Stato Maggiore; che "Fra Diavolo" doveva continuare, anche se in disaccordo con "Martinengo", la sua opera in Val Tanaro; che la zona in cui operava la II^ Divisione era in quel periodo soggetta a molti rastrellamenti.
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 171, al comando del Distaccamento "Mario Longhi" - Il comandante "Fra Diavolo" veniva invitato a continuare nelle sue azioni in Val Tanaro, ad appoggiarsi alla II^ Brigata "Nino Berio" e a "Ramon", ad inviare relazioni sul lavoro svolto e sulle difficoltà incontrate.
5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 174, al commissario "Osvaldo" [Osvaldo Contestabile] - Gli si comunicava che non era ancora giunto il momento del suo rientro dalla malattia e lo si informava dell'attesa di un aviolancio alleato "che si spera cambi la sorte dei garibaldini".
5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per St. Etienne, nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.
5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore [Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio" ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine", fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 10 settembre 2022

Un provvedimento casuale dell'amministratore della Divisione partigiana Bonfante

Ubaghetta, Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: Comune di Borghetto d'Arroscia

Mi sarebbe forse stato facile sapere qualcosa di più chiedendo a Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], con i quali ero a frequente contatto [n.d.r.: in quanto Gino Glorio Magnesia, di cui qui si riproduce una testimonianza, era amministratore della richiamata Divisione garibaldina]. Pure non lo feci. Non che mi mancasse l'interesse, ma la vita che conducevo da due mesi era tale che non potevo  più escludere la possibilità di essere catturato vivo dal nemico. Già a Fontane i membri del Comando erano stati disarmati dei fucili e delle altre armi che potevano garantire una difesa efficace per armare gli sbandati che tornavano. In tali condizioni, se fossi stato sorpreso durante le marce, con una piccola pistola non avrei potuto colpire efficacemente il nemico. Avrei dovuto arrendermi sperando che una circostanza propizia mi consentisse la fuga. Purtroppo ciò mi avrebbe esposto ad interrogatori accompagnati da sistemi persuasivi. Sentivo che in tali ipotesi la migliore garanzia di poter mantenere il silenzio era il non sapere. Ridussi pertanto nel periodo invernale il mio interesse a quanto  era indispensabile all'assolvimento dei miei compiti ed alla mia sicurezza.
Il giorno 5 marzo [1945], lasciato Gazzo [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)], tornando in Val Lerrone, ripasso da Ubaghetta [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Sono digiuno dalla sera prima e devo trovare la famiglia che ospitava i partigiani dell'intendenza e che dovrebbe avere parte dei viveri. L'intendenza non c'è più perché nessuno ha sostituito i caduti ed i prigionieri di gennaio e i superstiti, consumati e distribuiti parte dei viveri, sono passati alle altre intendenze; pure avevo sentito dire che qualche partigiano ad Ubaghetta ci doveva essere. Li trovo: sono un gruppetto di feriti e malati che vivono come possono, dimenticati dai Comandi e dai compagni, senza cure né medicine, aiutando le famiglie del luogo, stendendo i cavi della luce che avrebbero portato l'energia elettrica da fondo valle fino ad Ubaghetta. I borghesi danno loro un po' di cibo in cambio del lavoro svolto, qualcosa dei viveri dell'intendenza è rimasto. Mangio con loro: castagne bollite; poco per dei convalescenti.
Ce n'è uno ferito alla spalla che ha perso in parte l'uso del braccio. «Quando è stato?» gli chiedo. «In febbraio, il giorno 11. Ero della banda di Libero. Durante l'ultimo rastrellamento di gennaio avevamo passato la «28» perché di qua era un inferno e ci eravamo fermati ad Aurigo. Vi eravamo rimasti anche in febbraio perché il posto era buono. Poi una spia deve aver parlato ed una notte son venuti i tedeschi. Se ci siamo salvati lo dobbiamo a Libero che non perse la testa. I tedeschi ci avevano circondato e sparavano come dannati. Noi eravamo appena svegli perché l'allarme era stato dato all'ultimo istante. Libero ci fece segno di seguirlo e si lanciò in una direzione. Noi siamo tutti dietro a lui sparando come diavoli e siamo passati. Uno dei nostri è caduto, mi hanno preso alla spalla, tutti gli altri si sono salvati ma anche dei tedeschi ne devono esser morti».
La banda di Libero era il distaccamento G. Maccanò. Non avevo saputo nulla fino ad allora dello scontro di Aurigo. Mi raccontano la loro vita: piantano pali della luce e poi mettono i fili: «Loro possono lavorare perché hanno solo dei reumatismi, io invece con questo braccio posso far poco».
«Avete mai visto nessuno del Comando? - chiedo loro - Non avete mai detto alle staffette che siete qui?». «Il Comando? Cosa vuoi che se ne faccia di noi. Quando saremo guariti torneremo in banda, per ora ci arrangiamo come possiamo. Tempo fa abbiamo visto Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] che ci ha augurato di guarire presto». «Se il Comando non ha dottori né ospedali, ha però una amministrazione. Tenete quattromila lire, andate a Ranzo dove deve esserci il medico condotto, compratevi le  medicine che vi ordina e che potete trovare e dei viveri perché, con solo castagne, non vi rimetterete di certo. Se potete lavorare meglio, altrimenti è nostro dovere sussidiarvi come facciamo con gli altri feriti e con le famiglie dei partigiani caduti o bisognosi. Sarebbe compito dei Comandi brigata, ma, se non possono farlo, potrebbero almeno avvisarmi. Tenete nota di come spendete questi soldi, quando mi manderete il conto ve ne darò degli altri».
I quattro accettano il denaro commossi e felici. Il ferito, capito che ero del Comando, mi dà del «lei». «Eri della S. Marco?» gli chiedo. «Sì». «Si sente... Adesso che so dove siete vi verrò a trovare quando ripasserò da Ubaghetta».
Mi rimetto in cammino piano, senza fretta. Mi fermo ogni tanto nelle radure del bosco a prendere il sole primaverile, ad osservare il panorama, a raccogliere i manifestini che gli aerei alleati avevano lanciato a centinaia.
Il 6 marzo vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 190,191

 

5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per  St. Etienne , nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.

5 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/79, al comando della Divisione - Segnalava che un informatore di Ormea (CN) aveva comunicato che la stazione radiotrasmittente, con un effettivo di 8 soldati tedeschi, era stata riattivata; che lungo la strada 28 i tedeschi stavano costruendo posti di sbarramento tra Cantarana ed Ormea; che un capitano tedesco aveva detto che i nazisti se ne sarebbero andati dai paesi occupati solo a guerra finita; che a Vegliasco vi erano 34 tedeschi; che ad Acquetico erano arrivati 200 tedeschi; che a Pieve di Teco con l'aggiunta di nuove 200 unità i tedeschi ammontavano a 500.

5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio", ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine" [Alfredo Coppola], fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 2, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Rammentava che a partire dal 9 marzo tutti i Distaccamenti della Brigata dovevano essere pronti ad agire al segnale convenuto: il Distaccamento "Filippo Airaldi" avrebbe sorvegliato Passo San Giacomo e Passo Saline; il Distaccamento "Igino Rainis" Passo Cosimo e la strada per Alto; il Distaccamento "Giuseppe Catter" il Passo San Bartolomeo; il Distaccamento "Giannino Bortolotti" la via d'accesso da Albenga e Cerisola alla vallata di Nasino (SV).

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 5, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che con un'ispezione alla II^ Brigata aveva riscontrato in quei garibaldini un morale alto, ma anche che portavano un vestiario malridotto; che era meglio "allontanare in modo garbato" dal Distaccamento ["Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio"] di "Basco" [Giacomo Ardissone] il commissario "Turbine" [Alfredo Coppola], in quanto "elemento che non fa altro che lamentarsi del C.D.[comando di Divisione]"; che "Basco" era un buon comandante; che nella zona di Albenga non erano presenti molti nemici; che il Centa, invece, risultava minato in molti tratti; che i cannoni nemici a Coasco era salito di numero sino a 12; che si chiedeva perché non fosse stata ancora bombardata Pieve di Teco, dove si trovavano 500 tedeschi.

6 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Domatore" Domenico Trincheri] della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", prot. n° 4, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che alcuni reparti tedeschi, accompagnati da alcuni delatori, tra cui "Carletto"ed il "Boia", erano arrivati da Albenga e da Ponti di Nava in Val Pennavaira, dove si erano "limitati a rastrellare il fondo valle senza avventurarsi nelle campagne"; che a Nasino 200 soldati nemici avevano bruciato diverse case ed operato alcuni arresti, tra i quali anche quello del commissario prefettizio Ballerin; che nell'operazione su Nasino una donna era stata uccisa mentre tentava la fuga; che "Pastorino" era stato arrestato dalla gendarmeria tedesca. Si chiedeva, infine, essendo critica la situazione finanziaria, di inviare del denaro.

6 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che, con la cattura del nucleo repubblichino SIDA, operato dallo scrivente Distaccamento, si era appurato che 14 persone, di cui si indicavano, altresì, le generalità, erano sotto stretta sorveglianza delle Bande Nere e che come agenti delle Brigate Nere, ufficio SIDA, risultavano tali L. Brinis, "Pippo", "Scippa" e "Giacomo", tutti abitanti ad Albenga o zone limitrofe.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

domenica 11 luglio 2021

Preferisco la morte al disonore di venire con voi


Fonte: ANPI di Lavello (PZ)

Alla Memoria del Partigiano Michele Mario Miscioscia, nato a Lavello (Pz) Medaglia d'Argento al Valor Militare alla memoria
Mario si arruola volontario nelle gloriose file dei Partigiani. Assegnato alla 6/a Divisione d'assalto "Gaibaldi"- 3/a Brigata "Bacigalupo", operante nella zona di Porto Maurizio (Liguria).
E nell'indomita unità Garibaldina si distingue per sprezzo del pericolo e spirito di sacrificio. Invano i superiori lo esortano a non esporsi troppo. Lui, sordo a ogni richiamo, vuol dimostrare come sanno combatere i soldati d'Italia!!!
Fu appunto in una di queste pericolose sortite, che rimase colpito.... Impossibilitato a ricevere i primi conforti dai compagni, e di raggiungere a causa delle ferite, le sue linee; cadde nelle mani dei nazi-fascisti. Da questi gli viene fatta la proposta se voleva essere  curato .... Era un appello alla vita per il povero Mario, poteva accettare. No!!!
La vita è ben poca cosa quando la si offre per un grande ideale.
"Non voglio niente da voi - disse - finitemi qui, vicino ai miei compagni!"
E la raffica micidiale, crudele e spietata di un ignoto varamaldo lo abbatte cadavere.
Son passati settanta anni o Mario, ma il tuo ricordo non è punto svanito.
Il dolore dei tuoi è ancora acerbo, ma fiero, come fiera e stata la tua morte.
Come fieri sono anche qui, nella tua amata Lavello, i vessilli abbrunati dei Combattenti, che ti onoreranno sempre e che, additandoti quale esempio luminoso ai posteri,diranno: "Fu forte, e morì credendo".
L'olocausto delle tue ventitré primavere, non è stato vano, perché ci hai tracciato la via da seguire che è quella: del bello ed alto eroismo.
La tua morte è Vita!!! E' l'espressione più pura di questa tanto martoriata e misconosciuta gioventù Italica.
La tua tomba è un'ara, sulla quale si inchineranno riverenti le future generazioni.
A te o Mario, a noi che ti seguiremo:
FRATELLI D'ITALIA, L'ITALIA S'E' DESTA!!!
di Achille Occhionero, Lavello 3 novembre 1945
Redazione, Mario Miscioscia, Anpi Mario Miscioscia Lavello

Fonte: la Repubblica

Fotografie, documenti, attestati, riconoscimenti. Semplici carte che per le famiglie di appartenenza e per l’intera comunità diventano patrimonio storico, tesoro da custodire e memoria da tramandare. Raccontano un pezzo di storia dell’Italia del sud che si intreccia con quella personale di uomini e donne che hanno sacrificato la propria vita per la libertà. Antonio Pellegrino, Giuseppe Pace, Michele Mario Miscioscia, Luigi Tudisco, Alfredo Tucci, Domenico Traficante, Donato Pettorruso, Giovanni Pallottino, Mauro Mastrantuono, Luigi Giudice, Alfonso Cesarano, Giovanni Carretta, Mauro Carretta, Mauro Caprioli e Giuseppe Bisceglia sono i cittadini di Lavello (Potenza) che hanno dato il loro contributo alla lotta di Liberazione nazionale come partigiani nelle regioni del nord dal 1943 al 1945. A loro, l’Anpi di Lavello ha dedicato una mostra documentaria frutto di un lungo lavoro di ricerca condotto all'Archivio centrale dello Stato a Roma e visitabile fino al 30 aprile nei locali adiacenti al museo civico della sede del Comune. “Si tratta delle vicende storiche della gioventù dei nostri nonni, dell'emigrazione dalla nostra terra - spiegano gli organizzatori -  ci piacerebbe che le persone trovassero dei riscontri in modo da aiutarci a ricostruire e recuperare la memoria su quegli anni che, comunque la si pensi, hanno lasciato un segno profondo nella storia del nostro Paese”.
Anna Martino, Potenza, l’antifascismo abita a Lavello: mostra documentaria sui partigiani che persero la vita per la libertà, la Repubblica, 26 aprile 2018

Fonte: la Repubblica

Sempre il 20 gennaio veniva ucciso a Ubaghetta, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM), il partigiano Michele Miscioscia (Mario), nato il 3 novembre 1921 a Lavello (PZ) in Basilicata. Il giorno prima era stato incaricato di portare dei viveri nella zona di Marmoreo, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Al ritorno, verso Ubaghetta, trovò il passaggio sbarrato dal nemico. Si lanciò all'attacco con una bomba a mano, sacrificandosi, ma permettendo agli uomini dell'intendenza della Divisione e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" di sganciarsi incolumi da Ubaghetta, dove erano stati attestati. ... il 19 gennaio era stato incaricato di portare dei viveri nella zona di Marmoreo; mentre rientrava alla base avvistò una colonna nazi-fascista che si dirigeva verso Ubaghetta: impossibilitato a sorpassare il nemico senza farsi scorgere... non esitava a lanciare una bomba a mano... I partigiani ed i civili, mercé il suo sacrificio, poterono abbandonare il paese celati al nemico... con queste parole la morte di Miscioscia veniva ricordata in una successiva comunicazione del Distaccamento "Angiolino Viani" alla I^ Brigata (che, ad ulteriore conferma del momento drammatico vissuto da quelle formazioni partigiane, aggiungeva "Il 20 gennaio 1945 si è assentato il polacco Valter senza fare più ritorno. Da ultime informazioni risulta che attualmente si trovi presso il Distaccamento di "Domatore" della III^ Brigata...").
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998 1999

A Ubaghetta c’era un deposito di viveri. Nella sera del 22 gennaio 1945 Luigi Boriello (Boriello), dopo essersi portato in Val Lerrone, tornava verso Ubaghetta e decise insieme a Mario Miscioscia e qualche altro partigiano di tentare una puntata sul deposito: se Ubaghetta fosse stata sgomberata avrebbe preso viveri per sé e per i compagni. Giunto a Ubaghetta, il gruppo di partigiani si accorse troppo tardi che il borgo era presidiato: una raffica di mitraglia da una finestra e Miscioscia venne colpito in pieno petto. I compagni cercarono di difenderlo. Boriello sparò contro la finestra da cui era provenuta la raffica, sparò con la pistola tutti i colpi del caricatore, poi non gli rimase che tornare nel bosco, abbandonando il compagno alla sua sorte, in quanto non vi era modo di portarlo in salvo. Raggiunto morente da alcuni militi che occupavano Ubaghetta, molto sofferente e conscio della sua sorte imminente, chiese egli stesso di ricevere il colpo di grazia.                                                                                                         Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016   ]
 
Nelle prime ore del 20 gennaio tre colonne tedesche ed alcune compagnie di “Cacciatori degli Appennini”, provenienti da Borghetto d’Arroscia, da Casanova Lerrone e da Pieve di Teco, giungono nella zona. La pattuglia garibaldina avvista il nemico e apre il fuoco.
Dal diario militare di Luigi Pantera Massabò:
Il partigiano Mario Miscioscia, di anni 23, addetto dell’Intendenza, mentre ritorna dalla zona di Marmoreo, dove aveva portato dei viveri, nei pressi di Ubaghetta avvista una delle tre colonne nazifasciste che stanno dirigendosi verso il paese. Impossibilitato a sorpassare il nemico senza farsi scorgere per andare ad avvisare in tempo i compagni, trovandosi in una posizione che gli rende difficile la fuga, viene scoperto, per cui non esita a lanciare contro la colonna una bomba a mano, ed avvicinatosi ulteriormente, la scarica contro la sua pistola, in modo da mettere in stato d’allarme i compagni che si trovano nella zona, manda così a vuoto il colpo di mano del nemico, ormai nell’ultima fase di avvicinamento. Mentre compie il valoroso atto, è colpito mortalmente da una raffica di arma automatica.
All’ufficiale fascista che li chiede di darsi prigioniero, in cambio delle cure che gli avrebbe fatto prodigare, risponde: “Preferisco la morte al disonore di venire con voi”.
Tale frase riferiva l’ufficiale stesso, ammirato, alla popolazione di Borgo di Ranzo
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Francesco Biga 
(con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
Fonte: ANPI Sezione di Lavello (PZ)

Spett. Comando
Nel territorio della parrocchia di Ubaghetta comune di Borghetto d'Arroscia è stato ucciso dai Cacciatori degli Appennini il garibaldino Miscioscia Mario della provincia di Bari [?] appartenente all'intendenza della brigata (II?) il giorno 20 gennaio 1945.
Fu religiosamente seppellito nel cimitero il giorno 21.1.45.
Questo mi è noto
Sac. Igino Rebaudo, Dichiarazione relativa all'uccisione di Mario Miscioscia. Fonte: ANPI Sezione di Lavello (PZ)
 

 
 

31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", allegato n° 24, circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia *, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti ...".
   * Proposta assegnazione medaglie d'argento alla memoria a Mario Miscioscia, caduto il 20 gennaio 1945 nel tentativo di avvertire i compagni dell'arrivo dei tedeschi, a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano. 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II