mercoledì 23 luglio 2025

Una cartoleria centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani di Imperia

Imperia: Via Ospedale ad Oneglia

Dall'Archivio Storico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (IsrecIm) affiorano storie straordinarie di fatti e di persone che costituiscono la Storia di questo angolo di Paese, il Ponente ligure, in un periodo particolare e determinante quale la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza, che è stato raccontato in alcune opere fondamentali tra cui la Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria).
E molte altre ne possiamo annoverare, di valenti studiosi e studiose locali, opere che hanno costituito le fonti di questo lavoro, insieme alla raccolta di testimonianze dirette.
Questo è un libro di passione, non pretende di essere esaustivo, ma è un percorso dentro la memoria locale per riprendere il filo di ideali, sentimenti, esperienze e aspettative che interessano ancora, per «orientarsi nella modernità confusa e smarrita», come dice Lidia Menapace.
Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke LoiaconoProtagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligureIsrecIm - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025,  p. 7

Come già detto, accanto all'organizzazione Gruppi di Difesa della Donna, abbiamo un'infinità di donne che hanno sopportato una serie ben lunga di sacrifici.
Non erano forse donne della Resistenza tutte le madri, le spose e le sorelle dei patrioti? Non erano esse stesse partecipi dei rischi e dei tormenti dei loro cari? Quante preghiere venivano pronunciate nelle case o nelle chiese per la salvezza dei propri congiunti!
Nei casoni e nei fienili, impropriamente chiamati ospedaletti da campo partigiani, in ogni ora del giorno e della notte le donne erano pronte ad accogliere feriti e malati per curarli, sfamarli e rincuorarli. E tra esse, le suore negli ospedali hanno offerto esempi di dedizione infinita, sopportabile da chi è retto da una fede trascendente che fornisce il duplice dono del sacrificio e del coraggio nell'affrontare la morte stessa con una serenità d'animo eccezionale e consapevole.
Il servizio staffette nelle formazioni molte volte veniva svolto da ragazze che, attraverso sentieri mozzafiato, si recavano in zone distanti anche alcuni chilometri per portare circolari, notizie o segnalazioni.
E in banda la donna con il fucile in mano rivestiva il ruolo, tipicamente maschile, del guerriero in lotta. Sparava come l'uomo nell'impeto della battaglia, e della delicatezza della sua figura e del disagio tra quegli spari nulla doveva affiorare, perché in certe situazioni non poteva esistere debolezza o privilegio.
Quanti ruoli la donna abbia sostenuto nella Resistenza è difficile dire, perché se si possono descrivere fatti accaduti, mi pare non sia possibile penetrarne lo spirito, l'ispirazione, i moventi autentici per cui scatta l'azione. Ho cercato, comunque, di chiarire come la partecipazione della donna nella Resistenza italiana, perciò anche in quella imperiese, sia costituita da una vasta gamma di impegni ed abbia origine da svariate direzioni.
E mi rammarico per l'impossibilità di ricordare l'interminabile serie di interventi di donne nella lotta, perché una ricerca seria presenterebbe problemi pressoché insolubili ed un impegno gravoso anche per il fatto che tante protagoniste, veramente modeste ed aliene da riconoscimenti ed onori, non intendono fornire notizie sulla loro attività resistenziale, mentre altre, purtroppo, sono invecchiate, malate o scomparse. Ed ancora, come ho già accennato in altra parte, occorrerebbe per ognuno dei tanti argomenti, una singola pertinente pubblicazione.
In appendice a questo capitolo è riportato l'elenco delle donne partigiane, patriote e collaboratrici del movimento organizzato di Liberazione nella nostra provincia. Ma, prima dell'elenco finale, mi siano permesse alcune citazioni e qualche breve commento.
Pietro Roggerone, nel corso di un rastrellamento, viene arrestato e condotto a Sanremo con una decina di prigionieri in ostaggio; una ragazza, Anna Lanteri, riesce a far fuggire tutto il gruppo (1). Risulta inoltre che la coraggiosa ragazza abbia salvato addirittura una cinquantina di civili incappati in un rastrellamento. Successivamente sarà arrestata.
Le SAP non sono un'organizzazione prettamente maschile. Anche le donne sanno combattere: «Nei primi mesi dei 1945 i sapisti della III Brigata riuscivano a disarmare una quindicina di militari italiani e tedeschi. Azioni rischiose nelle quali si distinsero per il coraggio dimostrato anche le giovanissime sapiste Palma Bianca e Daolio Nanda, seguite da un folto gruppo di donne, quali Elena Caterina, Robino Carolina, Garibaldi Geromina, Trevia Elisabetta, Agnese Teresa, Bestoso Emilia, Piana Gilda, Verda Lucia, Vittoria Giobbia (Sanjacopo), ed altre della Val Steria che si adoperarono instancabilmente per la lotta di Liberazione...» (2).
La professoressa Vittoria Giobbia (Sanjacopo), donna eccezionale il cui antifascismo è radicato ed autentico dirige le SAP femminili in Diano Marina. Organizzatrice abile e coraggiosa, lancia alla gioventù studentesca il suo appello alla lotta. Costituisce otto nuclei resistenziali: a Cervo, San Bartolomeo, Tovo Faraldi, Villa Faraldi e quattro a Diano Marina.
Verso la metà dell'ottobre 1944 è ricercata dalle SS perché la sua abitazione in Diano Marina (al n° 1 di via Genova) viene riconosciuta come centro dell'attività clandestina. Fugge, ma non si rassegna. Riprende i contatti con l'organizzazione femminile di Imperia e, naturalmente, con quella di Diano Marina. Ritorna alla guida del movimento femminile ed è preziosa collaboratrice del CLN locale con i collaterali movimenti maschili della Resistenza. Donna di cultura, incaricata dei corsi di traduzione della Facoltà di lettere dell'Accademia di Digione, già dal sorgere del fascismo in Italia si era rivelata come una delle più acerrime nemiche della dittatura (3).
Alba Rizzo di Camporondo (Diano Borganzo) è la staffetta che informa giornalmente i patrioti locali di stanza nei pressi di Diano Roncagli. Verso le 15 del 1O gennaio 1945 un gruppo di Tedeschi, guidato da una spia mascherata, irrompe all'improvviso nella zona e minaccia di sorprendere l'accampamento dei garibaldini di «Stalin»; anche da altre due direzioni giungono colonne nemiche. La ragazza intuisce il pericolo, percorre la salita a perdifiato ed avvisa i partigiani che riescono a mettersi in salvo occultando il materiale. Alba è stremata: al giungere dei Tedeschi si butta a terra e si salva fingendosi morta (4).
Analogamente, il 2 agosto 1944, un'altra ragazza, Lucia Ardissone, dopo un'estenuante corsa riesce ad avvisare una decina di giovani di Roncagli che dormono in una baita in località denominata «Piano della Chiesa», salvandoli perciò dalla morte (5).
Il 29 gennaio 1945 durante un rastrellamento Francesco Camiglia tenta la fuga attraverso i tetti, ma è ferito e chiede un disperato aiuto alla madre. Viene catturato e trascinato verso un albero di pero per essere impiccato. Gli passano il cappio intorno al collo. La madre, presa dalla disperazione raccoglie tutte le forze e si scaglia con un urlo straziante contro i Tedeschi che la respingono (6).
Povera madre, la Resistenza è fatta anche di te. Il popolo ti deve gratitudine, come gratitudine deve alla madre del sapista Augusto Vignola che, per tanti giorni, paziente e trepida di speranza, si avvia alle carceri di Oneglia con il pacchetto contenente il cibo per il figlio prigioniero. Patetica madre, tuo figlio è stato assassinato da alcuni giorni. Anche tua è la Resistenza.
Mi disse un giorno Vera Belgrano (Pia): «Nel capitolo dedicato alle donne della Resistenza Imperiese non dimenticarti di Liliana e di Maria, che avevano sposato i fratelli Quaglia, noti pollivendoli di Oneglia, un triste giorno i due giovani con il camioncino per il trasporto del pollame passarono su una mina posta dai partigiani sulla via Aurelia per far saltare automezzi nemici in transito. Sfortunatamente il camioncino saltò in aria ed i due fratelli morirono. Erano due bravi giovani antifascisti e le loro mogli collaboravano con noi del GDD. Un mattino, dopo il triste fatto mi recai in casa di una delle vedove e la trovai nell'atto di pregare davanti alla fotografia del marito vicino al lumino. Assistere a tanto dolore, dignitoso e composto mi si restrinse il cuore di commozione...». Eppure, comprendendo la fatalità, dell'accaduto, le due donne continuarono la lotta contro il fascismo portando documenti della Resistenza, anche a rischio della loro vita (7).
La stessa Vera Belgrano passa momenti drammatici. Nel corso di un rastrellamento i Tedeschi perquisiscono la sua casa a Costa di Oneglia: buttano tutto sotto sopra, ma fortunatamente non trovano la macchina da scrivere ed i documenti del FdG e dei GDD.
«Forse - dice Vera - i Tedeschi erano troppo impegnati a cercare denaro ed oggetti preziosi, che trovarono ed asportarono; ma ho benedetto quel furto che mi ha salvato la vita!».
Giovanna e Nina sono le sorelle di Giacomo Amoretti (Menicco). Che dire di loro? Sono della famiglia Amoretti e non mi sembra il caso di enumerarne i continui pericoli sopportati con quella cartoleria all'inizio di via Ospedale, diventata centro smistamento di documenti e di materiale per i primi gruppi partigiani.
Tra i miei ricordi, Velia Amadeo, mia cugina. Ero piccolo e, malgrado il gran numero di anni passati, mi rivedo alla finestra dell'abitazione di mia nonna, al primo piano di piazza San Francesco, dove è situata l'attuale Camera del Lavoro. Assisto agli ultimi sprazzi di quel carnevale del 1930. È la sera del 3 marzo e vedo le scene di allegria popolare di quell'epoca. Rivedo sulla piazza i miei zii Alessandro (Pepen) e Raffelina, spontanei ed allegri come era possibile allora. Ma qualche centinaio di metri distante, dal porto di Oneglia scivola silenziosa sull'acqua una barca di pescatori sulla quale c'è la loro figlia Velia con tre antifascisti. Vogliono espatriare, fuggire lontano dalla nostra terra oppressa, per continuare all'estero la loro battaglia. Il mattino seguente, la notizia della fuga tramuta quella gioia spontanea in cupa disperazione. Velia non ritornerà più nella sua casa, ingoiata con i compagni dai gorghi del mare.
Ed Anna, madre di Wladimiro, è la sorella di Giacomo Seccatore, sempre perseguitato dal fascismo. Anche lui morirà presto, vittima delle sue idee e della lotta per la libertà. Anna Seccatore abita sullo stesso pianerottolo della mia famiglia. Le porte dei due appartamenti sono affiancate, in quel corridoio di piazza San Francesco, nel portone adiacente a quello già ricordato di mia nonna. Wladimiro ed io siamo piccoli ed amici; dalle parole carpite dai miei genitori sento che la madre di lui vive anni di tormento per il fratello imprigionato, confinato e perseguitato.
[NOTE] 
(1) Cfr. F. Biga. Diano e Cervo nella Resistenza, op. cit., pag. 100. 
(2) Ibidem, pag. 186.
(3) Ibidem, pag. 236.
(4) Ibidem, pag. 195.
(5) Ibidem, pag. 114.
(6) Ibidem, pag. 200.
(7) Testimonianza orale di Vera Belgrano (Pia).

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1992, pp. 582-585

19 Ottobre [1944]. 
Qualche giorno fa un gruppo di patrioti uccisero un milite che si trovava a giocare alle bocce al "Borgo". Per questo fatto, presero la signorina B., sorella di un "fuorilegge" appartenente a una distinta famiglia di commercianti della città e, tradottala non si sa dove, i militi della G.N.R. gliene fecero passare d'ogni qualità. Una ragazza giovanissima tra le mani di quella gente chissà che cosa deve aver provato: sofferenze atroci, tanto che ora si trova in uno stato pietosissimo in una clinica sotto la cura di diversi professori, i quali fecero una denuncia al Comando della G.N.R. dimostrando come stanno le cose. I colpevoli, tre o quattro, sono stati arrestati e ora si attende il processo che dovrà esserci in questa settimana.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006, p. 20

28 febbraio 1945 - Dai Gruppi Difesa della Donna della provincia di Imperia al Comitato regionale del Fronte della Gioventù e dei Gruppi Difesa della Donna - Relazione sull'attività del mese di febbraio, da cui si evince che i gruppi erano organizzati e retti da un triumvirato femminile, composto da un'operaia e da due intellettuali; che la citata operaia si stava adoperando per creare nuovi comitati; che le donne intellettuali curavano la stampa e la propaganda tra le giovani nella scuola e nelle fabbriche; che erano stati riallacciati i contatti con le vallate e con l'organizzazione del Fronte della Gioventù; che il servizio di spionaggio era già in funzione e che alcune impiegate delle Poste avevano già fornito notizie utili a salvare la vita a diversi partigiani.
Documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)- Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 3 luglio 2025

I partigiani sostarono temporaneamente nella tana dei disertori, celata da una piccola cascata

Pietrabruna (IM)

Il gruppo [n.d.r.: appartenente alla IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione"], in buona parte ricomposto, procedeva in fila indiana, il terreno ora arido e selvaggio saliva rapidamente e, malgrado l'attenzione posta, dei sassi si staccavano dal suolo rotolando verso il basso con pericolo continuo per coloro che seguivano; ciò nonostante, all'apparire d'un melo selvatico non esitai a chinarmi per raccoglierne i frutti caduti che infilai nella camicia, bene o male qualcosa sarebbe entrato nello stomaco; il canalone ora, per le aumentate difficoltà del terreno, si restringeva in una fenditura che a prima vista sembrava precludere la possibilità di proseguire o nascondersi, ma l'apparire improvviso d'una piccola cascata venne accolto con gioia da buona parte del gruppo; con stupore, vidi i primi continuare il cammino e penetrare sotto la volta scrosciante, scomparendo; l'acqua, che diventava ruscello su lucide rocce, non conservava alcuna traccia. Il nascondiglio era chiamato «la tana dei disertori» ed era servito nel tempo a fuggiaschi di varie epoche; all'interno lo spazio era sufficientemente ampio, e con sorpresa vi trovammmo un gruppetto di contadini, prontamente rifugiatisi al rumore del combattimento appena conclusosi; un paio di lanternini ad olio, in un gioco di luci ed ombre illuminava parzialmente il fondo della caverna, mentre nella parte antistante la luce filtrava a sufficienza attraverso la parete d'acqua. I due gruppi  immediatamente si fusero, agricoltori e partigiani, in uno scambio di saluti e informazioni, volti lucidi di sudore e sguardi lesi in un parlottio sommesso, sovrastato a tratti dalle ultime raffiche dei Majerling tedeschi che sparavano nel folto della vegetazione, ultimo sfogo di uno scontro subito.
E finalmente il silenzio, prima dubbioso, nel timore di un probabile ulteriore pericolo, poi sereno, tutti i rumori imprecisi e confusi del bosco ritornarono vivi, chiaro il canto degli uccelli risuonò allegro tutto d'intorno ricreando un'atmosfera di tranquilla sicurezza, e nella poca luce di quella strana dimora i contadini estrassero delle vecchie gavette, dividendone la pastasciutta in esse contenuta con gli affamati giovani del nostro distaccamento. Poco dopo mi permisi di ricambiare la gentilezza con l'offerta di qualche mela, non certo di prima scelta; un saluto e forti strette di mano conclusero la gradita sosta. In colonna frazionata, attenti e silenziosi ci si incamminò verso Pietrabruna, capoluogo della valle omonima, non ancora frequentato dalle nostre formazioni per la facile accessibilità allo stesso da parte dei reparti motorizzati tedeschi e fascisti che in un'ora all'incirca vi giungevano dal mare; in avanscoperta erano stati inviati due garibaldini, buoni conoscitori della zona, e quando quasi vicino ci apparve il campanile del paese circondato da bruni tetti immersi nel verde degli ulivi, trovammo ad attenderci uno dei due, tranquillamente seduto sul ciglio del sentiero. «Il paese e la valle sono calmi» disse, «i nostri informatori e i contadini rientrati dai prati assicurano che i tedeschi proseguono verso il nord, per collegarsi ad altri reparti provenienti da direttrici diverse (l'attacco tedesco si concluse con la battaglia di Montegrande del 5 settembre 1944); questa valle è saltata, vi si può rimanere con tutta tranquillità». E per la prima volta, una cinquantina di uomini invasero le strette viuzze del paese, pittoresco insieme di giovani e meno giovani, volti imberbi e volti barbuti dal grigio colore del tempo, con moderne armi e vecchi fucili, ma tutti con un eguale sorriso; sosta obbligata, Petran, la vecchia e unica trattoria del luogo, posta in prossimità della piazzetta delle corriere. Ci si dispose all'interno e all'esterno, nelle viuzze adiacenti e nel lavatoio, attorniati da paesani gentili e curiosi di sapere, e nell'attesa della mangiata ordinata da Danko [Giovanni Gatti] si parlò e si raccontò, ridendo come ragazzi alla loro prima festa; due ragazzine, con le lunghe trecce e gli occhi della primavera, mi si avvicinarono per avere conferma se proprio io avevo sparato col Majerling, al loro ingenuo ma femminile sorriso sentii di essere quasi un uomo.
Un'allegra confusione regnava nel locale più grande della trattoria, che a malapena ci accolse tutti; di fronte a ciascuno, un fumante piatto colmo di carne e un colorito bicchiere di vino; un'animazione fuori dell'ordinario, si continuava a parlare ancora del combattimento, era un meccanismo che seguitava a ruotare e ripetersi, per la maggior parte di noi era stata la prima volta ed era pienamente comprensivo lo stato di euforia collettivo. La tensione però tendeva ad allentarsi col passar delle ore, il vino ed il pranzo ingerito, inoltre, cominciarono a produrre i loro effetti e una strana, benefica stanchezza mi prese, ma durò per poco: dal di fuori un grido «i tedeschi» e fu come se possenti molle ci scagliassero all'esterno; pochi attimi e si era tutti all'aperto con le armi in pugno, ma non avevo dimenticato di portare un morbido cosciotto di arrosto, pregiata preda che tenevo saldamente stretta nella mano libera. Confusione e incertezza generale, fortunatamente l'allarme si rivelò fasullo, alcuni di noi intendevano ritornare a tavola, ma la maggioranza, di contrario avviso, preferì allontanarsi, incamminandosi verso la nuova base prima che le ombre della sera rendessero più difficile il rientro. E sulla strada del passo della Follia, in colonna si affrontò la ripida salita, mentre dalle ultime case di Pietrabruna i paesani ancora numerosi salutavano a larghi gesti. La lunga giornata volgeva al termine, il sole quasi furtivameme scivolava oltre l'orizzonte, per la stanchezza, il peso dell'arma sulle spalle sembrava raddoppiato, e quando ancora una volta mi trovai a guardare verso Santa Brigida, mi ritornò alla mente N. la ragazza dell'appuntamento, i fatti del giorno l'avevano cancellata, la poesia di un tramonto la fecero riapparire, ma solo nel ricordo; N. non la incontrai più.
Il primo rastrellamento da noi subito s'era concluso, l'originale trappola architettata dai nazisti e realizzata con un grosso spiegamento di forze aveva raggiunto solo parzialmente lo scopo, arrecando ad alcuni reparti soltanto delle perdite contenute, ma altri contingenti, fra i quali il nostro, forse più fortunati, ne erano usciti completamente indenni riuscendo inoltre ad impegnare l'avversario ed arrecargli sensibili perdite. Il nostro infatti, seppure di recente formazione e costituito in parte con elementi di scarsa preparazione militare, aveva superato brillantemente l'esame, determinando all'interno dello stesso una maggior stima reciproca, che rinsaldò ulteriormente la coesione del gruppo.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984,  pp. 53-55

venerdì 20 giugno 2025

Il gruppo continuò a stampare proclami per la popolazione, incitandola a combattere fascisti e Tedeschi

Ventimiglia (IM): Via Cavour

Nell'intento di chiarire un punto che appare all'inizio della trascrizione che qui segue, ci si permette di affermare in premessa che ben difficilmente il tipografo Riccardo Parodi stampasse in funzione antifascista pezzi di propaganda e documenti falsi a Ventimiglia "all'insaputa del proprietario", il patriota Pietro Giacometti, il quale, anzi, con tutta probabilità, fu da subito il vero responsabile di tali azioni. Confermano tale aspetto - da quella ditta ubicata in Via Cavour a Ventimiglia "usciva ed uscì tutta la stampa clandestina antifascista del Ponente ligure" - i ricordi della figlia di Giacometti, Emilia, in cui vi è la traccia di tutta la faticosa ed intensa attività resistenziale del padre, ricordi pubblicati di recente nel libro di Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke Loiacono, Protagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligure (Isrecim - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025). E rafforza il ruolo di Giacometti un memoriale di Giuseppe Porcheddu, che lo colloca tra i collaboratori dei primi organizzatori della Resistenza nella zona di Baiardo e non solo. Va sottolineato, invero, che sia il diario di Emilia Giacometti che gli appunti di Porcheddu erano inediti alla data di uscita dell'opera di Francesco Biga, cui qui ci si riferisce. In ogni caso, quella di Pietro Giacometti risulta ancora oggi una figura trascurata dalla storiografia.
Adriano Maini

Uno dei più noti protagonisti della stampa della Resistenza Imperiese fu il tipografo Riccardo Parodi. Prima dell'8 settembre 1943 lavorava nella tipografia «Giacometti» di Ventimiglia ed era in contatto coi compagni Castagneto e Ricci. All'insaputa del proprietario il Parodi stampava volantini e manifesti, talvolta anche a mano, e carte d'identità false per gli antifascisti ricercati.
Quando l'8.9.1943 fu proclamato l'armistizio, stampò pure, a mano, il famoso manifesto intitolato «Fuori i Tedeschi dall'Italia», ma, rimastevi sopra le sue impronte digitali, le copie già affisse furono fatte strappare nella notte da squadre di attivisti.
Ritirava i volantini stampati nella tipografia di Ventimiglia la moglie del geometra Ricci che ne curava la distribuzione in collaborazione col compagno Boccadoro. Quest'ultimo, che venne arrestato, morì tubercolotico a Parigi per le sofferenze patite.
A fine settembre 1943 le prime copie dell'organo del P.C.I. «L'Unità», edizione imperiese, uscivano dattiloscritte, compilate clandestinamente in una stanza di salita San Leonardo, curate dal segretario G. Castagneto.
Giunti ad Imperia il 12-13 settembre 1943, i Tedeschi prendevano possesso della città, ma l'organizzazione del P.C.I. continuò a funzionare. I collegamenti con Genova, Alassio, Albenga, Diano Marina, San Remo e Ventimiglia, venivano ripristinati. Ripresa la distribuzione del materiale di propaganda e l'affissione dei manifesti provenienti dal «Centro» di Genova.
In casa del rag. G. Castagneto, in via del Monastero, si continuò a produrre del materiale di propaganda; il Castagneto dattilografava i manifestini, Riccardo Parodi e Giovanni Ericario, sistemati i caratteri su tamponi a mano, li stampavano.
Nel dicembre 1943 veniva ristrutturata la tipografia clandestina, sempre a Porto Maurizio, a pochi passi e nella stessa via dove aveva sede la squadra politica fascista.
Un artigiano falegname aveva preparato due cassette in legno che rappresentavano due rudimentali ciclostili. La seta necessaria per i rulli era stata recuperata nel pastificio Agnesi.
Uno dei ciclostili, completo di tutto, fu inviato a San Remo; con l'altro, il gruppo continuò a stampare proclami per la popolazione, incitandola a combattere fascisti e Tedeschi.
Si stampavano pure giornaletti formati da due o tre pagine, che riportavano articoli di fondo compilati da Giacomo Amoretti (Menicco), notizie dai fronti, appelli, ecc.
Gli addetti lavoravano di notte perché col ciclostile non si faceva rumore; i clichés, invece, erano preparati di giorno con la macchina da scrivere.
Sempre nella notte, appositi sacchetti pieni di volantini, portati in un luogo prestabilito lontano dalla tipografia, venivano ritirati dalle staffette Paolo Ligi (Litto), Pietro Benvenuti (Petrin Scintilla), Adolfo Stenca (Rino) ed altri, che li portavano a destinazione.
Il materiale, comprendente la macchina da scrivere, il ciclostile, riserve di carta ecd inchiostri, quando non si adoperava era tenuto accuratamente nascosto in una vecchia cisterna di un caseggiato, col fondo coperto da un buon metro e mezzo di acqua. La cisterna aveva una sola botola con un'apertura di cm. 40x40, che serviva per attingere l'acqua piovana con un secchio.
Chiunque si fosse affacciato avrebbe scorto soltanto il liquido poiché il materiale tipografico era posato su un ponte di legno costruito di lato, del tutto invisibile a causa dell'oscurità. Si scendeva al ponte in legno tramite una scala a chiodi infissi nella parete della cisterna.
Al dicembre del 1943 risale il servizio stampa clandestina quando, per ordine del C.L.N. imperiese, si ebbero i primi contatti con i partigiani di Albenga («il Barbiere», «u Ghighillu», «Enrico», ecc.) con i quali si stampavano volantini a ciclostile.
Importanti manifesti furono stampati a Porto Maurizio in occasione degli scioperi antifascisti proclamati il 18.2.1944 e l'1.3.1944, non solo per Imperia, ma anche per Alassio e per Albenga.
Di notte le staffette Pietro Benvenuti (Petrin Scintilla) e Vittorio Ardissone (Victoir) di Diano Borganzo, portavano nel Dianese i volantini stampati ad Imperia.
Nei primi giorni del 1944 era stato trasportalo da San Remo a Taggia un ciclostile, inviato da Farina e Ferraroni, col quale si iniziò a stampare un foglio intitolato: «Il Comunista Ligure», che riportava notizie di cronaca tratte dai notiziari di radio Londra e di radio Mosca, articoli di propaganda e sulla resistenza armata.
Il ciclostile era stato sistemato in una botola sotto la bottega del barbiere Mario Cichero, all'angolo delle vie «Vittorio Emanuele» (oggi «Candido Queirolo») e «San Giuseppe». Con Bruno Luppi collaboravano alla stampa i cospiratori Mario Cichero, Mario Siri, Candido Queirolo, Mario Guerzoni ed altri.
Nel maggio 1944 il tipografo Riccardo Parodi (Ramingo), che lavorava ancora a Ventimiglia, sospettato, riuscì a sottrarsi alla cattura perché era stato segnalato col nome di Frontero, quando il vero Frontero Tommaso, con Renacci e tutti gli altri, il 23 era già stato arrestato. Come vedremo, trasferitosi ad Oneglia, il Parodi salirà in montagna alla fine di giugno.
Nella primavera altri volantini venivano dattiloscritti in casa del compagno Giovanni Ericario in via Domenico Acquarone, a Porto Maurizio.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977, pp. 248-250

lunedì 9 giugno 2025

Curto si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona

Rezzo (IM). Fonte: mapio.net

In quel periodo ero venuto a conoscenza di uno scontro di ribelli imperiesi a Montegrazie; a Rezzo erano stati disarmati i Carabinieri. Ma non riuscii a sapere niente di più delle forze partigiane che erano state protagoniste dei due episodi. Perciò a febbraio [1944] decisi di recarmi in Provincia di Cuneo con l'obiettivo di arruolarmi nelle formazioni G.L. Messomi in cammino al mattino presto, mi trovavo già nei pressi di San Bernardo di Conio, sul versante di Rezzo e scendevo di buon passo, quando incontrai un uomo che salutai col buongiorno, senza fermarmi: era Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, futuro comandante della I^ Zona Operativa Liguria], che io ancora non conoscevo. Lui, con una voce pacata e lenta, disse qualcosa sul mio passo spedito, io gli risposi che ero nativo di Cipressa e che dove andavo a lui certo non doveva interessare. Sempre parlando in dialetto, mi rispose: «Io sono di Artallo, ma mi farebbe piacere sapere dove vai». 
Ero armato di una pistola Beretta calibro 9 corto e di due bombe a mano Breda; non avevo ancora 23 anni e avevo detto il nome del mio Paese quasi come un atto di sfida; ma adesso, se volevo rispondere sinceramente, lui sapeva dove trovare la mia famiglia: chissà chi era e come la pensava; perciò decisi di andarci cauto e gli dissi: «Vedete, brav'uomo, se non vi avessi risposto sinceramente sul paese dove sono nato, potrei dirvi anche dove vado, ma a casa ho lasciato mia madre e mio fratello più giovane di me; mio padre è morto il mese scorso e non voglio che abbiano altri guai». Nel dir questo avevo messo la mia mano nella tasca del giubbotto e tolto la sicura della Beretta. Lui aveva certamente notato il mio gesto, ma non disse niente, e iniziò a parlare dicendo che, dato che io ero più giovane, sarebbe stato giusto che mi spiegassi per primo, ma che capiva la mia situazione e che si sarebbe fidato di me. Tolsi la mano dalla tasca del giubbotto.
Si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona. Io gli raccontai le mie brevi esperienze di ribelle e la mia intenzione di raggiungere le formazioni G.L. nel cuneese. Si informò sulla mia vita militare, sulle mie esperienze sui vari fronti e mi disse, con la più grande naturalezza: «Invece di andare nelle formazioni G.L. sarebbe meglio che tu ti presentassi alla «milizia fascista» per arruolarti; con le tue campagne di guerra ti accoglierebbero a braccia aperte». Era intenzione di Curto sfruttare la mia esperienza inviandomi come infiltrato per poter organizzare un colpo di mano per rifornirci di armi e munizioni. «Dopo che ti sarai ambientato, ti faremo avvicinare da un nostro uomo col quale studierete il modo migliore per fare un colpo di mano nella caserma, per impadronirvi delle armi. Abbiamo bisogno di armi e munizioni!»
«Non posso farlo» gli dissi «prima di tutto perché esporrei mia madre e mio fratello alle rappresaglie dei fascisti e poi anche perché non mi sento di indossare la camicia nera, neanche per fare il doppio gioco». Allora mi disse: «Torna a casa, ti farò sapere se intendiamo affidarti un incarico a Imperia, con una copertura adeguata per il servizio in città. Oppure, se quanto ti verrà proposto non fosse di tuo gradimento, potrai sempre andare nelle G.L. come era nelle tue intenzioni, o in un nostro Distaccamento».
Gli dissi che mi sarei fermato a Carpasio, presso un conoscente (Paolo Gallo detto Paulò), e lì avrei aspettalosue notizie. Ritornammo a San Bernardo di Conio insieme; l'uomo mi piaceva e mi pareva convincente anche la sua fede comunista; il comunismo avrebbe risolto tutti i problemi del mondo, ne era certo, di una certezza matematica che mi affascinava. Ci separammo: lui scese verso Conio, io salii verso Colle d'Oggia a Carpasio.
Lo incontrai ancora alcuni giorni dopo; la proposta era accettabile, mi sarei dovuto presentare al Comando dei Vigili del Fuoco, dove avevano bisogno di autisti, e sarei stato arruolato immediatamente. Il mio nome era già stato segnalato: in seguito sarei stato avvicinato da un rappresentante del P.C.I. Mi diede le istruzioni per il riconoscimento. Accettai: unica mia condizione fu di avere un solo contatto. Certo: mi disse che era giusto e prudente comportarsi così.
Mi presentai al Comando dei Vigili del Fuoco e fui arruolato immediatamente. Per alcuni mesi feci tutto quanto mi venne ordinato. Avevo una fifa da matti; chiesi ripetutamente di lasciare l'incarico per tornare in montagna, ma per un motivo o per l'altro la autorizzazione non arrivava mai. Allora un giorno, piantai tutto e mi presentai a Makallé, un Comandante di Distaccamento, nativo di Costa di Carpasio.
Il Distaccamento era di base in alta Val Prino. Poco tempo dopo venni eletto capo squadra. Il nostro raggio d'azione era la Via Aurelia: dal Prino ad Arma di Taggia-Taggia (il mio nome di battaglia era Negro). Ci spostavamo sulla via Aurelia dopo una marcia di tre e anche di quattro ore: il che naturalmente voleva dire altrettanto tempo per il ritorno. Avevamo un mitragliatore Saint'Etienne: lo adoperava in maniera perfetta Giacò, col quale avevo fatto le prime esperienze da ribelle nel gruppo di giovani e meno giovani del mio paese.
I pochi mesi di tensione continua che avevo passato nei Vigili del Fuoco, col pensiero fisso alle torture che mi avrebbero inflitto i fascisti se mi avessero catturato per farmi parlare, avevano creato in me uno stato di bisogno d'agire che si calmava soltanto durante l'azione. 
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo) *, Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 74-76

* [n.d.r.: Garibaldi fu il comandante della Brigata "Val Tanaro", la quale nell'ultimo mese di guerra divenne la IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera", sempre della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]

martedì 20 maggio 2025

I rastrellatori tedeschi uccisero il Segretario Comunale di Borghetto d'Arroscia

Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: mapio.net

Non si era ancora spenta l'eco del colpo all'ospedale che una grave notizia metteva in agitazione l'intera provincia.
Si trattava di questo.
La questura di Imperia, forse in cerca d'una altrettanto clamorosa rivincita, minacciava la fucilazione di 17 prigionieri politici qualora non fossero stati rilasciati entro il 14 aprile 1945, un commissario e un agente di Pubblica Sicurezza da lei dipendenti, catturati dai partigiani a Diano Arentino qualche settimana prima. Tale divisamento era espresso in una lettera della Questura al Comando S.S. germanico di S. Remo in data 7 aprile.
Della grave questione la questura interessò Mons. Luigi Boccadoro, arciprete della Basilica di S. Siro in Sanremo, ma, forse con malizia, lo si fece soltanto il giorno undici, quando cioè mancavano appena 4 giorni alla scadenza dell'ultimatum.
Tuttavia il fatto non scoraggiò il degno sacerdote il quale si sentì anzi stimolato ad accelerare la sua efficace e delicata opera di mediazione consistente nel risalire, grado a grado, dal partigiano "Robinson" comandante del Distaccamento SAP "Zamboni" al CLN Circondariale e a quello Provinciale sino al Comando Zona, riuscendo in tal modo, a salvare la vita dei 17 ostaggi, ma non a impedire che, proprio nello stesso giorno in cui era stato investito della difficile missione, i nazifascisti, quale primo provvedimento, incendiassero e distruggessero undici case di Diano Arentino, il paese dov'era avvenuta la cattura dei due questurini.
In montagna e comunque da parte delle formazioni che vi stanziavano, l'attività era ancora più intensa che sulla costa.
Alcuni episodi, scelti fra i numerosi riferiti nei rapporti giornalieri degli stessi comandanti dei reparti che ne furono testimoni o protagonisti, ne offrono la più credibile e drammatica delle conferme.
11 aprile
Nella Valle del Cervo 200 rastrellatori tedeschi si scontrano con il Distaccamento "Garbagnati" della Brigata "Belgrano", il quale riesce a bloccare il nemico sparando dalle trincee in precedenza approntate da militari germanici. A conclusione dello scontro a fuoco durato l'intera mattinata, i partigiani possono sganciarsi indenni mentre nelle file nemiche si contano 6 morti e numerosi feriti.
12 aprile
(Div. Cascione - brg. Nuvoloni)
Il SIM della Brigata segnala che partigiani garibaldini hanno catturato nei pressi di Goina una decina di nazifascisti; il 4° Distaccamento del Batt. "D. Rossi" attacca sul Monte Trono una pattuglia di 25 tedeschi; un ferito grave fra i partigiani, 3 morti e un ferito fra i nemici.
13 aprile
A Borgo di Ranzo e a Borghetto d'Arroscia, rastrellatori tedeschi catturano il Segretario Comunale di Borghetto e, dopo averlo crivellato di fucilate, ne precipitano il corpo nel fiume sottostante da uno strapiombo di 20 metri.
14 aprile
(Div. Bonfante - Brigata "Belgrano")
A Pogli una squadra del Distaccamento Piacentini attacca il presidio avversario. Altra squadra del Distaccamento "Agnese" sorprende una colonna nemica uccidendo 3 cavalli.
Div. Cascione - brg. Nuvoloni)
A S. Faustina una pattuglia del 4° Distaccamento (Battaglione "Rossi") affronta una squadra nazifascista. In località Rocche di Drego a seguito di una azione effettuata dal Comandante della Brigata saltano 35 metri di strada.
[...]
Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni - Bologna, 1970

Il 15 aprile alcuni garibaldini del Distaccamento "Castellari" attaccarono una colonna tedesca che si trasferiva da Garlenda (SV) ad Albenga (SV).
Una squadra del IV° Distaccamento della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione" si scontrava con alcuni tedeschi che scortavano un carro, uccidendone due.
Nella stessa serata gli stessi garibaldini attaccavano una motocicletta, che trasportava due ufficiali ed una donna, i quali nell'attentato trovavano la morte.
Sempre il 15 aprile una staffetta avvisava il I° Distaccamento del Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" che "a Pietrabruna si trovavano 17 bersaglieri i quali erano venuti allo scopo di asportare bestie da soma. Il comandante 'Italo' chiedeva rinforzo al II° Distaccamento, andando a prendere immediata posizione con 12 uomini sotto Pietrabruna" sulla carrozzabile Pietrabruna-Torre Paponi.
Dopo un paio d'ore, i bersaglieri, che appartenevano alla VI^ compagnia di stanza tra Riva Ligure e San Lorenzo al Mare, mentre ritornavano con un bottino di 16 muli, venivano attaccati, subendo l'uccisione di 10 soldati, la cattura di altri 2 e la perdita di materiale bellico, consistente in 1 mitragliatore Breda, 1 mitragliatore Saint Etienne, 1 mitra Beretta, 5 moschetti con relative munizioni, 3 pistole e 5 bombe a mano.
I bersaglieri, che riuscirono a fuggire, diedero l'allarme: "da Imperia partiva prontamente, per portare rinforzo, un automezzo con a bordo una quarantina di Brigate Nere ed un cannoncino da 75 mm. Anche questi venivano attaccati in due riprese e subirono la perdita di 6 uomini".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

domenica 11 maggio 2025

Il comando tedesco preparava da Taggia l'attacco a Pigna

Taggia (IM): una vista su Castellaro

Il 6 [ottobre 1944] il garibaldino «Pablos», a Civezza in missione, venuto a conoscenza che un Tedesco era salito in paese, lo affronta per disarmarlo; avviene una sparatoria e il Tedesco rimane ucciso; tra quelli sopraggiunti in aiuto al camerata uno rimane gravemente ferito, mentre il garibaldino riesce a ritirarsi incolume.
Un'altra squadra del 4° distaccamento tende un'imboscata presso la «strada rotta» ad una quindicina di Tedeschi che si erano recati a Borgomaro per prelevare fieno. Cadono tre nemici (un morto e due feriti gravi) mentre i superstiti riescono a fuggire attraverso un canneto sottraendosi così alla cattura. La squadra rientra al completo alla base.
Per rappresaglia i Tedeschi uccidono un giovane e bruciano alcune case presso San Lazzaro Reale.
Presso Taggia due garibaldini del 2° ballaglione fanno fuoco contro i Tedeschi che perdono un uomo; per rappresaglia rastrellano Riva Santo Stefano e imprigionano il parroco don Pistola Luigi, l'ex sindaco Gatti Pietro ed il Direttore didattico.
Nella prima settimana di ottobre i Tedeschi presidiano la strada statale n. 28 da Oneglia a Chiusavecchia con le seguenti forze: reparto tedesco di trenta uomini con mortai a Castelvecchio; un cannone da 75 ai piedi del ponte vecchio e un altro suIla pista da ballo di San Giacomo a Barcheto, puntati in direzione di Pontedassio, presidiati da trenta soldati; alla cabina elettrica: sei Tedeschi di guardia pronti a farla saltare; in località Lalena: trenta uomini di presidio alla strada minata; a cava Rossa: cannone piazzato oltre le case della cava e mitragliatrice sul ponte con venti uomini; in località Libaghi: infermeria e personale vario; a Pontedassio: nel giardino sotto il carradore piazzati cinque cannoni da 105 mm., duecento Tedeschi in paese; a Monteminato: montagna minata con accensione a miccia e non più a corrente elettrica, posto di guardia composto da una diecina di Tedeschi; a Chiusavecchia: fortino in pietra all'ingresso del paese e un altro ove risiede il Comando della «Muti»; a Garzi: due fortini, uno di fronte all'altro, ai lati del ponte.
Tutti questi preparativi sono rivolti verso nord, ossia verso i monti dove si suppone che i Tedeschi attendano gli eventi.
Frattanto s'insedia a Taggia il Quartiere Generale del Comando tedesco incaricato di organizzare e dirigere il prossimo rastrellamento che scatterà da Pigna nella mattinata dell'8 di ottobre.
Vi giunge un generale d'armata che predispone lo sfollamento delle case in località Seru du Bon per allestirvi un deposito di munizioni e  carburante e alloggiarvi un battaglione di SS tedesche; di altre case di Arma e di Taggia, necessarie a numerose truppe che incessantemente affluiscono, con l'ordine di risalire, in fase di rastrellamento, la valle Argentina e raggiungere i forti di Nava.
Altri attacchi contro il nemico vengono condotti con accanimento nei giorni successivi. Una pattuglia del 10° distaccamento «W. Berio», comandata da Angelo Setti (Mirko) ed operante sulla 28, sorpreso nel pomeriggio del 7 un plotone di quaranta militi fascisti presso San Lazzaro, lo sottopone ad un intenso fuoco di mitragliatori e lo sbaraglia causandogli otto morti compreso un ufficiale.
Il 10 una squadra del 7° distaccamento comandata dal caposquadra «Romolo», in agguato sulla via Aurelia, mitraglia un autocarro e provoca la morte di due Tedeschi ed il ferimento di altri quattro. Segue un forte rastrellamento su tutto il territorio del Comune di Taggia con prelievo di civili (quattordici persone tra cui Lasagna Angelo trattenuto per molto tempo).
A San Lorenzo al Mare vengono prelevati in ostaggio i civili don Mariano Clerici, Ricca Francesco, Belgrano Vincenzo e portati alla caserma «G.B. Revelli» ad Arma; saranno seviziati per tre mesi. Solo il parroco viene liberato il giorno 28.
L'11 di ottobre sette uomini del 5° distaccamento col comandante Giovanni Arrigo (Romolo), tesa un'imboscata nella zona di Cesio a ottanta fascisti e Tedeschi, li sbandano con raffiche di mitragliatore: dieci morti e undici feriti nemici rimangono sul terreno. L'azione viene completata con la distruzione del nuovo ponte ricostruito dai Tedeschi tra San Lazzaro e Caravonica. Nessuna perdita garibaldina.
Il 12 un'altra pattuglia del 7° distaccamento assalta tre camion tedeschi che transitano sulla via Aurelia tra il capo di Santo Stefano e la torre Aregai; apre il fuoco alla distanza di una diecina di metri con «Mayerling», mitra, machinen-pistole e bombe a mano di fabbricazione greca; le perdite del nemico assommano ad un elevato numero di morti e feriti, un autocarro rimane incendiato al lato della strada.
Il giorno 13, garibaldini del 2° distaccamento prelevano a Piani d'Imperia due agenti fascisti di Pubblica Sicurezza ivi recatisi per informazioni e il 14 una spia a Caramagna.
Dal settembre all'ottobre Ville San Pietro fu sede del Comando della IV brigata e dell'ospedaletto da campo partigiano.
La 5^ compagnia della brigata nera occupa Ceriana il 15 di ottobre.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977, pp. 163-164


 

venerdì 25 aprile 2025

Un buon servizio di guardia avrebbe potuto salvare i partigiani?

Degna, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Fonte: F.A.I.

Il 18 febbraio [1945] giunse a tutti i distaccamenti il proclama del comando della Bonfante:
«Garibaldini, ormai insistente è la voce messa in giro dai nostri nemici, dai loro giornali, dalle loro radio, che i partigiani sono stati distrutti. Gongolano nelle loro caserme i traditori repubblicani. Abbiamo distrutto i partigiani e i nuovi partigiani, quelli che saranno stati i più furbi, saremo noi! Essi dicono. Così questi bastardi insultano i nostri morti, così questi rapinatori, che la nostra popolazione ha ben dolorosamente riconosciuti, credono di aver trovato la loro salvezza nel nostro sangue. Ma non è per loro che sono caduti i nostri compagni.
Tedeschi e fascisti sono riusciti a cacciarci dai paesi e ci siamo rifugiati nelle capanne, ci hanno incendiato le capanne, ma abbiamo dormito nella neve. Nulla potrà mai la loro ira bestiale contro la nostra fede. Sono i nostri caduti che ci indicano la via da seguire, sono i nostri fratelli che giacciono a centinaia nei crepacci gelati del Mongioie, ancora stretti l'uno all'altro per mano, quelli che riposano sotto la neve a piccoli gruppi e sparsi lontano a passo Saline.
Aspettare con calma, come belve in agguato, questo è il nostro compito ora. Rivelarci è fare il gioco tedesco. Troppo vale per loro aver la strada della ritirata libera, quella strada che hanno agognato per sei anni per non usare ogni mezzo per raggiungere i loro scopi. Invece dobbiamo aspettare silenziosi, non visti da nessuno, ignoti. E poi scatteremo con la violenza della nostra passione, con i nostri vent'anni, in giù verso il mare, combatteremo ovunque, nessuna tregua daremo ai fascisti, ai traditori, a tutti coloro che hanno tradito il popolo, che hanno scavato trincee contro di noi. E tutta questa sbirraglia, quando si sentirà ormai sola, senza l'appoggio tedesco, cadrà ai nostri piedi implorando quella pietà che loro hanno cancellato dalla nostra anima. Un pugno d'acciaio tratterà i vinti. Guai a loro!
Garibaldini! Questo è il momento del silenzio, dell'attesa! Ogni imprudenza può rovinare i nostri piani. Sparite dai paesi, marciate solo di notte. Eseguite gli ordini con la massima esattezza. Siete rimasti in pochi, i migliori. Unici tra le formazioni partigiane siamo riusciti con la nostra tattica ed una buona applicazione degli ordini a superare questo periodo tremendo con pochissime perdite che sarebbero state irrisorie se gli ordini fossero stati eseguiti a   tempo, anche là dove ciò non è avvenuto.
In alto gli sguardi, la nostra ora non può tardare. Morte all'invasore tedesco! Morte ai traditori!
P.S.: Distruggete il presente appena data lettura nei distaccamenti.
Il COMANDANTE
Giorgio [Giorgio Olivero
Dal proclama di Giorgio possiamo vedere quale era lo stato d'animo del Comando e di parte della Bonfante superato il rastrellamento, quali erano le direttive immediate, quale il giudizio che dava il Comando sul rastrellamento.
Malgrado le recenti prove subite si vede che il dramma dei badogliani di Fontane era sempre assai vivo nel nostro cuore che non dimenticava il sacrificio di tanti fratelli di lotta.
Le direttive della  tattica invernale semicospirativa venivano ribadite e rafforzate nella loro necessità dalla recente esperienza.
Più importante è l'ultima parte del proclama: le nostre perdite erano state esigue ed avrebbero potuto essere minori: merito degli ordini dati e colpa degli errori fatti.
Più di due terzi delle perdite ci furono inflitte infatti nel primo giorno. Ciò è imputabile al mancato funzionamento delle sentinelle di Degna  [Frazione del comune di Casanova Lerrore (SV)], alla inerzia delle staffette del recapito e di ciò non è responsabile il Comando divisionale. E' imputabile al mancato pattugliamento della cresta che era stato ordinato alla III Brigata e di ciò è responsabile Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi], che disse a sua discolpa che aveva gli uomini senza scarpe idonee. In realtà vedemmo come il 19 gennaio fossimo alla ricerca affannosa di una partita di scarpe.
La sorpresa è imputabile al tradimento di Carletto [n.d.r.: Amleto De Giorgi, un ex partigiano passato alle dipendenze della Feldgendarmerie di Albenga] che condusse le colonne nemiche alle spalle dei nostri, che segnalò l'intendenza di Ubaghetta, ciò il comando avrebbe potuto impedire sopprimendo Carletto senza indugio la sera del processo. E' però da tener presente che, anche in tale ipotesi, parte delle informazioni Carletto le aveva già date. Sarebbe stato bene cambiare posizioni alle intendenze: ed alle squadre e ciò non venne fatto. Se i partigiani avessero  adottato già in precedenza le misure precauzionali prese in seguito, avessero dormito nei rifugi o all'aperto, la sorpresa sarebbe mancata. La data precisa del rastrellamento era stata comunicata alle bande, bisogna però riconoscere che  erano mesi che la minaccia si rinnovava periodicamente.
Un buon servizio di guardia avrebbe potuto salvare le squadre? Forse, ma sarebbe stato necessario che le sentinelle fossero numerose e controllassero tutte le vie di accesso e poste in modo tale da avvistare il nemico a sufficiente  distanza, in modo da dare il tempo ai compagni di prepararsi a resistere o ad occultarsi. Ciò non era mai stato nelle abitudini partigiane ed era ancor più difficile ora con le squadre ad effettivi ridotti.
«Se pensassimo che ogni notte rischiamo la vita e che il nemico può ucciderci nel sonno non chiuderemmo occhio», mi disse un partigiano in quei giorni. L'abitudine al pericolo era un bene, perché altrimenti la nostra vita sarebbe diventata insostenibile; era però un danno perché ci portava a trascurare precauzioni essenziali. Era necessario arrivare ad un compromesso che fu raggiunto da qualche banda e solo in parte, tra queste fu il Garbagnati.
Se le squadre di Bosco e di Degolla avessero avuto la combattività del Garbagnati o del Catter avrebbero potuto sganciarsi? Forse a Degolla Franco con i suoi tentò un'estrema difesa. Il fatto però che due terzi degli effettivi venissero fucilati a Pieve di Teco fa supporre che dopo la morte di Franco la lotta disperata venisse abbandonata.
L'esempio della banda di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"] ci fa pensare che una decisione estrema avrebbe permesso uno sfondamento, sicuramente avrebbe inflitto al nemico perdite gravi.
Bisogna però riconoscere che quei di Bosco e Degolla non disponevano del volume di fuoco del Garbagnati e vennero colti completamente di sorpresa, perché nessuno di loro sospettava un attacco alle spalle, ciò non accadde più alle altre bande.
Avrebbe potuto il nemico infliggerci perdite maggiori, annientarci?
Commise errori gravi e fatali alla buona riuscita dell'operazione?
Non credo. Se avesse prolungato il rastrellamento nel tempo, se avesse intensificato le puntate, adottato la tattica della controbanda certo la nostra situazione si sarebbe aggravata, ma tenendo conto che la sorpresa del primo giorno non poteva ormai più ripetersi, che la probabilità di incontrare i partigiani in transito sulle mulattiere era minima, credo di poter concludere che le nostre perdite non sarebbero state molto maggiori.
Avrebbe potuto crollare il nostro morale? Portarci allo sbandamento definitivo, alla resa? Non era la minaccia di un rastrellamento, sempre limitata nel tempo,    che avrebbe potuto piegarci.    
Ricordo una minaccia ben più grave che mi aveva fatto meditare in quei mesi. Ero a Pairola per Natale, quando era giunta la notizia della controffensiva tedesca sul fronte belga. Le notizie come al solito erano state ingrandite, si diceva cbe i tedeschi avessero sfondato e puntassero sul mare e su Parigi, che avanzassero anche sul nostro fronte ed avessero ripreso Nizza, che avessero impiegato nuove armi misteriose e decisive.
«Che farai figlio? - mi chiese mia madre portandomi queste belle notizie - se i tedeschi vinceranno ci sarà sicuro qualche amnistia e tu potrai tornare a casa». Sentii un brivido interno. In tanti mesi non avevo mai considerato l'ipotesi di una vittoria tedesca.
«Vedremo - risposi - non è ancora detto che vincano. Una sola cosa posso dirti fin d'ora, se dovessero vincere a casa non ci torno mai più. Cercheremo di sconfinare in Francia, piomberemo su Oneglia e ci impadroniremo di qualche nave per andare in Corsica, ma la resa mia e dei miei compagni non l'avranno mai». Sentivo che se non proprio tutti, la maggioranza l'avrebbe pensata come me.
Il nostro morale malgrado tutto era ancora abbastanza saldo per non considerare la possibilità di una resa. Certo, senza il bando emesso nelle vallate, molti partigiani sarebbero tornati alla vita civile, si sarebbero confusi con i giovani che lavoravano nei paesi, ma finito il pericolo, forse dopo soli pochi giorni, sarebbero riaccorsi nelle bande. Il nemico ci aveva tolto anche questa possibilità contribuendo a mantenerci uniti, armati e vigilanti.
Il nemico fu sorpreso di non scontrarsi con uno schieramento difensivo, di non subire un contrattacco organizzato: i Cacciatori degli Appennini erano un corpo specializzato in rastrellamenti: era la prima volta, dicevano, che i  partigiani non reagivano. Un nostro contrattacco fu temuto a lungo, ciò impedì al nemico di aumentare il numero dei presidi a scapito della loro forza numerica, di operare in colonne più numerose, ma meno forti, di disperdere sentinelle e pattuglie a tutti gli incroci, sui passi, nei passaggi obbligati, occultandole e tendendoci agguati.
Il nemico comprese che i colpi che ci aveva inflitto avevano eliminato due o al massimo tre squadre e che tutte le altre nostre bande erano intatte ed inafferrabili. Non comprese la nostra tragica debolezza, la mancanza di capi, di armi e di collegamenti.
Certo che se avessimo usato di tutte le nostre forze, se tutte le bande, le squadre ed i partigiani isolati avessero sempre agito con freddezza e coraggio come i quattro di Cappella Soprana ed avessimo attaccato il nemico ad ogni occasione, avremmmo potuto infliggergli duri colpi se avesse commesso l'imprudenza di lasciare nuclei esigui ed isolati. Ciò lo indusse alla prudenza e contribuì alla nostra salvezza.
Il nemico volle attaccarci contemporaneamente alla Cascione per impedire uno spostamento, un appoggio reciproco che in pratica non sarebbero stati possibili, ciò ridusse gli effettivi impiegati.
Questo il giudizio che è possibile dare del rastrellamento di gennaio, atteso da molti mesi come il colpo di grazia della Bonfante.   
In conclusione le nostre possibilità di resistenza avevano superato le previsioni.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980,  pp. 163-167 

 

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona del I° Distaccamento con i nemici che arrivavano da tre direzioni, da Via Colletto di Pairola, da Diano Castello e da Chiusavecchia e che, individuato il nascondiglio i nemici, avevano prelevato 5 garibaldini in seguito fucilati a Chiusavecchia: Raspin, Luis, Stendhal, Joe ed un certo Villa.

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2; che il 20 una squadra al comando di 'Gordon' [Germano Belgrano] aveva assalito una pattuglia tedesca uccidendo un soldato; che, ancora il giorno 20, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" aveva ferito 2 tedeschi facendo scoppiare delle mine.

14 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 116, al comando della I^ Brigata - Convocazione del comandante "Mancen" [Massimo Gismondi] e del commissario "Federico" [Federico Sibilla] per concertare l'impiego di alcuni Distaccamenti.

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che presto avrebbe potuto avere luogo un lancio di materiale nella zona indicata da quel comando di Divisione, ma aggiungeva che occorrevano dati più precisi sulla natura del terreno, sulla distanza dai presidi militari più vicini e dalle abitazioni. Concludeva invitando a comunicare la lista del materiale ricevuto, per il quale aggiungeva la raccomandazione di un trasferimento in luogo sicuro.

15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva dell'attacco subito il 9 gennaio 1945 dal Distaccamento "Giovanni Garbagnati" a Casanova Lerrone (SV) ad opera di reparti della Divisione repubblichina "Monterosa" e di quello del 27 gennaio, effettuato da reparti sia della "Monterosa" che della "Muti", che aveva causato la morte dei partigiani Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano).

15 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 6 ex appartenenti alla Brigata scrivente, fuggiti a dicembre dopo il rastrellamento nemico, razziavano, continuando ad autodefinirsi garibaldini, civili, per cui, siccome "da ottime segnalazioni" risultava che i 6 si aggirassero nella zona della Bonfante, si chiedeva di arrestare quei sei, "Maciste", "Salvatore", "Cancarin", "Morello", "Brindisi", "Pianta", e di trasferirli nelle mani della Briganti.

15 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", Sezione SIM, a "Citrato" [Angelo Ghiron] - Comunicava che era stato nominato vice responsabile del servizio SIM e che in tale veste avrebbe dovuto "carpire notizie" sulle truppe tedesche dei vari presidii ed in transito sulla Via Aurelia, con particolari indagini sul semaforo di Capo Mele e sui posti di ascolto di Albenga (SV), Alassio Capo Mele e Capo Berta, nonché scoprire se il fiume Centa [ad Albenga] era nel suo ultimo tratto minato.

15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvertiva che la famiglia di "Elettrico" aveva comunicato che l'abitazione era stata perquisita dai fascisti, che avevano asportato anche delle fotografie del partigiano.

15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva i ringraziamenti del "Capitano Roberta" [Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento] per la prontezza con cui il comando della Divisione aveva realizzato il collegamento con il colonnello Stevens ed il suo impegno a fare prendere in considerazione l'ipotesi di bombardare Ormea (CN), "in cui si trovano importanti obiettivi militari" e ribadiva la necessità di fare propaganda tra i soldati repubblichini per indurne il più alto numero possibile a passare con le armi nelle fila della resistenza. 

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999