Il 18 febbraio [1945] giunse a tutti i distaccamenti il proclama del comando della Bonfante:
«Garibaldini,
ormai insistente è la voce messa in giro dai nostri nemici, dai loro
giornali, dalle loro radio, che i partigiani sono stati distrutti.
Gongolano nelle loro caserme i traditori repubblicani. Abbiamo distrutto
i partigiani e i nuovi partigiani, quelli che saranno stati i più
furbi, saremo noi! Essi dicono. Così questi bastardi insultano i nostri
morti, così questi rapinatori, che la nostra popolazione ha ben
dolorosamente riconosciuti, credono di aver trovato la loro salvezza nel
nostro sangue. Ma non è per loro che sono caduti i nostri compagni.
Tedeschi
e fascisti sono riusciti a cacciarci dai paesi e ci siamo rifugiati
nelle capanne, ci hanno incendiato le capanne, ma abbiamo dormito nella
neve. Nulla potrà mai la loro ira bestiale contro la nostra fede. Sono i
nostri caduti che ci indicano la via da seguire, sono i nostri fratelli
che giacciono a centinaia nei crepacci gelati del Mongioie, ancora
stretti l'uno all'altro per mano, quelli che riposano sotto la neve a
piccoli gruppi e sparsi lontano a passo Saline.
Aspettare con calma,
come belve in agguato, questo è il nostro compito ora. Rivelarci è fare
il gioco tedesco. Troppo vale per loro aver la strada della ritirata
libera, quella strada che hanno agognato per sei anni per non usare ogni
mezzo per raggiungere i loro scopi. Invece dobbiamo aspettare
silenziosi, non visti da nessuno, ignoti. E poi scatteremo con la
violenza della nostra passione, con i nostri vent'anni, in giù verso il
mare, combatteremo ovunque, nessuna tregua daremo ai fascisti, ai
traditori, a tutti coloro che hanno tradito il popolo, che hanno scavato
trincee contro di noi. E tutta questa sbirraglia, quando si sentirà
ormai sola, senza l'appoggio tedesco, cadrà ai nostri piedi implorando
quella pietà che loro hanno cancellato dalla nostra anima. Un pugno
d'acciaio tratterà i vinti. Guai a loro!
Garibaldini! Questo è il
momento del silenzio, dell'attesa! Ogni imprudenza può rovinare i nostri
piani. Sparite dai paesi, marciate solo di notte. Eseguite gli ordini
con la massima esattezza. Siete rimasti in pochi, i migliori. Unici tra
le formazioni partigiane siamo riusciti con la nostra tattica ed una
buona applicazione degli ordini a superare questo periodo tremendo con
pochissime perdite che sarebbero state irrisorie se gli ordini fossero
stati eseguiti a tempo, anche là dove ciò non è avvenuto.
In alto gli sguardi, la nostra ora non può tardare. Morte all'invasore tedesco! Morte ai traditori!
P.S.: Distruggete il presente appena data lettura nei distaccamenti.
Il COMANDANTE
Giorgio [Giorgio
Olivero]»
Dal proclama di
Giorgio
possiamo vedere quale era lo stato d'animo del Comando e di parte della
Bonfante superato il rastrellamento, quali erano le direttive
immediate, quale il giudizio che dava il Comando sul rastrellamento.
Malgrado
le recenti prove subite si vede che il dramma dei badogliani di Fontane
era sempre assai vivo nel nostro cuore che non dimenticava il
sacrificio di tanti fratelli di lotta.
Le direttive della tattica
invernale semicospirativa venivano ribadite e rafforzate nella loro
necessità dalla recente esperienza.
Più importante è l'ultima parte del proclama: le
nostre perdite erano state esigue ed avrebbero potuto essere minori: merito degli ordini dati e colpa degli errori fatti.
Più
di due terzi delle perdite ci furono inflitte infatti nel primo giorno.
Ciò è imputabile al mancato funzionamento delle sentinelle di
Degna [Frazione del comune di Casanova Lerrore (SV)], alla inerzia delle staffette del recapito e di ciò non è responsabile
il Comando divisionale. E' imputabile al mancato pattugliamento della
cresta che era stato ordinato alla III Brigata e di ciò è responsabile
Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi], che disse a sua discolpa che aveva gli uomini senza scarpe idonee. In realtà vedemmo come il
19 gennaio fossimo alla ricerca affannosa di una partita di scarpe.
La sorpresa è imputabile al
tradimento di
Carletto
[
n.d.r.: Amleto De Giorgi, un ex partigiano passato alle dipendenze della
Feldgendarmerie di Albenga] che condusse le colonne nemiche alle spalle
dei nostri, che segnalò l'intendenza di Ubaghetta, ciò il comando
avrebbe potuto impedire sopprimendo
Carletto senza indugio la sera del processo. E' però da tener presente che, anche in tale ipotesi, parte delle informazioni
Carletto
le aveva già date. Sarebbe stato bene cambiare posizioni alle
intendenze: ed alle squadre e ciò non venne fatto. Se i partigiani
avessero adottato già in precedenza le misure precauzionali prese in
seguito, avessero dormito nei rifugi o all'aperto, la sorpresa sarebbe
mancata. La data precisa del rastrellamento era stata comunicata alle
bande, bisogna però riconoscere che erano mesi che la minaccia si
rinnovava periodicamente.
Un buon servizio di guardia avrebbe potuto
salvare le squadre? Forse, ma sarebbe stato necessario che le sentinelle
fossero numerose e controllassero tutte le vie di accesso e poste in
modo tale da avvistare il nemico a sufficiente distanza, in modo da
dare il tempo ai compagni di prepararsi a resistere o ad occultarsi. Ciò
non era mai stato nelle abitudini partigiane ed era ancor più difficile
ora con le squadre ad effettivi ridotti.
«Se pensassimo che ogni
notte rischiamo la vita e che il nemico può ucciderci nel sonno non
chiuderemmo occhio», mi disse un partigiano in quei giorni. L'abitudine
al pericolo era un bene, perché altrimenti la nostra vita sarebbe
diventata insostenibile; era però un danno perché ci portava a
trascurare precauzioni essenziali. Era necessario arrivare ad un
compromesso che fu raggiunto da qualche banda e solo in parte, tra
queste fu il Garbagnati.
Se le
squadre di Bosco e di Degolla avessero avuto la combattività del Garbagnati o del
Catter avrebbero potuto sganciarsi? Forse a Degolla
Franco
con i suoi tentò un'estrema difesa. Il fatto però che due terzi degli
effettivi venissero fucilati a Pieve di Teco fa supporre che dopo la
morte di
Franco la lotta disperata venisse abbandonata.
L'esempio della banda di
Stalin
[Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati"
della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"] ci fa pensare
che una decisione estrema avrebbe permesso uno sfondamento, sicuramente
avrebbe inflitto al nemico perdite gravi.
Bisogna però riconoscere
che quei di Bosco e Degolla non disponevano del volume di fuoco del
Garbagnati e vennero colti completamente di sorpresa, perché nessuno di
loro sospettava un attacco alle spalle, ciò non accadde più alle altre
bande.
Avrebbe potuto il nemico infliggerci perdite maggiori, annientarci?
Commise errori gravi e fatali alla buona riuscita dell'operazione?
Non
credo. Se avesse prolungato il rastrellamento nel tempo, se avesse
intensificato le puntate, adottato la tattica della controbanda certo la
nostra situazione si sarebbe aggravata, ma tenendo conto che la
sorpresa del primo giorno non poteva ormai più ripetersi, che la
probabilità di incontrare i partigiani in transito sulle mulattiere era
minima, credo di poter concludere che le nostre perdite non sarebbero
state molto maggiori.
Avrebbe potuto crollare il nostro morale?
Portarci allo sbandamento definitivo, alla resa? Non era la minaccia di
un rastrellamento, sempre limitata nel tempo, che avrebbe potuto
piegarci.
Ricordo una minaccia ben più grave che mi aveva fatto
meditare in quei mesi. Ero a Pairola per Natale, quando era giunta la
notizia della controffensiva tedesca sul fronte belga. Le notizie come
al solito erano state ingrandite, si diceva cbe i tedeschi avessero
sfondato e puntassero sul mare e su Parigi, che avanzassero anche sul
nostro fronte ed avessero ripreso Nizza, che avessero impiegato nuove
armi misteriose e decisive.
«Che farai figlio? - mi chiese mia madre
portandomi queste belle notizie - se i tedeschi vinceranno ci sarà
sicuro qualche amnistia e tu potrai tornare a casa». Sentii un brivido
interno. In tanti mesi non avevo mai considerato l'ipotesi di una
vittoria tedesca.
«Vedremo - risposi - non è ancora detto che
vincano. Una sola cosa posso dirti fin d'ora, se dovessero vincere a
casa non ci torno mai più. Cercheremo di sconfinare in Francia,
piomberemo su Oneglia e ci impadroniremo di qualche nave per andare in
Corsica, ma la resa mia e dei miei compagni non l'avranno mai». Sentivo
che se non proprio tutti, la maggioranza l'avrebbe pensata come me.
Il
nostro morale malgrado tutto era ancora abbastanza saldo per non
considerare la possibilità di una resa. Certo, senza il bando emesso
nelle vallate, molti partigiani sarebbero tornati alla vita civile, si
sarebbero confusi con i giovani che lavoravano nei paesi, ma finito il
pericolo, forse dopo soli pochi giorni, sarebbero riaccorsi nelle bande.
Il nemico ci aveva tolto anche questa possibilità contribuendo a
mantenerci uniti, armati e vigilanti.
Il nemico fu sorpreso di non
scontrarsi con uno schieramento difensivo, di non subire un contrattacco
organizzato: i Cacciatori degli Appennini erano un corpo specializzato
in rastrellamenti: era la prima volta, dicevano, che i partigiani non
reagivano. Un nostro contrattacco fu temuto a lungo, ciò impedì al
nemico di aumentare il numero dei presidi a scapito della loro forza
numerica, di operare in colonne più numerose, ma meno forti, di
disperdere sentinelle e pattuglie a tutti gli incroci, sui passi, nei
passaggi obbligati, occultandole e tendendoci agguati.
Il nemico
comprese che i colpi che ci aveva inflitto avevano eliminato due o al
massimo tre squadre e che tutte le altre nostre bande erano intatte ed
inafferrabili. Non comprese la nostra tragica debolezza, la mancanza di
capi, di armi e di collegamenti.
Certo che se avessimo usato di tutte
le nostre forze, se tutte le bande, le squadre ed i partigiani isolati
avessero sempre agito con freddezza e coraggio come i quattro di
Cappella Soprana ed avessimo attaccato il nemico ad ogni occasione,
avremmmo potuto infliggergli duri colpi se avesse commesso l'imprudenza
di lasciare nuclei esigui ed isolati. Ciò lo indusse alla prudenza e
contribuì alla nostra salvezza.
Il nemico volle attaccarci
contemporaneamente
alla Cascione per impedire uno spostamento, un appoggio reciproco che
in pratica non sarebbero stati possibili, ciò ridusse gli effettivi
impiegati.
Questo il giudizio che è possibile dare del rastrellamento
di gennaio, atteso da molti mesi come il colpo di grazia della
Bonfante.
In conclusione le nostre possibilità di resistenza avevano superato le previsioni.
Gino Glorio (Magnesia),
Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 163-167
14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava un rastrellamento
avvenuto nella zona del I° Distaccamento con i nemici che arrivavano da
tre direzioni, da Via Colletto di Pairola, da Diano Castello e da
Chiusavecchia e che, individuato il nascondiglio i nemici, avevano
prelevato 5 garibaldini in seguito fucilati a Chiusavecchia: Raspin,
Luis, Stendhal, Joe ed un certo Villa.
14 febbraio 1945 - Dal
comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione
"Silvio Bonfante" - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai
Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9
gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio
aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone
2; che il 20 una squadra al comando di 'Gordon' [Germano Belgrano] aveva
assalito una pattuglia tedesca uccidendo un soldato; che, ancora il
giorno 20, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" aveva ferito 2 tedeschi facendo scoppiare delle mine.
14
febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n°
116, al comando della I^ Brigata - Convocazione del comandante "Mancen"
[Massimo Gismondi] e del commissario "Federico" [Federico Sibilla] per
concertare l'impiego di alcuni Distaccamenti.
14 febbraio 1945 -
Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione
"Silvio Bonfante" - Informava che presto avrebbe potuto avere luogo un
lancio di materiale nella zona indicata da quel comando di Divisione, ma
aggiungeva che occorrevano dati più precisi sulla natura del terreno,
sulla distanza dai presidi militari più vicini e dalle abitazioni.
Concludeva invitando a comunicare la lista del materiale ricevuto, per
il quale aggiungeva la raccomandazione di un trasferimento in luogo
sicuro.
15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ brigata al
comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva dell'attacco subito
il 9 gennaio 1945 dal Distaccamento "Giovanni Garbagnati" a Casanova
Lerrone (SV) ad opera di reparti della Divisione repubblichina
"Monterosa" e di quello del 27 gennaio, effettuato da reparti sia della
"Monterosa" che della "Muti", che aveva causato la morte dei partigiani
Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano).
15 febbraio 1945
- Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata
Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^
Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" -
Comunicava che 6 ex appartenenti alla Brigata scrivente, fuggiti a
dicembre dopo il rastrellamento nemico, razziavano, continuando ad
autodefinirsi garibaldini, civili, per cui, siccome "da ottime
segnalazioni" risultava che i 6 si aggirassero nella zona della
Bonfante, si chiedeva di arrestare quei sei, "Maciste", "Salvatore",
"Cancarin", "Morello", "Brindisi", "Pianta", e di trasferirli nelle mani
della Briganti.
15 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione
"Silvio Bonfante", Sezione SIM, a "Citrato" [Angelo Ghiron] - Comunicava
che era stato nominato vice responsabile del servizio SIM e che in tale
veste avrebbe dovuto "carpire notizie" sulle truppe tedesche dei vari
presidii ed in transito sulla Via Aurelia, con particolari indagini sul
semaforo di Capo Mele e sui posti di ascolto di Albenga (SV), Alassio
Capo Mele e Capo Berta, nonché scoprire se il fiume Centa [ad Albenga]
era nel suo ultimo tratto minato.
15 febbraio 1945 - Dal comando
della I^ brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio
Bonfante" - Avvertiva che la famiglia di "Elettrico" aveva comunicato
che l'abitazione era stata perquisita dai fascisti, che avevano
asportato anche delle fotografie del partigiano.
15 febbraio 1945
- Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della
Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva i ringraziamenti del "Capitano
Roberta" [Robert Bentley,
ufficiale alleato di collegamento] per la prontezza con cui il comando
della Divisione aveva realizzato il collegamento con il colonnello
Stevens ed il suo impegno a fare prendere in considerazione l'ipotesi di
bombardare Ormea (CN), "in cui si trovano importanti obiettivi
militari" e ribadiva la necessità di fare propaganda tra i soldati
repubblichini per indurne il più alto numero possibile a passare con le
armi nelle fila della resistenza.