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lunedì 5 dicembre 2022

Sulla costa si sentiva parlare di partigiani

Imperia: il ponte stradale della Via Aurelia sul torrente Impero

Già nel febbraio del 1944 il mio carissimo amico Giovanni Berio (Tracalà) mi aveva esortato a salire in montagna tra i partigiani. Lui aveva già partecipato alla battaglia di Alto avvenuta il 27 gennaio 1944, durante la quale aveva trovato eroica morte il comandante Felice Cascione ("u Megu", che era dottore in medicina) e, a causa dello scioglimento della banda, si trovava sbandato. Al tempo stesso mi aveva fatto capire che la mia permanenza nella TODT (ditta militarizzata che costruiva bastioni antisbarco per conto dei tedeschi) non era cosa giusta e non era cosa ben vista.
Mi trovavo nella TODT per evitare di essere arruolato nell'esercito della Repubblica Sociale di cui avevo già ricevuto la cartolina precetto (sono della classe 1924).
Feci notare a Giovanni che ben poca cosa si sapeva del movimento partigiano e che qualcuno con il quale avevo parlato mi aveva sconsigliato di salire in montagna, poiché era ancora una iniziativa incerta. Comunque mi misi d'accordo con lui: saremmo partiti verso la metà di febbraio. Quando venne il giorno prestabilito e dissi a mia madre che avevo deciso di partire e che mi necessitavano indumenti pesanti e un paio di scarponi (che non avevo).
La poveretta si mise a piangere convulsamente pregandomi di posticipare la partenza di almeno due mesi in attesa della bella stagione. Durante l'attesa avrebbe provveduto a procurarmi il vestiario necessario. Mio padre invece non aprì bocca. Non manifestò alcun parere. Però capii che la mia decisione non gli sarebbe dispiaciuta.
Alla fine, impressionato dalla manifesta disperazione di mia madre, con Giovanni convenni di rimandare la partenza per la montagna di qualche tempo.
Alcuni di noi già dal 25 luglio 1943 (quando cadde Mussolini) si erano iscritti alle cellule segrete del PCI. Avevano ricevuto l'incarico dal partito di sorvegliare gli ex fascisti, notare se si riunivano segretamente e se tentavano di riorganizzarsi (qualcuno ci consegnò anche la pistola per convincerci che avevano rotto ogni rapporto col fascismo risorgente sotto l'egida dei tedeschi). Il nostro capo cellula era Nello Bruno ("Merlo", caduto in montagna nel gennaio del 1945). La cellula era composta da Tino Moi ("Tino"), che cadrà anche lui il 25 luglio 1944, da Bruno Denardi, da un altro compagno di cui non ricordo più il nome e dallo scrivente.
In agosto il governo Badoglio, succeduto a quello di Mussolini, non agevolò indubbiamente gli antifascisti, anzi rese loro la vita dura vietando ogni manifestazione ed ogni iniziativa che avesse una parvenza di democrazia.
Poi, come è noto, l'8 del settembre successivo, in occasione dell'armistizio, i tedeschi occuparono militarmente il nostro paese e diedero vita all'esercito fantoccio della repubblica di Salò, mobilitando vecchi e nuovi fascisti.
Allora Cascione ed altri imperiesi più compromessi con l'antifascismo, tra cui Nello Bruno, Eolo Castagno ("Garibaldi"), Nino Berio e diversi altri, presero la via della montagna, e noi, meno compromessi e più giovani, restammo, in attesa di significativi eventi.
Sulla costa si sentiva parlare di partigiani, di uno scontro con il risorto esercito, ma di stampo fascista, nel territorio di Colla Bassa (Montegrazie). Gli episodi venivano ingigantiti dalla fantasia popolare e in noi aumentava la volontà di raggiungere i nostri amici in montagna per compiere la nostra doverosa parte di combattenti per la libertà.
Apprendemmo che, dopo la dolorosa morte di Felice Cascione, la sua banda si era sbandata per tale motivo, ma anche per l'inclemenza del tempo e per la non ancora perfetta organizzazione della vita in montagna. Qualcuno tornò a casa, qualcun altro si rifugiò presso i partigiani badogliani che si stavano organizzando e che già ricevevano aiuti militari dagli inglesi attraverso lanci aerei.
Ma nella primavera del 1944 quasi tutti gli imperiesi ridiscesero sulla costa dove si stavano organizzando bande garibaldine, rinforzate da coloro che, non ubbidendo ai bandi fascisti di richiamo alle armi, avevano preferito raggiungere i compagni per combattere contro i nazifascisti.
La situazione era diventata critica: ci si poteva intrufolare nella TODT come avevo fatto io, o presentarsi ai Comandi fascisti per essere arruolati nell'esercito della Repubblica Sociale, o salire in montagna. Questa ultima soluzione a moltissimi sembrò la migliore.
Alfine giunse anche il momento della mia partenza. Chi organizzava coloro che avevano intenzione di partire era Bruno Denardi che, anche lui, aveva deciso di rientrare in banda. Alle ore 6 del mattino (ultimi giorni di maggio 1944) ci trovammo in sei in località "Ergi", presso il cimitero di Diano Gorleri [n.d.r. Frazione del comune di Diano Marina (IM)]: De Nardi, Duccio, Tenni, lo scrivente, ed un altro che credo fosse Carlo detto "U Gallu du Bimbu".
Ci dirigemmo verso il Pizzo d'Evigno dove speravamo di incontrare una banda detta "volante" comandata dall'onegliese Silvio Bonfante ("Cion"), banda che aveva già incorporato Germano Belgrano ("Germano"), Massimo Gismondi ("Mancen"), "Cigrè", "Sardena", "Tino" e tanti altri già miei compagni di gioventù.
Giunti nei pressi di Diano Arentino sentimmo delle raffiche di mitragliatrice provenienti dalla vallata di Stellanello, il che ci costrinse a cambiare direzione. Denardi disse che probabilmente si trattava di un rastrellamento: se avessimo proseguito, probabilmente saremmo finiti in bocca ai nazifascisti. Decidemmo di ritornare sui nostri passi, per portarci nella vallata di Dolcedo attraverso Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, in cerca di altre bande partigiane.
Trascorremmo la notte in modo precario in una centralina elettrica, a monte della strada statale 28, nei pressi del ponte del borgo. Il mattino seguente, dopo una ulteriore discussione, Denardi ci convinse che era più opportuno incamminarci verso Tavole e Villatalla in quanto era certo che anche là dovevano trovarsi delle bande partigiane.
In seguito, se avessimo voluto, potevamo trasferirci nella zona di Stellanello, già nostra prima meta.
Giunti nei pressi di Pianavia [n.d.r.: frazione del comune di Vasia (IM)], sentimmo molto distante un'altra sparatoria. La gente del paese ci informò che partigiani si trovavano a Villatalla [n.d.r.: frazione del comune di Prelà (IM)] verso cui ci incamminammo.
Sulla piazza principale del paese incontrammo un gruppo di armati intenti a pulire patate e verdura presso una fontana. Preparavano il rancio. Tra i cuochi riconobbi Angelo, mio vecchio compagno di scuola, ed alcuni altri.
Ci accompagnarono in una stanza dove aveva sede il Comando. Ivi incontrai Rinaldo Rizzo (Tito) e Gustavo Berio (Boris). Questi ci salutarono e ci destinarono al distaccamento che era dislocato a Pianavia, comandato da Angelo Setti (Mirko) e che aveva per commissario Nello Bruno. Il distaccamento era composto da circa quaranta uomini e tra questi riconobbi dei miei amici di antica data, tra i quali alcuni con i quali ero cresciuto nella mia prima giovinezza (avevamo fatto il premilitare insieme). Ricordo "Nino u fransese", "Nani u careté", "U pastissé" ed altri.
Ad essere sincero, da questi non ebbi una affettuosa accoglienza: sapevano che ero stato nella TODT per cui rimasero un poco freddi.
Qualcuno mi disse: «Era ora che ti decidessi a venire su in montagna». Cercai di giustificarmi e tutto finì lì.
Dopo oltre quarant'anni "U pastissé" mi disse che qualcuno avrebbe voluto fucilarmi per la mia permanenza nella TODT, ma non mi disse chi aveva espresso questo parere. Sono sicurissimo che, se questo intendimento arrivò nelle orecchie di "Merlo", lui non trattò certamente bene coloro che desideravano la mia morte. Sapeva che io facevo parte di una cellula di giovani del Pci. Rileggendo una memoria riguardante un colpo che avevamo fatto nella caserma Siffredi ad Oneglia, mi venne in mente il nome di colui che voleva sempre uccidere tutti (a parole). Forse era costui che desiderava anche la mia morte.
La prima notte che trascorsi nell'accampamento, mi misero di guardia ma, non avendo esperienza e un po' di paura, scambiai un albero che ondeggiava a causa di un po' di vento per un nemico. Preoccupato, andai a svegliare "Nino u fransese", il compagno con il quale avevo più confidenza. Egli venne, gli feci vedere l'ombra sospetta e lui subito si diresse in quella direzione.
Dopo un po' mi chiamò e mi disse: «Guarda che bell'albero... se in ogni albero scorgi un nemico, questa notte non dorme più nessuno». Ci rimasi male e il giorno successivo venni "sfottuto" un poco da tutti.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

lunedì 19 luglio 2021

Dal sacrificio ultraventennale di Gilardi e di un buon nucleo di antifascisti imperiesi sorgono feconde premesse

Uno scorcio della Calata G.B. Cuneo del porto di Oneglia ad Imperia

Prima dell'entrata in guerra dell'Italia vi erano ad Imperia, come altrove, persone che si incontravano... appartenevano ai partiti politici dichiarati fuori legge dal regime... [molti] erano aderenti al partito comunista, che era il solo che poteva vantare una solida organizzazione clandestina. 
Altri appartenevano alle altre correnti: cattolica, socialista, liberale.
Non mancavano coloro che erano mossi solo dall'avversità al regime fascista.
A partire dai primi anni [del regime] ci furono numerosi arresti e processi ai danni di esponenti dell'opposizione al fascismo...
Nel 1928 vennero arrestati circa 50 giovani tutti appartenenti alla federazione giovanile comunista, capeggiati da Giovanni Giacomelli (Nino)...
... alcuni imperiesi parteciparono alla guerra civile spagnola nelle fila degli oppositori di Franco...
Reduci dalla guerra spagnola ritornarono alcuni combattenti che misero a frutto l'esperienza accumulata...
tra questi... Carlo Farini [con il nome di battaglia di Simon, dalla fine del 1944 Ispettore Generale della I^ Zona Liguria delle formazioni partigiane Garibaldi]... Lorenzo Musso [con il nome di battaglia di Sumi, dalla fine del 1944 Commissario Politico al Comando Operativo della I^ Zona Liguria] di Imperia... Giuseppe Vittorio Guglielmo  [con il nome di battaglia di Vittò, ma anche Vitò o Ivano, dalla fine del 1944 comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"]...
Negli anni fino al 1943 i gruppi antifascisti non ebbero una comune organizzazione...
l'organizzazione comunista era già efficiente...
quella del P.d.A. [Partito d'Azione] venne costituita ad Imperia verso la fine del 1942...
Le riunioni per riorganizzare i partiti antifascisti... dopo il 25 luglio 1943 [caduta di Mussolini] nonostante i... divieti del governo Badoglio.
Nell'agosto 1943 venne dato l'incarico al professor Strato di costituire il partito democristiano...
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Dai centri di raccolta di Figueiras e di Albacete se ne arruolarono una dozzina di queste parti coi repubblicani spagnoli, entrando nelle brigate internazionali: quattro caddero subito in combattimento nei primi scontri contro i falangisti. Nel frattempo il professor Parodi spiegava filosofia in còcina ligure e trascurava le riforme di Bottai, - ma va a spigolare -; qualche altro rifiutava il voi dalla cattedra come Giraud galantuomo o la Biglia la Drago e la Giobbia sempre recidive e sempre sorvegliate per antifascismo schietto.
[...] Sempre in quei tempi la folla, che tanto numerosa non si era mai vista in chiesa, straripava dalla collegiata di San Giovanni a Oneglia, quando don Boeri arciprete faceva predicare, bene in vista dalle balaustre, Giorgio La Pira e don Primo Mazzolari. Erano delle occasioni eccezionali, e a sentirli ci andavano anche quelli che a messa non ci andavano mai, neppure alla festa grande.
Più in dentro, nei paesi di queste valli aperte ai venti e alla pioggia, coi sagrati frusti, gli oratori erano più duraturi delle palestre della Gil; tra questa gente povera e tenace, sopravvissero fabbricerie e confraternite, coi registri rilegati in pelle di capra e le loro usanze guai a toccargliele.
Fra Ginepro cappellano della milizia arringava roboante i legionari d'oltremare per la quarta sponda, alé alla conquista; ma loro non ci capivano un tubo infastiditi dal sudore e dalla acidità di stomaco, fumando le milit.
Luigi Gedda faceva il tenente medico a Campochiesa, era di complemento, e nel frattempo collaudava l'azione cattolica pacelliana nella cella campanaria del Sacro Cuore di Albenga incitando jodel jodel ju ..., che era il suo grido va a sapere alla montanara, come lo voleva lui.
Moriva nella sua Casa rossa, tra le essenze salmastre i pini silvestri e i riflessi grigioargentei del Capo Berta, il poeta dei bimbi Angiolo Silvio Novaro, quello del «Cestello», rinomato assaggiatore d'olio e compilatore del testo unico per la quarta elementare, tutti balilla.
Gli fecero un funerale solenne, come a Oneglia non ne avevano mai visto, con feluca e spadino di accademico d'Italia sul cofano. Tutte le scolaresche in divisa della gioventù italiana del littorio venivano dietro bene allineate e coperte; finché il gerarca mandato da Roma in camicia nera, rappresentando il duce al cimitero, fece il discorso e tutti dissero - presente.
Giovanni Strato si ripassava in solitudine i momenti forti della storia locale per riparlarne coi suoi studenti, e allevava antifascisti in cospirazione coi fratelli Calvini, poi coi Serra.
Alla sera di nascosto a poco a poco traduceva Hitler m'a dit e i discorsi di Churchill, che ricopiava a mano, facendone delle copie per distribuirle a suo rischio e pericolo.
Nella tabaccheria di Amoretti a Porto, dietro un paravento, sotto il naso dei poliziotti, si rimontavano tutte le volte che facevano di bisogno i pezzi del ciclostile della cellula.
Poi Castagneto Elettrico smistava le copie de l'Unità sottobanco senza farsene accorgere, e proprio lì a due passi dalla questura fissava gli appuntamenti interpartitici della cospirazione.
I giovani cresciuti in sacrestia con don Gerini don Vìcari e don Montanaro, mostravano ai passanti l'Osservatore Romano con sussiego; magari non lo leggevano neanche perché era difficile, ma lo mostravano dalla tasca della giacca. Lo tenevano con la testata bene in vista sulla crocera per cimentare i fascisti che passeggiando avanti indietro facevano i bulli; erano i tempi che Trucchi e Faravelli ci sguazzavano da marpioni col regime, cuccandosi gli appalti uno sull'altro in Africa Orientale e in Spagna, quando andavano o venivano immanigliati a generali gerarchi ispettori e affaristi, con tutto il bataclan dei maneggioni che gli stavano intorno.
Dicevano perfino di una volta, quando Franco fu alle strette senza soldi per qualche manrovescio marocchino che gli era capitato all'improvviso: allora invece di valuta gli esibì in pagamento un treno blindato con tutto il munizionamento e gli accessori giusti per farlo funzionare, tutto in regola.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 11-13
 
Già prima dell'8 settembre 1943, Andrea [Giovanni Gilardi] è in possesso di un curriculum di lotta eccezionale.
Nato ad Oneglia il 24 giugno 1903, da Stefano e da Giuseppina Bonavera, a diciassette anni si trova impegnato nella lotta operaia per l'occupazione delle fabbriche. Nel 1923 passa tra i militanti del PCI. Il fascismo comincia ad imperversare; ma Gilardi non cede. Nel 1927 è inviato in Russia per compiervi degli studi presso una scuola di partito. Rientra nel 1930 per riprendere il suo posto di rischio nella trincea dell'antifascismo. Ma, nel frattempo, la polizia segreta, avendo identificato in lui uno dei più strenui combattenti sovversivi, pericolosi al regime, lo fa sorvegliare durante tutte le tappe del ritorno verso l'Italia attraverso l'Europa. Sicché, dopo alcuni mesi di vita cospirativa dal suo arrivo in Italia, viene arrestato a Treviso e sottoposto al giudizio del Tribunale Speciale Fascista che, con sentenza n. 7 dell'11 marzo 1931 (presidente Tringali, relatore Presti), gli commina la pena di dieci anni di carcere e tre di sorveglianza speciale. Per sopravvenuta amnistia, nel 1934 «Andrea» esce dal carcere di Civitavecchia. È sorvegliato, ma ciò non lo fa desistere dal suo impegno e rientra ad Imperia per riprendere l'attività cospirativa.
Dal sacrificio ultraventennale di Gilardi e di un buon nucleo di antifascisti imperiesi, sorgono feconde premesse anche nella nostra provincia per un'altra forma di lotta, ultima battaglia per chiudere il conto con la dittatura in Italia.
«Negli anni della clandestinità (1927-1943) hanno sempre funzionato delle cellule di fabbrica e di strada; numerosi sono stati gli arrestati, alcuni di essi confinati e condannati dal Tribunale Speciale. Questi precedenti spiegano perché fu possibile dar vita - successivamente - ad un forte movimento partigiano della zona». Sono parole di Gilardi che, come al solito, ricerca per ogni effetto la sua causa.
Giunge l'8 settembre 1943. La polizia va allo stabilimento Italcementi di Oneglia per arrestarlo, ma egli riesce a saltare il muro di recinzione, perché avvertito dai suoi amici operai. Si rifugia con Cascione in località Magaietto e, in un vecchio casone, nasce uno dei nostri primi gruppi partigiani.
Gilardi ha quarant'anni di vita e già ventitré anni di lotta!
Ora, la sua battaglia riprende sotto altre forme perché il popolo può imbracciare un fucile. La Resistenza richiede nuovi impegni e dà inizio a quella metamorfosi per cui cadono, come foglie secche sotto il soffio del vento autunnale, certe effimere impalcature e ne sorgono di più solide e resistenti. Sta morendo l'epoca del passa-foglietto e del tremebondo ed inutile sussurro antifascista.
Sono chiamati a raccolta i combattenti autentici e, tra essi, per primi, quelli dell'antica lotta, affinché consegnino e trasferiscano alle giovani generazioni il bagaglio della loro esperienza e del loro coraggio. Tra i primi organizza i nuclei armati della montagna. È con Felice Cascione, Giacomo Amoretti (Leonida), Nino Siccardi (Curto), Giacomo Castagneto (Elettrico), Giovanni Giuseppe Garibaldi (Biondi) nelle riunioni per la preparazione della lotta armata.  
Il  compito è gravoso, duro oltre ogni dire, rischioso.
A  fine settembre, giunge ad Imperia Giancarlo Pajetta (Nullo), vice comandante delle Brigate d'Assalto Garibaldi in Italia. Dopo una riunione in casa di Giacomo Castagneto, nel corso della quale è affidato a «Curto» il Comando dei GAP, Gilardi accompagna Pajetta in località «Cappelletta» del monte Acquarone dove, in un raduno dei primi esponenti partigiani, prende corpo l'inquadramento delle formazioni armate in distaccamenti dotali di comandanti e di   commissari.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992 

1945, Savona, Teatro Chiabrera - Primo Congresso Provinciale del P.C.I. - Al microfono Emilio Sereni, a fianco Giovanni Gilardi - Fonte: Quelli del P.C.I. Savona 1945-1950, Op. cit. infra

Il PCI, dotato di un’organizzazione ramificata in tutti i principali centri della Provincia di Savona, era indubbiamente la forza politica più pronta a suscitare e sostenere un movimento guerrigliero antifascista. Tra l’altro, due suoi esponenti, Amedeo Isolica e Libero Bianchi, avevano combattuto nella guerra di Spagna <50. Così, già in settembre, nuclei di militanti comunisti furono inviati in alcune località montane della provincia a formare le prime unità “ribelli”. Destinati alla montagna furono in particolare coloro che per noti precedenti politici non avrebbero potuto proseguire l’attività in città; tanto più che i fascisti avevano compilato un elenco di 200 “sovversivi pericolosi per l’ordine e la sicurezza dello Stato”, ed attendevano solo l’assenso del Comando tedesco per “impacchettarli” <51.
Incaricato di avviare alle basi di montagna i militanti comunisti era Giovanni Gilardi: egli impartiva loro le prime istruzioni, indicava le località “sicure” dove insediarsi, spiegava come mantenere i contatti. In tal modo una trentina di ex operai, ciascuno con 200 lire fornitegli dal PCI, salirono da soli o a piccoli gruppi verso i monti dell’entroterra <52. Furono quattro i nuclei partigiani a totale o prevalente orientamento comunista che si formarono in settembre nel Savonese <53. [...] Mentre i partigiani di montagna si riorganizzavano, [Savona ] il capoluogo visse pagine di storia fra le più tragiche. Il malcontento degli operai, mai sopito, riesplose nella seconda metà di febbraio 1944 con lo sciopero dei dipendenti della Scarpa & Magnano, indignati per i mancati aumenti salariali che pure l’azienda aveva promesso. Il sindacalista fascista D’Agostino, invece di placare gli animi, si schierò con la dirigenza, il che fece imbestialire gli operai. La vicenda si chiuse con quattro operai arrestati e molti altri minacciati: l’agitazione, prematura e isolata, era stata un fallimento, e la fabbrica non partecipò al grande sciopero del 1° marzo. Questo fu organizzato per tempo, a livello nazionale, in base alle direttive del Comitato Segreto di Agitazione per il Piemonte, la Liguria e la Lombardia, che per l’occasione aveva diffuso un manifesto rivendicativo. Proprio in vista dello sciopero, inteso più che mai come atto di guerra contro il fascismo, il 28 febbraio tornò a Savona Giancarlo Pajetta, il quale, stabilitosi in una casa di via Poggi insieme a Giovanni “Andrea” Gilardi (da dicembre segretario della Federazione savonese del PCI, in sostituzione di Libero Briganti aggregatosi ai partigiani imperiesi), organizzò l’agitazione inviando staffette nelle principali fabbriche cittadine.
[NOTE]
50. Badarello - De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, 1973, p. 54.
51. Ibidem, p. 62.
52. Ibidem, p. 62.
53. Per i gruppi e la loro dislocazione vedi Badarello - De Vincenzi, op. cit., p. 64; cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, p. 84
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Dal 1940 al 25 luglio 1943 gli antifascisti si fecero più numerosi, diventarono più attivi, e si formarono dei veri e propri gruppi clandestini tendenti deliberatamente ad abbattere il fascismo.
Lo scrivente, prof. Strato, come esponente dei gruppi da lui creati ed organizzati, già attivi nel 1940, e che comprendevano circa un centinaio di persone in Imperia e fuori di Imperia, venne a contatto con esponenti di altri gruppi e con altri antifascisti. In queste pagine si limiterà a ricordare qualche persona isolata e alcuni fra gli esponenti di gruppi che, durante la guerra o subito dopo, svolsero una certa attività o ebbero qualche mansione, mentre spera di potere essere più completo in un eventuale studio più ampio. Così vengono ricordati specialmente: l'ing. Vincenzo Acquarone, con gli Oddone Ivar e Bruno, con Eliseo Lagorio, con Todros Alberto, con Carlo Carli e con altri: il prof. Bruno Giovanni, con Ugo De Barbieri di Genova, con Gazzano Federico, col sergente Alfredo Rovelli di Sanremo, e con altri; il rag. Giacomo Castagneto; Felice Cascione; Magliano Angelo (residente a Milano); l'avv. Ricci Raimondo; i proff. Giuseppe Maranetto e Letizia Venturini; la prof.ssa Costantino Costanza (residente a Torino): i Calvini (Nilo e Giovanni Battista o «Nanni») di Bussana; Lorenzo Acquarone, di Artallo; Nino Siccardi (poi «Curto») *. Ognuna delle persone sopra ricordate, e altre collegate con esse, che non abbiamo potuto elencare perché nel presente volume è solo possibile accennare brevemente a questo argomento, avevano a loro volta una cerchia più o meno vasta di amici, ad essi uniti per lo stesso fine e con lo stesso ideale. I gruppi, per lo più, si tenevano in contatto per mezzo dei principali esponenti; e persone e gruppi costituivano una fitta rete cospirativa, che svolgeva un'attività particolarmente intensa.
Dei gruppi costituiti e diretti dallo scrivente fecero parte, fra gli altri, Enrico e Nicola Serra e Sergio Sabatini.
* Dietro invito di Magliano Angelo, fatto in una delle molte riunioni clandestine tenute in casa dell'Ing. Vincenzo Acquarone, alcuni di noi, fra cui lo scrivente, avevano prenotato e poi acquistato copia del volume «Presupposti di un ordine internazionale» di Guido Gonella, Edizioni <<Civitas Gentium», Città del Vaticano, 1942.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, p. 59
 
Nell’ottobre 1943 complessivamente il PCI nel circondario savonese ha una settantina di iscritti in città e nelle fabbriche <12, poco meno di quanti erano vent’anni prima quando il Partito era alla vigilia di entrare nella clandestinità, e non si hanno immediati miglioramenti nel reclutamento se nel novembre seguente gli iscritti al PCI a Savona e provincia sono ancora solo una sessantina, compresi fra gli sparsi in provincia quelli già in montagna nei primi gruppi di partigiani, ma nei mesi successivi la situazione migliora [...]
12 Riferisce il nuovo segretario federale Giovanni Gilardi che “… [nell’ottobre 1943] … Il Partito a Savona aveva mantenuto sino ad allora la caratteristica dei «pochi ma buoni», - Si contavano quindi poche decine di iscritti nei vari stabilimenti e in città. …” (GILARDI), ma sembra un po’ ottimistica la constatazione subito dopo che “… Un intenso lavoro di proselitismo aggregò al Partito alcune centinaia di iscritti, organizzati nelle fabbriche e in cellule di strada. …”, mentre “… [nell’ottobre 1943] Contemporaneamente i compagni rimasti in città, … dovevano superare molto spesso, nelle loro stesse file, un pericoloso settarismo che impediva lo svilupparsi dell’organizzazione e contro il quale furono emanate disposizioni …” (Relazione, p. 3), e “… L’attività politica di questo periodo si esplicò principalmente nel combattere il settarismo, …” (Sunto, p. 3); Giovanni Gilardi (Oneglia 24-6-1903 [Imperia], operaio, espatriato nel 1927 in Unione Sovietica da dove nel 1929 raggiunge la Francia per poi rimpatriare nel giugno 1930, “giovane pericoloso ed esaltato delle sue idee” arrestato a Treviso il 26-8-1930 quale corriere del PCI e per  organizzazione comunista, condannato l’11-3-1931 dal TS a 10 anni [condonati 2] di reclusione [a Civitavecchia], liberato il 25-8-1934 per amnistia <Af>; partigiano Andrea dal 1-11-1943) segretario della Federazione comunista savonese da ottobre 1943 (GILARDI, e Sunto, p. 3), sostituendo Libero Briganti, all’inizio di maggio 1944 (inviato al Comando della 6ª Zona ligure a Genova quale commissario e poi ispettore della Delegazione delle Brigate Garibaldi), sostituito da Raffaello Paoletti (SCAPPINI, p. 121) che nello stesso incarico sostituirà poi a metà febbraio 1945 (per essere nuovamente sostituito dallo stesso Paoletti da maggio a fine luglio 1945 quando ancora riassumerà l’incarico di segretario della Federazione savonese del PCI), e da metà aprile 1945 e nei giorni dell’insurrezione commissario della 2ª Zona ligure.
Guido Malandra (scritto nel marzo 2003), L'organizzazione comunista di base a Savona durante la Resistenza in (a cura di) Giancarlo Berruti - Guido Malandra, Quelli del P.C.I. Savona 1945-1950, Federazione D.S. Savona, 2003
 
Io mantenevo i miei contatti con Recagno, ma - se non ricordo male - a gennaio del ’44 prese direttamente contatto con me Andrea Gilardi nuovo segretario della Federazione (dopo lo spostamento ad Imperia di Libero Briganti) che riteneva opportuno un suo collegamento diretto con i giovani.
La nostra sede, che ospitava anche la tipografia che stampava il giornale oltre a molto altro materiale e cioè via De Mari 2/A era il luogo dove Gilardi veniva sovente ad incontrarmi annunciandosi con un particolare suono del campanello.
Un giorno, mi pare verso la metà di febbraio, venne Gilardi con un altro compagno che mi presentò col nome di battaglia (seppi dopo che era Giancarlo Pajetta) il quale mi chiese se poteva dare un’occhiata alla casa.
Guardò le varie stanze e poi mi disse che il P. preparava uno sciopero generale per i primi di marzo e se io ero d’accordo di fornire la base di collegamento, coordinamento e trasmissione notizie per quanto riguardava le fabbriche
nel Savonese. Dissi che avrei parlato con i compagni della segreteria del fronte e che pensavo non ci sarebbe stata difficoltà per una risposta positiva. E così fu.
Gilardi mi disse che Pajetta aveva studiato le vie di accesso (molteplici) per le staffette, giudicato positivamente anche l’ubicazione e la qualità dello stabile (in casa signorile). Si dovevano ospitare staffette eventualmente anche di notte; avere qualcosa da dar loro da mangiare, eventuali cambi d’abito, ecc. Gilardi mi disse che avrebbe provveduto per quanto necessario e, tra l’altro, mi portò 4 tessere del pane con i relativi bollini di prelievo. Sennonché mi accorsi che le tessere erano intestate e, fra le 4 intestazioni, vi era anche Carlo Aschero che io conoscevo da tempo perché, ben prima della guerra, andavamo a sciare assieme (e tra l’altro mi fece piacere apprendere che era dei nostri). Feci sparire le intestazioni (lamentando poi con Gilardi la grave violazione delle regole cospirative) ottenendo egualmente il pane con i soli bollini. Lo sciopero nel savonese andò bene e così anche in Valbormida nel Levante e a Ponente e l’andirivieni delle staffette fu enorme.
Giuseppe Noberasco, Il contatto con il Partito in (a cura di) Giancarlo Berruti - Guido Malandra, Quelli del P.C.I. Savona 1945-1950, Federazione D.S. Savona, 2003
 
Ebbi il mio primo vero contatto con il Partito Comunista all’inizio del 1944 quando incontrai Carlo Aschero che avevo già conosciuto alla “Scarpa e Magnano”. Dopo una lunga discussione sugli ideali del Partito e la lotta di liberazione dal fascismo, mi inserì a tutti gli effetti nell’organizzazione. Allora non vi erano tessere o organismi dirigenti come li conosciamo oggi. Il Partito non si vedeva, ma la sua presenza si sentiva ovunque, nelle fabbriche, come nei quartieri, in ogni comitato ufficiale o spontaneo lì c’era almeno un comunista. Il gruppo dirigente non si conosceva, ognuno di noi faceva capo ad un responsabile per una determinata mansione e aveva contatti solo con alcuni compagni, la rete complessiva era ignota. I dirigenti venivano spostati in altre città, ad esempio Andrea Aglietto fu mandato a Genova, mentre da Imperia venne a Savona Gilardi. Per contattarci avevamo parole d’ordine, si circolava per strada con segnali di riconoscimento, un giornale, una fascetta, un fiore erano la nostra carta di identità [...] E’ durante una perquisizione della milizia nella sede di Via Buscaglia che fui arrestato e portato nelle carceri di S. Agostino. Dopo questa avventura, su indicazione di Carlo Aschero, portai a compimento numerose missioni di varia natura sempre nell’ambito della Resistenza. Il primo contatto con Gilardi, dirigente comunista di Imperia, divenuto poco dopo la Liberazione Segretario della Federazione di Savona, lo ebbi in via S. Lorenzo, nel febbraio del ’45, quando oramai il clima della vittoria era nell’aria. Evidentemente era stato già informato della mia attività clandestina poiché dopo una breve chiacchierata mi disse: “Ernesto, dopo la Liberazione tieniti disponibile perché verrai a lavorare in Federazione”.
Edoardo (Ernesto) Zerbino (Testimonianza del 2 ottobre 2002) in Quelli del P.C.I. Savona 1945-1950, Op. cit.
 
Nella borgata di Né Murie, proprio nei giorni precedenti lo sciopero del 1° marzo ’44, aveva preso a funzionare una “stamperia” in una vecchia casa disabitata. La dirigevano due giovani, Carletto e Vincenzo Parodi. Gli attrezzi di lavoro, una macchina da scrivere, un vecchio ciclostile e materiale occorrente per le copiature erano tenute nascoste da una botola intagliata all’interno della casa. Si trattava dunque di un piccolo laboratorio, che per tutto il periodo della lotta partigiana passò inosservato. Le notizie qui arrivavano e da qui uscivano come copie, in abbondanza per poterle diffondere nelle fabbriche, nelle città e molte volte anche fatte recapitare ai partigiani in montagna <122.
Iniziava così un nuovo modo di reagire silenzioso, compatto, coinvolgente giovani, donne, famiglie intere. Il problema del momento era però anche quello di muovere le masse. Contro l’organizzazione militare fin troppo efficiente dei tedeschi e la brutalità dei loro fiancheggiatori fascisti c’era bisogno di una grande mobilitazione operaia e contadina.
L’organizzazione clandestina dell’intera provincia di Savona si era dedicata molto attivamente alla preparazione di un nuovo sciopero: collegamenti con altre province liguri, piemontesi e lombarde vennero anche faticosamente attivati e furono pure organizzate delle staffette tra le diverse fabbriche della provincia <123.
Tutti i partiti furono coinvolti; per il partito comunista ritornò a Savona il 28 febbraio del ’44 Giancarlo Pajetta che con Andrea Gilardi da poco segretario della Federazione provinciale diressero l’agitazione dall’abitazione di Via Poggi <124.
A Vado Ligure i preparativi per lo sciopero erano da tempo avviati: i Comitati di Agitazione di molte fabbriche, il Comitato di zona del PCI <125 e lo stesso C.L.N. di Vado 126 fin dai primi mesi del ’44 stavano mobilitando con ogni mezzo i lavoratori per metterli al corrente della situazione, per far loro conoscere i piani di intervento, e per spingerli alla lotta dall’interno delle fabbriche. Così in ogni centro industriale il 1° marzo del ’44 a livello nazionale ebbe inizio uno dei più imponenti scioperi generali.
Si trattava di un vero e proprio evento in Europa; nei “domini nazisti” non si era mai vista una prova di forza del genere e per Vado operaia si trattava di una dimostrazione politica di straordinaria efficacia.
Purtroppo l’organizzazione militare clandestina savonese non fu in grado di appoggiare l’agitazione dall’esterno, come invece era stato previsto. Savona scontava ancora le perdite per gli arresti subiti nei mesi di gennaio e di febbraio ’44 dei suoi uomini migliori <127 per cui non riuscì a creare i necessari diversivi per le forze nemiche. La reazione delle truppe fasciste e germaniche si trovò il fronte savonese spianato e poté quindi impiegare tutte le forze nei punti caldi delle agitazioni. Quasi tutte le fabbriche, quelle di Vado in particolare, subirono quasi nello stesso giorno rappresaglie durissime. Complessivamente gli arresti furono più di 40.
A Vado la ferocia nemica colpì subito i membri delle varie commissioni di fabbrica e molti lavoratori scioperanti.
[NOTE]
122 G. Saccone, La valle rossa, op. cit., p. 79
123 Testimonianza di A. Tessitore in arch. Badarello.
124 Testimonianza di A. Siccardi.
125 Testimonianza di P. Borra.
126 Testimonianza di P. Borra.
127 Cfr. Appunti di G. Amasio relativi ai primi mesi del ’44.
Almerino Lunardon, La Resistenza vadese, Comune di Vado Ligure, Istituto Storico della Resistenza e dell’età Contemporanea della provincia di Savona, 2005
 
«Menicco» [Giacomo Amoretti] è di quei combattenti che paiono scolpiti nella roccia, tanto duri da affrontare ogni tempesta. Ma il suo cuore è tanto tenero e sensibile verso la sofferenza e la giustizia da offrire argomento per la più sentimentale e commovente delle descrizioni.
Egli nasce a Oneglia da modesta famiglia di lavoratori (suo padre era il ben conosciuto calzolaio Lazzaro) il 9 giugno 1898. Studia e consegue il diploma di licenza tecnica. Giovinetto, entra nel movimento giovanile socialista, seguendo le idee del padre, iscritto alla sezione di Oneglia di quel partito fin dalla sua fondazione in seguito al Congresso di Genova del 1892. Dopo la scissione di Livorno, avvenuta com'è noto nel 1921, Giacomo Amoretti aderisce alla frazione terzinternazionalista finché, con l'avvento del fascismo e la promulgazione delle leggi eccezionali del 1927, aderisce al PCI.
Per tutto il periodo della dittatura, «Menicco» fa parte del Comitato direttivo del partito e tiene i contatti con i compagni comunisti della provincia di Genova, incontrandosi con Raffaele Pieragostini, e con quelli di Savona, soprattutto con Giuseppe Rebagliati (Pippo).
Nel periodo della guerra civile spagnola, egli è responsabile di un centro di smistamento dei volontari che si recano in Spagna per combattere a fianco del governo repubblicano. L'incarico presuppone non solo grandi pericoli, ma anche il possesso di notevoli doti di abilità cospirativa, ed il consenso di tutta l'organizzazione clandestina.
Giunge l'8 settembre 1943, e la lotta diventa oltremodo drammatica. La parola alle armi. Amoretti è uno degli animatori instancabili e porta un contributo inestimabile, sia per l'opera pratica, sia per la fiducia che la sua  calma sa ispirare.
È con Gilardi, Castagneto, Cascione: tutti insieme e con altri combattenti adattano l'organizzazione clandestina ai nuovi compiti, presupposto indispensabile per l'esistenza dei primi nuclei di patrioti armati sulla montagna. Nasce il primo gruppo; poi gli altri, tra mille fatiche, ma con progressione inarrestabile.
Carlo Rubaudo, Op. cit.