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domenica 28 agosto 2022

Un sedicenne nato a Treviso, morto da partigiano, fucilato a Pieve di Teco

Monumento ai partigiani, Pieve di Teco (Imperia): lapide ai sei caduti con meno di vent'anni - fra cui il sedicenne Luciano  [Renato] Mantovani, nato a Treviso - Calderoni Ugo, 19; De Negri Lino, 16;  Ponzoni Mario, 18; Talluri Ettore, 19; Saldo Bartolomeo, 17 - (Pietre della Memoria): didascalia ed immagine qui riprese da Caduti Partigiani Treviso cit. infra

Il 20 gennaio 1945 un grande rastrellamento nazifascista investì il paesino di Degolla, Frazione del Comune di Ranzo (IM). Sul piccolo centro si diressero tre colonne nemiche, provenienti da Cesio, da Pieve di Teco e da Casanova Lerrone. Il nemico giunse nella zona alle sette del mattino. Nei pressi del paese era dislocata la squadra di Riccobono Calcedonio "Assassino", composta da dodici garibaldini, armata con un solo mitragliatore. I garibaldini, rimasti circondati, spararono fino all'ultimo colpo. Il caposquadra Riccobono cadde dilaniato da una bomba a mano. Anche Giuseppe Cognein (Giuseppe) di anni 20, commissario del Distaccamento "De Marchi", venne ucciso da una raffica mentre scagliava la sua arma vuota contro il nemico. Altri sette garibaldini - Ettore Talluri, Giuseppe Loba, Luciano Mantovani, Oreste Medina, Ugo Moschi, Valter Del Carpio - caddero vivi in mano al nemico. Dante Rossi rimase gravemente ferito, ma, pur catturato e portato all’ospedale di Pieve di Teco, riuscì a salvarsi con la fuga grazie ad uno stratagemma (utilizzando il cadavere di un anziano deceduto per morte naturale), attuato con la complicità di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico.  
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

Luciano Mantovani

Un primo esempio che proponiamo è quello di Renato Luciano Mantovani, nome di battaglia Balilla.
Questo giovane nato a Treviso il 16 dicembre 1928 e ucciso a Pieve di Teco (IM) il 26 gennaio 1945 aveva solo 16 anni. Il testo del suo ultimo messaggio dice:
Notizia ai genitori
“Sono accusato di appartenere alle bande comuniste, vi
domando perdono, ora mi fucilano”
Renato
Questa lettera sottolinea in modo evidente un tema tipico di questi documenti storici e che abbiamo evidenziato in rosso. I condannati a morte infatti spesso domandano perdono ai propri cari per il dolore che la loro morte avrebbe potuto causarli.
Giovanni Pietro Vitali, Insegnare la storia attraverso le ultime lettere e gli strumenti digitali, Seminario di aggiornamento per docenti "Il mio terzo mestiere. Primo Levi e gli studenti", 28 novembre 2019, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore 


Renato Luciano Mantovani (Balilla). Di anni 16. Nato il 16 dicembre 1928 a Treviso. Studente iscritto al 2º anno della scuola di avviamento professionale. Nell’estate del 1944 si collega coi partigiani ed entra a far parte della 3ª Brigata della VI Divisione d’assalto Garibaldi-Liguria "Silvio Bonfante". Il 23 gennaio 1945 è sorpreso da un rastrellamento nazifascista mentre si trova a Degolla, una frazione di Ranzo (in provincia di Imperia). Catturato con altri 7 compagni d’armi (Bruno Cavani, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medina, Ugo Moschi, Faustino Romano e Ettore Talluri), Mantovani è subito tradotto a Pieve di Teco (IM), dove viene fucilato senza processo il 26 gennaio 1945.
[...] Notizia ai genitori
"Sono accusato di appartenere alle bande comuniste, vi domando perdono, ora mi fucilano"
Renato
Ultima lettera di Renato Luciano Mantovani ai genitori
Igor Pizzirusso, Renato Luciano Mantovani (Balilla), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza Italiana

26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.                                          

27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli non poteva certo saperlo, ma si trattava di Dante Rossi che, invece, riuscì a salvarsi mercé il sotterfugio descritto da Giorgio Caudano - vedere sopra - ].     

Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994

 

Certificato di morte di Luciano Renato Mantovani, rilasciato dal Comune di Pieve di Teco (IM). Immagine qui ripresa da Caduti Partigiani Treviso cit. infra


Mantovani Luciano di Adelchi, Treviso, classe 1928
Partigiano Combattente - 3. Brg. Bacigalupo - 6. Div. Bonfante
Caduto il 26 gennaio 1945, a Pieve di Teco
Dopo un aspro combattimento veniva arrestato il 23 gennaio, incarcerato, dopo tre giorni di stringenti interrogatori veniva fucilato.
Tipografo - 3. avv. professionale  (Elio Fregonese, 1997)
Ulteriori informazioni tratte dal foglio matricolare
Mantovani Luciano Renato, classe di leva 1928, matricola 56464 quater, Distretto di Treviso (28). / Figlio di Adelchi e di Florian Giovannina, nato il 16.12.1928 a Treviso.
«Considerato come arruolato nell’Esercito per aver fatto parte dal 1°.9.1944 al 26.1.1945 della formazione partigiana 6a Div. Bonfante, 3a Brig. Bacigalupo con la qualifica gerarchica partigiana: nessuna [...]
Timbro
Equiparato a tutti gli effetti (escluso il compimento degli obblighi di leva), per il servizio partigiano anzidetto, ai militari volontari che hanno operato in Unità regolari delle Forze Armate nella Lotta di
Liberazione (D.L. 6/9/1946 n. 93)
A penna
Deceduto nel Comune di Pieve di Teco, come risulta dall’atto di morte del Comune di Venezia in data 10.11.1958 - Partigiano Combattente Caduto (fucilato) - li 26 Genn. 1945)».
[...] Da segnalare come il padre, Adelchi Mantovani, fosse un ex socialista massimalista che nel 1924 entrò a far parte del partito comunista di Treviso. Lo veniamo a sapere dal partigiano e dirigente comunista trevigiano Nicola Paoli, a p. 134 dei suoi "Quaderni": «Cominciava la persecuzione, specie con gli intellettuali. Ghidetti [Vittorio, primo sindaco di Treviso dopo la Liberazione] allora faceva parte del gruppo di Serrati, i così detti “terzini", e fu lui, Oreste Bonaccina, Beppi Fiabon [marito di Teresa Menghi] e Adelchi Mantovani, che nel 1924 la frazione si fuse con noi. Ghidetti era alla camera del lavoro [...]»
[...]  Un piccolo eroe patriota
«Giunge notizia, da Venezia, che la salma del quindicenne Renato Mantovani di Adelchi e di Rina Florian, nato a Treviso, è stata trasportata dalla Liguria a Venezia nella camera ardente predisposta nella sede di S. Polo del P.C.I. Il piccolo Renato era fuggito da casa nel settembre 1943 alla insaputa dei genitori, i quali, dopo tante ricerche, avevano potuto solo stabilire che provvedutosi di uno zaino di marina aveva lasciato Venezia e nulla più. Improvvisamente, verso la metà di luglio, una breve comunicazione da Pieve di Teco faceva conoscere che Renato riposava nel cimitero di quel paese, poiché arrestato il 23 gennaio 1945 insieme ad altri sei patrioti, dopo tre giorni dall’arresto insieme a questi era stato fucilato dalle brigate nere. In un foglietto scritto di suo pugno, il piccolo eroico patriota mandava l’ultimo saluto ai genitori, alla sorella ed ai nonni chiedendo perdono per il dolore che procurava loro. I funerali di Renato Mantovani hanno avuto luogo a Venezia giovedì 26 corr. alle ore 10 dalla camera ardente per il cimitero di Venezia»
(Rinascita, Organo del Comitato di Liberazione Nazionale, Treviso, n. 10, 28.7.1945)                    
PS - La breve vita e la lettera ai genitori del partigiano Renato Mantovani sono ricordate anche nel libro di Eraldo Affinati "Vita di Vita", Mondadori, 2014 -
(Anteprima online su Google Libri - Consultazione: 14 agosto 2017)
Nota - Nella lapide del monumento di Treviso, la sua data di morte è stata scambiata con quella di Giacomo (o Jacopo) Mantovani Orsetti, di Renzo, nato nel 1924 e ucciso a Crespano del Grappa l'8 ottobre del 1944.
Fonte: Fregonese e la pagina Facebook "Studi storici Giovanni Anapoli" - 18-29 settembre 1944: Operazione “Piave” - “il massacro del Grappa” (Pedemontana e Massiccio del Grappa). 2^ PARTE - Le vittime  [scheda n. 157 - Consultazione: 14 agosto 2017]
[...] Redazione, [Renato] Luciano Mantovani, 1928-1945, I caduti partigiani del comune di Treviso, 12 novembre 2016

mercoledì 15 giugno 2022

La meta del Distaccamento partigiano Catter è la valle di Diano

Borghetto d'Arroscia (IM) - Fonte: Wikipedia

Il 25 gennaio 1945, all’alba, tre colonne tedesche “provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco giungono a Ubaghetta [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. La nostra pattuglia avvista il nemico ed apre il fuoco, ma il garibaldino Redaval (Cardoletti Germano) continua impavido a sparare finchè viene colpito da una raffica di mitra e catturato.” (Luigi Massabò, “Pantera”, Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]). Redaval verrà fucilato da un plotone d’esecuzione formato dai “Cacciatori degli Appennini”. Dopo tale attacco i nemici si ritirarono sulle posizioni iniziali ed i Distaccamenti  “Giuseppe Maccanò” e “Gian Francesco De Marchi” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” della Divisione "Silvio Bonfante" poterono sganciarsi. Il giorno successivo riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini” [L. Massabò “Pantera”, op. cit.], tra cui “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa” [L. Massabò “Pantera”, op. cit.]. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  

Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Gli alpini lasciarono ancora una volta Ubaghetta spostandosi a Casanova: Tom e Boriello [Luigi Boriello] erano con loro. Il comandante italiano del reparto si era opposto alla loro fucilazione. I colpi uditi dai rifugi erano stati un'ultima minaccia:  i prigionieri furono addossati al muro di una cappella, ed invitati per un'ultima volta a parlare, poi, al loro rifiuto, gli alpini avevano sparato a pochi centimetri da loro senza colpirli. Avremo notizie incerte e saltuarie della sorte dei nostri due compagni. Sapremo che, condotti a Cuneo, passarono molti mesi in quelle carceri, poi che i tedeschi li avevano fucilati per rappresaglia. Corse voce che Boriello fosse fuggito, ma nessuno lo vide mai. Dopo la liberazione Tom tornò al nostro Comando ad Alassio. Appresi da lui i particolari della finta fucilazione, dei mesi passati a Cuneo dove i tedeschi tiravano a sorte i nomi di quelli da fucilare, come il pensiero della morte imminente fosse per lui ormai abitudine quotidiana. Poi infine la liberazione.
Tom e Boriello vennero catturati il 25, quel giorno il distaccamento Catter, al Comando di Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari] e del commissario Gapon [n.d.r.: Felice Scotto], parte da Alto dove la situazione è diventata ormai insostenibile, dove i contadini terrorizzati dalle minacce nemiche sollecitano i partigiani a disertare o ad andarsene.
La meta del Catter è la valle di Diano: molti della banda sono nativi di quei luoghi e sperano che la valle sia ancora libera e tale possa rimanere. La banda parte dopo il tramonto, verso mezzanotte è a Lénzari, dopo una breve sosta scende a fondovalle, varca l'Arroscia in un punto incontrollato, prende la salita che porta a Montecalvo. Marciando nella neve di notte e di giorno, attraversando con infinite precauzioni il territorio dominato dal nemico, la banda si sposta verso il sud, pronta ad aprirsi il varco con la forza. Con le armi pesanti, i viveri, il materiale della banda, il Catter raggiunge la Val Lerrone all'alba del 26 gennaio.
Passando a ponente evita i paesi di Vellego, Ginestro e Tèstico e punta sul passo dei Pali. La marcia è stata lunga e faticosa per la neve, la necessità di evitare le mulattiere e le strade principali, per la tensione nervosa. Più stanco degli altri è Gapon che, come commissario della banda, sente gravare su di sè la responsabilità della salvezza di tutti, che sa quanto scarse siano le possibilità di salvezza in caso di attacco nemico. Secondo una relazione non  confermata, la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti nell'alta Val d'Andora diviene palese che il ritmo di marcia va rallentando sempre più a causa dei compagni stremati.  Continuando così la salvezza di tutti verrebbe compromessa. Gapon non esita e chiede ai compagni di proseguire e di lasciarlo solo, poi si adagia nella neve esausto: forse un breve riposo lo rimetterà in grado di proseguire. I compagni si consultano, col commissario restano Marat, Bruno e Franco, gli altri partono uno per uno, in fila, salendo faticosamente il pendio nevoso sotto la sferza del vento invernale: al di là del passo dei Pali li attende libera, la loro terra.
II riposo di Gapon è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tran quillizza in parte, ma dà  anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone, di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga.
Bruno viene ferito ad una gamba, Marat cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, dare forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat, che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera, che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile] a Segua.
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
[...] Anche militarmente il rastrellamento ebbe esito negativo. Non ci disorganizzò perché ormai non c'era quasi più niente di organizzato: i collegamenti, i servizi erano troppo rudimentali per poter peggiorare. Non ci disperse perché ormai eravamo così pochi ed avevamo previsto l'attacco da così tanto tempo che tutti quelli che vacillavano se ne erano andati.
I rimasti erano i migliori o quelli che non sapevano dove andare. Dopo la prova, ritenendo che ormai il peggio fosse passato, si cominciò a notare la tendenzan al ritorno nelle bande, anche di quelli che si erano allontanati prima del  rastrellamento.
Unico risultato positivo per il nemico, doloroso bilancio per noi, furono i caduti, i fucilati, i morti in combattimento. Degolla, Bosco, Ubaghetta, Cappella Soprana, Onzo, Ginestro vennero arrossati di sangue partigiano, a Ranzo, a Pieve di Teco echeggiarono le scariche dei plotoni di esecuzione. Più di venticinque compagni che avevano resistito a tutti i disagi, erano passati per mille pericoli, avevano una profonda esperienza di guerriglia erano perduti per sempre. Venticinque, circa l'otto per cento degli effettivi, non molto  paragonati ai bilanci di Upega, Fontana, Val Casotto dove il cinquanta per cento o addirittura la totalità delle forze venne, se non uccisa, dispersa. Questa volta,  come già nei rastrellamenti estivi, il passivo fu costituito quasi esclusivamente dai morti, poiché gli sbandati tornarono tutti entro pochi giorni. La perdita di armi non fu rilevante: solo le armi delle squadre di Bosco e Degolla andarono perdute, le altre bande, eccettuato il Garbagnati, non ebbero a sostenere grandi scontri, sicché anche il consumo di munizioni fu limitato.
Le perdite nemiche? I morti di Cappella Soprana, qualche altro a Ginestro, forse qualcuno a Degolla, pochi, meno dei nostri, come ormai succedeva da ottobre, da quando l'ambiente era mutato, le munizioni erano contate.
I partigiani avevano nel complesso superata la prova, erano rimasti per il nemico una minaccia reale ed ancor più potenziale perché era sopravissuto un germe che, né la forza nemica, né i tradimenti erano riusciti ad annientare. Malgrado le nostre debolezze ed i nostri difetti la forza morale e fisica di resistenza, la volontà tenace di continuare malgrado ogni avversità erano state superiori alle previsioni pessimistiche, avevano fatto fallire il grande tentativo di annientarci, di ciò il nemico non tarderà ad accorgersi.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: gulliver.it


Il distaccamento della 3^ Brigata "E. Bacigalupo" comandato da Mario Gennari (Fernandel) e il Distaccamento "Giuseppe Catter", composto da una trentina di uomini al comando di Giuseppe Gennari (Gino) e dal commissario Felice Scotto (Gapon - classe 1919), decide di abbandonare Alto (CN) per ritornare verso le valli di Diano. Durante il trasferimento la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti presso il Passo dei Pali, Gapon decide di mandare avanti il resto degli uomini e rimanere insieme a Bruno Amoretti (Bruno - classe 1921), Dante Del Polito (Franco - classe 1924) per permettere a Renzo Urbotti (Marat) di riprendere le forze e proseguire la mattina successiva. I quattro trovano rifugio in un casone isolato a Cappella Soprana e accendono un fuoco per riscaldarsi. Un gruppo di Cacciatori degli Appennini vedono il fumo levarsi dal casone. Quando i repubblichini giungono a pochi metri del casone, i quattro partigiani, che avevano scorto la colonna avanzare, aprono il fuoco uccidendo il tenente e altri cinque militari e poi tentano la fuga. Bruno Amoretti viene ferito ad una gamba ma i quattro riescono a fuggire. Urbotti morirà nella notte per congelamento. I quattro meritarono un encomio solenne che recita: “I garibaldini “Gapon”,“Bruno”, “Marat”, “Franco”, del Distaccamento “G. Catter” III^ Brigata “Ettore Bacigalupo”, sorpresi e circondati in un casone dal nemico, dove si erano fermati per il malessere manifestatosi in uno di loro, reagivano con indomabile spirito uccidendo il tenente comandante il pattuglione nemico, un sott'ufficiale e quattro soldati e ferendone un numero inprecisato. In seguito alla loro violenta reazione, riuscivano a sganciarsi e a mettersi in salvo, escluso il garibaldino “Marat”, deceduto poi nella notte per congelamento in seguito a ferite, mentre il commissario “Gapon” nuovamente appostatosi, attraeva l'attenzione su di sé, agganciando la quarantina di militi fascisti superstiti. Passo del Pizzo d'Evigno - 26 gennaio 1945. Il comandante di Divisione 'Giorgio' (Giorgio Olivero)”. 

Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020  

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la condanna a morte di Carlo Serafini, reo di avere guidato i soldati repubblichini contro i garibaldini a Ginestro.
29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della stessa Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti: "[...] Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano.
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

sabato 1 agosto 2020

Sui rastrellamenti nazifascisti di inizio 1944 in Val Casotto e nella zona di Nava


Lastra commemorativa dell’eccidio in data 14 gennaio 1944 di 11 partigiani ed un civile perpetrato in Pellone di Miroglio, Frazione di Frabosa Sottana (CN) - Fonte: Pietre della memoria
 
La cappella di San Marco al Pellone [...] Nella zona, vicinissima a Miroglio [Frazione di Frabosa Sottana, in provincia di Cuneo], sede delle milizie fasciste, operavano i partigiani, anche ospitati dalla famiglia Tassone, che viveva nella piccola borgata a pochi passi dalla cappella. Un giorno di fine gennaio 1944, forse per una delazione, un gruppo di fascisti della zona sorprese i partigiani intenti a mangiare davanti alla cappella: ne uccisero undici, lasciandoli quasi a galleggiare nel loro sangue. Il massacro continuò anche all’interno: dalla porta colavano rivoli di sangue. Nelle gavette, ancora il cibo consumato a metà. Gli abitanti dei dintorni poco dopo portarono tutti i morti nella cappella e poi don Beppe Bruno il “prete dei ribelli” provvide alle sepolture. Per quest’opera pietosa alcuni valligiani furono portati dai fascisti a Ceva e interrogati per giorni. 
Itinerari partigiani in valle Ellero, Viaggio nel Monte Regale  

Fonte: Viaggio nel Monte Regale

Fonte: Viaggio nel Monte Regale
 
I partigiani locali, allora al  comando di Enzo Marchesi (col. Musso)  catturano alcune autorità fasciste  il 20 dicembre  1943 in  valle  Corsaglia  (CN).  Il  26  dicembre  giunge  a  comandare  il  gruppo il  maggiore  Enrico  Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi, con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i tedeschi  attaccarono  in  forze  quasi  tuttii partigiani dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani e furono trucidati .
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57

[ n.d.r.: Giorgio <Giorgio I, poi Cis> Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto". Passò, poi, a militare  nelle formazioni garibaldine della I^ Zona Operativa Liguria nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio  Bonfante ]

 

I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli *.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
* Folco Lulli, nato a Firenze il 3 luglio 1912, deceduto a Roma il 24 maggio 1970, attore cinematografico. Durante la guerra fascista in Etiopia, Lulli ebbe il comando di una banda di abissini, che affiancava le truppe regolari italiane. Dopo l'8 settembre 1943, trovandosi nel Cuneese, prese parte alla Resistenza con gli "Autonomi" di Enrico Martini Mauri, prima al comando di una "volante" in Val Maudagna, poi come capo di stato maggiore delle formazioni di Mauri in valle Casotto. Catturato dai tedeschi, Lulli fu deportato in Germania. Riuscì a fuggire e a riparare nell'allora Unione Sovietica. Tornato in Italia, divenne nel dopoguerra un noto attore cinematografico, rivelando la pienezza dei suoi mezzi espressivi in film quali "Vite vendute", "Il bandito", "Senza pietà", "Non c'è pace tra gli ulivi", "Fuga in Francia". Ha partecipato ad una trentina di film di vario genere.
ANPI Cuneo


Verso la fine del febbraio '44 (nei giorni dal 25 al 27) vi era stata la battaglia di Garessio, con l'attacco dei partigiani al Miramonti, albergo nel quale si erano asserragliati i i tedeschi. Questi, con lo scopo di compiere una vasta opera di rastrellamento specialmente contro i partigiani di Val Casotto, avevano occupato Garessio (25 febbraio), incominciando subito a commettere uccisioni e devastazioni, e avevano posta la loro sede nell'albergo Miramonti.  Attaccati dai partigiani di Mauri, convenuti da varie parti, la battaglia aveva assunto ampie proporzioni, svolgendosi contemporaneamente in diverse località. Infine i tedeschi, dopo aver compiuto numerosi massacri con la cooperazione di militi fascisti del battaglione San Marco, avevano lasciato il paese (27 febbraio); ma vi erano stati strascichi dolorosi anche nei giorni seguenti. Durante questi fatti il 26 febbraio '44 era stato ripetutamente ferito in combattimento e dai militi fascisti catturato, torturato e ucciso Sergio Sabatini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Fonte: Pietre della memoria
 
Nella battaglia di Garessio (CN) [il 26 febbraio 1944] venne ucciso il partigiano Sergio Sabatini * di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit.
* Sergio Sabatini. Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Giovane partigiano di eccezionale coraggio, rinunciava alla licenza per partecipare con i propri compagni ad un’azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Ferito due volte durante l’epica lotta e costretto dietro ordine del comando a ritirarsi per esaurimento delle munizioni, si offriva volontario per portare ordini ad un reparto impegnato su altro tratto di fronte. Ferito una terza volta nell’attraversare una zona scoperta e battuta tentava ancora con le ultime forze di assolvere il suo compito, finché, colpito una quarta volta al petto, cadeva nelle mani del nemico, che dopo avere tentato invano di estorcergli notizie sull’organizzazione partigiana, lo seviziava barbaramente. Condotto a morte, l’affrontava con sprezzo gridando al nemico: «Mio padre mi ha insegnato a vivere, io vi insegno a morire». Fulgido esempio di valore e di fermezza". Garessio, 25-26 febbraio 1944

Nella squadra di Martinengo [Eraldo Hanau] a tenere una posizione importante sopra il paese c'era anche lo studente onegliese Sergio Sabatini. I suoi compagni sapevano che sparava bene alla mitraglia: allora gliela diedero in consegna con tutto l'occorrente per la postazione; ma più tardi i tedeschi lo catturarono ferito, perché si era fidato troppo andando allo scoperto quando partì volontario per portare un ordine urgente ai mortaisti. Anche i nazifascisti capirono che era un ragazzo in gamba molto deciso, che non dava segno di dolore manco quando provarono a picchiarlo per farlo parlare. Cosicché prima di ricominciare cercarono di convincerlo con le buone; ma lui continuava a dire di no, che lì c'era per conto suo e basta; poi lo torturarono con accanimento avendo perso la pazienza, per fargli dire del comando e dei comandanti.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 23-24

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli
 
Fonte: Giampaolo De Luca, Op. cit. infra
 

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli

Giorgio Carrara, nato a Garessio il marzo 1925, allievo meccanico. Partigiano del distaccamento del Colle di Casotto, il 27 febbraio 1944 scende in Garessio accompagnato da un partigiano del luogo con l’intento di recuperare armi abbandonate ed assumere notizie sulle intenzioni dei nazifascisti. Compiuto il recupero, i partigiani si avvicinano al piazzale dell’albergo Miramonti, (sede del comando tedesco), fanno fuoco sui tedeschi, quindi risalgono la "costa della battagliera" verso regione Campi. I tedeschi allertati li inseguono: Carrara è colpito all’addome da una raffica, mentre il suo compagno riesce a fuggire. Catturato da due soldati, è condotto prima al comando del Miramonti, poi verso la strada di Valsorda sino all’incrocio con quella delle Fonti. In tale località gli sparano in fronte con il mitra. Mostrando il tricolore che gli orna il risvolto della giacca, pronuncia le sue ultime parole: "Viva l’Italia!".
È insignito di Croce di guerra alla memoria: "Partigiano ardito e coraggioso, già ripetutamente distintosi in precedenti circostanze, durante un aspro combattimento per la conquista di un importante centro abitato, trovava morte gloriosa alla testa dei suoi compagni". Garessio 1° febbraio - 26 febbraio 1944
A Giorgio Carrara venne intitolato un distaccamento della Brigata "Domenico Arnera" della Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011  

La primavera del 1944 portò con sé anche una nuova consapevolezza da parte nemica: la ribellione andava stroncata sul nascere con un’offensiva a vasto raggio, caratterizzata dal contemporaneo sfondamento frontale e dall’aggiramento sulle ali, al fine di non lasciare scampo all’avversario. Al 7 marzo l’operazione investì le valli di Lanzo, al 13 si spostò in Val Casotto, successivamente in Val Varaita. Nella Val Casotto, dove era stata adottata la tattica della difesa rigida frontale, i volontari subirono un rovescio senza precedenti, perdendo i due terzi degli uomini, e solo una esigua schiera di superstiti al comando del capitano Enrico Martini Mauri riuscì a rompere l’accerchiamento e a riparare nelle Langhe. In Val Varaita e in Val di Lanzo le perdite furono minori, ma le bande uscirono dagli scontri disarticolate e scosse.
Lodovico Como, Dall'Italia all'Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009-2010

Dei quasi mille uomini che “Mauri” aveva in val Casotto e in val Tanaro, solo un centinaio ne rimangono ai primi di aprile del 1944. <392 Il numero di patrioti, che andrà a ingrossare le file maurine, sarà diverso per provenienza e per cultura militare dagli uomini che il maggiore aveva a disposizione durante il primo inverno. La maggior parte dei «coadiutori [di “Mauri”] ha lasciato la vita sul campo o dinnanzi al plotone di esecuzione tedesco». <393
[NOTE]
392 “Relazione sui fatti d’arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Langhe, 9.4.44 - in Luciano Boccalatte (a cura di), Il primo gruppo di divisioni alpine in Piemonte, in Gianni Perona (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza. Documenti, FrancoAngeli, Milano 1996, p. 342
393 Ibidem

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Sono passati molti anni dallo scontro tra partigiani e truppe tedesche che mise a ferro e fuoco l’intera vallata, eppure il numeroso pubblico accorso sabato 16 marzo nella sala comunale di Pamparato testimonia quanto sia viva la volontà di ricordare la storia di allora e i suoi protagonisti. In luoghi oggi così lontani dal clamore mediatico, nei giorni a cavallo tra il 13 e il 17 marzo del 1944 si scrisse una delle pagine più importanti della storia resistenziale piemontese, con i partigiani del comandante Mauri assaliti dai tedeschi.
I relatori: «Conoscere la storia è l’unico “vaccino” efficace al male e all’ignoranza»
A ricordarlo Michele Calandri, già direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo, che ha definito questa battaglia come uno spartiacque nella lotta al nazifascismo: «Nonostante la pesante sconfitta subita dagli uomini al seguito di Enrico Martini detto “Mauri” si può affermare che tra queste montagne nacque quella Resistenza capace di contribuire al definitivo tracollo della Wehrmacht, basata fino ad allora su azioni isolate e figlie dell’improvvisazione». Nella trattoria “Croce Rossa” di Valcasotto si riunirono i capi partigiani provenienti dal basso Piemonte e della vicina Liguria tra cui anche il celebre Duccio Galimberti. In quel freddo inverno, tra la neve come sempre copiosa, erano presenti in Valle Casotto quasi 1.500 uomini di cui solo la metà armata e ritenuta idonea allo scontro. La Wehrmacht, preannunciata dalla “cicogna”, nome con cui i tedeschi chiamavano gli aerei da ricognizione, poteva invece contare su circa 3.000 soldati e mezzi blindati che, dopo quattro giorni di duri scontri, ebbero la meglio: «Tra le fila tedesche i caduti furono solamente 10, mentre tra i partigiani ben 118 - ha concluso Calandri -. A pagare a caro prezzo fu anche la popolazione civile con 33 morti e numerose borgate date alle fiamme». La gente comune non fece mai mancare sostegno e ospitalità alle truppe di liberazione: «Uno spirito di solidarietà che oggi sembra essersi appannato - ha commentato Ughetta Biancotto, presidente ANPI provinciale -. La Resistenza rappresenta una della pagine più belle del Novecento, che ci ha permesso di consolidare valori come la libertà, la democrazia, la pace e la giustizia sociale. Oggi tutti noi abbiamo il dovere di difendere quelle conquiste ottenute con il sacrificio di tante giovani vite». Resistenza come valore attuale da tutelare contro le incertezze del presente: «Gli episodi di intolleranza sono ormai all’ordine del giorno - ha affermato con preoccupazione il prof. Stefano Casarino, presidente ANPI Mondovì -. Già Primo Levi diceva che ciò che era stato poteva ritornare a essere. L’unico “vaccino” efficace è lo studio della storia. I ragazzi di oggi sono curiosi e hanno voglia di imparare. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti nel processo di educazione avvicinandoli con passione e trasporto a queste tematiche».
Le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona quei momenti
Il convegno è stato arricchito dalle testimonianze di coloro che erano poco più che ragazzini ma vissero sulla loro pelle quella immane tragedia. Su tutti il novantenne Ugo Robaldo, residente a Valcasotto, che con sorprendente minuzia di particolari ha saputo rievocare i momenti che precedettero l’arrivo delle truppe tedesche. Spesso i partigiani si affidarono a lui per il trasporto di viveri e messaggi da una postazione all’altra o per semplici suggerimenti sulla geografia del territorio. Prezioso l’intervento di Giacinto Baldracco, allora residente nel Castello di Valcasotto, sulla cui famiglia pendeva un mandato d’arresto perché considerata collaborazionista dei partigiani: a 7 anni fu costretto a rifugiarsi a Torino, mentre il Castello veniva distrutto dai tedeschi. Molto commosso l’intervento del figlio di Rita Borgna, all’epoca titolare dell’ufficio postale di Serra Pamparato, che aveva avuto un fondamentale ruolo di collegamento con i combattenti di stanza a Mondovì. Presente in sala anche Franco Luigi Motta, classe 1924, uno degli ultimi partigiani monregalesi che combatté al fianco del capitano Piero Cosa e del tenente Giuseppe Milano sul Pian della Tura. A moderare l’incontro il giornalista Marco Giraudo che, dopo aver riportato il ricordo di Giuseppe Robaldo e Carlo Dalmasso, ha chiuso il convegno asserendo l’importanza dell’arte nella trasmissione di questi valori: «I giovani possono essere coinvolti attraverso il messaggio universale della musica». Gran parte del merito della riuscita di questa iniziativa va attribuito alla passione di Mauro Uberti e Ivana Mussano: «È davvero toccante vedere una sala così gremita - ha dichiarato la direttrice della Biblioteca comunale di Pamparato -. Il tempo intercorso da quegli eventi non ha intaccato la voglia di ricordare».
Alessandro Briatore, Pamparato ha ricordato i giorni della Battaglia della Val Casotto, Unione Monregalese, 24 marzo 2019

mercoledì 22 luglio 2020

Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili

Pieve di Teco (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 i tedeschi, partendo da Cesio (IM) cercarono di portare un duro colpo alla Divisione Bonfante, iniziando un rastrellamento che interessò soprattutto le località di Bosco, Degolla, Ubaghetta, Alto, Nasino, Casanova. A Bosco [n.d.r.: Frazione del Comune di Casanova Lerrone (SV)] riuscirono a circondare un casone che ospitava un gruppo di partigiani. Dopo un aspro combattimento i dodici uomini che si trovavano dentro il casone ruppero l'accerchiamento. Qualcuno evitò la cattura, ma caddero sul campo il sovietico Gospar, Rolando Martini (Indusco), William Bertazzini (Rosa), Gino Bellato (Gino). Bartolomeo Vio (Tron) della banda locale di Vendone che, in servizio notturno, mentre stava controllando attentamente le strade, veniva ferito ad una caviglia, riuscì a salvarsi con una fuga a perdifiato. Vennero catturati e fucilati i civili Amedeo Bolla, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo venne ucciso il civile Settimio Testa.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, edit. in pr., 2020
 
[ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perchè il nemico è già in movimento.
I tedeschi dislocati a Cesio (IM) partono, raggiungono il Passo del Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], che raggiungono rapidamente.
Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo, a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile [n.d.r.: anche Degna è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona], non giunge subito la grave notizia.
Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Valle Arroscia.
I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna.
La colonna [nazifascista] diretta a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è accompagnata dalla ormai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco.
Ormai è tardi.
Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi.
Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Il comando della Divisione si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino.
Quanti erano gli armati, con muli o senza, perchè la guardia borghese non ha funzionato?
In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là?
Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo?
Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse.
Un borghese, che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla [Frazione di Ranzo (IM)] e da Costa Bacelega [Frazione di Ranzo (IM)], segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco.
Lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali. Verso mezzogiorno giunge a Segna uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I tedeschi!”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano.
Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. 
L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bartolomeo Barbero (Bertumelin) contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. 
In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entrano in paese. 
Dopo mezzora Degna è di nuovo libera. Il nemico ha proseguito per Cesio (IM).
Si spera sia tutto finito.
Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone.
Il comandante Giorgio Olivero (Giorgio) e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I^ Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione.
La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera).
Cosa era avvenuto a Bosco? A Bosco, per la scarsità di munizioni, ai partigiani era stato dato l'ordine di adoperare le armi automatiche soltanto nelle situazioni più critiche. Si accendono combattimenti violentissimi a Bosco, a Degolla [borgata di Ranzo (IM)], a Ubaghetta [Borghetto d'Arroscia (IM)], ad Alto (CN), a Nasino (SV), a Casanova ed in altre località.
Tre colonne nemiche di circa cinquanta uomini ciascuna, partite rispettivamente da Cesio (IM), da Villanova di Albenga (SV) e da Leca [Frazione di Albenga (SV)], si dirigono sul piccolo centro abitato di Bosco. I garibaldini non riescono a sganciarsi. Impugnano le armi e si dispongono alla difesa. Oramai sono circondati perchè il nemico ha individuato il casone dove erano accampati.
Dopo aspro combattimento i dodici uomini riescono a rompere il cerchio di fuoco e qualcuno evita la cattura.
Cadono sul campo il sovietico Gospar, che si sente rantolare, dire qualche cosa nella sua lingua prima di morire; Rolando Martini (Indusco), di anni 20; William Bertazzini (Rosa) di anni 20; Gino Bellato (Gino) di anni 20.
Sono catturati e fucilati sul posto i civili Amedeo Boli, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è ucciso il civile Settimio Testa. I garibaldini che sono riusciti a sottrarsi alla cattura, raggiungono le altre squadre del distaccamento. Tremenda l'avventura del garibaldino “Umegu” che, catturato due volte, e due volte messo davanti al plotone di esecuzione, riesce a fuggire incolume, benchè soggetto a raffiche di armi automatiche.
Le case di Bosco sono date alle fiamme.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005

22 gennaio 1945 - [...] Sono le 2 e dalla Valle Arroscia giunge un forte gruppo di repubblichini recando seco 8 partigiani catturati a Bosco in un'azione militare. Di essi, due sono feriti e vengono trasportati all'ospedale, gli altri 6 sono rinchiusi in un fondo della caserma S. Manfredi.
23 gennaio 1945 - Giungono altri repubblichini, tutti venuti con un buon numero di rastrellati in Vessalico. Ve ne sono di tutte le età. Si tratta di operazioni fatte un po' a casaccio perché questi individui che, per i tempi che corrono, sono tutti muniti di documenti, e cioé della carta di identità, non appena passano al controllo del Comando tedesco, finiscono poi col ritornare quasi sempre alle loro case. Si presume, però, che tali operazioni siano fatte per secondi fini, come quello di terrorizzare le popolazioni e renderle così succubi della loro volontà.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
La Val di Diano è ancora sgombera, la I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] chiede cosa debba fare. Non possiamo dare ordini perché Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] e Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] sono al di là della «28», di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ignoriamo la sorte, il S.I.M. è ormai isolato e disperso, siamo senza notizie  delle altre due Brigate. Se la staffetta riuscirà a tornare indietro potrà solo riferire la situazione portando le esortazioni di Osvaldo [Osvaldo Contestabile] per la I^ Brigata: che si tenga pronta perché il nemico può irrompere nella Valle di Diano da un momento all'altro.
A noi che conviene fare? Attendere Pantera può essere inutile e diventare pericoloso. Rimanendo potremmo ancora servirci deirifugi, ma se la situazione si aggravasse  ancora potremmo sempre contare che i borghesi possano rifornirci?  
A Degna poi molti credono che qui ci sia l'intero Comando divisionale, se un civile tradisse, e dopo le recenti esperienze non possiamo escluderlo, il nemico può piombarci sopra con forze ingenti.
Attendere così passivamente la sorte mentre il nemico scorazza impunemente nella zona crea in noi una situazione morale sempre più penosa che avrebbe potuto prolungarsi per chi sa quanto tempo: l'esempio della Cascione e del rastrellamento di Fontane ci indicava che i rastrellamenti invernali erano assai lunghi. La Val di Diano è ancora libera, forse anche parte della valle di Cervo. Se fossimo partiti ieri anche la via sarebbe stata aperta, ora invece...  Però la staffetta era riuscita a passare; a stento, ma era passata.
Sì, ma al ritorno?... Al ritorno forse il nemico avrà aumentata la sorveglianza e chissà se si potrà ancora?... Con la neve che nei versanti in ombra è ancora alta c'è il rischio di essere scoperti da lontano dovendo percorrere lunghi tratti allo scoperto. Il dubbio è assillante, qui penso che il nostro compito sia ormai finito: bisogna provvedere alla nostra salvezza e solo quando il rastrellamento sarà finito ognuno riprenderà i suoi compiti se il movimento riuscirà a sopravvivere.
Il giomo 24 il nucleo del Comando di Segua [n.d.r.: Segua è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona] si scioglie: in Val Lerrone il Comando italo-tedesco ha pubblicato un bando invitando tutti coloro che, obbedendo alla falsa propaganda nemica, hanno cercato rifugio sui monti, a presentarsi entro le quarantotto ore. «A coloro che si presenteranno si fa garanzia della vita, gli altri saranno passati per le armi; uguale sorte avranno i borghesi che presteranno loro aiuto o che verranno trovati in possesso di roba  militare,  anche vestiario o coperte. Le loro case verranno incendiate».
Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 140 
 
26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.
27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli pensava a Dante Rossi, che, invece, riuscì a salvarsi con l'aiuto di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico, che fece passare per Rossi il cadavere di una persona anziana deceduta di morte naturale]. Sono le 11,30: i due patrioti rastellati in Rezzo, trasportati in Pieve e condannati a morte, non sono ancora stati fucilati.
28 gennaio 1945 - Stamattina alle 9,30 ho parlato col Commissario Provinciale della Croce Rossa, Dott. Amoretti, dentista di Oneglia, e col rappresentante della Federazione di Imperia, affinché si interessino per ottenere un trattamento meno disumano in Pieve. Mi hanno dato assicurazione in merito.
29 gennaio 1945 - Sono partiti gli alpini repubblichini (Monte Rosa) ma, da Triora son giunti i granatieri repubblichini già inviati colà per operazioni di rastrellamento.
Nino Barli, Op. cit.

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole. Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon' [Raymond Rosso], non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi. Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infliggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di un solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "il giorno 1 perirono Badano Ezio, Menini Lionello e Valduna Giovanni ad Armo; il 2 Emilio Zamboni, nativo di Dernis (Jugoslavia); il 3 Lorenzo Gracco; il 15 Italo Menicucci; il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti (1); il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla [n.d.r.: in effetti, Renato Luciano Mantovani, Balilla, un sedicenne nato a Treviso, residente a Venezia, risulta - da fonti successive, quindi, non da questo dispaccio scritto in guerra sotto l'incalzare degli eventi - fucilato a Pieve di Teco]; e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)
   * Proposte assegnazione medaglia d'argento alla memoria a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano * morti il 20 gennaio 1945. * Descritti anche da Don Giacomo Negro, arciprete di Bacelega al C.O. I^ Zona.
   (1) 'Redaval' Germano Cardoletti ex San Marco - IV^ Brigata "Domenico Arnera" - ucciso il 23 gennaio 1945 ai Piani di Ubaghetta dai Cacciatori degli Appennnini
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Mario Longhi. Fonte: ANPI Savona cit. infra

Mario Longhi, Brescia. Sorpreso a Ginestro durante un rastrellamento, sprezzante del pericolo non ascolta l’invito a ripararsi: una prima raffica gli frantuma l’arma; una seconda lo colpisce al ventre. E’ il 27 gennaio 1945.
A Mario Longhi è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011   




Immagini del funerale del partigiano Mario Longhi. Fonte: vedere art. cit. infra

Mario Longhi partigiano della brigata Garibaldi nato a S. Eufemia nel 1924 e ucciso dai tedeschi in provincia di Savona nel gennaio del 1945 (insignito della croce al valor militare alla memoria)
Redazione, Funerale Mario Longhi 13/04/1947, era sant'eufemia della fonte